anno XVII - Numero 18 - 12 marzo 2011 Gli Interventi Giorgio Napolitano A Pag. 2 Marcello Veneziani A Pag. 12 Vittorio Emanuele A Pag. 13 La Storia dell’Opera La gloria dopo la sventura A Pag. 6 Il vero Nabucodonosor Il conquistatore di Gerusalemme che riedificò la torre di Babele A Pag. 8e9 Le vicende dell’Inno nazionale La storia degli Inni e quella del Canto degli Italiani A Pag. 12 e 13 Un curioso ricordo del “Va’ pensiero” Per il Settantesimo della morte di Verdi A Pag. 14 NabucodoNosor d i G i u s e p p e Ve r d i Nabucco 2 Questo Nabucco nelle riflessioni di Muti e del regista Jean-Paul Scarpitta Un’opera di Verdi simbolo di libertà universale «N anno si registra l’incisione per l’etichetta Emi, caratterizzata da un incedere drammatico inesorabile, con la Philharmonia Orchestra e le voci di Matteo Manuguerra, Renata Scotto, Nicolai Ghiaurov e Elena Obraztsova. Nel 1986 troviamo Muti al suo primo S. Ambrogio scaligero come direttore musicale, con Bruson ottimo protagonista. Con il Nabucco, il giovane Verdi compone un’opera in grado di coinvolgere il sentimento popolare, capace di trascendere i propri limiti per divenire poi simbolo dello spirito risorgimentale. Al di là dei caratteri specifici di una partitura indubbiamente acerba e caratterizzata da un’estrema economia di mezzi ma comunque sempre attenta ai valori del dramma, Muti nota «una musica concisa, travolgente, poetica», vera incarnazione dell’anima italiana. Su questo allestimento, il regista Jean-Paul Scarpitta intende la messa in scena come «una riflessione sulla storia più che una rappresentazione». L’idea portante è quella di un minimalismo che riduca al massimo gli elementi scenici, privando gli accessori di qualsiasi valenza decorativa, «permettendo una vera drammaturgia». L’ambientazione storica è suggerita da pochi essenziali elementi, una piramide, una sola porta del palazzo, qualche albero davanti a un muro d’oro e rovine che emergono dalle nuvole. Tutto concepito per «comprendere e far comprendere - sottolinea il regista - senza ottenebrare lo sguardo dello spettatore cercando di imporgli idee preconcette». Importante è poi il discorso sull’attualità del teatro verdiano. Nelle parole di Scarpitta, «il genio di Verdi ci rimanda al noIl G iornale dei G randi Eventi stro tempo, ai nostri drammi, e li chiarisce, perché oggi più che Direttore responsabile mai, il nostro destino è la politiAndrea Marini ca». La conclusione della viDirezione Redazione ed Amministrazione cenda introduce una nota di Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma speranza, una nuova nascita, e-mail: [email protected] «l’apparizione di una bella e giovane donna di oggi che culla fra Editore A. M. le braccia un bambino, in mezzo Stampa Tipografica Renzo Palozzi a giovani uomini d’oggi, cuori Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) puri appassionati di libertà. Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 Questo messaggio - conclude © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Scarpetta - dovrebbe risuonare Le fotografie sono realizzate in digitale nel cuore degli uomini che vedocon fotocamera Kodak Easyshare V705 no un’Europa che stenta a costruirsi, mentre le dittature fatiVisitate il nostro sito internet www.giornalegrandieventi.it cano a disfarsi, a scomparire». dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale riccardo cenci on volevo assentarmi da questo avvenimento, legato ai 150 anni dell’Unità d’Italia». Riccardo Muti ce l’ha messa tutta per riprendersi dal malore accusato il 3 febbraio scorso durante la prova generale di un concerto a Chicago, con il conseguente impianto di un pacemaker. La prescrizione dei medici per un periodo di riposo assoluto di almeno sei settimane, aveva fatto pensare ad una possibile defezione. Muti a Roma ha voluto comunque esserci, «per affetto e ammirazione verso questo teatro – dice - e per non mancare un appunta- Jean-Paul Scarpitta mento tanto sentito, anche per i risvolti simbolici legati alla ricorrenza». La sua collaborazione con l’ente lirico romano proseguirà durante la prossima stagione - ancora molto incerta nella struttura per i contestati tagli al FUS – con la direzione del titolo inaugurale della stagione nell’ultima settimana di novembre, al quale seguirà nel corso del 2012 un secondo titolo. La scelta delle due opere – sicuramente verdiane - dovrebbe essere tra il Macbeth, il Simon Boccanegra o l’Attila, titolo quest’ultimo che però all’opera di Roma è stato presentato più di recente. Tornando al Nabucco, Muti vanta una lunga frequentazione con questa partitura. La prima volta risale al Maggio Musicale Fiorentino del 1977, uno spettacolo pregevole con la regia metastorica di Luca Ronconi, le scene ed i costumi di Pier Luigi Pizzi, e le presenze importanti di Siegmund NImsgern e di Cristina Deutekom. Nello stesso Il Giornale dei Grandi Eventi Stagione 2010-2011 al Teatro Costanzi 12 – 19 aprile 2011 dIe eNtführuNG aus dem seraIl (Il ratto dal serraglio) di W.A. Mozart Gabriele Ferro Direttore Interpreti Maria Grazia Schiavo, Olga Peretyatko, Charles Castronovo 24 – 31 maggio 2011 la battaGlIa dI leGNaNo di Giuseppe Verdi Pinchas Steinberg Direttore Interpreti Dmitriy Beloselskiy, Luca Salsi, Tatiana Serjan 6 - 26 giugno 2011 bohème di Giacomo Puccini James Conlon Direttore Interpreti Ramòn Vargas, Vito Priante, Hibla Gerzmava stagione estiva alle terme di caracalla adrIaNa lecouVreur di Francesco Cilea aIda di Giuseppe Verdi 30 settembre – 8 ottobre 2011 elektra di Richard Strauss Fabio Luisi Direttore Interpreti Felicity Palmer, Eva Johansson, Melanie Diener ~~ La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 12 - 24 marzo 2011 NabucodoNosor Dramma lirico in quattro atti Libretto di Temistocle Solera dal dramma Nabucodonosor di Anicète Bourgeois e Francis Cornue (1836) Prima rappresentazione: Milano, Teatro Alla Scala 9.3.1842) (Terza opera teatrale di G. Verdi) EDIZIONI RICORDI, MILANO Edizione critica a cura di Roger Parker University of Chicago Press Musica di Giuseppe Verdi Direttore Regia e Scene Maestro del Coro Costumi Luci Riccardo Muti Jean-Paul Scarpitta Roberto Gabbiani Maurizio Millenotti Urs Schönebaum Personaggi / Interpreti Nabucodonosor (Bar) Leo Nucci 12, 17, 15, 19 / Giovanni Meoni 20, 22, 24 Ismaele (T) Antonio Poli Zaccaria (B) Dmitry Beloselskiy 12, 15, 17, 19, 24 / Riccardo Zanellato 20, 22 Abigaille (S) Csilla Boross 12, 15, 17, 19/ Viktoriia Chenska 20, 22, 24 Fenena (Ms) Anna Malavasi 12, 15, 17, 19/ Ezgi Kutlu 20, 22, 24 Gran Sacerdote di Belo (B) Goran Jurić Abdallo (T) Saverio Fiore Anna (S) Erika Grimaldi 12, 15, 17, 19/ Simge Büyükedes 20, 22, 24 ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo Allestimento ~ ~ La Copertina ~ ~ Giacomo antonio caimi - Giovani ebree a Babilonia (Torino - Civica Gallalleria d’ Arte moderna e contemporanea). Il Nabucco Giornale dei Grandi Eventi I n questo 150°, che in realtà non è dell’Unità d’Italia (la quale si compirà solo nel 1918) ma del Regno d’Italia, non ci poteva essere opera più evocativa del Risorgimento italiano che il Nabucco di Verdi. Non perché esso sia nato con spirito rivoluzionario, ma piuttosto per il fatto di essere stato assunto a simbolo di un periodo storico – quello tra il 1842 ed il ’48 – in cui in molti, soprattutto nell’Italia del nord, guardavano ad un nuovo ordine affrancato dal dominio dell’Austria-Ungheria. Il coro del “Va’ pensiero” diventò così – più nell’epopea che nella realtà – il canto del Risorgimento. Da qualche decennio, ciclicamente, torna la proposta talvolta provocatoria - di farne l’Inno nazionale al posto del Canto degli Italiani di Mameli. La ciclicità della storia ha portato ora la Lega Nord ad adottare queste stesse note come colonna sonora per l’indipendenza della Padania, per una divisione che incredibilmente ribalta gli ideali risorgimentali. Questo Nabucco, con le scene e i costumi di Jean-Paul Scarpitta, va in scena diretto da Riccardo Muti, redu- ce dal malore e dal bypass di poco più di un mese fa, e con un cast capitanato da uno specialista del ruolo di Nabucco come Leo Nucci. La serata del 17 marzo, giorno del 150° della proclamazione del Regno d’Italia e data ufficiale dei festeggiamenti, sarà ad inviti ed ad appannaggio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la presenza del Capo dello Stato. Il Nabucco per celebrare l'Unità d'Italia 3 Le Repliche Martedì 15 marzo, h. Giovedì 17 marzo, h. Sabato 19 marzo, h. Domenica 20 marzo, h. Martedì 22 marzo, h. Giovedì 24 marzo, h. 20.30 20.30 18.00 16.30 20.30 20.30 L’Intervento Nabucco, modello degli ideali risorgimentali di Giorgio Napolitano L’ Nella prima parte la vicenda è ambientata a Gerusalemme, nelle altre tre a Babilonia, intorno al 587 a.C.. ni poteri dal padre, libera gli ebrei e chiede a Zaccaria di essere convertita alla religione ebraica. Abigaille si appresta ad impadronirsi della corona di Fenena quando giunge Nabucco che afferra la corona e si proclama dio. A tali parole blasfeme sul suo capo cade un fulmine che allontana la corona, immediatamente raccolta da Abigaille che se la pone in testa. La Trama Parte I – (Gerusalemme) – Radunati nel tempio di Salomone ebrei e leviti piangono la sorte del popolo d’Israele sconfitto da Nabucco (contrazione del nome Nabucodonosor) Re d’Assiria, che alla testa del suo esercito sta per entrare in città. Il Gran Sacerdote Zaccaria rincuora i fedeli. Israele ha in ostaggio Fenena, figlia di Nabucco che viene consegnata in custodia ad Ismaele, nipote del Re di Gerusalemme Sedecia. I due giovani sono però innamorati e progettano una fuga comune. Lui le ricorda quando da ambasciatore andò a Babilonia e, imprigionato, fu salvato proprio da lei sia dalla prigione che dall’amore furente della di lei sorella Abigaille. Così mentre Ismaele sta per aprire una porta segreta entra Abigaille, schiava creduta figlia primogenita di Nabucco, seguita da alcuni guerrieri babilonesi travestiti da ebrei. Abigaille, ancora innamorata, impedisce la fuga e, gridando vendetta, accusa Ismaele di tradire la patria per una donna babilonese. Confessando di averlo amato e di avergli offerto il regno di Babilonia, la donna si dichiara pronta a salvarlo se tornerà da lei. Gli ebrei sono in preghiera quando avanza Abigaille inneggiando a Nabucco con i guerrieri che entrano nel tempio. Giunge anche Nabucco il quale viene affrontato da Zaccaria. Questo minaccia di uccidere Fenena se Nabucco osasse profanare il tempio. Mentre Zaccaria sta per vibrare il pugnale su Fenena, Ismaele gli blocca la mano e la ragazza fugge tra le braccia di Nabucco che annuncia vendetta ed ordina il saccheggio della città. Parte II – (L’empio) – Tornata a Babilonia, Abigaille scopre, da una carta sottratta a Nabucco, di essere solo una schiava e non sua figlia. Questa condizione la rende furente contro Fenena, Nabucco ed il Regno e nei suoi propositi di vendetta e di acquisizione del potere si fa aiutare dal Gran Sacerdote di Belo. Intanto Fenena, che ha ricevuto pie- Parte III – (La profezia) – Nella reggia di Babilonia Abigaille è sul trono. Entra Nabucco con le vesti lacere e la barba incolta. Dopo una discussione Abigaille lo convince a firmare l’ordine di morte per gli ebrei prigionieri. Nabucco è perplesso e firma, ma poi quando si rende conto che tra essi c’è anche la figlia Fenena vorrebbe tornare sui suoi passi. Abigaille non lo permette e Nabucco l’appella schiava e cerca il foglio attestante la nascita servile. Abigaille lo tira fuori dal seno e lo distrugge. Abigaille fa condurre in prigione Nabucco, il quale chiede almeno Fenena. Intanto sulle sponde dell’Eufrate gli ebrei invocano con nostalgia la loro patria. Giunge poi Zaccaria che profetizza la liberazione del suo popolo. Parte IV – (L’idolo infranto) - Negli appartamenti della reggia Nabucco, ancora prigioniero ma ormai rinsavito, sente rumori di guerra ed affacciatosi alla finestra vede la figlia Fenena trascinata verso la morte. Colto da ispirazione chiede perdono al Dio e riacquista le forze. A liberarlo arrivano guerrieri rimasti fedeli. Nabucco prende la spada di Abballo e corre verso gli orti pensili dove il Sacerdote di Belo sta per giustiziare Fenena. Irrompe Nabucco che infrange l’idolo e libera i prigionieri, unendosi poi agli ebrei per esaltare la gloria di Dio e ringraziarlo della nuova libertà. Entra Abigaille, che nel frattempo ha bevuto del veleno. In fin di vita chiede perdono a Fenena benedicendo il suo amore per Ismaele. Muore invocando la pietà di Dio, mentre Zaccaria saluta Nabucco re dei re. Unità d’Italia fu perseguita e conseguita attraverso la confluenza di diverse visioni, strategie e tattiche, la combinazione di trame diplomatiche, iniziative politiche e azioni militari, l’intreccio di componenti moderate e componenti democratico rivoluzionarie. Fu davvero una combinazione prodigiosa, che risultò vincente perché più forte delle tensioni anche aspre che l’attraversarono. Ora tutte le iniziative in programma per il 150° fanno tutt’uno con l’impegno a lavorare per la soluzione dei problemi oggi aperti dinanzi a noi: perché quest’impegno si nutre di un più forte senso dell’Italia e dell’essere italiani, di un rinnovato senso della missione per il futuro della Nazione. Ieri volemmo farla una e indivisibile, come recita la nostra Costituzione, oggi vogliamo far rivivere nella memoria e nella coscienza del paese le ragioni di quell’unità e Segue a pag 10 Il Giornale dei Grandi Eventi Nabucco Antonio Poli Leo Nucci e Giovanni Meoni Ismaele, nipote del Re e traditore per amore Nabucco, Re di Babilonia E’ affidato ad antonio Poli il ruolo di Ismaele. Nato a Viterbo nel 1986, ha studiato all’Accademia di Santa Cecilia di Roma e attualmente studia con il Maestro Romualdo Savastano. Ha vinto vari concorsi internazionali. Nel 2006 ha debuttato nella parte di Alessadro (Il re pastore) con la Roma Sinfonietta diretta da Marcello Panni, nel 2007 è stao il figlio di Bruschino (Il Signor Bruschino di Rossini) con l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia diretta da Carlo Rizzari. Nell’estate 2010 ha preso parte al progetto per giovani cantanti del Festival di Salisburgo. Sempre nel 2010 ha cantato nel ruolo di Arturo in Lucia di Lammermoor a Valencia, e, come ospite, ha interpretato Hirte Ein Junger Seemann in una nuova produzione di Tristan und Isolde diretta da Gianluigi Gelmetti a Genova. A Graz ha debuttato come Don Ottavio in Don Giovanni. Ad Amburgo ha cantato Polish Requiem di Pendercki diretta dal compositore al Reale Festival (Roma) e Petite Messe Solennelle di Rossini e si è esibito inoltre nel “Concerto di Capodanno 2011”, dal Teatro La Fenice di Venezia. Dmitry Beloselskiy e Riccardo Zanellato Zaccaria, Profeta e Gran Sacerdote A cantare nel ruolo di Zaccaria sono i bassi dmitry beloselskiy (12, 15, 17, 19, 24 marzo) e riccardo Zanellato (20, 22 marzo). dmitry beloselskiy nato a Pàvlograd (Ucraina), si è diplomato all’Accademia di Musica Gnesin di Mosca. Nel 2007 è vincitore del II premio al Concorso internazionale Tchaikovsky. Attualmente è solista del Teatro Bolshoi di Mosca dove nello scorso maggio ha debuttato nel ruolo di Zaccaria in Nabucco. Recentemente è stato Zaccaria anche nella produzione al West Palm Beach Opera. Ha partecipato, nel ruolo protagonista, alla registrazione di The tale of the priest and his worker, Balda di Shostakovich. I prossimi impegni lo vedranno a Salisburgo in Macbeth, al Metropolitan di New York in Nabucco, a Zurigo in Principe Igor, a Vienna in Attila. riccardo Zanellato dopo il diploma in chitarra al Conservatorio di Adria nel 1995, ha iniziato gli studi di canto sotto la guida di Arrigo Pola perfezionandosi poi con Bonaldo Giaiotti. Ha vinto i concorsi “Iris Adami Corradetti” e “A. Belli” di Spoleto, debuttando nel Faust di Gounod. Dopo aver vinto il concorso “Operalia” a Tokyo nel 1996, ha iniziato una brillante carriera. Ha cantato con Dom Sébastien di Donizetti al Comunale di Bologna e al Donizetti di Bergamo. Giovanissimo, si sta affermando per i ruoli di basso verdiano. Nella stagione 2009 all’Opera di Roma è stato protagonista in Iphigenié en Aulide diretto da Muti, in Nabucco a Wiesbaden, e nel Requiem di Verdi ad Hong Kong. Nella stagione 2010 Rigoletto all’Opéra Royal de Wallonie di Liegi e in tour a Charleroi e Harleen, Guglielmo Tell a La Coruna e Nabucco a Copenhagen. E’ stato interprete di Rigoletto alle Terme di Caracalla 2010 per l’Opera di Roma e di Moïse et Pharaon per l’inaugurazione della Stagione 2010-2011, diretto da Muti. Csilla Boross e Viktoriia Chenska Abigaille, la schiava che vuole farsi regina A 5 cantare come Abigaille saranno i soprano csilla boross (12, 15, 17 ,19 marzo) e Viktoriia chenska (20, 22, 24 marzo). csilla boross, ungherese, ha iniziato i suoi studi musicali all’Accademia Musicale Ferenc Liszt a Budapest. Nel 1998 ha ottenuto una borsa di studio a Székesfehérvár. Dall’agosto 2008 è solista e membro del Teatro Nazionale (Janácek Theater) a Brno, e dal settembre 2008 è solista dell’Hungarian State Opera. È regolarmente invitata al National Theater di Praga dal 2008 e continua ad esibirsi come guest all’Hungarian State Opera. Nella stagione 2009-2010 al Teatro Janacek ha preso parte alle produzioni: Macbeth, Eugene Onegin, Madama Butterfly, Aida, Nabucco. Nel 2010 è stata Fiordiligi in Così fan tutte al Nazionale di Praga, ha debuttato come Elettra nell’Idomeneo di Mozart e ha cantato Tosca allo Smetana Litomysil S aranno i baritoni leo Nucci (12, 15, 17 e 19 marzo) e Giovanni meoni (20, 22, 24 marzo) ad interpretare il ruolo di Nabucco. leo Nucci, nato nel 1942 a Castiglione dei Pepoli (Bologna), ma vive a Lodi. Ha studiato Canto a Bologna con Giuseppe Marchesi e si è perfezionato poi con Ottavio Bizzarri e Mario Bigazzi. Ha debuttato a Spoleto nel 1967, presso il Teatro Sperimentale “A.Belli” come Figaro nel Barbiere di Siviglia, stesso titolo con cui debutterà nel 1977 al Teatro alla Scala. Nel 1978 fu chiamato al Covent Garden di Londra per la Leo Nucci Luisa Miller. Oggi è considerato il maggior baritono verdiano in carriera. Ha interpretato due film opera: Macbeth, presentato a Cannes nel 1987 e Il Barbiere di Siviglia, oltre a numerosi video live di opere. Ha inaugurato diverse volte la stagione della Scala di Milano con cui collabora dal 1977 così come trentennale è il rapporto con l’Arena di Verona. Tra le varie produzioni Simon Boccanegra diretto da Sir.Georg Solti, Tosca, Rigoletto, Il Trovatore, Nabucco, Macbeth, La Forza del destino, I Due Foscari e Otello dirette da Riccardo Muti. Dal debutto avvenuto nel 1980 con Un Ballo in maschera accanto a Luciano Pavarotti, è presente ininterrottamente al Metropolitan di New York. Nel 2001, 100° anniversario della morte di Verdi, è stato impegnato, oltre che alla Scala, nei maggiori teatri e sale da concerto del mondo. E’ stato nominato “Kammersänger” della Staatsoper di Vienna e Ambasciatore UNICEF. Nel 2005 ha partecipato alla nuova produzione della Forza del destino alla Opernhaus di Zurigo. Per la stagione areniana 2007 ha interpretato Nabucco e Figaro nel Barbiere di Siviglia. La sua prima presenza sul palcoscenico del Teatro dell’Opera di Roma risale al 1963 quando, come comparsa, prese parte ad I Maestri cantori. E’ del 1970, invece, la sua prima interpretazione come cantante nei panni di Dancairo in Carmen nella storica produzione con la regia di Sandro Bolchi e le scene e i costumi di Renato Guttuso. A Roma l’ultima volta ha cantato nel 1998 nel Nabucco. Giovanni meoni Nato a Genoano di Roma nel 1964, Giovanni Meoni ha cominciato lo studio del canto con Leo Ferri, debuttando nel 1991 con La Bohème (Marcello) al Flavio Vespasiano di Rieti. Dal 1991 al 1993 ha vinto importanti concorsi nazionali ed internazionali. E’ attivo anche in ambito concertistico nelle più prestigiose istituzioni e sale da concerto. Interprete della tradizione operistica italiana, si distingue, nei primi anni della sua carriera, nell’esecuzione del repertorio belcantistico belliniano e donizettiano, per arrivare, successivamente, al repertorio verdiano nel quale trova la sua naturale collocazione e dove, la sua vocalità, raggiunge la massima espressione in particolar modo nei grandi ruoli di “baritono nobile”. Ha collaborato con importanti direttori d’orchestra ed insignito di diversi riconoscimenti tra i quali il “Premio Lauri Volpi” e il “Premio Ettore Bastianini 2004”. Festival nella Repubblica ceca. Nella stagione 2010-2011 molti i debutti italiani, tra cui La traviata al Verdi di Trieste e Lady Macbeth nel Macbeth al Comunale di Modena, di Piacenza e Bolzano. Tra gli impegni futuri il debutto alla Washington National Opera con il ruolo di Abigaille nel Nabucco. Viktoriia chenska ha compiuto i suoi studi, fino al 2000, all’Accademia Musicale Nazionale dell’Ucraina, sotto la guida dell’insegnante Galina Tuftina. Premiata in diversi Concorsi internazionali di canto, è attualmente solista, dal 2007, presso il Teatro Nazionale dell’Opera di Kiev, dove canta, nei ruoli della protagonista, in alcune fra le più importanti opere in repertorio. Ha partecipato ai concorsi Opera Singers Competition “Ondina Otta” Maribor – terzo premio 1999 e 2001. Pagina a cura di Francesco Piccolo – Foto di Corrado M. Falsini 6 Nabucco Il Giornale dei Grandi Eventi La storia dell’opera Nabucodonosor, la gloria dopo la sventura «C ti del giovane bussetano. on quest’opera Il farcito racconto autosi può dire vebiografico, dettato da ramente che Verdi all’editore Giulio ebbe principio la mia carrieRicordi una quarantina ra artistica». Verdi si acd’anni dopo, riporta che il corse subito che Nabucco compositore, in una fredera nato sotto una stella da serata invernale, infavorevole ed anche dopo contrò per caso il Merelli, riconobbe che il suo destiil quale lo convinse a seno di operista dipese in guirlo a Teatro. Tanto fegran parte da quel giovanile successo. Curioso, visti i preamboli, non certo incoraggianti: il compositore, nel pieno di un terribile lutto familiare - la morte improvvisa dei due figlioletti e poco dopo quella dell’amatissima moglie Margherita Barezzi e profondamente amareggiato dal fiasco della Giuseppina Stepponi con lo spartito del Nabucodonosor sua opera buffa ce l’impresario, che VerUn giorno di regno, andata di, ritroso e deciso a snetin scena alla Scala il 5 settere con la musica, si ritembre del 1840, era infattrovò a casa (viveva a Miti più che mai deciso ad lano ormai dal 1839) con abbandonare la composiil libretto di Nabucco, zione. Aveva allora 27 anscritto da Temistocle Soni. «Mi persuasi che dall’arlera sulla base di passi bite avrei invano aspettato blici e del dramma Nabuconsolazioni e decisi di non chodonosor di Aguste comporre mai più». Tutto Anicèt-Bourgeois e Franquesto nonostante il suo cis Cornu (andato in sceOberto, conte di San Bonifana a Parigi nel 1836), licio gli avesse invece regabretto appena rifiutato lato soddisfazioni, dopo dal giovane musicista la buona accoglienza, prussiano Otto Nicolai. Si sempre alla Scala, poco dice che Verdi aprendo il meno di un anno prima, il testo a caso, rimase folgo17 novembre del ‘39. rato da quel verso Va, Le circostanze che portapensiero, sull’ali dorate che rono al mutamento d’aniancora oggi è l’identificamo sul comporre, sono tivo di quest’opera. Inparzialmente aneddottisomma, una sorta di ”forche. Certo è che grande za del destino” che avrebparte ebbe Bartolomeo be guidato Verdi nella Merelli – impresario della composizione d’un lavoScala ed tra i grandi imro così decisivo per la sua presari italiani dell’Ottocarriera. cento, insieme a Barbaja, Fioriture a parte, sappiaJacovacci e Lanari - da cui mo che Nabucco cominciò dipendevano le sorti del gradualmente a prendere teatro musicale a Milano, forma, tra momenti di inil quale intuì subito le do- cupimento e rinnovata ebbrezza, con l’assidua collaborazione del librettista e amico Solera, con cui il confronto, se a tratti si manifestò assai burrascoso, nondimeno fu proficuo e costruttivo. Verdi racconta di aver chiesto a Solera di sostituire un duettino amoroso tra Fenena e Ismaele, che a lui non piaceva perché raffreddava l’azione, con una profezia da affidare al personaggio di Zaccaria; richiesta accettata con riluttanza dal librettista, che tuttavia promise di scriverla nei giorni successivi. Ma Verdi, temendo di dover aspettare troppo, sbottò, serrò l’uscio e si mise in tasca la chiave «Non sorti di qui se non hai scritto la profezia: eccoti la Bibbia, hai già le parole bell’e fatte». Rischiò forse una reazione collerica da parte dell’amico, «..un pezzo d’uomo…», ma un quarto d’ora dopo la profezia era scritta. Insomma, tra scambi e scontri, Nabucco fu ultimato nell’autunno del 1841. Nel frattempo, la Scala aveva già replicato 17 volte Oberto, a riparazione del fiasco di Un giorno di regno e la stagione di carnevale-quaresima era già definita con tre opere nuove di artisti conosciuti, tra cui Maria Padilla di Donizetti. Non c’era posto, dunque, per l’opera di Verdi, che Merelli avrebbe preferito nella programmazione successiva. Naturalmente ciò scatenò le ire del bussetano, «giovane e dal sangue bollente», deciso più che mai a vedere Nabucco sull’imminente cartellone, che con una «letteraccia» sfogò sull’impresario tutto il proprio risentimento. Fu allora che Merelli, che troppo conosceva il mestiere per tagliare con l’irruente maestro, gli fece sapere che aveva modifi- cato il cartellone e che Nabucodonosor (titolo originale fino al settembre del 1844, quando il Teatro S. Giacomo in Corfù lo accorcerà in Nabucco) sarebbe andato in scena. «Daremo questo Nabucco; bisogna tener calcolo però che io avrò spese gravissime per le altre opere nuove: non potrò Bartolomeo Merelli fare apposta pel Nabucco né scene né vestiario e dovrò raffazzonare alla meglio ciò che si troverà di più adatto in magazzino». Scene che, insieme ai riutilizzati costumi del precedente balletto Nabucodorosor di Cortesi, grazie allo scenografo Filippo Peroni sortirono comunque un effetto straordinario. Secondo alcune fonti poi, lo stesso compositore avrebbe in parte finanziato l’impresa, rinforzando a proprie spese il coro del Teatro, a quel tempo né solido, né numeroso. Le prove di Nabucco ebbero così inizio negli ultimi giorni di febbraio del 1842. la “Prima” alla scala Giunse la sera del 9 marzo 1842: la Scala era affollatissima, con il fior fiore della Milano musicale, artistica e letteraria tra cui, in un palco di prima fila, Gaetano Donizetti. Del resto il cast si preannunciava brillante: la Strepponi (Abigaille), Giorgio Ronconi (Nabucco), Giovannina Bellinzaghi (Fenena), Corrado Miraglia (Ismaele), Prosper Derivis (Zaccaria). Verdi prese posto in orchestra, con la scusa di girare le pagine ai collaboratori, ma in realtà per assistere da vicino al proprio trionfo od alla propria caduta. E il trionfo arrivò. Già il finale del primo atto fu accolto da un’ovazione tanto chiassosa da lasciar di stucco lo stesso compositore, che sulle prime scambiò le acclamazioni per fischi di disapprovazione. «Credetti che volessero farsi beffe del povero compositore, e poi che mi cadessero addosso per farmi un brutto tiro». E invece il successo fu clamoroso. Al calare del sipario applausi ed evviva furono interminabili. Enorme l’entusiasmo per il celebre coro “Va pensiero” e pure per la Sinfonia, approntata negli ultimi giorni sotto la caparbia insistenza del cognato Giovanni Barezzi. Otto furono le recite, ma il successo fu tale che alla Scala venne riproposta 75 volte entro la fine di quell’anno. Insomma, il pubblico del tempio lirico milanese quella sera consacrò definitivamente Verdi, che meno di un anno dopo avrebbe trionfato ancora con I Lombardi alla prima crociata (11 febbraio1843), opera che idealmente s’accoppia con Nabucco, dando il via quasi d’istinto all’azione politica del compositore. barbara catellani Il Giornale dei Grandi Eventi Nabucco 7 Analisi dell’opera Nabucco, il primo lavoro teatrale ben strutturato di Verdi N abucco, libretto di Temistocle Solera, tratto da un episodio del Vecchio Testamento, costituisce, dopo le prove mediocri o fallimentari di Oberto, conte di San Bonifacio e di Un giorno di Regno, l’avvio autentico del teatro verdiano, di un teatro, cioè, che pur attingendo all’esperienza dell’ultimo Rossini o del Donizetti tragico italiano, si imponeva con caratteri propri e di forte potere emozionale. Caratteri che emergono già nella Sinfonia. L’avvio lento e nobile affidato ai fiati lascia il posto a un tema nervoso, scattante, marziale cui segue il riferimento al tema ampio e disteso del “Va pensiero”. Un bitematismo, dunque, giocato sul contrasto fra due elementi caratterialmente assai diversi che riflettono le due anime musicali dell’opera: da una parte il Verdi quasi bandistico, esuberante, aggressivo, dall’altro la sua verve cantabile, distesa, con una delle melodie più popolari del suo intero repertorio. E’ significativo che mentre il primo tema ritornerà più volte a sottolineare i momenti più eroici, quello lirico risuonerà nella sua completezza solo nel celebre coro degli ebrei sul finire della terza parte. Verdi, dopo averlo annunciato, se lo tiene in serbo per la pagina su cui evidentemente più conta in termini di impatto emotivo. L’opera s’articola in quattro parti, ognuna con un proprio sottotitolo e una citazione dal libro di Geremia. La prima parte si intitola “Gerusalemme” con la seguente citazione: «Così ha detto il Signore; ecco, io do questa città in mano al re di Babilonia, egli l’ar- derà col fuoco» (Geremia esempio Fenena, figlia di XXXII); la seconda “L’EmNabucco, o il condottiero pio” è introdotta dai verIsmaele. I due immettono setti «Ecco… il turbo del Sinella storia la componengnore è uscito fuori, cadrà te sentimentale con un resul capo dell’empio» (Gerecitativo amoroso nella IV mia XXX); la terza, “La scena che spezza la tenprofezia” richiama Geresione accumulata. mia LI: «Le fiere dei deserti Più attenzione sul piano avranno in Babilonia la loro dell’approfondimento castanza insieme coi gufi e l’uratteriale, Verdi pone agli pupe vi dimoreranno». Infine la quarta, “L’idolo infranto”: «Bel è confuso: i suoi idoli sono rotti in pezzi» (Geremia XLVIII). Già la prima scena nel Tempio di Salomone si apre con uno dei Cori più famosi, “Gli arredi festivi”. L’avvio corale rientra nella tradizione dell’opera italiana, anche se qui è differente la funzione. In genere il coro fungeva da “prologo”, raccontando l’antefatto, qui Verdi lo trasfor- Verdi in un ritratto di Giuseppe Barbaglia ma subito in proaltri due protagonisti, tagonista, col popolo che Abigaille e Nabucco. La canta e lamenta la propria prima, schiava ritenuta ficondizione in una pagina glia del Re, appare come con interventi a sezioni e la personalità più compoi un finale a compagine plessa dell’opera. In lei si intera. scontrano passionalità Nella scena successiva, al amorosa e sete di potere, Coro si affianca Zaccaria, ispirando a Verdi moun basso, come si addice menti musicali espressialle figure “guida” e linea vamente diversi: dall’aria di canto spiegata, nobile “Anch’io dischiuso”, al ducome nel Mosè rossiniano. ro scontro con Nabucco, al pentimento finale, al la caratterizzazione momento della morte. dei personaggi Abigaille partecipa pure a scene di insieme. Da ciAspetto interessante del tare, ancora, il canto a primo Verdi è il trattacappella “Immenso Jehomento riservato ai persovah” (Parte IV) che con la naggi, spesso non “scavasua profonda suggestione ti” sul piano psicologico, religiosa conferisce quasi non definiti “a tutto tonun aspetto oratoriale aldo” come saranno poi l’opera. Sono elementi Violetta, Rigoletto, Azuquesti nei quali emerge la cena, ma trasformati in genialità drammaturgica “simboli”. Così sono ad oltre che musicale di Verdi. A tale proposito va sottolineato che il Verdi del Nabucco, come delle altre opere risorgimentali, è tutt’altro che “bandistico”: la sua irruenza (con scatti ritmici, fiati in primo piano, accompagnamenti baldanzosamente scanditi) è perfettamente calcolata e alternata a passi strumentali raffinatissimi. Il protagonista Nabucco è, come Abigaille, personalità controversa. Entra in scena nella prima Parte annunciato dalla banda con un tema marziale, che ricorrerà poi più volte a sottolineare momenti guerreschi, mostrando subito, con vocalità baritonale violenta, la sua bellicosità e crudeltà. Nabucco incarna l’oppressore ed è abile Verdi ad individuare per ogni “simbolo” dell’umanità rappresentata una adeguata scrittura vocale. Dopo essersi proclamato Dio ed essere stato fulminato, il terribile Re di Babilonia conosce il pentimento, la pietà, la misericordia. Il suo canto “Deh perdona” nella Parte III, si ammorbidisce, si fa più lirico, per tornare poi ad un piglio marziale e trascinante nella Parte IV quando rientrato in sé, vuole riprendere il proprio ruolo. Il “Va pensiero…” Resta da menzionare la pagina più famosa dell’opera, il coro che gli ebrei schiavi nella Parte III. Sulle sponde dell’Eufra- te, incatenati, levano al cielo il loro rassegnato e doloroso lamento: «Va, pensiero, sull’ali dorate; /Va, ti posa sui clivi, sui colli,….». Le principali particolarità lessicali della pagina riguardano la presenza di termini aulici, come voleva la prassi di prosa e poesia ottocentesca, in particolare: clivi, membranza, favella, fatidici, traggi, nonché i nomi propri Sionne e Solima, dove Sionne indica Gerusalemme, mentre Solima deriva dall’antica denominazione greca della stessa città (Hierosólyma). Si tratta di 16 decasillabi, divisi in 4 quartine. Le strofe presentano un ritmo anapestico, con gli accenti che cadono sulle sedi 3-6-9. È per questo che al verso 13 la parola “simile” si legge con l’accento piano sulla seconda sillaba (“simìle”) anziché con l’accento sdrucciolo sulla prima. Secondo la prassi della poesia musicale, l’ultimo verso d’ogni quartina è tronco, cioè costituito da nove sillabe metriche. Verdi costruisce una melodia ampia, distesa su un accompagnamento arpeggiato d’archi. Andamento doloroso, dinamiche soffuse con scatti di passionalità come sulla frase «Oh mia patria sì bella e perduta»; ovvero allo slancio lirico «Arpa d’or dei fatidici vati». Un coro, però, va ricordato, d’oppressi e rassegnati. Non a caso, quando il tutto si spegne, pianissimo sulla parola “virtù”, irrompe Zaccaria che apostrofa i suoi: «Oh chi piange? Di femmine imbelli/ Chi solleva lamenti all’Eterno?/ Oh sorgete, angosciati fratelli, /sul mio labbro favella il Signor». roberto Iovino Nabucco 8 Il Giornale dei Grandi Eventi La figura storica di un grande Re, offuscato dalla perdita de Nabucodonosor, il conquistatore di Gerusalemm Giardini pensili di Babilonia G li ultimi decenni del VII secolo a.C. furono certo vissuti dalle genti di ogni lingua e cultura che abitavano per amplissime contrade in gran parte dell’Asia Occidentale, dall’Iran occidentale alle coste del Mediterraneo, come un tempo crudele di inattese speranze e di terribili incertezze. L’irresistibile dominio di Ninive e dei suoi re, i “vicari” del terribile dio Assur, che da oltre due secoli aveva annientato ogni potere politico rivale ed era arrivato ad estendersi dalla lontana Assiria fino a comprendere l’intera valle del Nilo, vacillava e i suoi eserciti faticavano a mantenere il controllo della Mesopotamia meridionale, dove sorgeva la città santa di Babilonia, centro del mondo, tanto metaforico quanto reale, per gli abitanti della terra dei due fiumi. Un energico principe caldeo, emerso dalle paludose e impenetrabili terre dove si alternavano palmizi e deserto sulle sponde del Golfo, forse erede di un antico illustre lignaggio, Nabopolassar, aveva levato un’armata che era riuscita a tenere in scacco l’invincibile esercito d’Assiria, si era proclamato re di Babilonia e pretendeva di scuotere lo spietato “giogo di Assur”. Dopo qualche tentativo sfortunato, quando l’audace Nabopolassar riuscì ad unirsi ad un altro generoso principe affermatosi nelle montagnose regioni della Media, Ciassare, gli eserciti congiunti della Babilonia e della Media, con l’ausilio forse di orde di Sciti, riuscirono a espugnare, nel 612 a.C., la crudele Ninive, la “frusta di Yahwe”, come la definivano i profeti d’Israele, riconoscendo nell’Assiria l’inesorabile esecutore terreno dei terribili castighi che il dio d’Israele infliggeva al suo popolo per le sue ripetute ed imperdonabili infedeltà. Parvero cessare allora prolungate sofferenze di popoli sterminati, depredati e deportati dagli inflessibili signori d’Assiria – da Sargon II, a Sennacherib, a Asarhaddon, ad Assurbanipal, il Sardanapalo dei Greci -, se si dà ascolto alla voce degli sconfitti Ebrei, che avevano visto nel 722 a.C. cadere sotto i colpi dell’Assiria Samaria, capitale del regno settentrionale di Israele: dopo le trepidanti incertezze la speranza che al giogo d’Assiria succedesse per le popolazioni d’Oriente un più mite governo nell’equilibrio tra Ciassare e Nabopolassar. E così certo fu, perché quelli che presto divennero a loro volta i signori del mondo – i re di Babilonia – non regnarono più vantando un primato implacabile rivendicato in nome di un dio crudele, Assur, bensì si professarono, secondo una millenaria tradizione babilonese, pastori delle genti, restauratori di culti antichissimi, devoti piissimi di un dio ordinatore del mondo e signore dell’universo, Marduk. Nabucodonosor il grande Torre di Babele di Bruegel il Vecchio Colui che affermò e consolidò, fiaccando definitivamente la resistenza assira e sconfiggendo gli Egiziani accorsi in soccorso degli ultimi resti del potere assiro, fu il grande figlio di Nabopolassar, Nabucodonosor, Nabucco - Figurino di Attilio Comelli - La Scala 1913 che orgogliosamente aveva assunto il nome di un grande re del XII secolo a. C., il quale aveva trionfato degli Elamiti, aveva riportato a Babilonia la statua cultuale della divinità Marduk, sacrilegamente asportata dal suo veneratissimo tempio dell’Esagil ed aveva dato corso all’esaltazione teologica universalistica del culto dello stesso Marduk. costruttore della torre di babele Nabucodonosor II, salito al trono di Babilonia nel 604 a. C., fu un grande sovrano e divenne nella coscienza delle genti della Mesopotamia un eroe nazionale, tanto che, dopo il crollo dell’impero babilonese nel 539 a.C. di fronte all’urto dell’achemenide Ciro II il Grande, ogni personaggio di Babilonia che tentò, senza fortuna, di scuotere il do- minio persiano, assunse di nuovo il suo nome. Riorganizzato l’impero e delimitato ad Oriente il potere dei Medi, il gran Re si dedicò al più spettacolare programma di rinnovamento edilizio della sua capitale, estesa allora per circa 1000 ettari e di ricostruzione di tutti i maggiori santuari della Babilonia che mai si fosse visto in Oriente. Fu questo straordinario costruttore che portò a termine, contro ogni aspettativa, l’impresa memorabile del completamento della torre templare di Marduk a Babilonia, l’Etemenanki, la “Casa fondamento del cielo e della terra”, che da allora per alcuni decenni dominò con la sua altezza di poco meno di 100 metri il panorama verdeggiante di palme dell’immensa Babilonia. La celeberrima fabbrica ciclopica della “Torre di Babele”, la cui ricostruzio- Il Nabucco Giornale dei Grandi Eventi 9 elle fonti scritte e dalla tradizione biblica me che riedificò la Torre di Babele ne era stata forse iniziata da Nabucodonosor I secoli prima, rimase a lungo incompleta ed abbandonata come un’immensa rovina urbana, tanto da far nascere, forse nella stessa Babilonia o più probabilmente nella Pa- egli certo teneva ad apparire come un personaggio di straordinaria devozione religiosa assai più che come condottiero illustre. Ma il suo nome è rimasto legato in tutta la tradizione occidentale alla conquista di Gerusalemme, dall’epocale esplorazione tedesca di Robert Koldewey tra il 1899 e il 1913 - fortemente voluta dall’Imperatore di Germania, il Kaiser Guglielmo II (1859-1941, imperatore dal 1888 al 1918), animato dalla ferrea vo- Babilonia - ricostruzione ideale di Johann Bernhard Fischer von Erlach (1721) lestina dell’VIII-VII secolo a. C., la non meno famosa storia biblica del suo disfacimento da parte di Dio come punizione di un disegno umano di arroganza e orgoglio inammissibili. Ribaltando il mito e le sue ragioni, Nabucodonosor II non solo completò fino al più alto fastigio quell’opera immane, ma profuse un’immensa quantità d’oro nella decorazione della cella del tempio di Marduk posto sulla sua sommità, creando attonito stupore anche in chi, come forse Erodono, quel gigantesco monumento vide già in decadenza. alla distruzione del tempio salomonico ed all’abbattimento delle mura della capitale del regno di Giuda, dove regnava l’ultimo successore di David: i testi amministrativi scoperti nella Babilonia di Nabucodonosor II ricordano, tra i nomi dei principi stranieri sottomessi ed ospitati alla corte di Babilonia, anche quello dell’infelice re di Giuda (Yehoiakin che appare nei testi babilonesi nella forma “Yaukin, re di Giuda”), il quale fu portato in esilio con l’élite intellettuale di Gerusalemme nella nuova capitale del mondo. Il conquistatore di Gerusalemme la riscoperta archeologica di babilonia Poche sono le gesta militari che le iscrizioni del gran Re di Babilonia hanno tramandato, perché La rinascita archeologica della Babilonia di Nabucodonosor II, restituita alla conoscenza storica lontà che i Musei Statali di Berlino potessero rivaleggiare con i musei di concezione imperiale dell’Impero Britannico e della Repubblica Francese (il British Museum ed il Louvre) -, ha documentato nelle straordinarie fortificazioni, nei templi numerosi, negli estesissimi palazzi reali, nella sontuosa strada cerimoniale della dea Ishtar un’attività edilizia del tutto corrispondente alle ripetute celebrazioni delle La grande via trionfale di Nabucodonosor che dalla opere architet- Porta di Ishtar conduceva al Tempio del dio Marduk toniche contezione secolare dei due nute nelle iscrizioni reaopposti ideali politici li del sovrano. dell’impero universale L’immagine storica di unificatore e pacificatore Nabucodonosor II è stata e della nazione particolaindubbiamente sfigurata re, gelosa custode della dalla sorte avversa che, sua specificità e delle sue nel naufragio totale delle tradizioni, soprattutto fonti scritte della civiltà dall’età del Romanticimesopotamica verificasmo, Babilonia è divenutosi dopo l’età ellenistica ta il simbolo dell’oppresed il susseguente comsione truce e cieca, spiepleto oblio di ogni testitata e inaccettabile, e gli monianza diretta, ha fatEbrei in cattività il simto sì che nella memoria bolo del popolo ingiustadel mondo occidentale mente soggiogato, malessa sia stata filtrata dalvagiamente disperso, la tragica esperienza, cosofferente e irredento. sì efficacemente espressa nella tradizione biblica, Paolo matthiae della Cattività babiloneAccademico dei Lincei se e dell’Esilio degli Archeologo Ebrei. Nella contrapposi- Opposte visioni Le immagini mitiche di Nabucodonosor N abucodonosor II morì nell’ottobre del 562 a.C. Durante l’età ellenistica si svilupparono nel mondo seleucide due opposti miti attorno alla sua figura, uno greco positivo e l’altro ebraico negativo. Da un lato, anche sulla base dei dati accumulati dal dotto Berosso, sacerdote di Bel, astronomo ed astrologo babilonese vissuto tra IV e III sec. A. C. che scrisse sull’antico mondo mesopotamico per un sovrano ellenistico, nella tradizione greca, affascinata dalla sua fama di rifondatore di una città immensa di straordinaria suggestione, cui non si sottrasse neppure Alessandro Magno, il re babilonese divenne un nuovo Belo, travestimento greco della divinità Marduk, in quanto fondatore di una città eccezionale dalla triplice, gigantesca, cerchia di mura costruite in quindici giorni, ed un eroe semidivino, «più potente di Eracle, che invase la Libia e l’Iberia». Dall’altro lato, soprattutto sulla base della storia biblica di Daniele, nella tradizione ebraica, antica e medioevale, inorridita dalla sua crudele idolatria, il gran Re responsabile del sacco di Gerusalemme e della distruzione del Tempio di Salomone, condannato ad un destino atroce di follia e di inselvatichimento, diviene un essere bestiale con le sembianze di un bue dai fianchi in su e di leone dai fianchi in giù, «che si aggirava tra i dirupi e ruggiva tra le fiere selvagge». Pa. mat. Nabucco 10 Il Giornale dei Grandi Eventi Il Nabucco nelle scenografie L’invenzione scenica dell’Oriente antico L a prima rappresentazione del Nabucco di Giuseppe Verdi alla Scala di Milano, fu salutata con grandissimo entusiasmo, decretando, fin dell’inizio, la fortuna dell’opera verdiana. Non solo la musica, ma anche costumi e scene hanno contribuito alla riuscita dell’opera, come lo stesso Verdi racconta in una lettera, dove il Maestro menziona il magnifico ed accurato lavoro di Filippo Peroni (Perroni come scrive Verdi) che, riaccomodando e ridipingendo vecchie scene, riesce tuttavia ad ottenere l’effetto desiderato. Quali fossero queste vecchie scene è difficile dirlo: l’ipotesi più logica, sebbene, allo stesso tempo, non del tutto convincente, è che per la prima del Nabucco di Verdi siano state riutilizzate scene del balletto Nabuccodonosor di Antonio Cortesi, messo in scena alla Scala di Milano il 27 ottobre 1838 od anche alcune di Oberto, Conte di San Bonifacio dello stesso Verdi che aveva debuttato nello stesso teatro Milanese il 17 novembre 1939. Il nome di Peroni, tuttavia, non compare sul libretto della prima dell’opera di Verdi a Milano: lo scenografo indicato è Baldassarre Cavallotti, ma l’intervento dello stesso Peroni è confermato dall’esplicito riferimento che ne fa il Maestro nella già citata lettera. Molti anni dopo Verdi avrebbe così rievocato la serata: «Il Nabucco nacque sotto una stella favorevole, giacché anche tutto ciò che poteva riuscire a male contribuì invece in senso favorevole […] I costumi raffazzonati alla meglio riescono splendidi! Scene vecchie, riaccomodate dal pittore Peroni, sortono invece un effetto straordinario: la prima scena del tempio in specie produce un effetto così grande che gli applausi del pubblico durarono per ben dieci minuti». Il nome di Filippo Peroni sarà legato ad altri cinque allestimenti dell’opera verdiana. Fra i bozzetti conservati (difficilmente databili con precisione), si possono osservare i primi esempi di utilizzo di elementi dell’architettura mesopotamica antica che, proprio in quegli anni, gli archeologi francesi e britannici stavano riportando alla luce nelle capitali assire (Khorsabad e Nimrud) dell’Iraq settentrionale. Rispetto alle scene di Romolo Liverani per il Nabucco di Faenza del 1843, dove è ancora diffuso l’uso di elementi architettonici prevalentemente egiziani per caratterizzare l’oriente, Peroni fa esplicito riferimento all’architettura e scultura assire (con l’impiego dei caratteristici tori androcefali presso gli stipiti dei passaggi) che egli deve aver potuto vedere nei disegni degli scavi francesi a Khorsabad di Paul-Émile Botta (1849) e britannici di Austen Henry Layard (1849-50, 1853) e nelle contemporanee notizie, accompagnate da illustrazioni, pubblicate sui giornali L’Illustration e The Illustrated London News, oppure nelle riproduzioni di reperti isolati, come quelli rinvenuti da Claudius James Rich negli anni 1811 – 21 (ora al British Museum di Londra) ed immagini di tavolette cuneiforme, note già nel Settecento ma non ancora decifrate. È verosimile, quindi, che i bozzetti di Peroni si collochino in questi anni, quando le antichità assire erano oramai giunte ed erano state ampiamente pubblicate in Europa. All’elemento architettonico e figurativo egiziano, fino a quel momento largamente impiegato (ma di fatto non totalmente abbandonato anche dallo stesso Peroni e da altri scenografi) si sostituisce la componente assira, adoperata anche per raffigurare la città di Babilonia (luogo dell’azione del Nabucco), le cui vestigia verranno scoperte solo alla fine dell’800 con gli scavi diretti dal tedesco Robert Koldewey dal 1899 al 1917. davide Nadali Archeologo Continua "L'Intervento" da pag. 3 indivisibilità come fonte di coesione sociale, come base essenziale di ogni avanzamento tanto del Nord quanto del Sud in un sempre più arduo contesto mondiale. Così, anche nel celebrare il 150°, guardiamo avanti, traendo dalle nostre radici fresca linfa per rinnovare tutto quel che c’è da rinnovare nella società e nello Stato. È mio compito e dovere reagire a rischi di divisione del Paese, specialmente in una fase come quella che si è aperta per l’Europa e per il mondo e nella quale l’Italia ha bisogno di coesione e di slancio, per reggere sfide complesse ed altamente impegnative. È mio compito farlo per rilanciare il patrimonio dell’unità nazionale, pur nel rispetto di tutte le differenze, le diversità di posizioni ideali e politiche, le distinzioni e la dialettica tra schieramenti che competono per il governo del Paese. Anche attraverso questo Nabucco, una musica ed un testo che rimangono nobili veicoli di trasmissione degli ideali del Risorgimento, ripercorriamo la storia del passato, il cammino che ci ha portato a fare dell’Italia uno Stato unitario per trarne motivi di orgoglio e di fiducia, che ci fortifichino nel guardare al futuro, insieme con le giovani generazioni. Il nostro sguardo non è fermo a quel che eravamo 150 anni fa. Il Tricolore è la bandiera di una Nazione che ha radici antiche, nelle quali possono riconoscersi gli italiani di ogni parte; ed è la bandiera di uno Stato che nacque con le insegne della monarchia sabauda, ma che è diventato Repubblica, fondata nella Costituzione. E nei principi di quella Costituzione possiamo trovare la strada anche per portare avanti innovazioni indispensabili: come quelle disegnate nell’articolo 5, che già più di sessanta anni or sono legò l’unità e l’indivisibilità della Repubblica al riconoscimento e alla promozione delle autonomie regionali e locali; innovazioni concretamente definite più di recente nel nuovo Titolo V della nostra Carta. In questo spirito confido che ci ritroviamo tutti, senza distinzione di parte, nelle celebrazioni del Centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Giorgio Napolitano Il Giornale dei Grandi Eventi Nabucco 11 L’impegno politico del compositore Verdi: «Chi governa deve essere di specchiata onestà» I la tromba che il 18 ottobre 1848 inviò allo stesso Mazzini con poche parole di accompagnamento: «Vi mando l’inno e sebbene un po’ tardi, spero vi arriverà in tempo. Ho cercato d’essere più popolare e facile che mi sia stato possibile…. Possa quest’inno fra la musica del cannone essere presto cantato nelle pianure lombarde...». Un Inno, sottolineava Verdi, deve essere “facile” e quindi popolare. Nel 1859 Verdi si trasformò addirittura in contrabbandiere per acquistare 172 fucili da donare alla Guardia nazionale di Busseto. Scrisse all’amico direttore d’orchestra Angelo Mariani il 27 novembre 1859: «La tua del 23 m’annuncia che i fucili saranno ora a Piacenza e tu non puoi immaginare la mia gioia e la gratitudine che te ne professo. Dio voglia che tutto sia in buon stato e vi siano le rispettive bajonette come spero». L’intervento della Francia accanto ai Piemontesi, nel 1859, lo entusiasmò: «Finalmente se ne sono andati – scrisse alla contessa e amica Maffei, il 23 giugno - o almeno si sono Verdi presenta a Vittorio Emanuele il plebiscito allontanati, e vodelle province emiliane glia la nostra buona stella allontanarli di moti del Quarantotto, più in più, finché cacciati olVerdi da Parigi scrisse tr’Alpi vadino a godersi il loall’amico e librettista ro clima […]. Quanti prodiFrancesco Maria Piave per gi in pochi giorni! Non par proporgli un’opera di vero. E chi avrebbe creduto soggetto italiano, incentanta generosità nei nostri trata su «Ferruccio, persoalleati?». naggio gigantesco, uno dei Il giorno seguente, 24 giupiù grandi martiri della ligno, i Francesi vincevano bertà italiana». a Solferino e i Piemontesi a San Martino. Ma lì si arun Inno per mazzini restò l’offensiva di Napoleone III e Verdi, deluso, Poi, su invito di Mazzini scrisse alla Maffei il 14 lucompose anche un Inno glio: «La pace è fatta... La su versi di Mameli, Suona l 9 marzo 1842, con il trionfo alla Scala di Nabucco iniziò, insieme alla vera e propria carriera artistica di Verdi, la sua identificazione con il Risorgimento: il giovane compositore di Busseto divenne l’artista simbolo dell’Italia in lotta per la propria unificazione. Vissuto 88 anni, nato nel 1813 quando la sua terra era sotto il dominio napoleonico, morto nel 1901 in una Italia unita, ma agitata da lotte sociali e dal recente assassinio di Umberto I, Verdi ha in effetti vissuto il suo tempo da protagonista non limitandosi al ruolo di musicista, ma partecipando attivamente, per diversi anni, anche alle vicende politiche. Quando scoppiarono i Venezia rimane all’Austria..!!! E dov’è dunque la tanto sospirata e promessa Indipendenza d’Italia? Cosa significa il proclama di Milano? O che la Venezia non è Italia?». II 4 settembre Busseto nominò Verdi suo rappresentante all’Assemblea delle Province Parmensi. Il 12 quest’assemblea votò l’annessione al regno dell’Alta Italia; il 15 settembre 1859 una Delegazione di cui faceva parte Verdi fu ricevuta da Vittorio Emanuele, cui presentò il voto plebiscitario di quelle province emiliane. Fu quello il primo atto politico pubblico di Verdi. evviva Garibaldi Il 5 maggio 1860, dalla scoglio di Quarto Garibaldi salpò con i Mille alla conquista della Sicilia. «... Evviva dunque Garibaldi – così Verdi a Mariani il 27 maggio 1860 - Per Dio è un uomo veramente da inginocchiarsi davanti!» Amico di Mazzini, estimatore di Garibaldi, inizialmente repubblicano convinto, Verdi si convertì poi alla monarchia ed ebbe il suo idolo in Cavour. Alla fine del 1860 Cavour, tornato alla presidenza del Consiglio, aveva deciso di indire le elezioni per la formazione del primo Parlamento nazionale ed il nome di Verdi era stato ventilato per una candidatura nel collegio di Borgo San Donnino (l’odierna Fidenza), di cui faceva parte Busseto, per sfruttarne – ieri come oggi – la popolarità. Verdi era contrario: «Non ti sorprendere se mi vedi a Torino – scriveva il 16 gennaio 1861 a Mariani - Sai perché sono qui? Per non essere Deputato. Altri brigano per essere, io faccio di tutto il possibile per non esserlo». La determinazione di Verdi si era tuttavia già incrinata quando, il 10 gennaio, lo stesso Cavour gli aveva scritto: «Ella contribuirà al decoro del Parlamento dentro e fuori d’Italia, essa darà credito al gran partito nazionale che vuole costituire la nazione sulle solide basi della libertà e dell’ordine, ne imporrà ai nostri imaginosi colleghi della parte meridionale d’Italia, suscettibili di subire l’influenza del genio artistico assai più di noi abitatori della fredda valle del Po». deputato in Parlamento Eletto, Verdi entrò, dunque nel primo Parlamento italiano, insediato il 18 febbraio 1861, presieduto da Urbano Rattazzi. Il musicista, che nei banchi parlamentari sedette a fianco di Quintino Sella, fu tra l’altro presente alla seduta del 14 marzo 1861, che dava a Vittorio Emanuele II il titolo di Re d’Italia (titolo che sarà poi sancito dalla Legge n° 4671 del Regno di Sardegna promulgata il 17 marzo) ed anche a quella del 27 marzo 1861, in cui Roma (ancora pontificia) venne proclamata Capitale del nuovo regno. La morte, il 6 giugno 1861, di Cavour, divenuto punto di riferimento politico di Verdi, lo addolorò profondamente e lo privò della sua “bussola” nella difficile navigazione parlamentare, tanto che gradualmente egli s’allontanò dalla politica attiva. Nei decenni postunitari Verdi guardò in modo sfiduciato alle vicende politiche dell’Italia unita, limitandosi a qualche duro commento nelle lettere indirizzate agli amici più fidati. Il 27 maggio 1881, ad esempio, scrivendo all’amico Arrivabene chiarì così il suo ideale di uomo di governo: «Poco m’importa la Forma o il Colore. Guardo la storia, e leggo grandi fatti, grandi delitti, grandi virtù nei Governi dei Rè, dei Preti, delle Repubbliche!... Non m’importa, ripeto; ma quello che domando si è che quelli che reggono la cosa pubblica sieno Cittadini di grande ingegno e di specchiata onestà…». roberto Iovino Nabucco 12 Il Giornale dei Grandi Eventi La teatralità dell’Inno di Mameli L’Italia s’è desta… I mmaginiamo una scena d’opera, di quelle opere di carattere risorgimentale che negli anni Quaranta dell’800 entusiasmavano le platee di tutta Italia. Non solo Verdi affrontava temi patriottici, riferimenti erano disseminati un po’ ovunque, a cominciare da Donna Caritea di Mercadante. «Chi per la Patria muor/ vissuto è assai» avevano cantato i fratelli Bandiera al momento della fucilazione, il 25 luglio 1844 nel vallone di Rovito vicino a Cosenza. Dunque, immaginiamo nel corso di un atto, il nostro eroe in scena di fronte al coro, il popolo. Con aria marziale e imponente, forte ed energico, a gambe ben piantate in terra, il tenore (perché di tenore certamente si tratta) attacca: «Fratelli d’Italia,/ l’Italia s’è desta/ Dell’elmo di Scipio,/ s’è cinta la testa/ Dov’è la Vittoria?/ Le porga la chioma/ Chè schiava di Roma,/ Iddio la creò». Abbiamo giocato con l’immaginazione, naturalmente. Ma è un gioco solo apparente. Il nostro Inno ha davvero un piglio teatrale, è figlio di un’epoca, quell’Ottocento che in Italia vedeva l’opera non solo come uno spettacolo nazionalpopolare, ma come il più autentico, diretto, immediato canale di diffusione degli ideali patriottici. Possono essere utili alcuni dati. Nel 1785/86 l’annuale “Indice de’ teatrali spettacoli” registrava un centinaio di teatri attivi in Italia. Fra il 1821 e il 1847 il numero si era più o meno raddoppiato e nel 1871 i teatri presi in considerazione per un censimento e una ripartizione in categorie risultavano 940. Novaro e mameli Quando si parla del nostro Inno lo si indica in genere come l’Inno di Mameli. In un Inno patriottico, effettivamente, la musica ha una importanza tale da far passare la parte poetica in secondo piano. Ma nel caso di Mameli va riconosciuto al patriota genovese di aver scritto versi non di circostanza, ma profondamente vissuti e sofferti se pensiamo che egli fu davvero “pronto alla morte” e morì ad appena 22 anni nel 1849 in difesa di Roma. Tuttavia, il musicista ha la sua rilevanza per la capacità di trasformare dei versi in un canto di facile percezione, stimolando passione e sentimento. Michele Novaro ha mostrato, nell’arco della sua più lunga esistenza, una coerenza morale che se non ne ha fatto un esponente di primo piano della cultura italiana dell’Ottocento, gli ha consentito di svolgere con straordinario impegno civile un intenso lavoro di musicista e di didatta spesso al servizio della causa risorgimentale e dei ceti sociali più deboli. Anche lui genovese, Novaro (1818 – 1885) si era formato nella Scuola Gratuita di Canto (l’attuale Conservatorio “Paganini”) In difesa dell’Inno di Mameli dove aveva studiato canto e composizione per poi iniziaon capisco il revisionismo musi- trio, dalla storia alla nazionale. Allora re la sua attività cocale che si accanisce periodica- ci mettiamo Volare o Azzurro al posto me cantante lirico. Nel 1847 Novaro si mente sull’Inno di Mameli. Dicono che di Fratelli d’Italia? Ma l’Inno di Mametrasferì a Torino sia brutto e sgraziato, ed a volte lo ac- li fu scritto ad hoc, fu testimoniato col quale secondo tesangue del suo giovane costano all’Altare della nore e maestro dei autore, che riassume nei Patria che quest’anno cori al Regio e al suoi vent’anni spesi e compie cent’anni ed è Carignano. E prosacrificati all’Italia, il considerato l’equivaprio a Torino comsenso più alto di un lelente architettonico di pose nel giro di pogame con la Patria. E si è Fratelli d’Italia. Ma gli che ore il “Canto delegato alle imprese riinni nazionali, come i gli Italiani”. sorgimentali, alla Grannomi di persona, i moUna sera di novemde Guerra, alle altre imnumenti e le cose che ci bre, Novaro si troprese eroiche, ai soldati sono più care, non si divava in casa dello della seconda guerra vidono in belli e brutti, scrittore e patriota ma in significativi e insignificanti. So mondiale, all’Italia repubblicana che Lorenzo Valerio benissimo che ci sono canti e inni più ne seguì. Un inno nazionale ha valore Il Commento E l’Italia chiamò… N belli e forse più popolari, sia nella lirica, nella musica classica e nella grande opera che nella musica moderna, leggera e popolare. Si, per carità, il coro del terzo atto del Nabucco, il “Va pensiero” verdiano, è certamente più bello e solenne, indipendentemente dall’uso padano dei leghisti o per la storia di schiavitù che evoca. So, ad esempio, che la musica che più è rimasta nelle orecchie e nel cuore degli italiani è Volare di Domenico Modugno o Azzurro di Adriano Celentano che avrebbe pure l’alibi cromatico di ricordare il colore del nostro amor pa- per quel che si raggruma dentro le sue note e le sue parole, se ricorda la vita, l’anima e il sangue di più generazioni, allora merita di restare l’inno di una comunità. Certo, i lupi della retorica sono sempre in agguato, andrebbe fatto conoscere fin nelle scuole elementari. Ma in un paese parricida e a volte anche infanticida, evocare la fratellanza nazionale e un po’ commuoversi a cantarlo insieme, in piedi, magari con la mano sul cuore, è un segno di coesione, di memoria e di fiducia. L’Italia chiamò. marcello Veneziani Goffredo Mameli quando arrivò il pittore Ulisse Borzino con un testo di Mameli per il musicista. Novaro lo lesse rimanendone colpito, abbozzò lì per lì un tema, poi corse a casa e compose l’Inno. «Tornando a que’ tempi - fu la sua successiva testimonianza - io non vidi il Mameli se non a Milano, nell’aprile ‘48. Si discorreva in piazza del Duomo di tutte le cose nostre genovesi, quando ad un tratto la banda Nazionale intuona il “Fratelli d’Italia”. Un urrà generale si levò per la piazza; Goffredo ebbe come un lampo negli occhi, mi gittò le braccia al collo e mi baciò. Fu l’ultima volta che lo vidi…». Il Canto degli Italiani Lo stile vocale di Novaro è prevalentemente sillabico, a volte tendente al declamato piano, disteso. In generale, comunque, anche nell’evoluzione melodica più intensa, mantiene un totale rispetto per la parola. Sul piano armonico Novaro concepisce un supporto estremamente semplice. Poche modulazioni, sempre alle tonalità vicine, con frequenti casi di lunghe frasi sulla stessa armonia. Anche l’accompagnamento ha i caratteri della essenzialità e della pienezza per una immediata percezione armonica. Ne scaturisce insomma un repertorio “facile”, dove la qualifica non è giudizio negativo, ma presupposto alla diffusione. In tal senso occorre interpretare anche il “Canto degli Italiani” che appare come il più riuscito lavoro di questo genere musicale. Dal 1831 per tutto il Risorgimento e fino al 1946, inno italiano fu la “Marcia reale” di Giuseppe Gabetti, che rimase in uso fino al 1946. Il “Canto degli Italiani” fu adottato, di fatto e non formalmente, come inno nazionale dopo la proclamazione della Repubblica. E’ interessante tuttavia notare che quando nel 1862 Verdi compose l’Inno delle Nazioni per l’Esposizione di Londra, su testo di Arrigo Boito, il musicista vi inserì tre canti di altrettante Nazioni: per l’Inghilterra God save the Queen, per la Francia La Marsigliese e per l’Italia l’”Inno di Mameli”. roberto Iovino L’Intervento «Un inno di libertà che in Padania è divenuto cemento» di Umberto Bossi I n Nabucco ed il canto del “Va pensiero” ci piace e lo abbiamo adottato come inno della Padania, perché quella padana è una storia di schiavitù che viene superata. In questo brano così evocativo e suggestivo c’è un pensiero fisso per la propria libertà che accomuna i popoli padani, così forte che è diventato cemento. Il Giornale dei Grandi Eventi Nabucco 13 Le note simbolo di una Nazione Dall’Inno inglese, alla disputa sul “Va’ pensiero…” I do venne eseguito con il testo latino di mons. modo hanno a che fare con il l concetto di Inno NaRaffaello Lavagna «O Roma felix, O Roma nobipatrimonio culturale e sociazionale e la sua funziolis» appena ratificato ufficialmente. le del Paese che li ha adottane istituzionale sono reNel nostro Paese l’Inno degli Italiani di Goffreti. Ad esempio la Marcia lativamente recenti, anche do Mameli, adottato solo de facto nel 1946 al Trionfale dell’Aida di Verdi è se l’origine è da ricercare, posto della Marcia Reale, è stato più volte cristata dal 1872 (ovvero pochi come espressione di ideali ticato per la sua non grande qualità musicale mesi dopo la prima esecue sentimenti nazionalistie poetica. Come inno sono stati ciclicamente zione) l’inno egiziano fino al ci, maturato per la prima ed a più riprese invocati il «Va pensiero» del 1979 quando è stata sostituivolta probabilmente in Nabucco che però è il grido di un popolo in ta dal Biladi Biladi Biladi (Terambiente rivoluzionario schiavitù e comunque è stato poi adottato ra mia, Terra mia, Terra mia) nelle Fiandre da parte dei dalla Lega come proprio simbolo ed anche – di Sayed Darwish che per il ribelli all’oppressione spaforse più a ragione - “La leggenda del Piave” di testo adottò un discorso di gnola nel 1570. Nel 1743 E. A. Mario (iniziali e nome sono uno pseuMustafa Kamil. Anche l’Inno al Drury Lane Theatre di donimo di un napoletano impiegato delle Pontificio ha un autore celeLondra fu eseguito per la poste, Giovanni Ermete Gaeta (1884 – 1961)) bre, il francese Chares Gouprima volta God save the brano che celebra la vittoria che realmente King (oppure Queen, Charles Gounod autore dell'Inno Pontificio nod. L’autore dell’opera lirinel 1918 creò storicamente e geograficamente ca Faust e della soavissima quando regna una Regila vera ed unica Unità d’Italia. Ave Maria contrappuntata na), canto patriottico che rob. Iov. sul primo preludio di J. S. Bach, lo compose divenne talmente popolare da essere ripecome Marcia per tuto in ogni manifestazione connessa con la l’anniversario delMonarchia. Ma il termine ed il concetto di l’incoronazione di Inno Nazionale si affermò solo nell’OttocenPio IX e venne to, ancora a partire dall’Inghilterra e da lì si eseguita per la estese via via negli altri Paesi. L’esecuzione prima volta l’11 dell’Inno inizialmente era motivato dalla aprile 1869 in necessità di rendere omaggio ad un Capo piazza San Pietro di Stato straniero, in seguito l’impiego fu di Vittorio Emanuele di Savoia in occasione del generalizzato a tutte le occasioni di particomandava parimenti a Vittorio a rappresentazione del Nabucgiubileo sacerdolare ufficialità. Emanuele Re d’Italia ed al compoco di Giuseppe Verdi per celetale del Papa. Un Scorrendo tra gli Inni Nazionali, raramente sitore bussetano, la cui musica fu brare il 150° della proclamaInno Ufficiale già questi traggono spunto dal repertorio murecepita dall’opinione pubblica coesisteva dal 1857 zione del Regno d’Italia, primo fonsicale di tradizione orale, quello, per intenme sprone di libertà. composto dall’au- damentale passo per giungere alderci, popolare. Normalmente sono brani E quel “moto” unito al “grido di dostriaco Vittorino l’Unità Nazionale che sarà compleappositamente composti, oppure creati per lore” che veniva dal Hallmayr. Ma alla tata nel 1918 con la conparticolari occasioni e talmente radicati cuore del Re Vittorio vigilia dell’Anno seguente annessione di nello spirito di quel popolo da diventarne Emanuele II, furono il Santo del 1950 Pio Trento e Trieste, è cerautomaticamente il simbolo musicale. “leit motiv” che uniroXII il 16 ottobre tamente il modo miUn Inno, è stato a ragione sostenuto, non si no gli animi più illu1949 disponeva gliore per riportarci valuta secondo i parametri usualmente seminati e decisi di tanche l’Inno Ufficia- sulle ali della musica ai guiti nel giudicare qualsiasi altra pagina ti uomini illustri, i le fosse cambiato gloriosi anni del Risormusicale. Il giudizio dipende in realtà dalla quali contribuirono con quello Pontifi- gimento, fondamento sua capacità di farsi simbolo, di diventare con la loro intelligencio di Gounod, più dei Sacri Valori della un elemento d’aggregazione, pagina davza, impegno e sacrificonsono ai tempi, Patria! vero popolare in grado di tradurre con imcio, ad unificare la che fu eseguito Con il “Va pensiero” è mediatezza i sentimenti di un intero poponostra Italia sotto una per la prima volta stato acceso negli anilo. sola Bandiera. E procome tale nel Cor- mi, da tempo anelanti Non c’è dubbio che la Marsigliese sia per i prio la straordinaria tile di S. Damaso della libertà, quello spiFrancesi il simbolo di quegli ideali che, nati musica del nostro grande Verdi, feil pomeriggio del rito patriottico del quale Verdi didalla Rivoluzione, hanno cambiato non soce da “colonna sonora” a tutte le 24 dicembre 1949 venne un simbolo. lo la loro società, ma tutta l’Europa. E non imprese vittoriose e non, di questo giorno dell’aper- Il suo animo sensibile, generoso, c’è dubbio che i Tedeschi si possano ricoperiodo così intenso e difficile, ma tura della Porta attento a cogliere pensieri, desideri noscere nel Kaiserlied scritto da Haydn per che tra tante sofferenze seppe arriSanta. Una curio- appena accennati ma profondi che l’Impero asburgico, una pagina di elegante vare al traguardo. sità è che ufficial- serpeggiavano tra la sua gente, dai e nobile espressività. Tra l’altro, nell’ImpeLe note immortali di questo grande mente l’Inno ri- più umili ai più colti, seppe con la ro Austro-Ungarico questo inno, divenuto Musicista e Italiano siano sempre mase senza parole sua musica infondere sentimenti di dal 1922 l’inno della Germania (Das Lied der simbolo, oggi come allora, di fratel(anche se ne esi- risveglio e di unanime ribellione Deutschen - Il canto dei Tedeschi) e di quella lanza ed unità ed amore per la nosteva un testo di agli oppressori. La sua grande muoccidentale nel dopoguerra, ne esisteva stra Patria, come il grande Maestro mons. Antonio sica, divenuta poi immortale, fu cauna variante esclusivamente nelle parole ci ha insegnato. Allegra «Roma im- pace di infiammare gli animi tanto da eseguirsi alle presenza della sola Impemortale di martiri e da far gridare, prima sotto voce, ratrice. Ma allargando il discorso, tutti gli di santi») fino al 16 poi sempre più forte, “VIVA inni, siano essi allegre e vibranti marcette o ottobre 1993 quan- V.E.R.D.I.” un acronimo che ritemi più lirici e cantabili, tutti in qualche L’Intervento Una musica capace di unire l’Italia sotto una sola bandiera L 14 Nabucco Il Giornale dei Grandi Eventi Il ricordo di Mario Verdone del 70° della morte di Verdi al Regio di Parma Una “Sagra” Verdiana Era da tempo che l’amico e collaboratore del “Giornale dei Grandi Eventi” Mario Verdone, purtroppo scomparso il 26 giugno 2009 mi diceva con aria goliardica: «Ho un pezzetto scritto tanti anni fa che devi tener presente quando ci sarà Il Nabucco od Il Trovatore…». Mio malgrado non sono riuscito ad accontentarlo in vita, ma lo faccio con grande piacere e soprattutto grande affetto proprio ora, in un numero importante, quando il Nabucco è stato scelto per celebrare il 150° dell’unità d’Italia. Penso che Mario ne sarebbe stato contento. andrea marini F resco di nomina come docente di discipline dello spettacolo alla Università di Parma e da sempre cultore dello spettacolo popolare e del circo, non mi arrabbiai quando, giunto con la macchina a Reggio Emilia, un ragazzo in bicicletta mi attraversò la strada. Non inveii perché il temerario si divertiva ad alzare la ruota davanti. Ho pensato che Reggio è una delle città del “quadrilatero” circense: qui ed a Modena, Verona, Mantova, sono nati molti dei più celebri clowns e giocolieri italiani. Ma giunto a destino i segnali di un altro spettacolo, ancora più amato dal popolo, mi attraggono. A Parma danno subito nell’occhio i manifesti del Teatro Regio. Alla “Grotta Mafal- Mario Verdone da”, m’hanno detto, fanno capo i “cospiratori” verdiani. Non possono essere, per statuto, più di 31, quante le opere di Verdi. Ogni tanto c’è la cerimonia dei “nuovi iscritti”, a rimpiazzare quelli che se ne sono andati. Non si tratta che di intenditori, reputati, collaudati. Nelle trattorie sono incorniciate, insieme agli immancabili ritratti di Verdi, anche locandine di spettacoli ottocenteschi. Da “Campana” ve ne sono attaccate diverse, coi bei caratteri bodoniani. Il nome di Verdi è ripetuto nelle pietre stradali, nelle lapidi, in un cinema, nei busti, nei libri in mostra nelle vetrine. Verdi è spesso, qui, l’argomento principe. Per farsi benvolere dai parmigiani non sarà male, almeno una volta, una citazione. E bisogna anche mostrare di capire subito, al volo, nel caso inverso. «Oh mia patria, sì bella e perduta…», dice la protesta velata di un pensionato che attende battendo i denti un autobus che è troppo in ritardo. «..Nabucco, atto terzo!». «Si», rispondo io, «ma il pensiero va sempre sulle ali dorate...». La battuta del libretto prende il posto, qui, del proverbio, del modo di dire, del motto: «All’erta». «Oh detti!». «Io tremo!». «Profferisti?». «Funesto presagio!». «Non ti scordar di me!». Oggi si parla del Trovatore dappertutto: dal barbiere, dal giornalaio, dai bidelli del Rettorato. È la quarta ed ultima replica. Ed è il 27 gennaio 1971. Settanta anni dalla morte del Maestro. Appuntamento al Regio, sì, ma è tutto esaurito. Arrangiarsi per l’ingresso. Devo dire che è stata per me una serata memorabile, da “albo lapillo” .Ho potuto conoscere molto, di Parma, in una sola sera. Il momento iniziale lascia intendere un certo nervosismo, nel palcoscenico come negli spettatori. Ai cantanti la sala si spalanca come una fossa dei leoni. Il loggione, il famoso loggione, ha messo in fuga, alla “prima”, il baritono Bruson, Conte di Luna, reo di un passaggio di catarro durante un acuto. «Di quella speme...». C’è una parte del pubblico lassù, tutt’altro che ben disposta. Non gliel’ha perdonata. E non sarà facile riconquistarla. Il loggione di Parma è ipersensibile, severo, cauto al primo levar di sipario, talvolta sordamente minaccioso, anche nel silenzio; turbolento, pieno di malumori e di entusiasmi ragionati. Scontroso come un ragazzino precoce. Non ammette sfasature nella scena, nel movimento degli attori, nel costume, nel coro. Spesso, anche, esagera. Ma se tutto procede senza inciampo, se acquista sicurezza, si scioglie. Allora spasima per i suoi cantanti preferiti, idoleggia, mitizza. Toglie e dà i propri favori, non senza qualche capriccio. È il pubblico! La prima scena va bene. Non ci sono applausi. Bruson torna a cantare. Continua ad andar bene. Ma la pace non sembra segnata, almeno col loggione, che mostrerà sempre, durante tutta la rappresentazione, di preferire il tenore Richard Tucker, che ha 54 anni almeno, giacche era già celebre con Toscanini. Renato Bruson fa di tutto per piacere. Vuole la riconciliazione. Nell’intervallo visito il teatro. Sono stato qui altre volte – c’era Dario Fo - ma soltanto oggi ho la accortezza di curiosare dappertutto, dopo avere attraversato il palcoscenico, prima della rappresentazione, per superare, autorizzato, l’ostacolo dell’introvabile biglietto. Ed ammiro i bei salottini del prim’ordine, con specchi, velluti, profumi, whisky e bon-bons, secondo la tradizione delle buone famiglie parmensi. Poi, i più andanti salotti degli ordini superiori. Al quarto, dove domina il pubblico minuto, sono avanzi dì merende e bottiglie vuote sui tavolinetti. Non si tratta del “servizio ai palchi”, annunciato con cartello al bar, È proprio il lambrusco di casa. Riprende il secondo atto. È il coro degli zingari. Il magnano, al centro, manovra destramente i martelli, ma esce più dì una volta di tempo. Un mormorio esecrato esce dal loggione scontroso. E una voce mi pare che dica: «ma va’ per bruset», che deve voler dire «va per castagne», bruciate naturalmente. Ma il Conte di Luna e Manrico sono in forma, Azucena incanterà per «Ai monti nostri», Bruson piace, infine, per come esegue, in crescendo, la romanza «Il balen». È la riconciliazione ? A «Di quella pira l’orrendo fuoco..» del Tucker, succede il finimondo. Si sente gridare «Bravo!», cosa inconsueta in teatro, anche dalle donne, con voci stridule che sovrastano il clamore. Gli applausi si moltiplicano. Ormai la pace è fatta anche con Bruson, sono applauditi con fragore Tucker, sempre più di Bruson, e Katya Ricciarelli, nonché Bianca Rosa Zanibelli dopo «Condotta era in ceppi» e l’orchestra col maestro Erede. È una bella serata verdiana, con una platea sempre più festosa, ma si arriva, dallo spettacolo, al rito, allorché l’altoparlante annuncia con voce commossa che il “Regio” intende celebrare il 70° anniversario della morte di Verdi con il coro del Nabucco, a chiusura della serata. Finale a sorpresa. Sono convenuti i “confratelli” delle corali locali, tutti in semicerchio, “Verdi”, “Città di Parma”, “Astra femminile”, “Collecchiese”, con gli alunni del Conservatorio: 150 voci. Quando il coro si è disposto sul palcoscenico, il colpo d’occhio è imponente. Ora cadono dall’alto manifestini gialli e rosa con il testo del celebre coro del Nabucco. Il pubblico delle poltrone li afferra. La voce che prima chiamava Tucker ora grida, a piena gola, a più riprese, «Viva Verdi!». Il calore della partecipazione sale, e allorché «Va pensiero sulle ali dorate…» comincia, si placa immediatamente l’ardore della platea per un ascolto addirittura religioso. Non dappertutto, però. Perché la corale dei “31”, al quarto ordine, freme. Certuni escono sui corridoi, per calmarsi, o mugolando, con voci sempre intonate, educate, i versi del pezzo immortale. È un cedere alla brama di unirsi, e non frenarsi, come tigrotti che saltano da un lato all’altro della gabbia. L’ovazione, dopo l’ultimo verso, è indescrivibile: lacrime agli occhi, «Viva Verdi!», mani che si spellano. Ma il silenzio rispettato nella precedente esecuzione, dopo le prime battute, non vi sarà più. Gli stessi coristi, dal palcoscenico, fan gesti di incitamento per invitare tutti al canto. I volantini sono stati lanciati apposta. Allora è un fragoroso canto che invade tutto il teatro, potente, imperioso, glorioso. Partecipano, con i coristi, cui si sono aggiunti Tucker, Bruson, Katya Ricciarelli, Bianca Rosa Zanibelli “Grotta Mafalda”, i dirigenti, i “31”, gli spettatori, le corali minori del quarto, i commessi e i controllori, i pompieri di servizio, i baristi: «Va pensiero sull’ali dorate …». Parma, 28 gennaio 1971 mario Verdone Il Giornale dei Grandi Eventi Nabucco 15 Prima interprete di Abigaille e seconda moglie del compositore Giuseppina Stepponi e l’amore per Verdi N on dovette essere semplice fare da moglie ad un uomo come Verdi, ma la Strepponi ne fu all’altezza. Giuseppina Strepponi, nata a Lodi l’8 settembre 1815 studiò musica fin da piccola col padre Feliciano, anche se ebbe sempre a noia la musica religiosa, preferendole di gran lunga quella teatrale. Fu ammessa quindicenne al Conservatorio e si rivelò un’ eccellente pianista, tanto da chiedersi se fosse più adatta a lei la carriera di strumentista: alla fine opto per la scena, pur conseguendo, dopo la morte del padre, sia il diploma di canto che quello di clavicembalo. Uscì dal Conservatorio nell’ottobre 1834 e sempre a Lodi, appena diciottenne, fece il suo debutto in diversi concerti, ammirata per le rio abbastanza influente, e Milano era la città che contava i personaggi più in vista della scena. Qui fu introdotta da Alessandro Lanari, detto il “Napoleone degli impresari”, tuttavia Giuseppina dovette i primi successi a un agente teatrale di minore importanza, tale Domenico Cirelli, il quale la conosceva da quando era ancora vivo il padre, e che rappresentò per la giovane una figura paterna e protettiva, divenendone poi amante ma anche l’agente che le avrebbe spalancato le porte dei principali teatri. Gli anni 1836-1837 furono estremamente intensi: richiestissima, si sottopose a un’incessante attività lavorativa, moltiplicando gli impegni e passando da un amante all’altro. Ad aggravarle la salute, oltre alle Caricatura di Melchiorre Delfico di Verdi e la Stepponi al loro arrivo a Napoli qualità vocali e soprattutto per la presenza scenica. A Udine, Gorizia, Verona, Brescia, Trieste, Piacenza, Vienna, e presto alla Fenice di Venezia, ottenne trionfi nelle opere più amate dal pubblico: Matilde di Shabran di Rossini, Norma di Bellini, Anna Bolena e Lucia di Lammermoor di Donizetti. Il cammino della gloria passava obbligatoriamente attraverso la “protezione” di un agente o di un impresa- tensioni, si aggiunsero gli effetti devastanti di numerose gravidanze che costrinsero la donna a riposi forzati lontano dalle scene. Nemmeno la paternità del primo figlio fu certa, ma Cirelli, che figurò come compagno quasi ufficiale, nonostante fosse sposato e padre di famiglia, fu disposto a riconoscere il bambino nato ai primi di gennaio del 1838. Giuseppina fece il suo debutto al Teatro Argenti- na nel ruolo di Lucia nella Lucia di Lammermoor ed ottenne un successo trionfale. Nello stesso periodo intrattenne una relazione con un altro impresario, Bartolomeo Merelli, che si prodigò per portarla sul palcoscenico della Scala di Milano, per la stagione di primavera del 1839: avrebbe dovuto interpretare il ruolo principale in Oberto, conte di San Bonifacio, la prima opera di Verdi, per cinque rappresentazioni a settimana. Fu durante un breve soggiorno a Milano, dopo aver ottenuto un enorme successo nei Puritani di Bellini e nell’ Elisir d’amore di Donizetti, che fece la conoscenza di Verdi. Lui, giovane provinciale ancora poco inserito nel bel mondo della lirica, non poté che restare folgorato dalla presenza di Giuseppina. Sappiamo che si incontrarono nell’aprile 1839, e che ebbero lunghe e amichevoli conversazioni. Tra i due nacque una relazione che, inizialmente, non andò oltre un’amichevole complicità. Gli anni 1839-40 furono segnati da nuove disavventure. Era una donna straziata e depressa quella che Verdi ritrovò a Milano durante le prime prove di Nabucco, alla fine del dicembre 1841. Entrambi provenivano da esperienze traumatiche con nell’animo ferite difficili da rimarginare. Eppure si riconobbero al primo sguardo: il sentimento di complicità di un tempo era sedimentato e parve essere maturo per la costruzione di quel legame che non terminerà che con la morte di Giuseppina, cinquantasei anni più tardi. Nel frattempo la prima donna doveva ancora dare il suo addio alle scene. Da un controllo medico risultò che, proseguendo con i ritmi della carriera, avrebbe messo a repentaglio la propria vita. Nonostante ciò, cantò con successo la prima assoluta del Nabucco, il 9 marzo Giuseppina Stepponi in un ritratto di K. Gyurkovich 1842 alla Scala di Milano. Giuseppina divenne poi la collaboratrice inseparabile del Maestro, ma il declino della sua voce era ormai in atto e la obbligò a ritirarsi per poi trasferirsi a Parigi. Verdi rimase a Milano fino a giugno del 1847, quando sulla via di Londra si fermò nella capitale francese. Con la sua “Peppina”, Verdi ritrovò una felicità che aveva dimenticato. Lei era affascinante, divertente, sensibile, dotta: era inoltre una splendida linguista, addirittura una «Parisienne parfaite», come disse di lei un editore. La coppia frequentò i salotti più importanti, nei quali il famoso soprano, la cui bellissima voce poteva ancora reggere per un pubblico limitato, interpretava i nuovi pezzi di Verdi, rendendolo ancora più famoso nella società parigina. Un po’ alla volta, però la coppia si ritirò dalla vita pubblica, preferendo la quiete della campagna. Lasciarono la città (come Violetta ed Alfredo) e comprarono un villotto a Passy, per vivere in pace. La coppia tornò in Italia, nel 1849 ed andò ad abitare a Sant’Agata, dove Verdi aveva comprato delle terre. Come gli amanti di Dumas, Verdi e Strepponi furono criticati in modo inflessibile dal punto di vista morale. Quando Giuseppina si trasferì a Busseto si scatenarono le critiche e i pettegolezzi, ma Verdi si preoccupò di chiarire la situazione solamente al suo ex suocero e benefattore Antonio Barezzi. Durante i cinquanta anni di convivenza, tra la tenuta di S. Agata e la residenza invernale di Genova nel Palazzo Sauli Pallavicino, l’amore di Giuseppina rimase sempre un punto fermo. Tra le varie testimonianze in tal senso, si segnala una lettera datata 1860 in cui lei professa tutta l’ammirazione per l’uomo e per il genio Giuseppe Verdi. La loro unione divenne ufficiale il 29 agosto 1859, quando i due si sposarono nella chiesa di Collognes-sous-Saléve, in Savoia, alla presenza del campanaro e del cocchiere, unici testimoni del matrimonio. li. mag. www.acea.it Cento anni di know-how, una rete di acquedotti di oltre 46.000 km e acqua di qualità distribuita ogni giorno ad 8 milioni di italiani. Questa è la realtà di Acea. 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