1 ORGANIZZAZIONI PROMOTRICI E SPONSORS MANUALE OERATIVO RISERVATO A INVESTIGATORI E OPERATORI FORENSI DELLE ASSOCIAZIONI PROMOTRICI DELL’OPERA. Elaborato e diffuso dal Centro Studi CrimeCafé, Roma – agosto 2014 Eventuale ricavato dalla vendita dell’opera viene destinato al finanziamento delle equipe di volontari che si occupano di stalking. 2 a cura di MARCO STRANO e GIOVANNA BELLINI VIOLENZA inFINITA Strategie investigative e di prevenzione di STALKING, VIOLENZA, FEMMINICIDIO MANUALE PER INVESTIGATORI E OPERATORI FORENSI CON I CONTRIBUTI DI: Marco Strano, Giovanna Bellini, Chiara Badalamenti, Marianna Chessa, Francesco Caccetta, Sabrina Costantini, Concetta Gugliotta, Maria Teresa Cotroneo, Enrico Maria Troisi, Lavinia Rossi, Gaetano Lauro Grotto. 2014 3 Il Centro Studi per la Legalità, la Sicurezza e la Giustizia “crimecafé” ha una sezione specializzata (l'equipe antistalking) che offre, gratuitamente, dei consigli legali e psico-comportamentali a persone vittime di persecuzioni e violenza. Parallelamente, sempre in forma gratuita, il Centro eroga corsi di formazione a professionisti e volontari che intendono operare, in questo ambito, nel settore no-profit. L’esigenza di un Manuale operativo che contenga linee guida per l’intervento in caso di stalking nasce dalla suddetta esperienza. L’opera raccoglie contributi di esperti che a vario titolo si occupano della violenza sulle donne ed è divisa in due parti: nella prima viene descritto il fenomeno dello stalking, nella seconda parte vengono proposte le strategie di intervento investigativo, legale e clinico. Per una precisa scelta dei curatori e degli Autori, anche al fine di evitare ogni forma di commercio speculando sulla questione della violenza sulle donne, il libro viene distribuito gratuitamente, in forma elettronica, agli operatori del settore. 4 INDICE Introduzione (di Marco Strano) 1. Psico-criminologia dello stalking (di Marco Strano) 2. Lo stalking nella relazione di coppia (di Marianna Chessa) 3. Gaslighting (di Francesco Caccetta) 4. Stalking e Cyberstalking: elementi comuni e differenze (di Maria Teresa Cotroneo) 5. Lo stalking delle celebrità (di Marco Strano) 6. Stalking: il ruolo delle forze di polizia (di Francesco Caccetta) 7. Stalking: una guideline di intervento forense (di Marco Strano) 8. Strategie di intervento nei casi di stalking subito dalle figure professionali di aiuto (di Marco Strano) 9. Lo stalking nelle professioni d’aiuto: una ricerca esplorativa (di Chiara Badalamenti) 10.Psicopatologia e stalking (di Giovanna Bellini) 11.Vittimologia e relazione vittima-carnefice (di Enrico Maria Troisi) 12.False victimization syndrome, disturbo istrionico di personalità, querulomania: quando la vittima è il carnefice (di Lavinia Rossi) 13.La prevenzione dello stalking attraverso la collaborazione tra legali e psicologi (di Gaetano Lauro Grotto) 14.L’esperienza dello Sportello Antistalking di Pisa: l’osservazione in un anno di attività. (di Sabrina Costantini) 15.Aspetti normativi del reato di stalking (di Concetta Gugliotta) 5 INTRODUZIONE di Marco Strano Il “business” delle donne maltrattate In questi anni ho avuto modo di assistere donne (e anche alcuni uomini) che stavano subendo stalking e altre forme di violenza e alcune di loro ci hanno raccontato di essere in precedenza già "incappate" prima di rivolgersi a noi, in diverse associazioni in difesa della donna. Alcune molto serie e piene di volenterosa solidarietà, altre (fortunatamente una piccola percentuale) a mio avviso più interessate al prestigio e al lucro che all'erogazione di una reale assistenza a persone in difficoltà. Non so se si tratta di una casualità ma molto spesso le associazioni che nei racconti delle donne vengono descritte come più accoglienti e utili sono quelle con minori risorse economiche, senza finanziamenti pubblici e privati e dove le volontarie offrono quello che hanno per aiutare la gente. Mi riferisco a molte organizzazioni antiviolenza con cui a volte collaboro, dove i responsabili arrivano addirittura ad ospitare a casa loro le donne che fuggono dalla violenza domestica, dove le volontarie non prendono alcun rimborso e dove la sede dell'associazione viene pagata di tasca propria dai suoi soci, oppure è addirittura a casa di uno dei soci. Il ruolo fondamentale delle associazioni in difesa della donna Sulla tematica stalking e violenze sulle donne occorre riconoscere purtroppo una certa inerzia istituzionale legata in parte alla scarse risorse 6 destinate alle forze di polizia che hanno attualmente serie difficoltà ad offrire un servizio di ascolto del cittadino che vada al di la della mera ricezione delle denunce. Va da se che in casi intricati e psicologicamente complessi, quali appunto quelli che riguardano la violenza sulle donne, spesso gli uffici di polizia a volte vanno un pò in affanno. In quest'ottica l'azione delle associazioni di volontariato (serie e preparate) appare utilissima, sia nella fase dell'accoglienza che nella fase di assistenza nella preparazione di eventuali interventi legali. Sappiamo che molte donne hanno ad esempio un comportamento altalenante, sono intimidite (e spesso hanno anche infondati sensi di colpa), e sono combattute dalla scelta se continuare a “prendere le botte” o se affrontare un periodo di difficoltà nell'auto-sostentamento loro e dei loro figli. Insomma una situazione dove l'aiuto di persone disposte ad accogliere e a supportare psicologicamente appare utilissima. Che poi coloro che svolgono questa azione di assistenza nei confronti delle donne debbano essere sempre e necessariamente altre donne permettetemi di avanzare dei dubbi. A mio avviso, gli uomini che riescono a prendere consapevolezza della prepotenza del loro genere nei confronti delle donne avvertono un certo imbarazzo di fondo e questo può essere una spinta verso un atteggiamento di particolare accoglienza. Ricerche condotte in Olanda già all’inizio degli anni 80’ supportano questa mia considerazione. Volontariato non deve voler dire scarsa professionalità Il volontariato in questo delicato settore, che viene offerto a "materiale umano" (e oltretutto in situazione di difficoltà), anche se non prevede un corrispettivo per gli operatori, deve essere svolto con la massima professionalità per non incrementare i rischi di una "vittimizzazione 7 secondaria" che vuol dire in pratica fare ancora più danni. Per evitare ciò, ad esempio, sarebbe opportuno che ogni associazione che si occupa di violenza sulle donne e stalking, avesse in organico almeno uno Psicologo con almeno 4-5 anni di esperienza che avesse un ruolo attivo in tutti i primi colloqui (essendo presente) e che poi seguisse con la sua supervisione l'attività di eventuali volontari non-psicologi. E il curriculum in pdf del professionista, in formato europeo, (con indicato il numero delle ore dei corsi frequentati e firmato) dovrebbe essere disponibile e liberamente consultabile sul sito web dell'associazione. Questa è una mia opinione personale che potrebbe essere supportata anche dall'Università attraverso l'invio di giovani psicologi a svolgere il loro tirocinio presso associazioni meritorie. A tal proposito è importante ricordare che per svolgere il tirocinio i giovani psicologi devono essere seguiti da un tutor (Psicologo con almeno 5 anni di iscrizione all'Albo e già operante in modo stabile nella struttura ospitante). Volontariato non vuol dire uno spazio per reperire clienti a pagamento Sempre dal racconto di alcune donne che si sono rivolte alla nostra equipe di ascolto, è emersa l'abitudine di alcuni professionisti di operare saltuariamente (raramente) in associazioni no-profit (anche molto blasonate) per poi incontrare (esternamente alla struttura) le vittime di violenza che si rivolgono alla struttura di volontariato e offrire loro delle attività di consulenza psicologica o legale (spesso una perizia nel processo) facendosi pagare profumatamente migliaia di euro. Secondo il mio modesto avviso, questo comportamento, che dovrebbe essere in qualche modo vietato per legge (e duramente sanzionato dagli Ordini professionali), è qualcosa di veramente disgustoso, una sorta di 8 sciacallaggio sulle donne in difficoltà che però sembra essere abbastanza diffuso. Volontariato sociale o azienda mascherata? In questi anni ho avuto modo di conoscere associazioni che aiutano veramente le donne e lo fanno con risorse economiche pressoché inesistenti. Collaboro con alcune di loro offrendo consulenza psicologica e criminologica gratuita per i casi che mi sottopongono. Associazioni che hanno dei conti correnti in banca con poche centinaia di euro ma che grazie alla buona volontà delle loro associate riescono ad offrire un contributo fattivo alle donne che chiedono loro aiuto. Lo fanno con il cuore. Non chiedono neanche di avere rimborsi spese per la benzina. Ho visto le volontarie di queste associazioni ospitare nella loro casa delle donne costrette a fuggire da uomini violenti. Ma è sempre così? Qualche tempo fa espressi pubblicamente l'opinione che le associazioni di volontariato dovrebbero rendere pubblico su internet il loro bilancio anche per i non soci. Soprattutto se tali associazioni ottengono finanziamenti pubblici o da parte di fondazioni e aziende. L'associazione “crimecafé” a cui appartengo, con circa 2000 euro in banca e più di 6000 soci già lo fa da circa 10 anni. Ma con queste cifre in ballo i conti sono assai facili. Alcuni centri anti violenza e associazioni con moltissime volontarie che conosco personalmente hanno situazioni anche peggiori, con la sede sociale presso l'abitazione del Presidente e serie difficoltà quotidiane per andare avanti. E immagino non avrebbero difficoltà a rendere pubblico il loro bilancio. Occuperebbe a mala pena un paio di righe di testo sul loro sito. Ma non è così per tutte. Le donne che si rivolgono a un'associazione di tutela devono subito denunciare colui che 9 agisce violenza nei loro confronti? Che le donne maltrattate abbiano riluttanza a sporgere denuncia è una cosa oramai ampiamente dimostrata. Il numero oscuro (il sommerso) in questo genere di reato è elevatissimo e una delle funzioni primarie delle associazioni di difesa delle donne è proprio quella di convincere le vittime a pubblicizzare la violenza subita attraverso una denuncia, unica strada civile per uscire dal loop della violenza. Indurre una donna a sporgere denuncia è però a mio avviso una cosa che necessita di grande responsabilità e competenza giuridica. Una denuncia infatti comporta poi un processo penale dove i giudici valutano le prove e non la solidarietà e la buona volontà. Se le prove non ci sono la vittima subisce un ulteriore danno e solitamente si prende una contro-denuncia per calunnia (e se ritorna a casa anche ulteriori violenze). Ritengo pertanto che uno dei ruoli importanti delle associazioni di tutela della donna sia viceversa quello di convincere la vittima a ritardare (un pochino) la presentazione della denuncia e nel frattempo insegnarle ad acquisire più prove possibili che reggano poi al dibattimento in aula. Questa cosa che può apparire per certi versi cinica e per altri scontata, in realtà non lo è. Molte volontarie di associazioni in difesa della donna sembrano interpretare il giusto motto "se subisci una violenza, denuncia" con una maledetta fretta. Recentemente mi sono occupato di un caso di stupro ai danni di una minorenne dove fortunatamente la vittima ha avuto la prontezza di spirito di fotografarsi con il telefonino alcuni lividi ed escoriazioni scaturite dalla violenza. Questa prova, probabilmente, sarà l'unica cosa che consentirà a questa giovane vittima di ottenere giustizia. Voglio dire che un racconto di violenze subite rimane un racconto (fatto di parole) e se il racconto non è supportato da prove rimarrà probabilmente solo un racconto. Stessa cosa per lo stalking. Conservare mail ed sms (che spesso la vittima cancella per 10 rabbia dal proprio telefono) è un elemento fondamentale per poter dimostrare la persecuzione subita. Riuscire a videoregistrare (con strumenti elettronici che oramai si trovano a poche decine di euro) la violenza psicologica subita o la presenza del molestatore sotto casa sono degli elementi fondamentali per convincere il Pubblico Ministero ad attivare un ipotetico processo. E queste sono le strategie che insegno nei corsi gratuiti per volontari e che a mio avviso non sono una competenza esclusivamente "sbirresca" come qualcuno mi ha contestato ma rientrano a tutti gli effetti nelle famose “indagini difensive" introdotte in Italia da anni (ma pochissimo praticate) nel nuovo processo penale. Quando la tutela della donna diviene una battaglia tra i sessi Una ultima considerazione sul problema della tutela della donna riguarda l'elevato numero di false denunce utilizzate come strategia nelle cause di separazione conflittuali. Le donne che segnalano situazioni di stalking o di violenza domestica inesistenti, come strategia per ottenere l'affidamento dei figli o come "vantaggio" da mettere sul piatto della bilancia nella richiesta di alimenti, gettano un'ombra sulla credibilità di tutte coloro (la maggioranza) che invece la violenza l'hanno subita davvero e contribuiscono a generare nei giudici quella diffidenza responsabile a mio avviso della maggior parte delle archiviazioni dei procedimenti per violenza domestica e stalking. Come possa una donna sfruttare una simile piaga sociale per vantaggi personali è una cosa che si fa difficoltà a comprendere. Resta il fatto che anche le associazioni che tutelano le donne (quelle serie) sono costrette ad attivare una sorta di “filtro” quando ricevono una nuova segnalazione, per capire se la presunta vittima in realtà sta cercando di strumentalizzarle. 11 PSICO-CRIMINOLOGIA DELLO STALKING di Marco Strano Il numero oscuro rappresenta il numero di reati consumati ma non denunciati. La letteratura scientifica riferisce che nello stalking è molto elevato. Solo una parte delle molestie assillanti viene infatti pubblicizzata da chi le subisce. Moltissime delle persone che ci circondano hanno avuto probabilmente nella loro vita qualcuno che non ha “digerito” la separazione e che ha tentato di riavvicinarsi, a volte anche in maniera insistente, molesta e sgradita. Ovviamente solo in un numero ridotto di casi questi comportamenti sono stati percepiti come stalking. Su tale fenomeno permane comunque una notevole confusione. In primo luogo sul genere degli stalker e delle vittime. Nella maggior parte degli articoli divulgativi sul fenomeno stalking, e purtroppo anche su diversi articoli scientifici, si tende ad esempio a connotare lo stalker sempre come maschio e la vittima sempre come femmina. In realtà, coloro che possiedono anche solo un’infarinatura di cultura criminologica e in genere sulle Scienze Sociali dovrebbero affermare che lo stalker “si manifesta statisticamente maggiormente come uomo” e la vittima “si manifesta statisticamente maggiormente come donna”. La cosa è ben diversa. La riluttanza a pubblicizzare il fatto da parte dei soggetti maschi attraverso una denuncia, o la diversa interpretazione/significazione di un comportamento (più o meno molesto) è ovviamente soggettiva e legata alla cultura di “genere”. E’ notorio che i maschi vengono educati con 12 principi culturali diversi rispetto alle femmine e se si trovano una ex fidanzata sotto casa non fanno denuncia ma spesso si vantano del fatto con gli amici al bar. Certamente, se l’azione di stalking si manifesta in presenza della nuova compagna magari si vantano un pò meno e magari attivano una delle poche azioni legali che si registrano promosse da vittime di sesso maschile. I sociologi chiamano tutto questo “errore sistematico” che a un famoso non eletto Presidente degli Stati Uniti costò molto caro avendo fatto un sondaggio elettorale sugli elenchi telefonici e lasciando quindi fuori dalla sua valutazione tutti i poveri, senza telefono, che poi hanno votato per l’altro candidato. Diversi modelli culturali influiscono quindi sul livello di emersione di un fenomeno all’interno di generi diversi. E’ la ben conosciuta teoria di Sutherland del numero oscuro in Criminologia ma altre Scienze sociali hanno costruito teorizzazioni simili. Da Psicologo e da ricercatore sociale ritengo che lo stalking sia in gran parte legato alla difficoltà di rielaborazione del lutto e alla bassa autostima e se tale difficoltà è equi-distribuita tra maschi e femmine, evidentemente le vittime e gli autori di stalking potrebbero essere in percentuale del 50% tra maschi e femmine. Ma certamente le statistiche giudiziarie che riportano solo i reati scoperti (denunciati) e oggetto di procedimento penale non potranno mai darci una risposta. Un questionario anonimo in corso di distribuzione dalla mia equipe a un campione randomizzato di popolazione (internazionale) forse potrebbe darci interessanti sorprese in merito verso la fine del 2014. E in definitiva bisognerebbe chiedersi: perché gli uomini dovrebbero essere più inclini delle donne alle molestie assillanti e a non digerire l’abbandono? E’ un problema culturale?, biologico?, personologico?, affettivo?, emotivo? Le donne sono forse più fredde e anaffettive e tollerano maggiormente l’abbandono? Oppure reagiscono in maniera diversa? Probabilmente a 13 rendere maggiormente persecutori i maschi è la presenza di una sciagurata cultura che inculca loro, fin da piccoli, che la donna è una sorta di proprietà privata (e non una compagna di vita) e l’abbandono può rappresentare in quest’ottica una ferita narcisistica di più difficile guarigione. Ma da qui a dire che le istanze persecutorie siano solo ed esclusivamente maschili a mio avviso si rischia di commettere un grave errore. Come già ho sottolineato, un altro elemento di confusione è generato spesso dal mettere sempre in correlazione le violenze domestiche (fisiche) e lo stalking: il rischio di una confusione semantica, epistemologica, investigativa e clinica è assai frequente. Aiutare le donne a trovare il coraggio di denunciare le violenze subite è una cosa utile e meritoria. Questo è quello che fanno (o che dovrebbero fare) le Associazioni di volontariato che operano in questo ambito, rappresentando un’interfaccia tra le vittime e le forze di polizia. Associare in modo lineare però la violenza (fisica) sulle donne al fenomeno stalking è a mio avviso pericolosissimo. La categorizzazione semantica, epistemologica, clinica e recentemente giuridica, dello stalking serve proprio a definire una categoria interpretativa nuova che quella della violenza fisica (già normata da molto tempo) non riusciva a considerare efficacemente. Se associamo lo stalking alla violenza fisica rischiamo di ingenerare in coloro che dovrebbero rilevare i casi (i poliziotti) l’aspettativa di trovarsi sempre di fronte dei segni “tangibili” dello stalking sui corpi delle vittime (lesioni, referti medici ecc.). E questo non è assolutamente corretto. Lo stalking “vero” (tipico) è il tentativo di rientrare nella vita di una persona in modo sistematico ma spesso senza azioni eclatanti di violenza fisica. E’ il tentativo di costringere la vittima a osservarlo/a attraverso presenze più o meno palesi, è il tentativo di fare in modo di entrare nei pensieri della vittima, di far in modo che la vittima 14 pensi a lui o a lei. I comportamenti aggressivi/distruttivi, quelli finalizzati a far soffrire la vittima rappresentano tutto sommato forme di stalking “atipiche” e se pur a volte presenti non costituiscono il focus psicologico di tutti i comportamenti di stalking. Una persona gretta e violenta per colpire un ex partner può agire comportamenti aggressivi diretti, una persona intelligente e pianificatrice può agire comportamenti non violenti e più sottili. Insomma, un uomo violento è sicuramente uno stalker? Uno stalker è sicuramente un uomo violento? Lo stalker è sicuramente un uomo? Ritengo che la risposta a queste domande debba essere supportata da una seria e articolata ricerca scientifica. Resta il fatto che chi si occupa di violenze normalmente ha a che fare con vittime donne perché gli uomini sono fisicamente più robusti e tendono a sfruttare questo vantaggio. Le donne evitano di tentare di picchiare gli uomini perché altrimenti spesso soccomberebbero. Insomma le donne “prendono più botte” in famiglia o dal partner rispetto agli uomini. Le donne però attuano maggiormente comportamenti violenti di tipo verbale, compatibili con le loro risorse. Gli uomini che vengono picchiati dalle donne infine, normalmente si vergognano ad ammetterlo e non lo raccontano. Queste “banalità” e semplificazioni di questioni assai complesse rappresentano però delle verità difficilmente negabili e su cui probabilmente è necessaria un’attenta riflessione. E da queste riflessioni pongo un altro interrogativo. Le organizzazioni di volontariato e le strategie da loro attuate per prevenire e per reprimere le forme di violenza tradizionale sulle vittime sono forse inadatte per prevenire e combattere lo stalking? In altre parole, coloro che da anni operano nel settore della prevenzione e della repressione delle violenze fisiche forse sono impreparati per affrontare il problema stalking, molto più subdolo e permeato di dimensioni psicologiche? E poi ci sono le guerre “di genere”, 15 maschi contro femmine e femmine contro maschi, che si sperava fossero sopite alla fine degli anni 70’ e che stanno invece ritrovando nuova linfa, alimentate da gruppi e associazioni varie e forse anche criticizzate da norme che consentono un ampio spazio di interpretazione. Personalmente credo che la guerra tra maschi e femmine debba definitivamente finire perché in questo pianeta abbiamo problemi molto gravi da affrontare (fame, pandemie, guerre etniche) che entro pochi decenni ci potrebbero portare in una condizione difficile per tutti e che l’azione culturale e politica dovrebbe tendere a riunire e non a dividere. Stalking come malattia mentale? Stiamo assistendo a mio avvviso a una clinicizzazione esasperata del problema stalking. Non c’è tesi di laurea in area medica o psicologica che non contenga una parte predominante nell’elaborato dedicata alla psicopatologia dello stalker. Non c’è letteratura scientifica recente in cui lo stalking non è correlato a disturbi di personalità gravi. Mi aspetto una specifica categorizzazione su uno dei prossimi DSM (Manuali Diagnostici dei Disturbi Mentali) della “sindrome dell’ex partner molestatore assillante”. Questa clinicizzazione è forse eccessiva. Se riteniamo che un substrato caratteriale (e non personologico) possa favorire in alcuni soggetti comportamenti di stalking come una sorta di esacerbazione del sintomo in condizioni in cui un fattore stressor (la separazione non gradita) si manifesta, potrei anche essere d’accordo. Certamente due partner che (entrambi) non vedevano l’ora di togliersi dai piedi l’altra parte della diade, scomoda e sgradita, non attueranno comportamenti tendenti a un recupero forzato. Ma se per stalking consideriamo una fase temporalmente ridotta (qualche mese) in cui uno dei due ex partner, che 16 è ancora affettivamente legato, tenta di convincere l’altro a ricominciare la storia, anche attraverso comportamenti goffi e intrusivi, sinceramente sono un pò perplesso riguardo alla reale influenza dei piani caratteriali. Ma quindi il problema è: dove finisce il comportamento passionale o le cosiddette “pene d’amore” e dove inizia lo stalking? Quante volte un/una fidanzato/a lasciato/a deve farsi trovare sotto il balcone del/della ex per essere definito uno/a stalker e quanti sms deve inviargli? due? cinque? quaranta? E se attua questi comportamenti, è sicuramente un/una malato/a di mente? Alcune recenti sentenze in effetti hanno generato notevoli perplessità, sia rispetto a un eccessivo rigore su comportamenti poco gravi che rispetto a una insufficiente tutela della vittima da comportamenti obiettivamente persecutori. In questa fase storica stiamo assistendo inoltre a una forte normazione del fenomeno stalking. Cresce l’area dei comportamenti “definiti assillanti” che viene vietata con una norma. Ma l’area interpretativa è stata mantenuta ovviamente assai estesa. Non si tratta di violenze fisiche, di percosse o di altre cose che lasciano segni tangibili. Si tratta di comportamenti “percepiti” come assillanti. Ma allora mi viene un altro dubbio. Se siamo tutti d’accordo che lo stalker è un malato di mente allora bisognerebbe ricordare che la malattia mentale non si tratta efficacemente con una norma penale. Se abbiamo a che fare con comportamenti di squilibrati la soluzione è il trattamento psicologico, preventivo e clinico, non il carcere o un “ammonimento”. Oppure la patata bollente viene passata ai giudici che devono discriminare in base alla capacità di intendere e di volere del soggetto? Ma se agli/alle stalker, a parte qualche caso di soggetto psicotico con deliri, viene normalmente attribuito al massimo un disturbo in asse II (di personalità) che (in giurisprudenza consolidata) non incide sulla capacità di intendere e di volere, allora siamo coscienti che anche se 17 abbiamo a che fare con dei soggetti disturbati il loro quadro clinico non può ingerire sulla valutazione del Giudice? E infine, che efficacia può avere “l’ammonimento del Questore” su un soggetto simile a quello che “stalkizzava” Jodie Foster e che in pieno delirio psicotico ha sparato al Presidente degli Stati Uniti (Regan) per attirare su di se l’attenzione della distratta Jodie? Insomma, al di la delle ipocrisie mediatiche nei talk show forse sarebbe il caso di interrogarci se sul fenomeno stalking stiamo prendendo la strada giusta e se stiamo costruendo gli strumenti giuridici realmente efficaci per risolvere il problema. La conclusione di questo contributo introduttivo, fatto più di interrogativi che di soluzioni, è legata alle strategie possibili per incidere sul problema in maniera etica ed efficace. In tal senso la soluzione deve venire necessariamente dalla Legge e dalla Psicologia, difficilmente da una delle due sfere di intervento disgiunta dall’altra. E forse questa sinergia tra saperi diversi, giuridici e psicologici, dovrebbe animare anche le possibili modifiche normative che probabilmente, dopo questa prima fase esperenziale di applicazione della legge sullo stalking, dovranno necessariamente giungere. lo stalking: un fenomeno antico Nonostante il clamore mediatico degli ultimi anni, lo stalking è un fenomeno antico. I Criminologi conoscono infatti oramai da tempo il fenomeno del “molestatore assillante”. Già nei primi del ‘900 infatti, lo Psichiatra de Clérambault aveva descritto una tipologia di soggetti con disturbi mentali che assediavano le loro prede con finalità sessuali, incuranti del loro diniego, in un quadro di vero e proprio delirio di passione erotica e di gelosia. Più di recente, nel mondo anglosassone a seguito di fatti di sangue eclatanti eseguiti da squilibrati soprattutto ai 18 danni di attrici e divi dello spettacolo il fenomeno ha trovato nuove attenzioni anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori ed è stato ridefinito con il termine stalking, preso in prestito dal mondo dei cacciatori (letteralmente to stalk: fare la posta). Galeazzi e Curci (2001) del Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale dell’Università di Modena hanno coniato il termine di “molestatore assillante” e propongono 13 anni fa la seguente definizione: “..un insieme di comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza e controllo, di ricerca di contatto e comunicazione nei confronti di una vittima che risulta infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni e comportamenti non graditi..”. In Italia esiste ora una normativa specifica per lo stalking che però è ancora in fase evolutiva. Il comportamento di stalking presenta comunque numerose sfaccettature e solo in alcuni casi è ascrivibile ad un conclamato disturbo psichiatrico con manifestazioni deliranti o con anomalie patologiche della personalità. Nella prevalenza dei casi si rilevano infatti motivazioni razionali attinenti ad un desiderio di vendetta o all’incapacità di digerire ed elaborare cognitivamente l’abbandono di un partner o di un’altra figura significativa a cui lo stalker è legato (es. uno psicoterapeuta). Gli strumenti tradizionali degli stalker sono primariamente il telefono e la presenza fisica incombente nei luoghi frequentati dalla vittima. Sono stati descritte però anche tecniche diverse come i danneggiamenti a cose di proprietà della vittima o l’uccisione dei suoi animali domestici. Una tipologia di stalkers Alla luce delle ricerche più recenti, sviluppate in prevalenza nel mondo scientifico statunitense, è possibile sintetizzare una tipologia semplificata di persecutori: 19 A. soggetti che non riescono ad accettare l’abbandono del partner o di altre figure significative e attuano una vera e propria persecuzione nel tentativo maldestro di ristabilire il rapporto o semplicemente vendicarsi dei torti subiti nel corso del distacco (la maggior parte dei casi). Sono i molestatori statisticamente più pericolosi per quanto riguarda la possibilità che lo stalking degeneri in atti di violenza fisica nei confronti della vittima; B. soggetti che sfogano attraverso lo stalking un rancore dovuto a cause molteplici nei confronti di una persona con cui sono entrati in conflitto, al di fuori di un rapporto affettivo. Tipico il caso dell’ex collega di lavoro “che si è comportato male con lui” o del professionista (es. un medico) che gli ha provocato un danno giudicato grave. Normalmente questi stalker presentano in livello di pericolosità contenuta per ipotesi di violenza fisica, rappresentata e annunciata attraverso le molestie e gli insulti ma difficilmente agita; C. molestatori sessuali abituali o conquistatori maldestri, che individuano l’oggetto del loro desiderio nella vittima (anche sconosciuta) ed effettuano una serie di tentativi di approccio incapaci o incuranti dei segnali di fastidio da parte della vittima. I soggetti appartenenti a questa categoria talvolta presentano modalità compulsive o possono giungere a vere e proprie forme di delirio. Per ciò che attiene agli indici di pericolosità i molestatori sessuali abituali possono divenire potenziali stupratori mentre la categoria dei cosiddetti conquistatori maldestri normalmente è pressoché innocua. 20 Talvolta si rilevano soggetti che possono essere inseriti parzialmente in più di una delle tre categorie. Statisticamente, nella maggior parte dei casi di stalking, la vittima è di sesso femminile ed esiste una relazione pregressa tra vittima e molestatore. Sulla dimensione statistica del fenomeno è importante però sottolineare la riluttanza dei maschi a evidenziare il problema, probabilmente per vergogna. Le molestie assumono solitamente il carattere di “ondate” o “campagne di stalking”, di durata variabile da pochi giorni a diversi anni. Normalmente le ondate durano diversi mesi se non vengono interrotte da un elemento esterno alla relazione (es. la denuncia da parte della vittima). La consapevolezza del fenomeno ad “ondate” è importante per non abbassare la guardia anche quando dopo numerosi mesi di “silenzio” lo stalker sembra sparito. In realtà l’azione persecutoria può riattivarsi anche a distanza di molto tempo. Questa considerazione ha rilevanza sia in ottica investigativa che in ottica clinica. Talvolta poi il comportamento della vittima “rinforza” involontariamente l’azione dello stalker che può ad esempio equivocare un tentativo di convincimento a interrompere le molestie fatto con tono civile e cortese come una implicita accettazione della persecuzione. Altre volte, specie negli stalker animati da rancore, sono viceversa i segni di disagio e di paura che rinforzano la sua motivazione. 21 22 La mancata rielaborazione del lutto alla base dello stalking Ogni perdita di qualcuno (o di qualcosa) affettivamente significativo per noi necessita di una fase di ricompensazione e di adattamento alla nuova situazione. Gli Psicologi la chiamano perdita dell’oggetto di investimento libidico. In questa fase il soggetto che ha subito la perdita normalmente entra in una fase depressiva (di tipo reattivo) caratterizzata da angoscia e tristezza. Questa fase può durare più di un anno. Se questo tempo si dilata eccessivamente il soggetto viene considerato “malato” o comunque in condizione di disagio psicologico (lutto psicologico). Il tentativo di riavvicinamento può rappresentare quindi il tentativo di lenire l’angoscia che scaturisce da un lutto non adeguatamente elaborato. Base personologica dello stalker Esistono dei profili di personalità che probabilmente più di altri favoriscono il comportamento di stalking. Un soggetto con tratti dipendenti può temere particolarmente che si interrompa una relazione che ritiene soddisfacente. L’abbandono da parte di qualcuno può inoltre rappresentare una ferita narcisistica rilevante in soggetti che hanno problemi di autostima. L’essere abbandonati può evocare in questi soggetti dei sentimenti di inadeguatezza e una conseguente frustrazione. Il tentativo ossessivo di riavvicinamento a colui che li ha abbandonati costituisce quindi l’unica soluzione per riparare la ferita e ridurre la frustrazione. 23 APPROFONDIMENTI E BIBLIOGRAFIA Maffeo Vania, Il nuovo delitto di atti persecutori (stalking): un primo commento al d.l. n. 11 del 2009 (conv. con modif. dalla l. n. 38 del 2009), in “Cassazione Penale”, n. 7-8, 2009, p. 2719. Natalini Aldo, “Stalking”: bastano due episodi di minaccia o di molestia per configurare il reato, in “Diritto e Giustizia”, n.0, 2010, p. 338. Parodi Cesare, Stalking e tutela penale. Le novità introdotte nel sistema giuridico dalla legge 38/2009, Milano, Giuffré, 2009. Valsecchi Alfio, Il delitto di “atti persecutori” (il cd. Stalking), in “Rivista italiana di diritto e procedura penale”, n. 3, 2009, p. 1377. Baldry Anna C., Dai maltrattamenti all’omicidio. La valutazione del rischio di recidiva e dell’uxoricidio, Milano, Franco Angeli, 2008. Curci Paolo, Galeazzi Gian Maria, Secchi Cesare, La sindrome delle molestie assillanti (Stalking), Milano, Bollati Boringhieri, 2003. Gargiullo Bruno, Damiani Rosaria, Lo stalker, ovvero il persecutore in agguato. Classificazione, assessment e profili psicocomportamentali, Milano, Franco Angeli, 2008. McEwan Troy E., Mullen Paul E., Mackenzie Rachel, A Study of the Predictors of Persistence in Stalking Situations, in “Law and Human Behavior”, n. 33, 2009, pp. 149-158. Merzagora Betsos Isabella, Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2009. Reavis James A., Allen Elizabeth K., Meloy J. Reid, Psychopathy in a Mixed Gender Sample of Adult Stalkers, in “Journal of Forensic Sciences”, vol. 53, No. 5, September 2008, pp. 1214-1217. Storey Jennifer E., Hart Stephen D., Meloy J. Reid, Reavis James A., Psychopathy and Stalking, in “Law and Human Behavior”, n. 33, 2009, pp. 237-246. Corradi Consuelo, a cura di, I modelli sociali della violenza contro le donne. Rileggere la violenza nella modernità, Milano, Franco Angeli, 2008. Dennison Susan M., Interpersonal Relationship and Stalking: Identifying When to Intervene, in “Law and Human Behavior”, n. 31, 2007, pp. 353-367. Purcell Rosemary, Moller Bridget, Flower Teresa, Mullen Paul E., Stalking among juveniles, in “The British Journal of Psychiatry”, n. 194, 2009, pp. 451-455. Whyte Sean, Petch Edward, Penny Catherine, Reiss David, Who Stalks? A description of patients at a high security hospital with a history of stalking behaviour, in “Criminal Behaviour and Mental Health”, n. 18, 2008, pp. 27-38. Petherick, W., Cyber-Stalking: obsessional pursuit and the digital criminal, www.crimelibrary.com Strano M., Computer crime: Manuale di Criminologia informatica, edizioni Apogeo Milano, 2000; Strano M., Relazioni digitali e comportamenti devianti, Atti del convegno “Psichiatria, informatica e telemedicina. Realtà e prospettive nel campo dell’assistenza e della formazione”. Velletri, Sala Micara, 29 marzo 2001. Strano M., “Cyberstalking”, ICT Security, Edizioni Nuovo Studio Tecna, Roma, 2003. 24 LO STALKING NELLA RELAZIONE DI COPPIA Di Marianna Chessa Lo stalking non è un fenomeno solo attuale, ma è un fenomeno antico che solo negli ultimi decenni è stato studiato e classificato con questo nome. È stato a lungo sottovalutato mentre ai giorni nostri cresce in modo esponenziale l’attenzione dei mass media e della sensibilità collettiva generando un’attenzione che spesso sconfina nell’allarmismo. Già nel 1921, infatti, uno psichiatra francese pubblicò un trattato sull’erotomania e sulla sindrome di De Clerambault. In particolare tale sindrome consiste in un disturbo delirante in cui il paziente ha la convinzione infondata e ossessiva che un’altra persona famosa provi sentimenti amorosi nei suoi confronti. Lo studioso Erald Ege nel 2005 tenta di razionalizzare la classificazione e propone tre tipologie di stalking: • stalking emotivo, associato alla rottura di una relazione tra due persone quando un componente della coppia non riesce a rassegnarsi della perdita dell’altro; • stalking delle celebrità, ovvero perseguitare personaggi famosi; • stalking occupazionale, persecuzione che inizia nel luogo di lavoro per poi finire nella propria sfera privata. Lo stalking è comunque un fenomeno dove è difficile identificare una tipologia di stalkers. Le tipologie che si trovano in letteratura sono spesso molto incentrate sulla psicopatologia che in realtà rappresenta un 25 numero ridotto di casi. Marco Strano propone nel 2002 una sua tipologia, molto cauta, basata su tre aree: • Difficoltà ad accettare l’abbandono in soggetti senza criticità psicologiche (la maggior parte dei casi); • Difficoltà ad accettare l’abbandono in soggetti con quadri psicologici critici (una percentuale minore); • Soggetti con quadri psicopatologici significativi in asse I e in asse II DSM (una minima parte). Appare evidente che viene ampiamente considerata una percentuale di persone che attuano comportamenti molesti senza necessariamente essere interessati da psicopatologie. Ovviamente ci sono casi in cui la dimensione psicopatologica è presente, a volte in forma anche grave e legata a disturbi deliranti. Nei casi di “stalking delle celebrità” queste componenti nettamente psicopatologiche sono più frequenti, Già a partire dagli anni ’80 si sono verificati alcuni casi in cui la molestia assillante è stata indirizzata ad alcuni personaggi di spicco dello Star System, personalità dello spettacolo e dello sport. Ricordiamo le tenniste Martina Hingis e Serena Williams inseguite in tutti i tornei internazionali dai propri persecutori; le attrici Theresa Saldana pugnalata dal suo stalker a Los Angeles nel 1982 e Rebbecca Shaffer assassinata nella sua metropoli dal suo persecutore nel 1989. Questi episodi hanno ispirato la prima legge anti-stalking in California in vigore dal 1992. Altre vittime sono state Sharon Stone, Jodie Foster, Nicole Kidman, Steven Spielberg ed alcuni casi anche in Italia. In molti di questi casi la mente dello stalker ha “rimosso” tutti i segnali, a volte molto espliciti, di rifiuto da parte della vittima, costruendosi un vero e proprio mondo parallelo in cui entrava in possesso del malcapitato personaggio famoso. Come suggerisce Marco Strano, 26 spesso alla base dello stalking c’è la difficoltà nella rielaborazione del lutto rispetto alla perdita dell’oggetto di investimento libidico. Nelle situazioni di separazione o in cui si verifica la fine di un rapporto sentimentale l’essere umano prova frustrazione e sofferenza trovandosi ad affrontare un vero e proprio “lutto emotivo”. In quanto tale, i tempi della sua elaborazione non si differenziano molto da quelli per l’elaborazione della morte fisica di una persona cara. I tempi fisiologici vanno dai sei mesi a un anno e si possono dilatare fino a un periodo indefinito. Normalmente in certe periodi l’angoscia tende a sopirsi ma poi in assenza di una rielaborazione riaffiora ciclicamente con delle fasi che coincidono con i comportamenti o campagne di stalking. Ci sono diversi comportamenti correlati allo stalking che per esigenze tassonomiche possono esser raggruppati in base alla motivazione sottostante: 1. Tendenti al recupero affettivo (o seduttivi), per esempio regali come biglietti per il cinema, fiori, sms romantici, iniziative di corteggiamento. 2. Tendenti a mostrare alla vittima la propria sofferenza (provocanti il senso di colpa), discorsi sull’inutilità della propria vita senza l’altro e dell’incapacità di affrontare qualsiasi cosa per la sofferenza causata dall’interruzione della relazione; 3. Tendenti a impedire temporaneamente alla vittima nuove relazioni, controllo delle reti sociali amicali dell’ex partner, appostamenti e pedinamenti per far si che l’altro non si senta libero di intraprendere altre relazioni; 4. Tendenti a punire la vittima per avergli provocato sofferenze con messaggi minatori “un giorno soffrirai anche tu per quello che hai fatto a me”; 5. Tendenti a distruggere e cancellare la vittima. 27 Alcuni di questi comportamenti, soprattutto quelli che rientrano nella categoria “seduttiva”, se occasionali e non protratti nel tempo, possono essere normali tentativi di corteggiamento e di riavvicinamento messi in atto, in maniera goffa, da moltissime persone che affrontano una separazione non voluta. Altri volte però tali comportamenti sono così pervasivi, durevoli ed aggressivi da costringere chi li subisce a radicali modifiche dello stile di vita. Valutare la situazione in base alla tipologia di comportamenti attuati dallo stalker quindi non è sempre così facile. L’intervento nei casi di stalking, secondo il protocollo progettato da Marco Strano, prevede comunque proprio una valutazione iniziale del caso, della pericolosità dello (o della) stalker e dei danni reali subiti dalla vittima, attraverso una quantificazione dei comportamenti molesti e attraverso una valutazione del disagio effettivo percepito dalla vittima. Poi l’intervento adottato, individualizzato, prevede sempre delle azioni iniziali nei confronti dello stalker e della vittima per tentare di risolvere la vicenda bonariamente in via extragiudiziaria. Il primo passo è infatti aumentare la consapevolezza da parte dello stalker del danno arrecato (sia alla vittima che a se stesso per le conseguenze legali) con una progressione di comunicazioni, da quella più informale fino a giungere alla diffida e poi alla denuncia. Ovviamente se già sono registrate azioni violente o minacce gravi la via della denuncia è l’unica possibile. La vittima e lo/la stalker devono essere supportati psicologicamente, se possibile e necessario, anche attraverso incontri protetti che consentano una comunicazione più efficace e meno ansiogena dell’intento di chiudere una relazione. La vittima deve essere seguita e addestrata a gestire la situazione di molestia assillante: comunicare in maniera inequivocabile l’intento di interrompere la relazione; imparare a comunicare riducendo 28 le ferite narcisistiche e le ferite all’autostima del soggetto rifiutato, imparare a controllare la propria situazione psicologica per ridurre il danno dell’azione di stalking. L’ambivalenza affettiva della vittima è spesso una componente importante del fenomeno stalking. In molti casi infatti è proprio la comunicazione ambigua da entrambe le parti, in particolare un rifiuto non chiaro e assertivo della vittima, a protrarre queste situazioni nel tempo. Le difficoltà nell’applicazione del protocollo aumentano in caso di basso livello culturale della vittima e in caso di grave disagio psicologico del persecutore che può essere refrattario a prendere coscienza dei danni che arreca alla vittima. Le equipe che si occupano di stalking dovrebbero infine specificatamente addestrate a lavorare in team interdisciplinare (legale, psicologico e medico), nell’accoglienza della vittima e nella gestione dei contatti con lo/la stalker. 29 GASLIGHTING Di Francesco Caccetta È un'incognita ogni sera mia un'attesa pari a un'agonia troppe volte vorrei dirti no ma poi ti vedo e tanta forza non ce l'ho…. Inizio questo mio contributo sulle note di una famosissima canzone scritta da un grande artista, che da poco ci ha lasciati, Franco Califano (testo) e Dario Baldan Bembo (musica), inciso nel 1973 da Mia Martini. Il titolo della canzone è “Minuetto” ballo originatosi in Francia da una danza popolare della regione del Poitou, che divenne danza di corte durante il periodo barocco. La derivazione della parola sembra appunto risalire al francese e significa "piccolo passo", giacché la danza era appunto caratterizzata da passi minuti, come quelli che facciamo ogni giorno, nel contrastare la violenza sulle donne. I giornali e i media in genere, ci hanno abituati alla spettacolarizzazione, alla mercificazione delle notizie e non c’è giorno che non leggiamo storie raccapriccianti che abbracciano l’intera branca dei crimini con dettagli sempre più ricercati e d’effetto. Le persone si abituano così al sensazionale, al turpe linguaggio mediale degli omicidi, delle violenze sessuali e sui minori. Sono coniati nuovi termini per descrivere un tipo di violenza reiterata e costante, infame e indegna di una società che vuole dichiararsi civile. Uno tra questi, il cosiddetto “Femminicidio”, ormai utilizzato in tutti i salotti della televisione e in gran parte dei titoli dei giornali, accompagnato sempre da storie di forte violenza, impattante e deplorevole. Siamo ormai (purtroppo) abituati a 30 leggere, sentire e vedere storie assurde di violenza sulle donne, spesso finite con l’omicidio della vittima, il tutto accompagnato da interviste a parenti e amici che continuano a chiedersi perché è successo. Domanda legittima, perché è veramente inspiegabile il fatto che una donna possa morire così, nonostante le denunce e i provvedimenti (deboli?) della Legge e delle forze dell’ordine sull’offender. Purtroppo le dinamiche di ogni omicidio sono diverse e peculiari e spesso non è possibile applicare la Legge in maniera migliore di com’è applicata, anche se, all’occhio del cittadino profano, sembra sempre inadeguata. Inoltre, non sempre l’epilogo nefasto è determinato dalla minore efficacia della legge, ma anche dall’indifferenza delle persone, sempre più evidente in una società individualista come la nostra. Rispetto al record negativo raggiunto nel 1991 - riferisce lo studio della Fondazione ICSA – il numero di donne uccise è straordinariamente aumentato. Nel 1991 esse rappresentavano soltanto l’11% delle vittime, mentre oggi, superano il 25%, come dire che in Italia oltre ¼ delle vittime è donna. Osservando i dati degli ultimi anni, si stima che nel nostro Paese ogni 96 ore circa, una donna viene uccisa per mano del marito, fidanzato, convivente o ex, con una incidenza del fenomeno che è decisamente maggiore nel nord Italia.[2]. Non si può neanche dare una risposta ai tanti omicidi, perché la società odierna è frenetica, siamo continuamente sottoposti a stress psicofisico e i disturbi di personalità e/o le malattie mentali in genere sono molte più di quanto immaginiamo, ma io terrei ben distinti gli ambiti degli omicidi da quelli delle varie forme di violenza. Credo che i primi siano atti spesso irrazionali dovuti all’istintività del momento e quindi riconducibili alla totale perdita di controllo da parte dell’autore materiale, mentre le violenze, possono essere profondamente premeditate, cercate e studiate, per trarne un piacere personale o un raffinato e orribile modo per raggiungere i propri 31 (terribili) scopi. Solo l’ignoranza e la mancanza di rispetto fanno agire l’uomo così. Purtroppo, la cultura italiana, ma non solo la nostra, è impregnata di stereotipi ed errati giudizi, causati da antichi (ma non tanto) retaggi intellettuali, che portano spesso a confondere comportamenti di abuso con atti di sana gelosia, tanto iconizzati dalla nostra ricca cultura cinematografica, arrivando, sciaguratamente ancora spesso, a legittimare alcuni comportamenti ignorandone il segnale di pericolo estremo che invece trasmettono. Non da meno, esiste una letteratura, anche straniera, che, pur logicamente in parte adeguata alle varie sfaccettature sociologiche di ogni epoca, si è spesso (oggi direi in maniera inopportuna) prodigata, nel fare apparire le donne come soggetti da dominare e/o desiderose di essere dominate, sollecitando, a volte, la mente malata di alcuni potenziali o sistematici offender. Ricordiamo ad esempio e fra tutti, un brano del famosissimo racconto di Oscar Wilde, “Il ritratto di Dorian Gray dove l’interprete principale, in un dialogo con Lord Henry, si sentiva rispondere: “Temo che tutte le donne apprezzino la crudeltà, la crudeltà pura, più di qualsiasi altra cosa. I loro istinti sono meravigliosamente primitivi. Le abbiamo emancipate, ma esse rimangono schiave sempre in cerca di un padrone. Amano essere dominate.” Nonostante saremo tutti d’accordo, che la nostra società ha ormai una morale completamente diversa e che la visione è cambiata, credo di poter dire, che ancora siamo lontani da una sostanziale e proclamata presa di coscienza. Nello stesso tempo, posso dire che stiamo facendo passi avanti grazie alla sensibilità di molti addetti ai lavori nel campo della Criminologia, primo fra tutti Marco Strano (ma anche molti altri), che con le loro pubblicazioni scientifiche, tradotte in libri di successo, portano alla luce questa violenza sistematica che gli uomini compiono nei confronti delle donne. Meritano anche di essere citate le numerose associazioni di 32 volontariato per la difesa delle donne come la famosa e operativa “Donne per la sicurezza Onlus” con la sua brava Presidente Barbara Cerusico e l’Associazione “Senza Veli Sulla Lingua” presieduta da Ebla Ahmed (3). Gli studiosi appena citati, attraverso pubblicazioni e incontri mirati con potenziali vittime e forze dell’ordine, cercano di contrastare il problema e sensibilizzare gli addetti ai lavori riguardo queste tematiche di grande impatto sociale, mentre le associazioni fungono da punto di riferimento, di informazione e di sostegno psicologico e legale, accompagnando le donne maltrattate verso il superamento dello stato di disagio provocato dalle violenze subite. Nei miei studi e nell’esperienza diretta acquisita con la mia professione, ho avuto modo di costatare che purtroppo, l’impegno degli operatori della sicurezza e della Giustizia, poco conta, di fronte al silenzio (spesso voluto) delle vittime e delle persone che le stanno vicine. Come ormai ho avuto modo di affermare in altre discussioni, che abbracciavano anche altri ambiti della sicurezza, solo un’attività di prevenzione condivisa e diffusa può fare la differenza nel contrasto del crimine in genere. Ci sono reati che potrebbero essere evitati o almeno contrastati con decisione, se solo se ne venisse a conoscenza in epoca embrionale. Quelli contro le donne rientrano sicuramente in questa casistica. Primo fra tutti lo Stalking, sempre più contrastato dalle nuove norme in vigore, grazie anche al supporto dell’ammonimento e del divieto di avvicinamento per lo stalker, ma c’è un altro efferato crimine ancora poco noto ma a mio avviso più permeante dello Stalking perché ha le fattezze di un pericoloso virus e spesso uccide senza lasciare traccia. Sto parlando del Gaslighting. Anche se con grandi difficoltà, le violenze fisiche alle donne alla fine possono emergere, a volte con esiti nefasti, ma per la loro natura, fortunatamente, non è sempre facile che passino completamente inosservate, anche a causa degli evidenti segni che le 33 percosse subite lasciano sul corpo. Questo è logicamente di grande aiuto sia per le vittime, sia per le persone che stanno loro vicine, anche al fine di attivare le misure del caso, magari parlandone con le forze dell’ordine o con parenti e amici, innescando comunque un qualcosa destinato a dare dei risultati o comunque prodromico ad attivare le figure di aiuto. Ma quando le violenze non sono fisiche? Quando la persona abusante mette in atto comportamenti mirati a minare con astuzia, la base della fiducia che la vittima ripone in se stessa, dei suoi giudizi di realtà, facendola sentire confusa fino a dubitare di stare impazzendo? Questo è il Gaslighting, una tecnica di crudele e infida manipolazione mentale, attuata dall’offender, che riesce a mettere in dubbio le percezioni reali della vittima, facendola dubitare di se stessa. “Il termine deriva da un'opera teatrale del 1938 Gas light (inizialmente nota come Angel Street negli Stati Uniti), e dagli adattamenti cinematografici del 1940 e 1944 (quest'ultimo conosciuto in Italia come Angoscia). La trama tratta di un marito che cerca di portare la moglie alla pazzia manipolando piccoli elementi dell'ambiente, e insistendo che la moglie si sbaglia o si ricorda male quando nota questi cambiamenti. Il titolo origina dal subdolo affievolimento delle luci a gas da parte del marito, cosa che la moglie accuratamente nota ma che il marito insiste essere solo frutto dell'immaginazione di lei”.[4] In un influente articolo intitolato “Some Clinical Consequences of Introjection: Gaslighting” ("Alcune conseguenze cliniche dell'introiezione: Gaslighting"), gli autori argomentano come il Gaslighting coinvolga la proiezione e l'introiezione dei conflitti psichici dal molestatore alla vittima: questa imposizione è basata su un tipo molto particolare di "trasferimento" di conflitti mentali dolorosi e potenzialmente dolorosi'[5]. È un crudele comportamento manipolatorio, con il quale l’offender, tende a far sì che la sua vittima dubiti di se stessa e 34 dei suoi giudizi di realtà e inizi a sentirsi confusa, fino a credere di stare impazzendo; alla vittima è tolta la speranza del domani e ben presto manifesterà problemi psichici e psicosomatici. Il Gaslighting, è logicamente possibile solo nelle relazioni dove vi è una base affettiva precedente molto forte, una storia d’amore che ha preso un’altra piega per interessi vari (anche economici) da parte del carnefice di turno, una grave forma di perversione relazionale che rende le vittime talmente assuefatte e dipendenti da essere nella maggior parte dei casi inconsapevoli di quello che sta sopraggiungendo. È la trasformazione dell’amore, una metamorfosi di Kafkiana memoria, con la quale emerge il lato peggiore dell’uomo, che mette in atto diaboliche e artificiose tecniche spingendo la donna alla follia con un continuo vero e proprio lavaggio del cervello. I segnali da captare non sono facili, in queste situazioni, ma il mio consiglio è di non sottovalutare alcuni piccoli messaggi che sono inviati sia dalla vittima sia dall’autore del Gaslighting. In questo ambito alcune frasi rivolte dall’uomo alla sua compagna, sono tipiche ed esemplificative: - Sei grassa! (magra, brutta, ecc.) - Scusatela mia moglie è una deficiente! - Sbagli sempre tutto! Non ne fai una giusta! - Ma come non ti ricordi! Me l’hai detto proprio tu! - Non me l’hai mai detto! Te lo sarai immaginato! - Le tue amiche sono insignificanti, proprio come te! - Se ti lascio, rimarrai sola per tutta la vita! Queste e altre frasi simili, sono tutte riconducibili a una vera e propria manipolazione mentale dell’offender e spesso sono confuse con un cattivo ma giustificato come (scelta) personale, rapporto di coppia. Questo tipo di violenza, a mio avviso più frequente degli atti persecutori 35 (Stalking) ma non per questo meno grave, ha un altro svantaggio per le vittime, poiché anche loro, spesso non si rendono conto di essere ormai incappate in un gorgo psicologico dai tristi sviluppi. Questa forma di aggressività è paragonabile a una violenza gratuita, quotidianamente erogata, capace di annullare la persona che ne è vittima. La donna spesso giustifica il suo carnefice, perché sente di essere lei quella “sbagliata”, non ci sono, infatti, litigi, aspre discussioni, tutto sembra normale, il compagno è amorevole, disponibile, sempre pronto a consolare la sua donna quando si accorge di avere detto qualcosa di sbagliato (provocata o indotta dallo stesso offender) che non la biasimerà per la sua inadeguatezza. La donna si troverà inevitabilmente costretta da questo comportamento e, piano piano, le sue resistenze si affievoliranno sino a scomparire del tutto, diventando ignaro complice del suo aguzzino. Un reato, per questo, tra i più ignobili e meno facilmente qualificabili giuridicamente, che spesso sfocia nel suicidio della vittima. Quanti delitti di questo tipo possono potenzialmente restare impuniti? Difficilmente o almeno non sempre si scopre chi provoca o induce la vittima a porre fine alle sue sofferenze psicologiche. Le sole forze dell’ordine non potrebbero contrastare questo delitto, perché troppo spesso le vittime non si rivolgono alle Istituzioni, e non cercano neanche aiuto, convinte, come già detto, che siano loro il problema. Per questo occorre una sensibilizzazione di tutti, bisogna suggerire alle donne che riteniamo vittime di questi comportamenti, di chiedere aiuto a professionisti: forze di polizia, psicologi, associazioni di volontariato e di ascolto, avvocati, o magari proponendo di leggere articoli sull’argomento in modo da fornire loro un aiuto anche solo empirico che almeno le aiuti ad affrontare il problema con la consapevolezza della sua esistenza, facendole uscire dal torpore e dalla confusione tipici del Gaslighting. Bisognerebbe poi agire sui mezzi di 36 comunicazione, in primis sulle scuole, i media in genere, televisione, giornali, pubblicità, in modo da portare il Gaslighting all’attenzione di più persone possibili. Non è pensabile che argomenti meno importanti, come le idee politiche e religiose si siano radicate grazie alla propaganda che se n’è fatta e non si possa fare lo stesso con una piaga così grave come la violenza sulle donne. Ritornando all’apertura di questo articolo, voglio concludere con un’altra frase della citata canzone di Franco Califano, quel Minuetto cantato dalla grande Mimì, che invito ad ascoltare a tutte le donne, la quale dice: “Costa cara la felicità…meglio la libertà, piuttosto che aspettarti nelle sere per elemosinare amore...” NOTE [1] Criminologo; Luogotenente dei Carabinieri; Laureato con lode in scienze per l’investigazione e la Sicurezza; Master in Antropologia Filosofica, Criminologia e Tecniche Investigative Avanzate; grafologo della consulenza peritale. [2] L. Garofano “La prova regina” (Uomini che uccidono le donne) http://www.convincere.eu/criminologia/item/219-la-prova-regina-uomini-che-uccidono-le-donne [3] http://www.donneperlasicurezza.it - www.senzavelisullalingua.com [4] http://it.wikipedia.org/wiki/Gaslighting [5] Victor Calef and Edward M. Weinshel, in Edward M. Weinshel/Robert S. Wallerstein, Commitment and Compassion in Psychoanalysis (Routledge 2003) p. 83 37 STALKING: IL RUOLO DELLE FORZE DI POLIZIA di Francesco Caccetta “…non ha più una vita, non può uscire la sera, non può andare a fare una passeggiata, spese in un supermercato, niente senza il terrore di trovarselo davanti. O alle spalle. E infatti non esce più. Vive rinchiusa in casa, come se fosse un carcere. Lui invece può girare indisturbato”.[1] Questo brano di un bellissimo libro dello scrittore e Magistrato Gianrico Carofiglio, illustra in maniera icastica, l’angoscia e lo stato d’animo della vittima di stalking. Il termine Stalking, è di chiara origine venatoria, in quanto il suo significato è proprio “fare la posta ad una preda” e le cronache di questi ultimi anni, ci portano spesso a conoscenza di casi di persone, vittime di quella che viene definita come “sindrome del molestatore assillante”, il più delle volte, con casi eclatanti, sfociati nell’atto estremo dell’omicidio. In un recente passato, il persecutore, che da ora in poi chiameremo stalker, non aveva ancora una posizione precisa nel nostro ordinamento giuridico, ed i suoi comportamenti, ancorché illeciti, venivano individuati in un coacervo di reati minori che, anche se perseguiti penalmente, non sempre riuscivano a farlo desistere dal suo intento. Questo creava molta insicurezza, rassegnazione e senso di abbandono per la vittima, che finiva per subire le condotte moleste e persecutorie senza quasi opporre più alcuna resistenza, nonché delle 38 serie difficoltà oggettive anche alle forze di polizia impegnate a contrastare questo strano fenomeno con scarsissimi mezzi soprattutto giuridici e preventivi. Con l’introduzione dell’art.612 bis del codice penale, avvenuta in data 23 aprile 2009, anche in Italia, lo stalker è finalmente perseguito con una norma specifica, esaustiva e, a mio parere anche efficace. Ma una cosa che ritengo utile per i cittadini, è sapere e comprendere, che lo stalking, non è soltanto quello che culmina nell’omicidio, ma esiste un cospicuo numero di persone, (soprattutto donne, anche se il fenomeno riguarda ambo i sessi), vittime di atti persecutori, che ogni giorno in silenzio e solitudine, subisce, sottovalutando quelli che in medicina si dicono “prodromi” ossia quelle manifestazioni morbose che precedono l'insorgere di una sintomatologia caratteristica che nell’immediato futuro potrebbe rivelarsi fatale. Giova sapere, che tra lo stalker e la vittima, si viene ad instaurare una relazione forzata, con una forte componente di controllo, che inevitabilmente va a condizionare lo svolgimento della vita della persona perseguitata, che vivrà in un continuo stato di paura e di ansia, con disturbi del sonno, della concentrazione ed a volte con la comparsa del cosiddetto disturbo posttraumatico da stress, che spesso non termina neanche dopo la cessazione delle molestie. La vittima è quindi costretta a stravolgere la sua vita privata, cambia il suo numero di telefono, cambia abitazione ed a volte lavoro, non va più in palestra ed alla fine non esce più di casa. L’offender (lo stalker) agisce con minacce, molestie, a volte anche con percosse dagli esiti lesivi anche importanti, con lo specifico intento di indurre nella sua vittima un disagio di natura psichica e fisica, ma soprattutto un terribile senso di paura. Le vittime, non sempre riescono a riconoscere da subito il pericolo che incombe, di solito minimizzano o giustificano i comportamenti del/della partner, anche a causa di retaggi culturali, non 39 proprio di vecchia data, confondendo comportamenti malevoli, con quelli più blandi, tipici della semplice gelosia, tanto iconizzata anche dalla nostra cultura cinematografica, legittimando alcuni comportamenti e ignorando così, i segnali del pericolo imminente. La linea di confine tra il corteggiamento e lo stalking, purtroppo nella fase iniziale, può essere minimale, impercettibile, ma assume un grande significato, quando inizia a limitare la vita della vittima, la quale si accorgerà di essere sempre in uno stato di allerta come se da un momento all’altro potesse sopraggiungere qualche pericolo. Da quel momento, significa vivere nell’incubo, costantemente controllati, continuamente guardati a vista, umiliati/e con gli amici e spesso anche sul luogo di lavoro, con diffamazioni, divulgazioni di notizie intime o riservate, scritte sui muri dei luoghi di lavoro. Si subiscono comunicazioni intrusive, tramite lettere, sms, e-mail, furti di identità sui social network (face book, twitter ecc.) divulgazione di foto o notizie su internet, in una escalation di problemi sempre più difficili da affrontare e risolvere da soli! Ci sarebbe molto da dire sulle categorie degli stalker e anche delle stesse vittime, ma il mio intervento, anche questa volta vuole essere di taglio pratico, un consiglio ed un incitamento, ad uscire allo scoperto, per le persone che si riconoscono in qualche modo vittime di questi comportamenti persecutori. Per questo, mi limiterò a fare qualche accenno sulle cose da non fare e quelle invece da fare subito, per uscire presto da queste terribili situazioni. Prima di tutto, bisogna dire che lo stalker non sempre è una persona affetta da un disturbo mentale e, anche se esistono alcune forme di persecuzione agite da psicotici, non sempre esiste una condizione inquadrabile in un contesto psicopatologico, ne associato ad abuso di alcol o sostanze stupefacenti. Dal punto di vista psicopatologico, il fenomeno dello Stalking non essendo omogeneo, non è classificato in 40 una categoria diagnostica definita e non sempre è possibile attribuire la presenza di una patologia mentale nell’agire dei soggetti che compiono atti persecutori. Si parla infatti di disturbo della personalità, disturbo ossessivo o border-line, ma non esiste una precisa diagnosi. È bene sapere che oggi, le forze dell’ordine, sono più ferrate di un tempo in questa materia e, sia i Carabinieri sia la Polizia di Stato, hanno attivato dei servizi ad hoc che trattano l’argomento, con indirizzo di aiuto per le vittime ed hanno sperimentato una serie di interventi per fare desistere lo stalker, con provvedimenti di natura penale, ma anche di natura amministrativa. Andiamo quindi ad esaminare alcuni consigli per le vittime. Come ho detto prima, a volte (spesso) si tende ad individuare il reato di stalking anche in altri comportamenti che niente hanno a che fare con quel delitto, oppure, in casi conclamati, si tende a sottovalutare il rischio, con conseguenti minori precauzioni, come ad esempio non adottare comportamenti che scoraggino invece, fin dall’inizio, il molestatore. Vediamo meglio ed iniziamo con una premessa: Prima di parlare di stalking, occorre che i comportamenti assillanti e gli atti persecutori (intesi come un insieme di condotte reiterate nel tempo, dirette o indirette, indirizzate ad una persona conosciuta o sconosciuta, che inducono chi le subisce in uno stato di soggezione o grave disagio fisico o psichico), siano ripetuti e perduranti. Alcune teorie attualmente in voga, parlano di almeno dieci ripetizioni in uno spazio di almeno un mese, ma questi termini non sono perentori ed ogni caso deve essere valutato di volta in volta dalle forze dell’ordine. Se parliamo di rapporti tra ex, se la relazione è terminata o, per qualsiasi ragione, è indesiderata, bisogna sapere dire di no, con chiarezza e soprattutto fermezza, evitando assolutamente di assurgersi alla figura di psicologo improvvisato, o cercando di avere compassione per l’offender, perché questi 41 atteggiamenti (da parte della vittima), rafforzano i comportamenti persecutori dello stalker, il quale ne trae quindi beneficio! Ormai è assodato che lo stalker, si rinforza sia con i comportamenti di rabbia, sia con quelli di paura della persona perseguitata. Rivolgersi da subito alle forze di polizia, garantirà risultati migliori. Spesso, per quanto possa apparire assurdo, ma le statistiche dicono così, la preoccupazione delle vittime è quella di fare del male al loro persecutore, perché magari c’è un ricordo di un legame affettivo forte, che impedisce di prendere provvedimenti contro quella persona che una volta si amava, preferendo continuare a soffrire sottovalutando le conseguenze di questo comportamento. Per ovviare a questo è bene sapere che sono previsti dei passaggi meno dolorosi anche per lo stesso stalker, il quale, se si interviene subito, potrebbe senz’altro uscire indenne da pregiudizi penali. Mi riferisco all’istituto dell’ammonimento, introdotto dall’art. 8 del decreto legge 11/2009, il quale prevede che, fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’art. 612-bis del codice penale (Atti persecutori, che ricordiamo prevede un periodo di sei mesi al contrario delle normali querele che prevedono invece il termine di tre mesi), la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza (Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia Locale), avanzando richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta verrà trasmessa al Questore, il quale, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ”ammonisce” oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento (con provvedimento in forma di verbale), invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e cessare immediatamente i comportamenti segnalati. Una cose a mio avviso importante, prevista con l’ammonimento, consiste inoltre nel potere del 42 Questore di valutare l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni, in poche parole togliere le armi, ancorché regolarmente e legittimamente detenute dallo Stalker (che magari è un cacciatore ed ha quindi facilità di reperire un arma da fuoco), riducendo il potenziale pericolo di offesa, iniziando quindi a tutelare la vittima e nel contempo, far capire all’offender che la cosa è seria e che forse sarebbe meglio davvero desistere dai comportamenti persecutori. Nel caso in cui lo Stalker, già ammonito, non desista nel suo insano comportamento, la pena per il delitto di cui all’art. 612-bis del codice penale è aumentata e si procede d’ufficio (cioè indipendentemente dalla volontà della vittima). In effetti la norma si caratterizza per la finalità di sventare, nel contesto delle relazioni affettive e sentimentali, le condotte di per sé violente o disdicevoli che, pur se non essere tali da integrare (ancora) un reato contro la persona o il patrimonio, potrebbero degenerare e preludere a veri e propri comportamenti delinquenziali[2]. Altra cosa importante da sapere, vero toccasana per le persone perseguitate, è che la cosiddetta “legge sullo Stalking”, ha anche introdotto un articolo nel codice di procedura penale, che concorre a tutelare ancora di più la vittima. L’articolo in questione è il 282 ter c.p.p. che consiste nel divieto di avvicinamento e nell’obbligo di mantenere una certa distanza dai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa o dai propri cari. Nel corso delle indagini preliminari o durante il dibattimento (siamo quindi nella fase successiva all’ammonimento o in quella comunque dove già è stata presentata una denuncia contro lo stalker), il Pubblico Ministero può chiedere al Giudice competente (g.i.p.) l’emissione del provvedimento suddetto. A questo punto, anche se non ritengo di avere completamente esaurito l’argomento, spero sia chiaro, che non esistono remore a ricorrere alle Forze dell’ordine qualora ci si sentisse in qualche modo 43 vittime di atti persecutori. Vorrei informare le persone che leggono questo articolo, che in questo modo, sarà più facile, per le forze di polizia, tutelare sia la vittima che i propri cari, da atti inconsulti dello stalker e, nel contempo, aiutare anche lo stesso molestatore che è per primo vittima egli stesso della persecuzione ossessiva che mette in atto nei confronti dell’altra persona. Agli strumenti repressivi nei confronti dello stalker, potranno infatti essere affiancate terapie e forme di vigilanza al fine di fargli recuperare l’ormai compromesso equilibrio psichico. Le vittime invece, potrebbero uscire da un incubo, dal quale da sole, sarà difficile svegliarsi! Rivolgetevi alle forze di polizia…possiamo aiutarvi! NOTE [1] G. Carofiglio “Ad occhi chiusi”, Sellerio editore, Palermo 2007 [2] Tar Campania – Sentenza n. 114/2011 44 STALKING E CYBERSTALKING: ELEMENTI COMUNI E DIFFERENZE di Maria Teresa Cotroneo L’evoluzione delle tecnologie informatiche e della comunicazione, ha introdotto un nuovo modo di comunicare nella realtà quotidiana in un nuovo luogo: il cyberspazio. Il cyberspazio è una proiezione della vita reale ed in quanto tale in esso vengono svolte le normali attività quotidiane, come stringere nuove amicizie o condividere informazioni. Ma come nella vita reale, anche nello spazio cibernetico, ci si può imbattere in persone ritenute affidabili ma che in realtà non lo sono. Il cyberspazio consente a tutti di essere contatti, consente quindi anche di subire comportamenti molesti come lo stalking, ovvero il cyberstalking. Gli attori nel caso dello stalking sono gli stalkers, per il cyberstalking sono i cyberstalkers. Ciò che li differenzia sono gli strumenti utilizzati per perpetrare questi comportamenti molesti. Nel caso dello stalking tradizionale gli strumenti più usati sono: 1. pedinamenti 2. comparse sotto casa, ufficio , scuola, chiese 3. telefonate assillanti Nel caso del cyberstalking si ha prevalentemente: 1. quelli che sono i pedinamenti per lo stalking diventano pedinamenti virtuali perpetrati attraverso l’uso di softwares di controllo come spyware, il GPS (Global Positioning System, ovvero il sistema di 45 posizionamento globale), attraverso i social networks come Facebook, Linkedin, Twitter etc.; 2. le “presenze” e i pedinamenti possono essere perpetrate sempre sui social networks o attraverso l’invio di mail anonime e/o di messaggistica istantanea come WhatsApp, Skype, Goggle talk, Snapchat , Viber etc.; 3. le telefonate assillanti sono sostituite dall’invio di mail anonime e dalla messaggistica istantanea; 4. La diffamazione della vittima avviene su siti web o attraverso l’impersonificazione della vittima attraverso l’invio di mail anonime; Nel caso dello stalking si parla di molestia, nel caso del cyberstalking si parla di cybermolestia, ma entrambe sono accomunate dall’avere lo stesso effetto reale di suscitare terrore e avere un impatto sulla libertà e la vita privata della vittima. Il rischio è poi che il cyberstalker può decidere di passare dalla vita virtuale, cibernetica, a quella reale, e quindi la cybermolestia può diventare una molestia fisica, concreta e pericolosa. Cyberstalking: come viene perpetrato I pedinamenti virtuali possono essere perpetrati (da un persecutore relativamente esperto di informatica) attraverso un accesso illegale al dispositivo elettronico della vittima (smartphone, tablet, computer). Questo accesso può essere eseguito mediante l’invio di mails contenenti dei codici malevoli, attraverso il bluetooth o il contatto diretto con il dispositivo della vittima. Una volta realizzato l’accesso, (senza il consenso dell’utente del dispositivo elettronico) si possono installare softwares di intercettazione, eseguiti in background senza che la vittima se ne possa 46 accorgere. Un esempio di questo tipo di software è lo spyware. Lo scopo degli spyware è quello raccogliere dati sulle attività svolte, come il controllo del registro delle chiamate nonché il loro ascolto, il controllo del registro degli sms e degli mms nonché i loro contenuti, il controllo del funzionamento delle applicazioni come l’attivazione da remoto delle webcams o delle fotocamere, dei microfoni, il controllo dell’agenda quindi degli impegni della vittima, i siti webs che vengono visitati. Tutte queste informazioni vengono raccolte e inviate via internet. Questo dato è da sottolineare perché verrà utilizzato nelle attività investigative per la ricerca della sorgente, quindi il cyberstalker, da cui le cybermolestie hanno avuto origine. Un altro esempio di software di intercettazione sono i Keyloggers, ovvero degli strumenti di sniffing (intercettazione), che possono essere sia a livello hardware, e in questo caso il cyberstalker ha avuto il contatto diretto con il dispositivo della vittima, che software. Questo strumento intercetta quello che un utente digita sulla tastiera del proprio smartphone, tablet o computer. Anche in questo caso i dati vengono raccolti e inviati via internet. Altri software di intercettazione sono quelli che forniscono la geolocalizzazione del telefono, utilizzando i dati forniti dal sistema di posizionamento globale, il GPS. Anche in questo caso i dati vengono raccolti e inviati via internet. Un altro modo di eseguire i pedinamenti virtuali potrebbe essere fornito dalla vittima stessa con un’autoreferenziazione sul luogo in cui si trova attraverso un uso non protetto dei social networks. Un esempio è la funzione di geotagging attiva, che fornisce in automatico le informazioni sul luogo in cui ci si trova. Il cyberstalking può essere perpetrato attraverso l’invio di mail anonime contenenti messaggi indesiderati e/o minacciosi (spamming) o utilizzando allo stesso modo la messaggistica istantanea, diffamando la vittima pubblicando contenuti offensivi su siti web 47 (soprattutto siti erotici), impersonificando la vittima in chat o inviando mail con allegati dannosi a contatti personali o professionali. Qualche suggerimento preventivo Vengono riportati alcuni suggerimenti preventivi per ridurre la probabilità di essere potenziali vittime di un cyberstalker: 1. non lasciare mai incustoditi i propri dispositivi elettronici (smartphones, tablets, PC, penne USB) 2. usare codici di accesso (Password, Pin) 3. Essere informati su eventuali exploit di sicurezza (vulnerabilità) dei sistemi operativi e delle applicazioni installate 4. eseguire l’aggiornamento dei software antivirus, antispyware e firewall hardware/software 5. usare il Bluetooth solo quando necessario 6. disattivare la funzione di geotagging 7. Informarsi sulle impostazioni di privacy dei Social Networks qualche suggerimento in presenza di cybermolestie Nel caso in cui si ritiene di essere vittime di cyberstalkers, si consiglia di fare la denuncia alle forze dell’ordine e di seguire i seguenti suggerimenti: 1. conservare e-mails ed sms; 2. nel registro chiamate impostare il salvataggio della cronologia dei programmi di chat e ISM (messaggisica istantanea); 3. Conservare l’URL dei siti web (ovvero l’indirizzo web della pagina contenente le minacce o le possibili offese) e se possibile fare anche delle foto; 48 4. non disattivare le proprie utenze (chat, ISM, Social Networks) per poter continuare a collezionare prove. Queste informazioni saranno poi preziose nell’attività investigativa e in caso di processo penale e civile. Attività investigativa e illusione di anonimizzazione Il cyberstalking è classificabile come un reato riconducibile all’art. 612-Bis. C.p. "atti persecutori". In quanto reato l’obiettivo è quindi quello di identificare il potenziale reo attraverso la prova informatica, ovvero attraverso l’identificazione di un indirizzo IP, il quale “marca” quindi univocamente uno specifico computer o nodo di rete. L’indirizzo può essere visto come una sorta di Carta d’identità digitale in rete. Nel caso di pedinamenti virtuali eseguiti attraverso l’uso di software d’intercettazione (spyware, Keylogger, GPS), si è visto che questi raccolgono dati e li inviano via internet. Analizzando il percorso che porta al destinatario, si può risalire all’IP del cyberstalker e quindi alla sua identificazione. Nel caso di mail anonime, messaggistica istantanea ISM, siti web con offese, minacce o molestie, si distinguono due diversi scenari per le attività investigative, ovvero lo scenario di rete di telefonia mobile e quello di telefonia fissa. Nel caso dello scenario investigativo di rete di telefonia mobile, l’indirizzo IP è fornito dall’ISP (Internet Service Provider, il fornitore del servizio internet) del gestore di telefonia mobile. In questo caso si ha un’utenza specifica e quindi l’identificazione del cyberstalker. L’identificazione dell’indirizzo IP può essere però complicata dall’anonimizzazione (spoofing) permessa dal cyberspace. Questa anonimizzazione dell’indirizzo IP può essere fatta in connessione, ovvero 49 prima dell’accesso nella rete internet, o in navigazione, ovvero dopo l’accesso alla rete internet, per esempio utilizzando dei proxy servers. Lo scenario investigativo dell’anonimizzazione viene suddiviso in due sottoscenari: quello in cui l’anonimizzazione può avvenire in navigazione e quello in cui può avvenire in connessione. Nel caso di anonimizzazione in navigazione il cyberstalker si connette alla rete internet con il suo indirizzo IP, successivamente lo potrebbe alterare passando per esempio attraverso uno o più server proxy. Le cybermolestie saranno caratterizzate da un indirizzo IP finale. Eseguendo un’analisi di IP traceback, ovvero un’analisi all’indietro del percorso seguito dalla cybermolestia partendo dall’indirizzo IP finale, assieme ad un’analisi incrociata dei dati raccolti, come i file di log degli ISP (file contenenti tutte le attività eseguite in ordine cronologico e contenenti informazioni sul tipo di hardware usato, il sistema operativo, la versione del browser utilizzato e la lingua), o le informazioni sugli elementi di rete interessate dal percorso, si ha una buona probabilità di risalire all’IP sorgente, ovvero a quella del cyberstalker. Si ha quindi una buona probabilità di identificazione del cyberstalker. Nel caso di anonimizzazione in connessione il cyberstalker si connette alla rete con l’indirizzo IP già modificato. Successivamente potrebbe anonimizzare ulteriormente l’indirizzo IP, passando anche in questo caso attraverso uno o più server proxy. Una possibile attività investigativa potrebbe consistere nel far sempre uso delle metodologie di IP traceback, ma in questo caso servirebbe riuscire a individuare ulteriori dati utente/macchina che siano ricorrenti e associabili alla navigazione in internet vista come un oggetto da analizzare, e del quale quindi risulta utile individuarne proprietà e caratteristiche. Questo aiuterebbe a identificare con buona probabilità 50 l’indirizzo IP da cui ha avuto origine la cybermolestia, e quindi ad identificare il possibile cyberstalkers. Conclusioni L’attività investigativa può fornire un’identificazione certa del potenziale reo, o comunque fornisce una buona probabilità di identificazione di questo, anche nei casi di cyberstalking. Questo permette di giungere alla conclusione che è possibile parlare di “illusione di anonimizzazione”, malgrado il cyberspazio consente a volte la possibilità di nascondere l propria identità a un’osservazione superficiale, in quanto la navigazione in internet lascia sempre e comunque delle tracce della propria attività, e queste tracce vengono in aiuto alle attività investigative per l’identificazione del reo. 51 LO STALKING DELLE CELEBRITA’ Di Marco Strano Tra gli stalker rientrano anche molestatori di celebrità che in alcuni casi hanno seguito e perseguitato per anni stars del cinema, campioni dello sport, artisti ecc.. Si tratta sovente di molestatori sessuali abituali o conquistatori maldestri, che individuano l’oggetto del loro desiderio nella vittima (anche sconosciuta) ed effettuano una serie di tentativi di entrare in contatto con lei. A nulla valgono i dinieghi e le palesi dichiarazioni della vittima. Alcuni casi esemplificativi, ai danni di personaggi famosi, ci possono essere utili per comprendere questa tipologia di stalking. Il caso di Pamela Anderson Siamo nell’estate del 2005 a Los Angeles, per oltre un mese la famosa attrice di origine canadese Pamela Anderson, protagonista di diverse serie televisive di successo, i suoi figli di 7 e 9 anni e alcuni membri della sua famiglia, vengono avvicinati da un uomo di 29 anni, William Stansfield di New Castle – Inghilterra - mentre si trovano in vacanza a Malibu. Stanfield tenta di convincere la Anderson a licenziare il suo attuale manager per assumere lui per badare ai suoi interessi di attrice. Stanfield si spinge davvero oltre ogni limite ragionevole. Contatta infatti direttamente il figlio minore della Anderson mentre si trova a scuola. Quando riesce ad avvicinarsi a Pamela le chiede con insistenza di lasciare la serie Tv per cui 52 sta lavorando per impersonare il ruolo della protagonista di un film che lui ha scritto appositamente per lei. Poi Stansfield diventa sempre più insistente, invadente, ossessivo. Un giorno segue la madre della Anderson e i due figli dell’attrice mentre sono in fila all’ufficio postale di Malibu. L’anziana donna si spaventa molto perché l’uomo la obbliga a prendere con sé dei documenti da portare a Pamela. Ma la madre dell’attrice non è stata l’unica parente della Anderson ad essere stata avvicinata dallo stalker. Anche la cognata dell’attrice e la sua babysitter sono state in più occasioni importunate dall’uomo. Questo è decisamente troppo e la Anderson decide di denunciare l’uomo per ottenere un ordine restrittivo nei suoi confronti. Il caso di Jody Foster I soggetti appartenenti a questa categoria talvolta presentano modalità compulsive o possono giungere a vere e proprie forme di delirio. Si tratta in questo caso di soggetti gravemente disturbati che nei loro deliri immaginano che una persona possa desiderarli ardentemente. John Warnock Hinckley è nato ad Ardmore, in Oklahoma, il 29 maggio 1955 da una famiglia apparentemente normale. Il padre di Hinckley era infatti il presidente di un’importante organizzazione locale mentre sua madre stava a casa ad occuparsi dei bambini. Quando John aveva 4 anni la sua famiglia si trasferì a Dallas, Texas. Durante gli anni della scuola superiore John comincia a mettere in mostra una certa tendenza progressiva verso l’isolamento sociale. Passava infatti ore e ore da solo a casa a suonare la sua chitarra e ad ascoltare musica. Nel 1973, dopo essersi diplomato, John e la sua famiglia si sono spostati a Evergreen, in Colorado per seguire la carriera del padre. Nel 1976 però John lascia il college e decide di 53 andare in California per realizzare il suo sogno di diventare autore di canzoni di successo. Mentre è nel suo appartamento a Hollywood, John vede per la prima volta il film “Taxi Driver”, con una giovanissima Jodie Foster come protagonista. Quell’estate John vedrà quel film ossessivamente almeno una quindicina di volte e parallelamente comincerà a scrivere ai genitori raccontando di una fantomatica ragazza di nome Lynn Collins, come la protagonista del film. Il disagio mentale di John comincia ad essere preoccupante e nel 1976 viene richiamato all’ordine dalla famiglia e torna quindi ad Evergreen, dove lavora per un po’ come cameriere in un lussuoso ristorante della cittadina per qualche mese. Nella primavera successiva però torna in California e poi nuovamente in Texas dove si iscrive al college. La sua spiccata propensione alla solitudine non passa inosservata nemmeno qui. Parallelamente comincia a collezionare armi da fuoco. Le sue condizioni mentali continuano a peggiorare e nel 1980 gli vengono prescritti degli antidepressivi e dei tranquillanti. La sua ossessione per Jodie Foster, nata molti anni prima, non accenna a diminuire nemmeno con l’aiuto dei farmaci. Nel 1980 scopre dai giornali che Jodie Foster avrebbe frequentato la Yale University quell’anno e decide di iscriversi per stare il più vicino possibile alla ragazza che tanto l’aveva impressionato anni prima. Una volta a Yale John tenta più volte di mettersi in contatto con Jodie lasciando lettere e poesie nella sua buca per le lettere. Riesce persino a parlare per due volte al telefono con lei cercando di rassicurarla sul fatto che lei non aveva niente da temere da lui. La sua ossessione per Jodie era pari solo alla sua crescente ossessione nei confronti dell’omicidio. Ad un certo punto Hinckley comincia a pensare che solo l’assassinio del presidente degli Stati uniti gli avrebbe garantito una notorietà sufficiente in grado di guadagnarsi finalmente l’amore e il 54 rispetto della sua tanto amata Jodie. Ed è per questo che nel 1980 decide di cominciare a perseguitare il Presidente Carter durante le sue uscite pubbliche. In più occasioni viene fermato dai servizi di sicurezza in possesso di armi da fuoco e segnalato per questo a più riprese. A questo punto la famiglia obbliga Hinckley a farsi vedere da uno psichiatra che suggerisce di lasciare che John cominci a vedersela da solo perché solo così poteva davvero crescere e guarire. Nel marzo del 1981 John, che all’epoca si era recato a Washington D.C, scrive una lettera a Jodie Foster in cui descrive nel dettaglio il suo piano per assassinare il Presidente Reagan per tentare di impressionarla. Una volta inviata a lettera John si reca in taxi al Washington Hilton Hotel in cui Reagan stava per tenere un discorso durante una convention. Alle 13.30 del 29 marzo del 1981 John Hinckley Jr sbuca fuori da una folla di sostenitori di Reagan e spara sei colpi dal suo revolver che colpiscono il Presidente Reagan in pieno petto e anche altri membri del suo staff. Hinckley viene immediatamente arrestato. In seguito, nel 1982 venne internato in un ospedale psichiatrico perché ritenuto incapace di intendere e di volere. Il caso di Brad Pitt Ma non solo le donne famose divengono vittime dei stalking. Anche alcuni uomini famosi sono stati molestati. Athena Marie Rolando, 20 anni, nel febbraio del 1999 viene infatti arrestata per aver violato i termini della libertà sulla parola per un altro crimine e per aver violato un ordine di restrizione che le impediva di avvicinarsi a Brad Pitt ed alla sua abitazione. Alla ragazza dopo una serie di tentativi di avvicinarsi alla star, viene ordinato di stare ad almeno 100 meri di distanza dall’attore che l’aveva più volte denunciata già a partire dal 1996. Il 7 gennaio dello stesso anno 55 infatti una delle domestiche di Pitt aveva trovato la Rolando che dormiva in una delle camere del piano superiore della villa dell’attore con indosso alcuni abiti di Pitt. Si era introdotta nell’abitazione attraverso una finestra aperta sul retro. La Rolando era rimasta all’interno dell’abitazione per almeno 10 ore prima di venire scoperta e aveva avuto modo di frugare indisturbata tra gli oggetti personali dell’attore ed indossarne svariati abiti ed indumenti. Pitt non era però a casa in quel momento perché era in Grecia in visita ai parenti della fidanzata dell’epoca. Questa non era certo la prima volta che la Rolando aveva tentato di avvicinare l’attore. Nel periodo precedente infatti aveva lasciato tutta una serie di lettere e messaggi dal contenuto bizzarro e minaccioso sul cancello dell’abitazione di Brad Pitt già a partire dal settembre del 1996. Il caso di Madonna La rock star Madonna è una delle persone che ha dovuto più di una volta “lottare” con molestatori assillanti….. Robert Dewey Hoskins, nato in Oregon nel 1957, trsportatore, nel 1995 viene arrestato e condannato per aver perseguitato, minacciato e tentato di uccidere la pop star americana Madonna. Hoskins tenta di avvicinare Madonna per la prima volta nel 1995 quando scavalca le mura di recinzione dell’abitazione della cantante a Los Angeles. Una volta nel giardino della pop star viene fermato da una delle bodyguard ma Hoskins riesce a fuggire. Il giorno dopo avvicina l’assistente personale di Madonna, Caresse Henry, per riferirle tutta una serie di minacce rivolte contro la cantante. Lo stesso giorno lascia un biglietto attaccato sul cancello principale dell’abitazione di Madonna in cui professa tutto il suo amore per la cantante ed in cui le chiede di diventare sua moglie. Qualche tempo dopo Hoskins tenta nuovamente di 56 introdursi all’interno dell’abitazione della star ma viene nuovamente intercettato dalla bodyguard. In quell’occasione Hoskins dice alla bodyguard che lui è lì per tagliare la gola a Madonna “da un’orecchio all’altro” se la cantante non avesse accettato di sposarlo quel giorno stesso. Ciò accade proprio mentre Madonna sta tornando a casa sulla sua bicicletta ma Hoskins non la riconosce e si allontana. A quel punto viene contattata la polizia ma dell’aggressore nessuna traccia. 7 settimane più tardi, il 29 maggio del 1995, Hoskins si introduce nuovamente all’interno della proprietà di Madonna mentre lei però è a New York. Anche questa volta però si imbatte nella guardia del corpo di Madonna che gli spara e lo ferisce. Subito dopo Hoskins viene arrestato. Il processo si apre nel gennaio del 1996. Madonna testimonia al processo il 2 gennaio e lamenta tutta una serie di problemi fisici e psicologici causatole dalla persecuzione subita da Hoskins. Il 9 gennaio, a dispetto dei tentativi della difesa di dipingere Hoskins come un soggetto bisognoso di cure psichiatriche, viene emesso un verdetto di condanna verso lo stalker di ben 10 anni. Ma le disavventure di Madonna con gli stalker non sono finite. Nel 2002, mentre Madonna è a Londra, un altro fan ossessivo della star, con un passato di disturbi mentali, riesce a farsi assumere come gelataio all’interno del teatro di posa in cui l’attrice sta lavorando ad un suo nuovo video. Questa volta si tratta di Marcus Sessions, 28 anni. I reporter del Sun riescono a scoprire il suo passato di stalking nei confronti della star e pubblicano la notizia in prima pagina. I giornali riportano anche che session aveva allestito un vero e proprio “santuario” della star all’interno della sua abitazione e che era persino solito vestire come lei in privato. Nel 2000 era tra i sospettati di un furto all’interno dell’abitazione della star a Notting Hill ma nessuno venne arrestato per quella vicenda. Naturalmente i gestori dello Wyndham Theatre di Londra, dove Madonna 57 stava registrando, non erano a conoscenza del suo passato. Dal modo in cui il biglietto era stato scritto si denota una sorta di delirio religioso ed infatti Hoskins, sempre nella nota, scrive anche che coloro che si vestono in maniera inappropriata dovrebbero essere puniti e che i “fornicatori” dovrebbero essere uccisi. 58 STALKING: UNA GUIDELINE DI INTERVENTO FORENSE di Marco Strano La realizzazione di linee-guida per l’intervento nei casi di stalking rappresenta un obiettivo importante nell’ambito della comunità scientifica. Il protocollo di intervento nei casi di stalking, progettato dallo scrivente nel 2001, prevede l’intervento valutativo di una equipe multidisciplinare che agisce con approccio progressivo ed equilibrato (a fianco del Legale) composta dalle seguenti professionalità: 1. Investigativa (un investigatore privato) 2. Psicologico/psichiatrica (uno o più Psicologi/Psichiatri abilitati) 3. Medica (uno o più Medici Legali) 4. Tecnologica (un esperto di telefonia e computers) Nei casi in cui non si manifesta un rischio imminente per l’incolumità fisica della vittima si tenta inizialmente un percorso di risoluzione della situazione attraverso un supporto psicologico della vittima e mediante un progressivo intervento nei confronti dello/a stalker. I coordinatori delle equipe che si occupano di stalking e che applicano il metodo proposto dovrebbero infatti essere degli Psicologi iscritti all’Albo professionale con provata formazione ed esperienza. L’approccio al fenomeno stalking prevede i seguenti 6 steps: 1. Ricezione e valutazione della richiesta di aiuto; 59 2. Appuntamento al richiedente (entro 7 giorni dalla richiesta); 3. Primo colloquio: Presa in carico, compilazione di una scheda informativa standardizzata e analisi collegiale del caso; 4. Secondo colloquio: erogazione dei primi consigli legali e psicocomportamentali; 5. Intervento strategico (in base al protocollo) attraverso l’invio a Professionisti di area Legale e Psicologica convenzionati con l’equipe. 6. Monitoraggio del caso ed erogazione di ulteriori consigli I sei steps vengono indicati su una scheda diagnostica e trattamentale (SDTS) che contiene parti strutturate e parti di libera compilazione. La scheda SDTS (fornita gratuitamente su richiesta agli operatori e ai professionisti) rappresenta una sorta di cartella clinica sul caso trattato e contiene quindi sia le valutazioni diagnostiche iniziali che i risultati dell’intervento. Il protocollo di intervento, che nasce in seno alle equipe di volontari che operano sul territorio, può essere adottato anche dagli Studi Legali privati che dovranno però stringere collaborazioni stabili con Psicologi abilitati e specificatamente formati sulla tematica. In tale ottica la mia equipe sta svolgendo da numerosi anni attività di formazione e sensibilizzazione diffusa degli Avvocati e degli Psicologi in tutta Italia e all’estero. L’obiettivo è quello di fornire strumenti di gestione psicologica di casi particolarmente complessi e coinvolgenti quali sono abitualmente quelli di stalking. 60 L’approccio alla vittima Il contatto iniziale con una vittima di stalking è un momento estremamente delicato da cui spesso deriva la decisione di affidarsi o meno alla struttura ospitante. Nel protocollo adottato il primo colloquio viene preso su appuntamento (telefonico), è gratuito e finalizzato a: • Classificazione della vittima (ambivalenza, distorsioni cognitive ecc.) in base a un’apposita griglia (griglia A, fornita gratuitamente ai professionisti); • Classificazione dello stalker in base a un’apposita griglia (griglia B, fornita gratuitamente ai professionisti); • Valutazione della eventuale psicopatologia stalker (fino al delirio di possesso); • Definizione di un profilo criminale dello/a stalker (la tipologia criminale può comunque avere un substrato psicologico del comportamento di stalking legato allo sfruttamento, al desiderio di possesso, alla preservazione dell’autostima); • Valutazione dell’incapacità di elaborazione del distacco/abbandono da parte dello stalker; • Valutazione del rischio della vittima (e dell’urgenza) in base a un’apposita griglia (griglia C). La griglia C è rappresentata da una speciale intervista strutturata (fornita gratuitamente su richiesta nel corso di corsi di formazione per operatori). Griglia di analisi C La griglia C è uno degli strumenti dell’assessment sullo stalking (M. Strano, 2001) e propone una analisi del rischio basata su tre categorie: 1. HR (high risk) Elevato: incolumità fisica della vittima; 61 2. MR (meaddle risk) Medio: incolumità psicologica della vittima, modifiche radicali dello stile di vita della vittima; 3. LR (low risk) Basso: fastidio e parziale limitazione dei comportamenti abitudinari della vittima. L’urgenza dell’intervento dovrebbe essere definita in base alla classificazione e quantificazione del rischio subito da parte della vittima: • HR (high risk) elevato: azione legale (denuncia penale) immediata (cautelare); • MR (meaddle risk) medio: azione legale entro 30 gg; • LR (low risk) basso: tentativi di risoluzione extragiudiziaria e azione legale entro 6 mesi. Nei casi che rientrano nel rischio medio e nel rischio basso l’obiettivo è quindi quello di tentare – prima di giungere alla denuncia - risoluzioni extragiudiziarie attraverso il supporto psicologico e la coscientizzazione dello/a stalker mediante comunicazioni progressive prima informali e poi sempre più formali. Come si è detto le griglie di analisi A, B e C vengono fornite gratuitamente agli operatori (Psicologi abilitati) nell’ambito di interventi specifici di formazione. Dopo la fase diagnostica e di inquadramento del problema, viene attivata una fase di intervento che prevede le seguenti tipologie di azione: A. Supporto psicologico alla vittima • Psicologia di consultazione e Psicoterapia con la vittima; 62 • Contatti mirati di coscientizzazione con lo/la stalker attraverso lettere legali e incontri con l’equipe; • Incontri protetti tra vittima e stalker (approcci: terapia di coppia, terapia sistemico-relazionale, terapia neorogersiana) per favorire un distacco funzionale; • valutazione medico-legale del danno subito dalla vittima. B. Supporto legale alla vittima; • training alla vittima sui comportamenti funzionali da tenere con lo/la stalker; • training per aiutare la vittima nell’acquisizione delle prove (per una eventuale successiva denuncia); • denuncia e azioni di richiesta di risarcimento; L’Intervento strategico (step 5) viene suggerito anche in base alla classificazione dello stalker: • in caso di psicopatologia: tentativi di colloqui clinici con lo stalker (in accordo con la vittima); • in caso di scenario criminale (presenza di reati documentabili): predisposizione e deposito immediato della denuncia (in accordo con la vittima); • in caso di incapacità dello stalker di elaborazione del distacco/abbandono: colloqui con lo/la stalker e se opportuno tentativi di incontri protetti (al cospetto dell’equipe) tra vittima e stalker (in accordo con la vittima); Il protocollo antistalking (M. Strano 2001) è uno strumento dinamico in continua evoluzione in base alle esperienze e ai casi reali trattati. 63 Periodicamente vengono analizzati i casi trattati per integrarlo. Ogni caso preso in carico dalle equipe periferiche viene trasmesso in forma anonima alla sede centrale di Roma attraverso la compilazione di una scheda. Le valutazioni di rischio e la classificazione di vittima e stalker, vengono necessariamente fatte da coloro che svolgono i colloqui e che possono quindi sfruttare anche il canale intuitivo. Nello stile della mia equipe, però, il Gruppo centrale coordinato dal Direttore Scientifico si riserva la facoltà di fornire indicazioni sull’opportunità di presa in carico e sulle strategie da adottare. La raccolta centralizzata delle schede è utile anche per eventuali pubblicazioni scientifiche e per documentare l’attività delle equipe. stalking: una guideline investigativa A. Prima di presentare una querela per stalking è necessario per la vittima reperire il maggior numero di prove che possano poi reggere in dibattimento. Gli elementi probatori possono essere reperiti autonomamente dalla vittima o sotto la supervisione (consigliata) di un Investigatore privato abilitato alle indagini penali difensive. Questi gli elementi che andrebbero acquisiti e conservati (e allegati alla denuncia): 1. messaggi SMS, messaggi face book, schermate di chat, twitter, email e ogni altro messaggio elettronico acquisiti in forma forense; 2. tabulati telefonici; 3. filmati e fotografie della presenza dello/a stalker in prossimità dell’abitazione; 4. registrazioni audio di telefonate (specificando all’interlocutore che si sta registrando la conversazione); 64 5. documentazione fotografica di danneggiamenti, scritte sui muri e altri segni della presenza dello/a stalker; 6. testimonianze scritte (e firmate) di azioni denigratorie dello stalker fornite da parenti e conoscenti; 7. referti medici e psicologici di eventuali violenze subite. B. Gli elementi probatori dovrebbero essere in grado di dimostrare che le azioni poste in essere dallo/a stalker sono finalizzate alla persecuzione e non hanno carattere di casualità; C. L’elemento probatorio fondamentale da acquisire è legato alla “reiterazione” del comportamento e sulla sua capacità (il più possibile oggettiva) di provocare un disagio; D. Sarebbe anche auspicabile che il Legale che assiste la vittima (qualora le risorse economiche fossero sufficienti) desse un regolare mandato a un Investigatore Privato (in possesso di regolare licenza per le indagini penali) che possa effettuare una relazione tecnica corredata di documentazione fotografica. 65 EX-PAZIENTI ED EX-CLIENTI: LO STALKING SUBITO DALLE FIGURE PROFESSIONALI Di Marco Strano Il fenomeno dello stalking esaminato nel presente capitolo è quello che trae origine da rapporti di tipo professionale: attività lavorative come quella dello Psicologo, dell'Avvocato, del Giudice, del Docente, o del Medico, possono favorire l'instaurarsi di comportamenti di stalking da parte del cliente, sia per la natura intensa della relazione che si è creata con il professionista, sia per l'eventuale delusione relativa all'esito di un'azione intrapresa. Anche nello stalking professionale le minacce e le persecuzioni possono arrivare fino all'omicidio della vittima. Elemento degno di rilevanza criminologica e criminogenetica è quello secondo cui la categoria vittimologica ad alto tasso di rischio di stalking risulta essere quella denominata "help profession", ovvero tutte le professioni in cui gli operatori si adoperano per aiutare gli altri, fra cui: medici, psichiatri, psicologi, assistenti sociali. Sovente anche i poliziotti che svolgono servizio al pubblico possono rientrare in questa categoria vittimologica. Alcuni pazienti che molestano i loro terapeuti sono portati ad esempio a scambiare come personale un interesse esclusivamente professionale, pertanto, sperimentando la frustrazione che deriva da questa aspettativa, iniziano ad attuare comportamenti intrusivi per stabilire un contatto; in queste situazioni, i limiti imposti dalla relazione professionale, come ad esempio gli orari degli incontri prestabiliti e le telefonate solo per 66 emergenza, vengono superati. Il paziente inizia a telefonare insistentemente, invia lettere, si presenta a studio senza appuntamento, ritenendo di non sentirsi compreso o di sentirsi trattato male. Un aspetto rilevante è quello secondo il quale i professionisti di area psicologica sono molto riluttanti ad ammettere di aver bisogno di un aiuto per poter gestire la situazione, spesso per timore di essere ritenuti poco capaci dai colleghi, e perdere quindi di credibilità, oppure negano il problema e giustificano il paziente, attribuendo la molestia alla "malattia" del paziente. L'incidenza di stalking nei confronti delle “help profession” si può attribuire ad una serie di motivi, tra cui: 1. il professionista può diventare, nella mente del cliente, una persona "buona" o "cattiva", e sulla base di tali fantasie egli può dare origine a dei comportamenti "assillanti e molesti" nei confronti dello stesso, allo scopo di attirare l'attenzione e non separarsi mai da lui; gli incontri con il professionista sono attesi ed auspicati dal cliente come un momento positivi ed ansiogeno; 2. questi professionisti entrano in contatto con i bisogni più profondi del cliente, pertanto, possono divenire più facilmente oggetto di proiezioni, affetti e fantasie a diverso contenuto da parte dello stesso, tanto che, la riconoscenza si può trasformare progressivamente nel desiderio di un legame affettivo/amicale del quale non si può fare a meno. Come affermato da numerosi studiosi del settore (Popolla P.), è proprio dal concetto di bisogni da soddisfare da cui occorre partire per meglio comprendere cosa spinge un soggetto a perseguitare, fino all'aggressione fisica, un'altra persona: lo psicologo statunitense A. Maslow, tra il 1943 e il 1954 teorizzò la cosiddetta "piramide dei bisogni", che caratterizzano il 67 comportamento umano, da quelli più elementari, o fisiologici, che riguardano la sopravvivenza, a quelli più complessi che sono di carattere sociale. Nello stalking possiamo individuare alcuni di questi bisogni che sono quello di comunicare, di instaurare delle relazioni, di essere ascoltato. Nelle professioni d’aiuto il cliente normalmente viene ascoltato con attenzione dal professionista che di fatto soddisfa con efficacia il bisogno di comunicare del cliente. In soggetti con quadri critici di personalità, tali bisogni possono essere molto pressanti perché il soggetto non riesce a soddisfarli in una maniera adeguata al di fuori della relazione terapeutica, poiché presenta dei disturbi relazionali e, pertanto, la frustrazione che deriverebbe da un rifiuto “dall’unica persona al mondo che lo ascolta” sarebbe intollerabile. Progressivamente il soggetto non riesce a fare a meno di quella persona e lo spazio dell'altro diventa allora il suo terreno di conquista. Esistono in letteratura numerosi casi di stalking ai danni di professionisti, ma ciò che li accomuna è la presenza di una anomalia relazionale, che trae la sua origine in equivoci ed incomprensioni nei rapporti e nella non accettazione della risoluzione del rapporto da parte del cliente. Lo stalking delle professioni d’aiuto è comunque un fenomeno ancora oscuro ma di interesse oggettivo per il professionista. Le categorie maggiormente a rischio sembrano essere quelle che “risolvono problemi”, che riducono il dolore fisico e psichico, che offrono un supporto e un aiuto. Psicolgi, Medici, Fisioterapisti, Poliziotti ma anche Avvocati e altri professionisti che raggiungono un rapporto stretto con il paziente/cliente/cittadino. Gli studi sul fenomeno dello stalking nelle professioni d’aiuto sono comunque abbastanza rari e poco sistematici. Il professionista avrà vantaggi a conoscere il problema e a imparare a ridurre le conseguenze negative. Si ha motivo di ritenere che molti professionisti subiscono tentativi di intrusione (molesti) nella loro 68 sfera privata e che alcuni loro utenti tendano a far “virare” la relazione professionale in relazione amicale creando loro un disagio. Spesso ciò rimane nell’ambito del numero oscuro. Alcuni di questi casi sono però molto fastidiosi per il professionista e possono provocargli danni notevoli di immagine, relazionali, economici e fisici. Dimensioni psicologiche delle professioni d’aiuto L’utente nel rapporto con un professionista ottiene: 1. Soddisfazione del bisogno di comunicare (Maslow), di essere ascoltato; 2. Acquisizione (e tentativo di mantenimento) del ruolo ritenuto soddisfacente nella interazione/relazione. L’utente indica uno scenario e il professionista “esegue”. Lo stalker può compiere diverse azioni per tentare di entrare nella vita privata del professionista, sia mentre il rapporto professionale è ancora in corso che in previsione della fine di tale rapporto: 1. Azioni per entrare nella vita personale (nella sfera privata) del professionista al fine di ottenere un canale privilegiato e poter disporre di lui al di fuori del contesto/orario di prestazione professionale normale; 2. Azioni per entrare nella vita personale (nella sfera privata) del professionista per mantenere un contatto/relazione anche dopo la fine dell’interazione professionale. Dall’esperienza operativa sono emerse due fasi ricorrenti nel corso delle quali lo stalker tenta prima un avvicinamento e, se non ci riesce, tenta poi 69 di sminuire o addirittura “distruggere” la sua vittima. E’ importante saperle individuare: • Fase di avvicinamento/seduzione • Fase di sminuizione/distruzione (che in alcuni casi è giunta all’omicidio del professionista). Case study: L’omicidio della D.ssa Monica Moretti. Le professioni sanitarie implicano spesso un rapporto profondo con il paziente. Alcune strutture di personalità (es. dipendente) possono vivere il distacco come un vero e proprio trauma e imputano al professionista la responsabilità di avergli provocato tanto dolore. Lo stalking ai danni di professionisti di area sanitaria è sfociato in alcuni casi nell’omicidio del professionista, come nel caso di Monica Moretti, medico urologo di 38 anni, nubile, che lavorava presso l’ospedale Santissima Annunziata di Sassari. Una ragazza mora, piccola di statura ma piuttosto avvenente, che viveva a Sassari, da sola, in una mansarda in via Amendola n. 13. Il cadavere viene trovato nel pomeriggio del 23 Giugno 2002. La porta dell’appartamento non risulta forzata. La vittima indossa soltanto un bikini. Il corpo è stato trovato in camera da letto riverso sul materasso con ancora il coltello trafitto in gola mentre il materasso stava prendendo fuoco. Nella camera da letto non vi è traccia di lotta; sono spariti però il telefono cellulare della vittima ed il telefono fisso con la segreteria. Vengono trovate tracce di sangue non compatibili con quello della vittima. I vicini affermano che verso le 14.30 di Domenica hanno sentito provenire dall’appartamento della vittima rumori ed urla che facevano pensare ad un violento litigio. Mezz’ora dopo una inquilina ha visto del fumo uscire dalla porta esterna dell’appartamento ed ha chiamato i vigili 70 del fuoco. Intervenuti sul posto sono stati proprio questi ultimi a trovare il cadavere della dottoressa. L’assassino è Raimondo Gaspa, 31 anni, incensurato, separato, senza un lavoro fisso, un figlio di 9 anni disabile. Gaspa aveva conosciuto l’urologa (che lo teneva in cura) in ospedale nel marzo del 2002 e aveva cominciato a perseguitarla al punto che la dottoressa aveva deciso di andare a sporgere denuncia contro l’anonimo, per lei, molestatore. Gli investigatori risalgono all’assassino grazie ai tabulati telefonici della vittima. Davanti all’evidenza Gaspa non ha potuto fare altro che confessare l’omicidio. Una guideline diagnostica La capacità di individuare il livello di intrusività dello stalker è importante per progettare degli interventi di prevenzione e contenimento. Per esigenze tassonomiche (ma anche operative) proponiamo diversi possibili livelli di intrusività: • LEVEL 1: l’utente non rispetta le prescrizioni formali dettate dal rapporto (non rispetto degli orari, presentarsi senza appuntamento, “dare del tu”, manipolazione oggetti personali del professionista, entrare nello spazio intimo, contatto fisico, richiesta amicizia face book e following twitter, telefonate fuori orario ecc.); • LEVEL 2: l’utente entra nel merito di questioni private del professionista con domande e verifiche; • LEVEL 3: l’utente si avvicina (tenta un contatto) il professionista in luoghi e contesti esterni allo studio/ufficio; • LEVEL 4: l’utente tenta di creare difficoltà nel rapporto di coppia e/o con i colleghi d’ufficio per avere “campo libero” e subentrare come partner/amico; 71 • LEVEL 5: l’utente opera azioni distruttive nei confronti del professionista (invio di esposti anonimi, false denunce, simulazione di reati, danneggiamenti di beni, minacce, omicidio). Le situazioni che connotano i vari livelli di rischio possono manifestarsi progressivamente o subito tutte insieme. Strumenti di avvicinamento da parte dell’utente Lo stalker può inizialmente utilizzare diversi metodi per avvicinarsi alla vittima e raggiungere un livello di confidenza utile ad attivare un legame. Una delle strategie preventive fondamentali è il riconoscimento anticipatorio di situazioni e comportamenti che possono poi “virare” in forme persecutorie: 1. Affetto-simpatia-complimenti; 2. Interesse per le problematiche personali del professionista; 3. Inviti ad attività esterne (bar, cene ecc.); 4. Regali (oggetti); 5. Seduttività su base sessuale. E’ quindi importante, in ottica preventiva e contentiva, saper individuare prontamente tali comportamenti. Comportamento del professionista e attivazione dello stalking Uno degli elementi fondamentali nella prevenzione/contenimento dei contesti di stalking nelle professioni d’aiuto è la possibilità di individuare delle variabili significative nel comportamento della vittima. Esiste un comportamento volontario/conscio del professionista che possa in 72 qualche modo attivare l’azione di stalking? O la questione è tutta racchiusa nel profilo psicologico/psicopatologico dell’utente? Dipende dalla quantità e tipologia di investimento affettivo e coinvolgimento emotivo dell’utente? Può incidere la natura del problema dell’utente? Influisce solo l’efficacia della soluzione fornita dal professionista o anche la modalità di relazione umana che si costruisce tra i due? La prima cosa che viene spesso imputata al professionista vittima di stalking è di avere troppa confidenza con l’utente, favorendo così il suo attaccamento patologico. Ma questo non è sempre vero. La presenza di azioni/atteggiamenti in area rossa (amicalità/confidenzialità), 73 sembrerebbe non sia sempre significativa per l’instaurarsi di un attaccamento anomalo da parte dell’utente. Nelle ricerche svolte dallo scrivente (ad esempio nella ricerca pilota condotta nel 2012) sono stati individuati scenari di attaccamento anomalo anche in casi in cui il professionista si è limitato ad erogare un servizio (professionalmente soddisfacente) in maniera assolutamente asettica e rimanendo rigidamente all’interno dei confini dell’intervento tecnico-professionale. In altri termini se qualcuno vi solleva da un problema/dolore/angoscia, normalmente siamo riconoscenti e la riconoscenza è una dimensione affettiva. La riconoscenza non dipende quindi dall’atteggiamento del nostro “salvatore” ma in prevalenza dalle sue azioni che oggettivamente ci hanno provocato beneficio. Indicatori della psicopatologia dello stalker Non c'è una diagnosi psichiatrica in letteratura, non ci sono segnali inequivocabili (sintomi apprezzabili dall’osservazione superficiale) che consentano di capire con certezza che una persona è uno stalker all’inizio della relazione professionale. Occorre quindi concentrarsi su indicatori comportamentali oggettivi (dei tentativi di intrusione nella vita privata del professionista) che possono manifestarsi durante la relazione professionale. Tali tentativi vanno ostacolati con garbo gestendo la situazione con consapevolezza e segnalando immediatamente la situazione attraverso relazioni scritte e datate. Lo stalking presenta numerose sfaccettature e non sempre è ascrivibile a conclamati disturbi psichiatrici; tuttavia esistono dei quadri personologici critici che possono rappresentare un fattore di maggior rischio riguardo l'instaurarsi di una relazione professionista/cliente caratterizzata dalla possessività e dal 74 timore del distacco; tali quadri sono rappresentati da soggetti dipendenti, dai paranoici, dai depressivi, e da soggetti con bassa autostima. Si può comunque affermare che quasi sempre l’instaurarsi di un rapporto patologico tra professionista e cliente (stalker), fonda le sue basi su di una incapacità/possibilità da parte di quest’ultimo di stabilire e mantenere una relazione interpersonale basata sulla mera fruizione di un servizio ed accettarne poi la necessaria interruzione. Non si può però attribuire importanza alle sole caratteristiche di personalità, psicologiche o psicopatologiche dell'autore, ma occorre evidenziare anche alcune condizioni socio-ambientali e di vita, che possono rappresentare delle concause significative nella manifestazione del comportamento di stalking: facciamo riferimento a condizioni di solitudine, all'uso/abuso di alcol e droghe, alla presenza di ambienti familiari altamente conflittuali. Strategie di prevenzione Le azioni possibili sul piano preventivo da parte del professionista, riguardano quindi solo in parte l’auto monitoraggio nel corso della relazione professionale che dovrebbe essere sufficientemente distaccata per evitare di ingenerare equivoci. Quello che invece sembra essere fondamentale è il monitoraggio dell’utente per cogliere indicatori di rischio. Ma allora, quando un professionista che ha modi gentili percepisce che l’utente sta sviluppando delle modalità di attaccamento patologico è sufficiente modificare l’atteggiamento rendendolo più ruvido/scostante/antipatico? I comportamentisti dicono di no. Soprattutto se inizialmente l’atteggiamento era amichevole, un cambio repentino e altalenante può sortire l’effetto opposto. (Il rinforzo intermittente). La strategia di prevenzione proposta dallo scrivente 75 necessita della capacità del professionista (incrementata attraverso percorsi di formazione mirata) di cogliere segnali anticipatori del degenerare del rapporto professionale, l'adozione di un codice di condotta che si pone come obiettivo la riduzione dei rischi connessi allo stesso, strategie e tecniche di “autotutela” da adottare quando il rapporto professionale è già degenerato e si è manifestato lo stalking. Il professionista può quindi incrementare la sua capacità di prevenire e gestire casi di stalking ai suoi danni con un’apposita formazione. Lo scrivente ha progettato una specifica una guideline e propone corsi di formazione rivolti a diversi professionisti, coinvolgendo anche i diversi Ordini professionali. Autotutela del professionista Quando il professionista si rende conto che l’utente sta generando delle modalità di attaccamento patologiche è necessario come prima cosa attivare un’azione di autotutela, cercando di documentare il più possibile l’atteggiamento disfunzionale dell’utente. In primo luogo informando colleghi e superiori ma anche attraverso atti formali nelle situazioni più a rischio (relazione di servizio, registrazione dei colloqui, presenza di testimoni agli incontri ecc.). Documentare a posteriori alcune situazioni può infatti essere a volte complicato. Contemporaneamente è necessario attivare un disinnesco della situazione attraverso la facilitazione nell’elaborazione del lutto, favorendo un distacco progressivo, coinvolgendo se necessario altri professionisti nella relazione con l’utente (relazione che diviene meno esclusiva e quindi meno invischiante). Comportamenti aggressivi e scostanti non sono necessariamente efficaci. Fondamentale informare i familiari (soprattutto il partner) della 76 situazione al fine di prevenire contrasti che potrebbero manifestarsi quando lo/a stalker organizza delle attività mirate a minare il rapporto di coppia del professionista. 77 STALKING NELLE PROFESSIONI D’AIUTO: UN’INDAGINE ESPLORATIVA di Chiara Badalamenti Il fenomeno dello stalking viene definito per la prima volta nella norma giuridica italiana attraverso il D.L. 11/2009 con cui il legislatore disciplina il reato introducendolo tra i delitti contro la libertà morale attraverso il nuovo art. 612-bis c.p. per il quale è punito con reclusione da sei a quattro anni “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. La normativa penale italiana, prima dell’introduzione del D.L. 11/2009, si era rivelata inadeguata nella tutela delle vittime di molestie assillanti, in quanto riconduceva gli atteggiamenti ed i comportamenti tipici dello stalking all’interno di altre fattispecie giuridiche disciplinate dal codice penale, come per esempio calunnia, minaccia, danneggiamento, violenza privata, ecc. Da quanto emerge dai vari studi che la letteratura ha offerto negli ultimi anni, lo stalking si configura come un fenomeno patologico di tipo relazionale, anche se risulta necessario non pensare a tale fenomeno come una nuova patologia, ma come una nuova sistematizzazione di fatti e condotte già esistenti e noti che in precedenza non riuscivano a trovare una collocazione e categorizzazione oltre che scientifica, anche giurisprudenziale. La condotta molesta, secondo gli 78 esperti, generalmente trova una sua genesi all’interno di incomprensioni ed equivoci nati da una relazione sentimentale o amorosa di tipo intimo, per esempio nella non accettazione dell’interruzione di un rapporto di coppia da parte di uno dei due soggetti che vi partecipano, assumendo la tipica forma di stalking post-relazionale. In realtà però le evidenze degli ultimi anni sottolineano l’incremento della prevalenza del fenomeno dello stalking all’interno di un altro spettro relazionale, ovvero quello relativo alla relazione tra professionista e cliente/paziente/utente, con particolare attenzione alle categorie professionali che possono essere definite “professioni d’aiuto”, includendo in tale categorizzazione occupazionale una ampia classe di lavoratori che, proprio per le caratteristiche intrinseche della professione che esercitano, si ritrovano a risolvere problematiche che a vario titolo e con diversa gravità si manifestano nella vita del paziente/cliente/utente, causandogli una condizione di notevole disagio, tanto da richiedere l’aiuto, il supporto e l’intervento di un professionista che possa trovare una soluzione alla luce delle sue specifiche competenze. Gli specialisti che svolgono professioni d’aiuto possono essere fraintesi da parte dei loro pazienti/clienti/utenti, che potrebbero interpretare le attenzioni rivolte al “caso” come uno speciale interessamento privato e personale, riversando sul professionista un interesse di tipo romantico, che può essere fomentato dall’atteggiamento cortese e accogliente del professionista. Così l’attività persecutoria del soggetto viene perpetuata all’interno della vita privata dello specialista oggetto di interesse, partendo da una condizione semplicemente legata al rapporto professionale. Elementi scatenanti la modifica del coinvolgimento da parte del soggetto da un rapporto strettamente professionale e lavorativo ad uno maggiormente intimo e privato può ricollegarsi alla volontà da parte dell’utente di ottenere un canale 79 comunicativo privilegiato con l’esperto o da un interesse che va oltre il semplice rapporto lavorativo, e dunque l’intenzione di intraprendere una relazione sentimentale, incrementata dal fascino esercitato dalla posizione di rilievo sociale del professionista. Tutto ciò risulta in linea con la maggior parte dell’evidenza empirica degli ultimi anni che sottolinea come buona parte degli stalker che conducono attività di tipo persecutorio e rivolgono attenzioni ossessive verso uno specialista, appartengono alla categoria dei ricercatori di intimità o degli incompetenti. Gli autori Mullen, Pathé, Purcell et al. (1999), attraverso uno studio su un consistente campione di stalkers, hanno creato una classificazione di cinque diverse tipologie molestatori: 1. Stalker rejected/rifiutati: che hanno messo in atto attività persecutoria in seguito alla rottura di un legame intimo; 2. Stalker intimacy seeking/ricercatori di intimità: soggetti che ritengono che la propria vittima sia il loro “vero amore”; 3. Stalker incompetent/incompetenti: perseverano nella ricerca ossessiva dell’altro nonostante la consapevolezza di non essere ricambiati; 4. Stalker resentful/risentiti: vogliono spaventare o provocare angoscia nella vittima; 5. Stalker predatory/predatori: traggono piacere dal prefigurarsi la persecuzione e dal potere che ne deriva. Partendo da tali presupposti, risulta evidente come professionisti esercitanti il lavoro di medico, psicologo o operatore della salute mentale, vivano una condizione di maggiore esposizione al rischio di divenire vittime di stalking da parte dei propri pazienti, in quanto si relazionano con evidente frequenza con soggetti portatori di disturbi psichici, emotivi e/o comportamentali di vario genere che possono veicolare ed essere 80 causa di false interpretazioni del rapporto professionale oltre che di convinzioni deliranti riguardo interessi romantici dei professionisti, o di irrealistiche e inappropriate aspettative di intimità con il proprio clinico, quando questi, al contrario, sta svolgendo esclusivamente il proprio ruolo professionale all’interno della relazione terapeutica. I pazienti possono inoltre diventare degli stalker risentiti quando si percepiscano come vittime di irregolarità o mancanze da parte del professionista che li ha in cura, sviluppando del rancore nei suoi confronti che potrebbe portare all’attuazione di minacce o altri comportamenti assillanti. Medici, psicologi e professionisti della salute mentale potrebbero essere portati a minimizzare l’entità e la gravità di comportamenti assillanti o aggressivi persistenti a causa della frequente necessità di confrontarsi con tali comportamenti all’interno della pratica clinica quotidiana, o potrebbero ritenere che tali condotte possano risolversi all’interno della pratica clinica nel tentativo di ottenere un esito trattamentale positivo. Potrebbero inoltre svilupparsi sentimenti di colpa o di inadeguatezza riguardo al proprio ruolo professionale, che porterebbero lo specialista ad evitare il confronto con le forze dell’ordine o con il sistema giudiziario penale, insistendo nel mantenere la gestione del problema solo all’interno e nei limiti della relazione clinica. Lo stalking nelle professioni d’aiuto è un rischio professionale comune, ma rimane sottostimato nonostante possa anche provocare lo sviluppo di importanti problematiche personali, sociali e professionali nel clinico che ne diviene vittima, il quale, nei casi più gravi, potrebbe persino sviluppare una sintomatologia associabile al Disturbo Post-Traumatico da Stress DPTS (o, in inglese PTSD, Post-Traumatic Stress Disorder). Nel Disturbo PostTraumatico da Stress (DPTS) si ha una risposta estrema ad un fattore fortemente stressogeno, che comporta un incremento notevole del livello 81 d’ansia, l’evitamento degli stimoli associati al trauma e un indebolimento della reattività emozionale. Analisi della letteratura scientifica in materia Uno dei primi studi riguardanti lo stalking professionale è stato svolto nel 1996 da Romans et al. dimostrando come all’interno di un centro di counselling universitario, ben il 6% degli impiegati fosse stato vittima di stalking in senso stretto, mentre il 64% degli intervistati riferiva di aver subito una molestia di qualche tipo. Nel 1997, all’interno di una ricerca in cui i soggetti dovevano auto-riferirsi come vittime di stalking, Pathé e Mullen riscontrano che tra coloro che riferivano di aver subito condotte moleste persistenti, i medici e in generale i professionisti della salute erano sovrarappresentati. Sandberg, McNiel e Binder, in una ricerca del 1998 sottolineano come i soggetti che tipicamente attuavano condotte moleste nei confronti dello staff medico dopo la dimissione erano soggetti con patologie di personalità gravi e/o disturbo paranoide, o deliri erotomanici. I dati suggeriscono che essi avevano più probabilità di essere di sesso maschile e di non essere sposati e di avere una storia clinica di ospedalizzazioni multiple, tentati suicidi o comportamenti autolesivi, abuso di sostanze o dipendenza. Nel 2001 Purcell et al. dimostravano come fossero soprattutto stalkers donne a indirizzare le loro attenzioni ossessive nei confronti della categoria professionale, mentre in uno studio del 2005 sostengono, in linea con la ricerca del 1998, che siano soprattutto i pazienti di sesso maschile a rendere vittima di molestie l’èquipe medica che ha avuto in cura il soggetto stesso. Sempre Sandberg, McNiel e Binder, nel 2002, attuano uno studio su un campione di soggetti facenti parte di uno staff ospedaliero per determinare con quale 82 frequenza i professionisti dell’ospedale fossero vittime di stalking, minacce o comportamenti molesti da parte dei pazienti, dimostrando come il 53% dei professionisti fossero stati vittima di qualche tipo di molestia durante la loro carriera. Il 3% degli intervistati aveva fatto esperienza di stalking così come previsto dalla definizione giuridica e normativa. Gentile et al. (2002) in uno studio su un campione di psicologi americani documentano che il 10% degli intervistati aveva subìto molestie durante la propria carriera, dimostrando che anche la categoria professionale degli psicologi è esposta ad un rischio elevato. Inoltre i dati sottolineano come non vi fossero caratteristiche specifiche dello psicologo tali da indurli a divenire vittima di stalking, tali specialisti hanno successivamente assunto misure di sicurezza maggiori rispetto agli altri colleghi e il paziente che attuava condotte moleste era in genere un soggetto con disturbo dell’umore e/o diagnosi di disturbo di personalità o disturbi relazionali con esordio nell’infanzia. Anche Purcell et al., nel 2005, indagano l’incidenza dello stalking nei confronti di psicologi australiani, evidenziando come il 19,5% degli intervistati avesse subìto comportamenti molesti da parte dei pazienti per un periodo di tempo equivalente o superiore alle due settimane. Gli specialisti riferivano che lo stalking era derivante da sentimenti di risentimento (42%) o da una infatuazione (19%), e, la maggior parte dei professionisti, ha modificato la sua pratica professionale in conseguenza dell’aggressione, considerando (nel 29% dei casi) di abbandonare la professione. In una ricerca svolta nel Regno Unito (McIvor 2008) è risultato evidente come il 21% degli psichiatri intervistati fosse stata vittima di stalking da parte di uno o più dei propri pazienti, questi risultavano essere soprattutto uomini con disturbo di personalità. Abrams e Robinson nel 2011 prendono in esame i medici operanti all’interno di un’area urbana del Canada e dimostrano 83 come il 15% degli intervistati fosse stato vittima di stalking soprattutto da parte di pazienti che avevano sviluppato nei confronti del clinico sentimenti di rabbia o risentimento o, al contrario, una sorta di innamoramento. Così come in altre parti del mondo, anche in Irlanda uno studio condotto nel 2012 ha dimostrato come il 25% dei clinici intervistati fosse stata in qualche modo, durante la sua carriera, vittima di molestie assillanti da parte di uno o più dei suoi pazienti. Le ricerche svolte in Italia riguardo lo stalking nei confronti di professionisti delle relazioni d’aiuto non sono molte anche se è bene menzionare quella svolta dal gruppo di ricerca di Galeazzi (2005) che ha riscontrato che un terzo dei professionisti intervistati, tra cui medici, psichiatri, infermieri e psicologi, tutti professionisti della salute mentale, era stato vittima di un qualche tipo di molestia o stalking da parte di un paziente, in particolare ne risultava vittime soprattutto il personale infermieristico. Nel 2006 sempre Galeazzi et al. evidenziano come non sia possibile effettuare un confronto tra i vari studi che analizzano il fenomeno dello stalking nei confronti dei clinici a causa dell’utilizzo di diverse definizioni operative che ostacolano il confronto tra le varie ricerche. Marco Strano nel 2012 propone una serie di guideline operative per riconoscere anticipatamente i pazienti che tendono a rapporti invischianti e persecutori. Tuttavia la maggior parte degli studi mette in luce in modo inequivocabile il rischio di vittimizzazione professionale, mentre le strategie di prevenzione e di intervento non risultano ancora applicate all’interno dei contesti professionali e lavorativi. 84 Una ricerca esplorativa sullo stalking nelle professioni d’aiuto Il gruppo di ricerca italiano facente riferimento al professore Marco Strano ha promosso a partire dal 2011 una prima indagine esplorativa sul fenomeno dello stalking all’interno delle professioni d’aiuto presso la città di Palermo (e altre città in Italia). L’obiettivo della ricerca è stato quello di far luce su uno degli aspetti più significativi del comportamento di stalking nei confronti dei professionisti, e cioè l’incidenza delle condotte moleste in riferimento a determinate categorie professionali che per motivazioni intrinseche alla loro attività lavorativa devono instaurare un rapporto empatico ed accogliente con il paziente/cliente/utente. Da una prima ricerca pilota, condotta dalla Dott.ssa Gabriella Marchese (Psicologa dell’equipe del Prof. Strano) all’interno della città di Palermo, comprendente cinque categorie professionali: avvocati, commercialisti, psicologi/psicoterapeuti/psichiatri, medici e fisioterapisti, è emerso che le ultime tre categorie di specialisti erano maggiormente colpite da comportamenti molesti da parte della loro utenza. Successivamente si è stabilito di ridurre il campione da indagare alla specificità della relazione di cura clinica tra medico e paziente e tra psicologo/psichiatra/psicoterapeuta e paziente, poiché si caratterizza per elementi di specificità che possono indurre il soggetto a sviluppare con maggiore facilità una sorta di dipendenza relazionale dal clinico, essendo in gioco problematiche relative alla salute fisica o psichica del paziente che ne amplificano risonanze e implicazioni emozionali individuali. Obiettivo primario della ricerca è stato quindi l’indagine sull’incidenza del fenomeno dello stalking all’interno delle professioni d’aiuto prettamente cliniche mettendo in luce nello specifico le modalità attraverso cui il molestatore attuava il comportamento di stalking e quali fossero le reazioni del clinico derivanti dalla necessità di ridurre il malessere provocato dalla perpetuazione di tali comportamenti da parte del paziente. La ricerca ha previsto l’utilizzo del Questionario sulla Valutazione dell’Incidenza Sociale dello Stalking Professionale (QVISSP) strumento pilota ideato dal professore Marco Strano (2011), 85 somministrandolo ai partecipanti attraverso la tecnica dell’intervista strutturata, escludendo la possibilità di procedere attraverso la tecnica dell’autocompilazione. Tale modalità di somministrazione prevede l’esposizione delle domande agli intervistati secondo un ordine fisso, nella stessa modalità di somministrazione e nella stessa sequenza. Si tratta di un approccio che permette di raccogliere informazioni in modo standardizzato, ma anche di ottenere delle risposte aperte e destrutturate. Il questionario è suddiviso in quattro sezioni: • la prima parte indaga le caratteristiche demografiche del campione di professionisti (età, sesso e professione), necessaria alla compilazione della statistica generale riguardante l’incidenza del fenomeno; • la seconda parte analizza se il professionista è stato vittima di comportamenti molesti e attraverso quali specifiche modalità tale condotta è stata svolta dal molestatore, in modo da rilevare, per quanto possibile, le peculiarità del caso. • La terza parte indaga quali sono le reazioni e i cambiamenti che il professionista ha dovuto adottare nella propria vita, sia privata che lavorativa, per contenere l’ingerenza effettuata dal paziente nella sua vita. • La quarta parte fa riferimento ai dati demografici dello stalker. La compilazione del questionario avviene in forma del tutto anonima e richiede un impegno temporale di 5-10 minuti per questionario. Il protocollo è stato somministrato ad un campione di 100 professionisti delle relazioni d’aiuto suddivisi in 50 medici (non psichiatri) e 50 psicoterapeuti operanti la loro attività lavorativa nella città di Palermo. I 86 medici intervistati sono stati selezionati in modo casuale all’interno dei diversi dipartimenti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “P. Giaccone” di Palermo ed in alcuni uffici della Az. Sanitaria Provinciale N. 6 della città. Gli psicologi/psicoterapeuti sono stati selezionati in modo casuale all’interno di diversi studi di psicologia ubicati nella città di Palermo. Il campione generale era composto per il 59% da professionisti di sesso femminile (32 psicologi/psicoterapeuti/psichiatri e 27 medici) e per il 41% da professionisti di sesso maschile (18 psicologi/psicoterapeuti/psichiatri e 23 medici). Non sono stati stabiliti criteri di esclusione dal campione di ricerca. La somministrazione dei 100 protocolli e la successiva elaborazione dei dati hanno permesso di rilevare che il 27% di professionisti è o è stato vittima di molestie assillanti, da parte di uno o più tra i suoi pazienti, mentre il restante 73% non ha mai ricevuto comportamenti molesti di alcun tipo. Dei 27 professionisti che sono risultati vittime di stalking il 59% è di genere femminile, mentre il 41% di sesso maschile. Per ciò che concerne il genere dei molestatori, il 63% è di sesso femminile, il restante 37% è di genere maschile. Dall’analisi dei dati è emerso, inoltre, che il professionista di sesso maschile riceve più frequentemente molestie da parte di pazienti di sesso femminile (82% dei casi), ma può subire stalking anche di pazienti del proprio sesso (18%). I professionisti di genere femminile subiscono molestie da soggetti di entrambi i sessi in percentuali identiche (nel 50% dei casi da parte di uomini e nel 50% dei casi da parte di altre donne). Un dato rilevante fa riferimento alla distribuzione dell’attività di stalking rispetto all’età e al genere del molestatore. In particolare, dai dati risulta che mentre le donne attuano molestie assillanti in età più giovanile, gli uomini si presentano con maggiore frequenza nelle fasce di età più mature. Attraverso lo studio delle risposte fornite dai clinici che hanno 87 subìto molestie assillanti da parte dei loro pazienti è stato possibile ricostruire le modalità attraverso cui il comportamento di stalking veniva effettuato da questi ultimi. Nel dettaglio è risultato che sia uomini che donne mettono in atto soprattutto chiamate telefoniche nei confronti della loro vittima sia in riferimento a problematiche e questioni relative al rapporto professionale, sia per motivi non legati alla relazione clinica. Altri comportamenti molto frequenti, in particolare quelli attuati da pazienti donne nei confronti di clinici di sesso maschile, sono l’invio di sms ed e-mail a contenuto dichiaratamente seduttivo, la ricerca di contatti con il clinico attraverso il mondo del web tramite il social-network “facebook”, l’incontro con il clinico in luoghi da lui abitualmente frequentati. In nessun caso si è verificato l’appostamento sotto l’abitazione del professionista, mentre con poca frequenza sono state attuate minacce e comportamenti aggressivi nei confronti del clinico, in maniera evidente nei casi di clinici di sesso maschile e stalker donne, risultato questo che va in contraddizione con quanto evidenziato dagli studi presenti in letteratura. In seguito all’essere divenuti oggetto di molestie da parte dei loro pazienti alcuni specialisti hanno vissuto situazioni spiacevoli, nel dettaglio: • il 33% sostiene di essere stato distratto dall’attività professionale a causa delle molestie; • il 30% riporta di aver subìto situazioni di imbarazzo davanti ad amici, parenti e/o conoscenti; • il 26% dei clinici vittime di stalking ha vissuto condizioni d’ansia; • il 19% ha interrotto il rapporto professionale subendo, quindi, una perdita economica; • infine, l’11% tra i professionisti che hanno subìto molestie assillanti ha avuto dei conflitti con il proprio partner. 88 Buona parte dei professionisti riporta, inoltre, di aver dovuto modificare alcune abitudini inerenti sia alla vita professionale – come non rispondere a chiamate provenienti da numeri di telefono anonimi, cambiare numero di lavoro o gli orari di presenza in studio – che alla vita privata – come cambiare numero di telefono personale ed evitare luoghi abitualmente frequentati per non correre il rischio di incontrare il molestatore. Solo il 26% tra gli psicologi/psicoterapeuti e i medici che hanno affermato di essere state vittime di stalking ha ammesso di aver adottato dei comportamenti di eccessiva confidenza che potrebbero aver indotto il cliente a decidere di attuare le molestie. In particolare tra le tipologie di condotta annoverate all’interno dello strumento vengono citati con maggiore frequenza il dare del tu, il parlare con il paziente di questioni non propriamente attinenti al rapporto professionale, il dare la propria disponibilità per incontri o telefonate anche al di fuori degli appuntamenti programmati. Conclusioni In linea con gli studi presenti in letteratura riguardo lo specifico fenomeno delle molestie assillanti perpetuate a danno di professionisti della salute, è evidente come, anche nella nostra indagine, a prevalere siano soprattutto comportamenti di stalking di bassa entità, tanto da non essere indicati con la suddetta terminologia dagli stessi intervistati anche se dai loro racconti emergeva chiaramente quanto fossero vissuti come disturbanti, mentre comportamenti più gravi, violenti e aggressivi sono stati registrati di rado. Il nostro campione ha evidenziato una discreta percentuale di comportamenti molesti subiti (27%), tuttavia è possibile 89 che in alcuni casi le vittime possano avere minimizzato alcuni comportamenti indesiderati e potenzialmente angoscianti creando una potenziale giustificazione all’intrusività del paziente alla luce della sua patologia o del suo malessere psico-fisico relativo alle motivazioni che hanno comportato la creazione della stessa relazione professionale. In egual modo è possibile che si sia verificato il fenomeno opposto, e che alcuni clinici abbiano esasperato i comportamenti dei pazienti riconducendoli a condotte moleste semplicemente perché il tipo di condotta non risultava piacevole. Fornendo ai partecipanti una lista di possibili comportamenti di stalking e molestie tra i quali scegliere dando anche la possibilità di riferire comportamenti avvertiti come tali non facenti parte dell’elenco attraverso la voce “altro”, è possibile che siano state incrementate le possibilità di ricordare, da parte dei partecipanti, alcuni comportamenti che erano solo lievemente o moderatamente stressanti e sgradevoli. Durante la somministrazione del protocollo gran parte del campione si è mostrata collaborativa, nonostante si trovasse impegnata nell’attività lavorativa. Molti clinici sono risultati disponibili ed aperti al dialogo nonostante la delicatezza della tematica trattata. È risultato, in linea con le precedenti ricerche, come soggetti di entrambi i generi possano essere vittime di stalking, ma mentre l’incidenza nei confronti dei professionisti di sesso maschile vede come protagonisti pazienti di genere femminile, nei confronti di medici o psicologi/psicoterapeuti donne si verifica un fenomeno di appiattimento delle differenze di genere, evidenziando una equivalenza della frequenza di molestie sia da parte di pazienti di genere femminile che di genere maschile. Contrariamente a quanto si evince dalle statistiche generali che vedono le donne come vittime indiscusse di comportamenti di stalking da parte di uomini violenti ed aggressivi, lo studio dimostra come siano 90 soprattutto pazienti donne ad attuare comportamenti molesti, fino anche a sfociare in minacce ed aggressioni nei confronti dei professionisti indiscriminatamente uomini o donne, mentre i pazienti di sesso maschile attuano comportamenti molesti in percentuali inferiori, soprattutto nei confronti di clinici di genere femminile, raggiungendo raramente condotte aggressive. In generale, le condotte indicate come intrusive riguardano soprattutto telefonate eccessive e quasi mai condotte esplicitamente aggressive o di pedinamento della vittima, che potrebbero implicare maggiore ansia e preoccupazione nel clinico. In modo inconfutabile emerge, d’altronde, come i molestatori uomini siano soprattutto appartenenti a fasce d’età più mature, mentre le donne sviluppano condotte morbose soprattutto in età più giovanile. Rispetto alle due categorie di professioni analizzate emergono differenze sostanziali nelle reazioni ai comportamenti molesti, probabilmente derivanti dalle differenze specifiche delle attività lavorative. Mentre psicologi e psicoterapeuti riferiscono con maggiore frequenza di aver rinunciato al rapporto professionale e di aver avuto la necessità di modificare il proprio numero di telefono, privato e professionale, i medici riferiscono di essersi sentiti soprattutto distratti dall’attività professionale e di aver evitato l’incontro con il paziente attraverso l’aiuto di un segretario o di una segretaria, ma in nessun caso di aver interrotto la relazione clinica. Condizioni di ansia e/o situazioni di imbarazzo con amici, familiari o conoscenti, sono riportate con percentuali abbastanza rilevanti in entrambe le categorie professionali. Infine, tra i clinici che hanno riferito di aver subìto molestie, una bassa percentuale considera di aver messo in atto condizioni che possono aver agevolato la creazione di una relazione di maggiore confidenza con il paziente. In realtà si tratta di un elemento particolarmente delicato all’interno delle dinamiche riguardanti 91 un rapporto clinico incentrato sulle necessità e i bisogni di un essere umano. Un clinico particolarmente sensibile può infatti essere condotto dalla sua stessa indole a farsi carico delle problematiche del paziente mettendosi a totale disposizione dello stesso, quest’ultimo potendo, in tal modo, mal interpretare le attenzioni del professionista. Queste complessità si amplificano quando si fa riferimento alla relazione terapeutica tra psicoterapeuta e paziente all’interno della quale con frequenza può presentarsi una dipendenza relazionale, se non anche un innamoramento da transfert e controtransfert. Dalla presente ricerca, svolta nella città di Palermo attraverso la somministrazione di un Questionario sulla Valutazione dell’Incidenza Sociale dello Stalking Professionale (M. Strano) a un campione complessivo di cento professionisti, equamente distribuiti tra medici e psicologi/psicoterapeuti, sono emersi dati che confermano, anche se su un campione piuttosto ristretto, i risultati provenienti dalla letteratura internazionale, che evidenzia la sovraesposizione di professionisti delle relazioni d’aiuto al fenomeno delle molestie assillanti attuato dai propri pazienti. Potrebbe risultare interessante integrare tali dati all’interno di una più ampia ricerca che si estenda ad un più esteso campione di professionisti della salute. Lo stalking necessita di strategie di contenimento adeguate che, partendo da un approccio totalizzante permettano di far fronte alle complessità intrinseche del fenomeno attraverso interventi poliedrici miranti non soltanto alla cura e alla presa in carico del singolo individuo, vittima o stalker che sia, e della sua soggettività, ma anche all’incremento delle risorse oggettive sociali e di comunità. I medici, gli psicologi e, in generale, gli specialisti delle professioni d’aiuto ricevono una scarsa formazione riguardo il fenomeno dello stalking e la sua gestione, nonostante le specificità professionali incrementino il rischio di rimanerne 92 vittime. Le strategie per la prevenzione e la tutela delle professioni potenzialmente a rischio devono, ancora oggi, essere progettate e sviluppate. L’approccio primario deve essere di tipo preventivopromozionale che punti, cioè, non alla rimozione di un deficit nel sostegno e nella prevenzione, ma che valorizzi le competenze e le risorse della comunità e del contesto sociale. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ABRAMS, K.M., ROBINSON, G.E., Stalking by Patients: Doctors experiences in a canadian urban area. In Journal of Nervous and Mental Disease, Volume 199, Issue 10, October 2011, Pages 738-743. ALCOTT, L. M., (1996) Un lungo, fatale inseguimento d’amore, Morin M. E. (a cura di), Biblioteca Economica Newton. ARAMINI M., (2002) Lo stalking: aspetti psicologici e fenomenologici, presente in G. Gulotta, S. Pezzati, “Sessualità, diritto, processo”, Giuffrè, 2002, pag. 495-539. ASHMORE R., JONES J., JACKSON A., SMOYAK S., A Survey of Mental Health Nurses’ Experiences of Stalking, in Journal of Psychiatric and Mental Health Nursing, 2006, Volume 13, Pages 562-569. BARTHOLOMEW, K., HOROWITZ, L. M., (1990) Attachment styles among young adults: A test of four-category model, in Journal of Personality and Social Psychology, Volume 61, Pages 226-244. BLAAUW, E., WINKEL, F.W., ARENSMAN, E., SHERIDAN, L., FREEVE, A., The toll of stalking: The relationship between features of stalking and psychopathology of victims, in Journal of Interpersonal Violence, Volume 17, Issue 1, January 2002, Pages 50-63. BORSKI, I., KAMLEITER, M., NADOPIL, N., Psychiatrists as victims of stalking, in Nervenarzt, Volume 76, Issue 6, March 2005, Pages 331-334. BOWLBY, J. (1951), Cure materne e igiene mentale nel fanciullo. Tr. it. Giunti(1957). BOWLBY, J., (1969) Attaccamento e perdita, vol. 1: L'attaccamento alla madre. Tr. it. Bollati Boringhieri, (1972). BOWLBY, J. (1973), Attaccamento e perdita, vol. 2: La separazione dalla madre. Tr. it. Bollati Boringhieri, (1975). BOWLBY, J. (1980), Attaccamento e perdita, vol. 3: La perdita della madre. Tr. it. Bollati Boringhieri, (1983). BOWLBY, J. (1988), Una base sicura. Tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano, (1989). BRAN, N., Quando la passione diventa ossessione. Stalking, Torino, Ananke, (2009). BROWN, S.A., The reality of persecutory beliefs: Base rate information for clinicians (Review), in Ethical Human Psychology and Psychiatry, Volume 10, Issue 3, 2008, Pages 163-178. BUDD, T., MATTINSON, J. (2000) The Extent and Nature of Stalking: Findings from the 1998 British Crime Survey, Home Office Research Study 210, London. CARETTI, V., CIULLA, S., SCHIMMENTI, A., Stalking: definition of the construct, phenomenological facets, and related behaviors, in Italian Journal of Psychopathology, Volume 17, Issue1, March 2011, Pages 5-12. CENTONZE A., Gli effetti sindromici delle molestie assillanti e la verifica giurisdizionale della condizione di disagio psichico dello stalker, Psichiatri, Psicologia e Diritto, N.4- Gennaio 2011 CURCI, P., GALEAZZI, G. M., SECCHI, C., La sindrome delle molestie assillanti (Stalking), Milano, Bollati Boringhieri, (2003). D’ANZEO, D., IANNONE, C., Stalking. Conoscerlo e difendersi, Arezzo, Helicon, (2010). 93 DINKELMEYER, A., JOHNSON, M.B., Stalking and harassment of psychotherapists (Review), in American Journal of Forensic Psychology, Volume 20, Issue 4, 2002, Pages 5-19. DRAUCKER, C.B., "Living in hell": The experience of being stalked, in Issues in Mental Health Nursing,Volume 20, Issue 5, 1999, Pages 473-484. DRESSING, H., FOERSTER, K., GASS, P., Are stalkers disordered or criminal? Thoughts on the psychopathology of stalking (Review), in Psychopatology, Volume 44, Issue 5, July 2011, Pages 277-282. DUNNE, F.J., SCHIPPERHEIJN, J.A., Stalking (obsessive pursuit), in Hospital Medicine, Volume 61, Issue 1, 2000, Pages 31-32. ENDRASS, J., ROSSEGGER, A., LAUBACHER, A., STEINBACH, J., URBANIOK, F., Stalking: Prevalence, dangerousness and offender profiles (an overview), in Schweizer Archiv fur Neurologie und Psychiatrie, Volume 159, Issue 3, March 2008, Pages 127-132. GALEAZZI, G.M., DE FAZIO, L., A review on the stalking of mental health professionals by patients, prevention and management issues (Review), in Primary Care and Community Psychiatry, Volume 11, Issue 2, 2006, Pages 57-66. GALEAZZI, G.M., ELKINS, K., CURCI, P., Emergency psychiatry: The stalking of mental healt professionals by patients, in Psychiatry Services, 2005, Volume 56, Pages 137-138. GARGIULLO, B., DAMIANI, R., Lo stalker, ovvero il persecutore in agguato. Classificazione, assessment e profili psicocomportamentali, Milano, Franco Angeli, (2008). GENTILE, S.R., ASAMEN, J.K., HARMELL, P.H., WEATHERS, R., The Stalking of Psychologists by Their Clients, in Professional Psychology: Research and Practice, Volume 33, Issue 5, October 2002, Pages 490-494. GRATTAGLIANO, I., CASSIBBA, R., GRECO, R., LAUDISA, A., TORRES, A., MASTROMARINO, A., Stalking: Old behaviour new crime. Reflectons on 11 cases ossesse in the sudicia district of Bari, in Rivista di Psichiatria, Volume 47, Issue 1, Jenuary 2012, Pages 65-72. HARMON, R.B., ROSNER, R., OWENS, H., Obsessional harassment and erotomania in a criminal court population, in Journal of Forensic Sciences, 1995, Volume 40, Pages 188-196. HOLTZ, C.L., When Professional Kindness Is Misunderstood: Boundaries and Stalking Issues: A Case Study for the Home Health Clinician, in Home Healthcare Nurse, Volume 27, Issue 7, July 2009, Pages 411-416. HUDSON-ALLEZ, G., The stalking of psychotherapists by current or former clients: Beware of the insecurely attached!, in Psychodynamic Practice, Volume 12, Issue 3, August 2006, Pages 249-260. HUGHES, F.A., THOM, K., DIXON, R., Nature and prevalence of stalking among New Zealand mental health clinicians, in Journal Psychosocial Nursing Mental Health Services, 2007, Volume 45, Pages 32-39). LEWIS, S.F., FREMOUW, W.J., DEL BEN, K., FARR, C., An investigation of the psychological charateristics of stalkers: Empathy, problem-solving, attachment and borderline personalità features, in Journal of Forensic Sciences, Volume 46, Issue 1, Pages 80-84. LION, J.R., HERSCHLER, J.A., The stalking of clinicians by their patients, in JR Meloy (Ed.), The psychology of stalking (pages 163-173). San Diego, CA: Academic Press. LORETTU, L., MILIA, P., NIEDDU, G., NIVOLI, A., NIVOLI, L.F., NIVOLI, G.C., Psychiatrists victims of stalkers ( Review )[Gli psichiatri vittime di pazienti molestatori segugi assillanti, in Italian Journal of Psychopathology, Volume 10, Issue 3, September 2004, Pages 368-375. JONES, L., SHERIDAN, L., Stalking and harassment of mental health professionals by patients in a community forensic service, in British Journal of Forensic Pratice, Volume 11, Issue 1, March 2009, Pages 30-37. KAMPHUIS, J.H., EMMELKAMP, P.M.G., DE VRIES, V., Informant Personality Descriptions of Postintimate Stalkers Using the Five Factor Profile, in Journal of Personality Assessment,Volume 82, Issue 2, April 2004, Pages 169-178. KIENLEN, K.K., BIRMINGHAM, D.L., SOLBERG, K.B., O’REGAN, J.T, MELOY, J.R., A comparative study of psychotic and nonpsychotic stalking, in Journal of the American Academy of Psychiatry and the Law, Volume 25, Issue 3, 1997, Pages 317-334. 94 KUEHNER, C., GASS, P., DRESSING, H., Mediating effects of stalking victimization on gender differences in mental healt, in Journal of Interpersonal Violence, Volume 27, Issue 2, January 2012, Pages 199-221. MacKENZIE, R.D., MULLEN, P.E., OGLOFF, J.R.P., McEWAN, T.E., JAMES, D.V., Parental bonding and adult attachment styles in different types of stalker, in Journal of Forensic Sciences, Volume 53, Issue 6, November 2008, Pages 14431449. McEWAN, T.E., MULLEN, P.E., MacKENZIE, R., A study of the predictors of persistence in stalking situation, in Lax and Human Behavior, Volume 33, Issue 2, April 2009, Pages 149-158. McGUIRE, B., WRAITH, A., Legal and psychological aspects of stalking (Review), in Journal of Forensic Psychiatry, Volume 11, Issue 2, Pages 316-327. McIVOR, R.J., PETCH, E., Stalking of mental health professionals: An underrecognised problem ( Review ), in British Journal of Psychiatry, Volume 188, Issue MAY, May 2006, Pages 403-404 McIVOR, R.J., POTTER, L., DAVIES, L., Stalking behaviour by patients towards psychiatrists in a large mental health organization, in International Journal of Social Psychiatry, Volume 54, Issue 4, July 2008, Pages 350-357. MELOY, J.R., FISHER, H., Some thoughts on the neurobiology of stalking, in Journal of Forensic Sciences, Volume 50, Issue 6, November 2005, Pages 1472-1480. MELOY, J.R., GOTHARD, S., Demographic and clinical comparison of obsessional followers and offenders with mental disorders, in America Journal of Psychiatry, 1995; Volume 152, Pages 258-263. MULLEN P.E., PATHÉ M. (2002). Stalking, in Crime and Justice, Issue 29, Pages 273-318. MULLEN, P.E. ,PATHÈ, M.,PURCELL, R., STUART, G.W., Study of stalkers, in American Journal of Psychiatry, Volume 156, Issue 8, August 1999, Pages 1244-1249. NWACHUKWU, I., AGYAPONG, V., QUINLIVAN, L., TOBIN, J., Kevin MALONE, K., Psychiatrists’ experiences of stalking in Ireland: prevalence and characteristics, in The Psychiatrist, Volume 36, Issue 3, March 2012. OHLENDORF, P., PRADA, P., MAIRE, D., ANDREOLI, A., Stalking: Anew traumatic syndrome? (Review), in Revue Medicale Suisse, Volume 4, Issue 144, 13 February 2008, Pages 398-402. PALMIERI, G., GIANNINI, M., Stalking propensity:A new measure, in Italian Journal of Psychopatology, Volume 16, Issue 2, Pages 182-191. PATHÈ, M.T., MULLEN, P.E., PURCELL, R., Patients who stalk doctors: Their motives and management ( Review ), in Medical Journal of Australia, Volume 176, Issue 7, 1 April 2002, Pages 335-338. PATHÉ M.T., MULLEN, P.E., The impact of stalkers on their victims, in British Journal of Psychiatry, Volume 170, Issue JAN, 1997, Pages 12-17. PATTON, C. L., NOBLES, M. R., FOX, K. A., Look who’s stalking: Obsessive pursuit and attachment theory, in Journal of Criminal Justice, Volume 38, Issue 3, May 2010, Pages 282-290. PUBLIO OVIDIO NASONE (2005), Metamorfosi, P. Bernardini Marzolla (a cura di), Einaudi. PURCELL, R., PATHÈ, M., MULLEN, P.E., A study of woman who stalk, in American Journal of Psychiatry, 2001, Volume 158, Pages 2056-2060. PURCELL, R., PATHÈ, M., MULLEN, P. E. . The prevalence and nature of stalking in the Australian community, in Australian and New Zealand Journal of Psychiatry, 2002, Volume 36, Issue 1, February 2002 pages 114–120. PURCELL, R., POWELL, M.B., MULLEN, P.E., Clients who stalk psychologists: Prevalence, methods, and motives, in Professional Psychology: Research and Practice, Volume 36, Issue 5, October 2005, Pages 537-543. REGEHR, C., GLANCY, G.D., When Social Workers Are Stalked: Risks, Strategies, and Legal Protections ( Review ), in Clinical Social Work Journal, Volume 39, Issue 3, September 2011, Pages 232-242. ROMANS, J.S.C., HAYS, J.R., WHITE, T.K., Stalking and related behaviors experience by counseling center staff members from current or former clients,in Professional Psychology: Research and Pratice, Volume 27, Issue 6, December 1996, Pages 595-599. SACHINVALA, N., SYED, S., Stalking of forensic mental healt evaluators, in American Journal of Forensic Psychiatry, Volume 32, Issue 3, 2011, Pages 51-58. 95 SANDBERG, D.A., McNIEL, D.E., BINDER, R.L., Characteristics of psychiatric inpatients who stalk, threaten, or harass hospital staff after discharge, in American Journal of Psychiatry, Volume 155, Issue 8, August 1998, Pages 1102-1105. SANDBERG, D.A., MCNIEL, D.E., BINDER, R.L., Stalking, threatening, and harassing behavior by psychiatric patients toward clinicians, in Journal of the American Academy of Psychiatry and the Law, Volume 30, Issue 2, 2002, Pages 221229. Stalking. Aspetti psicologici, sociologici e giuridici, a cura dell'Osservatorio Nazionale sullo Stalking, AIPC Editore, Roma 2009. SCHNEIDER, C., TRESS, W., Stalking: Unwelcome company. The psychopathology of a modern phenomenon, in MMWFortschritte der Medizin, Volume 147, Issue 6, 10 February 2005, Pages 30-35. STOREY, J.E., HART, S.D., MELOY, J.R., REAVIS, J.A., Psychopaty and stalking, in Law and Human Behavior, Volume 33, Issue 3, June 2009, Pages 237-246. STRANO M., “Cyberstalking”, ICT Security, 2003 TONIN, E., The attachment styles of stalkers, in Journal of Forensic Psychiatry and Psychology, Volume 15, Issue 4, December 2004, Pages 584-590. TURMANIS, S.A., BROWN, R.I., The Stalking and Harassment Behaviour Scale: Measuring the incidence, nature, and severity of stalking and relational harassment and their psychological effects, in Psychology and Psychotherapy: Theory, Research and Practice, Volume 79, Issue 2, June 2006, Pages 183-198. WILSON, J.S., ERMSHAR, A.L., WELSH, R.K., Stalking as paranoid attachment: A typological and dynamic model, in Attachment and Human Development, Volume 8, Issue 2, June 2006, Pages 139-157. ZONA, M.A., SHARMA,K.K., Lane, J., A comparative study of erotomanic and obsessional subjects in a forensic sample, in Journal of Forensic Sciences, 1993, Volume 38, Pages 894-903. 96 PSICOPATOLOGIA E STALKING Di Giovanna Bellini Premessa Il termine “stalking” deriva dal verbo to stalk, e nella lingua inglese indica “l'appostamento, l'inseguimento furtivo” del cacciatore per il controllo e l’abbattimento della preda. Possiamo quindi assimilare lo stalker ad un predatore. Gli atteggiamenti intrusivi, persecutori, messi in atto da stalker rappresentano una fonte di disagio che colpisce, dal 2 al 15% della popolazione. Lo stalking non rappresenta in modo univoco uno specifico comportamento predatorio dell’uomo sulla donna, sebbene lo stalker sia (secondo le statistiche tratte dalle denunce) 81% uomo, esiste infatti uno stalking compiuto all’interno dello stesso genere e, più raramente, di donne su uomini (fenomeno quest’ultimo meno denunciato dalle vittime). Il fenomeno dello stalking se da un punto di vista giuridico si identifica in uno specifico reato codificato da un articolo del codice penale, il reato di Atti Persecutori regolato dall'articolo 612-bis, da un punto di vista psicopatologico-comportamentale non risulta però un fenomeno omogeneo, bensì un fenomeno complesso ed eterogeneo. Infatti sebbene vi siano agiti persecutori sottesi da un franco quadro psicopatologico, talora i molestatori-persecutori sono difficilmente identificabili in una specifica categoria diagnostica o addirittura non si riesce ad identificarne una vera e propria patologia mentale poiché non sempre uno stalker ha un vero disturbo mentale o presenta una condotta di abuso di sostanze. 97 Aspetti clinici L'atto persecutorio quindi non è necessariamente espressione fin da subito di una patologia psichiatrica nota, ma anzi più frequentemente si innesca su un quadro di normalità, le attenzioni di quello che diventerà uno stalker si inseriscono nella vita quotidiana della vittima assumendo l'aspetto attenzioni non gradite, rifiutate fino a vere e proprie molestie, e successivamente, reiterandosi ed aumentando per frequenza e virulenza, delineano un vero atto persecutorio. Ne è l'esempio l'innamorato respinto che con agiti che inizialmente sembrano innocui vuole comunicare il proprio innamoramento e la proprie sofferenze amorose al ex con ogni mezzo ed in modo assillante e pervasivo, chiedendo perdono per errori commessi in passato, facendo regali, dimostrandosi malinconico e disperato con la vittima ed i conoscenti di questa. Queste condotte possono quindi assumere carattere molesto, sgradito e persino persecutorio se reiterate, in assenza di un consenso esplicito del destinatario o nonostante un suo inequivocabile rifiuto. Con questi atteggiamenti lo stalker induce o tenta di indurre in alcune tipologie di vittime sensi di colpa trovando dal canto suo la gratificazione del proprio narcisismo. Il molestatore persecutore nega se stesso l'abbandono mettendo in atto una reazione maniacale. L'atto persecutorio quindi può essere espressione di una patologia psichiatrica o rappresentare l'unico sintomo dello stalker che presenta un idea ossessiva-pervasiva prima della propria vita e successivamente della vittima. Anche il profilo della vittima non è quindi omogeneo, e sebbene dai dati di letteratura sembra che la maggioranza delle vittime siano donne tra i 18 e i 24 anni anche la fascia di età varia a seconda del tipo di stalker che abbiamo di fronte, ad 98 esempio la maggior parte delle vittime di Stalker come “il risentito” o e/il “respinto” sembra avere tra i 35 e i 45 anni, ed essere di sesso femminile in precedente relazione con lo stalker. E' quindi molto importante tenere sempre presente che dietro ad un comportamento caratterizzato da atti persecutori, per utilizzare il termine giuridico, si celano cause e fini molto diversi tra loro che vanno dal seguire un impulso irrefrenabile, ad adottare un comportamento strumentale come avviene nelle false accuse di stalking, in cui la dichiarata “vittima” risulta in realtà quella che ha in di fatto il comportamento persecutore nei confronti della persona accusata senza fondamento, accuse che vengono effettuate per rivalsa o per ottenere un qualche beneficio. E proprio per la presenza di questa disomogeneità nelle caratteristiche del molestatore-persecutore è necessaria una attenta analisi di ogni singolo caso per permettere di mettere in atto idonee misure e successivamente idonei piani terapeutici sia per la vittima che per lo stalker. Una analisi del fenomeno dello stalking attraverso la sola categorizzazione psichiatrica dello stalker non è quindi sufficiente ma necessita di una osservazione da un punto di vista pluridisciplinare, coinvolgendo la sociologia, la criminologia, la psicologia e, all'interno della psicologia, la psicoanalisi. In quelle situazioni in cui lo stalker presenti un franco quadro psicopatologico gli atti persecutori messi in atto rappresentano un epifenomeno di un disagio mentale che richiede pertanto un intervento di tipo terapeutico ma dal punto di vista giuridico i suoi agiti configurano in un reato penale e pertanto lo stalker va perseguito fermamente e tempestivamente. 99 Stalking e disturbi psichiatrici Se dovessimo inquadrare le caratteristiche dello stalker dai dati in letteratura questo è nel 80%-70% dei casi di sesso maschile, nel 55% ha un’età compresa tra i 18 e i 25 anni, se l'evento scatenante è un abbandono o amore respinto, superiore ai 55 anni se una separazione o divorzio. Inizialmente alcuni autori hanno individuato nell'erotomane il prototipo dello stalker, in cui è presente un Disturbo Delirante con un delirio erotomanico di tipo passionale, in cui il soggetto è convinto che la vittima sia innamorata di lui, associati a quelli di rivendicazione, di vendetta e gelosia. L'erotomania è classificata tra i disturbi psicotici presenti sull’Asse I del DSM-IV, il soggetto che ne affetto è inaccessibile alla critica ha come caratteristiche peculiari la persistenza nel tempo dell'azione persecutoria. Lo stalker erotomane si relaziona con la vittima in modo altamente intrusivo, giustificando anche gli atteggiamenti più violenti, perché è convinto che sia la vittima stessa a giustificarlo, a permetterlo, a volerlo, a desiderarlo, anche se la stessa afferma il contrario, quindi nessuna protesta da parte della vittima può scalfire l'intento e le convinzioni che animano lo stalker. Ci sono casi in cui il “malinteso” relazionale non è presente e il molestatore-persecutore agisce esclusivamente a seguito delle proprie pulsioni, che lo inducono a tendere al loro soddisfacimento. Siamo difronte in questo caso ad un Disturbo con discontrollo degli impulsi in cui non c'è controllo delle pulsioni, la relazione con la vittima, che può essere una persona sconosciuta allo stalker, passa in secondo piano rispetto alla necessità di soddisfacimento dell'impulso e lo stalker, talvolta, comunica con la vittima senza manifestarsi o farsi riconoscere, rimanendo in anonimato, ne è un esempio lo stalking che avviene tramite telefonate anonime. Sembra che molti stalker abbiano riferito non aver provato senso di colpa 100 per i loro agiti ma piuttosto un senso di vergogna al momento in cui sono stati identificati o denunciati. In altri casi si è riscontrato un Disturbo Dipendente di Personalità, in cui è la sofferenza per un abbandono subito a caratterizzare la vita dello stalker, per evitare questa angoscia, e quindi l'abbandono, utilizzerebbero ogni mezzo. Sono quegli individui in cui è presente un modello di attaccamento insicuro, in cui per il soggetto l’altra persona diventa funzionale per la propria vita, indispensabile. Spesso inoltre nel soggetto che commette stalking è presente anche una componente ossessiva-compulsiva. Lo stalker, che quindi non è altro che un molestatore persecutore, mette in atto atteggiamenti reiterati, ripetitivi, come l’aspettare, l’inseguire, il raccogliere informazioni sulla vittima e sui suoi movimenti ed interagire con essa. Kienlein, Birmingham (1997) suddividono gli stalker in due principali gruppi a seconda che ci sia il disturbo psicotico, caratterizzato da presenza di deliri e sintomi di psicosi, o che non sia presente come in disturbi di Asse I (Disturbi dell’Umore, Disturbi dell’Adattamento, Dipendenza da Sostanze) e di Asse II. Spesso il quadro psicopatologico dello stalker sottende un Disturbo Borderline di Personalità, del cluster b, antisociale, borderline, istrionico e narcisistico, che lo porta ad avere comportamenti finalizzati al possesso della vittima, mancando una lettura oggettiva della realtà che lo porta ad interpretare talvolta i segnali di rifiuto di questa come una sfida. Se avverte il rischio dell'abbandono può mettere in atti comportamenti eteroaggressivi (minacce, ritorsioni dimostrative e intimidatorie), violenze verso l’altro, tentativi di suicidio, autolesionismi, come ricatto per indurre l'altro a non separarsi. Kienlein e collaboratori ipotizzano (1998) che alla base di alcune forme di stalking vi sarebbe lo sviluppo di un attaccamento patologico in quei soggetti sottoposti da tenera età a maltrattamenti, assenza emotiva e separazione dal caregiver primario. Dati in letteratura 101 dimostrano che l’80% degli stalker ha subìto dei fattori scatenanti stressanti nei sette mesi precedenti i comportamenti assillanti. Il soggetto si sente quindi minato nella propria identità ed autostima da non riuscire a far fronte all'abbandono, inizia quindi la propria azione persecutoria. Soggetti invece con tratti tratti narcisistici e antisociali, non accettando il rifiuto (reale o immaginario) mettono in atto agiti persecutori per vendetta e rivalsa nei confronti della vittima che li rifiuta. Lo stalker si sente pertanto umiliato e deriso tanto da essere convinto di essere lui la vera vittima. L'agito dello stalker in generale si basa su una comunicazione ripetitiva ed intrusiva, un atto persecutorio appunto, spinto da un investimento affettivo in una relazione reale o totalmente immaginaria. La relazione esistente tra molestatore e vittima può avere gradi di intimità diversi, o i due possono perfino essere dei perfetti sconosciuti, e la vittima essere stata scelta dal caso. A causa di questo comportamento la vittima deve cambiare il proprio stile di vita, e se gli agiti dello stalker hanno una escalation rapida questo avverrà altrettanto rapidamente ma se l'azione dello stalking avviene in modo più subdolo, dilazionata in tempi più lunghi e con una lenta ingravescenza per intrusività e minacciosità, la vittima può non comprendere fin dall'inizio di essere vittima di un reato e può sottovalutarne la gravità ritardando talvolta non solo la denuncia agli organi competenti ma anche il confidarsi con le persone vicine. Nella vittima di atti persecutori si configura un corredo sintomatologico che va dal vero e proprio disturbo postraumatico da stress, alla depressione ed ansia fino ad una vera “alienazione” psichica. L'atto persecutorio può venire attuato attraverso due principali tipi di comportamento quello attivo e quello diretto. Attraverso il comportamento attivo lo stalker trasmette in modo pervasivo e prepotente alla vittima emozioni, bisogni, impulsi e desideri, sostenuti sia 102 da sentimenti di “odio” che di “amore”. Può mettere in atto i propri agiti attraverso i più disparati mezzi di comunicazione (telefono, lettere, email, scritte sui muri), la vittima è costretta a subire queste informazioni nel proprio ambito della vita quotidiana, lo stalker può far riferire alla vittima notizie anche utilizzando terzi che fanno parte della cerchia di amicizie o parentela della vittima stessa, coinvolgendoli a loro insaputa nell'azione di stalking. Attraverso il controllo diretto, carico di una maggior eteroaggressività, lo stalker mette in atto pedinamenti palesi, o scontri diretti con la vittima sia verbali che fisici o danneggiamenti di oggetti o animali della vittima. Alcuni autori (Mullen e Pathé (3) hanno proposto per il molestatore/persecutore una classificazione in tre assi: • il primo, tiene conto della sua relazione con la vittima, e delle strategie messe in atto per attuare la persecuzione; • il secondo si basa invece sulla relazione esistente prima che la molestia persecutoria venga messa in atto; • il terzo, infine si basa su una analisi puramente di tipo psicopatologica. Nella classificazione di primo asse gli stalker vengono suddivisi, in relazione alle modalità relazionali e strategie attuate, in cinque categorie: rifiutati, cercatori di intimità, rancorosi, predatori e incompetenti. L'evento scatenante nei rifiutati è chiaramente l'interruzione della relazione, vera o fantasticata che sia, e le strategie attuate saranno atte a impedire l'allontanamento della vittima o a prolungare quanto più possibile il legame sebbene in modo distorto. Lo stalker in questo caso mira a vendicarsi per dell'affronto subito con il rifiuto e allo stesso tempo a tentare di ristabilire una relazione con la vittima. I cosiddetti cercatori d’intimità o bisognosi di affetto ricercano in modo violento, intrusivo, un 103 rapporto per superare la solitudine, sia con persone note che con sconosciuti; in questo caso non è tanto importante l''identità della vittima quanto che ce ne sia una. Questo tipo di stalker vuole a tutti i costi convertire un normale rapporto di conoscenza o amicizia in una relazione sentimentale nella convinzione che la vittima si convincerà. Nei rancorosi o “risentiti” l'agito persecutorio è generato, sotteso e sostenuto dalla ferma convinzione di aver subito dei torti (veri o presunti) da parte della vittima, ad esempio per traumi affettivi (tipicamente un ex-partner di una relazione sentimentale); pertanto il molestatore persecutore agisce nella convinzione di mettere in atto una difesa, di una rivalsa nei confronti di chi nella sua mente distorta lo ha danneggiato. Il predatore agisce nella ricerca di un appagamento sessuale e di controllo sulla vittima con cui instaura un rapporto carico di sadismo che si rafforza dell'ansia, del panico della sfiducia, della sensazione di impotenza che pervade la vittima; spesso ne fanno parte voyeur e pedofili. L'incompetente è invece un soggetto che non in grado di stringere un legame affettivamente valido con la vittima, è incapace di a mettere in atto un corteggiamento. Questo tipo di stalker generalmente mette in atto un azione di stalking di breve durata dovuto alla propria "ignoranza" delle modalità relazionali, dunque arreca uno stalking quasi “preterintenzionale”. All'interno del Secondo asse gli stalker sono classificati in base alla relazione che ha con la vittima in una fase preesistente all'inizio dell'attività persecutoria. La vittima può essere o essere stata in più o meno stretta relazione con lo stalker o un perfetto sconosciuto, oppure appartenere alla categoria delle così dette professioni di aiuto. Da dati della letteratura sembra che i molestatori più pericolosi siano quelli legati alla loro vittima da una precedente relazione sessuale, sono questi casi in cui l'atto persecutorio si trasforma in omicidio. La classificazione in base alla psicopatologia del 104 molestatore persecutore identifica invece il Terzo asse, in cui il molestatore persecutore rientra nei criteri diagnostici di Disturbi Psicotici propriamente detti, piuttosto che le Psicosi Affettive, le Psicosi Organiche, i Disturbi di Personalità, i Disturbi d’Ansia e i Disturbi dell’umore. (tabella esplicativa). Ipotesi trattamentali Alla luce di quanto detto per quanto riguarda l'approccio terapeutico non si può parlare quindi genericamente di “un trattamento” del molestatorepersecutore, ma piuttosto del trattamento di uno specifico quadro psicopatologico di un soggetto che ha agiti di molestatore persecutore. L'armamentario terapeutico comprende quindi terapie farmacologiche, ma anche psicoterapeutiche. La difficoltà quindi dell'impostare una strategia terapeutica dello stalker risiede nel fatto che il trattamento non può essere standardizzato perché diversi sono, come abbiamo visto, i quadri psicopatologici che sostengono gli agiti di molestie persecutorie, ma sarà piuttosto indirizzato verso il disturbo psicopatologico specifico di cui lo stalker che dobbiamo trattare è affetto. 105 VITTIMOLOGIA E RELAZIONE VITTIMA-CARNEFICE di Enrico Maria Troisi L’inviolabilità della libertà personale viene sancita dall’art. 13 della Costituzione Italiana. Rifiutato, cercatore di intimità, corteggiatore incompetente, rancoroso, predatore. Qualunque etichetta diamo allo stalker, ci troviamo comunque di fronte ad una persona che non tiene in alcuna reale considerazione la libertà del suo reciproco, dell’altro; e calpesta senza freno i suoi bisogni ed i suoi diritti. Ripetitivo, insistente, intrusivo, sgraziato, minaccioso, sgradevole, al limite violento, lo stalker si arroga il diritto di scegliere una persona e designarla quale vittima, su cui riversare un massiccio investimento ideo-affettivo basato sulle pretese di relazione reale, oppure parzialmente o totalmente immaginata. Lo stalker è la metafora vivente dell’oppressione. La vittima “stalkizzata” percepisce intensamente la pressione psicologica legata alla “coazione” comportamentale del molestatore; prova nervosismo, sconcerto, preoccupazione e angoscia derivanti dalla paura per la propria incolumità e, pertanto, vive in uno stato di allerta, di emergenza e di stress psicologico. La sua esistenza si va rarefacendo, e si scheletrizza. L’apprensione, l’umiliazione, il dolore, la paura possono confluire in una condizione di depressione e stress post-traumatico clinicamente significativi, mentre presto si affacciano serissime preoccupazioni per la propria incolumità fisica. La prospettiva della vittima è dunque quella di chi, intrappolato in uno scenario di guerra tenta di sopravvivere 106 asimmetricamente sotto il tiro di un cecchino, dibattendosi fra paura, speranza, rabbia, delusione. A livello scientifico l’attenzione alla vittima è comparsa solamente nella metà del novecento con i primi studi di Mendelson e Van Hentig, e, a livello di percezione sociale, il problema sembrerebbe aver assunto la consistenza di un mainstream; pertanto la vittima è stata finalmente considerata per i suoi bisogni con i rischi che comporta però la medializzazione estensiva del fenomeno. Dall’analisi della letteratura emerge comunque che, in qualunque forma di violenza, e nello stalking in particolare, vittima e persecutore possiedono spesso caratteristiche psicologiche e/o psicopatologiche complementari, collusive. Le caratteristiche che i due attori della violenza (persecutore e vittima) hanno in comune, benché declinate in modi speculari possono riassumersi così: DISTURBI DELL’ATTACCAMENTO PRIMARIO, ovvero quella forma di sicurezza (o insicurezza, dipendenza, evitamento, ecc.) che si acquisisce nelle prime fasi di sviluppo, tra bambino e chi se ne prende cura. Un attaccamento si considera “sicuro” allorquando si struttura grazie all'assimilazione di una figura che presta cure pronte e costanti, in assenza delle quali si può costituire un modello di attaccamento disarmonico, fino ad assumere caratteristiche patologiche. Nell’età adolescenziale e adulta il soggetto tenderà ad aspettarsi dal partner quelle modalità relazionali che ha interiorizzato da bambino, sia offrendo che determinando insicurezza, dipendenza, evitamento, distanza emozionale, aggressività, così come sperimentate nelle fasi precedenti dello sviluppo. DIPENDENZA, ovvero l’incapacità di risolvere relazioni affettive considerate inadeguate o dolorose. Strettamente connessa al punto 107 precedente, la dipendenza (affettiva) rende i soggetti di una relazione collusiva codipendenti reciprocamente, manipolativi, non liberi e non “liberabili”. PATOLOGIE DELL’IO. Sensazione di estrema rarefazione delle prospettive individuali future in assenza della persona amata, che, sebbene di fatto è disfunzionale per una sana relazione, è stata idealizzata nel bene e nel male, quindi trasformata, rappresentata quale oggetto molto importante, insopprimibile proprio perché strategica in un rapporto che serve ad alimentare gli aspetti carenziali e patologici di quell’Io. Sulla base di queste premesse, si può spiegare come le vittime di stalking manifestino incapacità a far fronte in maniera proattiva alle richieste assillanti e alle minacce, riluttanza generale a sembrare inappropriate, che genera una minore efficacia nell’allontanare e nel prevenire le avances; necessità di apparire socialmente competenti, che sacrifica l’efficacia personale (ma anche le persone relazionalmente competenti, potrebbero essere riluttanti a togliersi di impaccio da relazioni che coinvolgono ad es. innamorati insistenti, perché questo potrebbe causare dei problemi alla reputazione degli stessi (Metts, 1992) e si sentono colpevoli e preoccupate per loro). Di fatto quindi la relazione vittima-carnefice può essere connotata da un alto grado di regressione e ricalca i modelli operativi interni e l’organizzazione psichica familiare o parentale. Più in dettaglio, nella vittima si insinua la inconscia tendenza ad essere manipolati, ingannati, perseguitati, soffocati, controllati. In altre parole, di essere oggetti nelle mani di qualcun considerato più forte e più grande, più degno di amore anche di sè stessa. Il sentimento di indegnità della vittima è infatti uno dei più dolorosi e dei più immanenti; il carnefice si 108 considera a propria volta come vittima dell'imperativo di esercitare una coercizione per ottenere amore e affetto, ovvero quel riconoscimento e quel sostegno che avrebbe voluto e dovuto ricevere dalla figure significative nelle fasi precoci dello sviluppo e che è drammaticamente costretto a chiedere con la forza. La vittima dentro di sé coltiva l’idea di meritarsi un simile trattamento, forte dell'aver appreso il modello secondo cui l'amore è sofferenza, che il piacere ed il dolore sono due facce della stessa medaglia, e che in ogni caso è giusto subire un maltrattamento in quanto è l’unico modo per sentirsi al sicuro: “Se non mi ribello al chi mi maltratta (in senso traslato al genitore maltrattante), lui non mi abbandonerà. Se persevero nella condotta che merita punizione, otterrò maggiori punizioni e sarò utile al bisogno che ha il mio carnefice di ottenere amore ed affetto solo con la forza”. Fritz Perls parla in questi casi anche di falsificazione dell’esistenza e di automanipolazione. L’interferenza avviene in due modi, il bastone e l'ipnosi. “Il bastone” è il gioco dell’autotortura, il gioco vittima-persecutore. Il persecutore manipola facendosi saccente e autoritario e va avanti a colpi di “dovresti”, fa richieste impossibili, perfezionistiche senza mai rivelare l'ideale, che per antonomasia è qualcosa di impossibile, di irraggiungibile, una scusa per controllare e far schioccare la frusta. La vittima a sua volta manipola giustificandosi, frignando e rimandando “domani, hai ragione, mi sono dimenticato” ecc.; la vittima è impotente ma sottilmente astuta: infatti ha la meglio sul persecutore che “deve” comportarsi così! Quindi il gioco non ha mai fine perché entrambe, vittima e persecutore, inconsciamente competono per la sopravvivenza, e si svolge in un clima da boule de neije (ipnosi), rarefatto, monotono, esclusivo, alienante. Nel caso dello stalking la vittima a volte finisce così per ingenerare nel carnefice fraintendimenti (tentativo di attenuare la limitazione o il rifiuto del rapporto), illusioni di 109 potere, fantasie rivendicative o ipercompensatorie o restaurative, Illusioni di accoglienza e di accudimento. A questo proposito, una interessante prospettiva è quella del cosiddetto “triangolo drammatico di Karpman”, ovvero lo spazio in cui i protagonisti esercitano tre ruoli fondamentali che si alimentano vicendevolmente: persecutore, vittima, salvatore. Sono ruoli insiti nel comportamento di ciascuno, utilizzati allo scopo di manipolare gli altri e il rapporto perverso vittima-carnefice ne è una gigantografia. La Vittima non ama le responsabilità, tende a cercare qualcuno a cui dare la colpa, l’altro, il passato, l’inconscio, il carattere; la sua forza è nascosta accuratamente e prende potere sugli altri mostrandosi debole e sofferente e instillando il senso di colpa nel persecutore nel quale attiva un salvatore che la aiuti facendolo sentire utile e di vitale centralità. La Vittima comunica con gli altri esclusivamente attraverso la propria debolezza e il proprio dolore, nega la propria forza, professa di non avere capacità e di poter trasformare la realtà. In buona sostanza, mentendo a sé stessa, la vittima finge di non essere mai forte. Il Persecutore prende poi potere esercitando la forza, la minaccia e l’aggressività, il giudizio forte, la critica il sarcasmo. Se il gioco gli riesce l’altro entra in uno stato di confusione e si spaventa finendo per fare quello che il persecutore gli ordina. Le persone arroganti, che criticano e aggrediscono sono spesso le persone che hanno più paura di essere ferite interiormente, e che probabilmente sono state più ferite e umiliate; inevitabile dunque assumere il ruolo di padrone e giustiziere e, lontano dal lambire la propria vulnerabilità, fingere a sé stesso di essere mai debole. Il Salvatore, nell'aiutare l'altro aiuta sé stesso indirettamente, proiettando all'esterno i propri bisogni e fingendo di non avere mai bisogno di alcunchè. Dunque il “Salvatore” manipola creando legami di dipendenza, (l'altro avrà sempre bisogno di lui) e finge di non avere mai alcun bisogno per sè, restando 110 sempre da solo e con i propri reali bisogni né riconosciuti né soddisfatti. La Vittima nasconde la forza, il Persecutore nasconde la debolezza, il Salvatore nasconde i bisogni. La convinzione sottostante è che quando emergono sentimenti e convinzioni “da copione” emerge una rappresentazione del sé che viene interpretata come il vero sé e il rapporto fra vittima e carnefice finisce per diventare drammaticamente pervasivo pur nell'alternanza inconsapevole dei ruoli di vittimapersecutore/salvatore. Per riassumere, dunque, nell'analisi vittimologica dello stalking i fattori che condizionano la risposta della vittima possono essere così tratteggiati: rapporto interpersonale Autore-Vittima, ruolo che la vittima può assumere (Von Hentig, Mendelshon, Ellenberger – vittime attive-partecipanti, Complesso di Abele, Complesso di Erostrato, etc.), percezione della vittima da parte dell’autore (Sikes e Matza, autolegittimazione.), percezione dell’autore da parte della vittima e modalità di comportamento (rapporto vittima/persecutore/salvatore). L'ascolto della vittima amplifica enormemente la possibilità di uscire dalla situazione di stress non ricadendo nella stessa identica trappola con un partner successivo. Nonostante la relativa rigidità copionale, vi è un momento in cui la vittima si allontana in preda alla caduta di interesse, alla paura, all’insopportazione e alla “stabile” trasformazione dell’altro da oggetto buono e salvifico a cattivo e persecutorio; cioè fatalmente e finalmente percepisce un disagio soprasoglia e tenta, naturalmente in maniera ambivalente, di venirne fuori. Così, nel processo di vittimizzazione, per solito l'ascolto si colloca in una fase piuttosto tardiva. Il processo di vittimizzazione si articola infatti in 4 fasi: 1. Fase del danno. percezione di aver subito un danno, un evento lesivo. La vittima a) reagisce, b) rinvia; 111 2. Percezione di essere vittima. L’evento subito è considerato ingiusto e punibile; 3. Ricerca di riconoscimento altrui. Bilancio fra spinte esoimpellenti ed esorepellenti; 4. Ufficializzazione. Una spirale di condotte nevrotiche, sostanzialmente perversa, largamente non mentalizzata, può detonare sia nel caso di rapporti duraturi che appena abbozzati o immaginati, in condotte pericolosissime, di cui sono espressione gli atti persecutori ripetuti in risposta un abbandono reale o temuto; per cui solo attraverso un rapido lavoro di consapevolezza anche attraverso tecniche che permettano la risoluzione di alcuni nodi transferali connotati da forti contenuti rimossi, è possibile disinnescare l'ordigno ad orologeria che si è messo in funzione. Fra amanti perversi, reali, o immaginati, la realtà resta illusoria, nel senso che l'agenda della relazione è dettata da un patto implicito, segreto, silenzioso, che quando affiora alla consapevolezza e si svela quale doloroso autoinganno lascia un senso di vuoto e di disperazione; a quel punto la rabbia ed il dolore che hanno preceduto ed alimentato le condotte persecutorie possono confluire o verso una condotta grave e giuridicamente rilevante, o, ed è auspicabile, verso una consapevolezza salvifica passando dalla ineluttabilità di un rapporto dolorosamente malato alla scelta dell'opzione giusta e dall’interdipendenza finalmente all’intersoggettività. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Gargiullo B. C., Damiani R. (2008). Lo stalker, ovvero il persecutore in agguato. Classificazioni, assessment e profili psicocomportamentali. Franco Angeli. Angeli F., Radoce E. Rose al Veleno, Stalking. Storie d'amore e d'odio. Grandi Saggi Bompiani. 112 Galeazzi G. M., (2003), Curci P., Sindrome delle molestie assillanti (stalking), Bollati Boringhieri, TorinoModena Group on Stalking (2005), Riconoscimento a modelli di intervento in ambito europeo, Criminologia, Franco Angeli, Milano. Paul E. Mullen, Pathè M., Purcell R., (2000), Stalkers and their victims, Cambridge University Press, Cambridge. Zona M. A. et al., (1993), A comparative study of erotomanic and obsessional subjects in a forensic sample, University of Southern California; Zona M., Palarea R. E., (1998), in Meloy, The psicology of stalking: clinical and forensic perspectives, Accademic Press, New York. 113 FALSE VICTIMIZATION SYNDROME DISTURBO PERSONALITA', QUERULOMANIA: QUANDO LA CARNEFICE. ISTRIONICO DI VITTIMA E' IL di Lavinia Rossi Definizione Per False Victimization Syndrome, si definisce un insieme di soggetti che cercano di convincere gli altri di essere vittime di Stalking attraverso l'invenzione di fatti, mai accaduti e di circostanze mai verificatesi ( o verificatesi per caso) per ristabilire un rapporto e/o ottenere attenzioneGli individui con queste caratteristiche soddisfano spesso i criteri diagnostici per il Disturbo di Personalità Istrionico (DSM-IV, 1994). Inquadramento Dopo la revisione della legge per lo Stalking e le sue modifiche sono emerse varie realtà scomode. La percentuale di archiviazioni per i reati di cui agli artt. 388, 570, 572, 612bis (Stalking) supera il 50% (fonte: Procura della Repubblica di Roma). La percentuale di False Denunce per Stalking: supera il 50% (fonte: Ministero dell'Interno). Lo Stalking in Italia è una legge giusta, ma spesso usata per fini strumentali" (Barbara Bresci, Magistrato). L’uso ingannevole della denuncia per reato di Stalking risulta prevalente nelle famiglie in crisi. Non di rado accade che il genitore affidatario, ma non collocatario, non riuscendo a frequentare i figli per varie problematiche venga denunciato per stalking. Si evince inoltre dai 114 dati in letteratura la realtà di un uso strumentale/contrattuale di stalking a fini economici remunerativi ovvero la denuncia come arma di ricatto, soprattutto nei confronti di ex. Il soggetto in questi casi è consapevole della strumentalizzazione della legge. Sintomi e segni della FVS Segni e sintomi ed aspetti clinici compatibili con la False Victimization Syndrome si ritrovano in varie patologie psichiatriche. Si trovano tra questi: • Disturbi di Personalità prevalentemente del Cluster B, paranoia (querulomania), simulazione; • Disturbo dell’Umore di tipo Bipolare I e II (fase ipomaniacale e maniacale); • disturbo fittizio; • sindrome di Munchausen; • disturbi mentali organici; • demenza senile. Per ciò che riguarda le differenze tra Stalking e False Victimization syndrome, non esistono ancora molti dati nella letteratura scientifica. La presenza di questa forma di Stalking “inverso” è una realtà ancora poco conosciuta in Italia. Materiale e Metodi Da una review dei vari articoli scientifici e articoli della stampa emergono differenze tra la vera vittima e falsa vittima di stalker. Nel soggetto con 115 False Victimization Syndrome emergerebbe infatti la tendenza a una maggior manipolazione di fatti non accaduti e/o inventati. Si annotano anche eventi caratterizzati da irritabilità, impulsività. In questi soggetti è presente ridotta autostima. Altra differenza consta nella minor brevità tra ideazione ed azione ovvero il lasso di tempo tra ideazione della falsa denuncia e la esposizione della denuncia stessa. Il presunto stalker è spesso incarnato da un ex fidanzato/a, ex amante o partner, un individuo che ha respinto il soggetto, un nuovo/a partner dell’ex. Possono evidenziarsi in alcune forme di patologie mentali gravi con deliri di persecuzione associati o meno a deliri erotomanici, false accuse nei confronti di persone semi sconosciute o che ricordano una persona amata in precedenza. Frequentemente nella F.S.V. la falsa vittima appartiene allo stesso sesso della vittima e tende a seguire, imitare e frequentare i luoghi dove è possibile vedere ed osservare questa persona. Comportamenti della falsa vittima Vengono spesso creati malintesi ad hoc e cercati scontri al fine di perpetrare l’inganno. La diffusione di gossip e dicerie al fine di svalutare la credibilità professionale e personale della persona vengono fortemente sostenute con individui inseriti nella cerchia amicale della vittima. Si registrano inoltrano, non rare forme di autolesionismo nella falsa vittima con denuncia dopo l’ottenimento del referto ospedaliero alle autorità. Sono riportate dalle cronache anche casi di rottura di oggetti propri, come distruzione di proprietà, atti di vandalismo su auto e possedimenti al fine di mantenere più alta la credibilità. Con l’avvento di internet il carnefice opera una sorta di pedinamento e visualizzazione dei profili dei social network, cv, indirizzi e numeri di telefono al fine di poter seguire e vedere 116 gli spostamenti della vittima accusata. Si assiste spesso anche da parte della falsa vittima ad esposizione di denuncia per presunti inseguimenti o telefonate che poi non risultano essere state effettuate dalla reale vittima. La dimensione della bugia e dell’autoinganno raggiunge aspetti spesso deliranti. Se interrogato “il carnefice” tende all’evasività cercando di rendere reale la propria fantasia. La costruzione della storia, pianificata e idealizzata, diventa per lui realtà. Sfatare questa fantasia diventa molto arduo e motivo di possibile scompenso per il soggetto in esame, anche davanti alla mancanza di prove e testimoni. Riassumendo: Le Caratteristiche dei Falsi Stalker e della vittima sono: 1. Non rilevanti differenze di genere, età, o stato socioeconomico; 2. La falsa vittima spesso è spesso single; 3. Minor descrizione di quantità di episodi correlati allo stalking nella FVS rispetto alle reali vittime; 4. Assenza o insufficienza di dettagli e testimonianze; 5. Produzione da parte della falsa vittima di meno prove legate a scrittura a causa di possibili perizia calligrafiche; 6. La sensazione di essere vittima di stalking è più pervasiva, rapida, violenta; 7. Presenza di differenti condotte parasuicidarie e pensieri suicidari. Aspetti clinici Questo fenomeno psicopatologico in psichiatria viene chiamato pseudologia fantastica ed è caratterizzata dal ricorso abituale alla bugia. Si ritrova in soggetti istrionici o psicopatici (i cosiddetti "bugiardi 117 patologici") e può riguardare i più disparati eventi o argomenti (per esempio: luoghi meravigliosi, avventure galanti, situazioni rocambolesche, ecc.), talora amplificati parossisticamente fino a raggiungere gradi altissimi di inverosimiglianza. E’ una fase di passaggio quasi obbligatoria nella definizione della personalità infantile: ogni bambino attraversa un periodo dove le bugie possono sconfinare in un mondo fantastico e tende ad esaurirsi spontaneamente. Oltre che nel disturbo istrionico di personalità la tendenza alla manipolazione e al contrasto si ritrova in altri disturbi di personalità del cluster B ovvero nel Disturbo Narcisistico e nel Disturbo Borderline. In questo Cluster ricorrono caratteristiche comuni quali impulsività e tendenza alla drammatizzazione. Le emozioni appaiono mutevoli esagerate, poco autentiche e si associa spesso un’affettività piuttosto colorita. Assente l’insight riguardo l’atteggiamento teatrale e inadeguato; sono persone dotate di eloquio ricco e fluente, ma superficiale ed evasivo, mostrano distraibilità, tendenza all’egopatia, appaiono seduttivi, ipergestuali frequentemente se interrogati cadono in contraddizione. Sia la psicoterapia che la psicofarmacologia sono difficili da impostare con questi pazienti che a causa della mancanza di consapevolezza di malattia giungono all’osservazione psichiatrica su consiglio dei familiari o per acutizzazione di alcuni sintomi. Altra forma di denuncia per cosi dire patologica è la querulomania. La queulomania è una forma di disturbo delirante cronico dove il soggetto affetto ritiene di aver subito torti, di diversa natura, per i quali cerca di ottenere giustizia seguendo le vie legali, con l’istruzione di una o più cause giudiziarie. Le denunce vengono spesso portate avanti con abilità forense e plausibilità nonostante l’inconsistenza delle prove e di testimonianze a favore del querulomane. Caratteristicamente quando, il paziente perde cause o ricorsi, continua a 118 riproporre opposizioni, appelli o ad aprire nuovi casi legali. Non di rado, si passa poi alla denuncia, a causa dell’insorgenza di deliri di persecuzione, anche di avvocati e giudici. La querulomania si trova frequentemente anche nei soggetti in fase ipomaniacale, sebbene più frequentemente nella fase maniacale franca nel disturbo Bipolare. Anche il delirio di nocumento ed erotomanico spesso collegati tra loro possono portare il soggetto psicotico ad effettuare denunce infondate. Questi deliri possono ritrovarsi non solo nelle psicosi paranoidee ma anche nel paziente con diagnosi di disturbo Bipolare con sintomi psicotici durante la fase maniacale. Spesso sfumati aspetti rivendicativi e l’emergenza di false accuse possono trovarsi anche nella demenza senile, soprattutto all’esordio della patologia, associati a deliri di veneficio, deliri erotomanici, deliri di persecuzione. La tendenza è spesso quella di incolpare la cerchia famigliare per la scomparsa di oggetti e l’inizio della perdita della memoria con falsi ricordi che portano il soggetto a sospettare di tutti coloro che sono intorno arrivando ad esporre denunce verso le persone che frequentano la dimora del soggetto. Si riportano le caratteristiche dei disturbi di Personalità piu comuni in questa entita psicopatologica. I criteri diagnostici per il Disturbo Istrionico di Personalità secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti: • Un quadro pervasivo di emotività eccessiva e di ricerca di attenzione, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi: • disagio in situazioni nelle quali non è al centro dell’attenzione • l’interazione con gli altri è spesso caratterizzata da comportamento sessualmente seducente o provocante 119 • manifesta un’espressione delle emozioni rapidamente mutevole e superficiale • costantemente utilizza l’aspetto fisico per attirare l’attenzione su di sé • lo stile dell’eloquio è eccessivamente impressionistico e privo di dettagli • mostra autodrammatizzazione, teatralità, esagerato nell’emotività • è suggestionabile, cioè, facilmente influenzato dagli altri e dalle circostanze • considera le relazioni più intime di quanto non siano realmente American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR: Criteri per Disturbo Borderline di personalita • Modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé e dell'umore, impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti. • • • • Almeno cinque dei seguenti criteri: la persona mette in atto sforzi disperati per evitare un reale o immaginario abbandono un quadro di relazioni interpersonali instabili ed intense, caratterizzate dall'alternanza tra gli estremi di iper-idealizzazione e svalutazione alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé persistentemente instabile impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (spendere eccessivamente, sesso promiscuo, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate) 120 • ricorrenti minacce di suicidio, gesti e comportamenti suicidari comportamento automutilante (autolesionismo). • instabilità affettiva dovuto ad una marcata reattività dell'umore • sentimenti cronici di vuoto • rabbia immotivata ed intensa, difficoltà a controllare la rabbia (es. ira / rabbia costante, ricorrenti scontri fisici) • ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress • mostra autodrammatizzazione, teatralità, ed espressione esagerata delle emozioni, è suggestionabile, cioè, facilmente influenzato dagli altri e dalle circostanze • considera le relazioni più intime di quanto non siano realmente Criteri diagnostici per il Disturbo Narcisistico di Personalità Modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé e dell'umore, impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti. Almeno cinque dei seguenti criteri: • la persona mette in atto sforzi disperati per evitare un reale o immaginario abbandono • un quadro di relazioni interpersonali instabili ed intense, caratterizzate dall'alternanza tra gli estremi di iper-idealizzazione e svalutazione • alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé persistentemente instabile • impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (spendere eccessivamente, sesso promiscuo, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate) 121 • ricorrenti minacce di suicidio, gesti e comportamenti suicidari comportamento automutilante (autolesionismo). • instabilità affettiva dovuto ad una marcata reattività dell'umore • sentimenti cronici di vuoto • rabbia immotivata ed intensa, difficoltà a controllare la rabbia (es. ira / rabbia costante, ricorrenti scontri fisici) • ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress • mostra autodrammatizzazione, teatralità, ed espressione esagerata delle emozioni, è suggestionabile, cioè, facilmente influenzato dagli altri e dalle circostanze • considera le relazioni più intime di quanto non siano realmente Possibili interventi migliorativi La legge 612bis dovrebbe introdurre la possibilità di riconoscere l’emergenza del fenomeno della False Victimization Syndrome, già ampiamente documentato all’estero e poco conosciuto in Italia. Chiaramente il colloquio clinico con entrambi i soggetti potrebbe agevolare, dopo l’analisi delle risposte ai test neuropsicologici ed alle scale prescelte, l’individuazione del soggetto affetto da False Victimization Syndrome, Querulomania o disturbi di asse I o II (Disturbo Bipolare I, Disturbi paranoidei, Disturbi di personalità) e certificare la possibilità di una manipolazione della vicenda che ha decretato successivamente una denuncia. Un’attenta anamnesi psichiatrica potrebbe, di fatto, portare alla luce sintomi attuali e/o pregressi o la presenza di danni psichici. Per tale motivo, potrebbe essere richiesta, in ambito legale e forense una consulenza psichiatrica cui può seguire una 122 perizia e l’esecuzione di test neuropsicologici standardizzati. Un colloquio clinico strutturato secondo linee guida standard somministrato ad ambedue gli attori permetterebbe di rivedere se il denunciante ha subito realmente stalking. Il nostro progetto è quello di individuare un insieme di scale da sottoporre alla vittima e allo stalker, previo colloquio clinico al fine di poter avere una distinzione tra FVS e vero stalking. Nella vittimologia non sembra esistere, sul territorio nazionale, al momento la possibilità di un “flow chart” standardizzato da proporre a sportelli anti stalking ad operatori del settore ed ai clinici formato da interviste cliniche strutturate e soprattutto standard. L’introduzione di un colloquio clinico e di scale somministrate univocamente nei centri preposti all’ascolto delle vittime di stalking, permetterebbe inoltre di usufruire una raccolta di dati e follow up dei casi di stalking propriamente detto e di FVS, in modo di poter riconoscere ed avere dati su cui poter proporre modifiche all’attuale legge che non deve essere strumentalizzata, ma fortificata. L’eventuale raccolta di anamnesi positiva per i disturbi sovramenzionati, può quindi legarsi ad una riduzione della sintomatologia, grazie all’ introduzione di una terapia farmacologica e al supporto psicoterapeutico. Inoltre la distinzione potrebbe portare alla riduzione delle denunce e tutelare le vittime di false accuse e dedicare più tempo alle indagini e operazioni delle Forze dell’Ordine per i reati realmente commessi. BIBLIOGRAFIA L.P Sheridan, E.Blaauw: Characteristics of False Stalking Reports Criminal Justice and Behavior February 2004 31: 55-72. McMahon, M. (1995) False confessions and police deception: the interrogation, incarceration and release of an innocent veteran. American Journal of Forensic Psychology, 13, 5-43. Mohandie, K., Hatcher, C., & Raymond, D. (1998). False victimization syndromes in stalking. In J. R. Meloy (Ed.), The psychology of stalking: Clinical and forensic perspectives (pp. 225–256). San Diego, CA: Academic Press. 123 LA PREVENZIONE DELLO STALKING ATTRAVERSO LA COLLABORAZIONE TRA LEGALI E PSICOLOGI di Gaetano Lauro Grotto Il reato definito “atti persecutori” o comunemente “stalking” è stato recentemente introdotto all’art. 612 bis c.p. con la legge n.38/2009, che ha convertito il decreto-legge n.11/2009 (già nel 1990 tale reato era punito negli Stati Uniti, in Australia, in Canada, ed in Inghilterra ed in altri paesi europei). La finalità di questa norma nasce dalla volontà di dare una risposta forte a tutti gli “avvenimenti” riportati dalla cronaca giornalistica e, soprattutto, dall’esigenza di tutelare l’incolumità psico-fisica e relazionale delle vittime, dei loro familiari e dei loro stretti amici, “presi di mira”, in modo ossessivo e continuo da altre persone, con le quali le vittime dello stalking avevano interrotto relazioni sentimentali o rifiutato di far nascere tali relazioni. Prima dell’introduzione di tale normativa le condotte che oggi si identificano nello stalking venivano perseguite ricorrendone i presupposti - come reati di violenza privata, percosse, lesione personale, molestie, ingiuria, diffamazione, minaccia, violenza sessuale, lesioni gravissime, omicidio preterintenzionale, doloso, delitti cd.”sessuali”, violazione degli obblighi di assistenza familiare, maltrattamenti in famiglia. Dopo qualche anno dall’entrata in vigore di questa normativa occorre - oggi - cercare di analizzarne “le criticità” nel modo più obiettivo possibile e giudicare se la stessa risponde appieno alle esigenze per le quali è stata emanata. Questa normativa ha indicato due previsioni degne di lode: 124 1) l’applicazione in via estensiva della prescrizione contenuta nell’art.5 della legge n.154/2001, relativa ai rapporti tra familiari dell’abusante e familiari della vittima, cioè la possibilità di inibire allo stalker di comunicare con la vittima o con le persone vicine ad essa; (trattasi di un ammonimento formale al quale deve seguire il connesso comportamento, pena la procedibilità di ufficio del reato) - (Si potrà “invitare formalmente” lo/a stalker a non avvicinarsi o a tenersi ad una certa distanza dai luoghi frequentati dalla persona offesa e dalle persone con essa conviventi, ed anche a non comunicare con qualsiasi mezzo con le stesse al fine di rafforzare la funzione preventiva ed estendere la garanzia di tutela anche a familiari della vittima) . 2) la previsione di uno “speciale ausilio” a sostegno delle vittime dello stalking e cioè i presidi sanitari, le istituzioni pubbliche le forze di polizia dell’ordine che hanno l’obbligo di fornire assistenza ed informazioni in merito ai centri di assistenza più vicini alla residenza della vittima; è stato altresì introdotto un numero verde nazionale a favore delle vittime di “stalking” sempre attivo ( numero 1522 - gratuito/24 ore). 3. La previsione dell’“ammonimento” è lo strumento più o meno soft con il quale si cerca di porre termine ab initio a situazioni che configurano lo stalking: lo/a stalker viene invitato/a dalla P.G. a non porre in essere più atti molesti e persecutori. Trattasi di un provvedimento di natura amministrativa, impugnabile in sede gerarchica e davanti al T.A.R.. Tale provvedimento sta creando delle posizioni contrastanti: a) discussa è infatti la possibilità di far formalizzare tale diffidaammonimento ad opera di un legale, che però non avrebbe, forse, la stessa “forza”, ma la medesima finalità; b) è discusso, altresì, l’esito questo procedimento amministrativo di ammonimento nel connesso processo penale. La previsione dell’arresto 125 nelle situazioni più gravi e pericolose è sicuramente una “misura forte”, finalizzata da un lato a dimostrare che la “persona debole in balia dello/a stalker” viene tutelata e dall’altro che si vogliono prevenire situazioni che possono diventare molto più gravi e serie. Il problema reale è che in alcune circostanze (soprattutto in famiglia e nell’ambito dello stesso luogo di lavoro, o nello stesso quartiere di residenza, un po’ per vergogna, un po’ nella speranza che la situazione migliori, un po’ per superficialità, un po’ per paura) non si denuncia subito lo “stalking”: tale comportamento determina, nella maggior parte dei casi, che lo stalker “continua imperterrito nella sua azione, che si rafforza e diventa quasi insopportabile”, e che la vittima non si dimostra risoluta e decisa a reagire; questo comportamento passivo, contribuisce a fornire linfa vitale allo/a stalker, favorendolo indirettamente ed incoscientemente. Purtroppo non è semplice reagire freddamente e legittimamente ad un comportamento che configura “atti persecutori”, in quanto in queste circostanze sono coinvolti anche i sentimenti: molte volte la vittima stessa cerca di giustificare la sua passività con la paura e la speranza che tutto finisca, oppure che il rapporto torni come prima, non rendendosi conto che aiuta solo ad aggravare la situazione. Occorrerebbe sempre mantenere un comportamento deciso, freddo, oggettivo nel rendersi conto che si sta subendo un’ingiustizia, un danno, perché si viene ad esser limitati non solo nei propri diritti, ma incisi nel proprio ambito psico-fisico. Il Legale della “vittima di stalking” dovrebbe sempre intervenire in modo incisivo ed il suo comportamento dovrebbe esser distinto da “sensibilità umana e professionalità”. A volte capita che le “vittime” cerchino dal legale uno strumento “non troppo forte” al fine di far cessare lo stalking che stanno subendo e che, viceversa, lo/a stalker riferisca che non ritenga 126 così gravi i suoi comportamenti, cercando di giustificarli con l’amore e la voglia di istaurare un rapporto sentimentale. Necessità del reperimento delle prove Un’imputazione per “atti persecutori-stalking” si basa sulla contestazione di tutti fatti subiti dalla vittima. Per esser tale è necessario che tali accadimenti siano provati anche “per tabulas”, attraverso testimonianze dirette ed indirette su episodi di violenza verbale e fisica, annotazione precisa di vari episodi, con certificati medici e referti di Ospedali attestanti lesioni, con relazioni medico-legali, con tabulati telefonici riproducenti sms di minaccia, mms, registrazioni di telefonate, con mail minatorie e fastidiose, con lettere minatorie, con fotografie, anche con l’utilizzo di intercettazioni telefoniche attraverso la dimostrazione che sono stati necessari interventi della P.S., magari l’intervento del Questore, e l’eventuale arresto dello/a stalker (N.B. risulta effettivamente essenziale la collaborazione con uno psicologo e con un ingegnereinformatico). Tale “raccolta di elementi probatori” si rende assai ardua allorquando il rapporto stalker-vittima si sviluppa in famiglia, nel medesimo luogo di lavoro, nello stesso palazzo o quartiere ove risiedono entrambi, oppure nei medesimi luoghi ove si pratica sport o altre tipologie di attività (magari con i medesimi amici e conoscenti). Oltre alle “perplessità interiori delle vittima”, precedentemente indicate, occorre focalizzare questa problematica: cosa può accadere in caso di arresto del presunto/a stalker, quali conseguenza sul suo posto di lavoro? Quali nell’ambito della sua famiglia? Ovvero nella cerchia delle sue amicizie? Altra problematica di non poco conto, che emerge dall’analisi della norma (art. 612 bis c.p.), è che si renderebbe necessaria la presenza di uno psicologo nel procedimento e nel processo penale, che sia in grado di 127 valutare sempre non solo “lo stato di ansia e di paura” ma anche le ragioni dirette, indirette, più o meno occulte, che hanno portato un soggetto a perseguitare un altro soggetto: infatti, né la polizia giudiziaria, né un avvocato né un giudice terzo saranno in grado di valutare tecnicamente tale stato psicologico. Il "punto critico e difficile" è comunque quello di tentare di far cessare gli atti persecutori "ab initio": sarà onere dell'avvocato (magari assistito da uno psicologo) consigliare alla vittima di tentare di assumere un comportamento maggiormente freddo e determinato, in modo da far comprendere allo/a stalker che non c'è spazio per un rapporto di qualsivoglia genere; oppure l'avvocato dovrà tentare con una diffida di far comprendere allo stalker che il rischio concreto che corre nel perseverare nella sua condotta persecutoria è quello di una denuncia penale. In tale modo si può evitare sia allo/a stalker che alla vittima l'iter giudiziario (dell'ammonimento, del procedimento penale e del processo penale) che è obiettivamente pesante! D'altra parte si presume - fino a prova contraria - che sia la vittima che lo/a stalker siano "persone sensate", che dinanzi ai predetti messaggi chiari ed univoci abbiamo la capacità di comprendere al meglio quale comportamento per loro risulti il più utile e proficuo. A questo punto, però, emerge questa ulteriore situazione connessa: è possibile configurare uno/una “stalker seriale”? Cioè un prototipo di soggetto che agisce sempre in un determinato modo, in precise circostanze ed in diversificati ambienti? È possibile avere un “prototipo di vittima dello/a stalker”? Sul punto è assai arduo rispondere ma occorrerà raccogliere molti altri dati per analizzare “un data base di avvenimenti” dai quali vedere se si può estrarre questo prototipo. Soprattutto per ciò che attiene allo stalking verso le professioni d’aiuto un profilo dello/a stalker potrebbe essere utile in chiave preventiva, per mettere sul chi vive il 128 professionista. Oggi infatti è possibile affermare che tutte le professioni, che in un certo modo “tentano di risolvere un problema” possono esser individuate come possibili “vittime di stalking” cioè avvocati, medici, psicologi, commercialisti, personale della polizia. Poter individuare in anticipo i soggetti pericolosi è sicuramente uno strumento utile per tali professioni. Sicuramente il lavoro del Legale, per esser ancor più incisivo, dovrà esser affiancato da quello dello psicologo, già dalla fase di presa in carico del caso: un binomio necessario e sufficiente per aiutare la vittima dello stalking ed anche lo stalker ad uscire da una strada pericolosa foriera solo di pericoli e danni prima dell’attivazione di un procedimento penale. Anche per questa ragione da tempo l’AGIFOR, cosciente dell’importanza di queste nuove problematiche, e sempre in prima fila nell’aggiornamento professionale, si è organizzata, insieme a qualificati studi di Psicologia, per promuovere “la formazione psicologica e forense” di tutti coloro che sono o saranno chiamati ad assistere le vittime dello stalking ma anche, lo/la stalker e per garantire la più accurata assistenza e professionalità a chi la cerca. Il binomio studio legale e studio di psicologia dovrà esser l’arma vincente per trattare lo stalking in tutti i suoi complessi aspetti. L’unico rammarico che si può avere oggi è che purtroppo - abbiamo ancora poca giurisprudenza di merito consolidata, prevalentemente pronunce in tema di misure cautelari, relative ad arresti operati dalla P.G. o ad ammonimenti dei Questori delle varie città italiane, che però, come detto, non hanno valenza penale ma di provvedimento sanzionatorio amministrativo. Oltre al predetto “rammarico” deve esistere lo stimolo a che tutti gli “operatori del sistema giustizia” contribuiscano a risolvere i problemi seri e delicati, connessi allo “stalking” e non contribuiscano a crearne altri altrettanto importanti e drammatici! 129 L’ESPERIENZA DELLO SPORTELLO ANTISTALKING DI PISA di Sabrina Costantini L’associazione Oltretutto e lo Sportello Po.St.iT di Pisa, Postazione Stalking in Toscana, hanno compiuto un anno proprio il 12 maggio 2014. Quest’anno di attività ha prodotto molti risultati, riflessioni, cambiamenti. Cercheremo di tradurli in modo sintetico e comprensivo. Dal maggio 2013 al maggio 2014 abbiamo registrato circa 50 contatti, di cui la metà è afferita al servizio. Se teniamo conto poi, dei familiari o amici che hanno accompagnato quasi sempre gli utenti e hanno usufruito della consulenza o parte di essa, gli utenti diventano il doppio o anche più. Non dimentichiamo infatti che accanto alle vittime primarie vi sono quelle secondarie, ovvero quelle che lo diventano in quanto parte del contesto più stretto, familiare, amicale, coabitativo, ecc. Le persone vicine diventano vittime in quanto anche loro sottoposte a stress in modo diretto e indiretto, subiscono direttamente le ingiurie, le continua chiamate, le pressioni, ma anche indirettamente il clima di ansia, stress, preoccupazione, paura e panico del bersaglio preferenziale. Talvolta inoltre, chi vive con la vittima o chi condivide tempi e spazi, di fatto è anch’esso/a a rischio di aggressione e intrusione, oltre che di manipolazione e raggiro. Guardando nel dettaglio, i nostri utenti presentavano le seguenti condizioni: 1. Relazioni terminate 2. Stalking condominiale 3. Stalking amicale 130 4. Richiesta improprie (gravi disturbi deliranti, violenza domestica, litigi non stalking, ecc.) 5. Richiesta da parte di familiari, amici, conoscenti (al posto della vittima effettiva) 6. Richieste di vittime di altre forme di violenza: mobbing e bullismo Importante sottolineare che anche lo sportello è diventato oggetto di stalking. I primi due tipi di stalking (relazioni terminate e stalking condominiale) sono quelli più frequenti, e spesso si è visto che quando la vittima non riesce o non vuole chiedere aiuto, lo fanno le persone circostanti che vivono il conflitto in modo altamente stressante. Questo ci far riflettere profondamente sul livello della ricaduta della violenza, che va ben oltre di ciò che si vede o si registra in modo immediato. Relativamente all’ultimo punto (richieste di vittime di altre forme di violenza: mobbing e bullismo), ci riferiamo a situazioni in cui l’utente non ha ricevuto la risposta desiderata e in quanto tale ha prodotto pressioni continue e improprie, soprattutto attraverso telefonate e mail. Qui si deve aprire una parentesi sulle richieste e sulle risposte. Non sempre la richiesta dell’utente può essere accolta così come formulata. Spesso è necessaria una decodifica di elementi consci e inconsci, di dinamiche inconsapevoli, una comprensione della situazione e la formulazione della risposta più appropriata a quella specifica persona, non corrisponde necessariamente a quanto chiesto. Le domande che pervengono allo sportello, sono quasi sempre confuse per vari motivi, perché la persona è spaventata, è in ansia, non ha chiaro la situazione (non è sicura di essere una vittima o di essere un molestatore), perché collude con l’altro della relazione patologica, perché da una parte 131 è vittima e dall’altra carnefice, in ruoli intercambiabili e così via. Già apportare una lettura chiara della situazione, riformularla e dare una risposta altrettanto chiara e funzionale è il primo importante intervento. Vi sono persone che sanno utilizzare questa riformulazione e la risposta in modo costruttivo e altre che purtroppo non sono capaci o non sono pronte per questo. La rispondenza e l’impiego di tale risposta terapeutica può andare in varie direzioni, in base alla struttura di personalità, alle risorse personali e sociali, alla struttura patologica o meno. Ed il fatto che una parte delle vittime, reagiscano alla frustrazione facendo stalking allo sportello stesso, ci mostra la loro struttura psicopatologia, la relazionalità disfunzionale e il livello di violenza, attuato da loro stessi, che agiscono il ruolo di vittima ma anche di carnefice. Le molestie attuate e subite dagli utenti pervenuti sono state messe in atto attraverso: • SMS • Telefonate • E-mail • Facebook • Distruzione di oggetti • Controllo dell’altro/pedinamento • Registrazione dei movimenti con telecamere, foto • Atti e parole di minaccia • Aggressioni fisiche • Ricatti, diffamazione • Atti legali 132 Dobbiamo ricordarci che lo stalking è primariamente un disturbo della relazione. L’interazione fra vittima e molestatore assillante infatti è caratterizzata da confusione, dinamiche insane, dipendenza, asimmetria, scarsa reciprocità, non rispetto, non libertà. Lo stalker inoltre, presenta scarsa tolleranza alla frustrazione, ai limiti, l’altro deve sempre essere a propria disposizione. Se possiamo tradurre in uno slogan siamo nell’ottica del tutto e subito, usa e getta!. Infatti i casi di stalking che terminano con lesioni gravi, con omicidio e suicidio sono pochi e comunque rappresentano l’ultima fase della violenza, all’inizio lo stalker con le sue azioni pressanti e incessanti ha l’obiettivo di ottenere: 1. Attenzione 2. Risposta 3. Vicinanza 4. Controllo sull’altro 5. Potere 6. La relazione Come visto in alcune ricerche, la separazione induce sintomi spiacevoli, analoghi a quelli d’astinenza da oppiacei, dimostrando l’importanza della relazione, nel suo nutrimento psicologico ma anche bio-chimico. La difficoltà nella separazione, sia nel carnefice che nella vittima, è tanto più forte quanto più intensa la stimolazione fornita nel legame, da contatto o da distanza. (De Zulueta). Quando poi le risposte agli stimoli sono intermittenti, risultano ancora più intense e adrenergichedopaminergiche. Pensate per esempio alla vittima che per nove volte non risponde alle chiamate e alla decima cede! Come per le droghe anche qui non si può pensare “un’altra volta e poi basta”, perché questa “sola” volta è molto seduttiva psicologicamente e biologicamente, inducendo un 133 rinforzo nella condotta molestante stessa, che ha bisogno solo di essere intensificata, ma alla lunga ottiene risposta. In certi contesti non è importante la natura della relazione, il polo che la caratterizza. Un legame tormentante è comunque fonte di molte stimolazioni, le persone implicate sono sempre alla prova, sono attive, pronte a cercare cause, scuse, giustificazioni, riparazioni, ecc. Un legame emotivamente tormentante-eccitante, permette di fuggire dal vuoto, dalla depressione, da qualcosa di più interno e sgradito. Guardando le ricerche sullo stile di attaccamento, si evince che le coppie di bambini dove si manifesta aggressività, abuso e sfruttamento sono formate dal pattern A (ambivalente, nel ruolo di carnefice) e dal pattern C (ansioso, nel ruolo di vittima). I bambini con un attaccamento sicuro invece, non si sono rivelati né vittime né carnefici. La persona con attaccamento ambivalente (pattern A), ha avuto una madre rifiutante, quindi una sorta di lutto precoce di una madre buona e la persona con attaccamento ansioso (pattern C), avendo avuto una madre distanziante e poco solida, mantiene una dipendenza affettiva dal genitore e nelle relazioni affettive successive. Come vediamo nella realtà dei nostri sportelli e nella letteratura corrente, in effetti sembra che questo incastro di pattern relazionali, si ritrovi nella dinamica vittima-stalker. Gli stalker presentano varietà anagrafiche, sociali, economiche, ma sembrano accomunati da uno stile di attaccamento ambivalente o ansioso-evitante, frequentemente con un lutto non elaborato alle spalle. Inoltre, dovendo cercare i fattori che determinano e favoriscono questa condotta, insieme alla psicopatologia individuale, alla patologia della 134 relazione, alla famiglia disfunzione, dobbiamo tener conto dell’importanza del contesto, fra questi abbiamo: 1. Differenza di genere e stereotipi di genere ancora vigenti e ancorati nella cultura, nel sistema di trasmissione culturale (testi scolastici, fiabe, TV, internet, ecc.); 2. Innalzamento della soglia della tolleranza alla violenza: fenomeno di abituazione; 3. Sistema di vita, sistema di valori; 4. Sistema educativo differenziato per genere. La prevenzione dello stalking I testi scolastici, la lingua italiana, le fiabe, i cartoni animati, le riviste, le pubblicità, i modelli inseriti nelle pubblicità, i valori tradotti ed esaltati parlano di violenza, di uso e abuso, di “oggettivizzazione”, di controllo dell’altro. Tutti modelli disfunzionali, che perpetuano una diversificazione di ruolo, una violenza di fondo, una repressione della libera espressione, della valorizzazione dell’emotività e dell’integrazione, della collaborazione a favore della competizione. Per ultimo ma non ultimo in termini di importanza, dobbiamo spendere due parole a favore dell’educazione alla violenza. L’associazione Oltretutto non si è occupata solo di accogliere vittime e molestatori, ma ha cercato di andare oltre e di apportare un intervento a più largo spettro. Spesso si parla di “educazione a comportamenti non violenti”, io ritengo che si debba partire al contrario da “un’educazione alla violenza”, che equivale a far vedere, a mostrare, a educare proprio a ciò che significa violenza. Imparare a riconoscere tutte le espressioni di violenza aiuta a vederla, riconoscerla, per intervenire in prima e in seconda persona. Tutti noi quotidianamente attuiamo 135 comportamenti violenti e li subiamo senza rendercene conto, è fondamentale valorizzare il loro significato per poter cambiare ed insegnare un comportamento non violento, in modo diretto e indiretto attraverso l’esempio. Spesso infatti capita che le vittime non si riconoscano come tali perché sono “abituate” da sempre a relazioni insane e violente, perché non leggono certe condotte come soprusi e non si oppongono. Capita che il gruppo dei pari inizi con giochi che possano finire in atti di violenza verso uno, più compagni, o verso sé, senza comprendere il confine del gioco, della relazione e quello della derisione, devastazione, svalutazione, annullamento, ecc. Penso anche ai minori, alla scarsa tutela nei loro confronti, al mancato riconoscimento della violenza assistita e non solo, che subiscono continuamente come conviventi di vittime di stalking. Quando arriva un adulto allo sportello infatti, non ci si pone mai la questione dei bambini e dei ragazzi, come vivono la situazione, cosa hanno visto, sentito, subito, quale modello hanno appreso, hanno paura, si sentono tutelati? Ma ancora sulla scia della diseducazione o “mala educazione” come direbbero in Spagna, possiamo inserire la mancata conoscenza e formazione da parte di chi si occupa delle vittime, quali i sanitari, gli assistenti sociali, gli psicologi, le forze dell’ordine, volontari, ecc., che spesso attuano un primo contatto con la vittima poco rispettoso della situazione, talvolta giudicante e violento esso stesso, producendo un processo di vittimizzazione secondaria. Sto pensando al modo di formulare le domande, al chiedere ripetutamente di raccontare, al farlo in un contesto di scarsa accoglienza e scarsa privacy, penso alle espressioni tendenziose e giudicanti tipo “com’era vestita?” “Che ora era quando era in strada?”, ecc. Ma penso anche al mancato riconoscimento dei segni che una vittima porta, senza farne esplicito riferimento alla violenza e alla cura inadeguata, questo 136 succede spesso col medico di base che è colui/colei che più di tutti riceve la visita e le richieste delle persone, non dimentichiamo infatti che uno dei sintomi frequenti di chi subisce violenza è l’insonnia, l’ansia, ma soprattutto tutta una sequela di somatizzazioni. Ma gli esempi non si esauriscono qui, anche chi si occupa più propriamente delle relazioni, spesso ha scambiato la violenza per conflitto, insistendo per proposte di mediazione familiare, completamente inadeguata in questi casi, mancando la parità di potere e contrattazione. Ricordo infatti che la violenza limita la libertà e induce paura, come tale impedisce di poter mediare in piena autonomia e completezza. Riteniamo quindi che l’educazione alla violenza debba essere un processo rivolto a tutte le età e a tutte le fasce, professionali e non. Imparare a riconoscere la violenza, al di là dei segni espliciti, diventa l’acquisizione di una capacità di lettura più raffinata e obiettiva, di tutte quelle situazioni più silenti, invisibili o con un inizio sotterraneo che possono condurre a processi esponenziali. Non dimentichiamoci infatti che siamo circondati da violenza, a tutte le età e in tutte le condizioni (scuola, lavoro, relazioni intime, amicali, contesti sportivi, mass media, mezzi educativi, ecc.). Conclusioni Per concludere possiamo fare alcune considerazioni sulla nostra attività suggerendo delle possibili strategie di intervento nei casi di stalking: 1. Il primo obiettivo è quello di decifrare la domanda: è stalking? 2. Occorre portare l’utente a vincere la paura di parlare e a prendere visione della propria situazione (una prima forma di denuncia); 3. Occorre conoscere la confusione esistente su cos’è lo stalking, su cosa significa fare e subire violenza, sulle dipendenze, ecc... 137 4. Occorre conoscere il rischio della confusione di ruoli, i modi, le comunicazioni e gli strumenti a propria disposizione; 5. Sottolineare l’importanza della rete, della comunicazione fra operatori, e il forte uso della scissione; 6. Ci sono anche uomini vittime, per lo più nei casi di stalking condominiale, e spesso ad opera di molestatori insoliti; 7. Nei casi di stalking occorre ricordare l’esigenza della tutela dei minori. Importanti anche Le considerazioni sui MOLESTATORI: • Perché vengono? (spesso per sapere se sono realmente stalker!...); • Cosa si aspettano? (spesso una pacca sulla spalla e la deresponsabilizzazione) • Si manifestano sovente molte problematiche associate (dipendenza affettiva, problemi d’identità, abuso di sostanze, disturbi di personalità, problemi familiari, ecc.); ALTRE CONSIDERAZIONI • Importante informare! • Importante eliminare pregiudizi • Importante sottolineare che essere vittime di stalking non è una vergogna • Importante far sapere che anche gli uomini possono essere vittime • Necessario aiutare a formulare la richiesta di aiuto da parte di vittime e di stalker • Importante cercare di evitare le recidive • Ma soprattutto: Fare educazione alla violenza! 138 ASPETTI GIURIDICI DEL REATO DI STALKING DI Maria Concetta Gugliotta Questo manuale sorge anche dalla necessità di fornire agli utenti gli strumenti giuridici già messi a disposizione dell’ordinamento, ma di difficile comprensione a chi non è operatore del diritto, per poter, una volta avuta la forza di denunciare i fatti, comprendere quali siano i passi da percorrere per ottenere “giustizia” di fronte ad un fenomeno di forte allarme sociale, che va ad incidere ed a pregiudicare i diritti fondamentali della vittima. Gli operatori del diritto e della giustizia sono chiamati al fondamentale compito di offrire tutela e protezione alle vittime per restituire loro quella libertà di cui lo stalker si è appropriato: il bene della vita di cui la vittima viene sempre privata è la capacità di autodeterminarsi nella vita quotidiana, il cui controllo dell’esistenza passa nelle mani dello stalker (i beni strumentali offesi dalle condotte di stalking riguardano la tranquillità individuale, la libertà personale, la privacy, però sullo sfondo, vi è anche l'integrità psicofisica della vittima). Sotto il profilo della tutela giuridica la reazione punitiva e risarcitoria del nostro ordinamento è certamente il primo passo per la tutela delle vittime colpite da stalking e la normativa introdotta dal legislatore italiano, sia pure con le lacune del caso, è una risposta positiva da guardarsi con favore. In particolare, con il Decreto legge n.11 del 23 febbraio 2009 (c.d. decreto antistupro) ex art. 7 è stata introdotta nel nostro ordinamento una nuova fattispecie penale a tutela e protezione della parte debole nelle relazioni personali. Tale fattispecie è costituita dall’art. 612-bis c.p. 139 rubricata “ATTI PERSECUTORI”. Il termine stalking è una parola anglosassone che letteralmente vuol dire “fare la posta”: con essa si è soliti indicare <<comportamenti reiterati di tipo persecutorio>>, realizzati dal soggetto persecutore nei confronti della sua vittima: si tratta cioè di un insieme di condotte vessatorie, sotto forma di minaccia, molestia, atti lesivi continuati e tali da indurre nella persona che le subisce un disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore. In passato è stata anche detta la <<sindrome del molestatore assillante>>, per sottolinearne quale aspetto caratterizzante la <<relazione forzata>> e <<controllante>> che si stabilisce tra persecutore e vittima; trattasi di relazione, quest'ultima, che finisce per condizionare il normale svolgimento della vita quotidiana della vittima, ingenerando nella stessa un continuo stato di ansia e paura. Lo stalking non è un fenomeno omogeneo per cui non solo non è possibile ricostruire un perfetto modello di condotta tipica, ma nemmeno è possibile tracciare un profilo tendenziale del c.d. stalker. Nella generalità dei casi i comportamenti assillanti provengono da uomini, di solito partner o ex partner della vittima, ma il persecutore potrebbe essere anche un collaboratore, un amico, un conoscente, un vicino di casa: non sempre, peraltro, il molestatore assillante tende ad identificarsi in un soggetto con precedenti penali, affetto da disturbi mentali o, ancora, dedito all’abuso di sostanze stupefacenti o alcoliche, come solitamente si pensa. Circa le molteplici condotte che possono ritenersi molestia assillante o atto persecutorio, la casistica è piuttosto varia. Al di là delle modalità specifiche che contraddistinguono i singoli episodi di persecuzione, nella maggior parte dei casi, il reato si realizza attraverso la combinazione di più azioni moleste: potrebbe, infatti, realizzarsi tramite il sorvegliare, l’inseguire, l’aspettare, il raccogliere informazioni sulla vittima, il seguire i suoi movimenti, ed ancora, attraverso le intrusioni, gli 140 appostamenti sotto casa o sul luogo di lavoro, i pedinamenti e i tentativi di comunicazione e di contatto di vario tipo. Rappresenta stalking anche la diffusione di dichiarazioni diffamatorie ed oltraggiose a carico della vittima, ed, ancora, la minaccia di violenza, non solo nei suoi confronti, ma anche rispetto ai suoi familiari, ad altre persone vicine o contro animali che le siano cari. Trattasi tuttavia di un’elencazione di condotte, non tassativa ed individuate tra le più frequentemente denunciate e, in quanto tale, meramente esemplificativa. Comunque, quel che contraddistingue le molestie assillanti è un’ossessione <<dinamica>>, in continua crescita ed evoluzione, alimentata dalla continua esigenza dello stalker di soddisfare le proprie emozioni, i propri impulsi e desideri con stimoli crescenti, sempre nuovi, volti al proprio appagamento. In arco temporale variabile lo stalker pone in essere comportamenti che originariamente potrebbero essere assolutamente innocui sino a trasformarsi e degenerare in manifestazioni ossessive e/o in comportamenti particolarmente aggressivi e violenti. A prescindere dalla modalità di esternazione, ciò che rileva è il contegno dell’agente che è idoneo a cagionare nella vittima “un grave disagio psichico” ovvero determinare “un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina” o, comunque, a pregiudicare “in maniera rilevante il suo modo di vivere”. Dunque, affinché la condotta persecutoria sia penalmente rilevante, è necessario che gli atti reiterati dello stalker abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima. Tuttavia affinché la condotta possa ritenersi penalmente rilevante, è essenziale che essa sia reiterata nel tempo: cioè non rilevano gli atti persecutori perpetuati in sé, ma piuttosto la loro abitualità e continuità. 141 In dettaglio, l’art. 612 bis c.p., al primo comma, punisce la condotta di chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita con la reclusione da sei mesi a quattro anni, salvo che il fatto non costituisca più grave reato. Il testo originario è stato modificato dal d.l. 14 agosto 2013 n.93, in vigore dal 17 agosto 2013. La differenza principale rispetto alla normativa previgente riguardò la circostanza ad effetto comune: infatti la pena veniva aumentata se il fatto era commesso dal coniuge anche separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici (ad esempio mail, facebook, twitter ecc). L’ultima modifica, avvenuta tramite la legge di conversione 15 ottobre 2013 n. 119 in vigore dal 16 ottobre 2013, intervenne soltanto due mesi dopo. Rispetto al testo precedente la normativa ora in vigore si caratterizza per il fatto che, riguardo la circostanza ad effetto comune, la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. I commi 2 e 3 del prefato articolo prevedono dunque due <<circostanze aggravanti>>: una ad effetto comune (atti commessi dal coniuge o dal soggetto legato da relazione affettiva) ed una ad effetto speciale (che stabilisce l’aumento della pena sino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata). In 142 particolare, ai sensi del secondo comma, la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. Inoltre, il comma successivo prevede un aumento della pena fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992,n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. Il delitto di stalking è punito a querela della persona offesa con termine di 6 mesi per la proposizione della stessa (anziché di tre mesi come per tutti gli altri reati). Il reato diviene poi procedibile d’ufficio quando il soggetto sia stato ammonito ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 8 del d.l. n. 11/2009. Il testo originario venne modificato dal d.l. 14 agosto 2013 n.93, in vigore dal 17 agosto 2013 anche con riguardo al diritto di querela: la querela, infatti, rispetto alla vecchia disciplina, una volta proposta diviene irrevocabile. Inoltre, sempre con riferimento al diritto di querela viene introdotta infatti la novità con la l. di conversione 15 ottobre 2013 n. 119 che la remissione della stessa può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. Gli strumenti extra-penali per potersi difendere in situazioni di stalking sono l’ammonimento del questore (art.8 d.l. n.11/2009), un numero verde (art.12 d.l. n.11/2009) e l’obbligo per le forze dell’ordine, per i presidi sanitari e sociali, di fornire alle persone interessate da condotte assillanti tutte le indicazioni sui centri antiviolenza presenti sul territorio (art. 11 d.l. n. 11/2009). In reazione a questo reato il nostro ordinamento prevede l’allontanamento dalla casa familiare (art.282 bis c.p.p.) ed un nuovo tipo di misura cautelare personale ossia il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p., introdotto dall’art. 9 143 d.l. n. 11/2009). Su questo tema si è pronunciata la Cassazione Penale, Sez. V, con la sentenza n.13568 dell’11 aprile 2012. Secondo la predetta sentenza il disposto di cui all’articolo 282 ter del c.p.p. non osta ad una mancata predeterminazione giudiziale dei luoghi su cui vige il divieto; ciò ove le abitudini della vittima non consentano una simile determinazione. La misura cautelare dell’allontanamento può, quindi, “seguire” la vittima. Nel caso in cui la persona offesa, vittima degli atti persecutori, non abbia, pertanto, luoghi abituali di frequentazione, è compito del giudice “vestire a misura”, anche se in modo generico, il bisogno di protezione che lo stesso ordinamento ha inteso consentire di tutelare con la normativa sul tema. Altre figure incriminatrici, che si integrano e collegano al reato di stalking sono la violenza privata (art.610 c.p.), la minaccia (art.612 c.p.), la molestia o disturbo alle persone (art.660 c.p.), le lesioni personali (art.582 c.p.) e le circostanze aggravanti, lesioni gravi e gravissime (art.582 c.p.). Vi è poi il problema della coesistenza tra art.612 bis e art.660 c.p., ovvero tra un delitto ed una contravvenzione. Sul tema si è espressa la Cassazione Penale con sentenza n.1615 dell’11 maggio 2006. La Suprema Corte ha ritenuto integrato il reato ex art. 660 c.p. nell’invio di sms (reato escluso ad es. l’invio di messaggi epistolari) perché per utilizzare il telefono gli sms devono leggersi, mentre una lettera può essere cestinata. Con sms il mittente raggiunge il suo scopo, che è quello di turbare la quiete della vittima. Altre sentenze di interesse sono la n.1237 del 27 marzo 2006 dove la Cassazione Penale ha ravvisato nell’art. 615- bis c.p., il reato di interferenze illecite nella vita privata, per lo scattare di foto con il cellulare; si trattava del caso di un uomo che per molti giorni si è appostato fuori da un negozio e scattava foto alla commessa. Situazioni tutte in cui è stata vista nella condotta dell’agente proprio quella caratteristica di portare la vittima a credersi una preda braccata, in 144 trappola. La prima sentenza che attribuisce all’imputato una condotta definita “stalking” è della Corte d'Appello di Lecce del 2008 secondo cui: “Commette l’illecito di cui al cd. ”stalking”, condotta, peraltro, non ancora prevista e regolamentata, in quanto tale, in maniera idonea ed esaustiva, nel nostro ordinamento giuridico nazionale, chiunque, dopo avere (nel caso di specie) leso l’integrità fisica e morale di una persona, la perseguiti, altresì, con pedinamenti serrati e assillanti, con frequentissimi appostamenti, con intrusioni indebite nella vita lavorativa, con atti di morbosa invasività e di sottile aggressività, generando nel soggetto passivo uno stato di non irragionevole paura e di continua giustificata grave apprensione”. Inoltre la Cassazione penale, sez. V, con sentenza 15.05.2013 n° 20993, ha disposto che per integrare il reato di stalking è sufficiente il dolo generico. Sotto il profilo strettamente civilistico in presenza del reato di stalking lo stalker è chiamato a risarcire il danno alla stregua delle norme dettate in tema di responsabilità aquiliana (artt. 2043 e ss. c.c.). Riguardo i danni biologici non c'è dubbio, ma altrettanto possiamo ritenere sussistere anche danni di tipo esistenziale, alla vita di relazioni, proprio per i problemi che derivano alla vittima viene per aver subito uno stalking; trattasi del risarcimento del c.d. danno non patrimoniale, che comprende le vari voci descrittive di danno all’integrità pisco-fisica, danno alla vita di relazione, ecc.. Naturalmente da avvocato e operatore del diritto non posso che evidenziare le criticità dovute alla incertezza delle condotte per la disomogeneità del fenomeno. Nonostante l’entrata in vigore della normativa sopracitata, molto ancora si deve fare per la tutela delle vittime colpite da stalking, con strumenti maggiormente appropriati e sistema di salvaguardia più efficaci, quali case di accoglienza e sistemi di stretta vigilanza e di pronto intervento per le vittime contro lo stalker, il cui approntamento impone l’investimento di 145 risorse sociali all’uopo destinate e che si auspica siano approntate con solerzia. La richiesta di aiuto della vittima è sicuramente il primo passo verso la libertà. 146 MARCO STRANO Marco Strano, 54 anni, Psicologo della Polizia di Stato, ha maturato quasi 30 anni di esperienza nel settore della criminologia, di cui 20 passati come investigatore “di strada” in ambiti particolarmente complessi come gli omicidi della criminalità organizzata (negli anni ‘90 era nel nucleo operativo speciale antimafia del Prefetto Sica all'epoca delle stragi di Palermo). Poi il suo settore di azione si è spostato sulla pedofilia e sul cybercrime, di cui si è occupato quando dal 2001, dopo quasi 18 anni nei servizi di intelligence, si è rimesso la divisa e ha diretto per 5 anni l'Unità di Analisi della Polizia postale e delle comunicazioni. Attualmente dipende dal settore Sanitario della Polizia di Stato occupandosi di Psicologia investigativa (autopsie psicologiche) e svolge attività sindacale come Dirigente nazionale UGL Polizia di Stato come responsabile nazionale della ricerca scientifica e della formazione. Parallelamente all'attività investigativa Strano, allievo del Prof. Gaetano De Leo, ha sviluppato alcune ricerche scientifiche pionieristiche che hanno fatto il giro del mondo come l’applicazione dell’intelligenza artificiale al criminal profiling. E’ considerato uno dei maggiori esperti al mondo di Psicologia investigativa. Stimatissimo nella comunità scientifica negli ultimi anni è conosciuto anche al grande pubblico per le sue partecipazioni a trasmissioni televisive dove si è sempre distinto per la pacatezza dei giudizi e la chiarezza espositiva. 147 GIOVANNA BELLINI Giovanna Bellini è Neurologo e Criminologo. Laureata in Medicina e Chirurgia nel 1997 e Specializzata in Neurologia nel 2002 presso l’Università di Pisa. Attualmente lavora come dirigente medico presso la U.O. di Neurologia dell'Ospedale di Livorno. Ha conseguito il Master Universitario di II Livello in Scienze Forensi, "Criminologia – Investigazione – Security - Intelligence", presso l'Università di Roma La Sapienza (Dir. Prof. Mario Fioravanti, Coordinatore Scientifico Prof. Francesco Bruno, Coordinatore Didattico Prof. Natale Fusaro), con Tesi “Analisi di un omicidio anomalo”, Relatore Prof. Natale Fusaro. Svolge attività di Consulente Tecnico di Parte in ambito penale. Ideatrice del sito www.stalkingtalk.it in collaborazione con Anyweb Consulting Srl di Pisa. Collabora con l'equipe di ricerca multidisciplinare antistalking del Centro studi “Crime Café”, per lo sviluppo di un protocollo di intervento. Autrice di pubblicazioni scientifiche in ambito neurologico è stata segnalata nei ringraziamenti, in qualità di socio fondatore SIgN, Società Italiana dei giovani Neurologi in “Quality of neurology residency programmes: an Italian survey.” European Journal of Neurology, 10; 301-306: 2003. E’ infine autrice della raccolta di racconti: Pensieri per una notte...non ho mai capito se i treni ci portano davvero da qualche parte alla fine... “ (Ed. Il Filo, 2008), vincitore del 5° Premio Nazionale di Arti Letterarie, Arte Città Amica di Torino, 2009.