1 Anno 8, Numero 162 Akhtamar on line WWW.COMUNITAARMENA.IT 1 luglio 13—XCIX M.Y. Akhtamar on line Velo e manganello Cosa pensano gli armeni di piazza Taksim Ad oltre un mese dall’inizio della rivolta di piazza Taksim non è ancora tempo di bilanci. Solo nei prossimi mesi sapremo se la difesa del Gezi park ha avuto la forza dirompente di spezzare il sistema o è stata semplicemente un tumultuoso fuoco di paglia e nulla più. Noi armeni siamo stati spettatori interessati a quanto stava accadendo. Con malcelata soddisfazione abbiamo letto gli articoli dei giornali, guardato i reportage in tv. Le foto dei giovani della piazza (questa sopra di copertina è del greco Moutafis, pubblicata dal Newyorker) hanno fatto il giro del mondo e, siamo sicuri, non vi è stato armeno che non abbia seguito con interesse quanto stava acca- dendo ad Istambul. Ma al pari dell’attenzione per le vicende istambuliote, è cresciuta in tutti noi la necessità di capire come porsi di fronte alla rivolta di piazza Taksim; perché un fatto è certo: non possiamo stare semplicemente alla finestra o limitarci a compiacerci che la borsa turca abbia perso parecchi punti nelle ... (segue pag.2) Sommario Velo e manganello 1-2 In ricordo di Alber Mahchikian 3 Cambiare oppure no? 4 La voce dell’Artsakh 5 Qui Armenia 6 La stampa armena e gli insorti di Taksim 7 Bollettino interno di iniziativa armena 2 Akhtamar on line scorse settimane. Dobbiamo in primo luogo domandarci quanto la crisi turca possa incidere sulle relazioni armene, quanto questa ribellione al potere precostituito sia capace di scardinare il vecchio apparato della Turchia. Il Consiglio nei giorni scorsi ha fatto uscire un comunicato stampa proprio per chiarire i termini della questione e ci pare doveroso riassumere i punti fondamentali della nostra posizione armena di fronte a quanto sta accadendo in Turchia. LA SOLITA TURCHIA O meglio. Il solito stato turco. Dall’Impero Ottomano ai Giovani Turchi, dal regime di Ataturk ai governi repubblicani dei giovani nostri, la Turchia non è mai cambiata. Conquistatrice, repressiva. Ha sempre fondato la propria esistenza sulla capacità di fagocitare gli Altri, sottrarne terre e risorse. Arabi, armeni, curdi, difensori dei diritti umani, democratici e riformatori. Ogni qual volta qualcuno o qualcosa si è parato davanti allo stato turco esse è stato spazzato via senza esitazione. “Saremo energici!” ha tuonato Erdogan nelle scorse settimane minacciando i manifestanti in piazza. Parole che risuonano sinistre: “Non siamo stati crudeli, ma solo energici” disse in un’intervista Talaat pascia (L’Idea Nazionale del 24 agosto 1915) a chi gli chiedeva un commento sulle deportazioni degli armeni. Cento anni dopo quel “energici” testimonia che nulla è cambiato; oggi come allora, la reazione è la medesima; ieri gli armeni, oggi i giovani in piazza per difendere gli alberi del parco. Non esiste una mezza misura. La reazione di Erdogan e della sua polizia, reazione sproporzionata e che si è trasformata in un autogol mediatico e politico finendo con l’alimentare ancora di più la rivolta, è l’immagine della Turchia degli ultimi decenni. Di fronte all’ostacolo (un ragazzo che chiede di salvare seicento alberi, un armeno, un curdo, un difensore dei diritti umani) la reazione è sempre la medesima. La Turchia, lo stato turco, non è abituato a ragionare. Si crogiola nel suo nazionalismo, esalta la purezza della razza, non accetta discussioni. L’Altro diviene per il sistema immediatamente un nemico della patria, un terrorista, un sabotatore, un pericolo da eliminare. LE FORZE ARMATE Dietro a tutto ci stanno le Forze Armate turche. Un esercito imponente con un milione di uomini, la terza aviazione dei ANNO 8, NUMERO 162 paesi NATO. Generali e servizi segreti. Un intreccio di interessi e potere che ha un solo obiettivo, il mantenimento dello status quo. La Turchia deve rimanere così, nel grande gioco delle alleanze internazionali e le forze armate sono la garanzia che nulla cambi nello stato. Non appena arriva qualche segnale di cambiamento, ecco l’intervento diretto o indiretto (tre colpi di stato nel 1960, 1971 e 1980), ecco Ergenekon, le trame ultranazionaliste. VELO E MANGANELLO La nuova Turchia di Erdogan non è diversa dalle altre. Il processo islamizzazione della società avviene in modo soft, lento ma continuo. “La democrazia è come un autobus di cui ci serviamo per arrivare alla nostra meta. Quando vi saremo giunti ne scenderemo” disse quando era sindaco di Istambul e leader del Partito del Benessere. Ora, come capo del governo e guida del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) si comporta ne più ne meno come tutti i predecessori alla guida della Turchia. Strizza l’occhiolino all’Unione Europea ma al tempo stesso allontana il proprio paese dalla stessa. È disponibile al dialogo ma solo se i suoi interlocutori si adeguano al suo pensiero, firma i famigerati Protocolli con l’Armenia ma ventiquattro ore dopo si scopre il giochetto delle precondizioni. L’Europa e gli Stati Uniti non si fidano; ma lo considerano un male necessario come tutta la Turchia giudicata un elemento di “equilibrio” nello scacchiere medio orientale; anche la crisi con Israele è stata risolta nel breve tempo mentre i sogni di revanchismo ottomano del premier si dissolvevano poco a poco. IL RITORNO DI ATATURK Né si pensi che dall’altra parte le cose siano migliori; il kemalismo di opposizione non è altro che una faccia di- versa della stessa moneta. Il gioco delle parti ( e dei partiti) all’interno della politica turca non ci interessa e sarebbe arduo (e sciocco) fare il tifo per uno piuttosto che per l’altro partito. CON IL POPOLO TURCO? Allora, in questa contesa, dobbiamo stare con la terza parte, il popolo turco. Quel popolo turco che è sceso in piazza per i funerali di Hrant Dink, quel popolo turco che rifiuta la politica del negazionismo, che non vuole scheletri nell’armadio, che è pronto a rivedere le questioni di interesse nazionale giudicate non più in chiave di acceso nazionalismo ma per quanto esse possano effettivamente valere. Certo non è semplice convincere alcune decine di milioni di turchi per decenni educati nel culto dell’odio contro gli armeni (tanto per rimanere alle questioni di casa nostra), alimentati a menzogne (circolava tempo fa un libretto nelle scuole elementari turche dove si raccontava che gli armeni cucinavano e mangiavano i bambini…), costretti a vivere con la censura di stato che impedisce ancora oggi di parlare di determinati temi, minaccia chiunque lo faccia. Ecco allora che la rivolta di piazza Taksim è in primo luogo una ribellione contro il sistema-stato turco, contro la politica del potere becero e negazionista che per decenni ha tenuto il popolo turco in catene e nella oscurità. Mentre scriviamo queste note non sappiamo come andrà a finire: il manganello di Erdogan avrà avuto la meglio sui difensori del parco o la crisi politica turca avrà avuto un esito diverso? Quello che noi tutti dobbiamo sperare (anzi più che una speranza è una certezza) è che, alla fine, comunque qualcosa sarà cambiato. Che la parola “genocidio” non sia più un tabù, così come difendere gli alberi di un parco. Pagina 2 3 Akhtamar In ricordo di Alber Mahchikian on line di Suren Zovighian Il 9 giugno durante un’immersione nel lago di Garda è tragicamente scomparso il dott. Alber Mahchikian, membro del direttivo di Italiarmenia ed infaticabile promotore di iniziative umanitarie a favore dell’Armenia e di altri paesi. Non ero un suo intimo, perciò non conosco molti particolari della sua vita, che altri, più di me e meglio di me, potranno e dovranno narrare. Ma eravamo buoni amici ed ogni volta che capitava di incontrarci, lo vedevo con piacere e simpatia. Lo conoscevo da una quarantina d’anni, quando, da poco diplomatosi dal collegio armeno Moorat Raphael di Venezia,con i suoi compagni di studi Vahik, Samuel ed altri, ravvivò la vita della comunità armena del Veneto, con iniziative culturali e ricreative. Poi si laureò, si sposò e si stabilì a Camponogara, in provincia di Venezia ove ben presto fu conosciuto e apprezzato per le sue innate capacità di intraprendenza e concretezza, tanto da venir nominato assessore comunale e vicesindaco, cariche che condusse con competenza, precisione e correttezza che gli guadagnarono la stima di tutti. Poi si ritirò dalle attività politiche, ma mantenne sempre vivo il suo impegno sociale, come membro della locale Pro Loco e come presidente del Comitato di Solidarietà e Cultura di Pace della stessa cittadina. Ma l’impegno nella realtà locale non gli fece dimenticare le sue origini, anzi, Alber Mahchikian fu, come si diceva un tempo, un fervente armeno. Non si contano le iniziative che intraprese a favore dell’Armenia. Di molte fu il principale realizzatore, di altre fu lo sprone e di altre ancora fu l’ideatore. Per anni coinvolse la popolazione e, ai massimi livelli anche l’amministrazione comunale, di Camponogara nelle solenni celebrazioni del 24 aprile che si tennero in quella cittadina. E con il passar del tempo la gamma delle attività da lui promosse si arricchì grazie all’impulso che lui dava ad esse. Si va dalla realizzazione di un acquedotto, all’invio di numerosi container di aiuti umanitari, alla creazione di una vera e propria rete di adozioni a distanza grazie alle quali a centinaia di bambini armeni donò un sorriso ed una speranza. Il villaggio armeno di Panik, in particolar modo, fu l’oggetto del suo interessamento. Lo colmò di mille cure e sollecitudini. E così varie altre iniziative che lo videro instancabile promotore. Per tutto ciò, da solo o con l’aiuto del Comitato di cui era presidente, seppe mobilitare uomini, energie e risorse per indirizzarle a favore di molteplici attività umanitarie a favore non solo dell’Armenia, ma ANNO 8, NUMERO 162 anche di altri paesi. Fu un vero vulcano di iniziative per le quali si prodigò con tutte le sue forze ed ora che non c’è più mi rivolgo ai suoi cari, a tutti coloro che gli vollero bene, ai suoi amici, a chi gli fu vicino e collaborò con lui nelle sue numerose attività umanitarie e a chi da esse fu beneficiato, affinché, nei modi e nei tempi opportuni, venga degnamente ricordato, perché non sia che, parafrasando un poeta armeno,”il suo tumulo rimanga insignificante, in un angolo della Terra” e “il suo ricordo appassisca”. Non per nulla il quotidiano locale, dedicando un ampio articolo alla sua tragica fine, intitolò: “Camponogara in lutto per Alber Mahchikian”. Alber fu un uomo molto ricco, non per il fatto di essere colmo di denari, ma perché uno ha ciò che ha donato e lui ha donato molto. Me lo ricordo quando ogni tanto veniva alle nostre riunioni. Non capitava spesso, perché sovente, per motivi di lavoro, era all’estero. Ma ogni volta che era presente doveva riferirci di iniziative da intraprendere a favore dell’Armenia: aveva incontrato il tale che si era detto disposto a dare un aiuto;a un altro ancora aveva carpito la promessa di un interessamento per qualcosa a favore dell’Armenia; era pronto un container e rimaneva ancora qualcosa per riempirlo completamente; un tal altro pubblico amministratore si era offerto di contribuire ad un’iniziativa; un ospedale era disposto a dismettere dei macchinari non recentissimi,ma ancora validi ed utilizzabili, da spedire in Armenia. E così via. E quanto da lui esposto non erano vuote parole, nobili promesse fine a se stesse, che tali sarebbero rimaste senza aver nessun seguito, come spesso accade in simili circostanze. Ma ciò che lui ci riferiva, puntualmente veniva realizzato, anche con qualcosa in più, grazie alla sua determinazione ed al suo grande spirito di abnegazione. L’ultima volta che lo incontrai si offrì di accompagnarmi in automobile. Viaggiammo una mezz’ora, parlando dei nostri progetti per l’Armenia, per il centenario del Genocidio e così via. Poi, con un pizzico di mestizia, mi disse che dopo poco avrebbe compiuto sessanta anni. Lo confortai,facendogli presente che era ancora sano e vigoroso e poi, per rincuorarlo, gli dissi che io ero parecchio più anziano di lui. Non ci eravamo mai parlati così, a quattr’occhi, con il cuore in mano e tutto ciò mi infuse un certo senso di malinconia. Era forse un presentimento? Non lo so, ma quella fu l’ultima volta che lo vidi. Poi venne quella maledetta domenica del 9 giugno e l’immersione, lui provetto subacqueo, nel lago di Garda dal quale non risalì più vivo. E quando, dopo qualche ora, appresi della disgrazia, la prima persona a cui pensai, dopo la sua cara moglie, fu la sua anziana madre, a Damasco, che avrebbe subito il più straziante dei dolori che una persona può avere, e che per questo non va augurato nemmeno al peggior nemico: la perdita di un figlio. E mi sovvenne la triste melodia di una vecchia canzone popolare armena, il cui mesto ritornello, quasi per esorcizzare questo grande dolore, suona così: “Che il mio cuore vada in pasto ai lupi, ma che mia madre non sappia della mia morte”. Riposa in pace, caro Alber; non hai avuto figli, ma hai lasciato molti orfani. Che la terra sia lieve su di te. Pagina 3 4 Akhtamar on line CAMBIARE OPPURE NO? Il governo lancia un concorso internazionale per il restyling di piazza della repubblica È il cuore della città, che è la capitale dell’Armenia. È, quindi il cuore dell’Armenia stessa. Il centro del potere (vi sia affacciano importanti palazzi governativi), l’ombellico del mondo, per lo meno di quello armeno. Piazza della repubblica non è solo un luogo; è anche un simbolo. Il “grande spazio” al centro della città, palcoscenico ideale per parate, concerti, adunate politiche. I muri dei palazzi che vi si affacciano, una quinta ovale di tufo rosa, possono raccontare la storia di questa nazione. Ora il governo lancia l’idea di un restyling della piazza che già negli anni scorsi aveva goduto di interventi di riqualificazione soprattutto per quanto riguardava la circolazione stradale e la pedonalizzazione di alcune parti. E subito, immancabilmente, si apre un acceso dibattito tra conservatori ed innovatori, perché questa non è una piazza qualsiasi ma è LA piazza dell’Armenia. Cambiare oppure no? Quando si parla di nuovi interventi di architettura urbanistica bisogna stare attenti. Giusto lo scorso numero di “Akhtamar on line” ha ospitato una analisi su quanto sta accadendo al mercato coperto di Pak Shuka. Anche la creazione della moderna dorsale di Northern Avenue ha avuto fautori e detrattori. Ora si va a toccare un simbolo “sacro” dell’architettura di Yerevan. Dunque? Il capo dell’Unione degli architetti di Armenia, Mkrtich Minasyan, ha già dato il suo parere contrario: toccare piazza della repubblica vuol dire intaccare il concetto architettonico del centro città. In particolare Minasyan esprime preoccupazione per il bando del concorso i cui termini sono piuttosto vaghi: non quelli temporali (i progetti vanno presentati dal 29 maggio al 29 agosto) quanto sulle aspettative di riqualificazione dell’intervento. “Poiché i termini del concorso non sono formulati in modo chiaro - ha detto nel ANNO 8, NUMERO 162 corso di una conferenza stampa - e sono fissati senza limiti per quanto riguarda le modifiche alla piazza, non si può escludere che vengano portate avanti proposte di grandi proporzioni ed impegno”. Che tradotto vuol dire: se non fissate dei paletti c’è il rischio che tutta la piazza venga stravolta da una rivoluzione urbanistica. A dire il vero il bando emesso precisa che le proposte devono tener conto che la piazza è ormai divenuta troppo congestionata a causa del traffico pubblico e privato con tutte le conseguenze negative che ne derivano; ma si sottolinea anche che taluni progetti interessanti singoli edifici hanno già in parte alterato la loro funzione ed in parte sono stati “snaturati” dal varo della Northern Avenue che ha spostato l’asse della piazza stessa. Le critiche di Minasyan non si fermano qui; e siccome provengono dal presidente dell’Unione degli architetti d’Armenia non possono certo cadere nel vuoto. Così non ha mezze misure nel valutare negativamente la possibilità di costruire un parcheggio sotterraneo in un’area che dovrebbe essere interessata da reperti archeologici. Ed è critico sul progetto di riqualificazione della piazza mentre altre strade del centro città versano in condizioni non ottimali e dovrebbero essere risistemate prima di spendere soldi in piazza della Repubblica. Ma piazza della Repubblica è, come dice- vamo, un luogo ed un simbolo attorno al quale ruota tutto la vita della città. Lì vi transitano le centinaia di migliaia di turisti che ogni anno visitano l’Armenia. Di sicuro, qualche cosa va fatto. ma forse il problema del traffico potrebbe essere risolto semplicemente incanalandolo verso altre direttrici, evitando che converga tutto in questo spazio che è sì ampio ma comunque limitato. Forse è arrivato il momento di cominciare ad aumentare le zone a traffico limitato; forse è arrivato il momento di creare una parziale pedonalizzazione della piazza. Vedremo, dunque, a fine estate cosa i progettisti avranno partorito: l’unico desiderio è che ogni decisione sia quanto più possibile condivisa dalla popolazione (ad esempio rendendo pubblici tutti i progetti e dando ai cittadini la possibilità di fornire una propria, non vincolante, valutazione). Seguiremo le vicende e vi terremo aggiornati. Pagina 4 5 Akhtamar on line la voce dell’Artsakh È quasi pronto il nuovo ospedale di Stepanakert Tre settimane or sono il presidente Bako Sahakyan si è recato in visita nel costruendo nuovo ospedale generale di Stepanakert al fine di verificare lo stato di avanzamento dei lavori che, come dimostrano le foto, sono ormai pressoché ultimati. Una struttura moderna, funzionale ed anche elegante, che consentirà ai cittadini dell’Artsakh ed in particolare della capitale di veder meglio tutelato il proprio diritto alla salute. L’entrata in esercizio, ormai prossima, del nuovo complesso, completerà il percorso di riqualificazione della sanità pubblica di Stepanakert che in pochi anni ha visto nascere o rinascere strutture degne di un paese moderno. Nel 2010 è sorto, con l’aiuto della Diaspora armena degli USA, il nuovo poliambulatorio specialistico (“Armine Pagoumyan policlinic”) costato una quindicina di milioni di dollari e sorto a fianco della fatiscente struttura edificata negli anni Quaranta. Nel 2008 è stato inaugurato, completamente restaurato, l’ospedale pediatrico che era stato costruito nel 1996, poi riconvertito nel 2002 a ospedale generale salvo rendersi conto ben presto che la struttura non poteva soddisfare le esi- genze di una città di cinquantamila abitanti e circondario. Di qui l’esigenza di costruire un vero e moderno ospedale generale. Nella città sorge anche l’ospedale militare. NOTIZIARIO DELL’ARTSAKH COMPUTER PER LA SCUOLA Visita di lavoro, dal 9 all’11 giugno, del ministro dell’educazione dell’Armenia nella repubblica del Nagorno Karabakh. Oltre all’incontro con le delegazioni ufficiali della repubblica, il ministro Armen Ashotyan si è intrattenuto con rappresentanti dei circoli didattici, del mondo della scuola e della pedagogia. Dall’Armenia ha portato oltre duemila film e cinquanta computer che andranno ad arricchire la dotazione delle scuole dell’Artsakh. SAHAKYAN A SHUSHI Il presidente Sahakyan si è recato il 15 giugno in visita alla città di Shushi dove ha visitato la fabbrica dei tappeti (foto a lato) ed il costruendo complesso residenziale per gli studenti della facoltà di agraria dell’università dell’Artsakh. ANNO 8, NUMERO 162 KARABAKH TELECOM La compagnia telefonica dell’Artsakh ha annunciato con un comunicato stampa la settimana scorsa il lancio della propria rete 3G. Fondata nel 2002, dal 2003 si è sviluppata nell’intero stato con una copertura totale nella capitale ed al 95% nel resto del Paese. Sono circa centomila gli utenti (tra telefonia fissa e mobile) pari a circa il 70% del mercato disponibile. Con l’occasione è stato annunciato il nuovo logo dell’azienda. Sotto il Policlinico e centro diagnostico. Nella foto sopra l’ospedale pediatrico di Stepanakert. AZAT ARTSAKH Il più importante quotidiano della repubblica ha festeggiato i novanta anni di attività. Per l’occasione il presidente Sahakyan ha inviato un messaggio di congratulazioni alla redazione che ha sede a Stepanakert. Pagina 5 6 Akhtamar on line Il 12 giugno 1993 nel villaggio di Marzilu, vicino Aghdam, cadeva Monte Melkonian. Il mitico Comandante Avo (ma anche Abu Sindi, Saro, TimothySean Mc Cormack), eroe della guerra di liberazione dell’Artsakh veniva colpito a morte da un cecchino azero. I suoi compagni di battaglia gli avevano consigliato prudenza ma lui, anche quella volta, non si era tirato indietro. Nato nel 1957 a Visalia, in California, Monte viaggiò molto con la famiglia, andò a riscoprire la terra dei suoi avi, insegnò all’Università negli Stati Uniti, in Iran e in Libano, parlava sette lingue. All’inizio degli anni Settanta Monte decide che deve dare il suo contributo attivo alla causa armena. Partecipa alla guerra civile libanese, entra nell’Asala, viene arrestato e poi rilasciato. Quando l’Artsakh proclama la propria indipendenza non esita: entra nelle milizie di difesa del nagorno karabakh, le riorganizza combattendo nella regione di Shahumian, diviene un comandante ed un esempio. Il suo valore, la sua tenacia, le sue capacità tattiche, la sua disciplina contribuiscono in maniera determinante alla vittoria finale. Se oggi la repubblica del Nagorno Karabakh è uno stato libero lo si deve, molto, anche a lui. È sepolto a Yerablur, il cimitero militare armeno ma forse avrebbe amato essere coperto dalla terra dell’Artsakh per la quale ha combattuto e si è sacrificato. Venti anni fa moriva Monte Melkonian, un simbolo della lotta di liberazione armena Qui Armenia DISABILI ARMENI Sono circa 180.000 le persone classificate come “disabili” in Armenia (comprendenti disabilità di vario genere e gravità). Di queste solo il 9% ha un lavoro stabile; è questo il risultato di un rapporto commissionato dal ministero degli Affari Sociali. Secondo la legislazione armena tutte le imprese con almeno cento dipendenti devono riservare l’uno per cento dei posti alle categorie protette. Una “maratona” di disabili, guidata dal ministro Asatryan, si è tenuta lo scorso 8 giugno e si è conclusa con un flash.mob in Northern Av. ACCADEMIA MILITARE Una Accademia militare aprirà nel 2014. Ne ha dato notizia il ministro della Difesa Seyran nel corso di una riunione tenutasi nei pressi del confine armeno azero. Lo scopo dell’Accademia sarà naturalmente quello di preparare a livello strategico i quadri militari, formando altresì una educazione “militare” che consenta di esercitare correttamente e professionalmente il comando. Nel corso della conferenza stampa il mi- ANNO 8, NUMERO 162 nistro della Difesa si è soffermato sulle novità previste per i prossimi mesi: il miglioramento della dotazione di armi per i sottoufficiali e l’impiego di soldati volontari (e stipendiati) lungo le zone di confine con il beneficio di garantire maggiore sicurezza per quelle aree e nel contempo risolvere un problema occupazionale. TRASPORTI PUBBLICI L’aumento del costo dell’energia (ed in particolare quello del gas) ha avuto una ripercussione sul costo dei trasporti pubblici, Viaggiare dal primo giugno è un più caro del 5%. INCIDENTE IN AEROPORTO Violente raffiche di vento hanno causato lo scorso 6 giugno il cedimento di una copertura dell’aeroporto di Zvartnots. Il crollo avvenuto nell’area del parcheggio VIP ha danneggiato una trentina di veicoli. I periti della compagnia Rosgosstrakh Armenia sono al lavoro per stimare i danni ai mezzi e verificare se l’evento è compreso nelle garanzie assicurative o può essere inquadrato come accidentale e fortuito. GRANDINATA Circa 1600 famiglie della regione di Armavir riceveranno 50000 dram a testa (poco meno di cento euro) per compensare i danni provocati a maggio da una disastrosa grandinata. In totale il fondo di solidarietà ammonta a 857 milioni di dram. Sono allo studio altresì investimenti per impianti di allarme anti grandine. Intanto l’industria conserviera armena ha fatto sapere di essere pronta ad acquistare gli interi raccolti di frutta rovinati dai chicchi di ghiaccio. GLOBAL PEACE INDEX Nonostante la tensione con l’Azerbaigian, l’Armenia guadagna posizioni nell’edizione 2013 del Global Peace Index che riporta la classifica degli stati mondiali in base al loro indice di stabilità. Dalla 115a posizione del 2012 sale alla 98a del 2013. L’Italia è al 35° posto (indica di pace “alto”) nella classifica guidata dall’Islanda; l?Armenia ha un livello “medio”, l’Azerbaigian è 126°, la Turchia 134a, la Georgia 139a su 161 stati. L’indice tiene conto delle relazioni esterne ma anche della stabilità interna valutata anche in ordine al tasso di criminalità riscontrato nel paese. Pagina 6 7 Akhtamar on line La stampa armena e gli insorti di piazza Taksim di Karechin Cricorian Bollettino interno a cura di comunitaarmena.it Q U E S T A P U B B L I C A Z I ON E E ’ E D I T A CON IL FAVORE DEL MINISTERO DELLA DIASPORA il numero 163 esce il 15 lug 2013 w w w. k a ra b a k h. i t I nf or m az i one q uot i di a na i n i t al i an o s ul l ’ Ar t s ak h I fatti di piazza Taksim in Turchia ad Istambul, ovvero gli scontri tra giovani ed il potere turco di Erdogan per la contesa del parco di Gezi per noi armeni hanno un significato che ci riporta indietro al nostro passato tragico, accaduto mentre stavamo aspirando alla nostra indipendenza dopo cinquecento anni di occupazione dei nostri territori. Se si pensi che la contesa può essere considerata un mero pretesto dei giovani trasgressivi turchi, per protestare contro l’autoritarismo dei governi turchi, in fondo non lo è. Può sembrare uno psico-dramma perché nel parco di Gezi Erdogan voleva appunto come puro paradosso radere al suolo il vecchio parco cittadino per far posto ad un mausoleo che celebrasse le antiche caserme dell’impero ottomano dei sultani. La prima cosa che viene in mente è la rievocazione da parte del potere degli antichi fasti imperiali da Abdul Hamid, ai “Giovani Turchi “ di Enver, Jemal, Taalat sino all’epoca repubblicana di Kemal Ataturk ricorrendo alla solita violenza storica sterminatrice che aveva come oggi il fine di egemonizzare la scena geo-politica di potenza prima imperiale e oggi regionale, imponendosi contro le libertàdei ceti popolari e dei popoli che abitano la Turchia. Quindici milioni di kurdi, arabi, alaviti, greci. Erdogan riproduce il solito disegno, dei vecchi regimi militari fascisti, se a qualcuno viene in mente di Evren, che si ispirava alle dittature dei falangisti di Franco contro i baschi, e che ha sterminato in epoca contemporanea, dal 1975 al 1985, decina di migliaia di contadini Kurdi e di sindacalisti. Lo scopo di Erdogan è di alimentare da un lato le mire dell’esercito, cioè di invadere la Siria per inseguire i Kurdi sino anche in Iraq, e dall’altro di rappresentare le mire espansionistiche di un islam moderato caldeggiato dai nuovi califfi dell’Arabia Saudita e Qatar che lo sostengono nella nuova fase di sviluppo industriale capitalistico con ipetrol dollari. Gli israeliani e gli Usa sostengono questa strategia in funzione anti Iran, Russia e Cina. E noi armeni non diciamo niente? Solo sterili rivendicazioni puritane. Dobbiamo imparare a non tacere su queste cose perché noi per primi siamo stati vittime in milioni di queste strategie. Non dobbiamo caldeggiare idee conservatrice perché ci piacciono e ci danno un tono perbenista. Noi abbiamo sofferto e dovremmo soffrire ancora per un danno causatoci un secolo fa, capite? La stampa armena della diaspora on line, Nouvelles Armenie, per prima parla delle vicende di piazza Taksim. La Armenpress, agenzia di stampa on line del governo armeno, sorvola perché probabilmente sono in ballo le normalizzazioni tra Armenia e Turchia per favorire la fine del nostro isolamento. Però la Armenpress dice chiaramente al governo che deve riconoscere il genocidio degli armeni. Noi abbiamo l’obbligo di colmare questo vuoto e questo silenzio. Non dobbiamo fare l’errore dei nostri genitori e avi che per vergogna ci hanno taciuto del genocidio facendo vivere crisi di identità e frustrazioni. E dire che «[la] ragione principale di questi scontri non è l’islamizzazione, come ipotizzano alcuni commentatori in Occidente. La causa di tutto è l’autoritarismo». L’autoritarismo ha una lunga storia in Turchia. L’impero ottomano nacque da una forte tradizione statale. L’elite kemalista modernizzò la società dall’alto verso il basso, poiché credeva in uno stato forte. E così il suo evidente avversario, il partito Ak. Ogni qualvolta un’opposizione o la possibilità di un opposizione prospera, le tendenze autorità reagiscono. «In Turchia lo stato è forte e nonostante ciò è trattato come se fosse fragile. E’ sempre lo stato ad essere protetto dalle opinioni critiche dei singoli individui. In una vera democrazia, invece, si proteggerebbe il singolo individuo dallo strapotere statale». Le parole del virgolettato, estrapolate da un articolo del giornale “La Repubblica” del 20 giugno scorso, sono di Elif Shafak, la famosa scrittrice turca che vive a Parigi che nel suo recente libro di successo proprio in Turchia, “La Bastarda di Istambul”, parla apertamente del genocidio degli armeni, perché ritiene che se non si guarda al passato la Turchia un giorno sarà terreno di scontro tra minoranze e potere, perché vino ad oggi anche il popolo è alla ricerca di una identità, che si sleghi dalla cultura che ha causato le atrocità agli altri.