STAGIONE 2008-09 Martedì 11 novembre 2008 ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Till Fellner pianoforte Lisa Batiashvili violino Adrian Brendel violoncello 4 Consiglieri di turno Direttore Artistico Marco Bisceglia Luciano Martini Paolo Arcà Con il contributo di Con il contributo di Con la partecipazione di Sponsor istituzionali Con il patrocinio e il contributo di Con il patrocinio È vietato prendere fotografie o fare registrazioni, audio o video, in sala con qualsiasi apparecchio, anche cellulare. Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo dopo la fine di ogni composizione, durante gli applausi. Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si invita a: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse…); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. Till Fellner pianoforte Lisa Batiashvili violino Adrian Brendel violoncello Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 – Vienna 1827) Trio in do minore op. 1 n. 3 (25’) Trio in mi bemolle maggiore op. 1 n. 1 (26’) Intervallo György Kurtág (Lugoj, Romania 1926) Tre pezzi per violino e pianoforte op. 14e (5’) Harrison Birtwistle (Accrington 1934) “Variations” per violoncello e pianoforte su “When the Bow Strikes” (prima esecuzione a Milano) (8’) Ludwig van Beethoven Trio in sol maggiore op. 1 n. 2 (22’) Ludwig van Beethoven Trio in do minore op. 1 n. 3 Allegro con brio - Andante cantabile con variazioni Menuetto. Quasi allegro - Finale. Prestissimo Trio in mi bemolle maggiore op. 1 n. 1 Allegro - Adagio cantabile - Scherzo. Allegro assai - Finale. Presto Trio in sol maggiore op. 1 n. 2 Adagio - Allegro vivace - Largo con espressione Scherzo. Allegro - Finale. Presto I “Trios/ Pour le Piano-Forte/ Violon, et Violoncelle/ Composés & Dediés/ À Son Altesse Monseigneur le Prince CHARLES de LICHNOWSKY/ par/ LOUIS van BEETHOVEN/ Oeuvre 1re”, pubblicati a Vienna nel 1795, non erano ovviamente i primi lavori del musicista. Beethoven aveva composto verso i 12 anni delle Variazioni per pianoforte, WoO 63, con risultati tanto lusinghieri da meritare persino un articolo sul Cramers Magazine di Amburgo. Nel periodo trascorso tra quella prima musica e l’Op. 1, scritta passati i vent’anni, Beethoven aveva scritto parecchi altri lavori, alcuni pubblicati dall’editore Simrock di Bonn e Artaria di Vienna. Appare dunque evidente che la decisione di stampare un testo definito Opus corrispondeva a una scelta ben precisa, a un salto di qualità della carriera. Il riferimento al termine latino indicava la consapevolezza di una scrittura d’autore, nel solco di una tradizione importante che risaliva ai tempi di Corelli e delle prime, magnifiche edizioni olandesi di musica strumentale. L’Opus 1 di Beethoven presentava vari aspetti fuori dal comune. L’editore era in un certo senso l’autore stesso, dal momento che Artaria era stato pagato solo per la stampa degli esemplari. Beethoven inoltre fece accludere al fascicolo l’elenco dei sottoscrittori del volume, cosa del tutto insolita per un libro di musica. Tra le loro fila si trovava il fior fiore della nobiltà di Vienna, con l’esclusione della famiglia imperiale. In testa al gruppo, per numero di copie acquistate, al prezzo non indifferente di un ducato l’una, si trovava il principe Carl Lichnowsky, al quale era anche dedicato il lavoro. L’eccezionale risalto della pubblicazione unito al clamoroso successo delle prime esibizioni pubbliche nel marzo del 1795 dimostrano come la figura di Beethoven, dopo soli due anni dall’arrivo a Vienna, fosse già diventata la bandiera della nuova musica, rimasta orfana di Mozart. Il principe Lichnowsky rappresentava in un certo senso la cerniera tra i due musicisti. Dopo esser stato uno dei maggiori sostenitori di Mozart, Lichnowsky aveva deciso adesso di adottare Beethoven, venuto a Vienna per studiare con Haydn. Sembrava determinato a far diventare a tutti i costi quel giovanotto orgoglioso e persino sgarbato il primo musicista tedesco. Il Principe si sforzò in ogni maniera di promuoverlo, aprendo a Beethoven le porte della buona società, mentre il precedente mecenate, l’Elettore di Bonn Maximilian Franz, sembrava sempre più scettico sui progressi del suo scontroso dipendente e propenso a scaricarlo alla prima occasione. La famiglia Lichnowsky fu un appoggio essenziale per Beethoven, che per un certo periodo alloggiò persino nel palazzo del Principe, fino all’improvvisa e violenta rottura dei rapporti avvenuta nel 1806, a causa di una scenata avvenuta alla presenza di ufficiali dell’esercito d’occupazione francese. L’Op. 1 rappresentava non solo un elemento di continuità con il linguaggio della musica strumentale viennese di Mozart e di Haydn, ma anche un momento di rottura con la tradizione precedente. Ferdinand Ries, allievo di Beethoven, ha lasciato una famosa testimonianza sul giudizio di Haydn, che aveva ascoltato i Trii dell’op. 1 in occasione di una grande soirée promozionale organizzata sempre dal principe Lichnowsky nel palazzo di casa: «I Trii vennero eseguiti e fecero subito un’enorme impressione. Anche Haydn ebbe parole di lode ma consigliò a Beethoven di non pubblicare il terzo in do minore. Questo colpì molto Beethoven perché lo considerava il migliore, e ancor oggi questo trio è il più amato e quello che suscita il maggior entusiasmo». È facile leggere tra le righe i motivi dello strano consiglio di Haydn, che non parlava certo per invidia, come sospettava Beethoven, ma per coerenza con la sua visione della forma musicale. Il Trio in do minore contiene già infatti gli elementi essenziali di uno stile completamente nuovo, che la musica di Beethoven manifestò appieno soltanto dopo la grande crisi del 1801-1802. Haydn non poteva accettare un’idea di forma sottoposta in maniera così violenta all’arbitrio dell’espressione individuale. In quel lavoro le passioni dell’autore tendevano già a travolgere gli argini stilistici e a dilagare senza scrupoli nell’alveo razionale della forma. L’attacco del “Prestissimo” finale, con le brutali strappate degli archi e i violenti sforzati sui tempi forti della battuta simili a randellate, era contrario a ogni regola del buon gusto e della misura. Il Trio in do minore rinunciava persino al movimento lento, che invece occupava un posto di rilievo nei Trii precedenti. L’espressione degli affetti era talmente abbondante in ogni parte del lavoro, che non aveva bisogno di essere trattata a parte. La forma del tema con variazioni sostituiva l’adagio, ma la mancanza del luogo retorico classico era più che compensata dall’intensità dell’espressione, specie in certi angoli oscuri dell’“Andante” come la variazione in mi bemolle minore. Il successo di Beethoven a Vienna era dovuto principalmente alla sua abilità come improvvisatore alla tastiera. Il pianoforte era al centro dei suoi interessi come compositore. Beethoven si era reso conto che il rapido sviluppo degli strumenti a tastiera apriva spazi ancora inesplorati per la ricerca di nuovi linguaggi. Poco tempo dopo la pubblicazione dei Trii, probabilmente nell’estate del 1796, scriveva al pianista e fabbricante di pianoforti Johann Andreas Streicher: «È certo che il modo di suonare il pianoforte è ancora molto primitivo rispetto a tutti gli altri strumenti, sovente sembra di udir suonare un’arpa e mi fa piacere che Lei sia uno dei pochi che comprendano e sentano che si può far cantare anche il pianoforte, basta sentirlo, spero che verrà il tempo in cui arpa e pianoforte saranno due strumenti del tutto diversi». Sarà proprio Beeethoven ad annunciare l’avvento di quel tempo nuovo con la musica della sua prima fase, articolata in un ampio spettro di composizioni che hanno al centro il pianoforte. La tastiera dei Trii op. 1, dal punto di vista tecnico, era ancora quella di Mozart. L’estensione dello strumento comprendeva cinque ottave, dal fa grave al fa sovracuto, che i Trii sfruttano per intero. La tecnica costruttiva era del resto in rapido sviluppo in quegli anni. Lo stesso Streicher fu in grado di fornire nel 1796 a Beethoven un nuovo tipo di fortepiano, molto apprezzato dal musicista. Ma la maniera di suonare di Beethoven cercava di superare i limiti degli strumenti settecenteschi, che riuscivano a tenere il suono di una nota solo per pochi istanti. Non a caso le opere del catalogo di Beethoven tra il 1795 e il 1800 contengono, oltre i Trii, almeno due importanti cicli di lavori imperniati sul rapporto tra il pianoforte e strumenti ad arco, ovvero le due Sonate per pianoforte e violoncello op. 5 e le tre per pianoforte e violino op. 12. “Far cantare il pianoforte”, come diceva la lettera, era l’aspirazione principale di Beethoven. “Adagio cantabile” recita per esempio l’indicazione del tempo lento del Trio in mi bemolle, mentre il “Largo con espressione” di quello in sol maggiore inizia con una sognante melodia del pianoforte solo. Per gli strumenti dell’epoca era un’impresa ardua, che sfruttava più il sentimento del canto che il legato vero e proprio, ma la strada era quella giusta, se anche una giovinetta di 13 anni, Augusta Elisabeth von Kissow, riusciva a suonare l’“Adagio” del Trio in mi bemolle spremendo “qualche lacrimuccia” dagli occhi di Beethoven. György Kurtág Tre pezzi per violino e pianoforte op. 14e I. Öd und traurig II. Vivo III. Aus der Ferne György Kurtág è nato a Lugoj, una cittadina della regione del Banato, in Romania, da genitori ebrei di origini ungheresi. Questa burocratica fotografia riassume in estrema sintesi il carattere peculiare della sua musica, che esprime in primo luogo la coscienza precisa della potenza e della fragilità del linguaggio. Kurtág ha vissuto dolorosamente la tragica assurdità della lingua, che può diventare da un momento all’altro strumento di comunicazione o di discriminazione, di vita o di morte. La sua musica conosce le contraddizioni del linguaggio, che il più delle volte serve a nascondere e a dissimulare il vero significato del pensiero. Il titolo di una composizione del 1991 esprime con una vena di amara ironia la visione disincantata dell’autore, Samuel Beckett comunica con Ildikó Monyók avendo István Siklós come interprete. Il fascino (e il terrore) della parola ha sempre condizionato la produzione di Kurtág. La prima composizione è stata non a caso un lavoro per coro su testo del poeta Attila József, benché la sua attività si svolgesse nel segno della musica di Béla Bartók. La musica vocale costituisce la spina dorsale della sua opera, formata da alcuni lavori chiave attorno ai quali si ramificano una serie di composizioni secondarie. I Tre pezzi per violino e pianoforte hanno origine da Herdecker Eurythmie, un lavoro del 1979 per flauto, violino, voce recitante e lira-tenore. La parte centrale del trittico s’intitola Kleine erbauliche Konzerte für Theo und Gerhard (Piccoli concerti piacevoli per Theo e Gerhard) ed è formata da tre brevi pezzi per violino e lira tenore, trascritti successivamente per violino e pianoforte. I lavori di Kurtág nascono il più delle volte da esperienze personali, impressioni particolari. Herdecker Eurythmie rifletteva l’incontro con il mondo dell’antroposofia e del movimento teosofico fondato da Rudolph Steiner, che vedeva nell’euritmia una delle forme superiori dell’espressione umana. La musica di quel periodo ruotava in generale nell’orbita del lavoro più impegnativo affrontato da Kurtág in quegli anni, il ciclo per soprano e ensemble su poesie di Rimma Dalos Messaggi della defunta signorina R.V. Trussova. Per la prima volta l’autore metteva in musica testi di lingua russa, nella quale esprimeva la cognizione della vita squallida e reclusa dei popoli sottoposti all’egemonia dell’Unione Sovietica. Nel crogiuolo di disperazione e viscerale amore per la vita delle frammentarie poesie di Rimma Dalos, Kurtág infondeva la struggente memoria di innumerevoli forme musicali del passato, filtrate da una sensibilità assolutamente originale per il suono degli strumenti. Nei Tre pezzi per violino e pianoforte si ritrova la stessa percezione raffinata dei fantasmi presenti nel timbro di questi strumenti. Sono lampi, bagliori, schegge di suono, frammenti di ritmo, memorie di testi classici che affiorano alla superficie dello strumento, per poi scomparire di nuovo nell’abisso del silenzio. Le immagini di Kurtág hanno spesso la forma di larve, ma si manifestano con una forza espressiva rara e da salvaguardare con cura nella musica del nostro tempo. Harrison Birtwistle “Variations” per violoncello e pianoforte su “When the Bow Strikes” Variations è una composizione scritta su richiesta di Adrian Brendel, che ha eseguito il lavoro per la prima volta assieme a Till Fellner il 14 ottobre 2007 alla Wigmore Hall di Londra. Birtwistle aveva già composto nel 2006 un brano per i due musicisti austriaci, Lied, una pagina delicata nel segno di un’idea nobile e riservata della musica da camera. La collaborazione con Birtwistle ha trovato un’ambiente ideale nella raffinata esperienza di Music at Plush, un piccolo festival estivo diretto da Adrian Brendel, dove decine e decine di artisti si ritrovano per far musica in completa libertà nella cornice incantevole del dolce paesaggio del Dorset. I rapporti tra Birtwistle e la famiglia Brendel sono stati cementati anche da una sorta di affinità spirituale, che aveva portato il compositore inglese a mettere in musica nel 2001 una poesia di Alfred Brendel, come omaggio ai 70 anni del pianista. Il titolo, perfettamente eloquente, era There is Something Between Us. Harrison Birtwistle è stato uno dei principali esponenti della cosiddetta “Scuola di Manchester”, emersa negli anni Cinquanta. Assieme ad alcuni compagni di studi al Royal Manchester College of Music come Peter Maxwell Davies, Alexander Goehr e il pianista John Ogdon, il ventenne Birtwistle aveva formato il New Music Manchester Group, per far conoscere le nuove tendenze della musica europea e in particolare il repertorio della scuola di Schoenberg. Malgrado quell’impronta iniziale legata alla musica seriale, il linguaggio di Birtwistle si è sviluppato poi in direzioni diverse e in maniera del tutto originale. La scrittura strumentale è stata profondamente influenzata dal teatro, che rappresenta ancora oggi l’ambito principale della sua produzione. La teatralità dei gesti strumentali non esclude tuttavia la ricerca incessante sulla forma musicale, specialmente in rapporto con la dimensione del tempo, altra costante fonte di riflessione per l’autore. L’analisi della struttura musicale, dalle forme simmetriche più semplici ai complessi agglomerati isoritmici, ha offerto un ambito di lavoro privilegiato a Birtwistle, nel corso della sua lunga carriera. La forma della variazione presenta ovviamente interessanti spunti, specie per un autore da sempre affascinato dai miti della rinascita, della morte e della rigenerazione, temi costantemente presenti nei suoi lavori teatrali. Oreste Bossini TILL FELLNER pianoforte Nato a Vienna nel 1972, Till Fellner ha iniziato lo studio del pianoforte all’età di sei anni. Ha proseguito gli studi al Conservatorio di Vienna nella classe di Helene Sedo-Stadler e in seguito si è perfezionato con Alfred Brendel, Meira Farkas, Oleg Maisenberg e Claus-Christian Schuster. Nel 1993 ha vinto il primo premio al concorso Clara Haskil. Nel 1998 è stato insignito del “Mozartinterpretationspreis” della Mozartgemeinde di Vienna. Da allora si è esibito in tutto il mondo con orchestre e direttori di primo piano. In ambito cameristico collabora con il violoncellista Heinrich Schiff, con il quale ha inciso l’integrale delle opere per violoncello e pianoforte di Beethoven. È inoltre stato ospite delle istituzioni musicali delle maggiori città europee, nord e sudamericane e di festival quali Salisburgo, Schubertiade Schwarzenberg, Wiener Festwochen, Mostly Mozart a New York, Tanglewood, La Roque d’Antheron, Edimburgo, Montreux-Vevey, Klavier-Festival Ruhr, Schleswig-Holstein, Mozartwoche Salzburg. Nel 2008 Till Fellner è stato protagonista di concerti (Orchestre National de France e Kurt Masur, Philharmonia Orchestra di Londra e Sir Charles Mackerras, Münchner Philharmoniker e Lothar Zagrosek), di recital in molte città europee e del Nord America e di concerti di musica da camera con Viviane Hagner e Mark Padmore. Nel maggio scorso ha preso il via il progetto di esecuzione e registrazione dell’integrale dei Concerti per pianoforte di Beethoven con la Montreal Symphony e Kent Nagano. A New York, Tokyo, Londra e Vienna eseguirà tutte le Sonate per pianoforte di Beethoven in un ciclo di 7 concerti. Tra le numerose registrazioni discografiche ricordiamo l’incisione del primo libro del Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach per ECM. È stato ospite della nostra Società nel 2002 e 2004. LISA BATIASHVILI violino Nata nel 1979 in Georgia, Lisa Batiashvili ha studiato con Mark Lubotski al Conservatorio di Amburgo. Ha poi proseguito gli studi con Ana Chumachenko a Monaco di Baviera, dove ha stabilito la sua residenza dal 1994. Ha inoltre seguito i corsi di Miriam Fried e Ralf Gothoni allo Steans Institute di Ravinia. Nel 1995, a soli 16 anni, ha meritato il secondo premio al Concorso Sibelius di Helsinki. Nel 2001 è stata selezionata dalla BBC per la serie “New Generation Artists”. Nel 2003 ha meritato il “Leonard Bernstein Award” al Festival dello Schleswig-Holstein. Recentemente il Beethoven Festival di Bonn le ha assegnato il Beethoven Ring Prize. È ospite regolare delle maggiori orchestre di tutto il mondo, nel 2005 ha debuttato con la New York Philharmonic Orchestra e con i Berliner Philharmoniker; nel 2007 per il 125° anniversario dei Berliner ha eseguito il Concerto Doppio di Brahms con Truls Mørk e Sir Simon Rattle, e il Concerto per violino n. 1 di Šostakovič diretta da Vladimir Ashkenazy. Particolarmente appassionata di musica da camera è ospite dei maggiori festival europei e statunitensi; tra gli impegni recenti concerti cameristici al Concertgebouw di Amsterdam, Konzerthaus di Berlino, Palais des Beaux Arts di Bruxelles, Théâtre du Châtelet di Parigi e Wigmore Hall di Londra. Attenta anche al repertorio contemporaneo, nel marzo 2008 ha eseguito al Barbican Centre di Londra il Concerto doppio per violino e oboe di Giya Kancheli con l’oboista francese François Leleux e la BBC Symphony Orchestra diretti da James MacMillan. Dal 2007 incide in esclusiva per la Sony BMG. Il suo CD dedicato a musiche di Brahms, Schubert e Bach è stato inserito dal BBC Music Magazine tra i migliori CD del 2001. Suona il violino “Engleman” costruito da Antonio Stradivari nel 1709, messo a sua disposizione dalla “Nippon Music Foundation of Japan”. È stata ospite della nostra Società nel 2004. ADRIAN BRENDEL violoncello Nato a Londra nel 1976, Adrian Brendel ha studiato al Winchester College, alla Cambridge University e al Conservatorio di Colonia con William Pleeth, Alexander Baillie, Miklós Perényi e Frans Helmerson. Particolarmente interessato al repertorio cameristico, ha frequentato corsi di perfezionamento con i membri del Quartetto Alban Berg e con György Kurtág. Dal 2002 al 2004 ha fatto parte del progetto per giovani artisti della Chamber Music Society del Lincoln Center di New York. È ospite regolare di festival quali Aldeburgh, Cheltenham, Oxford, International Musicians Seminar at Prussia Cove, Rheingau e Mecklenburg, Berliner Festwochen e Schubertiade Schwarzenberg. Ha suonato in Gran Bretagna e all’estero, sia come solista che in gruppi cameristici, per istituzioni quali Philharmonie di Berlino, Zollverein di Essen, Teatro Colón di Buenos Aires e la Wigmore Hall, dove ha debuttato nel 1999. Ha collaborato con Imogen Cooper, Daniel Hope, Lawrence Power, Paul Lewis, Katharine Gowers e in duo con il pianista Tim Horton. L’integrale del repertorio beethoveniano eseguita e registrata con il padre Alfred ha toccato le maggiori sale concertistiche europee. Gli eventi più recenti comprendono recital ad Amsterdam, Lucerna, Firenze, Francoforte, Graz, Vienna, Londra, Parigi, Madrid e Valencia e concerti con la Sinfonia Varsovia, Academy of St Martin-in-the-Fields, Scottish Chamber Orchestra e Royal Scottish National Orchestra. Adrian Brendel è tra i fondatori di “Music at Plush”, un festival estivo di musica da camera nel Dorset in Inghilterra. È stato ospite della nostra Società in recital con il padre Alfred Brendel nel 2004. Società del Quartetto di Milano via Durini 24 - 20122 Milano tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281 www.quartettomilano.it e-mail: [email protected] Prossimi concerti: martedì 18 novembre 2008, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Orchestra della Toscana Sir Neville Marriner direttore Monica Bacelli mezzosoprano Sir Neville Marriner è il fondatore di una delle più famose orchestre da camera dei giorni nostri, l’Academy of St Martin-in-the-Fields. Insieme hanno formato un binomio indissolubile, che in oltre cinquant’anni di attività ha reso popolari anche le zone più in ombra del repertorio classico. Marriner conosce come pochi altri maestri il linguaggio della musica sinfonica di Mozart e di Haydn e presenta in questo programma uno dei lavori più spettacolari di entrambi gli autori, alla testa di una formazione di ottimo livello qual è l’Orchestra della Toscana. La voce ricca e fulva del mezzosoprano Monica Bacelli, che attraversa in questi anni la fase più matura della sua carriera, sembra il veicolo ideale per portare il pubblico nel mondo nostalgico di Schubert. Di grande interesse sono le trascrizioni per orchestra di Anton Webern dei Lieder, una pratica comune nell’ultimo scorcio dell’Ottocento è anche una testimonianza del profondo legame degli autori viennesi del Novecento con la musica di Schubert. Discografia minima W.A. Mozart Sinfonia n. 35 in re maggiore KV 385 “Haffner” (Marriner, Emi 008362) F. Schubert Rosamunde (Anne Sofie von Otter, Abbado, DG 431 655-2) F. Schubert / A. Webern Lieder (Quasthoff, Abbado, DG 471 586-2) J. Haydn Sinfonia n. 96 in re maggiore “Il Miracolo” Hob.I.96 (Sándor Végh, Orfeo C 468 971 B) martedì 2 dicembre 2008, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Europa Galante Fabio Biondi direttore Gemma Bertagnolli, Lucia Cirillo, Anna Chierichetti, Marina De Liso, Roberto Abbondanza solisti L. Leo - Sant’Elena al Calvario, Oratorio in due parti su libretto di Pietro Metastasio