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Anno 8, Numero 162
Akhtamar on line
WWW.COMUNITAARMENA.IT
1 luglio 13—XCIX M.Y.
Akhtamar on line
Velo e manganello
Cosa pensano gli armeni di piazza Taksim
Ad oltre un mese dall’inizio
della rivolta di piazza Taksim non è ancora tempo di
bilanci.
Solo nei prossimi mesi
sapremo se la difesa del
Gezi park ha avuto la forza
dirompente di spezzare il
sistema o è stata semplicemente un tumultuoso fuoco
di paglia e nulla più.
Noi armeni siamo stati spettatori interessati a quanto
stava accadendo.
Con malcelata soddisfazione abbiamo letto gli
articoli dei giornali, guardato i reportage in tv. Le
foto dei giovani della piazza
(questa sopra di copertina è del
greco Moutafis, pubblicata dal
Newyorker) hanno fatto il
giro del mondo e, siamo
sicuri, non vi è stato armeno
che non abbia seguito con
interesse quanto stava acca-
dendo ad Istambul.
Ma al pari dell’attenzione
per le vicende istambuliote,
è cresciuta in tutti noi la
necessità di capire come
porsi di fronte alla rivolta di
piazza Taksim; perché un
fatto è certo: non possiamo
stare semplicemente alla
finestra o limitarci a compiacerci che la borsa turca
abbia perso parecchi punti
nelle ... (segue pag.2)
Sommario
Velo e manganello
1-2
In ricordo di Alber Mahchikian
3
Cambiare oppure no?
4
La voce dell’Artsakh
5
Qui Armenia
6
La stampa armena e gli insorti di Taksim
7
Bollettino interno
di
iniziativa armena
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Akhtamar
on line
scorse settimane. Dobbiamo in primo
luogo domandarci quanto la crisi turca
possa incidere sulle relazioni armene,
quanto questa ribellione al potere precostituito sia capace di scardinare il vecchio
apparato della Turchia.
Il Consiglio nei giorni scorsi ha fatto
uscire un comunicato stampa proprio per
chiarire i termini della questione e ci pare
doveroso riassumere i punti fondamentali
della nostra posizione armena di fronte a
quanto sta accadendo in Turchia.
LA SOLITA TURCHIA
O meglio. Il solito stato turco. Dall’Impero Ottomano ai Giovani Turchi, dal regime di Ataturk ai governi repubblicani dei
giovani nostri, la Turchia non è mai cambiata. Conquistatrice, repressiva. Ha sempre fondato la propria esistenza sulla capacità di fagocitare gli Altri, sottrarne terre e
risorse.
Arabi, armeni, curdi, difensori dei diritti
umani, democratici e riformatori. Ogni
qual volta qualcuno o qualcosa si è parato
davanti allo stato turco esse è stato spazzato via senza esitazione.
“Saremo energici!” ha tuonato Erdogan
nelle scorse settimane minacciando i manifestanti in piazza. Parole che risuonano
sinistre: “Non siamo stati crudeli, ma solo
energici” disse in un’intervista Talaat
pascia (L’Idea Nazionale del 24 agosto
1915) a chi gli chiedeva un commento
sulle deportazioni degli armeni. Cento
anni dopo quel “energici” testimonia che
nulla è cambiato; oggi come allora, la
reazione è la medesima; ieri gli armeni,
oggi i giovani in piazza per difendere gli
alberi del parco. Non esiste una mezza
misura.
La reazione di Erdogan e della sua polizia,
reazione sproporzionata e che si è trasformata in un autogol mediatico e politico
finendo con l’alimentare ancora di più la
rivolta, è l’immagine della Turchia degli
ultimi decenni. Di fronte all’ostacolo (un
ragazzo che chiede di salvare seicento
alberi, un armeno, un curdo, un difensore
dei diritti umani) la reazione è sempre la
medesima.
La Turchia, lo stato turco, non è abituato a
ragionare. Si crogiola nel suo nazionalismo, esalta la purezza della razza, non
accetta discussioni.
L’Altro diviene per il sistema immediatamente un nemico della patria, un terrorista, un sabotatore, un pericolo da eliminare.
LE FORZE ARMATE
Dietro a tutto ci stanno le Forze Armate
turche. Un esercito imponente con un
milione di uomini, la terza aviazione dei
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paesi NATO. Generali e servizi segreti.
Un intreccio di interessi e potere che ha un
solo obiettivo, il mantenimento dello status quo.
La Turchia deve rimanere così, nel grande
gioco delle alleanze internazionali e le
forze armate sono la garanzia che nulla
cambi nello stato. Non appena arriva qualche segnale di cambiamento, ecco l’intervento diretto o indiretto (tre colpi di stato
nel 1960, 1971 e 1980), ecco Ergenekon,
le trame ultranazionaliste.
VELO E MANGANELLO
La nuova Turchia di Erdogan non è diversa dalle altre. Il processo islamizzazione
della società avviene in modo soft, lento
ma continuo. “La democrazia è come un
autobus di cui ci serviamo per arrivare
alla nostra meta. Quando vi saremo giunti
ne scenderemo” disse quando era sindaco
di Istambul e leader del Partito del Benessere.
Ora, come capo del governo e guida del
Partito per la Giustizia e lo Sviluppo
(AKP) si comporta ne più ne meno come
tutti i predecessori alla guida della Turchia. Strizza l’occhiolino all’Unione Europea ma al tempo stesso allontana il proprio
paese dalla stessa.
È disponibile al dialogo ma solo se i suoi
interlocutori si adeguano al suo pensiero,
firma i famigerati Protocolli con l’Armenia ma ventiquattro ore dopo si scopre il
giochetto delle precondizioni.
L’Europa e gli Stati Uniti non si fidano;
ma lo considerano un male necessario
come tutta la Turchia giudicata un elemento di “equilibrio” nello scacchiere medio
orientale; anche la crisi con Israele è stata
risolta nel breve tempo mentre i sogni di
revanchismo ottomano del premier si dissolvevano poco a poco.
IL RITORNO DI ATATURK
Né si pensi che dall’altra parte le cose
siano migliori; il kemalismo di opposizione non è altro che una faccia di-
versa della stessa moneta. Il gioco delle
parti ( e dei partiti) all’interno della politica turca non ci interessa e sarebbe arduo (e
sciocco) fare il tifo per uno piuttosto che
per l’altro partito.
CON IL POPOLO TURCO?
Allora, in questa contesa, dobbiamo stare
con la terza parte, il popolo turco.
Quel popolo turco che è sceso in piazza
per i funerali di Hrant Dink, quel popolo
turco che rifiuta la politica del negazionismo, che non vuole scheletri nell’armadio,
che è pronto a rivedere le questioni di
interesse nazionale giudicate non più in
chiave di acceso nazionalismo ma per
quanto esse possano effettivamente valere.
Certo non è semplice convincere alcune
decine di milioni di turchi per decenni
educati nel culto dell’odio contro gli armeni (tanto per rimanere alle questioni di
casa nostra), alimentati a menzogne
(circolava tempo fa un libretto nelle scuole
elementari turche dove si raccontava che
gli armeni cucinavano e mangiavano i
bambini…), costretti a vivere con la censura di stato che impedisce ancora oggi di
parlare di determinati temi, minaccia
chiunque lo faccia.
Ecco allora che la rivolta di piazza Taksim
è in primo luogo una ribellione contro il
sistema-stato turco, contro la politica del
potere becero e negazionista che per decenni ha tenuto il popolo turco in catene e
nella oscurità.
Mentre scriviamo queste note non sappiamo come andrà a finire: il manganello di
Erdogan avrà avuto la meglio sui difensori
del parco o la crisi politica turca avrà avuto un esito diverso?
Quello che noi tutti dobbiamo sperare
(anzi più che una speranza è una certezza)
è che, alla fine, comunque qualcosa sarà
cambiato.
Che la parola “genocidio” non sia più un
tabù, così come difendere gli alberi di un
parco.
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Akhtamar
In ricordo di Alber Mahchikian
on line
di Suren Zovighian
Il 9 giugno durante un’immersione nel lago di Garda è tragicamente scomparso il dott. Alber Mahchikian, membro del
direttivo di Italiarmenia ed infaticabile promotore di iniziative umanitarie a favore dell’Armenia e di altri paesi.
Non ero un suo intimo, perciò non conosco molti particolari della sua vita, che altri,
più di me e meglio di me, potranno e dovranno narrare. Ma eravamo buoni amici ed
ogni volta che capitava di incontrarci, lo
vedevo con piacere e simpatia.
Lo conoscevo da una quarantina d’anni,
quando, da poco diplomatosi dal collegio
armeno Moorat Raphael di Venezia,con i
suoi compagni di studi Vahik, Samuel ed
altri, ravvivò la vita della comunità armena
del Veneto, con iniziative culturali e ricreative. Poi si laureò, si sposò e si stabilì a
Camponogara, in provincia di Venezia ove
ben presto fu conosciuto e apprezzato per le
sue innate capacità di intraprendenza e
concretezza, tanto da venir nominato assessore comunale e vicesindaco, cariche che
condusse con competenza, precisione e
correttezza che gli guadagnarono la stima
di tutti. Poi si ritirò dalle attività politiche,
ma mantenne sempre vivo il suo impegno
sociale, come membro della locale Pro
Loco e come presidente del Comitato di
Solidarietà e Cultura di Pace della stessa
cittadina.
Ma l’impegno nella realtà locale non gli
fece dimenticare le sue origini, anzi, Alber
Mahchikian fu, come si diceva un tempo,
un fervente armeno. Non si contano le iniziative che intraprese a favore dell’Armenia. Di molte fu il principale realizzatore, di
altre fu lo sprone e di altre ancora fu l’ideatore. Per anni coinvolse la popolazione e, ai
massimi livelli anche l’amministrazione
comunale, di Camponogara nelle solenni
celebrazioni del 24 aprile che si tennero in
quella cittadina. E con il passar del tempo
la gamma delle attività da lui promosse si
arricchì grazie all’impulso che lui dava ad
esse. Si va dalla realizzazione di un acquedotto, all’invio di numerosi container di
aiuti umanitari, alla creazione di una vera e
propria rete di adozioni a distanza grazie
alle quali a centinaia di bambini armeni
donò un sorriso ed una speranza. Il villaggio armeno di Panik, in particolar modo, fu
l’oggetto del suo interessamento. Lo colmò
di mille cure e sollecitudini. E così varie
altre iniziative che lo videro instancabile
promotore.
Per tutto ciò, da solo o con l’aiuto del
Comitato di cui era presidente, seppe mobilitare uomini, energie e risorse per indirizzarle a favore di molteplici attività umanitarie a favore non solo dell’Armenia, ma
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anche di altri paesi. Fu un vero vulcano di
iniziative per le quali si prodigò con tutte
le sue forze ed ora che non c’è più mi
rivolgo ai suoi cari, a tutti coloro che gli
vollero bene, ai suoi amici, a chi gli fu
vicino e collaborò con lui nelle sue numerose attività umanitarie e a chi da esse fu
beneficiato, affinché, nei modi e nei tempi
opportuni, venga degnamente ricordato,
perché non sia che, parafrasando un poeta
armeno,”il suo tumulo rimanga insignificante, in un angolo della Terra” e “il suo
ricordo appassisca”. Non per nulla il quotidiano locale, dedicando un ampio articolo alla sua tragica fine, intitolò:
“Camponogara in lutto per Alber Mahchikian”.
Alber fu un uomo molto ricco, non per il
fatto di essere colmo di denari, ma perché
uno ha ciò che ha donato e lui ha donato
molto.
Me lo ricordo quando ogni tanto veniva
alle nostre riunioni. Non capitava spesso,
perché sovente, per motivi di lavoro, era
all’estero. Ma ogni volta che era presente
doveva riferirci di iniziative da intraprendere a favore dell’Armenia: aveva incontrato il tale che si era detto disposto a dare
un aiuto;a un altro ancora aveva carpito la
promessa di un interessamento per qualcosa a favore dell’Armenia; era pronto un
container e rimaneva ancora qualcosa per
riempirlo completamente; un tal altro
pubblico amministratore si era offerto di
contribuire ad un’iniziativa; un ospedale
era disposto a dismettere dei macchinari
non recentissimi,ma ancora validi ed utilizzabili, da spedire in Armenia. E così
via. E quanto da lui esposto non erano
vuote parole, nobili promesse fine a se
stesse, che tali sarebbero rimaste senza
aver nessun seguito, come spesso accade
in simili circostanze. Ma ciò che lui ci
riferiva, puntualmente veniva realizzato,
anche con qualcosa in più, grazie alla sua
determinazione ed al suo grande spirito di
abnegazione.
L’ultima volta che lo incontrai si offrì di
accompagnarmi in automobile.
Viaggiammo una mezz’ora, parlando dei
nostri progetti per l’Armenia, per il centenario del Genocidio e così via. Poi, con un
pizzico di mestizia, mi disse che dopo poco
avrebbe compiuto sessanta anni. Lo confortai,facendogli presente che era ancora sano e
vigoroso e poi, per rincuorarlo, gli dissi che
io ero parecchio più anziano di lui. Non ci
eravamo mai parlati così, a quattr’occhi, con
il cuore in mano e tutto ciò mi infuse un
certo senso di malinconia. Era forse un presentimento? Non lo so, ma quella fu l’ultima
volta che lo vidi.
Poi venne quella maledetta domenica del 9
giugno e l’immersione, lui provetto subacqueo, nel lago di Garda dal quale non risalì
più vivo. E quando, dopo qualche ora, appresi della disgrazia, la prima persona a cui
pensai, dopo la sua cara moglie, fu la sua
anziana madre, a Damasco, che avrebbe
subito il più straziante dei dolori che una
persona può avere, e che per questo non va
augurato nemmeno al peggior nemico: la
perdita di un figlio. E mi sovvenne la triste
melodia di una vecchia canzone popolare
armena, il cui mesto ritornello, quasi per
esorcizzare questo grande dolore, suona così:
“Che il mio cuore vada in pasto ai lupi, ma
che mia madre non sappia della mia morte”.
Riposa in pace, caro Alber; non hai avuto
figli, ma hai lasciato molti orfani.
Che la terra sia lieve su di te.
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Akhtamar
on line
CAMBIARE OPPURE NO?
Il governo lancia un concorso internazionale per il restyling di piazza della repubblica
È il cuore della città, che è la capitale
dell’Armenia. È, quindi il cuore dell’Armenia stessa.
Il centro del potere (vi sia affacciano
importanti palazzi governativi), l’ombellico del mondo, per lo meno di quello
armeno.
Piazza della repubblica non è solo un
luogo; è anche un simbolo. Il “grande
spazio” al centro della città, palcoscenico ideale per parate, concerti, adunate
politiche. I muri dei palazzi che vi si
affacciano, una quinta ovale di tufo
rosa, possono raccontare la storia di
questa nazione.
Ora il governo lancia l’idea di un restyling della piazza che già negli anni
scorsi aveva goduto di interventi di riqualificazione soprattutto per quanto
riguardava la circolazione stradale e la
pedonalizzazione di alcune parti.
E subito, immancabilmente, si apre un
acceso dibattito tra conservatori ed innovatori, perché questa non è una piazza
qualsiasi ma è LA piazza dell’Armenia.
Cambiare oppure no?
Quando si parla di nuovi interventi di
architettura urbanistica bisogna stare
attenti. Giusto lo scorso numero di
“Akhtamar on line” ha ospitato una
analisi su quanto sta accadendo al mercato coperto di Pak Shuka.
Anche la creazione della moderna dorsale di Northern Avenue ha avuto fautori e detrattori.
Ora si va a toccare un simbolo “sacro”
dell’architettura di Yerevan. Dunque?
Il capo dell’Unione degli architetti di
Armenia, Mkrtich Minasyan, ha già
dato il suo parere contrario: toccare
piazza della repubblica vuol dire intaccare il concetto architettonico del centro
città.
In particolare Minasyan esprime preoccupazione per il bando del concorso i
cui termini sono piuttosto vaghi: non
quelli temporali (i progetti vanno presentati dal 29 maggio al 29 agosto)
quanto sulle aspettative di riqualificazione dell’intervento.
“Poiché i termini del concorso non sono
formulati in modo chiaro - ha detto nel
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corso di una conferenza stampa - e sono
fissati senza limiti per quanto riguarda le
modifiche alla piazza, non si può escludere che vengano portate avanti proposte di
grandi proporzioni ed impegno”. Che
tradotto vuol dire: se non fissate dei paletti
c’è il rischio che tutta la piazza venga
stravolta da una rivoluzione urbanistica.
A dire il vero il bando emesso precisa che
le proposte devono tener conto che la
piazza è ormai divenuta troppo congestionata a causa del traffico pubblico e privato
con tutte le conseguenze negative che ne
derivano; ma si sottolinea anche che taluni
progetti interessanti singoli edifici hanno
già in parte alterato la loro funzione ed in
parte sono stati “snaturati” dal varo della
Northern Avenue che ha spostato l’asse
della piazza stessa.
Le critiche di Minasyan non si fermano
qui; e siccome provengono dal presidente
dell’Unione degli architetti d’Armenia non
possono certo cadere nel vuoto.
Così non ha mezze misure nel valutare
negativamente la possibilità di costruire
un parcheggio sotterraneo in un’area che
dovrebbe essere interessata da reperti
archeologici. Ed è critico sul progetto di
riqualificazione della piazza mentre altre
strade del centro città versano in condizioni non ottimali e dovrebbero essere risistemate prima di spendere soldi in piazza
della Repubblica.
Ma piazza della Repubblica è, come dice-
vamo, un luogo ed un simbolo attorno al
quale ruota tutto la vita della città. Lì vi
transitano le centinaia di migliaia di turisti
che ogni anno visitano l’Armenia.
Di sicuro, qualche cosa va fatto. ma forse
il problema del traffico potrebbe essere
risolto semplicemente incanalandolo verso
altre direttrici, evitando che converga tutto
in questo spazio che è sì ampio ma comunque limitato.
Forse è arrivato il momento di cominciare
ad aumentare le zone a traffico limitato;
forse è arrivato il momento di creare una
parziale pedonalizzazione della piazza.
Vedremo, dunque, a fine estate cosa i
progettisti avranno partorito: l’unico desiderio è che ogni decisione sia quanto più
possibile condivisa dalla popolazione (ad
esempio rendendo pubblici tutti i progetti
e dando ai cittadini la possibilità di fornire
una propria, non vincolante, valutazione).
Seguiremo le vicende e vi terremo aggiornati.
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Akhtamar
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la voce dell’Artsakh
È quasi pronto il
nuovo ospedale
di Stepanakert
Tre settimane or sono il presidente
Bako Sahakyan si è recato in visita nel
costruendo nuovo ospedale generale di
Stepanakert al fine di verificare lo
stato di avanzamento dei lavori che,
come dimostrano le foto, sono ormai
pressoché ultimati.
Una struttura moderna, funzionale ed
anche elegante, che consentirà ai cittadini dell’Artsakh ed in particolare
della capitale di veder meglio tutelato
il proprio diritto alla salute.
L’entrata in esercizio, ormai prossima,
del nuovo complesso, completerà il
percorso di riqualificazione della
sanità pubblica di Stepanakert che in
pochi anni ha visto nascere o rinascere
strutture degne di un paese moderno.
Nel 2010 è sorto, con l’aiuto della
Diaspora armena degli USA, il nuovo
poliambulatorio specialistico (“Armine Pagoumyan policlinic”) costato
una quindicina di milioni di dollari e
sorto a fianco della fatiscente struttura
edificata negli anni Quaranta.
Nel 2008 è stato inaugurato, completamente restaurato, l’ospedale pediatrico
che era stato costruito nel 1996, poi
riconvertito nel 2002 a ospedale generale salvo rendersi conto ben presto che la
struttura non poteva soddisfare le esi-
genze di una città di cinquantamila abitanti e circondario.
Di qui l’esigenza di costruire un vero e
moderno ospedale generale.
Nella città sorge anche l’ospedale
militare.
NOTIZIARIO DELL’ARTSAKH
COMPUTER PER LA SCUOLA
Visita di lavoro, dal 9 all’11 giugno, del
ministro dell’educazione dell’Armenia
nella repubblica del Nagorno Karabakh.
Oltre all’incontro con le delegazioni
ufficiali della repubblica, il ministro
Armen Ashotyan si è intrattenuto con
rappresentanti dei circoli didattici, del
mondo della scuola e della pedagogia.
Dall’Armenia ha portato oltre duemila
film e cinquanta computer che andranno
ad arricchire la dotazione delle scuole
dell’Artsakh.
SAHAKYAN A SHUSHI
Il presidente Sahakyan si è recato il 15
giugno in visita alla città di Shushi dove
ha visitato la fabbrica dei tappeti (foto a
lato) ed il costruendo complesso residenziale per gli studenti della facoltà di
agraria dell’università dell’Artsakh.
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KARABAKH TELECOM
La compagnia telefonica dell’Artsakh
ha annunciato con un comunicato stampa la settimana scorsa il lancio della
propria rete 3G. Fondata nel 2002, dal
2003 si è sviluppata nell’intero stato con
una copertura totale nella capitale ed al
95% nel resto del Paese. Sono circa
centomila gli utenti (tra telefonia fissa e
mobile) pari a circa il 70% del mercato
disponibile.
Con l’occasione è stato annunciato il
nuovo logo dell’azienda.
Sotto il Policlinico e centro diagnostico.
Nella foto sopra l’ospedale pediatrico di
Stepanakert.
AZAT ARTSAKH
Il più importante quotidiano della repubblica ha festeggiato i novanta anni di
attività. Per l’occasione il presidente
Sahakyan ha inviato un messaggio di
congratulazioni alla redazione che ha
sede a Stepanakert.
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Il 12 giugno 1993 nel villaggio di Marzilu, vicino Aghdam, cadeva Monte Melkonian.
Il mitico Comandante Avo (ma anche Abu Sindi, Saro, TimothySean Mc Cormack), eroe della guerra di liberazione dell’Artsakh veniva colpito a morte da un
cecchino azero. I suoi compagni di battaglia gli avevano consigliato prudenza ma
lui, anche quella volta, non si era tirato indietro.
Nato nel 1957 a Visalia, in California, Monte viaggiò molto con la famiglia,
andò a riscoprire la terra dei suoi avi, insegnò all’Università negli Stati Uniti, in
Iran e in Libano, parlava sette lingue.
All’inizio degli anni Settanta Monte decide che deve dare il suo contributo attivo
alla causa armena. Partecipa alla guerra civile libanese, entra nell’Asala, viene
arrestato e poi rilasciato. Quando l’Artsakh proclama la propria indipendenza
non esita: entra nelle milizie di difesa del nagorno karabakh, le riorganizza combattendo nella regione di Shahumian, diviene un comandante ed un esempio. Il
suo valore, la sua tenacia, le sue capacità tattiche, la sua disciplina contribuiscono in maniera determinante alla vittoria finale.
Se oggi la repubblica del Nagorno Karabakh è uno stato libero lo si deve, molto,
anche a lui. È sepolto a Yerablur, il cimitero militare armeno ma forse avrebbe
amato essere coperto dalla terra dell’Artsakh per la quale ha combattuto e si è
sacrificato.
Venti anni fa moriva Monte Melkonian,
un simbolo della lotta di liberazione armena
Qui Armenia
DISABILI ARMENI
Sono circa 180.000 le persone classificate come “disabili” in Armenia
(comprendenti disabilità di vario genere
e gravità). Di queste solo il 9% ha un
lavoro stabile; è questo il risultato di un
rapporto commissionato dal ministero
degli Affari Sociali. Secondo la legislazione armena tutte le imprese con almeno cento dipendenti devono riservare
l’uno per cento dei posti alle categorie
protette.
Una “maratona” di disabili, guidata dal
ministro Asatryan, si è tenuta lo scorso
8 giugno e si è conclusa con un
flash.mob in Northern Av.
ACCADEMIA MILITARE
Una Accademia militare aprirà nel 2014. Ne ha dato notizia il ministro della
Difesa Seyran nel corso di una riunione
tenutasi nei pressi del confine armeno
azero. Lo scopo dell’Accademia sarà
naturalmente quello di preparare a livello strategico i quadri militari, formando
altresì una educazione “militare” che
consenta di esercitare correttamente e
professionalmente il comando.
Nel corso della conferenza stampa il mi-
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nistro della Difesa si è soffermato sulle
novità previste per i prossimi mesi: il
miglioramento della dotazione di armi
per i sottoufficiali e l’impiego di soldati
volontari (e stipendiati) lungo le zone di
confine con il beneficio di garantire
maggiore sicurezza per quelle aree e nel
contempo risolvere un problema occupazionale.
TRASPORTI PUBBLICI
L’aumento del costo dell’energia (ed in
particolare quello del gas) ha avuto una
ripercussione sul costo dei trasporti pubblici, Viaggiare dal primo giugno è un
più caro del 5%.
INCIDENTE IN AEROPORTO
Violente raffiche di vento hanno causato
lo scorso 6 giugno il cedimento di una
copertura dell’aeroporto di Zvartnots. Il
crollo avvenuto nell’area del parcheggio
VIP ha danneggiato una trentina di veicoli. I periti della compagnia Rosgosstrakh Armenia sono al lavoro per stimare i danni ai mezzi e verificare se l’evento è compreso nelle garanzie assicurative o può essere inquadrato come accidentale e fortuito.
GRANDINATA
Circa 1600 famiglie della regione di
Armavir riceveranno 50000 dram a testa
(poco meno di cento euro) per compensare i danni provocati a maggio da una
disastrosa grandinata. In totale il fondo
di solidarietà ammonta a 857 milioni di
dram. Sono allo studio altresì investimenti per impianti di allarme anti grandine. Intanto l’industria conserviera
armena ha fatto sapere di essere pronta
ad acquistare gli interi raccolti di frutta
rovinati dai chicchi di ghiaccio.
GLOBAL PEACE INDEX
Nonostante la tensione con l’Azerbaigian, l’Armenia guadagna posizioni
nell’edizione 2013 del Global Peace
Index che riporta la classifica degli stati
mondiali in base al loro indice di stabilità. Dalla 115a posizione del 2012 sale
alla 98a del 2013. L’Italia è al 35° posto
(indica di pace “alto”) nella classifica
guidata dall’Islanda; l?Armenia ha un
livello “medio”, l’Azerbaigian è 126°, la
Turchia 134a, la Georgia 139a su 161
stati. L’indice tiene conto delle relazioni
esterne ma anche della stabilità interna
valutata anche in ordine al tasso di criminalità riscontrato nel paese.
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La stampa armena e gli insorti di
piazza Taksim di Karechin Cricorian
Bollettino interno a cura di
comunitaarmena.it
Q U E S T A P U B B L I C A Z I ON E E ’ E D I T A
CON IL FAVORE DEL
MINISTERO DELLA DIASPORA
il numero 163 esce il
15 lug 2013
w w w. k a ra b a k h. i t
I nf or m az i one q uot i di a na
i n i t al i an o s ul l ’ Ar t s ak h
I fatti di piazza Taksim in Turchia ad Istambul, ovvero gli scontri tra giovani ed il
potere turco di Erdogan per la contesa del parco di Gezi per noi armeni hanno un significato che ci riporta indietro al nostro passato tragico, accaduto mentre stavamo
aspirando alla nostra indipendenza dopo cinquecento anni di occupazione dei nostri
territori. Se si pensi che la contesa può essere considerata un mero pretesto dei giovani trasgressivi turchi, per protestare contro l’autoritarismo dei governi turchi, in fondo
non lo è.
Può sembrare uno psico-dramma perché nel parco di Gezi Erdogan voleva appunto
come puro paradosso radere al suolo il vecchio parco cittadino per far posto ad un
mausoleo che celebrasse le antiche caserme dell’impero ottomano dei sultani.
La prima cosa che viene in mente è la rievocazione da parte del potere degli antichi
fasti imperiali da Abdul Hamid, ai “Giovani Turchi “ di Enver, Jemal, Taalat sino
all’epoca repubblicana di Kemal Ataturk ricorrendo alla solita violenza storica sterminatrice che aveva come oggi il fine di egemonizzare la scena geo-politica di potenza
prima imperiale e oggi regionale, imponendosi contro le libertàdei ceti popolari e dei
popoli che abitano la Turchia. Quindici milioni di kurdi, arabi, alaviti, greci. Erdogan
riproduce il solito disegno, dei vecchi regimi militari fascisti, se a qualcuno viene in
mente di Evren, che si ispirava alle dittature dei falangisti di Franco contro i baschi, e
che ha sterminato in epoca contemporanea, dal 1975 al 1985, decina di migliaia di
contadini Kurdi e di sindacalisti.
Lo scopo di Erdogan è di alimentare da un lato le mire dell’esercito, cioè di invadere
la Siria per inseguire i Kurdi sino anche in Iraq, e dall’altro di rappresentare le mire
espansionistiche di un islam moderato caldeggiato dai nuovi califfi dell’Arabia Saudita e Qatar che lo sostengono nella nuova fase di sviluppo industriale capitalistico con
ipetrol dollari. Gli israeliani e gli Usa sostengono questa strategia in funzione anti
Iran, Russia e Cina.
E noi armeni non diciamo niente? Solo sterili rivendicazioni puritane. Dobbiamo
imparare a non tacere su queste cose perché noi per primi siamo stati vittime in milioni di queste strategie. Non dobbiamo caldeggiare idee conservatrice perché ci piacciono e ci danno un tono perbenista. Noi abbiamo sofferto e dovremmo soffrire ancora
per un danno causatoci un secolo fa, capite?
La stampa armena della diaspora on line, Nouvelles Armenie, per prima parla delle
vicende di piazza Taksim.
La Armenpress, agenzia di stampa on line del governo armeno, sorvola perché probabilmente sono in ballo le normalizzazioni tra Armenia e Turchia per favorire la fine
del nostro isolamento. Però la Armenpress dice chiaramente al governo che deve riconoscere il genocidio degli armeni. Noi abbiamo l’obbligo di colmare questo vuoto e
questo silenzio. Non dobbiamo fare l’errore dei nostri genitori e avi che per vergogna
ci hanno taciuto del genocidio facendo vivere crisi di identità e frustrazioni.
E dire che «[la] ragione principale di questi scontri non è l’islamizzazione, come
ipotizzano alcuni commentatori in Occidente. La causa di tutto è l’autoritarismo».
L’autoritarismo ha una lunga storia in Turchia. L’impero ottomano nacque da una
forte tradizione statale. L’elite kemalista modernizzò la società dall’alto verso il basso,
poiché credeva in uno stato forte. E così il suo evidente avversario, il partito Ak. Ogni
qualvolta un’opposizione o la possibilità di un opposizione prospera, le tendenze autorità reagiscono.
«In Turchia lo stato è forte e nonostante ciò è trattato come se fosse fragile. E’
sempre lo stato ad essere protetto dalle opinioni critiche dei singoli individui. In una
vera democrazia, invece, si proteggerebbe il singolo individuo dallo strapotere statale».
Le parole del virgolettato, estrapolate da un articolo del giornale “La Repubblica”
del 20 giugno scorso, sono di Elif Shafak, la famosa scrittrice turca che vive a Parigi
che nel suo recente libro di successo proprio in Turchia, “La Bastarda
di Istambul”, parla apertamente del genocidio degli armeni, perché ritiene che se
non si guarda al passato la Turchia un giorno sarà terreno di scontro tra minoranze e
potere, perché vino ad oggi anche il popolo è alla ricerca di una identità, che si sleghi
dalla cultura che ha causato le atrocità agli altri.
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AKHTAMAR On Line Anno VIII, num 162