N. 2 FEBBRAIO 2009 • Anno XXV RIVISTA MENSILE de Le Nuove Leggi Civili Commentate ISSN 1593-7305 LA NUOVA GIURISPRUDENZA CIVILE COMMENTATA Estratto: paolo cendon L’urlo e la furia L’URLO E LA FURIA di Paolo Cendon Sommario: 1. Una sentenza che sconcerta. – 1.1. Colpa di chi? – 1.2. Per il danno esistenziale nulla cambia. – 1.3. Bandoli. – 1.4. Disarmonie. – 1.5. Veemenza. – 2. L’uccisione dell’animale. – 2.1. Fastidi quotidiani. – 2.2. Soglie rigide. – 2.3. Diritto di non soffrire. – 2.4. Sofferenze al plurale. – 2.5. Danno da agonia. – 2.6. Negare ogni differenza? – 2.7. Danno non patrimoniale da inadempimento. – 2.8. Insegnamenti sbagliati. – 2.9. Sovranità dei contraenti. – 3. L’armamentario della 26972/08. – 3.1. Linguaggio, eufemismi. – 3.2. Frammentazioni ricognitive. – 3.3. Diritti inviolabili, tipicità. – 3.4. Descrivere, non descrivere. – 3.5. Il danno ha le sue ragioni. – 3.6. Antigiuridicità «dall’alto»? – 3.7. Comanda Arlecchino. – 4. Danno esistenziale. – 4.1. Un’eredità accettata. – 4.2. Costituzione, fecondità. – 4.3. Crinali normativi. – 4.4. Rifiniture tecniche. – 4.5. Nessun collasso. – 4.6. Danni bagatellari. – 4.7. Le attività realizzatrici della persona. 1. Una sentenza che sconcerta. I motivi per cui la sentenza delle sez. un. n. 26972/2008 desta serie perplessità, fin dalla prima lettura, non stanno tanto nell’attacco che essa conduce – verbalmente – al danno esistenziale o al danno morale. È l’intera strutturazione letteraria e dogmatica del testo che lascia, per usare un termine caldo, «interdetti». In concreto non cambia granché, il danno esistenziale e quello morale continueranno – salvo imbarazzi contingenti (circoscritti a una minoranza degli interpreti, nell’arco di non più di qualche mese: le prime sentenze post 11 novembre parlano già chiaro, il «rigetto» in vari punti è incominciato, le «tabelle» rimangono quelle di sempre) – ad essere risarciti come prima. Ciò che non va è l’impalcatura complessiva della decisione, lo stato d’animo con cui la si è redatta, lo strumentario applicativo che viene offerto a chi legge. 1.1. Colpa di chi? Qualche colpa ce l’ha anche la dottrina, magari. Sul danno non patrimoniale sono decenni che litiga, profondendo NGCC 2009 - Parte seconda in scritti e ai convegni (il meglio, ma anche) il peggio di sé: birignao, passerelle, scarsa voglia di comprendersi, gusto per il ring – come usa ripetere Francesco Busnelli. Certo le sezioni unite nulla hanno fatto per migliorare il quadro. E poco conta che ognuno dei contendenti storici si veda, nei passaggi della 26972/2008, riconoscere qualcosa (da un lato il favor per i «diritti inviolabili», dall’altro la menzione dei «pregiudizi esistenziali»; qua un occhio per la Sez. Famiglia, con la sessualità e il danno parentale, là per quella Lavoro, coi riflessi del demansionamento; a qualcuno le contiguità fra danno morale ed esistenziale, ad altri il suggello per il danno non patrimoniale da inadempimento; e così via). È palese come si tratti di «contentini» a pioggia, appiccicati ex post su qualcos’altro, diplomaticamente – con una sorta di «manuale Cencelli» quale guida. Che finiscono per peggiorare il quadro, rendendolo ancora più ostico, confuso. 1.2. Per il danno esistenziale nulla cambia. Sotto il profilo pratico niente cambia, abbiamo detto, per il danno esistenziale (come le prime reazioni giurisprudenziali già confermano): – in più passaggi si insiste, da parte delle sez. un., sul principio del risarcimento integrale: «È compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione»; – viene rimarcato ogni tanto, in modo espresso, che oltre al danno biologico e oltre alla sofferenza morale vanno risarciti i «pregiudizi di natura esistenziale»; – si esemplifica tutto ciò diffusamente, con riguardo al lavoro e alla famiglia; – viene sottolineato, in generale, come ad essere protetti non siano soltanto «i diritti in71 Discussioni violabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico», precisandosi (§ 2.14.) che «in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana». 1.3. Bandoli. Ecco il punto allora: se tali erano i bandoli, meglio sarebbe stato esplicitarli fin dall’inizio, come nocciolo dell’intera trattazione. Se è al danno che si pensava quale cuore del giudizio di responsabilità, nonché al risarcimento integrale come Grundnorm, quelle erano le indicazioni su cui mantenere puntati i riflettori, dall’inizio alla fine – e lì il lettore avrebbe dovuto rinvenirle, pagina per pagina. Insieme al discorso dei «paletti», certo: «Tutte le compromissioni che nel giudizio appaiano contra ius (e vi diciamo di quali si tratti, una per una), tutte quante verranno risarcite; e quando invece la condanna e il trasloco siano inammissibili, allora il danno resterà dove è caduto, neanche un centesimo alla vittima – e, ove addirittura nessun pregiudizio sussista, il problema nemmeno si porrà». 1.4. Disarmonie. Non è esattamente quello che incontriamo. Varie, nel testo della 26952/2008, le impressioni di squilibrio, le approssimazioni concettuali e linguistiche – continui i motivi di sorpresa presso il lettore: i) anzitutto, per quanto concerne i colpi di scure, tirati dalla sentenza in modo assai poco meditato, qua e là scompostamente; ii) più in generale a livello di apparato teorico, che si vede gestito dalle sez. un. (in una materia come la r.c. oltretutto, così complessa nell’ordito, delicata da maneggiare) a colpi di maglio, di improvvisazioni continue; iii) soprattutto con riguardo al danno esistenziale – figura prospettata dai giudici in termini semi-caricaturali, ben lontani dalla storia e dall’essenza di questa voce. 72 1.5. Veemenza. La realtà è che c’è una sorta di furia che pervade le pagine della sentenza: un desiderio di far piazza pulita, il più in fretta possibile, menando fendenti (come nel libro di William Faulkner, che dà il titolo a questa nota) a destra e a manca. Ogni venti righe un ritornello verbale – convulsamente martellato, in una sorta di coazione a ripetere. Sullo sfondo un’impressione di panico, di livore accumulato. Stile impaziente, da resa dei conti finale. I danni bagatellari non già come storture fronteggiabili attraverso le leve dell’officina aquiliana, razionalmente, ma come ossessioni totali, fantasmi stessi del male. Qua e là impennate di un’insofferenza ancor più marcata, dispotica, che suggeriscono (anche nello stile) l’idea di più mani aggiuntesi in sede di correzione finale – a scandire ancor più pesantemente, a chiudere gli ultimi spiragli. 2. L’uccisione dell’animale. In sintesi allora. Incongrua la tesi delle sez. un. secondo cui il «padrone» (nel senso di Thomas Mann) nulla potrebbe lamentare, dinanzi all’uccisione del proprio animale. Difficile non vedere – non tanto in nome delle proclamazioni sui diritti delle bestie, bensì alla stregua dei suggerimenti che forniscono le scienze «psi», circa le relazioni fra uomo e animale (la coscienza sociale, sia pur antropocentrica) – come una salvaguardia non potrà non riconoscersi, entro margini di ragionevolezza nel quantum, in tutta una serie di ipotesi: (a) quando l’animale risulti essere stato ammazzato o invalidato apposta dal terzo, magari con sadismo o crudeltà (avvelenamenti, lapidazioni, impiccagioni, fame e sete, frustate, annegamenti, benzina e fuoco, colpi di badile, etc.); (b) qualora la vittima sia un soggetto «debole», imprigionato nel suo universo (e tuttavia sveglio nel corpo e/o nella mente, bisognoso di una compagnia, talora di quei sensi accanto a sé, per non doversi più muovere alla cieca: ad es. il cane del non vedente o del paraplegico, il gatto del sordo o di chi ha perduto l’olfatto, il cavallo della lavanderia per il malato di mente, gli uccellini per l’uomo di Alcatraz, la pet therapy in generale – soprattutto quella rivolta ai bambini e agli anziani); NGCC 2009 - Parte seconda L’urlo e la furia (c) ogniqualvolta giunga, comunque, la prova sicura e documentata della sussistenza, rispetto all’animale, di interscambi e vissuti significativi – propizi per lo svolgimento di miniattività realizzatrici, meritevoli in concreto per l’attore («giustizia» quella che, dinanzi a creature del genere, a due o a quattro zampe non importa, guarda al prezzo pagato per l’acquisto – e non anche ai soffi della complicità e della fedeltà, dentro e fuori casa?). 2.1. Fastidi quotidiani. Eccessiva poi, restando al primo punto, la conclusione secondo cui nulla si potrebbe pretendere, sul terreno aquiliano, allorché ciò che è stato inflitto dal defendant siano fastidi di poco conto, semplici disappunti. In molti casi è certamente così – e vedremo fra breve come mai. Pacifica invece, sin d’ora, la necessità di un presidio indennitario (nel segno della funzione sanzionatoria della responsabilità) per talune ipotesi di irrisione della persona: ad es. a favore del cittadino colpito da gesti di arroganza, specialmente ad opera di un soggetto forte. Così per chi sia rimasto vittima, poniamo, di vessazioni da parte della pubblica amministrazione, oppure di qualche impresa di pubblici servizi – comportatasi in modo noncurante, omertosamente, in spregio alle ragioni elementari del quivis e populo: come nel caso dell’automobilista multato e ingiustamente perseguitato, di Rosa Parks, del «nero» di Ragtime sbeffeggiato dalla polizia, del commerciante artatamente privato della licenza, del mancato pensionato costretto a lavorare, del concorrente preso in giro da una commissione truffaldina, dei turisti maltrattati all’albergo, dei partecipanti a un corteo strattonati dalla polizia, dei passeggeri abbandonati a se stessi, dei parenti respinti sgarbatamente in ospedale, dell’imprenditore cui si nega il libretto degli assegni, dei complimenti pecorecci a un’impiegata, dei viaggiatori del treno fra le cimici, del quasi padre cui venga impedito (lui solo, quel giorno) di veder nascere il proprio bambino, del laureando mortificato nella discussione e nel voto, di K. stesso ai bordi del «Castello» di Kafka. 2.2. Soglie rigide. Inaccettabile poi la linea (ammesso che tanto le sez. un. abbiano inNGCC 2009 - Parte seconda teso dire: il passaggio risulta, in verità, fra i meno limpidi della motivazione) volta a sciogliere la gestione del danno morale, indefettibilmente, all’interno di quella sul biologico. Di fronte a una disciplina come la nostra – modellata sul presupposto di un’indipendenza «organica» fra le due voci, lungo un alveo ormai trentennale – è palese quante partite del dolore finirebbero misconosciute, per l’immediato, alla stregua di letture del genere. E ciò tanto più dinanzi a margini di personalizzazione atteggiantisi, come quelli nostrani, in maniera tendenzialmente rigida. Concepiti cioè in vista (a livello sia legislativo che tabellare) di una neutralizzazione dei meri risvolti «dinamico-relazionali» – ingabbiati, a loro volta, entro soglie tanto anguste quanto aritmeticamente invalicabili: non in grado di offrire, come tali, riparo a poste negative ulteriori. 2.3. Diritto di non soffrire. Ancor maggiori le incongruenze suonerebbero, poi, in un momento in cui le «quotazioni» del dolore appaiono – dopo secoli di rassegnazione, presso la collettività organizzata – in netta ripresa: (x) sia per l’ordinamento nel suo insieme: se è vero che non pochi fra i progetti parlamentari sul testamento biologico, sulla sospensione dei trattamenti vitali, nonché l’intera filosofia delle cure palliative (oggi sempre più in auge nel mondo), poggiano sul rilievo della necessità di non subire il male, fisico e psichico che sia – quando combatterlo o sfuggirgli è, almeno in parte, possibile; (y) sia in punto di trend risarcitori: se è vero che, affermatosi ormai il «diritto a non soffrire» come categoria stringente del sistema, ogni giorno cresce il numero di quanti invocano una possibilità di salvaguardia per le vittime dei preconcetti (e dei tartufismi) di qualche operatore sanitario – contrario per «ragioni di principio» alla somministrazione di oppiacei, non importa al prezzo di quali spasmi e degradi per l’infermo. 2.4. Sofferenze al plurale. Come non vedere che il problema – lungi da ogni evasione pilatesca (una r.c. tentata dall’irresponsabilità?) – è semmai quello di capire, finalmente, 73 Discussioni «di che cosa parliamo quando parliamo di sofferenza»? Se è vero, come è vero, che: – si continua a discorrere di pretium doloris e di danno morale (ad opera di vari interpreti, sprovveduti o meno), con riguardo a ferite e a disgrazie assai diverse tra loro, raccolte entro un unico contenitore: lutti, ustioni, graffietti, deturpamenti, macro-invalidazioni del congiunto, mobbing, diffamazioni, violenze sessuali, violazioni dell’immagine, errori giudiziari, etc.; – il che contribuisce a mantenere viva, nel linguaggio, un’unità semantico/ontologica comoda magari a fini comunicativi e disciplinari (si fa più in fretta a capirsi, a litigare, a legiferare); – non al punto tuttavia da cancellare l’utilità di sub-chiarimenti, in parallelo, circa la sostanza profonda di quel lemma (intensità del male, diffusione corporea, peculiarità delle fitte e delle scosse, effetti collaterali, durata, sedabilità, variazioni sensoriali, recrudescenze, distribuzione quotidiana, intolleranza ai farmaci, curve, attitudini invalidanti, etc.) lungo i diversi scenari tipologici, uno per uno considerato, paziente per paziente; – così da giungere a conclusioni più meditate, anche sul terreno aquiliano, con vantaggi per il prontuario di chi è chiamato a decidere (soprattutto ai fini di quantificazioni meno approssimative – di più o di meno, a seconda dei torti, degli intrecci e dei responsi); – diminuendo, nel contempo, la possibilità di raddoppiamenti o sovrapposizioni fra l’una e l’altra casella del fronte non patrimoniale (e/o dello stesso campo patrimoniale, lì accanto: quante trafitture interne non rifluiscono occasionalmente sull’an e/o sul quantum del danno emergente, o del lucro cessante, con minacce di ulteriori sviste e confusioni?). 2.5. Danno da agonia. Goffa anche la prospettazione del danno da agonia come incidenza necessariamente «morale», fondata esclusivamente sui tratti della vigile consapevolezza e della percezione del dolore – ciò che condurrebbe: (i) a proteggere gli infermi i quali passino alcuni giorni, i loro ultimi, ad attendere la morte in piena lucidità, vedendo e sentendo ogni cosa; 74 (ii) a lasciare senza riscontro chi quel periodo lo trascorra, invece, imbottito dalla testa ai piedi di morfina, nel buio di una terminal sedation. 2.6. Negare ogni differenza? Tanto più assurda suonerebbe poi (ma c’è da chiedersi se le sez. un. abbiano puntato a tanto ...) una lettura orientata a cancellare, in generale, ogni diversità fra danno morale e danno esistenziale – fra «agenda» del fare e «sofferenze». Nessun dubbio che il dentro e il fuori siano destinati, spesso, a interfacciarsi; la vittima è pur sempre quella, realtà unica e indivisibile; i “vasi” che l’attraversano non possono non comunicare tra loro – comunque influenzarsi a vicenda (come il gusto e l’olfatto per ciascuno). Numerosi ad ogni modo (dall’uccisione del coniuge alle lesioni dell’onore, dal sequestro di persona agli errori giudiziari, dalle molestie sessuali agli abusi della potestà genitoriale, dall’abbandono di un figlio a una bocciatura persecutoria, dai soprusi nell’esecuzione di un t.s.o. alle minacce della criminalità organizzata, dall’usura alla riduzione in schiavitù, dalla pulizia etnica alla circonvenzione di incapace) gli esempi di situazioni in cui l’indipendenza fra i due ambiti, al di là di un percorso comune, risalta fisiologicamente in modo netto. Continue, cioè, le crepe e le smagliature che un appiattimento risarcitorio – con margini più o meno seri di «rapina» pecuniaria – infliggerebbe a quello in cui le sez. un., per prime, ravvisano il cardine dell’illecito aquiliano, ossia il principio del risarcimento integrale. 2.7. Danno non patrimoniale da inadempimento. Poco felici anche le indicazioni fornite, dalle sez. un., in tema di danno non patrimoniale da inadempimento; con una risarcibilità circoscritta (dichiaratamente) ai casi di attentato a un «diritto inviolabile», nella rosa di quelli menzionati dalla Costituzione. È fin troppo chiaro, volendo fare un esempio, che: (a) ove Tizio abbisogni di una certa prestazione, funzionale alle sue necessità laboratoriali, con marcati risvolti di «fragranza antropologica» (tanto meritevoli quanto irriducibili a precisi ganci costituzionali: mettiamo, un sisteNGCC 2009 - Parte seconda L’urlo e la furia ma di salvaguardia contro le insidie del tempo, per aggeggi inerenti all’inventività/hobbystica del committente, geniale e sofisticata al tempo stesso – ancora in attesa di un mercato tuttavia); (b) e Caio domandi una somma considerevole per quell’opera, tecnologicamente complessa da realizzare, e accetti di buon grado la (sub-proposta di Tizio relativa a una) commisurazione anticipata dell’id quod interest – quantificazione prospettata, esplicitamente, come relativa ai substrati areddituali dell’impresa; (c) e dopo un anno tutto vada «in fumo» (anche fuor di metafora), perché Caio ha sbagliato un passaggio importante, ingegneristicamente, con risultati disastrosi per Tizio; orbene, i risvolti archivistico/esistenziali dell’insuccesso non potranno, verosimilmente, essere ignorati dal giudice (e anche là dove nessuna predeterminazione fosse stata stabilita, occorre aggiungere, il risultato finale non cambierebbe). 2.8. Insegnamenti sbagliati. Come pure: (x) qualora Mevio chieda a Sempronio di insegnargli (poesia e prosa, grammatica e sintassi, scritto e orale) la «lingua mongola» – ciò che Sempronio farà con lezioni private di cinque ore al giorno, protratte per un anno; (y) e alla fine Mevio parta alle volte della Mongolia, per un ciclo di ricerche e conferenze; (z) e qui si accorga che nessuno lo comprende, e a sua volta lui nulla capisce, perché la realtà è che Sempronio gli ha insegnato un sotto-dialetto che si parlava nella valle di alta montagna della Mongolia, del tutto isolata, dove Sempronio aveva visto la luce, all’inizio del secolo precedente; anche qui i risvolti esistenziali della sfortunata operazione (quanto meno là dove Sempronio ben sapesse, o dovesse sapere, di non soddisfare le attese di Mevio) non potranno sfuggire alla condanna. 2.9. Sovranità dei contraenti. Insostenibile cioè la tesi secondo cui i contraenti dovrebbero, in vista del risarcimento, soggiacere all’approvazione preventiva della Costituzione – senza poter concordare quanto desiderano, con riguardo alle operazioni atte a mettere in NGCC 2009 - Parte seconda gioco l’art. 1174 cod. civ. (e l’art. 1218 cod. civ.). Porgere l’altra guancia, soffocare lieviti che – come quelli areddituali – sempre più spesso sono al centro di ciò che si fa, negozialmente? Jhering sarebbe poco d’accordo, l’art. 41 Cost. ancor meno. E ciò a maggior ragione nei casi che vedano il piano del contraente (quello esistenzialmente «motivato») rispecchiarsi nella causa e magari nelle clausole scritte dell’accordo; con l’impossibilità, per la controparte, di mettere in gioco le risorse limitative dell’art. 1225 cod. civ. In quanti casi il soggetto destinato – secondo le sez. un. – alla delusione risarcitoria ex art. 1218 cod. civ., ancor prima di pensare di farsi giustizia da sé (come magari per l’animale torturato, o per qualche dolore rimasto senza udienza), non si orienterebbe verso una rinuncia stessa alla stipulazione del contratto? 3. L’armamentario della 26972/2008. Non poche d’altronde, per passare al secondo punto, le amatorialità e incongruenze che si incontrano nell’armamentario della 26972/2008: – eccessivo, in particolare, il fuoco che risulta posto sul tratto nominale dell’antigiuridicità; – sproporzionato il credito concesso, per tabulas, a una cifra come quella del danno «non patrimoniale»; – ingiustificato il richiamo, da parte delle sez. un., al vessillo della «tipicità» per gli spazi di cui all’art. 2059 cod. civ.; – poco rigorosa la modulazione del giudizio di ingiustizia cui si fa, ripetutamente, capo. 3.1. Linguaggio, eufemismi. Cominciando dai profili di metodo. È palese l’inanità – anzitutto – di aggiramenti e forzature tentate in chiave prettamente linguistica, di nomenclatura o di curia; imposizioni cioè sul terreno lessicale: «pregiudizi» invece che «danni», «sottovoci» al posto di «categorie», «criteri ordinatori» di ripercussioni in luogo di «sub-lemmi», «descrizioni» invece che «insiemi», etc. La storia di ciò che i regimi autoritari tentano, di solito, lungo le zone di confine parla abbastanza chiaro. Cambiano momentaneamente i nomi dei villaggi, delle strade, talora i cognomi delle persone; soltanto nei documenti uffi75 Discussioni ciali però, sull’elenco del telefono, negli appelli in classe o in caserma. In profondità nulla muta, la gente si chiama ancora come prima (sottovoce magari i più prudenti), le vecchie scritte ricompaiono in trasparenza sui muri. L’onda successiva rimetterà tutto a posto. Sotterfugi inutili oltretutto, dal punto di vista tattico: la motivazione è qualcosa – si sa – che l’estensore scrive sempre «dopo» (aver deciso il dispositivo); quanti fra gli intemerati giudici di pace, soltanto perché costretti a esprimersi in un certo modo, rinunceranno a risarcire i danni bagatellari (quelli che davvero lo facevano), e non soltanto alle espressioni di facciata? 3.2. Frammentazioni ricognitive. Chiari anche i pericoli di un eccesso di settorialità, nei materiali cui si guarda. La sentenza dell’11 novembre indugia sull’esame di alcune aree del torto (salute, famiglia, lavoro) e non ne ricorda praticamente altre. Si ha l’impressione che alcune fra le sbrigatività della 26972/2008 sarebbero state evitate qualora, semplicemente, il campo tenuto presente fosse stato più ricco – spaziando lungo il mappamondo intero della r.c.: anche le relazionalità affluenti, anche le lande meno scontate dell’esperienza. Figure prive magari di un pedigree importante – poco cruente o spettacolari – però fresche mondanamente, sempre più vive nei repertori: l’istruzione, la privacy, la pubblica amministrazione, il tempo libero, la giustizia, oppure la casa, le vacanze, i sistemi di comunicazione, l’arte, la scienza, le associazioni, la nuova malpratice, o ancora lo sport, i trasporti, le informazioni, il denaro, i soggetti deboli, i mass-media, l’ambiente. 3.3. Diritti inviolabili, tipicità. Inadeguata anche la mappa che si fornisce, dalle sez. un., in merito all’art. 2059 cod. civ. – per quanto concerne, anzitutto, il richiamo ai «diritti inviolabili» dell’uomo e alla pretesa «tipicità» del non patrimoniale. Impossibile non accorgersi, circa il primo punto, come, risvolti di indeterminatezza o di angustia semantica a parte, la natura stessa dell’espressione in esame – pensata in larga misura, dai costituenti, con la mente a Ernesto Rossi, a 76 Marzabotto, alle tristezze e agli orrori del ventennio (con l’occhio comunque a qualcosa di «macro», nobile e solenne fin che si vuole, calibrato però essenzialmente sui motivi della verticalità cittadino/stato) – ne faccia un tramite un po’ sghembo e quasi alieno per amministrare, interamente da solo, la secolarità di problemi quali la vacanza rovinata, la sessualità fra coniugi, i rapporti con la banca, i dispetti condominiali, oppure il ritardato pagamento dell’assegno di mantenimento, il protesto non autorizzato, le immissioni acustiche, il fermo macchina. Impossibile non vedere poi, circa il secondo aspetto, che: (x) occorreva non abbandonare al momento giusto, se davvero si aveva a cuore quel bene, le colonne d’Ercole dell’art. 185 cod. pen.; (y) che, nell’istante stesso in cui si oltrepassava la frontiera costituzionale, e si entrava nel regno della persona, a quel punto i buoi erano ormai scappati; (z) che quella tipica, visto che da decenni gira intorno alle stesse figure, e dopo che la 8828/2003 le ha tolto la gestione del danno biologico-esistenziale, è diventata semmai, al confronto, la responsabilità per il danno patrimoniale – atipica nella forma, alquanto tipica nella sostanza (cos’è rimasto delle grandi sbornie sull’ingiustizia degli anni sessanta, e della stessa carriera immaginata per gli interessi legittimi?), contro l’altra che rimane tipica nella forma, ma è diventata atipica nella sostanza (a cosa occorre guardare di più?). 3.4. Descrivere, non descrivere. Goffe, in ogni caso, le elusività quanto ai meriti di una prospettazione analitica (minuziosa, con lo zoom), piuttosto che sintetica (presbite, impaziente), della polpa del danno non patrimoniale; Ingrato svilire ciò che l’uomo fa di «descrittivo» – quando la descrittività è (bisogna credere) l’inizio stesso della scienza. Per descrivere ci si fa qualche domanda, gli interrogativi apriranno delle porte, il risultato mette in moto altre avventure; si scoprono così i particolari nascosti, si sfatano inganni e semplificazioni, nasce il quadro: escono fuori le parole per le cose, alla fine chi legge potrà farsi un’idea, redigere anche sentenze migliori. Sbagliato non consigliare allora (una volta NGCC 2009 - Parte seconda L’urlo e la furia scoperto come i tratti compromissivi siano molteplici, in parte ambigui e misteriosi) le vie per un esame più attrezzato di quel magma: soppesando i vari riflessi, ricomponendoli in più «famiglie» – meglio se con cerchietti intorno, in modo da poterli soppesare. Scorretto, in particolare, non domandare a chi studia (una volta pacifico come le etichette siano strumenti per la conoscenza, senza di che il giurista si smarrirebbe) di esaltare il gioco euristico-contabile che specie le «super-voci» ripercussionali, ciascuna per suo conto, sono chiamate a svolgere nelle istruttorie, per il testo scritto delle decisioni ed entro la nostra mente. 3.5. Il danno ha le sue ragioni. Non bene insomma le neghittosità – peggio ancora le autoinibizioni – sul terreno organizzativo/architettonico del sapere. Come negare il peso di un riverbero (il danno, la vita resa incolore in qualche tratto, lungo più figure accomunabili tra loro), che è ben presente, si vede a occhio nudo, e che di nient’altro ha bisogno per farsi iscrivere nel registro del mondo? Come contestare una realtà dell’agenda – e i nomi che la simboleggiano – per la mancanza di un aspetto (la risarcibilità nel 100% delle ipotesi) che nessuno ha mai rivendicato per lei? Il contratto ex art. 1321 cod. civ. dovrebbe scomparire per il fatto che talvolta è nullo, e che se nullo non produce effetti? La proprietà, al singolare, perché il legislatore afferma che ha dei limiti? La rilevanza esterna del credito, come morfema, perché tante prerogative sono insusceptibles d’abus? Avara rispetto a tutto ciò, nonché tirannica, la negazione a monte di ogni software. Vacuo arrestarsi alla nebulosità oracolare, senza contenuto, di una formula parassitaria, imperniata su niente più che un «non» (infra, sub 3.7). Ancora un volta, per l’interprete: – se tutto quanto gli vien detto è che qualcuno è rimasto sequestrato in casa tre giorni di fila (colpa del fabbro distratto), o abbandonato una settimana nell’isola deserta (colpa della compagnia turistica disorganizzata); – e nessuna forma di griglia esplorativa-archivistica gli viene consentita; – in che modo potrà penetrare, e mettere in riga, ciò che la vittima non ha potuto fare o NGCC 2009 - Parte seconda non avrebbe sofferto? Scoprire, in dettaglio, se aveva in cantiere attività illegali, immorali o insignificanti? Accorgersi, via via che indaga, delle interferenze fra i diversi ordini di ricadute? 3.6. Antigiuridicità «dall’alto»? Palese l’improprietà di atteggiare la stessa antigiuridicità, allora, come requisito liquidabile per intero verso l’«alto» – piuttosto che quale tratto da ricomporre sul «basso» del sistema, a livello del «giudizio» di responsabilità. Un piano, occorre dire, dove i momenti relativi alla posizione del plaintiff sono destinati a incrociarsi – ai fini di una retta determinazione circa la risarcibilità del danno – col riguardo per tutta un’altra serie di passaggi: (a) quello relativo alla posizione di cui è portatore, in concreto, il defendant (bilanciamento, Abwägung, correlatività), ad es. nella considerazione di questo o quel privilege; (b) quello attinente alla colpevolezza (davanti al dolo, potranno assumere rilievo momenti con un minor tasso di invulnerabilità, anche ai sensi della Costituzione); (c) quello concernente sfumature di marcata forza, o debolezza, di questo o quello fra i contendenti (soggettivizzazione dei riscontri, inesigibilità, fragilità economica o tecnologica, spaesamento metropolitano, destino di certe leve a veder modificata il proprio peso a seconda di chi ne sia, di fatto, portatore). 3.7. Comanda Arlecchino. Vano, dinanzi a tutto ciò, prospettare il rimando al danno «non patrimoniale» – nei termini in cui il paradigma è venuto oggi atteggiandosi – come via d’uscita efficiente, armoniosa. (I) Non si tratta soltanto delle carenze di un segno che appare impossibilitato, secondo il destino delle espressioni fondate su un «no», a dire se non ciò di cui non si sta parlando (limite tanto maggiore, occorre aggiungere, nel momento in cui le risorse per fare ordine in cantina vengono, come con la 26972/2008, addirittura sequestrate – ed è indicativa la strada che vari progetti di riforma europei, in punto di linguaggio, mostrano di aver imboccato recentemente). (II) Ci sono anche le pecche (geografiche) di un modello che, chiamato a governare il setto77 Discussioni re dell’aredditualità, si presenta attualmente come addizione di: – tre spicchi ben distinti fra loro (quello del reato, quello delle previsioni ordinarie, quello della Costituzione); – ognuno con un d.n.a. abbastanza lontano (la punizione e l’ammonimento dei cattivi, la puntigliosità casuale del legislatore, l’attenzione per le basi stesse della nazione) rispetto al senso e alla cultura specifica della r.c., almeno per i decenni che viviamo; – ciascun polo tanto più galleggiante, e disarticolato rispetto agli altri, nel momento in cui il ridimensionamento del centro politico/ eponimico, che la 8828 era riuscita bene o male a fissare nei «valori» costituzionali, e che le sez. un. vorrebbero oggi restringere ai diritti «inviolabili», minaccia di imprimere all’attuale art. 2059 i crismi di un’entità ancor più disomogenea (vien da osservare) dell’impero coloniale britannico, della Berlino del secondo dopoguerra, della Jugoslavia. 4. Danno esistenziale. Meno fondati ancora, per concludere, gli apprezzamenti e i rendiconti che le sez. un. avanzano – sotto il profilo storico e grammaticale – in merito alla figura del danno esistenziale. 4.1. Un’eredità accettata. Inesatto si sia trattato – in primo luogo – di materiali apocrifi o peregrini fatti calare inaspettatamente, agli albori degli anni novanta, dalle stanze di un’università del nord-est italiano, sul tavolo scarno e indifeso dell’illecito. Facile accorgersi tutt’al contrario – se si pensa ad autori come Melchiorre Gioia, Antonio Cazzaniga, Cesare Gerin, oppure a certi tortmen sotto il vecchio codice, nonché a vari psichiatri e medici legali degli ultimi cinquant’anni, persino alle motivazioni della prima giurisprudenza sul danno morale – come i riscontri della dimensione aristotelica/colloquiale della persona, nella letteratura passata (e nella stessa law in action degli inizi), non fossero mai mancati. Facile vedere come sotto quel segno, verso la metà degli anni ’70, avessero operato gli stessi padri fondatori del biologico – lungo un percorso destinato vieppiù a rafforzarsi, man mano che il taglio eventistico (quello della Corte cost., n. 184/1986) cedeva il passo a letture 78 «consequenzialistiche», polarizzate sul riscontro delle «attività realizzatrici» (quali compromesse dalle aggressioni alla salute, e oggetto di prova nel giudizio). Nient’altro faranno i promotori (meglio, le «levatrici») del danno esistenziale se non forzarsi di raccogliere – onde por fine a una distonia statutaria, per meglio difendere cioè le vittime toccate in prerogative diverse dall’integrità psicofisica (al fine di legittimare il trasloco all’art. 2043 dei filamenti diversi al dolore, ricollegabili ad attori del genere) – un’eredità magari incompiuta laboratorialmente, ma certo acuta e prestigiosa, e riorganizzarla sui nuovi versanti della responsabilità. 4.2. Costituzione, fecondità. Fuori gioco d’altronde tutta una serie di ulteriori prospettazioni. Quella in primo luogo di una Costituzione (pretesamente) sorda o indifferente a indicazioni del genere. Ben di là di ogni taglio statico (dell’immagine cioè di alcune lastre in sequenza catastale), è agevole vedere come ciò che spicca, nella nostra Grundnorm, sia proprio un approccio «dinamico» alle postazioni dell’individuo: presidî contro gli assalti, scudi per difendersi dal male, ma soprattutto viatici per far sì che ognuno (ecco il pendant col danno esistenziale) possa «diventare quello che è». Non tanto il lemmario dei fatti illeciti chiamato a sciogliersi nella Costituzione – la Costituzione, piuttosto, che entra (non lei soltanto del resto) nel diritto civile. Sullo sfondo i punti luce dell’espansione, della pienezza quotidiana; il richiamo alla «felicità» (non già come evocazione di qualcosa la cui violazione basterebbe, di per sé, a giustificare una condanna, bensì) quale spunto da recuperare in chiave etimologica; fecondità della persona, diritti in boccio, fare/essere, rigoglio complessivo: un orizzonte dove i beni della famiglia, della salute, del lavoro, della comunicazione, possono sprigionare – secondo il timbro dell’art. 3 Cost., e con tutto ciò che potrà conseguirne sul piano dell’an o e del quantum respondeatur – i loro risvolti di sviluppo e promozione. 4.3. Crinali normativi. Quella, in secondo luogo, di un legislatore interno o internazioNGCC 2009 - Parte seconda L’urlo e la furia nale disinteressato ai momenti della relazionalità, del proyecto de vida. Basta ricordare, sotto il primo aspetto, disposizioni come quelle sui consultori familiari, sull’interruzione volontaria di gravidanza, sull’affido e sull’adozione, sul turismo, sull’handicap, sul collocamento dei soggetti disabili, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, sul volontariato, sull’amministrazione di sostegno, sull’affido condiviso. Sotto il secondo, le indicazioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, della Carta di Nizza, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, della Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina, dell’OMS in tema di salute, alle varie previsioni sulla tutela dell’infanzia, o degli anziani. 4.5. Nessun collasso. Quella, in quarto luogo, di un pericolo di collasso cui il nuovo modello sarebbe venuto esponendo l’istituto aquiliano. Nell’equilibrio con cui l’area dell’esistenziale si è evoluta, dal 1990 in poi, è facile accorgersi come talvolta si sia trattato effettivamente di nuove protezioni introdotte (dove esistevano però vuoti di ascolto ingiustificabili); altrove di semplici travasi da un capitolo all’altro (di solito dal biologico o dal morale verso l’esistenziale) di materiali già coperti in precedenza, senza aumenti complessivi di spesa; in altri casi del venir meno, addirittura, di poste risarcitorie o di ipotesi di torto ammesse prima (come per certi abusi nel danno da vita da relazione, per la seduzione con promessa di matrimonio, per qualche ipotesi di pregiudizio in re ipsa). 4.4. Rifiniture tecniche. Quella, in terzo luogo, di un gruppo di studiosi poco attenti (suppostamente) alle esigenze del nitore classificatorio e della ricchezza di contenuto. La realtà è che fin dall’inizio gli sforzi maggiori, a Trieste e dintorni, sono stati spesi per: – scandire i tratti identitari della neo-categoria (il fare areddituale, il progetto di vita compromesso, le aspettative troncate); – chiarire i momenti diversificatori rispetto alle altre figure di danno (non un cespite patrimoniale in gioco, non l’integrità fisica insidiata, non la salute psichica alterata, non il soffrire interno); – sceverare i campi delle attività realizzatrici a rischio (sul terreno delle espressioni biologiche, della famiglia e dell’affettività, dello studio e del lavoro, dell’arte e della scienza, dello svago e del tempo libero); – sciogliere entro il neo-riferimento le locuzione particolaristiche del passato (danno edonistico, all’immagine, sessuale, estetico, parentale, casalingo, inerente alla vita di relazione, etc.); – sottolineare le soglie inderogabili del contra ius (criterio del «doppio filtro normativo»); – monitorare le distribuzioni fra i tipi di pregiudizi, figura per figura (qua, ad es., molto biologico, occasionale lo psichico, frequente il morale; là in primo luogo l’esistenziale, rare le sofferenze, eccezionali le patologie della mente; e così via). 4.6. Danni bagatellari. Quella, infine, di un incoraggiamento che avrebbe avuto luogo, per colpa della neo-figura, nei confronti dei danni «bagatellari». Pur senza demonizzazioni di sorta – stante la necessità di una distinzione fra bagatellari veri e «finti» (tali, ad es., non pochi fra quelli di origine contrattuale) – è indubbia la necessità, per l’interprete, di combattere l’udienza a capricci e frivolezze. Ed è la compagine esistenzialista, tuttavia, ad aver sottolineato per prima l’irrilevanza, ex lege Aquilia, di impedimenti a occupazioni quali «l’invio sistematico di lettere anonime, la frequentazione giornaliera della sala-corse, il voyeurismo rispetto alla casa di fronte, le ubriacature del sabato sera, le scorribande da hooligan, la collezione di trofei amorosi, i bagni d’inverno nel mare ghiacciato, l’attaccare bottoni con tutti, il canticchiare sottovoce ai concerti sinfonici, l’appostamento a qualche Vip, le richieste di elemosina per strada, i travestimenti fuori carnevale, le ostentazioni aristocratiche, la coltivazione di società segrete». NGCC 2009 - Parte seconda 4.7. Le attività realizzatrici della persona. Ingiustificata allora l’idea della necessità di far capo a diritti «inviolabili» della persona (i cavalli di frisia della 8828/2003 erano più che adeguati!) quali odierni paletti del risarcimento. È ormai chiaro come il danno esistenziale – 79 Discussioni strumento per il disvelamento di ripercussioni un tempo misconosciute, comunque non abbastanza meditate (ecco la forza del paradigma) – sia anche il solo a poter svolgere, spendendo applicativamente i propri antidoti, funzioni di muro/contenimento riguardo all’universo delle futilità (ecco il risvolto difensivo). La necessità, pur in ambito non patrimoniale, di riferire formalmente l’ingiustizia all’elemento del danno – attraverso una selezione imperniata non solo sul riscontro della qualità tecnica delle «posizioni giuridiche» colpite (art. 2043 cod. civ., primo filtro), bensì anche su una verifica circa il valore intrinseco delle «compromissioni» risentite (art. 2059 cod. civ., secondo filtro, default parimenti irrinunciabile) – vale in effetti per tutte quante le sub-figure del non patrimoniale; (x) per il danno biologico, nel senso di escludere, o diminuire fortemente, la risarcibilità dei contraccolpi legati, ad es., all’avvenuta violazione dell’integrità sessuale di un bestiofilo, di un consumatore di siti porno, di un frequentatore di club privé; 80 (y) per il danno morale, nel senso di escludere il risarcimento (oltre che quando la vittima figuri, a seguito dell’illecito, non aver per nulla sofferto; anche) quando i riflessi patiti appaiano immeritevoli di attenzione: ad esempio il dolore per la macro-invalidazione di un partner consumato organizzatore di messe nere, di corride clandestine, di lotte di galli; (z) e anche appunto per il danno esistenziale, nel senso di escludere – secondo quando è spesso avvenuto nella giurisprudenza degli ultimi anni (alta e bassa); e senza necessità di appellarsi a espedienti come la «gravità dell’offesa», o come i «doveri di tolleranza», estranei per se stessi al nostro sistema aquiliano – la risarcibilità di ciò che, non corrispondendo (come nel caso dei danni bagatellari in senso stretto: il film cominciato in ritardo, la squadra di calcio retrocessa, il black out elettrico, il tacco rotto, la cassetta postale intasata, il banner surrettizio, etc.) alla frustrazione di qualche attività realizzatrice della persona, non può nemmeno definirsi «esistenziale». NGCC 2009 - Parte seconda