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Freud a trenta passi
(di Sara Paretsky - “Freud at Thirty Paces”)
(traduzione non autorizzata, non fatta per fini di lucro)
Il Dr. Ulrich von Hutten riceveva i pazienti nel salotto sul retro della sua casa sulla Quinta
Avenue.
Una piccola ristrutturazione del piano terra permetteva un passaggio privato col quale i pazienti
evitavano il salotto anteriore e la scala ai piani superiori.
Sul retro, dalla stanza delle consultazioni una porta si apriva sul marciapiede che collegava la casa
alla 74-esima Strada. Una siepe divideva il breve camminamento dal minuscolo giardino, dove la
signora von Hutten coltivava begonie e odori.
Questa soluzione tecnica separava i von Hutten dai suoi pazienti. Certo è che alcuni di loro non
avevano mai raggiunto la certezza se il dr. Von Hutten fosse sposato. Altri sospettavano la presenza
di un bambino, (bambini?) dai suoni attutiti di esercizi al piano filtranti nel passaggio privato, o dal
crescente odore di sauce madére in quei pomeriggi che il dottore aveva ospiti a cena.
Inoltre, rispettando gli orari, i pazienti non si incontravano mai – uscivano attraverso una porta
diversa da quella da cui entravano. Von Hutten non aveva reputato necessario una sala d'attesa.
Invece aveva installato una piccola poltrona giusto fuori la stanza di consultazione, dove i super
ansiosi potevano sedersi, in attesa dell'accendersi della fioca luce gialla che li avvertiva che il
dottore era pronto.
Il contatore iniziava a correre esattamente all'inizio della sessione analitica fermandosi con
altrettanta precisione quarantacinque minuti dopo.
Il Dr. Von Hutten premeva un pulsante sul pavimento e, simultaneamente, si sbloccava la porta
d'ingresso, s'accendeva la luce gialla e partiva il contatore. Il paziente in ritardo, di corsa da un
parrucchiere all'angolo della sessantesima e Madison, o da un incontro in Wall Street, trovava il
dottore privo d’ogni espressione, seduto su una poltrona in pelle, posta dietro al logoro divano
ereditato dal grande dottor L-- di Berlino.
L'agitato paziente lasciava allora cadere i pacchi, cappotto e borsa su di un tavolo laterale,
arrampicandosi quindi sul divano. Il dr. Von Hutten restava volutamente impassibile. Unico rumore
il lieve ronzio del contatore sulla parete opposta. Dopo quarantacinque minuti, il contatore si
arrestava, la porta sulla strada si apriva automaticamente e il Dr. Von Hutten pronunciava le sue
prime parole della sessione: 'Il nostro tempo è terminato. Prossimo appuntamento con lei domani
alle due.' - Oppure venerdì alle nove e trenta, o una qualsiasi altra data...
Il dr. von Hutten apparteneva a quella stretta classe di analisti che credevano di dover
limitare al massimo le parole verso il paziente. Il paziente non doveva conoscere nulla del dottore –
il solo trasferimento consentito era in una direzione. Il dottore ne era assolutamente convinto. Oltre
ad articoli su riviste specializzate, aveva scritto diverse colonne per il New York Times, dove
deplorava la tendenza di alcuni moderni analisti di parlare, raccontare il loro amore per Mozart, il
loro odio per le begonie...
Il dr. von Hutten non attaccava i colleghi analisti sulla stampa popolare. Pur tuttavia, la
maggioranza del mondo psicoanalitico di New York, sapeva che le sue critiche, non erano di
carattere generale. L'oggetto specifico della sua collera aveva un ufficio di fronte al suo, giusto sulla
parte opposta di Central Park.
All'incrocio della sessantaquattresima e Central Park Ovest, il dr. Jacob Pfefferkorn riceveva i
(Traduzione del racconto di Sara Paretsky “Freud at thirty paces”) - Settembre 2013 – Pag 1/12
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pazienti in una stanza trasandata, le cui finestre tendeggiate, davano sul parco. Dalla hall, si apriva
una piccola stanza che era stata trasformata in saletta d'attesa, e alcuni romanzetti e riviste
giacevano impilati a caso su di un tavolo laterale.
Correttamente, i familiari di Pfefferkorn non passavano mai dalla saletta d'attesa, né rivolgevano
parola ad alcun paziente. Ciò nonostante, questi ultimi notavano spesso la signora Pfefferkorn
travettare in compagnia di uno o più dei suoi rumorosi figli, in partenza per lezioni di balletto,
lezioni d'equitazione, o scuole private le cui rette venivano coperte dai massicci conti generati
dall'incessante ticchettare del contatore sul muro dell'analista.
In aggiunta a questi segni di vita domestica, i pazienti apprendevano qualcosa circa lo stesso Dr.
Pfefferkorn. Che amava Mozart per esempio, e che odiava le begonie. Se questa conoscenza
aiutasse o ostacolasse le terapie, nessuno poteva valutarlo, eccetto forse il dr. Von Hutten. Altri
analisti si chiedevano se fossero stati i ben noti pregiudizi del Pfefferkorn, a ispirare la signora von
Hutten a coltivare begonie nella casa sulla Quinta Avenue.
Oltre al disaccordo sul mantenere o meno il silenzio in sala consultazione, fra i dottori c’era una
seconda rivalità. Entrambi amavano cimentarsi in Psicanalisi Letteraria, analizzando le personalità
degli scrittori in base ai loro lavori. Il dr. Freud era stato il primo. La sua brillante deduzione che
Mosé fosse Egiziano, e non Ebreo ebbe soprattutto fondamento nei testi biblici, l'evidenza storica a
supporto fu scarsissima. Nell'intraprendere simili ricerche le sue discipline vennero ispirate.
Alcuni avevano studiato figure storiche come Virginia Woolf o Henry James, che lasciarono
corposa testimonianza epistolare spiegando così il loro lavoro. Altri preferirono guardare a scrittori
come Agostino che non lasciò alcuna evidenza esterna se non i propri scritti. Con una ricerca
storica limitatissima, questi Analisti Letterari, erano stati in grado di eseguire sbalorditivi tour de
force analitici, scoperchiando rapporti Edipici, impotenza o altri tratti sconosciuti del santo del
quinto-secolo.
Il dr. Pfefferkorn aveva in precedenza analizzato Tommaso da Kempis, il Cardinale Newman e
Emily Dickinson. Il von Hutten aveva finora devoluto le sue più rilevanti fatiche, all'autore
anonimo di “The cloud of Unknowing”. L'uno ignorava di proposito le ricerche dell'altro.
Sfortunatamente, nel 1980, entrambi saldarono l'attenzione sul medesimo scrittore come oggetto
appassionante delle loro ricerche.
Santa Juliet di Cardiff (?1140 – 1203) aveva scritto numerosi lavori mistici in un'aggranchiata
combinazione di Latino e Gallese. Abbastanza poco sappiamo sulla vita della santa. Venne
canonizzata nel 1560, durante la corsa a stipar santi come carne di porco in barile, subito dopo il
Concilio di Trento (ndr. concilio durato 18 anni -fonti rai tv-), per miracoli collegati a guarigioni da
emorragia in donne post parto.
Il lavoro di Juliet, nella traduzione moderna, occupa tre volumi di meditazioni, estasi e
preghiere. In questa effusione, i due dottori riuscirono a trarre molte informazioni riguardo alla sua
vita.
Il Dr. Pfefferkorn, da questi scritti riconobbe che Juliet era stata l'amante di Enrico II, prendendo i
veli solo dopo che, Eleonora d'Aquitania intervenne in uno dei suoi rari umori di moglie. La madre
di Juliet era morta durante l'infanzia della santa. Il vecchio padre, uomo di larghi mezzi, la fece
educare in modo aperto a cui solo pochi uomini del dodicesimo secolo potevano ambire e
praticamente nessuna donna. Fu lui a introdurla alla vita di corte. Il Dr. Pfefferkorn speculò circa un
amore incestuoso tra padre e figlia, ma sentiva dell'ambiguità nei testi a questo riguardo. Juliet si
unì al Convento di St. Anne di Cardiff in tarda età, le sue estasi furono in primo luogo, eulogie dei
suoi legami con Enrico II, camuffate da linguaggio teologico.
(Traduzione del racconto di Sara Paretsky “Freud at thirty paces”) - Settembre 2013 – Pag 2/12
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Al Dr. Von Hutten, il lavoro di Juliet provava incontrovertibilmente che era morta vergine. Dedicata
al Convento di Nostra Signora del Sacro Cuore di Cardiff alla nascita, da una famiglia caduta in
povertà, che non poteva garantirle una dote. Juliet, perciò, svolgeva per il convento lavori di fatica,
e imparò a leggere e scrivere mentre puliva la pesante bibbia, fissata con catena all'altare della
cappella del convento. Dal momento che non parlava Latino, la sua scrittura combinava il natio
Gallese col Latino piluccato nelle sue segrete letture. Gli sfoghi estatici derivavano dalla sua
sublimata, non riconosciuta sessualità. Il fatto che le donne gallesi credessero nel suo potere di
fermare le perdite post-parto, era una testimonianza popolare del suo stato verginale.
La rivista bimensile Psichoanalytical Review of Literature (”Rivista Psicoanalitica della
Letteratura”) pubblicò gli articoli del Dr. Pfefferkorn e del Dr. von Hutten, l'uno a fianco dell'altro,
nel suo numero invernale. E la battaglia divampò totale
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Un amico comune aveva messo in guardia il Dr. von Hutten della scelta di St. Juleit del Dr.
Pfefferkorn, ma il Dr. von Hutten restò sbalordito del livello di stupidità del Dr. Pfefferkorn. Come
poteva l'uomo non riconoscere un tal chiaro caso di frigidità? Come poteva frivolamente scrivere di
legami tra un re e una popolana di dimostrabile stato servile? Avvampò di collera.
Con difficoltà ascoltò i timori di impotenza, paure di rifiuto, timori di frigidità dei suoi propri
pazienti. Contava i minuti in attesa che il segna-tempo decretasse la fine della giornata di lavoro per
potersi disporre ad attaccare il Dr. Pfefferkorn come meritava. Un uomo che diceva ai suoi pazienti
che odiava le begonie era capace di tutto, questa volta però era andato troppo oltre. La sua lettera
all'editore coprì i maggiori difetti delle ricerche del Dr. Pfefferkorn e della sua pratica medica.
Dall'altra parte del parco, sulla 62esima Sstrada, il Dr. Pfefferkorn era ugualmente furibondo. Le
rigide opinioni di von Hutten, derivanti, nessun dubbio in proposito, da un allenarsi nel gabinetto
troppo precoce e le sue morbose paure di castrazione, lo avevano condotto a un rendiconto
assolutamente imbecille della vita di Juliet. Nessun uomo che avesse risolto le proprie neurosi
poteva dubitare che questa fosse una donna la cui vita fisica fosse stata superbamente soddisfatta.
Terminata la giornata di lavoro, Pfefferkorn spense il segna-tempo, chiese alla moglie di portare
nel suo studio brasato di manzo e patate, e si dispose per un feroce attacco a von Hutten. La sua
lettera contemplava l'inadeguata analisi del dottore, la sua incapacità di separare le fantasie da quel
che leggeva, e quindi, una confutazione testuale, riga per riga, dei punti rilevanti di von Hutten.
Entrambe le lettere comparirono sul numero di febbraio della Psichoanalytical Review of
Literature. Von Hutten si compiacque delle accuse di impotenza e proiezione ma non ne dette segno
alla moglie, che aveva anch'essa letto quelle critiche.
Come per Pfefferkorn, l'accusa sui suoi metodi d'analisi, tanto trasandati quanto il suo aspetto,
lo spinsero ad allargare il cerchio della contesa. Si rivolse a Walter Lederhosen, Professore di Storia
Medievale Inglese alla Columbia University e a Mark Antwerp della New York University.
Risultò che nessuno dei due avevano familiarità con St. Juliet, né potevano leggere il Gallese-Latino
nel quale scriveva. Entrambi scrissero lunghi articoli sull'Inghilterra del dodicesimo secolo.
Antwerp fu elusivo riguardo alla verginità di Juliet. Provò, comunque, che Henry andò diverse volte
a Cardiff durante quel che potrebbe chiamarsi il periodo rilevante. Molte anche le cose da dire circa
la vita amorosa di Henry incluse le sue compromesse relazioni con Eleonora.
Lederhosen si concentrò sulla politica del dodicesimo secolo, in specie sulle visite infrequenti di
Henry II ai suoi possedimenti inglesi, che non soddisfecero affatto Pfefferkorn . Come poteva aver
infiammato passioni della santa se non si trovava nei paraggi per incontrarla? Scartò dunque i rilievi
del professore della Columbia e produsse un piccolo pamphlet che conteneva gli articoli originali, le
lettere confutanti, e il lungo saggio del professor Antwerp.
(Traduzione del racconto di Sara Paretsky “Freud at thirty paces”) - Settembre 2013 – Pag 3/12
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Pfefferkorn concluse il pamphlet con un sommario su cui si riportava il ragionamento di
Antwerp unito al suo. L'intera cosa venne pubblicata in un piccolo libretto dal titolo The mirror of
the Eye, (“Lo Specchio dell'Occhio”)che distribuì al meeting estivo dell' International Convention
of Psichoanalysts. Nell'introduzione, Pfefferkorn spiegava come, nei loro scritti, gli psicoanalisti
rispecchiassero le distorsioni che i loro propri occhi presentavano a loro il mondo. Dettagliò dunque
la sua diagnosi sulle varie malattie psicosessuali di von Hutten e di come von Hutten avesse
proiettato queste malattie sullo scritto di St. Juliet di Cardiff.
Von Hutten restò senza parole quando lesse il pamphlet. Lasciò il meeting un giorno prima e
tornò in volo a Manhattan dove consultò un vecchio collega che, al momento, insegnava Storia a
Yale. Così come Lederhosen e Antwerp, Rudolph Narr non aveva letto i lavori di St. Juliet.
Ciononostante, si produsse il più dottamente che poté, per quaranta pagine, sulle tecniche analitiche
applicate alla storia, includendo un'ampia sottosezione dedicata alla frigidità e alla sublimazione
nel Medioevo.
Il saggio deliziò von Hutten. Lo pubblicò in un fascicolo intitolato “The Mirror of the Hand”,
(“Lo Specchio della Mano”) insieme al suo saggio originale sulla rivista Psichoanalytical Review
of Literature. In una coincisa introduzione, smascherava i metodi analitici fraudolenti di
Pfefferkorn. Causa i suoi problemi neurotici interni non risolti, Pfefferkorn era incapace di trarsi
fuori dall'attenzione centrale interagendo così coi pazienti. Il suo bisognoso ego subentrava ai suoi
pazienti: proiettava i propri desideri e le incertezze in ciò che avveniva nella stanza delle
consultazioni. Le ricerche letterarie di Pfefferkorn, riflettevano la sua intrusione sul panorama del
paziente. La sua mano, per così dire, copriva il quadro.
La pubblicazione del “The Mirror of the Hand” coincise col meeting di dicembre della New
York Psychoanalitical Association. Il Dr. Pfefferkorn divenne furioso - non ne fece segreto – gli
altri analisti, invece, ne furono deliziati. Quale gradito cambiamento dall'usuale rigiro sul
“Narcisismo Indifferenziato nelle Neurosi da Transfert in Periodo Post-Adolescenza” e altre dotte
disquisizioni.
Partigiani dell'uno e dell'altro spuntarono tra gli analisti di New York. Il fan che maggiormente
si espose a favore di Pfefferkorn fu Everard Dirigible. Carlos McGillicutty guidò presto il gruppo
di von Hutten.
Dirigible mise subito a segno un grosso colpo nella battaglia: trovò uno studioso all'università di
Chicago, che poteva leggere davvero il lavoro originale di St. Juliet. Bernard Maledict saltò
contento nella mischia. Non uso alle tecniche e ai termini della Psicoanalisi, ebbe ciononostante
moltissimo da dire circa la sessualità di Juliet.
Maledict respinse il lavoro di von Hutten: Gli scritti di Juliet non potevano sostenere l'accusa di
frigidità. Meno chiara la sua relazione con Henry II – o una qualsiasi altra relazione. Descrisse
invece la sessualità nel Medioevo, spiegando che le ragioni per entrare in convento erano spesso
economiche e niente avevano a che vedere con la sessualità. Per di più, la sessualità non era così
altamente valutata come oggi, pur aspettandosi il rispetto del celibato, nessuno rimaneva poi così
sciccato dalle scivolate.
Alla pubblicazione simultanea del lavoro di Maledict sul Psichoanalytical Review of
Literature e sul Journal of Medieval History, von Hutten e McGillicutty quasi schiumarono di
rabbia. McGillicutty capì subito qual'era il suo dovere, dissotterrò un altro studioso di St. Juliet
all'University College, Oxford. Robert Pferdliebler aveva devoluto la sua vita alla traduzione e
all'analisi di “The Veil before the Temple” (“Il Velo davanti al Tempio”), l'opera maggiore di Juliet.
Egli gradì la possibilità di presentare i suoi punti di vista a una audience più ampia. Evitando di
commentare in modo puntuale circa la disputa iniziale von Hutten-Pfefferkorn, condannò
(Traduzione del racconto di Sara Paretsky “Freud at thirty paces”) - Settembre 2013 – Pag 4/12
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esplicitamente e in toto la ricerca di Maledict. Von Hutten fece in modo che il suo articolo – unito
ad appropriato commento – apparisse sulle più importanti pubblicazioni di psicoanalisi europee,
oltre a quelle in America.
Ormai le energie di Pfefferkorn eran talmente esaurite da questa sfida, da rifiutare tutti i nuovi
pazienti: aveva bisogno di ogni ora che riusciva ad agguantare per la lotta a von Hutten. Passò
lunghe serate negli archivi di Freud, cercando prove dal Maestro che le sue tecniche analitiche
erano corrette.
La signora Pfefferkorn, cominciò a preoccuparsi: il più anziano della prole era al primo anno
della Harvard Medical School; il più giovane era imbarcato in una costosa spesa dentistica; e nel
mezzo ce ne stavano altri tre, con costose necessità. Che proponeva Pfefferkorn, che Ermine
rinunciasse al suo cavallo? Che Jodhpur vendesse la sua Ferrari? Perché quelli erano i sacrifici che
intravedeva, nel caso si fosse ridotta la pratica del dottore. La rivalità con von Hutten la liquidò con
uno sdegnato gesto della mano – non poteva essere abbastanza adulto da ricevere una piccola critica
nella sua carriera?
Sul lato opposto del parco, von Hutten manteneva miglior autocontrollo, almeno in superficie.
Continuava le sue sessanta usuali sessioni di analisi settimanali. Ma la sua attenzione nella stanza
delle consultazioni cominciò a vagare. Quando non parli in prima persona, è difficile sentirsi
impegnato in un dialogo: si ritrovò ad ascoltare le fantasie sessuali della signora J---- quando pensò
di stare ascoltando circa l'odio del signor P---- per sua madre.
Per anni von Hutten si era vantato del suo perfetto controllo e coinvolgimento nella stanza delle
consultazioni. Poteva solo incolpare il Dr. Pfefferkon del proprio fallimento a mantenere i suoi
standard. La furia verso Pfefferkon si trasformò in odio che assorbì la maggior parte dei suoi
momenti da sveglio, e non pochi di quelli nel sonno. Era abbastanza analista da sapere che un sogno
di suo padre che si scagliava su di lui con una mazza da baseball era un lontano e dimenticato
ricordo, riportato in vita dall'abuso di Pfefferkon, ma l'aver coscienza del ricordo non alleviava la
sua rabbia.
Per l'ora di pranzo, von Hutten si rese conto che la fantasia di assassinare Pfefferkon, che aveva
assorbito tutte le sessioni del mattino, era solo una fantasia e non avrebbe risolto il suo problema.
Ma la rabbia nei riguardi dell'altro analista aumentò: Pfefferkon gli aveva fatto contemplare di farlo
fuori per il mattino intero, invece delle più importanti necessità dei pazienti. Di solito uomo
compassato, che non chiedeva mai aiuto, von Hutten sfogò la sua angoscia su sua moglie.
La signora von Hutten sollevò le sue curatissime ciglia mentre gli serviva una porzione di
salmone in bianco e dell'insalata verde. “Non credo che uccidendolo risolveresti la questione,
Ulrich”, pronunciò maestosamente. “Ti sentiresti ancora come se ti avesse sconfitto”.
“Lo so!” quasi gridò von Hutten, pestando il tavolo coi pugni. “E estirpa tutte quelle dannate
begonie dopo pranzo, Non voglio più vederne una”.
La signora von Hutten ignorò quest'ultima uscita con la stessa autorità con cui aveva ignorato
tutte le richieste grandi e piccole di suo marito negli anni. Dopo pranzo, comunque, rivolse il suo
considerevole intelletto alla disputa von Hutten-Pfefferkon. Tirò fuori tutta la documentazione di
Pfefferkon dagli stipi nel suo studio. Ormai, fra corrispondenza e articoli occupava un cassetto e
mezzo. Alle cinque in punto, chiamò la governante al piano inferiore via interfono, avvertendo che
sarebbe mancata per cena: che Birgitta avvertisse il dottore. Portò i documenti rimanenti nel suo
camerino, chiuse la porta a chiave, e continuò a leggere fin quasi all'alba successiva.
La signora von Hutten era una di quelle rigide persone munite d'autocontrollo che impostavano
propri orologi mentali alzandosi di conseguenza. Si coricò per sei ore di sonno e si alzò alle dieci.
Nonostante un pesante acquazzone, attraversò il parco a piedi fino alla 62-esima Strada, passo
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deciso ma senza fretta. Fu di ritorno sulla Quinta Avenue per l'ora di pranzo, servendo con tutta
calma a suo marito una piccola fetta di petto di pollo e della verdura al vapore.
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Quando il segna-tempo si spense per quel giorno, il Dr. Von Hutten dettò alcune note sui casi.
Restò in piedi accigliato alla finestra sul retro, fissando le begonie zuppe, lo sguardo perso per
lunghi minuti finché non venne riscosso da un fermo bussare. Senza dubbio, un paziente si era
scordato l'ombrello, sebbene non vedesse alcun oggetto sul tavolo laterale. Andò lentamente alla
porta.
“Lei!” Sibilò
Il Dr. Pfefferkon scosse il suo ombrello sul tappetino esterno e si tolse l'ingombrante
impermeabile. “Si, von Hutten. Mia moglie mi ha persuaso che dovevo vederla di persona. Chiarire
la questione. Siamo diventati il soggetto delle risa della professione degli analisti di New York”.
“Lei forse” disse von Hutten freddamente “le sue idee sono ridicole e insopportabili. Io,
comunque, non ho notato nessuno che ridesse di me.”
“Questo, mio caro von Hutten, è perché è talmente concentrato su se stesso da non far caso a
quanto dicono gli altri.” Vedendo che il suo ospite non gli faceva cenno d'entrare, Pfefferkorn lo
superò e sedette sulla poltrona di fronte alla sedia dell'analista. “Così questo è dove tutto ha luogo.
Atmosfera sterile, conveniente per le idee sterili e antiquate che professa.”
Poco mancò che von Hutten digrignasse i denti. “Non ho bisogno di vedere la sua stanza di
consultazione - son certo che è tanto sciatta quanto il suo pensare. Altrettanto sciatta delle sue
presunte ricerche su St. Juliet di Cardiff.”
Pfefferkon aggrottò le ciglia. La signora Pfefferkon lo aveva persuaso a fare quell'escursione,
persuaso contro il suo miglior giudizio. Ed ecco il risultato: solo insulti.
“Guardi, von Hutten. Sanno tutti che le sue idee su Juliet di Cardiff sono altrettanto fuori moda
dei suoi così-detti metodi di analisi. Ma concordiamo sul disaccordo. Non possiamo continuare la
scalata di questa battaglia fra studiosi. Prende troppo tempo alla mia – nostre – pratiche.”
Von Hutten, per poco soffocò “Che lei osi chiamarsi analista è un insulto a Freud. Concordare
sul disaccordo! Con lei! Non avvilirò la professione d'analista così tanto.”
“Avvilire!” ruggì Pfefferkon, balzando in piedi. “Lei dovrebbe essere radiato dalla New York
State Medical Society. Ma che dico! Dovrebbe essere certificato pazzo e rinchiuso dove non può
recar danno più a lungo agli innocenti e ai vulnerabili.”
Von Hutten saltò su di lui afferrandolo per le spalle “Si rimangerà queste parole, lei, miserabile
canaglia”.
Il Dr. Pfefferkon, si infuriò in egual misura e, più pesante di trentaquattro chili, storse via le
mani di von Hutten gettandolo a terra. “Son contento che provi a darmi agio a questo, dottor von
Hutten. Quando e dove desidera, con le armi di sua scelta. Vivrà per rimpiangere questo momento.”
Raccolse il suo impermeabile gocciolante e attraversò la stanza a grandi passi, sbattendo la porta
dietro di se.
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La mattina del duello era chiara e assolata. Alle cinque e trenta il Dr. von Hutten scivolò fuori
dalla sua casa sulla Quinta Avenue. Un appunto alla moglie giaceva sul tavolo del suo studio,
spiegava ogni cosa nel caso non avesse fatto ritorno. In realtà non si aspettava di perdere: si era
allenato per tutto il fine settimana e era perfettamente confidente.
Il suo secondo, il Dr. McGillicutty, lo stava aspettando sulla 72-esima Strada all'ingresso con
Central Park, con le armi.
“Si sente in forma dottore?” Chiese rispettosamente McGillicutty.
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“Mai sentito meglio. Ci sbrigheremo alla svelta di questo ciarlatano”
“Benissimo. Ho ordinato colazione da Pierre per le sette e trenta: avremo champagne per
festeggiare.”
Arrivati agli alberi dietro lo zoo, trovarono Pfefferkon e Dirigible in attesa. Pfefferkon stava
mangiando un panino al prosciutto e beveva da un thermos di caffè farfugliando i vari punti della
contesa a bocca piena. Disgustoso, pensò von Hutten. Era davvero tempo di porre fine alla carriera
di quell'uomo.
Le armi erano così pesanti che i secondi violarono il codice d'onore mancando di portarle sul
lato dell'altrui opponente. Non appena Dirigible vide McGillicutty si scusò del selvaggio gesticolare
di Pfefferkon e gli fece cenno di raggiungerlo un po' più in là.
“Ha portato tutti e venti i volumi della Edizione Standard?”
McGillicutty fece si colla testa. Era conscio quanto Dirigible, della solennità del momento. Stesero
quasi con cerimonia le due serie del Lavoro Completo di Sigmund Fred sull'erba di fronte a loro,
contarono i volumi, e sfogliarono le pagine di ognuno per verificare che non ne mancassero. Finito
quel compito, ritornarono verso i primi invitandoli ad avvicinarsi.
“Signori – dottori” Dirigible si schiarì nervosamente la voce. “Il codice d'onore mi richiede di
tentare un ultima riconciliazione prima che sia sferrato un colpo mortale. Prendereste in
considerazione, per amor delle vostre mogli, dei vostri pazienti, e per l'onore dell'intera professione
psicoanalitica – di sotterrare le vostre differenze?”
Freddamente, Von Hutten disse “sono qui per assicurarmi che questo ciarlatano, questo
impostore, sia spretato della sua professione come merita.”
Pfefferkon sbuffò “Piuttosto preferirei stringere un pesce imbalsamato che dar la mano a
quest'uomo. Piuttosto - Di certo avvertirei maggior vita nel pesce.”
Anche McGillicutty tentò una supplica con egual misero risultato. Alla fine disse. “Signori, se
deve essere, cominciamo. Comprendete le regole. Ognuno può sparare un colpo. Se l'altro non cade,
può sparare ancora.”.
Dirigible e McGillicutty si misero spalle a spalle. Ognuno avanzò di quindici passi. Von Hutten
e Pfefferkon si portarono a fianco dei loro secondi che, quindi si mossero verso il centro del campo.
Il Dr. Dirigible alzò un fazzoletto bianco. Come svolazzo a terra, il Dr. Pfefferkon mugghiò “Lei
ha un complesso di castrazione, Dr. Von Hutten, che interferisce con lo stabilire un contro-transfer!”
Von Hutten indietreggiò ma non cadde. “Lei soffre di narcisismo indifferenziato che la porta a
complessi di regressione e all'inabilità di distinguere tra pazienti e il suo esternare.”
Senza attendere un cenno d'assenso dai secondi, Pfefferkorn urlò furiosamente, “Lei è
impotente, sia fisicamente che psicologicamente. Le sue critiche spuntano dalle sue proprie
inadeguatezze. Farebbero ridere se non danneggiasse così tanti pazienti!”
Un poliziotto che perlustrava il parco avanzò a passi sostenuti, attratto dalle grida. Si fermò
confuso, senza sapere se intervenire.
“Che sta succedendo?” chiese infine ai secondi.
“Un duello.” Si limitò a dire McGillicutty. “Freud a trenta passi.”
Il poliziotto aggrottò le ciglia incerto sul da farsi, dubbioso che lo stessero prendendo in giro. “Ad
ogni modo, chi sono quegli uomini?”
“Psicoanalisti.” rispose Dirigible mantenendo i suoi occhi sul campo d'azione. “Stanno tentando di
risolvere alcune differenze sottostanti.”
“Oh, analisti,” fece il poliziotto assentendo col capo. “C'è da aspettarsi strani comportamenti da
questa gente.” Assentì di nuovo fra se diverse volte a confermare questa diagnosi e si allontanò
verso il lago artificiale per vedere se qualcuno vi fosse caduto dentro durante la notte.
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Nel contempo, sul campo di battaglia, la lite era divenuta più personale e meno analitica.
Dirigible e McGillicutty tentarono entrambi d'interrompere la cosa.
“Signori, per favore, state deviando troppo da Freud.” Ciascuno si avvicino per ragionare con il
suo primo, ma nessuno dei due aveva voglia di ascoltare. Pfefferkorn, infatti, abbattè Dirigible con
un pugno per la furia d'essere interrotto.
“E tua madre! Fantasie Edipiche su di lei? Nessuna meraviglia, sei un tale freddo bastardo.
Immagina essere a letto con quella donna – abbastanza da traumatizzare qualsiasi bambino.”
“E te!” gridò von Hutten “Non hai mai rotto i legami con Mammina. Continui i tentativi di ricreare
l'esperienza coi tuoi pazienti – sii la mia Mammina – sorreggimi – amami!”
A questo insulto, Pfefferkorn raccolse L'Interpretazione dei Sogni, dalla pila accanto a lui e di
slancio caricò attraversando lo spazio verso von Hutten. Scagliò il volume al rivale. Il libro colpì
von Hutten giusto sotto l'occhio sinistro. Il sangue riversò giù lungo la faccia arrivando sulla
camicia immacolata. Lui lo ignorò. Afferrò la Psicopatologia della Vita Quotidiana da terra e la
schiacciò sul naso di Pfefferkorn.
Anche Pfefferkorn iniziò a sanguinare. Scherzi e loro Relazioni all'Inconscio giaceva a portata di
mano. Atterrò sulla spalla sinistra del suo rivale. Von Hutten ebbe maggior successo con Mosè e il
Monoteismo. Il libro sfregò un orecchio di Pfefferkorn.
Invano McGillicutty e Dirigible cercarono di separare gli uomini. Fallendo in questo,
rapidamente spostarono fuori portata tutte le copie dei lavori di Freud. Gli analisti, prontamente, si
mossero prendendo a obiettivo l'uno la gola dell'altro.
“Mascalzone! Impostore!” ansò von Huttten tentando di mordere un orecchio a Pfefferkorn.
Ciarlatano! Imbecille!” Sibilò Pfefferkorn, piantando il suo ginocchio nello stomaco di von
Hutten.
Pfefferkorn era, di gran lunga più grosso, ma la rabbia dava a von Hutten una forza sovrumana.
Nessuno dei due poteva avvicinarsi all'altro per portare il colpo.
McGillicutty e Dirigible si contorcevano le mani angosciati. Come facevano a impedire a questi
due giganti dell'Associazione Psicoanalitica di New York dal rendersi ridicoli? Peggio, che sarebbe
accaduto se uno di loro avesse indovinato un colpo pericoloso ferendo seriamente l'altro? E se
Pfefferkorn già surriscaldato e sudato, fosse stato colpito da infarto?
Discussero nervosamente se provare a ritrovare il poliziotto per fargli interrompere la lotta. Ma,
e se avesse arrestato i dottori? Che danno avrebbe portato quella pubblicità al mondo dell'analisi?
Mentre ne parlavano con agitazione, si vide la signora von Hutten avanzare nel parco. Prontamente
localizzò il marito e si incamminò verso i secondi, la sua chioma dorata brillava magnificentemente
nella luce del sole del mattino.
“Perché avete permesso che questa farsa si protraesse tanto a lungo?”
“Signora von Hutten!” boccheggiò McGillicutty. “Io – questo non è spettacolo per lei. Cosa ci
fa qui?”
“Mio marito mi ha lasciato un appunto nel suo studio. Quando non l'ho visto per colazione, l'ho
ovviamente cercato nel suo studio e ho trovato il suo messaggio. Un duello in Central park! Non
posso crederlo da due uomini adulti – così detti adulti – che potessero arrivare a tal punto!”
Si mosse verso i due ansimanti contendenti. “Ulrich! Dr. Pfefferkorn! Per favore fermatevi
subito. State producendo un spettacolo ridicolo.”
Il tono della voce era basso ma penetrante. I due analisti si fecero immediatamente da parte. Il
Dr. Von Hutten tentò di raddrizzarsi la cravatta.
“Vera! Cosa stai facendo qui?”
“Veniamo al punto, Ulrich, che stai facendo qui? Qual'è lo scopo di questo duello col Dr.
(Traduzione del racconto di Sara Paretsky “Freud at thirty paces”) - Settembre 2013 – Pag 8/12
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Pfefferkorn? Quando la signora Pfefferkorn e io ne parlammo tre settimane fa, fu nella speranza
che voi due risolveste i vostri problemi, non che proseguiste come bestie in questo spettacolo da
guitti.”
“Questo – quest'uomo chiama se stesso analista,” sibilò von Hutten a denti stretti.”Ma
ridicolizza gli insegnamenti di Freud. Non c'è ragione di parlargli.”
Dr. Pfefferkorn si era spostato di lato per ripulirsi dal sangue rappreso intorno al naso e alla
bocca. A quelle parole, si girò. “Suo marito è una minaccia per la popolazione di New York, a causa
del complesso di castrazione indifferenziata e paure di impotenza.”
La signora von Hutten alzò la mano guantata. “Per favore non ripetete i vostri ragionamenti: ho
letto la documentazione su Juliet di Cardiff e sono consapevole degli epiteti che vi siete dati l'uno
l'altro negli ultimi due anni. Devo precisare – e la signora Pfefferkorn è pienamente d'accordo con
me – che state mettendo a rischio le vostre pratiche mediche per via delle vostre ossessioni riguardo
a questa Juliet di Cardiff . Lasciatela perdere. Niente più critica letteraria. Nessuno di voi è
preparato in questa disciplina.
Entrambi gli uomini rimasero senza fiato. Il Dr. Pfefferkorn vide arrivare sua moglie a piedi
attraverso il parco. L'aspettò, quindi esclamò, “Non capire la critica letteraria! Cordelia, non mi dire
che hai discusso di argomenti tanto seri, intellettuali con la signora von Hutten qui. Davvero
dovresti avere
cose migliori da fare nel tuo tempo.”
“Le faccio!” disse la signora Pfefferkorn asciutta. È stato molto fastidioso dover spendere tutto
questo tempo dietro a Juliet di Cardiff. Ma Vera e io abbiamo esaminato i vostri documenti sul
soggetto. Abbiamo anche letto gli scritti della santa e abbiamo scoperto che nessuno di voi –
neppure i vostri colleghi di Chicago e Oxford – conosce quello di cui ha parlato. Per favore,
ritornate a fare analisi – della quale sapete qualcosa, anche se cose diverse – e lasciate Juliet di
Cardiff agli esperti.”
Von Hutten fu il primo a ritrovare la voce. “Lei non sa di che parla, la mia analisi conclusiva
prova...”
“Si, caro,” lo zitti con indulgenza. Voi avete avuto dei preconcetti, e te hai trovato risposte in
quelle tue analisi del “Veil Before the Temple” (“Il Velo davanti al tempio”). Dr. Pfefferkorn, lei ha
fatto la stessa cosa.”
“Si, Jacob,” disse la signora Pfefferkorn. “Vera e io abbiamo scoperto che St. Juliet non è mai
esistita. Gli scritti a lei imputati sono letteratura composita del Convento della Vergine Benedeta di
Cardiff, per un periodo di circa cent'anni, a cominciare dal 1203, molto dopo la morte di Henry II.
I duellanti rimasero momentaneamente in silenzio. Quindi il Dr. Von Huten disse con voce
distante: “Ne sei certa?”
“Nessun dubbio,” rispose bruscamente sua moglie. “Ci sono indicatori testuali significativi al
riguardo, e non di stile. Potreste aver notato che le ultime sezioni dei libri sono scritte per intero in
Latino, quelle precedenti in Gallese-Latino. Le ultime parti furono scritte in periodo di pace da
donne che avevano avuto il tempo per studiare Latino. Le prime furono composte durante la
sollevazione dei baroni contro Giovanni. Ci sono numerose altre indicazioni, naturalmente –
possiamo considerarle una volta a casa, se non vi dispiace.”
“No, grazie.” Rispose freddamente von Hutten. “non credo che ne avrò il tempo.”
Lui e il Dr. Pfefferkorn guardarono in cagnesco le rispettive mogli. “Invidia impropriamente
sublimata del pene.” farfugliò von Hutten.
“Separazione dal padre non stabilita definitivamente. Non interna integrazione propria.” Aggiunse
Pfefferkorn cupo.
(Traduzione del racconto di Sara Paretsky “Freud at thirty paces”) - Settembre 2013 – Pag 9/12
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Si guardarono l'un l'altro. Von Hutten disse “Come disse bene Freud: le donne non capiranno
mai loro stesse, perché sono loro stesse il problema.” Ignorando il suo occhio sinistro gonfio,
camicia insanguinata e giacchetta strappata, dette un colpetto al polso per guardare l'orologio. Vera
vorresti per favore chiamare i miei pazienti di stamani e ricollocare i loro appuntamenti. Vado a
colazione da Pierre. Vieni, Pfefferkorn?”
Le donne guardarono i loro mariti allontanarsi assieme veloci dal parco. I secondi li seguirono a
rimorchio trasportando i lavori di Freud.
La signora Pfefferkorn si rilassò. Una performance impressionante, Vera. Ma cosa se...?”
“Cosa se chiedono per una critica punto punto dei lavori per vedere se sappiamo che sono stati
composti da un gruppo? Non lo faranno, sono troppo imbarazzati... parlando di colazione, Non ho
mangiato niente. Champagne al Plaza?”
Fine del Racconto – Commento alla Pagina seguente.
(Traduzione del racconto di Sara Paretsky “Freud at thirty paces”)
(Traduzione del racconto di Sara Paretsky “Freud at thirty paces”) - Settembre 2013 – Pag 10/12
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Commento al racconto di Cin Polam
Due signore, con nessun altra occupazione se non quella di consorti di ricchi professionisti di
New York, con nessuna erudizione in storia (si presume), né in psicoanalisi (è quasi certo), mettono
in crisi due fra i più noti e stimati membri della società Newyorchese di Psicoanalisi, attraverso una
ricerca parallela e “testuale”, non “di stile” di alcune fra le migliaia di pagine in questione. Nessuno
pensa abbiano setacciato i tre enormi volumi attribuiti a “Juliet di Cardiff”.
Dal racconto, traspare quasi che siano state le sole a leggere (da traduzione) le pagine e abbiano
confrontato date anagrafiche dei personaggi e date di avvenimenti storici. I rudimenti della prima
fase di ogni ricerca storica (non preistorica).
Con pochissimi dati e in altrettanti pochi minuti, smontano una vicenda di due anni che aveva
coinvolto Università, studiosi così detti riconosciuti, oltre, naturalmente ai due luminari della psiche
di New York (e quindi d'America).
Gentleman di professione, tutti autorevoli, tutti alla ricerca di qualcosa che con l'accertamento della
verità storica riguardo alla figura del contendere non c'entrava niente.
Il “Buon Senso” ha gioco facile, I due, scoperto il vero motivo che li aveva portati a si tanta
esasperata epica farsa, smascherati, smettono di sproloquiarsi addosso e di colpirsi, e
immediatamente, come un incantesimo che evapora, depongono a terra i grossi volumi che, erano
divenuti armi da combattimento, proiettili da scagliarsi contro. Terminati gli “studiosi”, gli
“esperti”, tentavano di centrarsi tirandosi i libri.
Appaiono le due signore, le mogli. In poche battute il loro gioco è scoperto, ma non
ammettono quel che è lampante. La loro natura è di analizzare, non di essere analizzati. Non
potendo più alimentare il proprio ego distruggendo quello di una persona di parere diverso, si
alleano e rivolgono le armi (perché così le considerano), per denigrare chi vuole disarmarli.
Il finale resta incerto. Anche se, probabilmente, questa Juliet di Cardiff non è davvero esistita o
che non sia lei l'autrice delle migliaia di pagine che le erano state attribuite. O che comunque non
siano frutto di una sola persona.
Il finale è incerto e non potrebbe essere altrimenti. Vista la levatura culturale delle due donne, di
quella intellettuale danno egregia prova. Fossero riuscite, loro, a giungere alla certezza della non
esistenza di Juliet, avvenimenti di otto/nove secoli prima accaduti in una terra totalmente aliena, la
bellissima miniatura comica della Paretsky avrebbe perso lo splendore del Buon Senso. Quel Buon
Senso che qui appare vincitore, la sola, vera morale della storia. Il Buon Senso, la componente
umana che per natura sua fa appello alla ragione è in grado da sola di sbriciolare castelli di carta.
L'obiezione è che le due donne, contrariamente ai mariti, avessero Interessi Concreti rilevanti
per giungere a quel risultato. Fossero mosse cioè da interesse reale a porre fine alla contesa.
La contro obiezione è che proprio per questo, questi Interessi Concreti, si suppone abbiano
svolto bene i compiti. Vista in pericolo la propria agiatezza, vista la cocciutaggine dei mariti, il solo
modo di controbattere era raccogliendo dati “oggettivi” il più difficilmente controbattibili, in grado
da soli di metterle al riparo dal pericolo, specialmente da eventuali pericoli futuri. Sentendosi in
difficoltà in una contesa personale, le loro informazioni dovevano parlare per loro.
Avessero bluffato, vista la natura e la tendenza dei mariti, la prossima volta non avrebbero avuto
scampo se non minacciando divorzio. Quasi niente si dice delle loro vite coniugali, ma tale
prospettiva sembra proprio l'ultima ratio. Il pericolo maggiore da evitare.
(Traduzione del racconto di Sara Paretsky “Freud at thirty paces”) - Settembre 2013 – Pag 11/12
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Vi lascio l'epitaffio sulla tomba di un grande etrusco. Vissuto e morto (ma non è certo) tanti anni fa
pare non lontano dalla valdera.
Ole,
Met
App-U
Parts
Scrivevano in verticale
(Traduzione del racconto di Sara Paretsky “Freud at thirty paces”) - Settembre 2013 – Pag 12/12
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