PARTE TERZA
CAPITOLO VII PRIMO PIANO
CD79
[Canzoniere, CXXVIII]
Autunno del Medioevo e rinnovamento preumanistico: l’età di Petrarca, Boccaccio, Chaucer (1310-1380)
Il Canzoniere, A9
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Francesco Petrarca
«Italia mia, benché ’l parlar sia indarno»
È la grande *canzone politica di Petrarca, la più impegnata tra quelle di argomento affine presenti nel
Canzoniere e la più fortunata presso i lettori futuri.
Petrarca la compose probabilmente nell’inverno 1344-45 a Parma, venduta da Azzo da Correggio al ferrarese Obizzo d’Este, attaccato dal signore di Mantova Filippino Gonzaga; mentre il meccanismo delle alleanze coinvolgeva nelle ostilità anche Verona, Bologna, Forlì e altre città del Nord. Dall’occasione contingente
Petrarca trae spunto per criticare severamente il particolarismo dell’Italia, che divide e mette gli uni contro
gli altri sovrani e popoli appartenenti a una stessa tradizione e a una stessa cultura. Vi è quindi un solenne
richiamo alla civiltà nazionale italiana, fondata sulla tradizione di Roma. L’invito alla pace, commosso e intenso, implica un riferimento alla identità italiana, cioè una prospettiva non genericamente morale ma anche pienamente politica. Tant’è vero che il poeta interviene anche su una questione destinata a grande rilevanza nel dibattito politico dei due secoli successivi: l’utilizzazione da parte dei signori italiani di truppe mercenarie straniere (in particolare tedesche). La denuncia di tale abitudine si accompagna all’invito vigoroso
all’insurrezione contro gli occupanti stranieri.
Petrarca segue, nelle scelte stilistiche e strutturali, la tradizione della canzone civile impegnata, forte degli esempi di Guittone d’Arezzo e di Dante. La sostenutezza retorica di questo testo risponde cioè
alla gravità tanto della materia e della circostanza ispiratrice, quanto del genere poetico di appartenenza.
da F. Petrarca, Canzoniere, testo
critico di G. Contini, Einaudi, Torino
1964.
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metrica Canzone di sei stanze di sedici versi ciascuna con rime, secondo lo schema AbC, BaC; cDEeDdfGfG. Il congedo riprende lo schema cDEeDdfGfG.
1-6 {O] Italia mia, benché il (’l) parlare sia inutile (indarno) a [curare] le piaghe mortali che vedo (veggio) nel
tuo bel corpo così (sì) numerose (spesse), voglio (piacemi = mi piace) almeno che i (che’) miei sospiri [di
dolore] siano quali il Tevere e l’Arno e il Po, dove ora sto
(seggio = siedo) addolorato (doglioso) e turbato (grave), si aspettano (spera). Il discorso è rivolto direttamente all’Italia, immaginata nei termini di una persona
umana (cfr. corpo tuo), secondo la tecnica della *per-
Italia mia, benché ’l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sì spesse veggio,
piacemi almen che’ miei sospir’ sian quali
spera ’l Tevero et l’Arno,
e ’l Po, dove doglioso et grave or seggio.
Rettor del cielo, io cheggio
che la pietà che Ti condusse in terra
Ti volga al Tuo dilecto almo paese.
Vedi, Segnor cortese,
di che lievi cagion’ che crudel guerra;
e i cor’, che ’ndura et serra
Marte superbo et fero,
apri Tu, Padre, e ’ntenerisci et snoda;
ivi fa’ che ’l Tuo vero,
qual io mi sia, per la mia lingua s’oda.
sonificazione. Per questa ragione i problemi sono chiamati piaghe. Il poeta ha coscienza dell’inutilità delle
proprie parole, ma vuole ottemperare alle giuste attese
degli Italiani nei suoi confronti. Il riferimento ai tre fiumi più conosciuti d’Italia indica la penisola nel suo insieme, e anzi i suoi abitatori.
7-9 Governatore (rettor) del cielo [: Dio], io chiedo (cheggio) [: ti prego] che la pietà che Ti condusse sulla (in)
terra [: a incarnarti in Cristo] Ti [ri]volga al Tuo nobile (almo) paese preferito (dilecto) [: l’Italia]. Il particolare amore di Dio per l’Italia sarebbe dimostrato,
secondo i pensatori medievali, dall’aver posto in Italia la sede della Chiesa e quella dell’Impero, provvi-
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura
denzialmente inteso.
10-16 [O] Signore cortese, [tu] vedi da (di) quanto (che) lievi cause (cagion’<i>) che guerra crudele [è derivata]; e
apri e intenerisci e sciogli (snoda) [dall’errore] Tu, o padre, i cuori, che Marte superbo e feroce (fero) indurisce
(’ndura) e chiude (serra); fa’ che la Tua verità (vero) venga udita (s’oda) lì (ivi) [: nei cuori] attraverso (per) le
mie parole (la mia lingua), comunque io sia (qual io mi
sia) [: non badare al fatto che io sono indegno di pronunciare la tua verità]. Marte: dio pagano della guerra, rappresenta qui l’aggressività e la ferocia degli uomini. ’Ntenerisci e snoda: si contrappongono a ’ndura e serra di
due versi prima.
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17-22 [O] voi [: signori italiani] ai quali (cui) la sorte (Fortuna) ha posto in mano [: ha affidato] il governo (il freno) delle belle regioni (contrade) [italiane], delle quali
(di che) pare che [non] vi tocchi (stringa) nessuna (nulla) pietà, che fanno qui [: in Italia] tante spade [: soldati] straniere (pellegrine)? [Sono qui forse] affinché
(perché) il verde terreno si colori (si depinga) del sangue dei barbari? Petrarca si rivolge ai potenti d’Italia,
accusandoli di essere i principali responsabili della decadenza italiana. Infatti è dalle lotte e dalle guerre tra
i vari signori che derivano i mali nazionali, a partire dalla presenza di soldati mercenari stranieri. La prima domanda contiene un’accusa: quella di aver condotto soldati stranieri sul territorio nazionale; la seconda domanda (vv. 21-22) contiene un riferimento *ironico alle speranze di trovare fedeltà in soldati prezzolati, quasi dicesse “sperate veramente che soldati stranieri siano disposti a versare il loro sangue per i vostri interessi?”, alludendo alla tendenza dei soldati mercenari a
combattere nel proprio esclusivo interesse, pronti a
cambiare fronte e a depredare i territori dei propri stessi pagatori (cfr. sotto).
Voi cui Fortuna à posto in mano il freno
de le belle contrade,
di che nulla pietà par che vi stringa,
che fan qui tante pellegrine spade?
perché ’l verde terreno
del barbarico sangue si depinga?
Vano error vi lusinga:
poco vedete, et parvi veder molto,
ché ’n cor venale amor cercate o fede.
Qual più gente possede,
colui è più da’ suoi nemici avolto.
O diluvio raccolto
di che deserti strani,
per inondar i nostri dolci campi!
Se da le proprie mani
questo n’avene, or chi fia che ne scampi?
Ben provide Natura al nostro stato,
quando de l’Alpi schermo
pose fra noi et la tedesca rabbia;
ma ’l desir cieco, e ’ncontra ’l suo ben fermo,
s’è poi tanto ingegnato,
ch’al corpo sano à procurato scabbia.
Or dentro ad una gabbia
fiere selvagge et mansüete gregge
s’annidan sì, che sempre il miglior geme;
et è questo del seme,
per più dolor, del popol senza legge,
al qual, come si legge,
Mario aperse sì ’l fianco,
che memoria de l’opra ancho non langue,
23-27 Vi seduce (vi lusinga) una illusione (error) infondata
(vano): vedete [: capite] poco, e vi sembra (parvi) di vedere molto, dato che (ché) cercate amore o fedeltà (fede) in cuori (cor; sing.) mercenari (venale). Chi (qual)
possiede più truppe (gente), questi (colui) è più circondato (avolto) dai suoi nemici. A essere nemici, potenzialmente, sono infatti gli stessi soldati provvisoriamente arruolati a pagamento, con scarsa capacità di previsione e
di valutazione.
28-32 O diluvio [: i soldati stranieri, per *metafora] raccolto da quali (di che) orridi (strani) luoghi selvaggi
(deserti), per inondare i nostri dolci campi! Se questo ci accade (n’avene) a causa delle (da le) [nostre] proprie mani [: per opera di scelte fatte da Italiani], allora (or) chi potrà (fia = sarà) salvarcene
(che ne scampi)? Anche qui è messa in risalto una
trasformazione di amici in nemici, come nei versi 2627: i signori italiani non fanno l’interesse dell’Italia
così come i soldati mercenari non fanno quello dei signori stessi che li pagano (né tanto meno quello dell’Italia).
33-38 La natura provvide adeguatamente (ben) alla nostra
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura
[: degli Italiani] esistenza (stato), quando mise (pose)
la protezione (schermo) delle Alpi fra noi e la ferocia (rabbia) tedesca [: delle popolazioni germaniche]; ma poi il
desiderio (’l desir) cieco [: stupido; dei signori d’Italia],
e tenace (fermo) [anche] contro (<i>’ncontra) il proprio
interesse (’l suo ben), si è a tal punto (tanto) dato da fare (ingegnato), che ha procurato corruzione (scabbia;
per metafora) al corpo sano [dell’Italia]. L’avidità senza
discernimento e testarda dei potenti ha distrutto le difese offerte dalla natura alla penisola, corrompendola.
Scabbia: è propriamente una ripugnante malattia della
pelle.
39-48 Ora belve (fiere) selvagge [: i “barbari”] e greggi
mansueti [: gli Italiani] abitano (s’annidan) dentro a
una [stessa] gabbia [: l’Italia], così (sì) che il migliore [: le greggi, cioè gli Italiani] sempre è oppresso (geme); e questo [ci ] viene (è), per [procurare] più dolore, dalla discendenza (del seme) del popolo senza civiltà (legge) [: i barbari germanici], al quale, come si
legge [nelle storie di Roma], Mario inflisse una tale
sconfitta (aperse sì ’l fianco = aprì a tal punto le viscere) che ancora (ancho) non si spegne (non langue)
[G. B. PALUMBO EDITORE]
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Francesco Petrarca ~ «Italia mia, benché ’l parlar sia indarno»
quando assetato et stanco
non più bevve del fiume acqua che sangue.
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il ricordo (memoria) dell’evento (de l’opra), quando [essendo] assetato e stanco non bevve dal fiume più acque
che sangue [: bevve un liquido composto per metà del
sangue nemico, misto alle acque del fiume]. L’Italia, trasformata in una gabbia, vede la convivenza forzata della
indifesa civiltà latina (rappresentata dalle greggi, simbolo evangelico di purezza e di mitezza) e della violenta
rozzezza dei barbari germanici; il contrasto tra i due popoli è sottolineato dal *chiasmo al v. 40. Aggrava il dolore il fatto che della condizione inerme degli Italiani si approfittino i discendenti dei nemici storici dei Latini, da
essi duramente sconfitti. I vv. 44-48 rievocano le imprese militari di Caio Mario, il quale nel 102 a. C. distrusse
l’esercito dei Teutoni (una popolazione germanica) presso l’odierna Aix-en-Provence.
49-51 Non parlo (taccio) di Cesare che per ogni terra (piaggia) insanguinò (fece…sanguigne) le erbe del loro [:
dei “barbari”] sangue, ovunque (ove) portò (mise) la
spada (’l… ferro) nostra [: degli Italiani, sentiti come
continuatori dei Romani]. Le imprese di Giulio Cesare
sono rapidamente rievocate attraverso la figura delle
*preterizione.
52-56 Ora pare che il cielo ci abbia (n’aggia) in odio, non so
per [influsso di ] che stelle malefiche (maligne): grazie a
voi (vostra mercé) [: i signori], ai quali (cui) è stato af-
Cesare taccio che per ogni piaggia
fece l’erbe sanguigne
di lor vene, ove ’l nostro ferro mise.
Or par, non so per che stelle maligne,
che ’l cielo in odio n’aggia:
vostra mercé, cui tanto si commise.
Vostre voglie divise
guastan del mondo la più bella parte.
Qual colpa, qual giudicio o qual destino
fastidire il vicino
povero, et le fortune afflicte et sparte
perseguire, e ’n disparte
cercar gente et gradire,
che sparga ’l sangue et venda l’alma a prezzo?
Io parlo per ver dire,
non per odio d’altrui, né per disprezzo.
Né v’accorgete anchor per tante prove
del bavarico inganno
ch’alzando il dito colla morte scherza?
Peggio è lo strazio, al mio parer, che ’l danno;
ma ’l vostro sangue piove
più largamente, ch’altr’ira vi sferza.
Da la matina a terza
di voi pensate, et vederete come
tien caro altrui che tien sé così vile.
fidato (si commise) un così alto compito (tanto). Le vostre avidità (voglie) discordi (divise) guastano la più bella regione (parte) del mondo [: l’Italia].
57-62 Quale colpa, [o] quale punizione (giudicio) o quale
destino [vi spinge a] opprimere (fastidire) i vicini poveri, e perseguitare (perseguire) i [lor] beni (fortune) [già]
impoveriti (afflicte) e dispersi (sparte), e a cercare e
gradire gente straniera (’n disparte; ’n = in), che sparga il [proprio sangue] e venda l’anima (l’alma) [: la vita e la coscienza] per denaro (a prezzo)? Due le colpe
dei signori italiani qui loro rinfacciate: attendere che i
vicini siano in difficoltà per approfittarne; cercare lontano dalla patria soldati mercenari e accoglierli a braccia aperte pur di realizzare i propri piani di conquista
nei confronti degli Stati confinanti. Qual colpa…destino: tre possibili cause del fatale comportamento dei signori: colpa umana, punizione divina, destino voluto dalla sorte. Le tre cause delineano tre diverse concezioni
della storia e del mondo.
63-64 Io parlo per dire la verità (ver), [e] non per odio né per
disprezzo di qualcuno (d’altrui). Il poeta dichiara di ricorrere a un tono così duro solo per amore della verità dei
fatti e non perché egli sia a sua volta coinvolto nello spirito fazioso che sta condannando; aggiunge così autorità
e solennità al proprio giudizio.
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura
65-73 E non (né) vi accorgete ancora [pur] con (per) tante dimostrazioni (prove) dell’inganno dei soldati germanici
(bavarico = bavarese), che alzando il dito [: in segno di resa] si beffa (scherza) della morte? A parer mio è peggio
lo scherno (lo strazio) che il danno; ma il sangue dei vostri (vostro) [: degli Italiani] viene versato (piove) con
più larghezza (più largamente), dato che (ch’) vi incita (vi
sferza) un odio (ira) ben maggiore (altr’<o>). Pensate a
voi stessi (di voi) dall’alba alle nove (da la matina a [ora]
terza), e vedrete [: capirete] quanto (come) considera
degni (tien caro) gli altri (altrui) chi [: i mercenari] considera sé così vile [: da vendere la propria vita]. Due argomenti dovrebbero dissuadere dall’impiego di soldati
mercenari: la loro inadeguatezza guerresca (infatti essi si
arrendono al primo pericolo); la slealtà (infatti non è lecito attendersi reazioni eticamente elevate da chi si vende per denaro). I due argomenti sono strettamente intrecciati. Bavarico: cioè, propriamente, della Baviera, una
regione della Germania meridionale; vale, in genere, ’germanico’. Alzando il dito: è il segno di resa antico, e già romano, dei soldati in combattimento. Da la matina a terza: un periodo di tre ore, tuttavia sufficiente a capire le ragioni esposte dal poeta. Per dire che i signori non dedicano ormai alla riflessione neppure questo tempo brevissimo, tutti presi e accecati dall’avidità.
[G. B. PALUMBO EDITORE]
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74-80 [O] nobile (gentile) sangue latino [: gli Italiani], lìberati (sgombra da te) di questi pesi (some; con metafora)
dannosi [: i mercenari]; non trasformare in un mito (non
far idolo) una fama (un nome) illusoria (vano) senza fondamento (soggetto) [: la gloria militare dei soldati tedeschi]: dal momento che (ché) è colpa (peccato) nostra [:
degli Italiani] e non cosa naturale [: fatto inevitabile] che
la violenza (’l furor) [degli abitanti] del Nord (de lassù)
[: dei Tedeschi], popolazione (gente) arretrata (ritrosa),
ci vinca (vincerne) in intelligenza (d’intellecto). Non la
proverbiale forza delle armi tedesche, ma l’intelligenza
dei soldati mercenari è veramente superiore a quella degli Italiani. Il *paradosso – data la concezione del tempo,
che riteneva rozzi i popoli nordici – serve a mettere ancora una volta al centro dell’attenzione le responsabilità
dei regnanti. L’intelligenza dei mercenari consiste nel vendersi senza poi essere fedeli, né nel combattere, né nel
conservarsi legati alla causa di ingaggio.
81-86 Non è questa [: dell’Italia] la terra (’l terren) che io toc-
Latin sangue gentile,
sgombra da te queste dannose some;
non far idolo un nome
vano senza soggetto:
ché ’l furor de lassù, gente ritrosa,
vincerne d’intellecto,
peccato è nostro, et non natural cosa.
Non è questo ’l terren ch’i’ tocchai pria?
Non è questo il mio nido
ove nudrito fui sì dolcemente?
Non è questa la patria in ch’io mi fido,
madre benigna et pia,
che copre l’un et l’altro mio parente?
Perdio, questo la mente
talor vi mova, et con pietà guardate
le lagrime del popol doloroso,
che sol da voi riposo
dopo Dio spera; et pur che voi mostriate
segno alcun di pietate,
vertù contra furore
prenderà l’arme, et fia ’l combatter corto:
ché l’antiquo valore
ne l’italici cor’ non è anchor morto.
Signor’, mirate come ’l tempo vola,
et sì come la vita
fugge, et la morte n’è sovra le spalle.
Voi siete or qui; pensate a la partita:
ché l’alma ignuda et sola
conven ch’arrive a quel dubbioso calle.
Al passar questa valle
piacciavi porre giù l’odio et lo sdegno,
vènti contrari a la vita serena;
cai per prima (pria) [: appena nato; cioè in cui io nacqui]? Non è questo il mio nido [: la mia dimora] in cui
(ove) fui nutrito [: in cui vissi] così dolcemente? Non è
questa la patria nella quale io (in ch’io) ho fiducia (mi fido), [essa che è una] madre benevola (benigna) e pietosa (pia), che ricopre [: in cui sono sepolti] l’uno e l’altro
mio genitore (parente)? Sono tre *domande retoriche.
87-96 In nome di Dio (Perdio), queste cose (questo) [appena
dette] talora vi muovano (mova; al sing.) la mente [: influenzino i vostri pensieri], e guardate con pietà le lagrime
del popolo addolorato (doloroso), che spera [di avere] serenità (riposo) solo da voi dopo Dio; e [basterebbe] solamente (pur) che voi mostriate qualche (alcun) segno di
pietà (pietate), [e] il valore (vertù) [: degli Italiani] prenderà
le armi contro la brutalità (furore) [: dei Tedeschi], e il
combattimento (’l combatter) sarà (fia) breve (corto): perché (ché) l’antico valore non è ancora morto nei cuori italiani. La condizione avvilita del popolo italiano nasconde
ancora, secondo il poeta, la grandezza ereditata dal glorio-
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so passato, in particolare romano; e aspetta solamente di
essere stimolato da un esempio anche minimo di virtù nei
governanti: la responsabilità dei quali per la dipendenza
dalle armi straniere risulta dunque tanto più grave.
97-102 [O] signori, osservate (mirate) come il tempo vola, e
allo stesso modo (sì) come la vita fugge, e la morte ci sta
(n’è) sulle (sovra le) spalle [: ci segue da vicino].Voi ora
siete qui [: sulla Terra]; pensate alla partenza (partita) [:
alla morte]: dato che (ché) è inevitabile (conven; lat.“necesse est”) che l’anima (l’alma) arrivi nuda (ignuda) e sola a quel cammino (calle) insidioso (dubbioso) [: la morte]. Il pensiero della morte e del giudizio divino dovrebbero anch’essi spingere i governanti a un comportamento virtuoso, pensando a come l’anima si presenta senza
nessuna possibile protezione, nella prospettiva cristiana,
al giudizio finale.
103-112 Nell’attraversare (al passar) questa valle [: la vita terrena] vogliate (piacciavi) deporre (porre giù) l’odio e l’ira (lo
sdegno),forze (vènti; per *metafora) contrari alla vita serena;
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e quel tempo che viene impiegato (che…si spende) per
(’n = in) [procurare] sofferenze (pena) ad altri (altrui)
venga rivolto (si converta) [invece] in qualche atto (acto) più meritevole (degno) o pratico (o di mano) o intellettuale (o d’ingegno), in qualche bella attività lodevole
(bella lode), in qualche impegno (studio) onorevole (honesto): così qua giù [sulla Terra] si è soddisfatti (si gode),
e si trova aperta la strada del cielo [: la beatitudine dopo la morte]. È l’invito conclusivo a dedicare a imprese
elevate e meritevoli di lodi quelle energie inutilmente impiegate, al presente, per competere faziosamente con
nemici e avversari. In questi ultimi versi trapela la conce-
et quel che ’n altrui pena
tempo si spende, in qualche acto più degno
o di mano o d’ingegno,
in qualche bella lode,
in qualche honesto studio si converta:
così qua giù si gode,
et la strada del ciel si trova aperta.
Canzone, io t’ammonisco
che tua ragion cortesemente dica,
perché fra gente altera ir ti convene,
et le voglie son piene
già de l’usanza pessima et antica,
del ver sempre nemica.
Proverai tua ventura
fra’ magnanimi pochi a chi ’l ben piace.
Di’ lor: – Chi m’assicura?
I’ vo gridando: Pace, pace, pace. –
zione petrarchesca della nobiltà umana, e del suo rapporto con la sfera religiosa: una originale sintesi di valori terreni e di interessi trascendenti.
113-122 [O] canzone, io t’invito a esporre (io t’ammonisco
che...dica) cortesemente i tuoi argomenti (tua ragion),
dato che (perché) ti è necessario (ti convene) andar (ir)
fra gente superba (altera), e i [loro] caratteri (le voglie) sono posseduti (piene) ormai (già) dall’abitudine (de l’usanza) pessima e antica [: l’adulazione], sempre nemica
del vero. Troverai (proverai) la tua fortuna (ventura) fra i
(fra’) pochi animi nobili (magnanimi) ai quali (a chi) piace il bene. Di’ loro: – Chi mi protegge (m’assicura)? Io va-
do (vo) gridando: Pace, pace, pace. – Il *congedo completa il quadro di corruzione imperante con un riferimento, attraverso *perifrasi, all’adulazione ipocrita e menzognera
dei cortigiani e dei letterati asserviti al potere: pericoli dai
quali le parole del poeta dovranno cercare protezione
presso i pochi ancora amanti della virtù e della verità, per
diffondere grazie a essi il proprio messaggio di pace. Pace, pace, pace: non è un invito generico; e da molti luoghi
della canzone si ricavano esortazioni guerresche contro
le milizie straniere (cfr. p. es. i vv. 45-51, 75, 91-96). Qui
è insomma la pace tra i signori italiani a essere invocata,
la cessazione delle inimicizie e delle ostilità fratricide.
E
guida alla lettura
La tradizione della canzone civile
L’appartenenza di questo testo petrarchesco a una tradizione di poesia
impegnata è testimoniata da numerosi elementi di carattere formale e
da alcune delle argomentazioni adottate. Sul piano formale, è significativa la scelta della forma metrica nobile della *canzone, riservata già da
Dante agli argomenti più elevati e impegnativi. La valorizzazione del tema è affidata anche all’elevatezza del lessico, dello stile e della struttura argomentativa (segnata da parallelismi, riprese e contrapposizioni),
con impiego frequente di figure retoriche. È poi importante soprattutto
l’identificazione di motivi politici e di motivi morali: la causa per la quale ci si batte non è solo presentata come la più opportuna ma anche
come la più giusta, determinandosi così una coincidenza tra bene politico e bene morale. Questa canzone di Petrarca, così come si inserisce
in un solco poetico già aperto, avrà un’importanza decisiva per la fortuna seguente del genere, fino a Leopardi e a Carducci.
Stile e scrittura
L’elevatezza dello stile e l’impegno nella costruzione strutturale sono rivelati da numerosi elementi. La sostenutezza stilistica si affida in particolare, oltre che alla scelta di un lessico aristocratico, al ricorso a numerose figure retoriche. Sono numerose le frasi esclamative (cfr. vv. 28-30)
e le *interrogative retoriche (cfr. vv. 20, 31-32, 57-62, 65-67, 81, 82-83,
84-86); esse esprimono indignazione e adesione alla materia trattata,
pur contribuendo a dare controllo all’impeto passionale, a stabilire una
forma di relativa distanza psicologica. Importanti sono le *antitesi e le
contrapposizioni (cfr. vv. 29-30, 40, 93), spie di una concezione secondo cui il bene e il male si raccolgono e concentrano per intero in due sfere distinte e contrapposte. Frequenti sono anche le *metafore (cfr. p.
es. vv. 2, 28-30, 38, 39-41, 75, 82, 85, 97, 102, 103), la cui funzione
è, ancora una volta, tanto quella di caricare la rappresentazione in senso morale e passionale, quanto quella di determinare una forma di distanza critica e razionale nei suoi confronti. Non rare sono anche altre figure retoriche con funzione di innalzamento stilistico, quali la *prosopo-
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E guida alla lettura
pea (vv. 1 sgg.), la *preterizione (vv. 49 sgg.) e la *perifrasi (vv. 117118). La costruzione strutturale ruota attorno all’invocazione ai signori –
preceduta da una strofa (la prima) rivolta all’Italia e a Dio, e seguita nel
*congedo dalle raccomandazioni conclusive alla canzone stessa. L’invocazione ai signori è espressa in forma diretta nelle strofe seconda
(«Voi…») e penultima («Signor’…»), con circolare coerenza.
Le idee politiche
Le idee politiche espresse da Petrarca in questa canzone definiscono un’ideologia ancora legata ai grandi modelli culturali del Medioevo, basata su
alcuni elementi fondamentali: 1) l’universalismo politico, implicito nel rifiuto della logica municipalistica e particolaristica delle Signorie in nome di
un ideale di nazione astratto e generico, da non interpretare in senso risorgimentale e moderno; 2) la fedeltà implicita alla tradizione dell’Impero,
espressa dal richiamo esplicito alla tradizione romana, nei confronti della
quale non si avverte frattura ma continuità; 3) la concezione provvidenzialistica della storia, affidata nelle sue linee generali al disegno divino; 4) l’idea della superiorità del popolo italiano (in quanto discendente di Roma)
rispetto agli altri, sentiti come barbari. Da questo punto di vista non è segnalabile una vera differenza rispetto all’ideologia per esempio di Dante.
La posizione distaccata dell’intellettuale
La novità più rilevante di Petrarca riguarda la posizione dell’individuo, coerente con l’insieme della sua produzione e con la sua nuova rappresentazione del ruolo intellettuale. Egli non è coinvolto nel terreno della lotta
politica, ma posto in una dimensione di distacco e di superiorità fatta
coincidere direttamente con il bene comune e dichiarata al di sopra delle parti in contesa (cfr. vv. 63-64). La funzione intellettuale è cioè defini-
ta ormai, anche davanti al tema politico e civile, come una funzione separata e autonoma; cioè aspirante a separatezza e ad autonomia, presentate come superiorità. D’altra parte il coinvolgimento dell’individuo, escluso dalla lotta per una delle parti in conflitto, viene riproposto a livello sentimentale e drammatico (cfr. soprattutto i vv. 81-86). È proprio questa la
tradizione che Petrarca contribuisce in modo determinante a fondare.
Attualizzazione
È difficile individuare in questa grande canzone politica di Petrarca ragioni sostanziali di attualità: che cosa ne è dell’impero e della tradizione romana, della concezione provvidenzialistica, della superiorità italiana sui barbari? Molto più attuale può apparire, almeno per alcuni aspetti, la produzione d’amore del Canzoniere: segno, forse, che i grandi momenti antropologici dell’esperienza umana (l’amore, la morte, il piacere, il dolore, ecc.) possiedono delle costanti che almeno in parte vanno oltre le diverse modalità storiche di viverli, mentre le posizioni politiche rispondono in modo più stretto a circostanze e condizioni transitorie. Ciò non significa poi che la mancanza di attualità escluda necessariamente l’interesse del lettore; ma si tratta comunque di un interes-
se più difficile da provare e più mediato dal punto di vista culturale.
Tuttavia, almeno una ragione di interesse attuale è forse possibile individuare anche in questo testo, allorché Petrarca insiste sui valori universalistici quali garanzie di pace e di civiltà e rifiuta la logica del particolarismo municipalista. Si tratta di temi oggi ancora ben vivi, anche nel
dibattito politico, benché riempiti di contenuti in gran parte rinnovati, in
un’Italia e in un’Europa sospese spesso tra il riconoscimento e la rivendicazione delle specificità locali, da una parte, e il bisogno di cementare le identità nazionali comuni, semmai allargandole in prospettiva
transnazionale, dall’altra. Su questo punto almeno, parlando da un’Italia politicamente frazionata, Petrarca sembra avere qualcosa da dirci.
esercizi
Comprendere
1
7
Leggi attentamente il testo e riassumi il messaggio della canzone, rispettandone gli snodi argomentativi.
Approfondire
Analizzare e interpretare
2
Caratterizza il ritmo della canzone.
3
Quali sono le più importanti figure retoriche alle quali ricorre
il poeta? Quale la loro funzione espressiva e argomentativa?
4
Trova esempi significativi del lessico alto del testo. Confrontalo con il lessico medio di canzoni come «Chiare, fresche et
dolci acque» (T6), e trova le ragioni della differenza.
Che giudizio dà Petrarca della situazione politica a lui contemporanea?
5
Che soluzione propone ai mali presenti?
6
Quale ruolo riserva a sé il poeta? Sulla base di quali valori
si rapporta al presente?
8
Approfondisci la riflessione sul messaggio del testo considerando:
a) l’analisi dantesca dei mali della società comunale (cfr. i
canti dell’Inferno che hai letto);
b) la canzone politica di Guittone d’Arezzo «Ahi lasso, ora è
stagion de doler tanto» (CD12);
c) il diverso utilizzo da parte di Petrarca, in altri testi del Canzoniere, di valori come la virtù, la vanità dell’esistenza umana.
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura
[G. B. PALUMBO EDITORE]
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