Il dispositivo di cui si propone la costruzione è una cella fotoelettrochimica, chiamata anche
DSC (Dye-sensitized Solar Cell: cella solare a colorante sensibilizzatore), in grado di
convertire in elettricità, con buona efficienza, la radiazione visibile proveniente da una
sorgente di energia radiante come il sole. A differenza dei comuni dispositivi fotovoltaici,
basati su semiconduttori come il silicio, che richiedono processi industriali ad alta
tecnologia, una DSC può essere assemblata in un comune laboratorio chimico senza
particolari attrezzature.
Il funzionamento di una DSC si basa sul principio della
sensibilizzazione spettrale di semiconduttori ad elevato bandgap.
In un materiale semiconduttore gli elettroni del guscio di valenza si muovono in orbitali dalla
cui sovrapposizione prende origine la cosiddetta banda di valenza, un quasi-continuo di
livelli energetici occupati dagli elettroni di legame. Ad energia più elevata si trova un altro
quasi-continuo di livelli energetici, non occupati, detto banda di conduzione. Nei metalli, la
banda di conduzione è sovrapposta a quella di valenza, per cui gli elettroni possono essere
trasferiti a temperatura ambiente in livelli vuoti dove si muovono liberamente sotto l’azione di
un campo elettrico. Ciò spiega l’elevata conducibilità elettrica dei metalli.
In un materiale semiconduttore le bande di valenza e conduzione sono separate da un intervallo di valori di energia, che gli
elettroni non possono assumere, che prende il nome di band-gap. Solo pochi elettroni, a temperatura ambiente, hanno energia
sufficiente a “saltare” il band-gap per portarsi nella banda di conduzione, con il risultato che i semiconduttori hanno una
conducibilità inferiore a quella dei metalli. Negli isolanti il band-gap risulta così elevato che gli elettroni non possiedono energia
sufficiente per popolare la banda di conduzione e la conducibilità elettrica è praticamente nulla. Il passaggio di un elettrone dalla
banda di valenza a quella di conduzione può avvenire anche in seguito all’assorbimento di un fotone che deve possedere
un’energia almeno pari a quella del band-gap. Il processo genera una cosiddetta coppia elettrone-lacuna che accresce la
conducibilità elettrica del materiale (fotoconducibilità). I semiconduttori ad elevato band-gap come il TiO2 assorbono fotoni di
lunghezza d’onda inferiore a 400 nm (UV) e risultano di colore bianco. La sensibilizzazione spettrale di un semiconduttore (Figura
1) è un processo in cui ad assorbire fotoni è una molecola il cui stato eccitato è in grado di trasferire un elettrone nella banda di
conduzione del semiconduttore (iniezione di carica). In questo modo si può estendere il campo spettrale a cui il sistema
semiconduttore-molecola risulta sensibile. La sensibilizzazione spettrale è alla base del funzionamento di una DSC.
Lo schema di principio di una DSC è illustrato in figura 2. La molecola di
sensibilizzatore (S) assorbe un fotone e si porta in uno stato
elettronicamente eccitato (S*) in cui un elettrone viene trasferito dal
metallo sul legante che vi è coordinato. Questo elettrone viene poi
iniettato nel semiconduttore in un tempo di poche decine di femtosecondi
(1 femtosecondo = 10-15 s) e si localizza nella banda di conduzione del
TiO2 dove può muoversi liberamente (figura 1). Il metallo che ha perso un
elettrone si trova ora in uno stato ossidato (S+) e viene prontamente
ridotto dallo ione ioduro, presente nella soluzione elettrolitica, che si
converte in iodio. Lo iodio diffonde verso il controelettrodo sulla cui
superficie viene nuovamente ridotto a ioduro, con il concorso del platino
metallico che funge da catalizzatore, dall’elettrone che dal TiO2 è passato
al controelettrodo lungo il circuito esterno.
I risultato finale è la conversione di un fotone in un elettrone,
mentre ogni altra specie all’interno della cella viene rigenerata
dal circuito elettrochimico. L’efficienza quantica del processo,
detta Incident Photon-to-current Conversion Efficiency (IPCE), è
data dal rapporto tra il numero di elettroni circolanti nel circuito
esterno ed il numero di fotoni incidenti sul fotoelettrodo ad una
particolare lunghezza d’onda
Il valore della IPCE viene
calcolato con la formula:
IPCE( ) 
ne
hc J

nh
e P
in cui h è la costante di Planck (J s), c è la velocità della luce nel
vuoto (m/s), e è la carica dell’elettrone (C), J è la densità di
corrente di corto circuito (A/m2), è la lunghezza d’onda (nm) e
P è la densità di potenza radiante incidente sul fotoelettrodo
(W/m2). Il grafico della IPCE in funzione della lunghezza d’onda
è detto spettro di fotoazione.
Per la preparazione del fotoelettrodo si utilizza una sospensione colloidale di TiO2 (150g/l),
contenente particelle del diametro medio di circa 20 nm (1nm = 10-9 m), a cui si aggiunge
una sostanza cerosa, il cui nome commerciale è Carbowax, avente la funzione di facilitare la
formazione di un film uniforme su vetro.
Si prende una lastra quadrata (circa 10 X 10 cm2) di vetro conduttore e si controlla con un
multimetro quale dei due lati risulta conduttivo.
Si pone il vetro con la parte conduttrice rivolta verso l’alto e si applicano quattro strisce di
nastro adesivo come mostrato in figura 3.
La distanza del nastro dal bordo è di circa 5 mm su tre lati e circa 1 cm sul quarto
lato. Con l’aiuto di una pipetta di vetro si deposita una quantità sufficiente di
sospensione colloidale di TiO2 sulla striscia di nastro adesivo alta 1 cm e per
mezzo di una bacchetta di vetro o di una lastrina di vetro appoggiata sulle due
strisce di nastro laterali, si distribuisce la pasta colloidale in modo da ricoprire
uniformemente la superficie del vetro conduttore.
Facendo evaporare l’acqua con l’aiuto
di un phon si ottiene un film uniforme e
trasparente di TiO2. Il vetro ricoperto
di TiO2 viene riscaldato in un forno a
muffola alla temperatura di 450°C per
circa 30 minuti.
Questo trattamento ha lo scopo di
produrre una sinterizzazione delle
particelle colloidali che si interconnettono creando una struttura
tridimensionale di elevatissima area superficiale. Lo spessore del film
è di circa 7-10 micrometri.
L’adsorbimento è il processo spontaneo attraverso il quale il
colorante sensibilizzatore si lega alla superficie delle
particelle di semiconduttore per mezzo delle funzioni
carbossiliche –COOH. Il fotoelettrodo di TiO2 sinterizzato
viene posto sul fondo di un cristallizzatore con la parte
rivestita di TiO2 rivolta verso l’alto, e viene ricoperto con una
soluzione del colorante sensibilizzatore, disciolto in etanolo
assoluto, la cui concentrazione è circa 10-3 M.
Il processo di adsorbimento richiede circa
ventiquattr’ore a temperatura ambiente o circa un’ora
se si riscalda la soluzione fin quasi al punto di
ebollizione. Completato l’adsorbimento, il film di TiO2
che inizialmente si presenta incolore, assume la
colorazione impartita dal complesso sensibilizzatore.
Il film estratto dalla soluzione di adsorbimento viene
lavato con etanolo assoluto e asciugato con aria
calda.
Il controelettrodo della DSC è un lastra di vetro conduttore, delle
stesse dimensioni del fotoelettrodo, sulla cui parte conduttrice viene
spruzzata, per mezzo di un aerografo, una soluzione 5 10-3 M di
acido esacloroplatinico (H2PtCl6) in alcol isopropilico. L’operazione,
da effettuarsi sotto cappa, si esegue appoggiando il vetro
conduttore ad un sostegno che lo mantenga in posizione quasi
verticale ed effettuando leggere passate con l’aerografo tenuto alla
distanza di circa venti centimetri in modo che la soluzione spruzzata
evapori subito appena bagna la superficie del vetro.
Per facilitare l’evaporazione si può asciugare la superficie con un phon dopo
ogni passata, in questo modo si garantisce l’ottenimento di un deposito
uniforme.
Al termine dell’operazione, si pone il vetro, adagiato
in un cristallizzatore, all’interno del forno a muffola
precedentemente riscaldato alla temperatura di
385°C e lo si lascia per circa quindici minuti.
Durante il riscaldamento, l’acido esacloroplatinico
depositato sulla superficie del vetro si decompone
lasciando particelle di platino metallico ben
aderenti. Il controelettrodo estratto dal forno si
lascia raffreddare lentamente a temperatura
ambiente. La superficie platinizzata si presenta di
un leggero grigio uniforme.
La soluzione elettrolitica che riempie una DSC è
costituita da Ioduro di Litio (LiI) in concentrazione
0.3M e iodio in concentrazione 0.03M disciolti in un
solvente organico poco volatile: il g-butirrolattone. Si
pesano 4,02 g di LiI con la bilancia analitica e si
pongono in una beuta da 250 ml, si versano poi 80
ml circa di g-butirrolattone e si agita a temperatura
ambiente con una barretta magnetica fino a
completa dissoluzione del solido. Si versa la
soluzione in un matraccio tarato da 100 ml nel quale
si sono introdotti 0.76 g di iodio bisublimato e si
porta a volume con il solvente dopo la dissoluzione
completa dello iodio. La soluzione viene filtrata con
un imbuto filtrante munito di setto di vetro
sinterizzato di porosità 4 e si pone in un recipiente
chiuso da un tappo a vite.
Per l’assemblaggio della cella si utilizza un polimero termoplastico il
cui nome commerciale è Surlyn. Con l’aiuto di un taglierino e di una
squadra si ritaglia da un foglio di Surlyn una cornice, come mostrato
in figura 4, dello spessore di circa tre mm e si pratica un taglio a
circa metà del lato lungo asportandone circa 5 mm. Si pone la
cornice sul lato platinizzato del controelettrodo e si inseriscono due
laminette di rame sopra e sotto la parte di cornice più alta come
illustrato in figura 4.
Vi si appoggia sopra con cura il fotoelettrodo dal lato rivestito di TiO2
con il bordo alto 1 cm in corrispondenza della laminetta di rame
superiore.
Le due laminette sono tra loro isolate dal Surlyn e
realizzano il contatto elettrico con la superficie
conduttrice del vetro. Si dispongono tutt’attorno delle
clip metalliche per tenere i due vetri in posizione e si
riscalda in forno a circa 130°C fino a
fusione del Surlyn. Dopo
raffreddamento a temperatura
ambiente, si tolgono le clip e si procede
al riempimento della cella con la
soluzione elettrolitica.
La cella assemblata si pone con il lato recante
l’apertura appoggiato sul fondo di una vaschetta
riempita con la soluzione elettrolitica, ed il tutto si
introduce in un essiccatore per vuoto. Con una
pompa rotativa si fa il vuoto nell’essiccatore sino a
quando cessa lo sviluppo di bollicine dovute
all’aria, contenuta nella cella, che fuoriesce
dall’apertura gorgogliando nella soluzione
elettrolitica. A questo punto si spegne la pompa e si
apre lentamente il rubinetto dell’essiccatore: l’aria,
entrando, spingerà la soluzione elettrolitica
all’interno della cella. Si asciuga accuratamente il
bordo che era immerso nella soluzione e si sigilla
l’apertura con resina epossidica.
Le prestazioni della cella possono
essere valutate utilizzando un comune
multimetro ed una sorgente di luce
artificiale come una lampada alogena
da 100W .
La cella, irradiata con luce solare,
produce una tensione a circuito aperto
di circa 700 mV ed una corrente di
corto circuito di circa 100 mA. La
corrente generata dalla cella irradiata
dal sole o da una sorgente intensa
come una lavagna luminosa o un
proiettore, è sufficiente ad azionare un
piccolo motore elettrico di bassa
potenza. Una DSC ottimizzata e di
piccole dimensioni raggiunge una
efficienza di conversione di energia
luminosa in energia elettrica di circa
11%.
Scarica

File: Cella_fotoelettrochimica