Scuola del Design / Politecnico di Milano
TESI DI LAUREA MAGISTRALE / Design del prodotto per l’innovazione
I TRADIZIONALI
case history di un percorso di designer-impresa grazie
al crowdfunding e all’autoproduzione
Studente / Sarah V. Richiuso 797561
Relatore / Prof. Venanzio Arquilla
anno accademico / 2013 - 2014
sessione / Dicembre
I TRADIZIONALI
case history di un percorso di designer-impresa grazie
al crowdfunding e all’autoproduzione
ABSTRACT
CAPITOLO 1
[ pp. 13 - 28 ]
un designer in continua evoluzione
1.1 Introduzione / 1.2 Attraverso i linguaggi /
1.3 Attraverso i segni / 1.4 Attraverso le strategie /
1.5 Attraverso le esperienze / 1.6 Un designer centauro /
CAPITOLO 2
[ pp. 29-88 ]
ATOMS ARE THE NEW BITS
2.1 “Atoms are the new bits” /
2.2 Da azienda a azienda-editrice / 2.3 Il confine
tra autopromozione e autoproduzione / Intervista
#1 Gamfratesi / Intervista #2 StudioKlass / 2.4
Autoproduzione: modalità che dà il via ad esperienze
aziendali / 2.5 Qual è il ruolo dell’autoproduzione oggi? /
Intervista #3 Dossofiorito / 2.6 La distribuzione: in soccorso
alcune piattaforme / 2.7 Il modello D2C / Intervista #4
En&Is / 2.8 Autoproduzione digitale / 2.9 L’artigiano digitale
2.10 Il fenomeno dei maker / 2.11 La community: un design
open / Intervista #5 MEG di Yradia
CAPITOLO 3
[ pp. 89-116 ]
Il crowdfunding
3.1 Il crowdfunding / 3.2 Kickstarter: la signora del
crowdfunding / 3.3 Sette regole d’oro / 3.4 Che fine
fanno i progetti di Kickstarter? / 3.5 Kickstarter aiuta gli
imprenditori / 3.6 Il caso dell’insalata di patate / Intervista
#6 Primo di Matteo Loglio / Intervista #7 Thingk di
Umberto Tolino
CAPITOLO 4
[ pp. 117-228 ]
crowdfun... che?
4.1 E in Italia? / 4.2 Genesi e motivazioni / 4.3 Criticità del
crowdfunding / 4.4 Perchè un’azienda dovrebbe fare un
crowdfunding? Il caso Natevo / Intervista #8 M. Messina
di Natevo / 4.5 #milancut: in Italia i designer emergenti
scelgono il crowdfunding? / Intervista #9 Tania da Cruz /
4.6 Eppela / Intervista #10 StudioLievito /
Intervista #11 Lucia Rota di Inner Design / Intervista #12
Fattelo! / 4.7 Opportunità e limiti / 4.8 L’importante è “to be
connected” / 4.9 L’incremento dei social netwowrking /
4.10 I social media nel crowdfunding / 4.11 Riflessioni sulle
interviste
CAPITOLO 5
[ pp. 177-228 ]
I tradizionali
5.1 I Tradizionali / 5.2 Tattoo-recipes / 5.3 Food-design /
5.4 Verso Expo 2015 / 5.5 Trend food e tattoo / 5.6 Il mondo
dei gadget / 5.7 Il team / 5.8 Swot analisys / 5.9 Prima del
crowdfunding - Valori & Business Plan / 5.10 Lo sponsor:
Favini / 5.11 Dietro le quinte: il video / 5.12 E tu cosa mi dai in
cambio? / 5.13 www.itradizionali.com / 5.14 Press Kit
5.15 Storytelling attraverso social e blog / 5.16 E dopo?
5.17 The Xmas Limited Edition / 5.18 Cosa cambierei della
campagna? / 5.19 A confronto con il progetto Litographs
Tattoo /
CAPITOLO 6
[ pp. 228-241 ]
Next step
6.1 Un modello valutativo per comprendere se andare avanti
6.2 Next step uno / 6.2 Next step due / 6.3 Next step tre
Conclusioni
bibliografia
sitogragia
INDICE immagini & GRAFICI
INDICE interviste
Ringraziamenti
ABSTRACT
Il crowdfunding è un nuovo modello che non rappresenta
semplicemente una via di fuga alla crisi economica, ma
più di ogni altra cosa rappresenta un’occasione culturale e
sociale.
È anche un sistema di comunicazione poiché apre le porte
ad un nuovo linguaggio in cui il racconto viene approfondito
e trasformato continuamente.
Il finanziamento dal basso nasce da Internet e vive grazie
all’energia e la forza dell’unione dei suoi utenti e, nonostante
la spinta del web, esprime una delle caratteristiche
fondamentali dell’uomo che da sempre confida nella teoria
“l’unione fa la forza”.
Partendo da un’analisi del ruolo del designer che, per
esigenza e per attitudine, si evolve e si adatta parallelamente
alle nuove modalità socio-economiche che si affacciano, si
mostra come il crowdfunding possa divenire uno strumento
in grado di creare nuove forme di valore progettuale e di
impresa, sia in termini di innovazione di linguaggio sia per i
nuovi sistemi di distribuzione.
Da questa riflessione iniziale ho esaminato il crowdfunding
negli Stati Uniti, prendendo in esame Kickstarter, la regina
di piattaforme di questo tipo che ha assunto modalità di
fruizione molto simili ad Amazon, e mettendolo a confronto
con l’Italia per comprenderne i limiti e le opportunità che si
riscontrano.
Una delle difficoltà più grandi per i progetti di successo del
crowdfunding è superare il rischio di “episodicità”, cioè il
delinearsi di forme di imprese che si bloccano sul nascere
per problemi tecnici o logistici, o semplicemente per
“inesperienza”. E in più, il crowdfunding è davvero solo una
modalità alternativa alle banche per finanziare un progetto o
alle aziende per poter realizzare un’idea valida?
Questa tesi è un’occasione per guardare al crowdfunding
con un altro punto di vista rispetto al semplice
raggiungimento del goal. L’esperienza personale vissuta
con la campagna de “I Tradizionali-tattoo recipes” lanciata
sulla piattaforma italiana Eppela, è stata un’occasione per
vivere in prima persona lo sviluppo di un progetto in tutte le
sue fasi, interfacciandomi con gli strumenti necessari prima,
durante e dopo il crowdfunding. Ho scoperto sulla mia pelle
che il crowdfunding è un fenomeno umano, che si carica di
aspettative ma che deve essere affrontato con strumenti
tecnici e che ha rappresentato un vero e proprio lavoro su
me stessa. Verranno, infatti, analizzati i percorsi e i valori di
comunicazione e di marketing, che vengono solitamente
9 – ABSTRACT
prediletti dalle aziende, per raggiungere un goal diverso che
vada oltre quello finanziario.
In uno scenario in cui le aziende si trasformano in editori,
in cui il progettista si occupa di tutte le fasi di un progetto,
dal concept alla produzione, quest’ultimo si trova di fronte
ad un bivio: presentarsi da un’azienda o fare un’impresa,
dove il crowdfunding può essere un ottimo strumento
per creare nuovi networks: comprendere il feedback di
mercato, le potenzialità del prodotto, creare una campagna
di comunicazione, trovare clienti per la prima distribuzione,
aumentare le proprie collaborazioni, migliorare il prodotto
ascoltando i consiglie dei propri sostenitori, fare consulenza
progettuale, ottenere un “biglietto da visita” per bussare ad
una azienda o accoglierla…
Il designer è il tassello mancante e indispensabile di
questo sistema, sistema aperto a tutti ma che esige un
modalità di storytelling progettuale ed esperienziale che si
trasformano in continuazione. La tesi presenta un modello
finale di autovalutazione per un progettista per considerare
le fasi in cui concentrarsi e come evitare che il proprio
prodotto sia semplicemente uno dei tanti casi “episodici” da
crowdfunding.
11 – ABSTRACT
1.
uN DeSIgNeR
IN cONTINuA evOLuZIONe
1.1
INTRODUZIONE
Nell’immaginario comune il termine designer evoca un
progettista che disegna prodotti pensati per una produzione
industriale richiesti da un cliente, l’azienda.
Il panorama contemporaneo sta cambiando in fretta spinto
da una continua e sfrenata ricerca di soddisfare i propri
desideri, più che i bisogni, da parte dei consumatori. Il
designer è, per sua natura, attento e si adegua, cercando di
individuare come poter “essere d’aiuto” e riuscire a trovare
un ruolo adatto a lui.
Cambiando i punti di riferimento, da bisogni a desideri,
il designer si specializza in progettista di storytelling, di
segni, di strategie e di emozioni, cercando ti trovare sbocchi
lavorativi anche all’esterno delle aziende.
Dal disegnare e “dare -semplicemente- forma”, i progettisti
oggi sono in grado di ricoprire diversi ruoli in maniera
completa in diversi ambiti come, per esempio, il prodotto dal
concept al sistema che deve essere percorso da un’azienda
e dalla comunicazione ai servizi.
Il designer, all’interno di un contesto molto delicato e
un mercato saturo, oggi cerca di essere un portatore di
conoscenza, cultura e innovazione e, al contempo, attivatore
sociale in relazione a aziende e clienti finali.
Sotto l’ottica di un’innovazione per le imprese, il designer
assume un ruolo fondamentale in quanto presenta tutte
le caratteristiche per analizzare, gestire e incrementare i
processi coinvolti.
Il designer, infatti, riesce a supportare le imprese, e non solo,
riuscendo a muoversi in maniera trasversale attraverso
diverse discipline unendo la dimensione sociale a quella
tecnica per creare nuovi processi e nuovo valore.
Comunemente si tende a far coincidere il termine
innovazione con il mondo tecnologico e funzionale ma, in
realtà, si tratta di un insieme molto vasto che comprende
anche i linguaggi, i messaggi, le emozioni e i valori che si
desidera trasferire all’interno di un sistema di “innovazione
dei significati” per cui è evidente che in un sistema-prodotto
il designer è attento a gestire e a coordinare diversi fattori
che assieme contribuiscono al progetto del prodotto
sviluppato in ogni sua sfumatura.
15 – I TRADIZIONALI
1.2
ATTRAVERSO I LINGUAGGI
(1), (2) e (3)
Fulvio Carmagnola, “Design. La
fabbrica del desiderio”, Lupetti, 2009
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Forchette Parlanti, illustrazioni di
Bruno Munari, immagine estratta
dal catalogo “Irony in Italian Design”
di Alessandro Bergonzoni per
Foscarini.
Rispetto al passato, uno dei tratti dominanti della nostra
contemporaneità, la cosiddetta epoca della comunicazione,
è la fine dei “grandi racconti” sostituiti da micro narrazioni.
All’interno di questo contesto si impone il designer come
una figura in grado di creare storytelling.
Design e narrazione sono due termini carichi di significati; il
design è un insieme complesso che indica un’attività intellettuale, una pratica professionale, un sistema di oggetti, un
sistema produttivo, un sistema di relazione. Inoltre, questo
ambito non influenza solo un singolo progetto o un singolo
oggetto ma include culture, immaginari, scuole di pensiero.
Allo stesso modo, la narrazione pervade diversi contesti del
sapere ricodificando di volta in volta le modalità consolidate e rappresenta per l’essere umano uno strumento per
esprimere sé stesso e la propria identità.
Il designer adopera la narrazione in quanto un insieme
complesso di linguaggi e dispositivi relazionali che permettono al nuovo (e all’innovazione) di essere compreso per
essere infine diffuso e accettato. Come sappiamo, i designer
da sempre producono simboli e codici attraverso gli oggetti
e, come afferma Fulvio Carmagnola(1), citando Derrick de
Kerckhove, si parla di un design “diventato la pelle della
cultura, ovvero la concretizzazione espressiva, figurativa e
sensibile in grado di tradurre in forme l’essenza del nostro
tempo assumendosi così il ruolo di trasformatore metaforico delle tendenze di fondo in superfici sensoriali”.
La sfera del senso e del significato vengono messi in
evidenza attraverso la valenza simbolica ed estetica degli
oggetti all’interno del mondo materiale, per cui possiamo
dire che i processi culturali e i prodotti sono forme del pensiero sociale e non un mero atto di produzione individuale.
I designer della comunicazione rappresentano in maniera
evidente il forte legame tra design e narrazione per la sua
natura segnica e informativa e la medesima attenzione ai
valori “immateriali” è oggi presente nel mondo del prodotto,
in quanto il designer diviene un mediatore di linguaggi e
saperi che legano diverse culture.
Il progettista può essere, quindi, visto come un legante tra la
condivisione di senso e la costruzione di conoscenza, dove
la narrazione progettuale viene espressa in termini visivi e
materici, con un focus sempre maggiore sulla dimensione esperienzale). Il pubblico di un prodotto è costituito da diverse
tipologie a seconda dello step della fase del processo e in ognuna avviene una narrazione accessibile a tutti e che riescono
a modificare i bisogni, i desideri, gli immaginari e i valori.
16 – I TRADIZIONALI
“L’oggetto stesso, nel design, ha natura di narrazione
tangibile. Non solo perché
l’oggetto-prodotto arriva
all’utente accompagnato da
un insieme di artefatti esplicativi, ma perché l’oggetto
stesso è narrante, capace di
raccontare l’essenza di una
cultura.” (2).
I designer creano un tipo di
cultura che riesce a coinvolge attraverso gli oggetti
delle forme di testualità che
vengono espresse attraverso i riti, i gesti e i codici
di comportamento, ovvero
tutti i modi di comunicazione non-verbale.
“La proceduralità tipica di un
semplice gesto tecnico è arricchita da pratiche di valore
simbolico che introducono
nell’azione l’elemento liturgico non tanto come segno
del sacro ma della cerimonialità tipica di un atto di
culto.”(3)
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17 – I TRADIZIONALI
1.3
ATTRAVERSO I SEGNI
(4)
G. Fabris, “Il nuovo consumatore:
verso il postmoderno”, FrancoAngeli,
Milano, 2003
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Termostato disegnato da Nest..
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Segnalatore di fumo disegnato da
Nest.
Il designer, oltre a “dare forma alle cose”, negli ultimi anni si
confronta anche con sistemi più complessi e multiculturali
dove la sua capacità di leggere e interpretare elementi
e processi immateriali in artefatti che evincono l’eredità
culturale.
Il progettista, infatti, è in grado di dar forma al progetto, di
rielaborare gli stimoli e le ispirazioni legate al proprio vissuto
e organizzarli, infine, in repertori socio-culturalmente
condivisi da parte della società. Gli ambiti e i valori su cui egli
lavora sono intangibili e immateriali e riescono ad attivare
dei processi di significazione che sollecitano emozioni.
La massificazione dei mercati e la delocalizzazione
produttiva ha portato a una forte spersonalizzazione delle
produzioni e a una generale omologazione delle realtà locali.
Le dinamiche del consumo contemporaneo hanno
portato al delinearsi dell’individuo-consumatore che,
non riconoscendosi più nel prodotto standardizzato,
chiede al mercato un prodotto esclusivo e customizzato.
Si è progressivamente passati da un prodotto solido e
strutturale a, come li definisce G. Fabris(4), prodotti che
“si de-materializzano e si trasformano in segni, simboli e
comunicazione”.
In questo contesto, il designer si fa carico di un ruolo molto
importante: conferire all’oggetto una forma, un segno ed un
significato, senza cancellare la tradizione ma cercando di
dare a quest’ultima nuovo valore per mezzo dell’uso di nuovi
linguaggi e di nuovi segni.
Parlare di significati non significa alludere semplicemente
alla dimensione legata alla presentazione e allo styling,
ma si riferisce al “senso” percepito dall’utente attraverso
l’identità del prodotto, i valori, l’aspetto cognitivo e così via.
Il designer progetta la “forma del prodotto” e si spinge oltre
attraverso lo studio di come l’oggetto in questione verrà
usato e percepito unendo variabili fisici, di comunicazione e
di interazione. L’ampliamento delle skills del designer e della
progettazione con un approccio di tipo relazione è sintomo
di un cambiamento culturale che coinvolge il pubblico e le
aziende stesse che, finalmente, comprendono, l’importanza
delle possibilità e delle potenzialità che tali argomenti
offrono a livello competitivo.
18 I TRADIZIONALI
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19 – I TRADIZIONALI
1.4
ATTRAVERSO LE STRATEGIE
(5)
ICSID, International Council of
Societies of Industrial Design,
organizzazione no-profit che
protegge e promuove gli interessi dei
designer industriali
(6) e (7)
Francesco Zurlo, “Relazioni
produttive, Design e strategia
nell’impresa contemporanea”,
Aracne, 2006
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Cuboluce, progettato da Franco
Bettonica e Mario Melocchi, 1972.
Design e strategia rappresentano oggi una relazione molto
particolare all’interno dell’impresa contemporanea. Dal
momento che il termine design è ricco di significati diversi,
è interessante comprendere la definizione operativa del
concetto di design da parte dell’ICSID(5) che afferma che
“il design è un’attività creativa il cui obiettivo è stabilire la
qualità multiforme di oggetti, processi, servizi e dei loro
sistemi nell’intero ciclo di vita. In più il design è il fattore
centrale per umanizzare in modo innovativo le tecnologie e
un fattore cruciale di cambiamento economico e culturale.”
In questa descrizione evinciamo una complessità del
lavoro del designer su livelli sia tecnici sia culturali. A sua
volta, il termine strategia(6) può significare molte cose, in
quanto usato in diversi ambiti. Nel caso della reazione tra
design e strategia è interessante comprendere tale termine
all’interno della “cultura d’impresa” e, più nello specifico,
nella “cultura del progetto” in cui entrano in gioco sia la
dimensione organizzativa - funzionale sia quella
cognitiva – pragmatica.
Qual è il ruolo del designer all’interno dell’impresa? Rendere
visibile le strategie attraverso l’identità, i valori e dare senso
all’operato del design e dell’azienda. Il suo campo di azione
è molto vasto, soprattutto nell’era dell’intensificazione del
progetto; tra le capabilities(7) del designer ricordiamo:
/ Saper visualizzare scenari futuri possibili grazie alla
capacità di osservare come un’antenna il contesto per
rintracciare esigenze, desideri, trasformazioni e nuovi
trends.
/ Sfruttare al meglio le proprie capacità relazionali
sfruttando le esperienze e le conoscenze di un patrimonio
accumulato.
/ Lavorare come knowledge worker mettendo a
disposizione il proprio sapere per conferire valore aggiunto
ad una determinata attività.
/ Saper raccontare una “storia” per coinvolgere gli utenti.
/ Aumentare il valore aggiunto attraverso la costruzione di
momenti di relazione tramite scenari, riferimenti simbolici e
codici comunicativi.
20 – I TRADIZIONALI
(8)
Venanzio Arquilla citando Francesco
Zurlo, “Design, imprese e distretti |
Un approccio all’innovazione”, pag.
73-74, Edizioni PoliDesign, 2005
(9)
Tratto da www.cinienils.com
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Le capabilities del designer nell’impresa entrano a far parte
di una complessa dinamica di trasformazione e creazione
di conoscenza e l’identificazione del designer strategico
si sposta da una dimensione prettamente funzionale a un
processo integrato all’interno di un’organizzazione.
Oggi, molti designer, consapevoli del proprio ruolo e delle
proprie potenzialità, decidono di diventare imprenditori di
un’idea, di un progetto in un determinato territorio. A partire
dagli anni ’70, in Italia si riscontrano i primi sintomi di tale
fenomeno che, progressivamente, è aumentato.
Due esempi(8) storici sono i casi Cini&Nils e MHWay.
1. Cini&Nils(9) nasce nel
1969 grazie all’incontro
di Franco Bettonica e
Mario Melocchi che,
spinti dall’onda di grande
trasformazione che stava
vivendo il design italiano
in quegli anni, decidono
di instaurare un rapporto
professionale che li ha
portati a pensare ad
un’iniziativa imprenditoriale
propria. Il loro primo
catalogo presenta quattro
prodotti orientati al mondo
dell’oggettistica e, grazie
alle opportunità produttive
del territorio. I progettisti sfruttano la propria esperienza
comunicativa e di servizio per promuovere i prodotti e
individuano mercati marginali in cui inserirsi e rompere
alcuni schemi commerciali.
21 – I TRADIZIONALI
(10)
Tratto da www.mhway.it
2. Makio Hasuike(10) è un
progettista giapponese che
dal 1968 lavora a Milano
per diverse aziende e, dopo
una serie di esperienze
lavorative nel campo della
pelle e degli accessori da
lavoro e da viaggio, decide
di aprire nel 1982 il marchio
MH Way per esplorare altri
campi del sistema prodotto
come imprenditore e,
contemporaneamente,
per proseguire le proprie
ricerche materiche e
formali. L’identità del
marchio è molto forte ed è
permeato dall’incontro della
cultura italiana e l’approccio
giapponese con una
continua sperimentazione
tecnologica e materica anche in ambiti inesplorati. Il caso
MH Way mostra come un designer, attento al contesto
storico e sociale in cui sta vivendo, riesce a cogliere le
opportunità che gli si offrono per divenire imprenditore di sé
stesso. Tali opportunità oggi stanno cambiando, l’impresa
stessa si sta trasformando modificando la propria struttura
e molte possibilità vanno diminuendo. Allo stesso tempo,
altre se ne propongono.
22 – I TRADIZIONALI
1.5
ATTRAVERSO LE ESPERIENZE
(11)
Tratto dal saggio di Elizabeth B. N.
Sanders, “From User-centred to
partecipatory design approaches”,
pubblicato su www.maketools.com
nell 2002
Viviamo nella cosiddetta “era del consumatore” dove
grandi marchi dal successo incontestabile mostrano come
l’attenzione all’individuo e ai suoi bisogni e, soprattutto,
desideri sia riuscita a costruire un nuovo tipo di mercato
in cui ciò che viene venduto è l’esperienza. Non si parla
più di vendere o possedere semplicemente un oggetto, il
concetto si amplia e coinvolge la sfera emotiva attraverso
un’economia in cui il valore viene attribuito grazie alla qualità
delle esperienze che le persone possono vivere.
In un contesto in cui il successo di un’azienda è
strettamente legato al tipo di esperienza memorabile che
riesce a restituire, è diventato fondamentale il designer che,
attraverso le sue capacità, funge da connettore tra azienda
e clienti e progettista di soluzioni razionali e emozionali
all’interno di tale sistema.
Si delinea quindi una figura professionale evoluta del
designer che, grazie ai propri processi di ricerca, strategia
e progettazione. É in grado di incrementare la definizione
di modelli di business attraverso creatività e strategie
per ottenere vantaggi competitivi e qualitative in diversi
modi: da un lato organizza e distribuisce il prodotto in base
all’interazione finale e piacevole con l’utente, dall’altra
progetta l’esperienza d’uso che la persona vive attraverso i
prodotti e i servizi offerti.
Come mai sono cambiati i modelli di consumo? Dal
modello dell’economia fordista si è passati da una cultura
del progetto tecno centrica a un progetto dell’utilità
dell’esperienza, grazie all’aumento della componente
simbolica, della diffusa soddisfazione dei bisogni di base e
dalla vasta offerta di prodotti sul mercato accessibili a una
fetta di consumatori sempre più ampia.
Oggi si parla di progetto dell’esperienza(11) il cui focus è
concentrato sull’utente e, come afferma Donald Norman,
docente di scienze cognitive ed ex vicepresidente di Apple
computer, “la questione dell’esperienza dell’utente riguarda
tutti quegli aspetti relativi all’interazione dello stesso
utente con il prodotto: come quest’ultimo viene percepito,
compreso, utilizzato.”
L’esperienza, negli ultimi anni, è divenuto un tema di
fondamentale importanza in quanto riguarda tutti gli stadi
del processo di progettazione, dal concept alla fase finale di
usabilità del prodotto.
L’utente viene osservato per comprendere il processo di
esperienza e come esso costruisce la propria esperienza
all’interno di un contesto.
23 – I TRADIZIONALI
(12)
Donald A. Norman,
“Emotional design. Perché amiamo
(o odiamo) gli oggetti della vita
quotidiana”, Apogeo, 2007
(13)
John Dewey, filosofo e pedagogista,
analizza il concetto dell’esperienza
come rapporto tra uomo ed ambiente
nell’opera “L’arte come esperienza”,
in Italia pubblicato per la prima volta
a Firenze, La Nuova Italia, 1951.
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Tableware as Sensory Stimuly,
Jinhyun Jeon, 2013.
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Juicy Salif, Philppe Starck, per
Alessi.
Uno dei modi più efficaci per provocare interesse
nell’individuo è attraverso il coinvolgimento sensoriale per
creare emozioni. Il design che si occupa di multisensorialità
si affida a diversi strumenti per elaborare forme, suoni,
colori, profumi, materiali che riescano ad abbracciare i
cinque sensi. Oltre alla dimensione sensoriale, vi sono
altri escamotage per attirare l’attenzione di una persona
come, per esempio, la sorpresa che rende indimenticabile
l’esperienza, l’alterazione della misura o il senso di un
prodotto (esplicativo è il caso dello spremiagrumi Juicy
Salif(12) per Alessi disegnato da Philippe Starck) e oggetti
che rievocano un ricordo,
spesso dell’infanzia (le
forme rotonde e morbide
dell’Audi TT ricordano
le automobiline con cui
giocano i bambini).
Ma cos’è l’esperienza?
Nel 1934 John Dewey(13),
filosofo americano,
definisce l’esperienza come
l’interazione tra essere
vivente e il suo ambiente
naturale e sociale, con un
raggio più ampio della sola
conoscenza.
Secondo questa definizione,
subentrano due fattori
fondamentali contrapposti:
da un lato le condizioni
interne e soggettive e
dall’altro quelle esterne
e oggettive ricollegabili
all’ambiente circostante.
Una delle caratteristiche
dell’esperienza in entrambi
i casi è la variabile
dell’estetica in cui si inserisce il ruolo del designer che
riesce a restituire la corretta importanza alla centralità
dell’uomo. Donald Norman, docente di scienze cognitive
ed ex vicepresidente di Apple computer, infatti, dimostra
come l’esperienza sia legata alla fasi relative all’uso
dell’oggetto stesso: acquisto, apertura del packaging,
eventuale assemblaggio, primo impatto relativo al primo
uso, la fruizione di routine, la manutenzione, la relazione
24 – I TRADIZIONALI
IMG 7
con i servizi offerti, fino ad
arrivare alla fine del ciclo di
vita del prodotto stesso.
L’emozione relativa ad un
prodotto attraversa diverse
fasi in cui il designer non
lascia più niente al caso:
ogni fase deve apportare
un coinvolgimento positivo
in relazione alla mente e al
contesto circostante in cui
si inseriscono affettività,
emotività, dimensione
cognitiva e piacevolezza.
Il progettista viene sempre
più coinvolto dalle imprese
in quanto riesce a rendere
la persona il protagonista
dell’interazione con i
prodotti e i servizi offerti,
progettati sotto una chiave
di lettura ben precisa:
aumentare l’esperienza
dell’utente a seconda
dell’ambiente e della
“magia” che si cela dietro
una piacevole e appagante
scoperta.
Cosa comporta quindi
l’esperienza?
Il designer di oggi è in grado
di dimostrare l’importanza
di una singola o di infinite
esperienze in relazione
a un sistema molto complesso che riguarda strategie
differenti come la comunicazione, il prodotto stesso, i
servizi interconnessi offerti all’utente che desidera sempre
più condividere l’esperienza del processo progettuale e
produttivo.
25 – I TRADIZIONALI
1.6
UN DESIGNER “Centauro”
(4)
Dalla voce centauro “centauro” /
Dizionario della lingua italiana
Devoto Oli, Le Monnier, Firenze 1995
centàuro s. m. (raro il f. -a o -éssa) [dal
lat. centaurus].
Figura biforme della mitologia greca
(il cui nome deriva dal capostipite
Centauro, figlio di Issione), partecipe
della natura del cavallo (le quattro
zampe e la groppa) e dell’uomo
(dal bacino in su), che, secondo la
leggenda, viveva sui monti della
Tessaglia.
IMG 8
“Wonders of the World”, Therouanne
(?) ca. 1277
Il mito del centauro(4): Riccardo Dalisi definisce “la figura
del centauro un simbolo attuale. Essa appartiene al mito
dell’antica Grecia, metà animale metà uomo, un simbolo che
unisce il mondo arcaico con il mondo della storia nascente.
Simboleggia un trapasso, una metamorfosi, una fusione di
valori. È una figura complessa e circolare, bipolare, uomo e
animale, antico e moderno, guaritore ferito.”
Con questa affermazione, R. Dalisi paragona il centauro alla
nuova cultura del progetto che ha reinterpretato la propria
organizzazione in due direzioni: da un lato abbiamo una
dimensione protettiva, dall’altra parte una forma aperta al
dibattito e a nuovi orizzonti.
Uno studio di design nell’era contemporanea assomiglia
sempre più ad un’azienda perché si presenta al “mercato”
con una propria microimmagine ed è una struttura aperta
pronta ad instaurare un rapporto dialogico , caratteristica di
base di ogni impresa.
Il dialogo si fonda su tre variabili:
/ Senso di responsabilità sociale attraverso il rispetto delle
regole.
/ Attitudine alla cooperazione e al confronto.
/ Creazione di senso come obiettivo finale di ogni progetto.
26 – I TRADIZIONALI
txt
IMG 8
27 – I TRADIZIONALI
2.
ATOMS ARE THE NEW BITS
2.1
“ATOMS ARE THE NEW BITS”
(14)
Traduzione letteraria “arti e
mestieri”, è stato un movimento
artistico per la riforma delle arti
applicate, una vera e propria
reazione intellettuale di artisti e colti
all’industrializzazione crescente della
fine dell’Ottocento.
(15)
“L’uomo artigiano”, di Richard
Sennet, Professore di sociologia alla
London School of Economics e alla
New York University. Pubblicazione
del libro che è ricerca intorno al
significato più profondo di “lavoro
fatto a regola d’arte” di Feltrinelli,
2012.
(16)
Tratto dall’articolo “Sulla nuova
Rivoluzione”, di Francesca Gattello,
pubblicato sul blog Pressletter, 4
Novembre 2013
(17)
Chris Anderson, giornalista e
saggista americano, direttore di
Wired.
Dopo il boom economico, abbiamo assistito all’avvento
della società dei consumi, caratterizzata da una massiccia
diffusione di prodotti “usa e getta”, fino agli inizi del 2000.
A partire dallo scorso decennio, si è sempre più insinuato
nelle persone un sentimento di rifiuto nei confronti di tutto
ciò che è standardizzato e che non rispecchia la personalità
dell’individuo, riavvicinando i clienti verso la dimensione
dell’artigianato.
La risposta romantica del movimento “Arts and Craft”(14)
alla macchinizzazione della Prima Rivoluzione Industriale
può essere paragonata a ciò che sta accadendo oggi con
l’avvento del cosiddetto “Uomo Artigiano” (15) e dei Makers,
come alternativa alla produzione industriale in un periodo di
crisi.
Come ci ricorda Francesca Gattello(16), nell’articolo “Sulla
nuova Rivoluzione”, pubblicato su Presstletter, “evolvere
significa “trasformarsi gradualmente verso forme più
progredite”, dunque la ripresa dell’artigianato come
modello produttivo ed economico non può considerarsi
una soluzione praticabile, significherebbe voltarsi indietro,
regredire.” Secondo questo pensiero, si può pensare che
l’artigianato può suggerire nuovi metodi e far riflettere sulla
condizione che stiamo vivendo, ma la formula vincente può
essere intravista nel binomio artigianato e tecnologia che si
basa su una società critica e consapevole.
La prossima rivoluzione industriale, secondo ciò che
sostiene Chris Anderson(17) nell’articolo “In the next
Industrial Revolution, atoms are the new bits”, pubblicato
su Wired nel 2010, sarà guidata da una generazione nuova
costituita da piccole imprese basate sul risultato del lavoro
combinato di artigianato e tecnologia, in grado di fornire
prodotti innovativi in quantità limitata ma personalizzati. Ciò
a cui si andrà incontro è una combinazione tra le qualità e le
caratteristiche dell’artigiano di una volta unite all’efficienza
della produzione in serie, in scala globale per la scelta dei
fornitori, per i canali di distribuzione e per l’apertura al
dialogo coi clienti finali.
Stiamo già vivendo la Rivoluzione Digitale e, al contrario
delle precedenti rivoluzioni capitanate dagli ingegneri,
questa volta troviamo alla guida i designer che, con la loro
sperimentazione e la continua ricerca, aiutano le imprese a
progettare le tecnologie di cui hanno bisogno, a sviluppare
nuovi materiali e a individuare strumenti di produzione e
distribuzione. La concezione della dinamica
economico-produttiva sta cambiando, basti pensare a:
31 – I TRADIZIONALI
IMG 9
32 – I TRADIZIONALI
IMG 9
Enthusiasts of the maker movement
foresee a third industrial revolution.
Illustration by Harry Campbell.
le tecnologie digitali come le stampanti 3D e il sistema
Arduino, il movimento DIY supportato dalla conoscenza
condivisa online, le proposte di sistemi di produzione
modulari che decostruiscono la produzione industriale
tradizionale, l’uso di materiali alternativi.
Si sta profilando progressivamente un contesto futuro
in cui crescono le relazioni tra industria e progettisti con
una visione focalizzata sull’utente, in quanto loro stessi
consumatori, per gestire al meglio le risorse e le varie fasi di
progettazione, produzione, distribuzione.
In Italia, all’interno di un panorama progettuale intento
ad approfondire le dinamiche dell’autoproduzione e del
riuso, troviamo qualche pioniere delle nuove tecnologie,
come l’impresa D-Shape dei fratelli Dini, Fabtotum e DWS
Systems. Lo scenario italiano in cui si inserisce il design, e
non solo, oggi non è uno dei più incoraggianti. I dati generali
dimostrano che i consumi non aumentano, l’esportazione
diminuisce e si respira un clima di incertezza e sfiducia alla
quale si somma la situazione europea che non è una delle
più floride.
A questi dati si aggiungono sintomi per cui si parla spesso
di perdita della “cultura” per cui, se in passato è stata
quest’ultima la promotrice del successo del boom italiano
degli anni ’50, oggi si rischia di perdere anche uno dei fattori
in grado di produrre innovazione.
Una delle caratteristiche dell’Italia è la sua grande
inclinazione all’autoimprenditorialità che, soprattutto nel
caso di piccole e medie imprese, non demordono e cercano
di sopravvivere al mercato internazionale affidandosi
al designer. In che modo può intervenire il designer in
una situazione così critica? Sicuramente la dimensione
strategica e gli strumenti utilizzati da questa figura gli
permettono di individuare le opportunità di mercato
attraverso ciò che ha sempre svolto, la preparazione di
un concept adatto all’azienda, ma volgendo il supporto
all’intero processo delle nuove imprese.
L’evolversi del modo di progettare è direttamente
proporzionale al mutamento del sistema economico e
culturale per cui è interessante comprendere effettivamente
il cambiamento.
Su cosa puntano le aziende per sopravvivere? La tendenza
delle aziende è quella di concentrarsi sulle ricerche di
mercato e sulle motivazioni che sostengano gli aumenti di
volumi di vendita. A tal proposito, infatti, il designer supporta
le imprese a comprendere il comportamento dei clienti, le
33 – I TRADIZIONALI
(18)
Tratto da “Special Report: UX
Business and ROI” e dall’articolo
“Comprendere il cambiamento.
Il valore della user research”,
pubblicato su www.sketchin.ch, 10
giugno 2014
IMG 10
Riproduzione con una stampante 3D
dell’illustrazione “From desktop to
production” di Brett Ryder
IMG 11
Illustrazione di Enzo Mari pubblicate
su “Strade blu” / mondadori, 2011.
loro esigenze, le condizioni che apportano soddisfazione e
dove si possono trovare delle opportunità di sviluppo.
Una delle parti fondamentali è, per esempio, lavorare
sul miglioramento della qualità dell’esperienza vissuta
nel sistema dei servizi offerti in base a delle modalità e
degli obiettivi. Bisogna sempre puntare a legare l’utente
attraverso una condizione di affettività per cui ecco un
exploit di apertura di e-commerce, siti che si aggiornano
continuamente e applicazioni che ampliano la scala dei
servizi esistenti. All’interno di questo sistema, però, torna e
ritorna sempre la questione su cosa effettivamente vogliono
i clienti. La questione è molto delicata poiché in confine tra
successo e fallimento è molto labile e dipende da cosa e
come l’azienda lascia un ricordo memorabile alle persone.
Di fatto, ci troviamo in un contesto evolutivo caratterizzato
da tantissimi variabili di natura imprevedibile, come quelli
culturali, emozionali, tecnologi e modaioli, per cui risulta
davvero difficile definire una “ricetta” vincente per le aziende
per superare le aspettative del pubblico.
Ogni azienda è sinonimo di un ecosistema unico nel
suo genere in cui sono attuate modalità e strategie di
funzionamento diverse
rispetto alle altre. Ciò
comporta un approccio
dedicato e specifico in base
ad ogni tipo di azione e le
aziende che negli ultimi
anni hanno investito nella
ricerca finalizzata all’utente,
detta anche User Research,
dimostrano che hanno
ottenuto addirittura un
incremento del +240%
della fidelizzazione e del Net
Promoter Score(18).
Dal momento che non è
la sede per approfondire
dati e numeri relativi alle aziende, è interessante spostare
l’attenzione su cosa è una User Research. Essa è definita
come lo studio della comprensione delle persone, siano esse
nel ruolo di clienti, fruitori, utenti, prospect, team aziendale,
fruitori. Questa ricerca comprende, in poche parole, tutte
le persone con bisogni ed esigenze da soddisfare che
gravitano attorno alle realtà aziendali e che interagiscono
con quest’ultima. Un’azienda che investe energie e
34 – I TRADIZIONALI
(19)
Tratto dall’articolo “Milano si fa
da sè. Laura Agnoletto racconta
il progetto MISIAD pensato per
valorizzare le autoproduzioni
milanesi di design”, pubblicato da
Sofia Lauro su LivingCorriere, 2011
IMG 11
tempo all’attenzione dei propri clienti e di quelli potenziali
incrementa le proprie performance e riesce a tracciare
un percorso per raggiungere nel migliore dei modi i propri
obiettivi, in base alla definizione di valori oggettivi.
Qual è il rapporto tra i designer e le imprese italiane? Nella
storia italiana possiamo ripercorrere tanti casi di grandi
imprenditori e maestri del design che assieme hanno fatto
la Storia del Design italiano e che rappresentano anche
all’estero un esempio di grande valore. Anche se le piccole
e medie imprese che caratterizzano la nostra Penisola fino
ad ora sono sempre riuscite a sopravvivere e a distinguersi
a livello internazionale, oggi(19) la situazione presenta le
prime crepe e i limiti che le aziende italiane devo sostenere a
fronte di un’inesorabile globalizzazione. Delle tante piccole e
medie imprese che costellano il nostro territorio, solo alcune
davvero eccellenti riescono a fronteggiare la competizione
dei prezzi e lo sviluppo dei Paesi che fino a un decennio fa
non si presentavano sul mercato.
Le imprese legate al mondo del design riescono ancora a
35 – I TRADIZIONALI
(20)
Chiara Alessi, curatrice e critica
del design. Nel 2014 Laterza ha
pubblicato il suo saggio sul nuovo
design italiano “Dopo gli anni Zero”.
(21)
Enzo Mari, “Autoprogettazione?”,
Corraini, Gennaio 2002
IMG 12
Illustrazione di Enzo Mari pubblicate
su “Strade blu” / mondadori, 2011.
distinguersi perché caratterizzate da un sistema digestione
di stampo familiare e perché collaborano con i designer,
non solo per ragioni di sviluppo formale del prodotto. Gli
imprenditori che attuano un ragionamento del genere
e che riconoscono nel designer un ruolo centrale per il
miglioramento dell’intero processo produttivo sono ancora
davvero esigui e il rischio che un progettista rimanga inserito
nell’immaginario comune di semplice “esecutore di estetica
e forme” , purtroppo, comune.
La produzione nelle aziende è ormai delegata a terzi e la
distribuzione tradizionale ha mostrato le prime crepe. È una
soluzione possibile e più sostenibile concentrare in un’unica
figura, quella del designer, le fasi di ideazione, di produzione
e di distribuzione?
Negli ultimi anni si è parlato tanto di “designer impresa” che,
come ci ricorda Chiara Alessi (20) nel libro Dopo gli anni Zero,
il nuovo design italiano, “ha l’ambizione di sostituire in maniera
agile e simultanea il sistema complesso della produzione
tradizionale, arricchendo la relazione tra designer e produzione,
tra competenze tecniche e distributive, tra progettazione
individuale e collettività”.
Questo profilo nel Belpaese coincide con quella
dell’autoproduttore che ha l’esperienza del progettista e gestisce
le fasi di ideazione, progettazione, realizzazione, distribuzione
e comunicazione in maniera autonoma e parallelamente alla
relazione che ha fino ad ora legato i designer e le aziende.
I primi sintomi di “autoproduzione” in Italia sono
già riscontrabili con l’esperimento “manuale di
autoprogettazione” di Enzo Mari(21) e l’azienda Produzione
Privata fondata da Michele De Lucchi con cui produceva i
suoi progetti. Al contrario di questi ultimi due esempi della
storia del design italiano, oggi le motivazioni che portano
l’autoproduzione ad essere un fenomeno ormai comune
sono altre: con l’aumento delle tecnologie a portata di
tutti, dei software open source in aggiunta all’idea di un
design diffuso, si insinua l’ipotesi che un giorno le persone
potranno realizzare i propri i prodotti in casa; produttore e
utente-consumatore si scambiano a vicenda il proprio ruolo;
la riscoperta delle forme dell’artigianato e della manualità
di alto livello; l’idea di un nuovo tipo di distribuzione che
ascolta l’esigenza del consumatore di poter acquistare
prodotti limitati e altamente personalizzati; l’aumento
esponenziale della vendita online.
La trasformazione del sistema produttivo include anche
altri fenomeni come quello dei Makers, cioè persone che si
36 – I TRADIZIONALI
37 – I TRADIZIONALI
(22)
Tratto da www.segnoitaliano.it
(23)
Tratto da www.arduino.cc
(24)
Tratto da www.slowd.it e www.
adidesignindex.com “design dei
servizi”
servono di strumenti digitali e tradizionali per creare da sé,
in cui l’autoproduttore italiano si rivede. In Italia, quindi, si
manifesta una sorta di sintesi tra i due fenomeni con risultati
nel design di due tipi: da un lato un design più tecnologico
aperto a tutti grazie a laboratori e officine , come i FabLab,
che mettono a disposizione strumenti per realizzare i propri
oggetti, e dall’altra parte un design con una forte impronta
artistica e artigianale le cui produzioni sono ridotte e
privilegiano una produzione su richiesta.
Il caso Segno Italiano(22) rappresenta la riscoperta
dell’artigianato. Il loro manifesto afferma che “Segno Italiano
è un’agenzia in grado di valorizzare e commercializzare
prodotti di alto artigianato italiano, a livello internazionale”.
L’agenzia lavora come agente e editore per gli artigiani,
creando un sistema che unisce una piattaforma sociale
e multimediale con delle piccole aziende artigiane
storiche e di alta qualità attraverso l’organizzazione di una
documentazione video, il confronto e l’organizzazione di
eventi.
Arduino(23), dall’altra parte, rappresenta il successo
dell’open source che si pone l’obiettivo di dare la possibilità
ad un numero sempre più ampio di persone di essere
creatori, fruitori e individui consapevoli della cultura
materiale. Arduino, in sostanza, rappresenta il binomio tra
comunità di confronto-perfezionamento e autoproduzione.
Gli oggetti non sono più il risultato di una produzione industriale,
ma sono progetti che nascono da un’esperienza che somma
l’analogico al digitale, in cui la componente personale del
progettista e quella della personalizzazione per l’utente sono
elementi da condividere nel sistema che coinvolge: produttori,
progettisti, utenti finali. Questi ultimi sono chiamati a riadattare,
intervenire e rendere migliore e unico il prodotto finale.
In questo panorama in cui le capacità manuali vengono
riscoperte e quelle digitali sperimentate, i designer impresa
rappresentano un contributo indiretto all’accrescimento
della consapevolezza del processo produttivo e il web
diviene il canale adatto a questa diffusione. La rete permette
di condividere risultati, sperimentazioni ed esperienze
sorpassando la distribuzione tradizionale che non è più in grado
di gestire il confronto.
Il caso Slowd rappresenta un esempio calzante di vendita online
che ha eliminato i costi di magazzino e ha accorciato la filiera
distributiva.
Slowd(24) è una piattaforma che permette a artigiani e
designer di vendere online prodotti realizzati a Km zero.
38 – I TRADIZIONALI
39 – I TRADIZIONALI
2.2
DA AZIENDA AD AZIENDA-EDITRICE
Grafico 1
Grafico rappresentativo dei ruoli
dell’azienda (nero) e dei designer
(rosso) ieri.
Come sappiamo, il designer ricompre un ruolo
fondamentale per la ricerca formale ed estetica di un
prodotto, per il mercato e per l’anticipazione dei trends.
Solitamente le aziende si affidano ai progettisti come figure
esterne sia per contribuire alle creazione di un prodotto
che per eventuali consulenze e ispirazioni per generare
innovazione.
Prima le aziende design oriented avevano un ufficio tecnico
e gestivano al proprio interno l’intera fase di produzione,
distribuzione, di comunicazione e immagine. Il ruolo del
designer era, per così dire, “marginale” poiché si dedicava
alla progettazione o alla stesura di un concept che poi
destinava all’azienda che glielo aveva richiesto o che lui
stesso aveva contattato.
In questo modo l’azienda deteneva in mano l’intera
produzione e si occupava della produzione poiché la sua
struttura fisica presentava gli impianti e le macchine utili
a tale sistema. Essa, inoltre, rappresentava il passaggio
tra designer e utente finale, i quali non consideravano
assolutamente possibile una forma di dialogo diretto. Oltre
alla fasi di concept e una primissima fase di sviluppo del
prodotto, il contributo del progettista rimaneva esterno
all’azienda poiché le decisione erano riservate all’interno
dell’azienda, già nelle fasi di ingegnerizzazione del prodotto
riservate ai tecnici.
A causa del cambiamento a livello globale dei sistemi
produttivi e culturali, molte aziende hanno perso questo
ruolo e hanno introdotto nuove strategie come, per esempio
la ricerca sull’utente e la dimensione esperienziale dei
servizi e progressivamente sono andati persi gli impianti
produttivi, sempre più delegati alle aziende terziste nate
come funghi nel continente Asiatico.
40 – I TRADIZIONALI
Grafico 2
Grafico rappresentativo dei ruoli
dell’azienda (nero) e dei designer
(rosso) oggi.
Molte aziende oggi, a causa del periodo storico, si
differenziano rispetto a quelle di stampo “tradizionale”
tendono a ridurre gli investimenti, soprattutto nello sviluppo
e nella ricerca, evitando di rischiare. Chi si muove, invece,
nell’altra direzione sono le cosiddette “aziende-editrici”, le
quali delegano molte fasi, rischiando così il meno possibile
in prima persona. In quest’ultimo caso, il progettista, anche
se rimane, come ieri, all’esterno dell’azienda finalmente si
occupa anche di tutte le altre fasi. I compiti una volta svolti
dall’azienda ora sono completamente affidati al designer
che, oltre alla fase di concept, può gestire lo sviluppo,
la produzione e, in casi alternati, anche l’immagine e la
comunicazione dell’intero sistema relativo al prodotto.
Si delinea così un nuovo tipo di azienda, un’azienda editrice.
L’editoria è un’attività che, solitamente, viene ricollegata
ad un’attività imprenditoriale di gestione e produzione
di contenuti sia in relazione alla distribuzione che alla
commercializzazione e che apre una finestra nel modo dei
libro e della musica. Al suo interno vi è l’editore che svolge
la selezione ed esercita una serie di azioni strettamente
connesse a tale processo.
Così come un editore seleziona gli originale, cura e rende
accessibili determinati contenuti al pubblico, oggi le
aziende-editrici nel campo del design sono quelle che
svolgono le stesse identiche azioni ma rivolte ai designer.
Si attua una vera e propria “caccia” ai prodotti da inserire
all’interno del catalogo dell’azienda e ciò implica un vero
e proprio cambiamento e scambio dei ruoli del designer e
dell’impresa.
L’azienda cerca, o meglio sceglie tra le infinite possibilità
fra i progettisti che offrono un prodotto finito, che assicura
meno sprechi ti tempo ed energie e al contempo può essere
meglio valutato da un punto di vista di sicurezza del mercato
e di fattibilità.
41 – I TRADIZIONALI
IMG 14, 15, 16
Established & Sons, azienda inglese.
Dall’alto verso il basso: immagine del
sito, banner pubblicitario sul sito e
immagine coordinata.
IMG 17 E 18
Dallo schema si può intuire come il designer che offre
un “pacchetto completo” del progetto che comprende
fornitura, comunicazione, foto, prototipo funzionante che
dimostra la fattibilità dell’prodotto e addirittura i clienti, ha
una maggiore probabilità di essere inserito all’interno del
catalogo successivo della azienda.
La chance design, azienda francese.
Nell’ordine dall’alto verso il basso:
catalogo e immagine sito (pagina
designers).
Per concludere possiamo quindi dire che l’impresa
concentra tutte le forze nella ricerca dei prodotti
maggiormente coerenti rispetto alla propria identità di
brand e alla distribuzione,
per mantere un alto livello
competitivo.
Due esempi di aziendeeditrici, ovviamente nuove,
sono “Estabilished & sons”
e “La chance”, nell’ordine
rispettivamente inglese e
francese.
Come è possibile notare
dal sito di entrambi i
marchi,viene data molta
importanza alla selezione
dei prodotti, offerta che
deriva dalla scelta di un
ampio bacino di progettisti
che arrivano da ogni parte
del mondo. Un’altra parte
fondamentale del sito è
quella dedicata al profilo
dei progettisti, un po’ come
se fossero loro l’animo
dell’azienda e non più
l’esperienza decennale e
tradizionale che mostrano le aziende più
storiche. Questo cambiamento deriva non
solo dall’impronta dell’azienda-editrice ma
anche dall’esigenza dell’utente di “conoscere”
il progettista che ha disegnato il prodotto,
quasi come se al momento dell’acquisto,
quasi sempre su e-commerce, si scegliesse il
volto del designer prima ancora del prodotto.
42 – I TRADIZIONALI
IMG 17
IMG 18
43 – I TRADIZIONALI
2.3
IL CONFINE TRA AUTOPROMOZIONE E AUTOPRODUZIONE
Nel paragrafo precedente sono stati analizzati i
cambiamenti delle aziende e dei ruoli da stampo
tradizionale a azienda-editrice. Ma cosa comporta questo
sistema per un designer?
Nel momento in cui il progettista propone ad un’azienda un
“pacchetto completo” di un prodotto ciò non significa che il
prodotto inevitabilmente andrà in produzione o finirà nella
selezione del catalogo. La competizione oggi è molto alta
e si aggiunge alle difficoltà che l’economia, soprattutto in
Italia, sta attraversando.
Per ottenere maggiori possibilità di visibilità da parte delle
aziende che spesso sono molto difficili da contattare, molti
progettisti attuano due tipi di strategie: l’autopromozione e
l’autoproduzione.
L’autopromozione comporta la partecipazione a eventi
importanti e di rilievo internazionale come fiere dedicate
al settore e il Salone del Mobile che si svolge ogni anno a
Milano. Ciò non si limita alla semplice partecipazione ma
si riferisce ad una vera e propria campagna di promozione
dei propri prodotti che, anche se effettivamente ancora
non in produzione, mirano alla massima visibilità sia a
livello fisico che tramite pubblicazioni su riviste e blog. Per
poter riscuotere il maggior successo possibile da questo
punto di vista, è indispensabile che il progettista sviluppato
il progetto in tutte la fasi e avere a disposizione, oltre al
prototipo, anche foto da catalogo e una forte immagine
comunicativa.
Il passo tra autopromozione e autoproduzione, che
analizzeremo in maniera più approfondita nel seguente
paragrafo, è breve ma ciò che fondamentalmente differenzia
la prima modalità dalla seconda è il tipo di investimento.
Nell’autopromozione il designer gestisce le fasi che
partono dalla ricerca e dal concept fino ad arrivare alla
comunicazione, delegando la fase di effettiva produzione
(in alcuni casi dopo aver fornito il terzista all’azienda)e
distribuzione all’impresa. Nel caso dell’autoproduzione,
invece, gli ultimi due step sono gestiti dal designer stesso.
Tra gli esempi più significativi dei casi di autopromozione
si ricordano Gamfratesi e StudioKlass, ai quali sono state
rivolte alcune domande, rispettivamente su un prodotto,
per comprendere le modalità intraprese per aumentare la
visibilità.
44 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #1
GAMFRATESI / ENRICO
(25)
Intervista svolta via mail
IMG 19
Stine e Enrico, Studio Gamfratesi.
Come è nata l’idea di “Rewrite”(25)?
Abbiamo progettato Rewrite in occasione di un’esposizione
personale in un museo in relazione con un premio ricevuto.
La scrivania è una sorta di bolla insonorizzata che protegge
dalla luce e dai rumori esterni, attutendo anche i suoni
provenienti dall’interno. Abbiamo voluto accentuare il senso
di dolcezza e di sicurezza rimandata dalle forme attraverso
la scelta di materiali naturali e pregiati come il legno di noce
e la lana Divina di Kvadrat.
Che tipo di esperienza
avevate quando avete
cominciato a progettarlo?
Quando abbiamo
progettato Rewrite, lo studio
GamFratesi era aperto
già da qualche anno e,
soprattutto, avevamo già
realizzato e lavorato con gli
stessi materiali. Cerchiamo
sempre di mantenere tre
caratteristiche nei nostri
prodotti: poetico, onesto e
personale.
Per la realizzazione del
prototipo vi siete rivolti ad
un artigiano?
Sì, i nostri progetti uniscono
sempre i background da cui
proveniamo e che ci hanno
formato: la tradizione dei
mobili danesi e un approccio
concettuale italiano.
Lavoriamo spesso a stretto
contatto con gli artigiani e,
come nel caso di Rewrite,
cerchiamo di ricercare una
forte emozione e una storia
dietro ogni prodotto.
Che tipo di rapporto avete instaurato con l’artigiano?
Sicuramente tecnico e professionale. Abbiamo un profondo
rispetto per gli artigiani scandinavi perché hanno una
grande esperienza nel campo dei mobili e miscelano qualità
e attento uso dei materiali.
Come vi siete mossi per la reperibilità e la fornitura dei
materiali?
45 – I TRADIZIONALI
IMG 20
Rewrite, Ligne Roset, 2011
IMG 21
Schizzi di progetto di Rewrite.
Erano materiali che già avevamo usati in passato infatti
cerchiamo di prediligere materiali naturali perché onesti
e belli, senza escludere le possibilità offerte dalle nuove
tecnologie.
Il materiale è senza dubbio una parte fondamentale di
Rewrite e dei nostri progetti in generale. L’uso di materiali
naturali permette di creare un legame tra le culture da cui
proveniamo.
Che tipo di canali
di comunicazione
avete prediletto per la
promozione di Rewrite?
L’evento in occasione
dell’esposizione al museo
ci ha dato grande visbilità
e poi da lì sono partite
autonomamente le
pubblicazioni i riviste e blog
di settore.
Come è avvenuto
l’incontro con Ligne
Roset? Altre aziende
avevano espresso il
proprio interesse per il
prodotto?
C’è stato interesse da parte di
diverse aziende di design, tra
cui anche Ligne Roset che è
stata determinata fin dall’inizio
a voler produrre Rewrite.
Abbiamo quindi deciso di
inizare questa collaborazione.
Durante il passaggio da prototipo a prodotto finale, sono
state riscontrate alcune problematiche?
Per fortuna, non abbiamo riscontrato alcuna problematica
di sviluppo.
Quando il prodotto non faceva ancora parte del catalogo
di Ligne roset, i clienti vi contattavano direttamente per
comprarlo? Se sì, come?
Sì, in molti ci hanno contattato via mail.
Avete mai pensato di aprire uno shop online dedicato sul
sito dello studio?
No, non ci interessa.
Cosa ne pensate del crowdfunding in generale?
Il mio è un no.
46 – I TRADIZIONALI
47 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #2
STUDIOKLASS / MARCO
(26)
Intervista svolta dal vivo
IMG 22
Marco Maturo e Alessio Roscini,
StudioKlass.
IMG 23
Schizzi di progetto di Balloon per
Azzurra Ceramiche.
Com’è nata l’idea di Balloon(26)?
Balloon è la rivisitazione del classico servo muto. Il progetto
è nato per un allestimento per l’Appartamento Lago durante
il Salone del Mobile di qualche anno fa.
Era una delle prime volte che realizzavamo un prototipo
e un pochino ci rodeva di dover “investire” così tanto per
un progetto. Noi siamo abituati a lavorare moltissimo con
la modellazione 3D e i render foto realistici, soprattutto
perché quando si prototipa l’investimento dei soldi è a
scatola chiusa. Abbiamo però voluto fare questo duplice
esperimento che comporta prototipo e foto ad hoc per una
buona pubblicità.
Come avete pubblicizzato Balloon? Qualche azienda si
era dimostrata interessata al prodotto?
Il prodotto è piaciuto tanto
durante l’esposizione
all’appartamento Lago e
da lì i giornalisti ci hanno
contattati per avere il
press kit. Le pubblicazioni
su Balloon sono frutto
delle richieste da parte
dei giornalisti. Per quanto
riguarda le aziende abbiamo
ricevuto qualche richiesta
di collaborazione che poi
si è persa per strada. La
produzione di Balloon
è frutto di quello che io
chiamo “fattore casualità”
che nel design è la sola
regola. E la cosa mi spaventa
perché non si può gestire.
Spiegati meglio, cosa intendi per “fattore casualità”?
Dopo l’esperimento di prototipazione e comunicazione
di Balloon, il prodotto è rimasto inserito nel nostro sito e
nel portfolio che usiamo solitamente per presentarci e
per collaborare con le aziende. Durante una riunione con
Azzurra ceramica, un’azienda romana che si occupa di
sanitari con particolare attenzione al design, stavamo
presentando il nostro portfolio e casualmente avevamo
lasciato Balloon al suo interno. L’attenzione è stata
focalizzata improvvisamente sul prodotto che, anche
se non rientra nelle tipologie di produzione dell’azienda,
semplicemente piaceva e hanno deciso di realizzarlo.
48 – I TRADIZIONALI
IMG 23
E non è la prima volta che ci
capita una cosa del genere,
lo stesso è accaduto a Parigi
durante la fiera Maison
des object dove abbiamo
conosciuto chi si occupava
della ricerca di prodotti e
dello sviluppo di un nuovo
brand chiamato Busso,
semplicemente perché
avevamo gli stand uno di
fianco all’altro. Da lì è partita,
con una serie di situazioni
in cui il “fattore casualità”
era molto forte, la nostra
collaborazione.
Cosa ne pensi del
crowdfunding?
Io amo pensare che
funziona ancora oggi il
legame classico che si
instaura tra progettista
e azienda e spesso ho
riflettuto sul crowdfunding
giungendo ad una soluzione:
non mi piace.
Non mi piace perché è
un sistema di moda, un
po’ come la stampa 3D, che illude che tutti possano fare i
designer. È un sistema che presenta delle lacune ma che sta
attuando un vero e proprio “bombardamento” di idee; penso
che ci vogliano delle limitazioni poiché concettualmente
funziona ma si autofagocita.
Nel crowdfunding mi sono reso conto che funzionano
il video fatto bene e un buon racconto a discapito del
progetto. Tutto quello che serve è un video.
Da un lato mi vien da pensare che la sicurezza blocca,
dall’altra parte invece l’ignoranza ci salva.
Ciò che mi piace del crowdfunding è che, oltre a ottenere i
soldi per la produzione, offre molte opportunità come per
esempio il feedback dei finanziatori, che corrispondono ai
futuri clienti, che ti permette di migliorare le caratteristiche
del prodotto ancora prima di metterlo in produzione.
49 – I TRADIZIONALI
IMG 24
Balloon, rivisitazione del classico
servomuto, 2012.
Autoprodurresti un tuo prodotto? Qual è il tuo parere
sull’autoproduzione?
L’autoproduzione ha senso quando il progetto che
sta alla base è pensato per essere realizzato secondo
questo sistema e non come piano B nel momento in cui il
progettista non è riuscito a trovare un’azienda disposta a
realizzare una produzione industriale.
Molto dipende quindi da quello che si vuole autoprodurre e
funziona molto quando si vuole creare una piccola azienda
basata su una tipologia di prodotto. StudioKlass crede
ancora in un’azienda di design di vecchio stampo, quindi per
il momento escludiamo questa visione.
50 – I TRADIZIONALI
2.4 Autoproduzione: modalità che dà
il via ad esperienze aziendali
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Collezione “Unveils”, di Tom Dixon,
presentata al Salone del Mobile del
2014.
Spesso si contrappone l’autoproduzione alla produzione di
tipo industriale. Più che una contrapposizione di modalità,
probabilmente è più corretto parlare di due modelli che
convivono da tempo e che restituiscono un’offerta molto
più ampia e ricca. Nell’ultimo decennio, infatti, soprattutto
all’estero, la combinazione di progettazione, produzione e
distribuzione ha dato il via ad esperienze aziendali, come
per esempio Tom Dixon e Marcel Wanders, che hanno creato
veri e propri marchi.
La scelta dei designer di rivolgersi al modello
dell’autoproduzione artigianale non è univoca ma è parallela
alla dimensione industriale. Molti progettisti, spesso, auto
producono per conto proprio ciò che un’azienda non ha
voluto includere all’interno del proprio catalogo, in attesa di
ricevere l’attenzione di qualche produttore. In alcuni casi,
quindi, l’autoproduzione rappresenta una fase temporale
che precede o che sostituisce la realizzazione di un
prodotto. È oggi la scelta univoca dell’autoproduzione un
metodo che raccoglie la sfiducia dei designer nei confronti
delle imprese che non sono più viste come dei luoghi di
ricerca e di sperimentazione?
51 – I TRADIZIONALI
(27)
Intervista “Design, scuola,
fabbricazione” a Stefano Maffei,
tratto da “Dopo gli anni Zero. Il
nuovo design italiano”, pag. 126, di
Chiara Alessi, Universale LaTerza,
2014
IMG 26, 27 & 28
Stand e allestimento in occasione
di Operae, mostra-mercato, Torino
2014.
I giovani designer che si affacciano al mondo del lavoro non
trovano la relazione classica committenza-impresa che ha
caratterizzato la storia del design italiano fino alla fine degli
anni Novanta. Ciò si verifica per due motivi principali: da un
lato la maggior parte delle imprese non ha più la capacità
di rispondere in maniera propositiva al cambiamento
e dall’altra parte vi è una forte domanda da parte dei
progettisti che vedono ormai un miraggio
l’idea di basare i propri guadagni sulle royalties
dei prodotti venduti.
I giovani designer, schiavi di questa
evoluzione, stanno contribuendo a
riconfigurare il ruolo del progettista all’interno
del nuovo panorama che coinvolge conceptproduzione-distribuzione attraverso nuovi
network e nuove relazioni tra tecnologia e
organizzazione sociale.
Uno dei suggerimenti per i progettisti che
arriva dal libro “Dopo gli anni Zero, il nuovo
design italiano” scritto da Chiara Alessi è di
Stefano Maffei(27), docente del Politecnico di
Milano, che si rivolge agli studenti dicendogli
che “quando il progettista immagina, non
deve immaginare solamente un prodotto,
ma può immaginare la complessa rete di
opportunità e vincoli che può configurare
o riconnettere con il suo impulso d’azione.
Può cioè immaginare futuri diversi in cui
gli oggetti (materiali e immateriali) con
i loro processi di produzione generano
anche lavoro, distribuzione di opportunità e
ricchezza, definizione di qualità ambientali,
trasformazione dei contesti di vita e di lavoro,
cambiamento delle risorse, orientamento
del sistema dei consumi di prodotti/servizi”.
In base a questo suggerimento, possiamo
quindi dire che un designer auto produttore
è un individuo che attiva dei sistemi di
ideazione-produzione-distribuzione non continui. In questo
modo questa figura professionale può fare consulenza in
senso tradizionale e accogliere, contemporaneamente,
competenze e lavori di ogni aspetto articolando modelli
collaborativi di design e produzione-distribuzione che
abilitano nuove opportunità.
52 – I TRADIZIONALI
53 – I TRADIZIONALI
2.5
QUAL è il ruolo dell’autoproduzione oggi?
(28)
“Autoproduzione e design italiano”,
saggio a cura di Dario Moretti, Le
Pagine dell’ADI | Associazione per il
Disegno Industriale
(29)
Intervista “Tre pareri
sull’autoproduzione” tra cui a Luisa
Bocchietto, pubblicata su www.
ideamegazine.net, 2014
Porsi questa domanda è un modo per riflettere come
nel progetto e nella produzione contemporanea
si favorisca un processo di “smaterializzazione” e
di “decontestualizzazione” grazie allo sviluppo di
nuove tecnologie. Una delle caratteristiche principali
dell’autoproduzione(28) è una sorta di enfatizzazione
di un mestiere, di una tecnica o di un’attività rivolte al
servizio di una comunità. Tali modalità sono tante e variano,
per esempio, dall’artigianalità al design-driven o dalla
specificità dell’autore alla forte territorialità di un manufatto,
mescolandosi di volta in volta tra di loro e hanno lo scopo
di realizzare prodotti che si raccontano da soli attraverso
narrazioni dirette e oneste. Qualche anno fa il mercato
equo-solidale ha riscontrato l’attenzione e l’interesse delle
multinazionali, allo stesso modo possiamo immaginare che,
in un futuro non troppo lontano, possa accadere lo stesso
per il settore dell’autoproduzione, ovviamente in chiave di
lettura differente.
Secondo Luisa Bocchietto(29), designer ed ex Presidente
di Adi, il design è principalmente disegno industriale e la
differenza tra design, artigianato e arte è molto distinta. In
base a questa affermazione, Luisa Bocchietto giustifica il
design autoprodotto come una tendenza e un’occasione
di espressione che pone la propria attenzione alla gente
e al territorio in cui si vive e non può essere associato
al fenomeno DIY (do-it-yourself), tipico del mondo
anglosassone.
È comune pensare che il design industriale e
l’autoproduzione siano due universi distanti ma, in realtà,
molti designer che si dedicano al design autoprodotto per
mettersi in luce e trovare aziende che producano in maniera
tradizionale, insomma si fanno autopromozione.
L’autoproduzione implica che il designer riesca a gestire
e a tenere sotto controllo tutti i passaggi della filiera
e guadagnare abbastanza, che non sono problemi da
sottovalutare. È per questo che molti designer, soprattutto
i più giovani, sfruttano l’autoproduzione come fase di
passaggio a eccezione di alcuni rari casi che si rivolgono
ad una specifica nicchia o intendono esprimere una
determinata. Si presentano così due strade: da un lato la
dimensione artistica che esprime un particolare concetto
filosofico,dall’altra parte l’ambito artigianale che si focalizza
su una particolare tecnica. In alcuni casi più articolati,
invece, il modello dell’autoproduzione cerca di mettere
in discussione il processo creativo mettendo a confronto
54 – I TRADIZIONALI
diverse figure per trovare un riscontro innovativo.
Se si volge lo sguardo al territorio italiano, le realtà locali più
interessanti che si interfacciano con l’autoproduzione sono
quelle che hanno una piccola rete di micro-imprenditoria e
che si trovano lontane dai grandi centri di comunicazione e
ciò si verifica in assenza di un territorio con forte impronta
industriale che offre opportunità che possono portare ad
una nascita di piccole imprese molto interessanti. Veneto,
Marche e Campania sono solo alcune delle regioni in cui si
sta diffondendo questo fenomeno e mostrano la presenza
di un interesse diffuso e di una qualità artigianale e di nuova
imprenditoria che non sempre è condivisa in tutta l’Italia.
grafico 3
Differenze tra pezzo unico (quasi
arte), serie limitata e produzione
simil azienda gestita da un designer.
A dar la possibilità ai designer, e non solo, di poter produrre
“quasi tutto” vi sono i Fablab dove l’autoproduzione delinea
la rivendicazione del designer a fare il “designer”. Per sua
vocazione il progettista ha sempre avuto il bisogno di
toccare la materia, realizzare le proprie idee e restituire
la propria visione del mondo. L’apertura dei Fablab pone
il designer ad accettare che “tutti” possano progettare
poiché chiunque può usufruire delle macchine che usavano
esclusivamente le industrie e può entrare a conoscenza
delle competenze di un designer o di un artigiano. In questo
modo l’individuo mostra un comportamento responsabile
nei confronti dei prodotti per cui si chiede come vengono
realizzati, quali sono i materiali e qual è il suo ciclo di vita.
55 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #3
DOSSOFIORITO / LIVIA & GIANLUCA
(30)
Intervista svolta via skype
IMG 29
Livia Rossi e Gianluca Giabardo,
Dossofiorito.
IMG 30
The Phytophiler, serie di vasi di
terracotta realizzati a mano.
Ho letto su domusweb un articolo molto interessante,
pubblicato il 14 ottobre 2014, intitolato “I designer del futuro.
Sette giovani designer per sette progetti originali: per la
seconda volta il Design Supermarket della Rinascente apre
le porte ai talenti selezionati dal Salone Satellite”.
Il tema centrale dell’articolo è “design, innovazione e
artigianalità”, tema che include materiali trattati con
tecniche tradizionali o nuove come il digital manufacturing,
in un dialogo tra produzione industriale e
artgianato.
Quest’anno avete presentato “The
Phytophiler” al Salone Satellite 2014.
Com’è nata l’idea(30)?
Livia ed io collaboriamo assieme dal
2012 e questo è stato il primo progetto
esposto al Salone Satellite. L’anno scorso
abbiamo partecipato con la lampada
“Lightscape” alla Galleria Rossana Orlandi
ma quest’anno abbiamo cercato di arrivare
“più preparati”.
The Phytophiler è ispirato al mondo
vegetale, è una serie di vasi in terracotta
torniti a mani, su cui sono installate
delle appendici funzionali attraverso un
sistema di fori. Abbiamo studiato alcune
ricerche scientifiche che dimostrano
quando la presenza di piante nei nostri spazi domestici
e lavorativi sia importante per il nostro benessere, ed è
proprio con le piante d’appartamento, vicine a noi nella
quotidianità, che finiamo con lo sviluppare un rapporto di
vera relazione simpatetica. Infatti, esse possono perdere
ai nostri occhi lo status di “cosa” per essere elette speciali,
vive. In questo scambio, noi umani arriviamo a notare
i loro micromovimenti e intuirne le necessità, fino ad
attribuirne a ognuna di esse una specifica personalità. I vasi
rappresentano dei tentativi di relazione con il mondo delle
piante, per testimoniare una nuova attitudine diffusa verso
la natura e l’acquisita consapevolezza di trovarsi di fronte
a esseri viventi e sensibili appartenenti a un mondo che ci
completa. Gli elementi aggiuntivi, infatti, rappresentano un
modo per relazionarsi con il mondo domestico delle piante,
attraverso metodi e sensibilità che sono tipici dell’uomo.
Gesti che migliorano il nostro rapporto con le piante e che
rappresentano un nuovo atteggiamento per diffondere il
rispetto e la complicità con la natura.
56 – I TRADIZIONALI
IMG 30
Il vostro studio è
giovanissimo e siete
ancora alle prime
armi. Come cercate di
autopromuovervi?
Non attuiamo alcun tipo
di strategia particolare,
crediamo che tutto succeda
da sé. Per noi, per esempio,
è stato fondamentale la
partecipazione al Salone
Satellite e lo scorso anno
alla Galleria Rossana
Orlandi perché siamo
riusciti a presentare dal vivo
i nostri progetti, creando
un confronto con chi era
interessato. Sicuramente
siamo riusciti a raccogliere
nuovi contatti e a conoscere
persone del campo che
hanno deciso di promuovere
il nostro ultimo progetto.
Il ceramista che vi ha
realizzato il prototipo è lo
stesso che sta realizzando
oggi la produzione?
La fase di prototipazione è
stata molto lunga poiché
abbiamo fatto diversi
tentativi con l’artigiano
ceramista. Abbiamo
realizzato degli “stampi fai da te” che abbiamo passato al
ceramista e tutt’ora quest’ultimo segue la nostra piccola
produzione.
I pezzi venduti non sono molti quindi riusciamo ancora a
gestire autonomamente la realizzazione dei sottovasi e delle
appendici ma, oltre ad essere poco profittevole, questo tipo
di mestiere toglie molto tempo e tante energie al nostro
lavoro intellettuale.
Ho visto che sul sito avete predisposto la sezione dello
shop online ma non è ancora possibile acquistare i vostri
prodotti. Come vi state attrezzando?
Sì, in realtà giusto ieri l’abbiamo eliminato dal menù
perché per il momento ci siamo resi conti che vi sono
57 – I TRADIZIONALI
IMG 31
Dettaglio, The Phytophiler,
Dossofiorito.
troppi problemi burocratici e troppe tasse da pagare. Ora
come ora, non solo lo shop presenterebbe una gamma di
prodotti molto ristretta ma toglierebbe molto tempo alla
progettazione che, non dobbiamo dimenticare, è un lavoro
intellettuale.
Spesso ci chiediamo come fanno gli autoproduttori?
Riflettendoci siamo arrivati alla conclusione che gli auto
produttori sono molto vicini agli artigiani o realizzano delle
“auto edizioni”, cioè editando e vendendo piccole collezioni.
Cosa ne pensate dell’autoproduzione?
La strada di “farsi le cose”
è una necessità. Durante
il Salone Satellite più
persone ci hanno esortato a
realizzare il nostro prodotto
dicendoci “Ragazzi, fatelo!”
ma dopo pochi mesi ci
siamo già resi conto che
portare avanti un progetto
all’interno di questo sistema
porta via molto tempo e
energie. L’autoproduzione,
come ti dicevo prima,
funziona in piccole serie ma
più che altro per rendere
sostenibile l’attività del
designer.
So che non avete mai partecipato ad un crowdfunding, ci
avete mai pensato? Cosa ne pensate in generale?
Il crowdfunding è un meccanismo molto interessante e
rivoluzionario. Riesce a dare una scrollata alle aziende ormai
fin troppo irrigidite e permette al progettista di saltare i
canali classici. Il rischio, secondo noi, di questo sistema è
che molti progetti sono naif e sottovalutano l’importanza
di una buona strategia, di un business plan e di un piano di
lavoro.
58 – I TRADIZIONALI
2.6 La distribuzione:
IN soccorso alcune piattaforme
IMG 32
Schema del modello attuale
adottato da Slowd. Infografica
realizzata da Slowd.
Una delle maggiori difficoltà riscontrate dai designer che
decidono di investire nell’autoproduzione è la distribuzione.
Come si evince dall’intervista di Dossofiorito, la questione
della distribuzione implica un investimento a livello di tempo,
energie e denaro che vengono sottratti al lavoro intellettuale
del designer.
Alcune piattaforme si sono interessate a questo problema
e fungono da tramite tra il designer intenzionato a vendere
e l’utente finale, supportando così l’autoproduzione. Di
fatto, si tratta di un sistema che ripone la sua forza nella
vendita on-line e che, quindi, si riferisce ad un target definito,
mediamente giovane e che ha abbastanza confidenza con i
pagamenti su Internet.
/ Slowd - www.slowd.it
Slowd si definisce la prima piattaforma
per artigiani e product designer, in quanto
offre loro un modo innovativo per produrre
e vendere prodotti artigianali online.
La piattaforma sintetizza, infatti, le fasi
della progettazione (design, prototipo,
prodotto e distribuzione) al suo interno e
si pone l’obiettivo di creare collaborazioni
e valorizzare il territorio italiano. Il portale
permette al designer di trovare nuovi
concept e, secondo una modalità basata
sulla community, di migliorarli e di creare
un confronto con gli artigiani scambiandosi
pareri e consigli. Inoltre, viene dato
supporto ai progettisti sulla delicata
questione della proprietà intellettuale del
progetto, sulla fornitura dei materiale e
sulla vendita sull’e-commerce dedicato
che permette di seguire, attraverso un
calendario condiviso la produzione in tutte
le sue fasi.
59 – I TRADIZIONALI
60 – I TRADIZIONALI
IMG 33
Modello attuale adottato da Slowd.
Infografica realizzata da Slowd.
/ Garagedesign - www.garagedesign.it
Garage design è un atelier di produzione e un workshop di
oggetti inediti di design, da produrre in piccole quantità.
Grazie al lavoro di talent scouting internazionale, la
piattaforma permette di far incontrare chi crea progetti
d’avanguardia con chi è alla ricerca di oggetti unici e
speciali da acquistare. Garagedesign, intenzionalmente,
esclude le logiche tradizionali della produzione seriale
sulla piattaforma favorendo la flessibilità e la libertà della
lavorazione semi-artigianale.
Dopo la prima selezione fatta all’interno del portale, è il
mercato a decidere quale prodotto sarà effettivamente
realizzato o meno. In questo modo in consumatore è il
vero protagonista dell’acquisto del bene e della sua stessa
realizzazione, contribuendo a un processo stenibile, privo
di sprechi e che da alle idee di valore l’opportunità di essere
prodotte.
Lo shop online mostra i prototipi selezione che possono
essere acquistati e, una volta raggiunta la soglia minima di
consensi che garantisce la sostenibilità economica della
produzione compare l’icona “aggiungi al carrello”. L’utente,
dopo aver acquistato il prodotto e ricevuto una mail di
conferma per l’accettazione dell’ordine per effettuare il
pagamento, da il via alla produzione degli oggetti.
/ Etsy - www.etsy.com
Etsy è un sito che ha pian piano rivoluzionato il mondo del
“fai-da-te” e dei giovani progettisti in quanto è un negozio
virtuale in cui tutti possono aprire la propria vetrina e
vendere i propri manufatti. Aprire il proprio “negozio” costa
poco ed è semplice da usare e permette di far incontrare
persone di differenti gusti e linguaggi all’interno di un’unica
piattaforma.
In poche parole Etsy ha creato una vera e propria
community basata sull’e-commerce che riesce a
convogliare makers provenienti da tutto il mondo.
Etsy, inoltre, permette anche di collaborare con un
produttore esterno per la realizzazione dei propri oggetti. I
produttori esterni sono, in questo caso, generalmente dei
laboratori di cucito, di ceramica, fonderie e servizi stampa
on-demand.
Questo servizio nasce per andare incontro ai progettisti
che hanno ottenuto successo sulla piattaforma e che da un
momento all’altro si sono ritrovati sommersi dalle richieste
e non riescono più a gestire l’attività in maniera efficiente.
61 – I TRADIZIONALI
62 – I TRADIZIONALI
2.7
IL MODELLO D2c
(31)
D2C, designer-to-consumer, aiutati
da Internet, i progettisti vendono i
propri prodotti autonomamente.
(32)
Tratto dall’articolo “Generazione
D2C”, scritto da Jonathan Olivares
su domusweb.it, 17 Dicembre 2012
(33)
Riferimento a “Dopo gli anni Zero.
Il nuovo design italiano”, pag.49, di
Chiara Alessi, Universale LaTerza,
2014
Il modello D2C(31) che verrà descritto si inserisce all’interno
di un contesto molto particolare in cui un designer tende
a divenire un’impresa. Prima di analizzare questo caso, è
opportuno definire i termini “design” e “autoproduzione”
che a livello semantico sono in antitesi fra di loro: la parola
design implica quasi sempre una produzione di oggetti
di tipo industriale basata su grandi quantità e su processi
seriali, mentre l’autoproduzione rimanda ad una dimensione
manuale-artigianale che porta alla realizzazione di edizioni
limitate o, addirittura, pezzi unici. È possibile posizionare la
sfera dell’autoproduzione ai confini della ricerca del design
contemporaneo e l’interesse per il design autoprodotto può
essere ricondotto alla forte impronta della tradizione delle
botteghe artigiane sparse in tutto il territorio nazionale.
Ciò che si sta verificando oggi, però, è da ricercare nelle
potenzialità delle tecnologie digitali sia in campo progettuale
che in quello di lavorazione e rappresenta una novità, che
non deve essere confuso con la riscoperta dell’artigianato
creativo. Il modello D2C(32) presenta una modalità(33)
molto particolare che ha dato la possibilità ai designer
di mettere alla prova le potenzialità del web e degli
e-commerce dedicati nel proprio sito, ancora prima delle
piattaforme come Solwd.
Si delinea così un nuovo modello di distribuzione che
amplifica la distribuzione classica, indirizzandosi
direttamente al cliente finale ed eliminando l’azienda come
tramite.
Con l’aiuto della rete, il modello designer-to-consumer
(d2c) evita i costi di distribuzione e permette al designer di
guadagnare di più vendendo un numero di pezzi inferiori.
Sui siti degli studi di progettazione è consuetudine trovare
l’iconcina del carrellino e ormai non ci stupisce più scoprire
che all’interno di parecchi studi si trovano scatole di cartone,
etichette e rotoli di pluriball che vengono utilizzate per
spedire i prodotti richiesti dai clienti.
Un negozio online esiste ovunque ci sia internet.
Si possono identificare due categorie di designer d2c: da
un lato alcuni progettisti come Jasper Morrison e Sam
Hecht vendono online i prodotti che hanno progettato per
le aziende, dall’altro parte si affacia una nuova generazione
di designer che rinuncia al legame designer-produttore e
vende i prodotti, realizzati autonomamente, attraverso il
proprio sito.
Si può dire che il design classico, basato su un servizio
designe-to business, si sta evolvendo nella formula
63 – I TRADIZIONALI
(34)
L’espressione “coda lunga”, in
inglese “the long tail”, è stata coniata
da Chris Anderson in un articolo
dell’ottobre 2004 su Wired Magazine
per descrivere alcuni modelli
economici e commerciali, come per
esempio Amazon.com o Netflix.
IMG 35
Laboratorio dello studio di design
Very Good & Proper.
IMG 36 & 37
Ray e Charles Eames mentre
controllano una un prototipo
e, nell’immagine in basso, una
pubblicità dei loro prodotti.
designer-to-consumer dove i progettisti diventano i
produttori, diventano impresa.
Very Good & Proper, Rich Brilliant Willing, ODLCO (oggetto
di design League Company) e Filed sono solo alcuni dei
casi più eclatanti di questo panorama che riscopre nuove
organizzazioni all’interno
degli studi e richiede
ulteriori competenze al
designer.
In mancanza di un
produttore tradizionale, uno
studio che decide di seguire
il modello d2c deve fare un
notevole investimento di
energie, oltre che monetario:
bisogna per prima cosa
creare un sistema di
vendita, un inventario dei
prodotti e realizzare un
un’infrastruttura online che
richiede un ingente lavoro
di programmazione. Inoltre, il progettista deve garantire
ai clienti le prestazioni dei prodotto, il controllo qualità e
riuscire a organizzare il lavoro anche in base ai tempi dei
fornitori. Un altro punto di forza è sempre internet che
ha permesso ai designer di competere con le aziende
più grandi grazie alle newsletter ben studiate, alle abilità
di scrittura e al forte contenuto degli argomenti e delle
immagini pubblicate sul sito e, ovviamente, su Facebook e
Twitter.
Grazie alle opportunità offerte da Internet, aumentano i casi
di desgner-impresa e, contemporaneamente, spariscono
alcune professioni tipiche dell’era industriale, lasciando
spazio a nuove figure che sono responsabili di grandi
incarichi anche se i loro studi sono molto piccoli rispetto alle
grandi imprese.
Negli ultimi anni si è parlato del principio della distribuzione
“a coda lunga” (the long-tail distribution)(34); i primi sintomi
sono riscontrabili nel settore della musica, dei libri e dei film
fino a contaminare il mondo del design in cui, come afferma
Chris Anderson nel suo libro “The Long Tail”, “il futuro del
business è vendere meno di più”. Ciò significa che il grande
profitto che può fare un imprenditore sta nel vendere meno
quantità di oggetti rari ma a molti clienti.
Il modello dello studio d2c riprende alcuni aspetti dell’era
64 – I TRADIZIONALI
IMG 36 e 37
pre-industriale in cui spesso la figura del progettista e quella
del produttore coincidevano e, oggi, anche se i prodotti
vengono venduti a livello internazionale, spesso i prodotti
sono realizzati con materiali e forniture di fabbriche locali,
spesso a conduzione familiare. In questo modo, gli studi di
tipo d2c creano prodotti
e scenari che amano
condividere con i clienti,
mostrando loro i luoghi, le
persone che contribuiscono
al lavoro e i macchinari,
celebrando la produzione e
gli oggetti finali.
Il modello d2c non solo
contribuisce a delineare un
nuovo profilo di economia
ma, al contempo, aumenta
la consapevolezza
del pubblico che alla
fine si sente coinvolto
nell’esperienza dello studio,
assistendo virtualmente
al processo di produzione
e scoprendo nuove realtà
locali.
È vero, si sta formando un
nuovo tipo di economia ma,
forse, bisogna ricercare le
prime forme di
Imprese create dai designer
nella storia.
Per esempio, nel 1942
Charles & Ray Eames
e John Entenza hanno
fondato La Plyformed Wood
Company con collaboratori
come Herbert Matter e Harry Bertoia per realizzare la
produzione di stecche di compensato per la US Navy, in
quanto anticipatori di una nuova tecnica di produzione che
le aziende del periodo disconoscevano.
In Italia troviamo un caso simile nel 1947, anno in cui Corrado
Corradi Dell’Acqua, Luigi Caccia Dominioni, Maria Teresa
e Franca Tosi hanno messo in piedi Azucena, in seguito
ad un’analisi di mercato che aveva messo in evidenza una
lacuna nel mercato italiano per i mobili moderni, spinti dalla
65 – I TRADIZIONALI
IMG 38
Progetto di lampada di Ingo Maurer
sotto la propria azienda Design M.
forte convinzione che il
pubblico avrebbe accolto
con entusiasmo i loro
prodotti.
Ingo Maurer, eccentrico
artista e progettista di
illuminazione, nel 1963
ha cominciato a vendere i
suoi progetti sotto il nome
della sua società Design M,
poi divenuta Ingo Maurer
GmbH, per riuscire a
sperimentare e realizzare
lampade che un’impresa
non avrebbe mai pensato di
mettere in produzione.
Al contrario di questi
esempi, gli studi che si
rifanno al modello d2c
progettano e realizzano
prodotti che potrebbero
essere prodotti dalle
aziende presenti nel mercato. La vera novità sta nel modo
in cui questi studi si servono di internet per comunicare
e distribuire i prodotti e non nel processo di produzione.
Spesso questo modello risulta l’unica via intraprendibile
da un giovane designer che si ritrova schiacciato dalla
frustrazione causata dai frequenti “no!” ricevuti da aziende
e punti vendita. Molti designer alle prime armi si ritrovano
a lavorare gratuitamente per le aziende pur di ottenere
un minimo di visibilità, altri criticano la lentezza dei tempi
di risposta (quando rispondono) delle imprese nella fase
di sviluppo di un prodotto e la scarsa comunicazione dei
prodotti non appena immessi nel mercato.
I lati negativi, purtroppo, non mancano e sono tanti: in
primis, si perdono le competenze degli ingegneri che
lavorano negli uffici tecnici delle aziende, la conoscenza del
business da parte del team che si occupa della gestione
e sicuramente i budget corposi che permettono grande
innovazione. Inoltre, ancora oggi i migliori prodotti vengono
distribuiti dalle aziende poiché i designer seguono il
processo di sviluppo affidandosi a figure professionali e
leader visionari molto competenti; gli studi che seguono
il modello d2c spesso si ritrovano a sfruttare tecniche
conosciute e materiali facili da comprare e a basso costo
66 – I TRADIZIONALI
come il legno fresato, il marmo, le lamiere tagliate al laser,
per cui i prodotti mostrano un’estetica comune che è stata
definita da Jonathan Olivares, nell’articolo “D2C generation”
pubblicato su Domuseweb nel Dicembre del 2012, “cruda e
semplice”. In questo panorama vi sono anche delle realtà di
progettisti che trovano dei modi ingegnosi per rendere i loro
progetti più sofisticati e, per fortuna, si stanno diffondendo.
Alcuni chiedono un finanziamento su Kickstarter, come
per esempio ODLCO per la pentola Wabi Nabe in ghisa,
altri invece, come Field, preferiscono fare un investimento
iniziale per acquistare un macchinario per poter tagliare
l’alluminio. Un’altra via è quella intrapresa da RBW che
in un primo momento mostra un prototipo dell’idea, e se
riesce ad ottenere gli ordini, allora sviluppa il prodotto per la
produzione nei minimi dettagli.
Il modello d2c rappresenta oggi una possibilità in più per
i giovani designer di fare successo, eliminare molti costi
grazie all’uso di internet e per poter andare in affari in
maniera autonoma e va incontro alle esigenze e agli interessi
dei clienti “home-grown”.
67 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #4
EN&IS / ISABELLA
(35)
Intervista svolta dal vivo
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Isabella Lovero di En&Is.
IMG 40
Megaphone Mini
Quando e come è nata l’idea di Megaphone(35)?
L’idea è nata nel 2011 quando io e il mio collega Enrico
stavamo preparando i prodotti per il Salone Satellite di
quello stesso anno.
Mentre preparavamo altri progetti, abbiamo cominciato
a giocare con l’iPhone posizionandolo davanti alla bocca
e abbiamo notati che il suono veniva amplificato. Allora
abbiamo cominciato a fare diverse prove sperimentando
con oggetti di forme e geometrie differenti fino a quando
abbiamo deciso di disegnare un oggetto ad hoc.
Come mai avete scelto di realizzarlo in ceramica? C’è
una particolare relazione con il suono?
Abbiamo scelto la ceramica principalmente per poter
seguire il prototipo in tutte le sue fasi e ci siamo rivolti ad un
nostro amico ceramista di Milano, Puzzo.
Abbiamo fatto diverse prove formali fino a limare l’oggetto
in tutti i suoi dettagli per garantirne la trasmissione e
amplificazione ottimale
del suono con l’aiuto di un
ingegnere del suono.
Megaphone, inoltre, nasce
come un prodotto che
arreda e il posizionamento
del target è alto, attento
al design e che può
permettersi di spendere. I
Megaphone infatti sono in
ceramica e presentano una
finitura superficiale preziosa
grazie all’uso di metalli
che rendono così l’oggetto
sofisticato e dal gusto
ricercato.
Megaphone mini, invece, è un oggetto più pop e ciò che
lo caratterizza è la portabilità suggerita dal fatto che oggi
le persone ascoltano la musica ovunque e che l’iPhone è
un oggetto di culto che usano / desiderano tutti. Abbiamo
quindi deciso di creare una co-branding con Pijama
realizzando una borsetta per portare Megaphone mini in
giro grazie ad una maniglietta. Come per le famose skin
del brand italiano, è stato svolto uno studio attento sulle
tendenze dei colori e dei pattern provenienti dal mondo della
modo e degli accessori, indirizzandoci sull’uso di cromie più
pop rispetto a quelle di Megaphone classico.
Com’era organizzato il team di lavoro inizialmente? E oggi?
68 – I TRADIZIONALI
IMG 40
Durante la fase di prototipazione eravamo in due, io e
Enrico. Il nostro obiettivo per il Salone Satellite era di creare
e trasmettere un po’di magia, creando dello stupore nelle
persone che si avvicinavano
e riavvicinavo al nostro
stand. È stata una grande
emozione perché tutti lo
volevano e lo desideravano.
Abbiamo raccolto molti
contatti, soprattutto di
aziende, che si sono rivelati
solo un buco nell’acqua.
Sapevamo che l’oggetto
è troppo specifico e di
nicchia ma le richieste erano
talmente tante da parte di
possibili clienti che abbiamo
deciso di autoprodurcelo.
Come vi siete mossi per
l’auotproduzione? Come è stata la ricecra del fornitore e
che tipo di rapporto avete instaurato?
Nel momento in cui abbiamo deciso di auto produrre il
prodotto, abbiamo dovuto cambiare ceramista per poter
garantire una tiratura di 1000-2000 pezzi all’anno.
La ricerca del fornitore è stata molto lunga perché molti
ceramisti ci dicevano “sì, si può fare” e poi in realtà non
erano attrezzati per un oggetto così complesso come il
nostro. Infine, abbiamo ritardato il lancio di qualche mese
ma i due fornitori veneti a cui ci siamo affidati sono sempre
gli stessi fin dall’inizio. Siamo molto orgogliosi di dire che il
prodotto è completamente “made in italy”, che usiamo solo
ed esclusivamente materiali naturali e che, oltre al controllo
del prodotto e della qualità, ci piace poter seguire il lavoro
in tutte le sue fasi, confrontandoci con gli artigiani, cosa
impossibile se si affida la produzione a fornitori in Cina.
Come vi contattano i clienti? Come vi occupate della
distribuzione?
Fin dall’inizio i clienti ci contattavano telefonicamente e via
mail. Alcuni si presentavano anche in studio.
Ci siamo occupati della distribuzione solo per poco perché
non riuscivamo a gestirla visto che contemporaneamente
svolgevamo il nostro lavoro da progettisti. Abbiamo quindi
creato una sorta di sistema di piccola azienda per cui tutta
la creatività e la comunicazione viene gestita all’interno dello
studio, mentre la distribuzione è affidata ad una persona
69 – I TRADIZIONALI
IMG 41 & 42
Ceramista che realizza Megaphone
che si occupa di rispondere alle richieste, della gestione del
magazzino e delle spedizioni.
La rete dei distributori è molto fitta e solitamente sono
i negozianti a contattarci. Dobbiamo ammettere che la
vendita offline funziona molto meglio rispetto a quella online
proprio perché è un oggetto che viene capito e affascina
solo quando viene visto dal vivo. Solitamente giriamo molto
partecipando a fiere che aprono sempre nuovi canali e ci
offrono nuovi contatti utili.
Per i nostri distributori abbiamo dovuto realizzare una Bibbia
ad hoc per evitare che il prodotto venisse posizionato in
sezioni del negozio non corrette e/o venissero usati cartellini
diversi e così via. La Bibbia ci è servita molto per definire
l’immagine coordinata e il mood che il nostro prodotto
esprime, evitando così che si possa perdere nell’insieme
degli altri prodotti esposti, col rischio di non comprenderne
la funzione.
Come avete gestito la campagna di autopromozione/
pubblicità e quali sono i canali che prediligete per
ottenere maggiore visibilità?
Per noi è stata molto importante la partecipazione al
Salone Satellite del 2011 che ha dato il via alla nostra auto
sponsorizzazione. A partire da quel momento sono stati i
giornalisti, i blog e le testate a contattarci personalmente.
C’è da dire che rispetto alle strategie pubblicitarie online,
preferiamo mostrare dal vivo Megaphone per essere
compreso a pieno e trasmettere quel senso di magia che
altrimenti non verrebbe compreso.
Le parole chiave che più vengono usate per descrivere il
nostro prodotto sono: made in italy, magico, sostenibilità e
contemporaneo.
Come avete finanziato la prima produzione?
La prima produzione corrisponde a quella realizzata per
il Salone Satellite ed è stata interamente autofinanziata e,
anche se ancora oggi Megaphone rappresenta lo zoccolo
duro dello studio, i margini di guadagno sono molto bassi
poiché finiture e packaging sono molto costosi. Per due anni
è stata la nostra unica attività e solo ora stiamo riuscendo
ad occuparci al altri progetti.
Cosa ne pensi del crowdfunding?
Credo che con l’avvento del crowdfunding l’azienda quasi
sparisce e i progettisti riescono ad ottenere un feedback
diretto da parte del pubblico e questa mi sembra una grande
possibilità per i designer.
Inoltre, penso che l’impostazione del crowdfunding crei una
70 – I TRADIZIONALI
relazione di affezione particolare tra cliente-finanziatore
e designer, sintomo di come stiano cambiando i ruoli
dell’utente e del progettista.
Il crowdfunding rappresenta un buon mezzo mediatico
con un alto potenziale comunicativo che si fa promotore
di prodotti più o meno innovativi e di nuovi progettisti dove
viene data più attenzione al ruolo del progettista.
IMG 41 e 42
71 – I TRADIZIONALI
2.8
AUTOPRODUZIONE DIGITALE
(36)
Tratto dall’intervista
“Autoproduzione: intervista al primo
fablab italiano”, pubblicato su l blog
di operae (www.operae.biz/blog) +
confronto personale da opendot
IMG 43
Workshop “Un Arduino in zucca”
svolto da opendot, FabLab di Milano.
IMG 44 & 45
Nella pagina a fianco, dall’alto verso
il basso: ingranaggio stampato in
3D e progettista all’opera durante
il workshop “KItchen becomes
open” organizzato da opendot in
collaborazione con Valcucine
Secondo il parere di Enrico Bassi(36), coordinatore del
primo Fablab italiano e attuale FabLab menager presso
opendot, “produrre con delle macchine significa adeguarsi
ai linguaggi a cui quelle macchine rispondono: nuove
macchine implicano nuovi linguaggi”. Gli oggetti esprimono
le caratteristiche del linguaggio della tecnologia che li ha
realizzati e, come per lo stampaggio a iniezione tipico della
plastica, oggi le macchine digitali aprono le porte a nuove
opportunità di progettazione e,di conseguenza, a nuovi
linguaggi. L’unica grande differenza rispetto alle tecnologie
digitali, è che fino al decennio
scorso per progettare un prodotto
efficace per un macchinario come
lo stampaggio a iniezione bisognava
conoscere nei minimi dettagli il
funzionamento del processo scelto;
oggi è sufficiente essere in grado
di modellare un file in 3D e gli unici
limiti risultano essere i tempi e i
costi di realizzazione.
Il progettista, quindi, si focalizza
molto di più nella fase dell’analisi
del contesto per ottenere una valida
valutazione iniziale e, una volta
pronto il progetto, il prototipo corrisponde al prodotto finito
e permette di saltare il processo industriale.
Nel mondo dell’autoproduzione digitale una delle realtà
più interessanti è Ponoko (www.ponoko.com), un sito che
propone un servizio in cui i progettisti posso caricare il
proprio progetto, sfruttando una vetrina internazionale, che
viene commissionato direttamente a Ponoko nel momento
in cui viene richiesto da un utente. Se il prodotto non è
gratuito, il designer guadagna una parte della vendita e
il resto va al sito che si è occupato della realizzazione. In
questo modo gli oggetti vengono prodotti solo nel momento
in cui vengono richiesti e il designer ha la possibilità di creare
una serie limitata del suo progetto, riuscendo a vendere in
tutto il mondo.
72 – I TRADIZIONALI
73 – I TRADIZIONALI
2.9
L’ARTIGIANO DIGITALE
(37)
Tratto dall’articolo“Da grande faccio
l’artigiano (digitale)”, pubblicato su
www.d,repubblica.it, scritto da Laura
Traldi, 2 Ottobre 2014
IMG 46
Strumenti di lavoro di un artigiano
fabbro.
Il mondo dei Maker è una “boccata di speranza” e fa ben
pensare ad un presente che guarda al futuro creato dalle
idee dei giovani? In cui creatività, curiosità e intraprendenza
pagano? Questo è ciò che afferma Laura Traldi(37) con il
titolone dell’articolo “Da grande faccio l’artigiano (digitale)”
pubblicato su d.repubblica.it e in cui esorta a dimenticare
l’artigiano stereotipato anziano e con il martello in mano
(alla Geppetto per intenderci). L’artigiano di oggi è giovane e
connesso.
E, cosa più importante, ha un lavoro che lo appassiona e
che gli permette di avere uno stipendio a fine mese. I temi
dell’artigianato e del futuro non sono più così distanti,
spiega il Professore di Economia dell’università Cà Foscari
di Venezia, Stefano Micelli, e incrociandosi hanno trovato
l’interesse di tanti giovani che uniscono la manualità al
mondo digitale. L’artigiano del futuro che si sta delineando
è una figura cosmopolita, un narratore e al contempo
è hi-tech poiché, al contrario dell’artigiano tradizionale
che custodiva i segreti del mestiere, sfrutta Internet
per comunicare, confrontarsi e farsi trovare, oltre a fare
laboratori di formazione ed è attento a ciò che succede
nel proprio territorio e nel resto del mondo. L’evoluzione
che ha avuto l’artigianato ha creato un nuovo mestiere che
richiede capacità particolari e molta creatività, cercando di
andare incontro al gusto del pubblico di Internet disposto ad
acquistare i prodotti proposti, senza dimenticare la cosa più
importante: il saper fare impresa, ascoltando il cliente.
L’artigiano contemporaneo si distingue da chi fa
semplicemente “fai-da-te” anche perché, oltre alle
74 – I TRADIZIONALI
IMG 47
Macchinario a controllo numerico
per la lavorazione della pelle.
caratteristiche sopra elencate, è una figura imprenditoriale
a 360 gradi che comunica se stesso e le proprie idee. In
questo modo i giovani artigiani digitali riescono a trovare i
fondi per i propri progetti e le neo imprese anche attraverso
il crowdfunding.
La possibilità di acquistare macchinari come le stampanti
3D o taglio laser aumenta la possibilità di divenire dei piccoli
imprenditori e di fare artigianato innovativo in un’economia
di scala che non regge più e che viene sconfitta dalla
produzione di nicchia, versatile e fatta su misura per e con
l’utente finale.
A partire dalla filosofia open source dei maker, i diritti
d’autore spariranno dai software fino ad arrivare agli oggetti
e molte grandi aziende hanno compreso l’importanza di
creare delle community con gli utenti finali, a tal punto che
ciascuno di essi potrà personalizzare il proprio acquisto.
Se si volge lo sguardo all’Italia ci si rende già conto che gran
parte dell’artigianato è open e il valore non sta tanto nel
segreto del mestiere ma nella qualità del lavoro, nel valore
delle tecnologie, nella creazione di una comunità e di un
marchio.
75 – I TRADIZIONALI
2.10
IL FENOMENO DEI MAKER
(38)
Tratto da “I maker e la tradizione
italiana del design”, Chiara Alessi,
www.domusweb.it, 2 Ottobre 2014
(39)
Massimo Banzi ha contribuito
ad inventare Arduino, un
microcontrollore open-source facile
da utilizzare che ha ispirato migliaia
di persone in tutto.
(40)
“Makers. Il ritorno dei produttori.
Per una nuova rivoluzione
industriale”, Chris Anderson, Rizzoli
Etas, Gennaio 2013
IMG 48 & 49
Kit di Arduino
Lo slogan “yes you can” di Obama, uno dei maggiori
sostenitori del panorama dei maker, è un’incitazione per
far rimettere in moto l’economia statunitense e incoraggia
la gente a credere che tutti possono realizzare qualcosa
da soli. Lo slogan appena citato è molto simile alla frase
“chiunque è designer” o “chiunque è produttore” che,
ovviamente, non viene condiviso da chi fa questo mestiere o
da chi si ritrova nella situazione in cui non ha alcun interessa
nella progettazione.
Il mondo sembra completamente digitalizzato e qualunque
cosa può essere aggiustata o realizzata semplicemente
stando seduti davanti a un computer. La rivoluzione che
stanno attuando i maker si prefigge di rilanciare l’economia
e il settore manifatturiero, aiutando chi è poco pratico con
la manualità o con sistemi digitali. In un articolo pubblicato
da Chiara Alessi(38) su Domus web, in contemporanea alla
Maker Faire di Roma, si legge il suo interessante punto di
vista: “Certo, penso che sarebbe bello se fossi stata educata
a pensare di poterlo fare io,
con le mie mani, anziché
stare da questa parte solo
a guardare,ante volte con
gli occhi e le mandibole
spalancati come se si
trattasse di cose dell’altro
mondo. Ma probabilmente,
anche se avessi imparato
a farmele da me, avrei
continuato a desiderare o
almeno a provare piacere
nel trovare anche delle cose
già fatte, e fatte già come
mi sarebbe piaciuto farle io (come trovo piacere nel leggere
romanzi che avrei voluto scrivere io, o nel trovare un paio di
scarpe disegnate proprio come me le sarei fatte, se avessi
avuto quella speciale immaginazione tridimensionale). Così
come la fotografia non ha rimpiazzato la pittura o il cinema
con il teatro, anche la rivoluzione dei maker, spinta dall’onda
degli aggiornamenti tecnologici, farà sì che il mezzo
precedente per sopravvivere troverà una sua peculiarità
forte e insostituibile”. È per questo che il fenomeno dei
maker in Italia gioca un duplice ruolo: da un lato ha delle
responsabilità nei confronti della tradizione italiana,
dall’altra offre molte opportunità, possibili solo nel caso in
cui si valorizzi il territorio. L’Italia è un territorio particolare
76 – I TRADIZIONALI
su cui testare il fenomeno dei maker proprio per la sua
storia, per la sua tradizione, i suoi inventori e per il modello
di crescita diverso rispetto agli altri Paesi, ma sicuramente è
un campanello che gli artigiani di oggi non possono ignorare
e che fa comprendere loro l’importanza della rete.
I maker sono stati definiti “portatori di buone notizie”, non
solo perché hanno fatto riscoprire il piacere del “saper
fare” e molti prodotti che realizzano rendono fieri il Made
in Italy, come nel caso di Arduino di Massimo Banzi(39),
e non sono dei “geni” ma delle persone che credono in un
nuovo modello etico e politico improntato sull’apertura delle
informazioni e sulla condivisione dei progetti affinché questi
ultimi possano essere implementati e migliorati.
Citando Banzi, “Non ci vuole il permesso di nessuno per
rendere le cose eccezionali”.
Chris Anderson, autore di “Makers”(40), spiega che in realtà
il fenomeno dei maker altro non è che “la somma delle due
precedenti rivoluzioni industriali: quella delle macchine
e quella di Internet”. E oggi tutti possiamo sperimentare
gli effetti, i cambiamenti e le conseguenze che gli input di
questo mondo hanno innescato sull’economia.
77 – I TRADIZIONALI
2.11
LA COMMUNITY: UN DESIGN OPEN
(41)
Locuzione utilizzata in informatica
per indicare diverse fattispecie, a
seconda del contesto in cui viene
impiegata. In informatica, di
software non protetto da copyright
e liberamente modificabile dagli
utenti. Dizionario di Economia e
Finanza, Treccani, 2012.
(42)
Tratto dal saggio di Nicola Bassi,
“Open Source. Analisi di un
movimento”.
Open source(41) è un termine che appartiene al campo
dell’informatica e in italiano si traduce con “codice sorgente
aperto”. In genere indica un software i cui fondatori mettono
a disposizione le proprie ricerche e danno la possibilità agli
utenti di apportare modifiche e altre conoscenze.
Questo tipo di fenomeno(42) è molto recente poiché la sua
diffusione risale dal beneficio di internet che ha permesso
a programmatori provenienti da diverse parti del mondo di
lavorare contemporaneamente ad un unico progetto. L’open
source prende spunto dal modello open content, nel quale
contenuti di diverso genere (testi, immagini e video) sono
pubblici, come per esempio il caso Wikipedia.
Dal momento che l’open source si prefigge di essere
quasi sempre gratuito e aperto a tutti, nasce spontanea la
domanda: perché degli individui dedicano tempo ed energie
a progetti senza ottenere in cambio un guadagno?
In realtà esistono e ci possono essere delle forme di
guadagno ottenibili attraverso delle strategie costruite ad
hoc per questo tipo di sistema.
Per esempio lo sviluppatore, cioè l’individuo o l’azienda
che si occupa di migliorare il programma, può dare la
possibilità di fare delle donazioni non obbligatorie a chi
fruisce del prodotto software come ringraziamento.
Un’altra strada è quella di decidere, invece, che il
programma è completamente gratuito ma che il supporto
e l’aiuto del programmatore prevedono delle donazioni.
Alcuni programmi open source si affidano, invece, alla
sponsorizzazione di alcuni enti o aziende che supportano
economicamente i programmatori o che un’impresa decida
di occuparsi gratuitamente di un programma per ottenere in
cambio di una forte visibilità e pubblicità.
La didattica può essere anche un esempio di fonte di
remunerazione in casi in cui il prodotto creato è molto
articolato e implica un nuovo linguaggio di programmazione
per cui lo sviluppatore viene chiamato come insegnante nei
corsi di apprendimento.
La progettazione aperta è lo sviluppo e la realizzazione di
prodotti, di macchine e si sistemi grazie alla conoscenza
progettuale condivisa pubblicamente e reso possibile
attraverso l’uso del web. Una delle sue caratteristiche
principale è che non ha alcun scopo di lucro e la sua filosofia
è identica a quella dell’Open source.
78 – I TRADIZIONALI
(43)
Tratto da www.openstructures.net
/ Il progetto Open Structures
OS, o OpenStructures(43), è un esperimento in corso di un
progetto che si prefigge di innescare un sistema aperto e
costruttivo in cui ogni individuo progetta per tutti.
Lo scopo è di scoprire cosa si verifica nel momento in
cui si offre alle persone una griglia modulare comune
per progettare oggetti, cercando di aprire un confronto
e un dialogo stimolante che possa creare un bagaglio di
esperienze e di idee.
La griglia modulare consiste a tutti di progettare parti
compatibili, strutture e componenti indipendentemente e il
sito presenta delle linee guida per spiegare il processo e le
varie possibilità.
1.Progettare per disassemblare
2.Uso di materiali riciclabili
3.Sfruttare la griglia OS come strumento di progettazione
per scegliere le dimensioni, i punti di assemblaggio e
i diametri delle interconnessioni in modo che le parti
realizzate da ciascun individuo siano compatibili con quelle
degli altri.
IMG 50
Stampo della griglia Open
Structures.
La griglia è stata ideata per
essere un sistema metrico
condiviso e comune fra tutti i
partecipanti al progetto ed è
costruita in base a moduli di
quadrati 4 cm x 4 cm, dove
i perimetri rappresentano
le linee di taglio e le
diagonali mostrano i punti di
assemblaggio e i diametri di
interconnessione.
La costruzione modulare
porta alla distinzione di
due modelli differenti: un
sistema modulare chiuso,
che opera secondo un
modello gerarchico verticale per cui solo un individuo
progetta per tutti, e un sistema modulare aperto, che opera
in base a un modello di rete orizzontale in cui ogni persona
può contribuire a una piccola parte del sistema comune.
Nel primo caso l’individuo che progetta può essere un
designer o un’azienda e anche se tutti gli individui possono
godere dei benefici della modularità all’interno del sistema,
79 – I TRADIZIONALI
la maggior parte delle volte
sono incompatibili tra loro.
Negli ultimi anni, stiamo
assistendo sempre più alla
nascita di sistemi modulari
aperti, come Wikipedia
(conoscenza condivisa) o
Linux (programmazione
aperta). Allo stesso modo
Open Structure si prefigge
di costruire un sistema
aperto dove diverse persone
possono progettare parti
e componenti in funzione
della griglia modulare. Lo
scopo finale è di riuscire
a capire se è possibile
creare una sorta di “puzzle”
universalmente condiviso
realizzato da più individui,
che possono essere sia
artigiani che multinazionali,
per progettare, scambiare,
condividere un’enciclopedia
di elementi modulari che
creano un contesto più
flessibile e variabile alla
portata di tutti.
Un sistema di questo genere
può portare alla generazione
di strutture dinamiche che
presentano un buon livello
di varietà all’interno della
propria modularità e alla
stimolazione di creazione di
cicli di riuso dei vari pezzi.
/ Open Source Ecology
Open Source Ecology
(OSE) si prefigge di
avviare un’economia di
tipo open source che
possa incrementare
la collaborazione e
l’innovazione. Per
80 – I TRADIZIONALI
(44)
Tratto da
www.opensourceecology.org
IMG 51
Griglia di open structures.
IMG 52
Locandina di presentazione di open
structures a Milano, Aprile 2013.
raggiungere questo obiettivo, OSE ha cominciato a
sviluppare una serie di progetti open source che consistono
in cinquanta macchine che derivano da altre macchine e che
implicano un processo di creazione di un sistema modulare
aperto.
La visione di OSE(44) si concentra su un mondo dedicato
all’innovazione ottenuta per mezzo del modello open
source aperto in cui lo sviluppo collaborativo permetta
di risolvedere determinati problemi ancor prima che si
presentino. Secondo questo punto di vista, un tipo di
economia open source per mette anche al genere umano
di evolversi e di creare una nuova coscienza personale e
responsabile.
I valori fondamentali si basano sulla collaborazione
condivisa e aperta a tutti e chi partecipa al progetto si sforza
documentare il proprio lavoro per creare una piattaforma di
condivisione aperta, sfruttando le potenzialità di Internet in
modo che altri individui possano dare il proprio contributo.
In base alla consapevolezza che oggi le aziende impiegano
i propri fondi per campagne di protezionismo e non sulla
ricerca e lo sviluppo, lo scopo finale di OSE è quello di
riuscire a creare un’impresa basata sul dialogo e sul
confronto e disposta a rendere pubblici strategie e dati
in modo che gli altri possano imparare e contribuire
all’innovazione, eliminando eventuali forme di competizione
non utili.
Il modello open source, in pratica, riferisce a un sistema
che fornisce servizi e beni e che coinvolgono attivamente
l’utente che ne usufruisce. Linux rappresenta un modello
open source già testato dove alcuni sviluppatori hanno
creato un’alternativa gratuita ed efficace al sistema
operativo di Windows.
Un’economia Open Source amplia il modello Open Source e
lo estende alla fornitura di servizi e beni per aprire l’accesso
alle tecnologie e alle informazioni al fine di creare un sistema
economico basato sull’ecologia industriale, ambientale e
sociale. I fondatori di OSE sono fermamente convinti che
un modello di economia partecipativo e distribuito a livello
globale possa essere un modello economico d’ispirazione e
da mettere in pratica per una società democratica e con un
determinato riguardo nei confronti delle risorse naturali e
umane.
Ciò è possibile grazie alla possibilità offerta da questa
modalità di poter fare ciò che uno vuole essere,
81 – I TRADIZIONALI
impegnandosi al massimo in quello che bisogna fare per
sopravvivere, dove tutti gli individui hanno un potenziale per
crescere.
OSE ha creato il Global Village Construction (GVCS) che
è una piattaforma modulare di stampo do-it-yourself con
un livello prestazionale molto alto che permette l’accesso
gratuito alle informazioni per realizzare circa cinquanta
macchine industriali diverse, quantità minima di macchinari
per creare una civiltà piccola ma sostenibile.
Il progetto è supportato da una community che comprende
tantissimi collaboratori che credono nella filosofia dell’open
source per uno sviluppo collaborativo e condiviso.
L’obiettivo è di far partecipare chiunque (soprattutto chi si
interessa di ingegneria, progettazione, arte, comunicazione,
video, impresa e scrittura) e, grazie agli strumenti messi
a disposizione della piattaforma, anche chi ha poca
esperienza in questi campi può generare dei risultati
rilevanti e utile a completare il puzzle finale.
Uno degli aspetti più interessanti dell’Open Source Economy
è che testa continuamente i limiti dell’innovazione ottenuta
da un sistema di collaborazione per coinvolgere tutti e
dimostrare che, nel momento in cui gli accessi a determinati
strumenti sono liberi, chiunque possa incrementare
incredibilmente la propria produttività e la propria creatività.
Un’altra caratteristica di OSE risiede nel crowdfunding.
Infatti, il suo fondatore ha chiesto il finanziamento dal basso
per lanciare il progetto e continuare a raccogliere donazioni
per il sostenimento, evitando di creare così una piattaforma
senza scopi di lucro.
82 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #5
MEG DI YRADIA / CARLO E PIERO
(45)
Intervista svolta dal vivo presso
opendot, durante la design table con
MEG
IMG 53
Carlo D’Alesio e Piero Santoro di
Yradia durante la design table per
presentare MEG da opendot.
Che tipo di esperienza avevate quando avete deciso di
realizzare il progetto MEG(45)?
Il nostro studio si chiama Yradia ed è un’agenzia di
progettazione di luce nata dalla partnership tra Design
Group Italia, D’Alesio&Santoro (noi) e Huub Ubbens.
Yradia lavora combinando tre elementi di fondamentale
importanza: l’abilità di creare valore attraverso la
progettazione, le capacità di manipolare in maniera creativa
le tecnologie più innovative sulla luce e gli strumenti per
sviluppare prodotti originali da inserire all’interno del
mercato. Cerchiamo di esplorare in continuazione le
nuove frontiere e le nuove
opportunità offerte dalle
innovazioni illuminotecniche
per progettare una luce bella
esteticamente, piacevole
e, soprattutto, sostenibile.
Teniamo in considerazione
aspetti quali la cultura, la
funzione e l’atmosfera.
L’obiettivo finale è quello
di applicare questo tipo di
approccio a tutti i settori
nei quali la luce può fare
la differenza (architettura,
trasporti, benessere, design
del prodotto e degli interni).
Quando avete presentato per la prima volta MEG?
Nell’Aprile del 2013, durante il Fuorisalone, abbiamo
presentato nel proprio studio per la prima volta MEG,
progetto nato con l’intento di far incontrare la luce con la
Natura. L’idea, inoltre, è progressivamente nata unendo la
passione per l’illuminotronica con il forte desiderio di far
crescere le piante in un ambiente interno a basso consumo.
MEG è una serra automatizzata che controlla e fa crescere le
piante attraverso dei parametri che gestiscono i cicli di luce
(intensità, durata), ventilazione, temperatura, irrigazione.
Come mai avete improntato il progetto sotto la visione
open-source?
L’open-source è alla base del progetto MEG. Siamo
convinti e consapevoli che le dinamiche dell’open-source
e dell’open-knowledge possano migliorare la qualità
della vita delle persone e che siano frontiere del futuro
da cogliere e sfruttare. La serra è direttamente connessa
ad una piattaforma online che condivide e acquisisce le
83 – I TRADIZIONALI
IMG 54
Piero Santoro costruisce un
prototipo MEG durante la design
table presso opendot.
IMG 55
Prototipo MEG
IMG 56
App di MEG
informazioni sull’efficacia effettiva delle impostazioni del
ciclo di vita delle piante, contribuendo così allo sviluppo
di una conoscenza condivisa accessibile per tutti. Dal
momento in cui le informazioni sono open-source, l’intera
comunità può contribuire ad un continuo miglioramento
del software e del progetto stesso. Vogliamo essere
sensibili allo scenario culturale in continua evoluzione e per
questo abbiamo deciso di puntare a questa nuova filosofia
attraverso MEG e di essere pronti al futuro.
Che tipo di esperienza avete maturato grazie al
confronto e quali ostacoli avete riscontrato?
Abbiamo investito molto del nostro tempo e denaro in
questo progetto non avendo esperienze in senso stretto
sulle serre interne ma facevano consulenza inizialmente per
le aziende. Attraverso questo tipo di esperienza abbiamo
notato che mancava da parte dell’imprese una ricezione nei
confronti delle idee complesse o che, se in qualche modo
recepite, l’azienda non era effettivamente interessata a un
progetto di tipo open-source. Lo step successivo è stato
quello di trovare un’alternativa valida per poter finanziare
il progetto affidandoci al crowdfunding per trovare fondi
in modo diverso. Ci siamo quindi rivolti a kickstarter dopo
i tre anni di ricerca e di prototipazione e dopo aver aperto
un’azienda in UK per poterci presentare sulla piattaforma.
Purtroppo la campagna non è andata a buon fine.
Che tipo di comunicazione avete attuato?
Uno degli step fondamentali del progetto MEG è stata
la campagna pubblicitaria, visto che la primissima
presentazione durante il Fuorisalone 2013 aveva coinvolto
84 – I TRADIZIONALI
IMG 55 e 56
un pubblico ristretto. Di
fondamentale importanza è
stata la partecipazione alla
Maker fair di Roma in cui
hanno riscosso un grande
successo e il secondo posto
in classifica su Focus. Questi
tipi di risultati sono stati
estremamente importanti
per poter accedere a
Kickstarter in quanto partire
con una comunicazione
importante è non solo
una delle clausole della
piattaforma ma garantisce
anche la possibilità di
raggiungere l’obiettivo finale
di trovare i fondi.
Avete creato un
manifesto per MEG.
Su cosa vi soffermate
principalmente?
Sì, Meg è supportata da
una sorta di “manifesto”
del prodotto che sottolinea
l’importanza dell’opensource e dell’openknowledge: le slide della
community infatti mostrano
come sarà possibile gestire i
dati all’interno del database
per poter essere condivisi con tutti gli utenti. Inoltre, Yradia
si prefigge di predisporre una MEG per i beta-tester ad
ogni serra completa venduta in modo da continuare e
attivare una rete di sperimentazioni che porteranno ad un
miglioramento delle conoscenze che si hanno fino ad ora.
85 – I TRADIZIONALI
2.12
La distribuzione: il tassello mancante
(46)
Tratto dall’articolo “E-commerce
nel 2014: stato del mercato italiano”,
pubblicato su www.hostingtalk.it
(47)
In riferimento ai dati pubblicati
dall’Osservatorio eCommerce B2C
Netcomm (www.osservatori.net) del
Politecnico di Milano
(48)
Tratto dall’articolo “Generazione
D2C”, scritto da Jonathan Olivares,
pubblicato su www.domusweb.it, 17
Dicembre 2012
La vendita online, cioè tramite e-commerce(46) su Internet,
nonostante la crisi italiana, rappresenta una via percorribile
per i designer che decidono di investire nell’autoproduzione
e nel modello D2C. Sempre più italiani, infatti, cominciano
ad avvicinarsi all’acquisto online(47) e ciò ha aperto una
nuova via di vendita per gli imprenditori, soprattutto perché
permette di raggiungere potenziali clienti provenienti da
altre zone.
Questo tipo di distribuzione richiede uno sforzo e un
investimento sui canali social data dalla competitività
dovuta alla presenza di concorrenti a livello internazione e
dalla difficoltà nell’ampliare il bacino dai clienti acquisiti a
quelli potenziali.
Il settore dell’e-commerce in Italia sta lavorando con sforzo
e determinazione per occupare un posto di rispetto nel
settore commerciale e, nonostante le difficoltà, in molti
casi si dimostra più remunerativo rispetto alla distribuzione
offline.
La differenza di vendite tra distribuzione online e quella
offline risiede più che altro nella tipologia di prodotto per cui
nel primo caso sono prediletti oggetti di piccole dimensioni
e dai prezzi contenuti, mentre la vendita diretta nei negozi
riscuote più successo nel caso di manufatti di arredamento
o come l’esempio di Megaphone di En&Is che stupisce
quando visto dal vivo.
Una delle problematiche più grandi dello shopping on line è
la diffidenza da parte degli italiani di acquistare su Internet e
a “distanza”, cosa che si verifica, come vedremo nei capitolo
successivi, anche nel sistema del crowdfunding.
Che si tratti di distribuzione on line o distribuzione offline,
i progettisti che autoproducono e/o decidono di vendere
i propri prodotti riscontrano una vera difficoltà nella
distribuzione(48) in generale per una serie di motivi correlati
alla logistica, alle spese di magazzino e alla ricerca del
cliente che non appartiene alla cerchia di amici e parenti.
Il “punto debole” e lo step finale che manca ai designer,
che ormai si occupano di realizzare un progetto completo
in tutte le sue fasi, e che spesso e volentieri delegano alle
aziende è proprio questo, quello della distribuzione.
All’interno di questo contesto si inserisce il sistema del
crowdfunding in quanto modello completo che permette
loro di presentare al meglio attraverso video e immagini
da “catalogo” un prodotto finito e pronto per essere
realizzato e per di più gli garantisce la prima fetta di clienti
che corrisponde all’insieme dei finanziatori. Inutile dire
86 – I TRADIZIONALI
che, se il progetto è stato finanziato e piace, il passaparola
dei finanziatori e dei mass media, contribuirà alla
pubblicizzazione del prodotto e del designer impresa.
Il crowdfunding rappresenta così un modo interessante
per creare un’impresa ma come si fa ad evitare che questo
successo eviti di rimanere un caso episodico?
87 – I TRADIZIONALI
3.
IL CROWDFUNDING
3.1
IL CROWDFUNDING
(49)
Saggio “Framework for European
crowdfunding” che mostra il
panorama del crowdfunding in
Europa, scritto da Kristof De
Buysere, Oliver Gajda, Ronald
Kleverlaan, Dan Marom, 2012
Cos’è il crowdfunding? Il termine deriva dall’accoppiamento
di due parole inglesi: crowd (folla) e funding
(finanziamento). In italiano si dice finanziamento collettivo
e indica un processo collaborativo di un gruppo di
persone che mettono a disposizione il proprio denaro per
sostenere economicamente un progetto di altre persone.
Il finanziamento arriva “dal basso”, abbatte le barriere
tradizionali dell’investimento finanziario e arriva da persone
comuni che si interessano al progetto e vogliono contribuire
alla realizzazione del progetto che può essere un’iniziativa
di qualunque genere, soprattutto per promuovere il
cambiamento sociale, l’innovazione e l’imprenditoria.
Lo strumento di comunicazione è il web che, attraverso
una piattaforma, permette l’incontro, la conoscenza
e il coinvolgimento degli individui in un progetto di
crowdfunding.
Il Framework for European Crowdfunding(49) afferma che
“l’ascesa del crowdfunding negli ultimi dieci anni deriva dal
proliferare e dall’affermarsi di applicazioni web e di servizi
mobile, condizioni che consentono a imprenditori, imprese
e creativi di ogni genere di poter dialogare con la crowd, la
folla, per ottenere idee, raccogliere soldi e sollecitare input
sul prodotto o servizio che hanno intenzione di proporre.” Un
miliardo e mezzo di euro è la cifra totale raccolta nel 2013 in
Europa per finanziare i progetti europei che non sarebbero
riusciti ad ottenere un finanziamento tradizionale ed è stato
stimato che entro il 2020 si parlerà di milioni di miliardi,
grazie alle opportunità che offre il web.
Nella storia possiamo scovare l’antenato del crowdfunding
in due esempi risalenti alla fine ‘700 e dell’800: il primo caso
è partito dall’iniziativa di Jonathan Swift, scrittore ilrandese,
che ispirò degli istituti collettivi di microcredito, gli “irish
Loan Fund”, che cercavano di andare incontro alla povertà
del popolo; il secondo caso riguarda la famosa Statua della
Libertà che, grazie alla rivista “The World” è riuscita a trovare
la metà dei fondi necessari per finanziare il piedistallo e
l’installazione dell’opera.
Nell’era contemporanea un esempio che ha riscosso grande
scalpore è quello dell’attuale Presidente statunitense che ha
finanziato la sua campagna elettorale per la presidenza con i
soldi che i suoi elettori avevano donato.
Il finanziamento dal basso si distingue in: piattaforme
di crowdfunding e iniziative autonome sviluppate
appositamente per sostenere una determinata causa come,
per esempio, la campagna per la ricostruzione della Città
91 – I TRADIZIONALI
della Scienza a Napoli che era stata incendiata nel 2013 e
che è riuscita a raccogliere ben oltre un milione di euro.
Le piattaforme sono, invece, dei siti dedicati che mettono in
contatto possibili finanziatori con chi promuove i progetti.
Esse possono essere specializzate in un particolare settore
oppure raccogliere progetti di ogni campo d’interesse.
Il successo di tale fenomeno ha portato negli ultimi anni ad
un incremento della nascita di piattaforme di questo genere
e all’apertura di nuovi siti che si operano per diffondere
questo tipo di finanziamento.
92 – I TRADIZIONALI
3.2
KICKSTARTER: LA SIGNORA DEL CROWDFUNDING
(50)
Tratto dal sito ufficiale di Kickstarter,
www.kickstarter.com
(51)
Tratto dall’articolo “Kickstarter
supera il miliardo di dollari di
finanziamenti”, di Jacopo Tondelli,
www.wired.it, 4 Marzo 2014
IMG 57
Illustrazione finanziamento di
Kickstarter
Kickstarter(50) è una piattaforma per progetti creativi di
qualunque settore. Gli ideatori del social network “Diaspora”
hanno avviato per primi la richiesta di fondi iniziale a partire
da dieci mila dollari e hanno ottenuto oltre duecento mila
dollari. L’obiettivo principale è quello di dare la possibilità
di ottenere finanziamenti per progetti innovativi in ambiti
di business differenti e in questo ambito, Kickstarter è
un’autorità. I dati(51) parlano da sé: dal 2009, anno di
apertura della piattaforma, sono stati proposti più di 91 mila
progetti e sono stati ottenuti circa 593 milioni di dollari.
Ogni progetto pubblicato ha un intervallo di tempo definito
per riuscire ad ottenere il proprio budget economico e
queste due variabili vengono decise esclusivamente dal
creatore del progetto. Passato il tempo a disposizione,
Kickstarter versa i soldi raccolti solo se è stata raggiunta la
cifra richiesta per il finanziamento, in caso di fallimento della
campagna invece la cifra “donata” da ciascun sostenitore
torna al mittente. La cifra minima per donare è un dollaro
e chiunque può essere
sostenitore di uno o più
progetti.
Su Kickstarter è comune
che un progetto raccolga
più soldi di quelli richiesti e
la piattaforma non richiede
nessun tipo di obbligo
in merito. I progetti che
ottengono il finanziamento
richiedono del tempo per
essere realizzati, quindi
i sostenitori dovranno
aspettare qualche mese
prima di poter usufruire della ricompensa e/o del prodotto
che hanno sostenuto.
Kickstarter, purtroppo, è attiva solo nei Paesi anglosassoni
(Stati Uniti e Regno Unito), di conseguenza per poter
proporre una proposta di progetto bisogna essere residenti
in uno dei due Stati. È possibile trovare degli escamotage
per lanciare ugualmente l’idea chiedendo aiuto a un amico
residente negli Stati Uniti o in Gran Bretagna o aprire la
partita iva direttamente lì. I sostenitori, invece, possono
essere residenti al di fuori dei due Paesi anglosassoni e, una
volta investito, è come se pre-ordinassero il prodotto che
stanno sostenendo a livello monetario.
Inoltre, su questa piattaforma vige la regola “all-or-nothing”
93 – I TRADIZIONALI
grafico 4
Storia del crowdfunding
(tutto o niente); ciò significa che i progetti verranno
finanziati esclusivamente solo nel caso in cui riescono ad
ottenere il goal prestabilito. In caso contrario, la cifra donata
tornerà direttamente ai sostenitori. Secondo i fondatori
della piattaforma, questa regola protegge sia chi propone
l’idea sia gli investitori poiché i progettisti non avranno
alcun obbligo di avviare il progetto, mentre i donatori non
avranno “investito” inutilmente. Se il progetto raggiunge
il goal stabilito, il creatore ha la responsabilità di portare a
termine il progetto e di ricompensare i propri sostenitori in
base alla cifra donata. Ogni sostenitore, infatti, può donare
qualunque cifra a partire da un dollaro e ogni ricompensa è
in proporzione al tipo di investimento.
Le categorie che possono essere proposte e sostenute
sono: arte, fumetto, artigianato, danza, design, moda, film e
video, cibo, giochi, giornalismo, musica, fotografia, editoria,
tecnologia e teatro.
94 – I TRADIZIONALI
3.3
SETTE REGOLE D’oro
(52)
Tratto dal sito ufficiale di Kickstarter,
nella sezione handbook (Creator
Handbook) realizzata dai fondatori
per aiutare a creare una campagna
di successo , www.kickstarter.com/
help/handbook
(53)
Tratto dall’articolo “Six tips from
Kickstarter and how to run a
successful crowdfunding campaign”,
pubblicato su www.enterpreneur.
com
(54)
Tratto dall’articolo “Crowdfunding
Secrets: 7 Tips For Kickstarter
Success”, scritto da Amadou Diallo
su www.forbes.com
Su internet le persone si sbizzarriscono sulle strategie
vincenti per raggiungere senza problemi il goal. In realtà non
è così semplice ma, in generale, si può stilare una breve lista
delle regole(52) che ogni progetto deve seguire per potersi
preparare al lancio su Kickstarter (o in generale su una
piattaforma di Kickstarter):
/ I progetti devono creare qualcosa da condividere con gli
altri;
/ I progetti devono essere onesti e ben presentati: le idee
non possono essere confuse e indurre all’errore e i creatori
devono essere sinceri su ciò che voglio portare avanti. È utile
presentare un prototipo di ciò che si propone nel momento
in cui si tratta di qualcosa di complesso, evitando render
fotorealistici.
/ I progetti non possono essere a scopo di beneficienza né
coinvolgere articoli proibiti.
Il team che lavora dietro Kickstarter è costituito da 93
persone a Brooklyn (Greenpoint) dove la metà delle persone
lavora alla progettazione e codifica (prodotto) e la parte
restante si occupa della comunità.
In pochi anni Kickstarter non solo è diventato un fenomeno
di moda ma un vero e proprio modello di raccolta fondi
mainstream preso in considerazione non solo dai giovani
ma anche dagli imprenditori e dalle imprese. Sulle modalità
per una campagna di successo sono stati raccolti tanti
suggerimenti sul web(53). Su un’intervista pubblicata sul
blog Forbes(54) è stata stilata, per esempio, un’intervista
ai creatori di alcuni progetti che hanno riscosso molto
successo e da cui è nata una breve lista di consigli da
considerare nel momento in cui si vuole lanciare una propria
idea sulla piattaforma di crowdfunding più seguita al mondo:
1. Risolvere un problema reale: è bene adottare la filosofia
“creare un prodotto che la gente vuole/desidera comprare”
che sta alla base di ogni azienda. È importante saper
comunicare l’essenza del progetto in poche e sintetiche
frasi, in modo da catturare subito l’attenzione dell’eventuale
sostenitore senza annoiare.
Identificare un problema e riuscire a risolverlo è sinonimo di
successo su Kickstarter.Il prodotto deve essere un tantino
più avanti rispetto a ciò che esiste nel mercato ma non
troppo futuristico per evitare di dover giustificare perché
effettivamente le persone dovrebbero averne bisogno.
96 – I TRADIZIONALI
2. Fare il proprio dovere: come in ogni progetto, il successo
di un’idea è direttamente proporzionale alla quantità di
test e di lavoro per ottenere il migliore risultato possibile
prima di lanciare la campagna. È importante pianificare
anche le sfide della fase post-campagna considerando sito
e-commerce, fornitura e canali di distribuzione ed eventuale
deposito in modo da soddisfare ciò che si ha promesso ai
propri sostenitori.
È molto utile cercare di costruire un database clienti prima
di lanciare la campagna, sfruttando i social come Facebook
e Twitter come mezzi per ottenere un feedback positivo sulla
propria idea anche quando non esiste ancora un prototipo.
3. Kickstarter non è l’unica fonte di denaro: molti
progettisti, che hanno riscosso un grande successo sulla
piattaforma di crowdfunding, avevano già acquisito denaro
prima della campagna attraverso altri canali. Tutto ciò si
può verificare solo dopo aver investito tempo e molti soldi
per portare a compimento il progetto affinché delle aziende
interessate possano credere in voi e nel vostro progetto.
Bisogna considerare sempre che vi possano essere degli
ostacoli o degli errori lungo il percorso e, sicuramente, del
budget extra permetterà di risolvere qualunque cosa, o
quasi.
4. Impostare un “Goal” intelligente e fattibile: mai
confondere quanto si vuole guadagnare con quanto
serve per poter finanziare l’idea. Sulle piattaforme di
crowdfunding viene indicato oltre all’importo in cifre anche
la percentuale raggiunta relativa al’obiettivo iniziale. La
gente che naviga su questo tipo di piattaforme ama lasciarsi
trasportare dall’impeto di una campagna vincente che
mostra, per esempio, il 300% del finanziamento nei primi
giorni della campagna e ciò contribuisce ad attirare nuovi
donatori. L’importo del goal ovviamente deve rispondere ai
costi di produzione e di distribuzione, considerando quanto
effettivamente è possibile raggiungere.
5. Fare un video efficace: la gente supporta il crowdfunding
perché è attratta da una visione nella quale vogliono
essere coinvolti, quindi la presentazione del progetto
gioca un ruolo di fondamentale importanza sul progetto e
può determinarne il successo o la sconfitta. Non importa
se il video viene girato un iPhone, ciò che è veramente
fondamentale è il pensiero che si vuole trasmettere.
97 – I TRADIZIONALI
grafico 5
Confronto Kickstarter e Indiegogo
/ fonti e dati del grafico tratti dal
sito ufficiale di Kickstarter e di
Indiegogo e dall’articolo “Dollar
for dollar raised, Kickstarter
dominates Indiegogo SIX times
Il messaggio deve essere concentrato, breve e chiaro ed è
utile mostrare in maniera diretta come il prodotto potrebbe
influenzare positivamente la vita delle persone. Inoltre, è
molto utile lasciarsi conoscere dai propri sostenitori dal
momento che la fiducia e la trasparenza sono valori su
cui si basa questo fenomeno (bisogna convincere uno
sconosciuto a credere in voi).
In un secondo momento si può parlare anche delle
caratteristiche che distinguono il prodotto proposto rispetto
alla massa e spiegare perché è il migliore.
Le ricompense possono influenzare molto i potenziali
finanziatori quindi è utile essere creativi e accattivanti.
over”, pubblicato su www.medium.
com, 2013
6. Non è (sempre) una questione di soldi: le campagne
di crowdfunding possono portare molti benefici e creare
nuove opportunità al di là del denaro. Spesso questo
genere di piattaforme viene sfruttato per ottenere un
feedback da parte del pubblico e comprendere se esiste
un potenziale mercato oppure permette di migliorare un
prodotto attraverso le domande, i dubbi e le richieste delle
persone. La risposta da parte del pubblico è preziosa in
quanto permette di ottenere un eventuale feedback positivo
che, oltre a fare pubblicità, apre nuove opportunità di
collaborazione sia da parte dei rivenditori sia da parte dei
distributori ancora prima che il prodotto sia finito, venendo
incontro alle diverse esigenze.
7. La campagna deve essere la prima priorità: la gestione
di una campagna è un’attività a tempo pieno sia a livello
di concentrazione sia a livello di tempo (risponde ad ogni
singola e-mail, intervista, domanda…). I sostenitori sono
i primi clienti e bisogna prendersene cura e instaurare
un dialogo ed un confronto per creare un legame forte
da mantenere oltre l’intervallo di tempo del lancio del
progetto. I mezzi di comunicazione, le e-mail, le condivisioni
sono molto efficaci e funzionano come un vero e proprio
passaparola, quindi mai dimenticare di rispondere
personalmente alle mail con umiltà e cercando di essere più
esaustivi possibile.
98 – I TRADIZIONALI
99 – I TRADIZIONALI
grafico 6
Rappresentazione dei milioni di
dollari raccolti in base alle diverse
categorie di Kickstarter. Le categorie
segnalate con il colore rosso più
saturo sono quelle in cui i designer
solitamente lanciano una campagna
di crowdfunding.
/ dati tratti da the statistics portal
www.statista.com
3.4
CHE FINE FANNO I PROGETTI DI KICKSTARTER?
(55)
Storia dei successi preferiti di
kickstarter, “The History of #1”,
tratto dal blog di Kickstarter, www.
kickstarter.com/blog
Di seguito verranno analizzati alcuni progetti presenti
nell’albo dei successi di Kickarter(55).
Prendendo in esame una serie di casi, è interessante
scoprire cosa è successo dopo la campagna, se il progetto è
proseguito, se è nata una azienda oppure semplicemente si
è tornati alla vita di tutti i giorni.
Sono stati indagati pochi esempi, alcuni strettamente
connessi al mondo della progettazione, altri provenienti da
altre categorie, proprio perchè Kickstarter accoglie progetti
eterogenei.
/ New York makes a book
Questo progetto è stato lanciato il giorno stesso
in cui è stato aperto Kickstarter ed ha ottenuto
il proprio obiettivo di tremila dollari nel giro di 22
giorni (28 Aprile 2009 – 19 Maggio 2009) con 110
finanziatori. Lo scopo della campagna era di creare
il primo libro su New York finanziato dalla comunità
del crowdfunding interamente costituito dalle
osservazioni e dai pensieri di cento partecipanti.
Il budget da raggiungere comprendeva
esclusivamente i costi di stampa di alta qualità
attraverso il sito di Blurb.com e la spedizione dei cento libri
per ogni partecipante a spese della città di New York.
Per partecipare bastava donare trenta dollari e la
presentazione del finanziatore attraverso una foto, un testo,
una scansione e così via.
Per evitare di spedire i libri, i creatori chiedevano la
collaborazione di un locale per organizzare un piccolo
evento in cui festeggiare la stampa dei libri da donare.
Oggi? nessuna notizia.
/ Allison Weiss makes a full lenght record
Allison Weiss è una cantautrice adolescente
americana che in soli due giorni è riuscita a
ottenere il goal di duemila dollari (arrivando in
totale a settemila) per poter registrare un album
di musica con otto canzoni per l’estate. Il suo caso
è rimasto nella storia di Kickstarter perché per
molto tempo è rimasto un modello da seguire.
La ragazza ha sfruttato moltissimo Twitter,
aumentando sempre più la posta in gioco. Alla fine
ha addirittura proposto una maratona di canzoni
con registrazione audio e video da donare ai suoi sostenitori,
ottenendo così un coinvolgimento esponenziale.
102 – I TRADIZIONALI
Oggi? Allison Weiss è una cantautrice e ha pubblicato tre
album e ha ottenuto un contratto con una delle principali
etichette californiane No Sleep Records, oltre ad aver
affiancato in tour Lou Reed , Matt Pryor e altri gruppi
musicali in Europa e negli USA.
/ Polyvinyl needs your help!
Polyvinyl è un’etichetta discografica che ha
chiesto aiuto alla community di Kickstarter. Il
motivo era quello di evitare i costi per distruggere
più di diecimila record dal momento che alcuni
magazzini dei loro distributori stavano per
essere ridimensionati. Lo scopo principale della
campagna era quindi quello di evitare costi alti
di magazzinaggio, sfruttando Kickstarter come
strumento per riavere tutti i pezzi, che altrimenti
sarebbero andati distrutti, nel proprio ufficio. Il
goal era una cifra irrisoria di mille dollari ma hanno ottenuto
più di quindicimila dollari in cambio di ottima musica. / Oggi?
esiste ancora e vende i prodotti soprattutto online
/ Tik Tok + Luna Tik
Una delle prime campagne ad avvicinarsi ad un
finanziamento impensabile fino ad allora: arrivare
a quasi un milione di dollari ed ha mantenuto
il record per più di un anno. Il goal era di soli
quindicimila dollari per realizzare TikTok, un
prodotto che trasforma l’iPod nano in un orologio
multi-touch e minimal. I creatori spiegano sulla
pagina a loro dedicata per il lancio di Tik tok
che hanno voluto realizzare una collezione ben
progettata, ingegnerizzata e di alta qualità per
mantenere al massimo la coerenza con il marchio
Apple.
Inoltre, spiegano, che l’idea è venuta dallo studio
di molte aziende di orologi che hanno fatto di tutto
per poter realizzare un display multi-touch senza
ottenere buoni risultati. I creatori sono partiti
dall’iPod nano, convertendolo in un orologio che
tutti possono desiderare.
I progettisti lavoravano per grandi aziende da
anni ma anche loro nutrivano il sogno di vedere
realizzato i prodotti sotto il proprio marchio. Ammettono
anche che solo Kickstarter può aiutarli a realizzare qualcosa
per cui le imprese hanno paura di investire oggi, senza le
103 – I TRADIZIONALI
grandi politiche aziendali, credendo così nella comunità del
crowdfunding e nell’individuo.
Oggi? Lunatik è un brand che vende online cover dalla
struttura molto sofisticata (per esempio cover acquatiche)
per iPhone, iPod e Tablet.
/ Elevation Dock
È stato il primo progetto a superare un milione
di dollari. La campagna proponeva un nuovo
supporto per iPhone che ponesse fine a diverse
frustrazioni causate dall’uso di questi oggetti:
sgancio difficile, forma non adatta per l’uso
dell’iPhone con cover, leggeri e materiali scadenti.
La loro presentazione era basata soprattutto
sui punti di forza del prodotto che proponeva
elencandone le qualità: semplice da usare, sgancio
rapido, uso con o senza senza cover, materiale
alluminio solido con ottima finitura superficiale e
stabilità.
Oggi? Lo studio ElevationLab vende online prodotti simili a
Elevation Dock ed è possibile acquistarli anche su amazon.
Legenda:
Il progetto ha mostrato sviluppi futuri o un’evoluzione,
migliorando (aumento tipologico dei prodotti, servizi offerti,
distribuzione...)
Non si sa più nulla del progetto (le ultime fonti risalgono alla
campagna)
Il progetto è rimasto fermo allo stadio della fine della
campagna senza ulteriori sviluppi (nessun cambiamento del
servizio o di gamma di prodotti proposti...)
104 – I TRADIZIONALI
3.5
KICkstarter aiuta gli imprenditori
(56)
Riferimento tratto dall’articolo
“Kickstarter aiuta gli imprenditori,
ora guarda all’Europa”, pubblicato
sul portale www.hostingtalk.it,
Img 58
Illustrazione finanziamento
Kickstarter
Negli ultimi anni la piattaforma più famosa del mondo,
Kickstarter, ha cominciato a dare aiuto agli imprenditori(56)
che si rivolgevano alla sua comunità per finanziare progetti,
ottenendo cifre considerevoli.
Dopo il Regno Unito, probabilmente la piattaforma
allargherà il suoi confini anche nel resto d’Europa per
accrescere il successo del finanziamento dal basso e
per aiutare a realizzare progetti in cui la gente crede.
L’intenzione di coinvolgere anche il Vecchio Continente è
nell’aria, soprattutto per dare modo ai nuovi imprenditori di
creare soluzioni sempre migliori e comprendere fino a che
punto le potenzialità del finanziamento dal basso possano
arrivare, ma bisogna sicuramente considerare che le
modalità imprenditoriali sono molto diverse oltre oceano.
Anche se oggi sono ancora molti i progetti che non
ottengono un finanziamento
sulle piattaforme di
crowdfunding, l’obiettivo a
lungo termine di Kickstarter
è di essere aperta a tutti
coloro i quali hanno
un’idea che valga la pena
di finanziare e di vedere sul
mercato.
Il crowdfunding è la
risposta ideale per capire
esattamente se il pubblico
desidera o ha bisogna
del prodotto che gli si sta
proponendo. La ricerca di mercato, preceduta dallo studio
di mercato, è alla base di ogni prodotto di successo. Si può
dire che il crowdfunding funziona come un vero e prorio test
pre-investimento per cui il prodotto verrà alla fine finanziato
solo se vi sarà un feedback positivo da parte del pubblico
che avrà contribuito non solo a livello economico, ma anche
con pubblicità e passaparola.
La vera novità di questo nuovo modello di finanziamento
sta proprio nel dare la certezza all’imprenditore di produrre
un prodotto che è già stato venduto, avendo la possibilità di
gestire al meglio le fasi di realizzazione e di distribuzione con
la sicurezza del capitale di investimento e di guadagno.
Il caso dell’orologio Pebble, che ha superato i dieci milioni di
dollari raccolti, dimostra che questo tipo di piattaforme non
è una moda di passaggio ma un vero e proprio modello che
105 – I TRADIZIONALI
sta crescendo esponenzialmente negli anni.
Una delle caratteristiche più belle delle piattaforme di
crowdfunding è che si può dare la possibilità a singoli
individui di finanziare qualunque tipo di idea senza incorrere
in grandi società che cercano di ricavarne grandi profitti o
senza dover restituire eventuali interessi per un prestito ad
una banca.
In questo modo stanno aumentando le idee e la
determinazione nelle persone di creare nuove imprese che
altrimenti non avrebbero mai visto la luce a causa della
mancanza di disponibilità economica.
106 – I TRADIZIONALI
3.6
IL CASO DELL’insalata di patate
IMG 59
Crowdfunding dell’insalata di patate
su Kickstarter, 2014
La campagna di un ragazzo dell’Ohio, Zack Brown, prima
dell’Estate 2014 ha lanciato su Kisckstarter una raccolta
fondi un po’ insolita: dieci dollari per preparare un’insalata di
patate.
Inutile dire che l’impresa è risultata un po’ geniale e un
po’ una barzelletta. Il giovane Zack, infatti, ha scatenato
talmente tanta attenzione nei suoi confronti che alla fine è
riuscito a raccogliere ben 55 mila dollari.
La causa di ciò che si è verificato sta nella decisione di
Kickstarter di ridimensionare le regole e, ormai, è possibile
finanziare quasi tutto, ad eccezione dei prodotti illegali o di
beneficienza in senzo stretto. In questo modo, la piattaforma
presto si presenterà più “amichevole e semplice” e premierà
chi ha metodo e merito. Oggi, chiunque può lanciare la
propria campagna con l’opzione “Launch now” e finire
direttamente in rete, senza dovere passare eccessivi
controlli.
Il risultato? Ci si sta sempre più avvicinando al web di
intrattenimento dove chi, come Zack Brown, sa costruire
una storia dietro al nulla riuscirà ad ottenere i finanziamenti.
107 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #6
PRIMO / MATTEO LOGLIO / Kickstarter
(57)
Intervista svolta su Skype
IMG 60
Matteo Loglio e il suo socio.
Com’è nata l’idea di Primo? Puoi raccontarmi il
progetto(57)?
Il progetto Primo inizialmente era diverso perché è nato
in università durante un corso in cui bisognava aiutare i
bambini ad avvicinarsi alla programmazione, creando un
prototipo funzionante sotto la guida del Professore Massimo
Banzi. Oggi Primo è un’interfaccia fisica di programmazione
che non richiede competenze linguistiche ed è rivolto
ai bambini comrpesi nella fascia di età tra i 4 e i 7 anni.
Scrivendo semplici algoritmi per controllare un piccolo
robot di legno, i bambini imparano le basi della logica della
programmazione, il tutto senza alcuno schermo. Il prodotto
di ispira alla programmazione Logo ed è un set di gioco
composto da Cubetto (un piccolo robot), una console e una
serie di blocchi di istruzioni che vengono inseriti all’interno
di una griglia per creare una coda di comandi che muovono
Cubetto in base al percorso scelto.
Un bambino quindi inserendo la lista di comandi, attraverso
i blocchi, scrive la sua prima linea di codice; ciò è possibile
perché Primo si concentra su concetti di astrazione
utilizzando la coda visiva dei comandi che vengono inseriti
all’interno della console.
Il prodotto e i suoi componenti sono realizzati in legno di
pioppo, materiale neutrale e tattile e, oltre al set, viene
fornito anche un piccolo libretto delle istruzioni con esempi
e obiettivi da raggiungere.
Che tipo di esperienza avevi quando hai cominciato il
progetto?
Mi occupo di interaction design e ho collaborato presso
le Officine Arduino mentre Filippo Yacob è diventato il mio
108 – I TRADIZIONALI
partner un anno dopo aver
presentato il progetto in
Accademia e dopo averlo
inserito nel portfolio. È
stato lui a convincermi a
credere nella mia idea, a
spingermi di migliorarlo e
di provare a lanciare una
campagna di crowdfunding.
Abbiamo creato assieme
una società a Londra con
l’obiettivo di permettere ai
bambini di giocare con gli
oggetti di casa, blocchi e
robot che insegnano loro
a essere creativi e a usare
IMG 61 & 62
Primo, progetto di Matteo Loglio
lanciato con una campagna su
Kickstarter.
l’immaginazione.
Cubetto e la console sono pensati per durare a lungo,
seguendo il bambino durante la fase di sviluppo delle
capacità e delle competenze. Come il bambino, anche
Cubetto diventa grande e aumenta le sue potenzialità,
facendosi aiutare da un computer più evoluto o da un’app
installata su smartphone e/o tablet.
Vogliamo creare prodotti hardware e software per facilitare
l’apprendimento dei bambini di età prescolare e non no, con
particolare attenzione alle scienze e alla tecnologia.
Primo rappresenta il primo prodotto della società e per
lanciarlo lo abbiamo presentato tramite Kickstarter.
Quali sono i motivi che vi hanno spinto a scegliere
Kickstarter? E come vi siete preparati al lancio?
Abbiamo scelto Kickstarter perché è la Signora delle
piattaforme di crowdfunding. Oltre ad essere la più
109 – I TRADIZIONALI
IMG 63
Primo, progetto di Matteo Loglio
lanciato con una campagna su
Kickstarter.
conosciuta, è la piattaforma con un maggiore bacino di
utenza e volevamo essere sicuri di ottenere la massima
visibilità possibile.
Il nostro scopo era quello di raggiungere il goal monetario
proposto e Kickstarter ci è sembrata l’unica via “sicura”.
Come ben saprai, per lanciare un progetto su Kickstarter
bisogna essere residenti in America, Canada o Gran
Bretagna ma, per fortuna, il mio socio Filippo era già
residente a Londra quindi
abbiamo deciso di aprire
la società. Prima del lancio
abbiamo preparato un video
e ci siamo concentrati sul
business plan per calcolare
precisamente quanto
richiedere per la campagna.
Come vi siete mossi
durante la campagna?
Durante l’intervallo di tempo
disponibile per Primo, ci
siamo dedicati interamente
alla campagna postando
continuamente degli
aggiornamenti sulla pagina
di face book e di twitter e ci
siamo affidati ad un’agenzia
PR che ha lavorato per noi
per essere sempre attivi sui
social e presentu su blog e riviste.
Abbiamo fatto davvero di tutto per far rumore.
Una volta vinta la campagna, che cosa è successo?
Avete cambiato il prodotto? Avete riscontrato delle
problematiche?
Siamo riusciti ad ottenere trentacique mila sterline e,
seguendo la filosofia dei nostri sostenitori, Primo sarà
completamente open-source; ciò significa che metteremo
a disposizione tutta la documentazione necessaria per
costruire una versione a basso costo di primo liberamente
disponibile sul sito con tutti i codici, i disegni e le istruzioni.
In fase progettuale, prototipazione e validazione abbiamo
riscontrato alcune problematiche ma le vere difficoltà le
abbiamo dovute affrontare al momento di produzione,
soprattutto nella fase di manufacturing per le parti
meccaniche e la logistica in generale. Abbiamo, infatti,
realizzare una scheda elettronica ad hoc, settare la
110 – I TRADIZIONALI
produzione industriale e abbiamo fatto in modo che le
aziende spediscano direttamente ai clienti senza dover
passare dal nostro studio.
Penso che siano ostacoli abbastanza comuni di chi si è
trovato nella nostra situazione.
Come gestite la distribuzione e a che tipo di canali vi
affidate?
Per noi è molto facile vendere online direttamente dal
sito, mentre i contatti dei distributori e delle scuole le
abbiamo ricevuti durante la campagna di crowdfunding e le
pubblicazioni.
Sono nate delle collaborazioni grazie alla campagna?
Ci hanno contattato in molti e abbiamo costruito un network
molto fitto, parlo soprattutto di collaborazioni commerciali e
a livello distributivo o di servizi e marketing.
Cosa ne pensi in generale del crowdfunding?
Penso che sia un’opportunità molto interessante. Nel nostro
caso è stato anche un mezzo molto utile per comprendere
il feedback da parte del mercato, se piace, se la gente è
disposta a comprarlo e, soprattutto, abbiamo ascoltato i
consigli degli utenti.
Inutile dire che vi sono degli interessi secondari, serve per
farsi finanziare e vendere.
111 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #7
THINGK / UMBERTO TOLINO / Indiegogo
(58)
Intervista svolta dal vivo
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Thingk, Gkilo (bilancia) e Clogk
(timer-orologio)
Thingk è un brand che usa materiali naturali e che ha
l’obiettivo di realizzare prodotti con i quali è possibile
interagire. Le tipologie di prodotti che avete realizzato per la
campagna di crowdfunding sulla piattaforma di Indiegogo
sono due: Gkilo e Clogk. Di che si tratta e qual è secondo te
il loro punto di forza(58)?
Gkilo è una bilancia per cucina intelligente, dove
l’orientamento dà la funzione all’oggetto che si trasforma in
orologio se posizionato
a faccia in giù. Grazie al
wireless Gkilo interagisce
con gli altri prodotti
(Clogk) e un’applicazione
per smartphone e tablet.
L’applicazione permette
di scegliere il cibo che si
vuole cucinare e imposta
un timer, indicando
il tempo di cottura
ottimale. Clogk è un
timer-orologio con due
sensori tattili poiché in
base al tocco l’utente può
scegliere che funzione
dell’oggetto sfruttare:
il tocco sul lato destro
permette di switchare da
una funzione all’altra, il
tocco sul lato sinistro imposta un orario o il timer. Dal legno
appare un display a led e, come con Gkilo, il wireless riesce a
creare una comunicazione tra gli oggetti della linea Thingk.
Uno degli aspetti più importanti, il punto di forza, è che gli
oggetti aperti e opensource che abbiamo progettato danno
gratificazione all’utente e che presentano un design curato.
Come è costituito il vostro team?
Siamo in cinque ed ognuno ha un ruolo fondamentale
all’interno del gruppo: Stefano è il team leader, lavora con la
tecnologia ed è coautore di fablabitalia.it e cofondatorei di
makeinitali.org;
Domenico è uno sviluppatore di web e app per smartphone
e Andrea è un ingegnere elettronico specializzato in
optoelettronica e Arduino; anche Giuseppe è un ingegnere
elettronico e dei sistemi esperto in PCB, mentre io, Umberto,
sono un ricercatore e un interaction designer.
Come è nata l’idea?
112 – I TRADIZIONALI
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Clogk (timer-orologio)
Il progetto Thingk è nato dall’analisi dei trend futuri per
gli oggetti di media tecnologia; abbiamo identificato due
trend generali: da un lato quelli poveri di qualità estetica,
materiali scarsi e pessima ux e dall’altra parte, invece, quelli
che esprimono un alta cura di dettaglio e design, l’uso di
materiali naturali e che sfruttano una ux contemporanea.
Abbiamo inoltre esaminato il mercato dove solo nel 2010
sono stati realizzati circa dodici miliardi e mezzo di oggetti
connessi (numero che aumenta a livello esponenziale fino
ad arrivare a cinquanta mila miliardi nel 20150) e, come
afferma Frog Design, “la tecnologia sarà più presente, in
ogni oggetto, ed emergerà un nuovo modello di interazione
basato su touch, voce e gesti”. Nel 2012 avevamo realizzato
un orologio celebrativo per il nuovo modello di scarpa
Adidas Profi come test di flusso produttivo ed è stato
esposto in cinquanta Adidas Store italiani.
Un anno fa, nel 2013, abbiamo partecipato a due grandi
eventi: la Maker Faire di Roma e a Polihub, incubatore del
Politecnico di Milano, dove abbiamo vinto la Switch2product
competition. Visto il successo del prodotto e le migliorie
applicate, che hanno generato Gkilo e Clogk, abbiamo
deciso di lanciare a fine Aprile del 2014 la campagna di
crowdfunding sulla piattaforma Indiegogo con un goal di
cinquantamila dollari.
Come avete gestito la campagna?
113 – I TRADIZIONALI
Per prima cosa abbiamo scelto un periodo strategico per
lanciare la campagna. Aprile e Maggio, infatti, sono due
mesi lontani dal periodo delle tasse, per cui la gente “poteva
permettersi” di finanziare il nostro progetto, e relativamente
“vicini” a Natale perché abbiamo calcolato di inviare i
prodotti ai donatori per l’occasione della festività.
Poi abbiamo attuato una vera e propria campagna di
comunicazione per fare pubblicare il progetto in modo da
ottenere visibilità e, di conseguenza, investimenti. Il primo
giorno siamo stati pubblicati sul blog italiano Gizmodo –
tech by design che ha scatenato un effetto duplice: da un
lato abbiamo ottenuto ottomila dollari in un colpo solo,
dall’altra ha dato il via ad altre pubblicazioni finché siamo
stati pubblicati su wired rimanendo in homepage per due
giorni.
Grazie alla mossa di wired, abbiamo ottenuto circa dieci o
dodicimila dollari.
Ogni giorno blogger e trend setter ci pubblicavano e
abbiamo ottenuto visibilità e, soprattutto, donazioni da Paesi
di tutto il Mondo.
Abbiamo deciso di evitare di usare i social network per
scelta per poterci concentrare sugli articoli, che abbiamo
ritenuto più proficui come si è poi dimostrato.
Ormai sono passati più di cinque mesi dalla fine della
campagna. Quali sono le tue conclusioni?
Ci aspettavamo di ottenere un finanziamento più alto
ma l’importante è avercela fatta. Tornando indietro forse
proverei con Kickstarter perché attira un pubblico meno
tecnologico e più vario. Penso, inoltre, che in generale non
vale la pena produrre il prodotto ma che il crowdfunding
sia un ottimo strumento di comunicazione, da sfruttare
con una strategia a 360°, che permette di ottenere altri
lavori e di misurarsi con il feedback del mercato. Dopo la
campagna abbiamo partecipato a tantissimi eventi e fiere
per incrementare i consigli e le richieste degli utenti. Il nostro
prodotto è a tutti gli effetti user oriented poiché abbiamo
cercato di migliorarlo continuamente e di finire l’app. In
fondo abbiamo venduto la nostra filosofia, cioè un modo di
progettare e il crowdfunding, che è un piedistallo a vista di
tutti, ci ha permesso di ottenere il rumore e i contatti che
desideravamo per trasmettere che si può realizzare un
design ad hoc per i prodotti e non standardizzato.
Dopo le migliorie sul vostro prodotto e la prima
distribuzione, avete pensato ad una seconda produzione?
Abbiamo in mente di procedere con una seconda
114 – I TRADIZIONALI
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Illustrazione vettoriale dei prodotti
Thingk, una delle immagini usate per
la campagna su Indiegogo.
produzione che circa trentamila pezzi per fare magazzino
e per realizzare circa mille pezzi abbiamo bisogno di
trentacinque mila euro. È un costo che possiamo dividerci
nel gruppo e che sfrutterà le possibilità che otterremo
sia dalla ricerca che stiamo facendo per Telecom, che ci
fornisce gratuitamente la tecnologia, sia per lo sviluppo per
Whirlpool.
Cosa pensi in generale del crowdfunding?
Il crowdfunding è un sistema molto interessante perché
nasce come finanziamento dal basso ma offre visibilità e
comunicazione completamente diverse rispetto ai soliti
canali. Questo sistema non solo innesca una scintilla ma
è un vero e proprio biglietto da visita che vende experties.
Al contrario di behance, in cui vengono pubblicati più che
altro dei progetti accademici e dei concept di studenti, il
crowdfunding trasmette l’idea che il prodotto è finito e
pronto per essere acquistato.
115 – I TRADIZIONALI
4.
CROWDF... CHE?
4.1
E in italia?
(59)
Dati tratti dal saggio di Daniela
Castrataro e Ivana Pais, “Analisi
delle piattaforme italiane di
crowdfunding - aggiornamento
semestrale”, promosso da Italian
Crowdfunding Network, Maggio
2014
(60)
Riferimento alla tesi “Analisi del
mercato italiano del Crowdfunding
per i progetti Business Oriented” di
Edoardo Cioni, facoltà di ingegneria
dei Sistemi, 2013
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Illustrazione GettyImages sul
In Italia le prime piattaforme di crowdfunding(59) hanno
cominciato ad operare nel 2005, ma solo nell’ultimo anno è
realmente esploso questo fenomeno. Fino alla fine del 2013
esistevano circa 27 piattaforme, mentre dopo qualche mese
si è arrivati a 41 attive.
Il valore totale dei progetti finanziati ammonta a 30 milioni
di euro e, anche se rispetto al colosso Kickstarter sembra
poco, le piattaforme sono riuscite a far finanziare ben il 35%
dei progetti proposti.
Nel nostro Paese si sono diffusi diversi modelli(60)
di piattaforma: il più comune è il “reward-based” dove i
finanziatori ottengono in cambio una ricompensa (non in
denaro); al secondo posto vi è la “donation-based” dove
si fanno donazioni a fondo perduto, senza ricevere nulla
in cambio. Esistono, inoltre, piattaforme “lending-based”,
cioè prestiti tra privati, che vengono ricompensati con un
pagamenti di interessi ed è solitamente più diffuso nel caso
delle start-up.
Dopo diversi anni dal lancio delle prime piattaforme in
Italia, si può dire che il tasso di fallimento delle campagne
è ancora molto alto, soprattutto quelle che interessano un
determinato territorio o realtà locale, e che i progetti più
seguiti sono quelli che coinvolgono la creatività e il sociale.
crowdfunding, Wired, 2014
119 – I TRADIZIONALI
(61)
Dati tratti da due saggi di Daniela
Castrataro e Ivana Pais, “Analisi
delle piattaforme italiane di
crowdfunding - aggiornamento
semestrale”, (I) Aprile 2013, (II)
Maggio 2014, promosso da Italian
Crowdfunding Network
Lista descrittiva(61) delle piattaforme di crowdfunding in
Italia:
/ Boomstarter: nasce nel Settembre 2011, proponendosi
come primo progetto con una raccolta fondi di ottomila
euro. È un esempio di piattaforma renard-based con
modello “take-it-all”.
/ Com-unity: è una piattaforma donation-reward generalista
di proprietà della Banca Interprovinciale Spa; è stata
sviluppata da quest’ultimo in collaborazione con lo Studio
SCOA, società di consulenza. È aperta a progetti di vario
genere con una maggiore attenzione nei confronti degli
ambiti umanitari, culturali, sociali e scientifici. È costituita
da tre entità che svolgono rispettivamente un proprio ruolo:
Comitato Etico (valuta i progetti verificandone la liceità),
Tutor (esprime un parere vincolante sulla fattibilità dei
progetti e assiste i progettisti durante il lancio), la Banca
(gestisce le somme donate ai progetti).
/ Crowdfunding-Italia: è una piattaforma generalista, nata
a Ottobre 2012. La registrazione è gratuita e non viene
imposta alcuna commissione sui fondi raccolti.
/ DeRevolutione: è stata fondata da Roberto Esposito a
Novembre 2012; consente di trasformare le idee migliori
in “rivoluzioni” con lo scopo di migliorare il mondo
in cui viviamo. La piattaforma accoglie campagne di
crowdfunding, petizioni, raccolte firme e iniziative.
/ Eppela: è una piattaforma rewarded-based fondata nel
2011 da Nicola Lencioni che si è basato su un modello
di business americano. Permette di finanziari progetti
innovativi e creativi in vari ambiti: arte, tecnologia, cinema,
design, musica, fumetto, innovazione sociale, scrittura,
moda e no profit. La pubblicità che sfruttano maggiormente
è l’innovazione che vogliono portare in Italia. Secondo
un’intervista rilasciata alla fine del 2013, il loro punti di forza
è la leadership italiana, mentre affermano che i loro punti
di debolezza sono il digital che divide l’Italia e una bassa
propensione delle persone ad essere degli imprenditori veri.
/ Kapipal: è stata fondata nel 2009 da Alberto Falossi e
la piattaforma si definisce “un sito per raccogliere soldi
120 – I TRADIZIONALI
online”. Essa permette di finanziare qualunque tipo di
progetto, soprattutto progetti personali, come una lista
nozze o una festa di compleanno. Per questo motivo,
Kapipal si definisce la prima piattaforma internazionale a
supportare il crowdfunding personale, senza imporre alcuna
commissione sui progetti.
/ Produzione dal Basso (PdB): fondata nel 2005 da Angelo
Rindone, è ritenuta la prima piattaforma di crowdfunding in
Italia. Lo scopo principale è di “offrire uno spazio a tutti coloro
che vogliono proporre il proprio progetto attraverso il sistema
delle produzioni dal basso”. È una piattaforma gratuita e ogni
progetto lanciato viene gestito autonomamente.
/ Starteed: è nata nel 2011 per mano di Claudio Bedino, ma è
stata lanciato circa un anno dopo. Aiuta le persone a finanziare
le proprie idee grazie al supporto finanziario e sociale della
Community Starteed,integrando nel crowdfunding tutte le fasi
successive dello sviluppo e della vendita del prodotto, dando la
possibilità di vendere online il prodotto sul sito della piattaforma
stessa.
La piattaforma italiana più “vecchia” è Produzioni dal Basso,
seguita dalla social-lending Smartika del 2008 e da Kapipal
del 2009. Il vero primo boom è avvenuto nel 2011, per
poi esplodere nel 2013-2014. In media tra l’idea e il lancio
della piattaforma passa un anno e le sedi si concentrano
prevalentemente al Nord Italia.
121 – I TRADIZIONALI
Grafico 7
Nascita delle piattaforme di
crowdfunding in Italia.
/ Dati tratti dal saggio di Daniela
Castrataro e Ivana Pais, “Analisi delle
piattaforme italiane di crowdfunding
- aggiornamento semestrale”,
promosso da Italian Crowdfunding
Network, Maggio 2014
4.2
GENESI E MOTIVAZIONI
(62)
Infromazioni tratte dal saggio
“Analisi delle piattaforme di
crowdfunding di Daniela Castrataro
e Ivana Pais in collaborazione
con ICN - Italian Crowdfunding
Networks
Grafico 8
Distribuzione delle piattaforme di
crowdfunding sul territorio italiano.
Le piattaforme italiane sono nate prevalentemente dal
contatto e dalla conoscenza delle esperienze straniere,
specialmente americane: “a partire da un’idea di
piattaforma collaborativa attorno alle idee e ai progetti,
ho scoperto il crowdfunding americano e ne sono rimasto
affascinato. Da subito ho compreso che poteva essere una
rivoluzione, resa possibile grazie all’evoluzione social della
rete, che poteva rendere possibili tanti sviluppi anche nel
vecchio continente”, “Le piattaforme italiane non sono
conosciute e non sono gratuite. [La nostra piattaforma]
nasce esclusivamente a scopo benefico e gratuito”,
“Dall’esperienza del primo social lending al mondo”,
“Studiando una piattaforma straniera”(62).
L’unica piattaforma italiana che si differenzia è Produzioni
Dal Basso, nata con molto anticipo rispetto al resto delle
piattaforme nazionali e, dal momento che nel 2005
disconosceva il termine crowdfunding, si è basata su un
sistema orizzontale per sostenere le autoproduzioni.
La maggior parte dei fondatori delle piattaforme di tipo
rewarde-based hanno un’età inferiore ai 35 anni, ma in
geneale la media varia tra i 30 e i 50 anni. Gli autori hanno
un background professionale deriva dal mondo stesso delle
piattaforme o dalle esperienze di comunicazione.
123 – I TRADIZIONALI
Grafico 9
Valore complessivo dei progetti
finanziati in base alla tipologia di
piattaforma.
Grafico 10
Nella pagina a fianco, in alto: modelli
di crowdfunding (piattaforme attive)
Grafico 11
Nella pagina a fianco, in basso:
modelli di crowdfunding
(piattaforme attive e in fase di
Il mercato di riferimento è nazionale, ad eccezione di
qualche piattaforma che si posiziona sul mercato europeo.
I siti di crowdfunding italiani sono indirizzate a singole
persone che possono proporre le proprie idee, ad aziende,
ad associazioni e alla pubblica amministrazione.
I competitor sono per lo più le altre piattaforme di
crowdfunding sparse nel territorio italiano (50%) o a livello
internazionale (30%), ma anche banche e finanziarie
(20%).
Le reti di collaborazione possono essere di diverso tipo: con
altre piattaforme (italiane e non), con banche e finanziarie,
con la segnalazione alle aziende di professionisti (e
viceversa), con enti di formazione e associazioni.
lancio)
/ i grafici 9, 10 e 11 fanno riferimento
ai dati tratti dal saggio “Analisi
delle piattaforme di crowdfunding
di Daniela Castrataro e Ivana Pais
in collaborazione con ICN - Italian
Crowdfunding Networks, Maggio
2014
124 – I TRADIZIONALI
4.3
CRITICITà del crowdfunding in italia
(63)
Fonti tratte dall’articolo “Boom
di crowdfunding in Italia, Denis
Rizzoli, pubblicato su www.wired.it,
13 Maggio 2014
(64)
Riferimento al documento “Sfruttare
il potenziale del crowdfunding
nell’Unione europea” definito dalla
Commissione Europea, pag. 11,12 e 13,
Bruxelles, 27 Marzo 2014
(65)
Tratto dall’articolo “Le fatiche del
crowdfunding”, di Ivana Pais, www.
nuvola.corriere.it, 14 Marzo 2014
I punti deboli delle piattaforme italiane, purtroppo, sono
ancora tanti.
Uno dei principali, per esempio, è il quadro normativo
che, oltre a essere restrittivo e poco chiaro, comporta
finanziamenti ridotti e un’elevata tassazione (valido per tutti
i tipi di piattaforma al di fuori di quelle no profit donationbased).
Molti progettisti che decidono di lanciare un progetto con il
crowdfunding non comprendono a pieno le dinamiche del
finanziamento dal basso e delle strategie delle campagne. Il
livello di qualità dei progetti e della presentazione delle idee
è ancora molto basso.
La mancanza di cultura di questo fenomeno porta i
potenziali sostenitori italiani a sospettare e a diffidare delle
donazioni.
È difficile promuovere e diffondere il crowdfunding(64) e il
lavoro delle piattaforme.
Vi è un’elevata difficoltà di networking con gli addetti del
settore e moltissime problematiche tecniche, soprattutto
relative ai sistemi di pagamento.
Se da un lato troviamo molte piattaforme che ammettono
di fare poco per risolvere alcune delle difficoltà sopra citate,
altre dichiarano di far conoscere il fenomeno crowdfunding,
organizzando e partecipando a eventi, momenti di dibattito,
incontri per promuovere la propria piattaforma e la cultura
del finanziamento dal basso.
La vivacità del mercato del crowdfunding sta maturando,
il numero delle piattaforme continua a crescere e si nota
uno sforzo verso la diversificazione, la specializzazione e la
localizzazione. Il mercato è ancora però immaturo a causa
della mancanza della conoscenza del fenomeno da parte
della folla che dovrebbe essere la sua prima promotrice e i
fondi raccolti sono di bassa entità. La scarsa partecipazione
del pubblico potrebbe derivare dal divario tra l’expertise
dei fondatori delle piattaforme e lo sviluppo della cultura
web nel nostro Paese(65), frenato da un ritardo tecnologico
latente. Inoltre, è stato riscontrato che le iniziative che
seguono una moda o un trend specifico, come nel caso delle
piattaforme crowdfunding DIY (Do-It-Yourself), aumentano
e ottengono molto successo e non si riesce a comprendere
la causa di questa tendenza. Forse la motivazione più
valida risiede nella diffidenza del progettista ad affidarsi
a piattaforme italiane, preferendo quelle straniere come
Indiegogo e Kickstarter, poiché oltre alle criticità sopra
elencate si limitano al territorio nazionale.
126 – I TRADIZIONALI
4.4 perchè un’azienda dovrebbe fare un
crowdfunding? IL CASO NATEVO
(66)
Tratto da www.natevo.com
(67)
Articolo “Natevo al Salone”,
pubblicato su www.domusweb, 17
Aprile 2013
IMG 68
Schizzi di Lucciola, progetto di
DoroDesign per Natevo
Natevo(66), il nuovo marchio creato da Flou, durante il
Salone dello scorso anno ha lanciato il “concorso di idee”
in cui invita designer di tutto il mondo a progettare mobili
luminosi. I migliori progetti selezionati vengono prototipati
e proposti al pubblico direttamente su Internet per essere
sponsorizzati. In questo modo la Rete viene usata come
strumento per selezionare i prodotti migliori e che hanno
un feedback positivo. Il Presidente di Flou afferma(67)
che “il crowdfunding
rappresenta un’opportunità
per il mondo del design,
anche in termini ecologici”.
La scelta è ricaduta su
un mobile luminoso,
anche se rappresenta un
tema progettuale molto
complesso, perché è un
tema nuovo ed una sorta
di sfida per un designer
per trovare nuove soluzioni
per illuminare la casa.
“L’uso dei mobili luminosi
- come viene definito
dall’Università di Genovaun sistema ecologico che
diminuisce i materiali e
l’impianto elettrico risulta
più semplificato. Il prodotto,
oltre alla componente
iconologica, si carica così di una forte dimensione
emozionale”.
Il crowdfunding è stato scelto per riuscire a accedere a
migliori idee e per creare nuovi contatti con l’azienda e,
al contrario di un concorso, permette a idee di qualità di
arrivare in un tempo non predefinito, augurando così una
crescita costante. Questa modalità permette anche di avere
un riscontro immediato con i futuri compratori e permette
alla nuova azienda di capire se vale la pena produrre o meno
un prodotto. Il processo di “sponsorizzazione” permette di
aumentare la proposta del catalogo e sarà poi il mercato a
decidere se ne ha bisogno o meno.
Nel caso in cui il crowdfunding non ha successo, i soldi
provenienti dai finanziatori, e che erano stati bloccati
durante la fase di sponsorizzazione, tornato indietro; se,
al contrario, si raggiunge il goal la cifra viene prelevata in
127 – I TRADIZIONALI
cambio della ricompensa promessa/scelta.
Le ricompense possono essere di qualunque genere (gadget
per la maggior parte) ma ciò che ha veramente successo è
la formula che permette al finanziatore di poter acquistare
un pezzzo della pre-serie. Massimiliano Messina, dopo
qualche mese dal lancio della sponsorizzazione, afferma
che sette prodotti su undici sono riusciti ad ottenere il
finanziamento, creando una sorta di “selezione naturale”.
Al contrario di Kickstarter, la maggiore comunicazione e
pubblicizzazione del prodotto non avviene attraverso il
web ma l’azienda permette alle persone di vedere dal vivo,
durante eventi come il Salone o presso i Natevo Lab o altri
showroom, gli oggetti.
Natevo rappresenta un primo esempio di uno sviluppo
prodotto diverso rispetto alla tradizione, permettendo ai
designer di esprimere al meglio le proprie idee e di mettersi
in gioco.
128 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #7
NATEvo / Massimiliano messina
(68)
Intervista svolta via mail
IMG 69
Massimiliano Messina nello
showroom Natevo
Come è nata l’idea di Natevo(68)?
E’ nata due anni fa, da una costola di FLOU. L’idea era
di formare una collezione “in progress” di mobili dotati
internamente di led decorativi ma soprattutto funzionali, in
grado di illuminare autonomamente l’ambiente, eliminando
lampadari e altri corpi illuminanti. Un progetto fortemente
innovativo anche nei processi di progettazione, produzione
e distribuzione.
Cosa ne pensi in generale del crowdfunding?
Ne pensiamo così bene che è la formula con cui è
partito Natevo. Per la prima volta architetti e designer,
ma anche studenti o semplici appassionati di design,
hanno l’opportunità di
progettare mobili con
queste caratteristiche (in
pratica “mobili lampada”)
e sottoporli al sito www.
natevo.com.
Come mai Natevo ha
scelto di rivolgersi al
crowdfunding?
Il nostro più che un
crowdfunding è un
crowdsourcing, ci è
sembrato un buon modo
per aprirci a ricevere le idee
migliori dovunque esse
nascano, siano esse vicine o
lontane dall’azienda.
Che tipo di selezione di
progettisti e progetti viene fatta all’interno di Natevo?
La partecipazione è libera a chiunque, e la scelta viene fatta
da un’apposita Commissione che si riunisce periodicamente
per decidere se di quel progetto si realizzerà il prototipo. Una
volta messo in rete, se non passerà il traguardo fissato, verrà
regalato al progettista.
Qual è il target?
Il target degli acquirenti è medio, medio-alto, ma ciò dipende
anche dalla tipologia del prodotto.
Nel caso di alcuni prodotti che hanno raggiunto il
feedback positivo da parte del mercato durante
la campagna di crowdfunding, avete riscontrato
problematiche in fase di produzione che in prototipazione
non si erano verificati?
Finora non abbiamo riscontrato problemi, anche per il buon
129 – I TRADIZIONALI
IMG 70
Schizzo di Lucciola, progetto di
DoroDesign per Natevo
rapporto collaborativo che si viene a creare tra il nostro
Centro Ricerche e il progettista.
Che tipo di pubblicità - canali - eventi prediligete per la
visibilità durante la campagna di crowdfunding?
Trattandosi di un’idea che non ha riscontri nel panorama
delle aziende di design, abbiamo iniziato con presentazioni
e mostre presso facoltà di architettura e ingegneria di varie
Università italiane. Quanto alla distribuzione, abbiamo
trovato grande disponibilità da parte dei rivenditori Flou più
sensibili all’innovazione, che hanno dedicato alla collezione
Natevo spazi riservati
nei loro showroom. A
breve inizieremo con una
campagna limitatamente
alle riviste di design.
È capitato che Natevo
credesse tanto in un
progetto che poi non ha
avuto lo stesso riscontro
da parte del pubblico o
viceversa?
Verifichiamo con
soddisfazione che Natevo
è seguita con entusiasmo,
lo stesso che ci ha animati
fin dall’inizio, e questo ci
fa guardare al futuro con
ottimismo. Anche se va
messo in conto che perché
un’idea tanto rivoluzionaria
abbia succei tempi non sono
brevi.
In generale quali pensi che siano i punti di forza e di
debolezza di questa iniziativa?
Il punto di forza è nei mobili che illuminano autonomamente
e e nella riduzione dei costi energetici. Altro punto di forza
sono i vantaggi economici ed ecologici nella progettazione
e costruzione di edifici nuovi o da ristrutturare (soprattutto
nei centri storici, vincolati dalle Belle Arti) in quanto si
eliminano interventi demolitori sui muri e non è necessario
installare punti luce a parete o tracciati elettrici. Lo vediamo
come un progetto ad alto tasso etico, quasi una missione di
impegno sociale.
Il punto di debolezza risiede nell’abbinamento che i
consumatori fanno del crowdfunding con persone che
130 – I TRADIZIONALI
partono da zero e cercano soldi per realizzare le loro idee,
mentre noi siamo un’azienda che usa la sponsorizzazione
dopo aver già realizzato il prodotto per sapere se piace ai
potenziali clienti. A breve probabilmente sostituiremo al
parte sponsorizzazione con mostre sul territorio, quella
che realizzammo durante l’ultimo Salone del Mobile ha
avuto 3.000 visitatori in una settimana; pensiamo che le
mostre raggiungano meglio lo scopo di sapere se i clienti
sono interessati ad acquistare i nuovi prodotti, ed invece
manterremo il crowdsourcing , cioè continuiamo ad
accogliere i progetti realizzare nel nostro sito internet e dalle
varie collaborazioni universitarie che abbiamo in essere.
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Lucciola, progetto di DoroDesign per
Natevo
131 – I TRADIZIONALI
4.5 #milancut: In italia i designer
emergenti scelgono il crowdfunding?
(69)
Riferimento all’articolo “Ecco
il crowdfunding che finanzia i
designer”, Valentina Ravizza, www.
nuvola.corriere.it, 10 Novembre 2013
Mark Studholme, architetto olandese e direttore della rivista
online Archello.com, assieme alla sua collega imprenditrice
Suzan Claesen ha avviato una nuova piattaforma dedicata
esclusivamente al mondo del design, CrowdyHouse.
L’idea è nata dalla domanda: “perché un designer
emergente dovrebbe portare i propri prodotti a Milano, stare
al salone del mobile per un’intera settimana cercando di
convincere qualcuno a comprarli e produrli, per poi ricevere
solo il cinque per cento del prezzo finale?”
Questa riflessione è nata qualche anno fa da una
discussione nata sul social Twitter sotto l’ashtag
#milancut(69) dove, alla fine, qualcuno suggerì che
è più conveniente per i giovani designer produrre
autonomamente il proprio prodotto divenendo loro stessi
rappresentanti del brand.
La verità è che il sistema dei diritti d’autore funziona molto
bene per chi è famoso e può avere un certo controllo
sull’azione dell’azienda, cosa che non si verifica nel caso in
cui un giovane e fortunato designer riesce a inserirsi ma ne
viene completamente “risucchiato” e sfruttato.
L’idea della nuova piattaforma è di ricompensare i
sostenitori che non fanno semplici donazioni con gadget di
poco valore ma ti coinvolgerli nel sistema trasformandoli
in veri e propri buyer dei prodotti di cui si interessano. Le
parole chiave sono design democratico e onesto e che dia
la possibilità di realizzare edizioni limitate in modo che tutti
abbiano la possibilità di avere un piano di produzione nel
rispetto dei tempi da rispettare di tutte le fasi successive alla
campagna.
132 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #8
TANIA DA CRUZ
(70)
Intervista via telefono
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Tania Da Cruz fotografata presso il
suo stand al Salone Satellite 2013
Tania, puoi parlarmi della tua esperienza di
crowdfunding(70)?
Due anni fa ho intrapreso una sorta di “crowdfunding
fai da te”. L’obiettivo era quello di riuscire a finanziare la
partecipazione al Salone Satellite 2013 per cui dovevo
pagare circa 2500 euro (iva esclusa) per lo spazio. Non
avendo i soldi, ho deciso di scendere letteralmente per
strada a chiedere un aiuto alle persone che incontravo.
L’iniziativa è stata chiamata “Design my way” ed ho creato
una pagina facebook per la comunicazione.
Sono andata in giro per Milano con addosso un cartello
che riportava la frase “congratulazioni sei il mio sponsor
ufficiale!” e semplicemente chiedevo alle persone una
piccola donazione a piacere dopo aver esposto la mia
causa; in cambio ogni sera pubblicavo la foto fatta con il
mio iphone che catturava il
momento della donazione
del mio finananziatore. Il
tutto secondo lo schema:
quota / donazione >
ufficializzazione tramite foto
> pubblicazione su facebbok
/ ringraziamento
Sei riuscita nel tuo intento,
cioè a pagarti lo spazio al
Salone Satellite?
Nove persone su dieci mi
hanno sostenuta, anche
semplicemente donandomi
un euro e, grazie al loro
aiuto, sono riuscita a
pagarmi lo spazio per lo
Stand al Salone Satellite.
Non avrei mai creduto di
farcela!
Per lo stand e l’allestimento,
invece, ho “rotto le scatole” alle aziende finché, grazie
alla mia testardaggine e al mio coinvolgimento, sono
riuscita a trovare uno sponsor che ha anche pagato per la
realizzazione dei prototipi. In questo modo sono riuscita ho
avuto la possibilità di vincere l’edizione del Salone Satellite
del 2013 a spese pari a zero.
Cosa ne pensi in generale del crowdfunding?
Condivido idealmente questo sistema ma non riesco a
comprenderne a pieno le dinamiche. Ho notato che la
133 – I TRADIZIONALI
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Foto pubblicata su Facebook da
Tania da Cruz per ringraziare i suoi
sostenitori
maggior parte dei progettisti che lanciano una campagna
di questo tipo propongo semplicemente un concept e
qualche render, il tutto ovviamente ben presentato e
“impacchettato”. Il dubbio che mi è sorto è quindi: “fanno il
crwodfunding per pagarsi il prototipo?”
Penso che se il progetto riesce ad avere successo, cioè a
raggiungere il goal monetario, può essere anche un’arma a
doppio taglio e un’illusione (che a volte non si concretizza)
sotto molti aspetti. Non metto in dubbio però che sia un
buon mezzo per trovare contatti e nuovi collegamenti ma
ciò che veramente conta è il progetto che c’è alla base e la
voglia di farcela.
Molto probabilmente il crowdfunding è da un lato una
“moda” del momento e dall’altra un mezzo che la società
mediatica ha messo a disposizione ma che, purtroppo, non
basta se non c’è una grande forza di volontà che mette in
moto e sfrutta altre dinamiche.
Il crowdfunding, inoltre, in Italia non può funzionare perché
non ci sono soldi. Negli Stati Uniti ha un ottimo riscontro
perché fondamentalmente le persone vivono su internet e
hanno una grande attività
online.
Cosa ne pensi
dell’autoproduzione? Hai
provato a vendere i tuoi
prodotti da sola?
Mi sono informata per
auto produrre e vendere
autonomamente i miei
prodotti ma le leggi in
Italia sono stupide e non è
sostenibile.
Vendere non è il mio
obiettivo principale e non
ci sono agevolazioni che
vengono incontro a questo
tipo di sistema: se si vende
in italia con una partita iva come quella di un progettista
bisogna pagare circa il 60% di tasse.
O si fa il progettista o si fa l’imprenditore.
Come cerci di dare visibilità ai tuoi progetti e che canali
sfrutti?
Invio sempre il press kit ai giornalisti cercandoli all’interno
del colophon delle riviste che mi interessano. Poi attuo una
evra e propria campagna di “spam” tra magazine e blog
online… insomma, “tutto fa brodo”!
134 – I TRADIZIONALI
4.6
EPPELA
(71)
Tratto da www.eppela.com
Eppela(71) è una piattaforma online di crowdfunding,
reward-based generalista, che dà la possibilità ai propri
utenti di condividere un progetto con la propria rete
di fruitori per ottenere un finanziamento per riuscire
a realizzarlo. Nasce in Italia, a Lucca nel Giugno 2011,
sulla base di un modello di business americanom ed è la
prima piattaforma italiana che dà la possibilità di testare
il riscontro del mercato ad un prodotto/progetto senza
spendere denaro: ha già finanziato diversi progetti con un
sistema molto simile a Kickstarter. Il fondatore del portale
è Nicola Lencioni che ha raccolto da solo dodicimila euro
per sostenere la sua iniziativa e, nonostante egli affermi che
per i prossimi due anni probabilmente Eppela non avrà dei
ricavi, punta al mercato europeo. In Europa esistono realtà
simili in Francia, Spagna e in Germania mentre in Inghilterra
sono distanti da questa visione per la quale il crowdfunding
è una risorsa per il proprio Paese in un momento di grande
difficoltà. L’idea del progetto è nata leggendo un articolo su
Kickstarter a seguito del quale Lencioni ha pensato di voler
dare le stesse opportunità ai giovani italiani in una situazione
in cui le banche e le imprese non sono disposte facilmente a
investire il proprio denaro. Il team dietro Eppela è composto
da otto persone guidate e seguita dal fondatore: project
menager, web designer, customer care e sviluppatori. La
piattaforma è indirizzata a diversi settori: arte, scrittura,
videomaker, design e tecnologia.
Lo scopo è quello di trovare dei fondi per supportare la
propria idea per dar vita ad una startup o ad un’attività
imprenditoriale. Eppela, come Kickstarter, si basa
sull’intento di trovare un “finanziamento dal basso” in
cui più figure contribuiscono e supportano un progetto
ottenendo in cambio dal progettista un’esperienza e/o
una ricompensa di tipo materiale, mai un guadagno
monetario. In questo modo, la sfera della progettazione e
della nuova imprenditoria si fondono e credono insieme in
un progetto più ampio di co-creazione e co-sostentamento.
Il sito è gestito da un team che aiuta il progettista a
definire le eventuali ricompense dei sostenitori in base
ai rispettivi fondi; il team, inoltre, promuove e sostiene
l’idea attraverso una fitta rete di contatti e una campagna
pubblicitaria che prova a dare una determinata visibilità
al progetto al fine di raggiungere il budget richiesto. Una
volta raggiunto l’obiettivo entro la data di scadenza, il
progettista può prelevare le offerte ai sostenitori e poi
procedere alle corrispettive ricompense in funzione
135 – I TRADIZIONALI
dell’ammontare di denaro messo a disposizione. Eppela
trattiene come commissione il 5% della cifra raccolta solo
ed esclusivamente nel caso in cui il progetto raggiunge
il traguardo. Il progettista che si rivolge ad Eppela deve
iscriversi al sito e inviare al team della piattaforma tutti i
dettagli dell’idea, definendo il budget utile ed una scadenza.
Dopo aver determinato le ricompense per ogni sostenitore,
viene creato il progetto (titolo, immagine, video, racconto
autobiografico) e si passa alla promozione coinvolgendo il
network. I progetti inviati vengono selezionati su un criterio
di fattibilità.
Eppela, inoltre, si occupa di un blog in cui vengono
giornalmente pubblicati argomenti e informazioni
riguardanti le startup, gli eventi e la cultura del
crowdfunding, sottolineando l’intento innovativo del sito e
del design. Il portale si basa su una comunicazione tramite
passaparola e social network, soprattutto Facebook. Eppela
è una comunità di più di 17.000 persone e ovviamente
è anche compito del progettista promuovere la propria
iniziativa attraverso la strada gratuita dei social network.
Il sito punta ad avere una grossa capienza di utenti che
porta visibilità e tra gli obiettivi nuovi vi è anche l’idea di
dare la possibilità di offrire consulenza alle aziende che
desiderano affacciarsi al mondo del crowdfunding. Una
delle più grandi difficoltà di Eppela è legata a due problemi
riguardanti il crowdfunding in Italia: la comprensione del
termine stesso e la diffidenza nei confronti delle donazioni.
Inoltre durante l’intervista Nicola Lencioni ha affermato che
in Italia si nota una bassa propensione delle persone ad
essere veri imprenditori. In una visione ottimistica, si pensa
che nei prossimi cinque anni, grazie ad una campagna
“educativa”delle piattaforme italiane, il crowdfunding possa
diventare una nuova leva di marketing ed uno strumento
efficace per le aziende.
136 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #9
STUDIO LIEVITO / FRANCESCO
(72)
Intervista svolta via mail
IMG 74
StudioLievito
Come è organizzato il team di Studio Lievito e che tipo di
esperienza avete? Come è nato il progetto?
Studio Lievito è frutto di un’accurata ricerca di passioni
comuni, una prima di tutte: la voglia di lavorare insieme.
Siamo tre distinte personalità legate però da tratti comuni:
la passione per la sfida, la ricerca del nuovo, il rispetto per la
materia e la qualità come elemento di ogni progetto.
Jacopo Volpi, un accento ligure anche se ligure non è, viene
da Carrara, ama cucinare, la buona musica e andare su una
bicicletta costruita con le
sue mani. Francesco Taviani,
é l’anima nostalgica ma
dallo spirito imprenditoriale
del gruppo, ama
collezionare antichi giochi
in scatola, ed infine Laura
Passalacqua nata a Fiesole,
instancabile divoratrice
di mostre d’arte, odia il
sughero e il mare. Siamo tre
Toscani che in tempo di crisi
decidono di scommettere
sulla loro terra ancora
piena di risorse e di abili
artigiani. Ci formiamo tra
Firenze e Milano nella stessa
Università conoscendoci
progettualmente durante
numerosi ed animati workshop. Dopo aver terminato
gli Studi Accademici ed esserci arricchiti con alcuni
anni di esperienze lavorative, decidiamo di aprire lo
Studio. Può sembrare strano aprire un’attività simile in
una cittàd’impronta rinascimentale come il capoluogo
fiorentino: non sarà come lavorare a Milano circondata dalle
sue numerose fabbriche o come vivere nella capitale della
creatività parigina; ma la nostra città ci sta dando un grande
supporto, ed in particolare con gli artigiani e le aziende locali
si è istaurato un ottimo rapporto.
All’interno del team come sono suddivisi i ruoli?
Lo Studio ha le stesse necessità di una vera e propria
azienda quindi ognuno di noi svolge delle precise mansioni
(commerciali, amministrative, tecniche) ma tutti e tre
partecipiamo alla fase creativa di qualsiasi progetto
confrontandoci continuamente per affinare il progetto finale.
Perché il Lievito, cosa rappresenta per voi questo
137 – I TRADIZIONALI
IMG 75 & 76
Type, dosa spaghetti, disegnato da
StudioLievito
ingrediente nella vita e nel lavoro?
Il Lievito rappresenta e descrive molto di noi: “quanto
serve ad alimentare il diffondersi di uno stato d’animo o di
un’idea”. Quella ‘reazione inarrestabile’ che questa sostanza
innesca tra ingredienti apparentemente inerti é ciò che per
noi significa progettare. Creare infiniti link, rimandi tra forme
e materiali fino a fondersi in un’amalgama perfetta. Nell’arte
culinaria non basta seguire gli appunti di una ricetta: gli
ingredienti ci mettono sempre del proprio. Perché uno più
uno non restituisca due, ma almeno tre.
Riprendendo l’idea del lievito, qual è il vostro rapporto con
il passato per mezzo dell’artigianalità?
Ci piace definire Studio Lievito come cerniera tra passato
e futuro. Il recupero della maestria artigiana ispira molti
dei nostri progetti, che non possono però vivere se non
sostenuti dalla produzione industriale. Rifinire a mano la
produzione seriale, assemblare in serie pezzi unici per
rispondere all’urgenza di un design slow, ma al passo con le
logiche del mercato contemporaneo.
In che modo avviene il vostro processo creativo e come
perseguite la vostra volontà di voler rendere unico ognuno
dei vostri lavori, quale ingrediente, quale valore aggiunto è
138 – I TRADIZIONALI
IMG 76
il vostro?
Ci piace molto valorizzare la qualità, l’originalità,l’interpr
etazione. Lavoriamo componendo principalmente forme
primarie dove l’intervento ‘stilistico’ é ridotto al minimo, nel
rispetto dell’identità dell’archetipo che trattiamo di volta in
volta. Ciò che da un’identità particolare ai nostri progetti é
la materia: dalla pietra serena al marmo, dalla porcellana
al vetro, dal legno al ferro, impieghiamo tutti materiali del
nostro territorio. La cucina ci influenza a tal punto da indurci
a confrontarci spesso con il disegno di questo ambiente
quotidiano. La preparazione e la consumazione del cibo
sono pratiche primordiali, e costituiscono un interessante
condensato dei caratteri propri di ogni cultura. Progettare
strumenti atti a svolgere questi processi significa instaurare
un contatto ‘intimo’ con l’utilizzatore. I nostri progetti
cercano di costruire un alfabeto privato fatto di forme e
materie, che chiede un’attiva partecipazione dell’utente
per essere compreso: la
sua curiosità prima di tutto.
Oggetti che spiegano se
stessi soltanto se utilizzati,
anche impropriamente!
Cos’è per voi il design?
Progettare per noi significa
coltivare una ‘piccola
ecologia esistenziale’.
Cercare di annullare ogni
sorta di gerarchia tra gli
elementi; il design non crea
vinti né vincitori e non apre
conflitti d’interesse. Gli
elementi in gioco finiscono
piuttosto con pacificarsi
a vicenda in un mutuo
riconoscimento.
In che modo il design di
oggi si rapporta con la
quotidianità pur derivando
spesso da un processo
creativo e realizzativo
sempre più complesso?
Design è sempre sinonimo
di innovazione?
Il design é il primo
responsabile del buon
139 – I TRADIZIONALI
IMG 77
Bigliettino inserito nel packaging di
Type, dosa spaghetti, disegnato da
StudioLievito
esito delle nostre attività quotidiane: la complessità della
progettazione di un oggetto o strumento deve risolversi per
l’utilizzatore in una percepita immediatezza d’utilizzo, pena
la mancata performance dell’oggetto!
Quali sono le difficoltà per un designer nel panorama
artistico italiano in questo determinato periodo storico?
La difficoltà che si trova ad affrontare chi si occupa di
progettazione è la medesima incontrata da aziende e
produttori. La crisi é però anche motivo di ricerca di nuove
opportunità, é necessario teorizzare e costruire differenti
modalità di produzione in
cui il designer ricopre ruoli
differenti e si inserisce nel
processo produttivo a più
livelli. In questo panorama
ci troviamo a mettere in
discussione continuamente
il nostro lavoro, che viene
‘disegnato su misura’ di
volta. Nei nostriprogetti
ci affidiamo agli artigiani
perché sono il vero futuro
del nostro paese. Pensiamo
che non possa esistere
una industria competitiva
e organizzata se dietro
le quinte non ci sono
saperi artigiani in grado di
plasmare la materia. Siamo
infatti da sempre affascinati
dall’attraversare il confine
rigido ed allo stesso tempo
labile tra artigianato e
produzione industriale,
condensando i pregi di
entrambe nei propri progetti.
Cosa suggerite a chi, come voi, ha deciso di investire la
propria vita nella creatività?
Sicuramente é necessario investire nella creatività, nel
design come nell’arte, al fine di ricostruire l’identità culturale
del nostro paese. L’arte é la massima espressione delle
capacità cognitive umane, é sarà la chiave per uscire dal
periodo storico difficile che stiamo attraversando.
Vi siete confrontati con il tema dell’autoproduzione, come
è nata l’idea del dosaspaghetti?Come avete gestito la
140 – I TRADIZIONALI
campagna (prima, mentre e dopo?)
La prima autoproduzione che abbiamo realizzato, tramite
l’aiuto di Eppela, una piattaforma di crowdfunding italiana,
é un dosaspaghetti in marmo che abbiamo chiamato Type,
ricordando nella sua forma un carattere mobile da stampa.
Abbiamo gestito tutte le fasi di promozione dagli scatti
fotografici, al video per I social network fino all’imballo. Il
lavoro è stato molto complicato ma Eppela facendoci da
cassa di risonanza ci ha aiutato a far conoscere il progetto
a livello nazionale e non solo. Type trasforma un’azione
quotidiana in qualcosa di più, omaggiando una delle varietà
più caratteristiche della pasta italiana. Lavorando spesso
con gli oggetti per la cucina, il dosaspaghetti è stata una
tappa obbligata per noi. Avevamo in mente di creare uno
strumento semplice, utile ed allo stesso tempo iconico. Ci
piace molto l’idea di “dosare” le materie prime in qualsiasi
campo si lavori, analizzando i passaggi di ogni operazione
allo scopo di individuare i nodi superflui e gli eccessivi scarti:
dalla cucina all’industria, dall’agricoltura alla politica. Il
“saper dosare” le risorse risulta un’azione preziosa a nostro
avviso in particolare nel periodo economico che stiamo
attraversando. La scelta del marmo è stata naturale, questo
materiale descrive l’area dove viviamo e dove vogliamo
lavorare ed esprime pienamente l’identità di Studio Lievito,
che si costruisce a cavallo tra passato e futuro. Il punto di
forza di type? non siamo noi a doverlo dire, ci piace soltanto
ricordare che un giornalista ha paragonato l’iconicità del
nostro dosaspaghetti allo spremiagrumi di Philippe Starck
con la sola differenza di essere più pratico!
La prima produzione che avete avviato corrisponde a
quella finanziata grazie a Eppela?
Non esattamente! Eppela per noi è stata la prima autoproduzione
finanziata dai sostenitori, in passato abbiamo avuto altre mini
produzioni di piccoli oggetti come lo zerbino in fibra di cocco
Belinda, i nastri adesivi educativi per bambini e gli sgabelli in
cemento realizzati interamente a mano nel nostro laboratorio.
L’artigiano che vi ha realizzato il prototipo è lo stesso che ha
realizzato la produzione?
No, il primo artigiano che ha realizzato i Type di Eppela non è
lo stesso usato per la produzione, il suo laboratorio era troppo
piccolo e poco strutturato per seguire una produzione vera e
propria.
Come è avvenuta la ricerca dell’artigiano (fornitore)? E
che tipo di rapporto avete instaurato?
Abbiamo la fortuna di avere un componente dello Studio di
141 – I TRADIZIONALI
Carrara quindi trovare un fornitore affidabile che lavorasse il
marmo non è stato difficile!
Avete riscontrato delle problematiche al momento
della realizzazione dei Dosa Spaghetti destinati alla
distribuzione? Se sì, di che tipo?
Sì, durante la prima produzione abbiamo avuto qualche
problema sul taglio del blocco di marmo, non riuscivamo a
trovare il macchinario che tagliasse esattamente gli scassi
del blocco come da progetto.
A che tipo di target è rivolto il vostro prodotto?
Famiglie dai 30/50 anni con potere di acquisto medio alto.
I clienti come comprano e dove? avete mai pensato di
aprire un vostro shop online dedicato sul vostro sito?
Al momento è possibile acquistarlo su alcuni shop online
di design e fisicamente in alcuni bookshop di importanti
ristoranti italiani. Riceviamo richieste anche dal nostro sito
web e prossimamente apriremo un canale più diretto per
poter acquistare direttamente da studiolievito.com
Durante la campagna che tipo di pubblicità / eventi /
canali avete sfruttato?
Durante la campagna abbiamo attivato alcuni social network
per pubblicizzare il prodotto ma preferiamo non tartassare
i potenziali clienti preferiamo invece sfruttare il prodotto
esponendolo in mostre di settore per alzare il più possibile
il suo valore. Recentemente il Type è stato selezionato per
la mostra“LUXURY IS NOT A WASTE” upgrade 2014 un
progetto di Guido Polito, CEO Baglioni Hotels, e Vincenzo
Basile di Basile Arteco - edizioni design. La mostra avrà
luogo nella prestigiosa Top Suite “Roman Penthouse” del
Regina Hotel Baglioni a Roma. L’intento è quello di dare
ospitalità a progetti di Design Contemporaneo legati al fare
italiano, rigorosamente ‘made in Italy’ e sviluppati dalle
nuove generazioni di progettisti e designer italiani e dai
Maestri del design contemporaneo e del ‘900
Cosa ne pensate del crowdfunding in generale?
L’esperienza crowdfunding è stata molto positiva,
specialmente perché ci ha permesso di entrare in diretto
contatto con le persone che apprezzano il nostro lavoro e
che sono stati ben contenti di partecipare così attivamente
allo sviluppo di un progetto. L’ autoproduzione, è comunque
un termine che fa discutere chi si occupa di progetto, un
fenomeno sicuramente ancora difficilmente inquadrabile
che è però sintomo di una radicale modifica della ‘staticità’
del consueto processo produttivo.
E’ stata recentemente presentata Ennagona, una lampada
142 – I TRADIZIONALI
a sospensione che avete disegnato per Officinanove.
Come è nato questo progetto?
Ennagona è stata inizialmente da noi prototipata nel
2013 per essere esposta durante la Design Week Milano
all’interno dello spazio Design junction La Pelota, dove
Officinanove ha avuto modo di apprezzare il progetto
individuando in esso affinità con il proprio mood. Questo
interesse si è poi concretizzato in un reale prodotto
costituendo uno degli elementi della collezione che segna
il rilancio di Officinanove sotto la guida della genovese
Onfactory.
La lampada, che nasce dall’idea di piegare un foglio di carta,
è stata realizzata in due misure ed è disponibile in un ampio
range di colori. Si può regolare l’altezza del filo a piacimento
senza doverlo tagliare, semplicemente avvolgendolo intorno
alla forma in lamiera d’alluminio.
Qual é invece l’ultimo progetto su cui avete lavorato?
Durante l’utima edizione di Operae, festival dedicato
all’autoproduzione, tenutosi a Torino qualche settimanafa,
abbiamo presentanto il brand OttAnta che nasce
dalla collaborazione tra il nostro studio ed un’azienda
produttrice di arredi in legno. I nostri trent’anni di vita si
sono confrontati con altrettanti trent’anni di esperienza
aziendale di Design80 con l’intento comune di costruire
un’autoproduzione che non rinunci al fondamentale apporto
tecnico del produttore, attivamente coinvolto nello sviluppo
del progetto. Il prodotto che tiene a battesimo il brand
OttAnta è Fugit, un orologio da parete. Lancette sospese
all’interno di un pannello rivestito da scampoli di laminati
provenienti dalle lavorazioni della fabbrica ogni volta
differenti. Tre forme primarie ed innumerevoli combinazioni
grafiche sono gli ingredienti del progetto, una collezione
di textures che ci porta avanti ed indietro nel tempo, con
suggestioni estetiche che vanno dai polite anni Cinquanta
al design sperimentale dei Settanta, fino alle note sempre
sopra le righe degli Ottanta.
143 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA #10
INNer design / lucia rota
(73)
Tratto da www.innerdesign.com
(74)
Confronto e intervista dal vivo
IMG 78
Lucia Rota, fondatrice di Inner
Design
Inner Design(73) è un’hub di design, cioè un dispositivo che
collega i clients con il server, che fino a qualche mese sotto il
Gruppo Sole 24 Ore, che fa incontrare professionisti, esperti,
appassionati di design da ogni parte del mondo. L’approccio
innovativo e di stampo relazionale di Inner Design gli ha
permesso di creare un netowrk molto fitto, oltre a un blog
con un flusso di utenti molto consistente. Lucia Rota(74) è
la fondatrice di questo portale “nato dalla constatazione”,
come spiega, “di una mancata corretta comunicazione tra
produttori, designer e clienti, in quanto parlano linguaggi
diversi e non riescono a interfacciarsi”. Grazie a Inner Design
si crea un linguaggio comune e una sorta di portale dove i
designer possono mostrare i propri prodotti e le storie alle
spalle del progetto. Qualche anno fa è stata creata una
partnership con Eppela con l’obiettivo di creare una vetrina
per i designer finanziati
con successo tramite la
piattaforma di crowdfunding
in questione. In questo
modo il portale rappresenta
uno strumento diretto
dal crowdfunding all’ecommerce.
Inner Design aveva proposto
un concorso chiamato
“Talent on the Table”, con
la partecipazione di Taste
of Milano ed Eppela, per la
scelta di tre prodotti vincitori
pensati per la tavola ai
quali si dava l’opportunità
di esporre i progetti alla
manifestazione “Taste of
Milano” e di partecipare
ad una campagna di
crowdfunding su Eppela.
Lo scopo era quello di
focalizzare l’attenzione
del finanziamento per la
realizzazione di idee valide
e per l’industrializzazione
del prodotto che sarebbe
poi stato inserito nel catalgo
online di Inner Design.
È il caso di Type di
144 – I TRADIZIONALI
Studio Lievito che, dopo aver vinto per la sua piacevolezza
estetica, la storia del marmo e le forme evocative, è
stato comunicato e proposto su Eppela. Il goal era di
3500 euro, cifra limita fino alla fine da Lucia Rota che
credeva tantissimo nel progetto e, come poi i fatti hanno
dimostrato, bisognava scegliere un budget ragionevole in
base al contesto italiano (e alla sua cultura nei confronti del
crowdfunding e degli acquisti online).
Come spiega Lucia, il progetto è riuscito nell’impresa, al
contrario degli altri due progetti sostenuti, principalmente
per alcuni motivi: il valore percepito dell’oggetto era molto
alto (un po’ come se fosse un oggetto d’arte più che un
oggetto funzionale, il goal era un budget ragionevole, era
stata studiata una strategia per la scelta delle ricompense
in maniera sistematica e molto funzionale per raggiunger
l’obiettivo del finanziamento con il “minimo sforzo”.
L’oggetto, infatti, è riuscito a raggiungere il goal perché,
anche se i sostenitori non erano moltissimi (facendo un
confronto con le piattaforme fuori dai confini italiani),
i finanziatori per avere in cambio il prodotto completo
dovevano donare almeno 25 euro (un prezzo speciale,
considerando la qualità intrinseca del materiale).
Lucia, racconta inoltre, che durante la campagna sia
loro che i designer di Studio Lievito avevano fatto un
grandissimo sforzo per far conoscere Type, per comunicarlo
e pubblicizzare la campagna di crowdfunding. Il tutto era
improntato verso una comunicazione indirizzata all’Italia, il
che ha permesso loro di ottimizzare le energie per ottenere
il goal, oltre a diffondere la filosofia del crowdfunding. Alla
domanda “quali problemi sono stati riscontrati durante e
dopo la campagna?” Lucia risponde che fondamentalmente
ve ne è stato solo uno: ovvero il peso del prodotto in marmo,
per cui la spedizione è risultata molto costosa.
145 – I TRADIZIONALI
INTERVISTA + REPORT #11
FATTELO!
(75)
Intervista svolta via mail + report
tratto dal documento “Fattelo! e il
crowdfunding | una storia di (sudato)
successo” messo a disposizione sul
sito ufficiale della srl
(www.fattelo.com)
IMG 79
Il team di Fattelo!
IMG 80 & 81
Lampada e svilupo della Fattelo!
Lamp
Quali sono i valori di “Fattelo!” che avete voluto
trasmettere durante la campagna(75)?
Comprendere quali sono i valori del progetto porta con sé
è un’operazione semplice quando si hanno in mente gli
obiettivi e se l’idea è stata già sottoposta a persone che
lavorano in diversi settori. Nel caso di Fattelo!, ad esempio,
diversi valori del gruppo di lavoro sono stati riversati nel
progetto: l’idea di un design aperto e collaborativo (che si
esprime attraverso la progettazione di prodotti facilmente
customizzabili e il free download su internet), la cultura del
riuso (sempre per la parte DIY) e il piacere per la bellezza
riversata nel design.
Una cosa molto utile può essere costruire una tag-cloud
di valori (parole) che rappresentano il progetto. Il bello
della tag-cloud è che si può giocare sulla scala delle parole
rappresentate per mettere in risalto alcuni temi rispetto ad
altri.
Come credete che bisogna struttura una campagna di
Crowdfunding?
Il punto più importante da analizzare prima di decidere se
avviare o meno una campagna di raccolta fondi online è
capire dove si vuole arrivare con il proprio progetto.
Una volta compreso il punto in cui si vuole arrivare e quale
utilità può avere il CF per il progetto (che diventerà un
progetto di tutti coloro che vi sosterranno) si può usare la
tecnica del back-casting: partire da un punto lontano nel
146 – I TRADIZIONALI
IMG 80 & 81
futuro e cercare di comprendere cosa serve per arrivare lì.
Fattelo! vuole diventare un’impresa in cui lo sviluppo dei
prodotti sia collaborativo. Per fare questo ha bisogno di
costruire una piattaforma (che però richiede investimenti
fuori dalla portata del CF), di espandere il pubblico di
collaboratori su scala mondiale (che senso ha aprire lo
sviluppo dei prodotti solo
agli italiani? Per questo
c’è bisogno di tempo) ma,
innanzitutto, di diventare
un’impresa. Il crowdfunding,
nel nostro caso e in tanti
altri, può aiutare a trovare
i fondi per diventare
un’impresa.
Quali sono gli ostacoli
riscontrati nella vostra
campagna di successo?
Gli ostacoli da superare
per il successo della
campagna sono stati tanti.
Non c’è comunque da aver
paura: per quanto grossi
possano essere stati, basta
conoscerli per capire come
aggirarli.
Il primo degli ostacoli è
sicuramente l’approccio
della popolazione italiana
alle novità di Internet. Dalla
poca (o nulla) conoscenza
del CF, passando per
l’utilizzo di internet per
fare acquisti o donazioni. E’
certamente un fenomeno
che si livellerà col tempo, ma che per il momento può
rappresentare un serio ostacolo.
Il secondo ostacolo, legato alle piattaforme di tipo “rewardbased” con il meccanismo del “o tutto o niente”, è l’utilizzo
di Paypal come unico sistema di pagamento ammesso.
In pratica, poiché le banche non permettono di effettuare
“promesse di pagamento” tramite carta di credito, l’unica
infrastruttura utilizzabile è Paypal.
Questo è forse l’aspetto più complicato: immaginate di
dover dire a un potenziale donatore che non ha abitudine
147 – I TRADIZIONALI
IMG 82
Svilupo della Fattelo! Lamp
all’acquisto via internet, di doversi iscrivere a Paypal,
collegare la carta di credito, comunicare a Paypal il numero
della transazione per l’attivazione del codice di verifica e di
attivare il proprio account.
Per ridurre l’incidenza di questi ostacoli, abbiamo
organizzato degli eventi di autofinanziamento per
raccogliere fondi da versare
poi nella campagna fondi
online, oppure abbiamo
provato ad aprire una linea
preferenziale per i donatori
che proprio non volevano
aprire un account Paypal.
Come avete capito che
Eppela faceva al caso
vostro?
Inizialmente una delle più
grandi difficoltà è stata
riuscire ad orientarsi tra il
marasma delle piattaforme
di CF presenti online: in
Italia, all’estero, generaliste,
specifiche per temi. Come
scegliere? La risposta non riusciamo a darvela nemmeno
noi. Dipende molto dall’obiettivo e dal tema del progetto
perché se, per esempio, è a sfondo sociale, è più probabile
trovare potenziali donatori su piattaforme specifiche per
questi argomenti. A nostro parere non bisogna neanche farsi
fuorviare dai numeri: magari una piattaforma generalista
ha più utenti, proprio perché ha ospitato più tipologie di
progetti, ma una piattaforma specifica per il tema del
progetto ha utenti, diciamo così, più qualificati.
Uno strumento che ci è tornato molto utile è Alexa: si tratta
di una società che raccoglie statistiche relative a siti web.
In pratica è in grado di dire quante sono le persone che
visitano un determinato sito, quanti anni hanno, se sono in
maggioranza uomini o donne, da quale regione provengono,
qual è la loro capacità di spesa. Uno strumento utile per
orientarsi nella scelta della piattaforma, partendo dalle
persone che si vogliono raggiungere. Con Fattelo! abbiamo
scelto Eppela soprattutto a seguito dell’incontro con Chiara
Spinelli, che ci è subito sembrata una persona valida e
disponibile a supportarci durante lo sviluppo del progetto.
Per noi, quindi, è stato decisivo chiamare i diversi gestori
delle rispettive piattaforme per capire quale contributo
148 – I TRADIZIONALI
possono offrire in termini di esperienza e community.
Su cosa vi siete concentrati per il video?
Il video, come ben noto, è uno strumento potentissimo per
comunicare: il fatto di essere composto da immagini in
movimento, coordinate con suoni e parole, ne fa una tecnica
coinvolgente e di rapida fruizione per l’osservatore.
Gli aspetti tecnici non sono più un problema: si possono
usare un qualsiasi smartphone, una fotocamera compatta o
reflex, una GoPro, la webcam del vostro PC; tutti strumenti
che permettono di girare video in qualità HD.
In realtà non servono né esperienza né qualità del video. Per
esempio, il video per la campagna di CF di Fattelo! è stato
girato utilizzando nell’ordine: una reflex Nikon, un iPhone,
una webcam di un portatile e una vecchia videocamera.
Le luci di scena altro non erano che lampade Ikea o simili,
opportunamente schermate con fogli di carta per pennarelli.
Quello che invece è importantissimo curare sono due cose:
il concetto dietro il video e la sceneggiatura. Nel nostro caso
una delle caratteristiche è che il progetto viene sviluppato
lavorando da 4 città differenti, cosa che sarebbe risultata
vera anche per le riprese del video. Quale poteva essere il
concetto dietro il video? Esprimere che esiste una continuità
anche se si sta a chilometri di distanza.
L’idea è stata, quindi, quella di creare continuità tra le scene
facendo passare oggetti da un’inquadratura all’altra e di
alternare spezzoni di riprese girate nelle relative città di
permanenza. Non c’è ovviamente limite alla creatività: basta
liberare la mente e essere originali.
Ottenere questo risultato ha richiesto una certa cura nello
sviluppo della sceneggiatura: oltre a costruire il discorso,
è stato infatti necessario suddividerlo nelle parti di
competenza di ciascun membro del team e coordinare tutte
le azioni che ciascuno doveva compiere sapendo di volta in
volta quale oggetto passava da un’inquadratura ad un’altra
e quindi quali oggetti ciascuna persona doveva avere per
poter girare.
Al di là dell’aspetto tecnico, la sceneggiatura del video di
Fattelo! è stata strutturata in 3 sezioni:
1. Chi siamo e cos’è il progetto;
2. Cos’è il crowdfunding e perché siamo qui;
3. Come si fa ad effettuare la donazione e (importantissimo)
quando termina la raccolta fondi.
Le riprese sono state effettuate con regia via Skype: il
regista guardava attraverso webcam la scena che veniva
girata e poteva quindi dare indicazioni sull’inquadratura,
149 – I TRADIZIONALI
sui movimenti da compiere o sul modo di pronunciare il
discorso. Ovviamente le scene sono state registrate diverse
volte, in modo da scegliere poi le migliori.
A dirlo così sembra banale. Coordinare tutte le persone per
portare a casa le riprese e ottenere un buon montato è stato
più difficile del previsto e lo sarebbe stato molto di più senza
il contributo spontaneo di Donato Sambuco, un nostro caro
amico e videomaker. Nel nostro caso, il video è durato 4:40
minuti, sicuramente troppo per mantenere l’attenzione.
Noi consigliamo di restare tra i 2:30 e i 3:00 minuti; almeno
stando alle statistiche di Youtube, che ci dicono che dopo
questa soglia di tempo metà delle persone hanno già
smesso di guardare il video. Bisogna saper riuscire a dire
tutto in 3 minuti.
Come avete scelto le ricompense?
Nel caso di Fattelo! la risposta è stata ovvia: la 01Lamp.
Questo era quello che avevamo, cioè un’idea di impresa ed
un solo prodotto. Abbiamo cercato di dare delle ricompense
che non fossero solo materiali, ma anche emozionali: l’idea
di poter prendere parte in maniera attiva ad un progetto
può essere molto gradita dai donatori, così come l’idea
di ricevere una ricompensa personalizzata o esclusiva,
dedicata specificatamente a quel donatore.
Con Fattelo! ogni donatore è diventato anche un Fattelo!
Founder, il ché gli ha dato la prerogativa di entrare per primo
nella community che è stata, ricevendo gli sviluppi del
progetto e dell’impresa.
Quanti donatori servono per finanziare un progetto?
Per Fattelo! abbiamo preparato un file excel contenente
i balzelli di donazione previsti. Per capire poi di quanti
donatori avevamo bisogno, abbiamo cercato su Eppela
progetti similari al nostro e verificato l’andamento del
numero di donatori per ogni tipo di donazione/ricompensa.
Qui c’è un primo punto chiave, da non dimenticare mai:
quando si parla di eventi che devono ancora avvenire,
altro non si può fare che ipotizzare ciò che potrebbe
succedere. Non vi è certezza nel prevedere il futuro ma
è bene, quantomeno, raccogliere delle informazioni utili
per costruire scenari possibili e aumentare la possibilità di
compiere scelte giuste.
Purtroppo non abbiamo i dati delle visite alla nostra pagina
di progetto, che abbiamo richiesto ad Eppela ma che non
ci sono stati forniti, altrimenti avremmo potuto dirvi anche
qual è stato il tasso di conversione visite/donatori (utile per
comprendere quante persone è necessario raggiungere per
150 – I TRADIZIONALI
IMG 83
Fattelo! Lamp in esposizione
aumentare le chance di arrivare al goal).
Quanto tempo è durata la vostra campagna?
Il progetto ha avuto una durata di 42 giorni sulla piattaforma.
Suona strano, ma ci sono dei motivi. Il primo è che non
necessariamente un progetto che dura di più ha più
possibilità di successo. Esiste, infatti, una sorta di fattore
“conto alla rovescia” che rende un lavoro più efficace e
mantiene viva l’attenzione di chi è intenzionato a donare.
Quindi, come suggeritoci da Eppela, il nostro progetto
sarebbe dovuto durare 45 giorni. Ma perché allora 42?
Perché vale la pena anche tenere in considerazione che la
fine del progetto deve ricadere in una data utile per poter
mantenere le promesse fatte ai donatori. Noi, infatti ci
eravamo prefissati che le ricompense dovevano essere
consegnate entro Natale: abbiamo quindi cercato di creare
una sorta di cuscinetto per garantire che le spedizioni
arrivassero in tempo, tenendo conto di eventuali ritardi del
corriere.
Abbiamo, inoltre, tenuto sotto controllo le azioni nel tempo
costruendo un GANTT, che ci ha permesso di visualizzare
graficamente le azioni da compiere nel tempo per poter
raggiungere il nostro obbiettivo.
Come vi siete organizzati durante la campagna?
L’aspetto più importante della partenza è riuscire a
151 – I TRADIZIONALI
raccogliere subito dei fondi. Questo serve a dare una spinta
iniziale al progetto e a rendere consapevoli le persone che,
anche con il loro contributo, si può riuscire a farcela.
Per questo motivo è d’obbligo organizzarsi prima: chiedere
agli amici, parenti o conoscenti, se vi sono persone disposte
a donare. Per noi è stato utile organizzarci in modo che
effettivamente queste persone abbiano donato il primo
giorno di messa online, considerando che anche tra le
persone che ci seguivano online ci sarebbe stata gente a
finanziare. È importante, infatti, far sapere ai propri follower
cosa bolle in pentola, per renderli realmente partecipi del
progetto.
Grazie a Facebook o Twitter, abbiamo presentato contenuti
sul tema del CF, sul progetto e qualche aggiornamento sul
lavoro di preparazione. Abbiamo predisposto un forum sul
sito per permettere ai visitatori di iscriversi alla newsletter
e anche attraverso questo canale abbiamo annunciato in
anticipo le nostre intenzioni e preparato una newsletter per
comunicare la messa online del progetto.
Che tipo di rapporto avete instaurato con i vostri follower?
Già prima di cominciare a pensare al crowdfunding, ci siamo
preoccupati di aprire dei canali di comunicazione con le
persone interessate al progetto: creare dei punti di contatto
dove scambiare opinioni, chiedere suggerimenti ai propri
supporter, aprire lo sviluppo dell’idea.
Esistono molteplici canali per fare questo, ma il mondo
dell’online offre davvero tante opportunità.
C’è innanzitutto il sito internet, che è stato un punto di
contatto fondamentale: contiene informazioni sempre
accessibili sul progetto, ha comunicato chi eravamo e che
stavamo per andare su una piattaforma di CF per una
campagna. C’è poi l’enorme mondo dei Social Network,
che si distinguono principalmente per tema, modalità
di pubblicazione, numero di frequentatori ed età. Non è
facile capire quale scegliere, ma è certo che difficilmente
avremmo potuto evitare di creare una pagina Facebook e
un account Twitter, senza dimenticare Youtube (utile per
caricare il video del progetto).
Inoltre, abbiamo usato moltissimo la newsletter grazie a
MailChimp, che funziona bene ed è facile da usare. Abbiamo
raccontato a chi ci seguiva quello che stavamo facendo per
portare avanti la raccolta fondi e gli ostacoli.
Come avete fatto a trovare sempre nuovi donatori? Che
tipo di canali avete sfruttato?
Come spesso capita, a un certo punto dovevamo trovare
152 – I TRADIZIONALI
altre persone (oltre a quelle che già conoscevamo) che
avrebbero potuto essere interessate a sostenere il progetto.
Abbiamo svolto questa operazione su due fronti: online
(dove abbiamo potuto raggiungere più gente, ma in
percentuale meno donatori) e offline (cioè in situazioni in cui
si può creare un contatto diretto e personale con i potenziali
donatori).
Nel caso di Fattelo!, abbiamo avviato delle azioni di Digital
PR. In pratica, selezionati i valori da comunicare, abbiamo
iniziato a contattare siti riguardanti i temi del progetto,
presentando una breve descrizione, immagini e una cartella
stampa in pdf. Se il progetto è davvero interessante, non è
difficile venire pubblicati su siti più o meno noti.
Abbiamo organizzato la campagna di comunicazione
scegliendo scegliete siti e blog inerenti. Più i siti sono
frequentati, più persone si possono raggiungere. Anche qui,
per ottimizzare gli sforzi, abbiamo usato Alexa e E-Buzzing,
che presenta una lista dei blog più visitati in Italia divisi per
categoria. Riguardo all’offline, invece, ci sono decine di modi
per raggiungere nuova audience: organizzare un evento per
la raccolta fondi presso un teatro, un bar, un casa del popolo,
un centro sociale (a seconda del tema del progetto).
Siete riusciti a trovare uno sponsor?
La strada per il successo di una campagna è piena di
difficoltà e quindi abbiamo cominciato a cercare una
sorta di sponsor: vale a dire, un donatore che apportasse
una cifra più sostanziosa per dare una spinta verso l’altro
alla raccolta. In questo caso, il vero valore di scambio per
lo sponsor è stato: “la mia attività sta sostenendo, via
crowdfunding, un interessante progetto”.
L’idea è stata di Anteprima ADV, agenzia di comunicazione
che, dovendo recapitare regali natalizi a 120 fra
clienti, fornitori e amici, ha deciso di donare 2.500,00
euro al progetto ricevendo in cambio 120 lampade.
All’impacchettamento hanno pensato loro: una bella busta
colorata, un flyer che spiegava il contributo di Anteprima
ADV al progetto e anche una cartolina elettronica per
scaricare direttamente il profilo della lampada, senza
passare dallo share.
E’ chiaro che senza l’aiuto di questo sponsor, non avremmo
mai raggiunto la soglia dei 5.000,00 euro. Ma è anche vero
che senza i 3.900,00 euro di offerte da singoli donatori, non
saremmo riusciti comunque a raggiungere il risultato.
Non ci chiediamo qui se sia giusto o meno trovare uno
sponsor: semplicemente prendiamo atto che allo stato
153 – I TRADIZIONALI
IMG 84
Materiale informativo della Fattelo!
Lamp
attuale, trovare uno sponsor può essere una buona
possibilità per concludere con successo la raccolta fondi.
Come dialogate con i vostri follower?
Internet permette non di lanciare messaggi pubblicitari da
fare assorbire come una spugna, ma di creare un vero e
proprio dialogo con le persone.
Creare argomenti di discussione è sempre un buon metodo
per tenere viva l’attenzione: questo sistema è utile sia prima
del lancio del progetto, che durante; in generale si tratta di
una buona occasione per ascoltare ed imparare.
Uno degli esperimenti che abbiamo fatto è stato quello di
chiedere sulla pagina Facebook di Fattelo! chi fra i nostri fan
avesse già donato e chi no, chiedendo il perché.
Dei 21 voti raccolti (non è quindi un dato statisticamente
rilevante, ma a noi è servito lo stesso), 5 persone hanno
risposto che volevano
donare ma, essendo
troppo pigri, chiedevano di
essere avvisati prima della
scadenza della raccolta
fondi per poter contribuire;
altri 5 hanno ci hanno fatto
invece sapere che volevano
donare, ma senza aprire un
account Paypal. In questo
modo, siamo riusciti a venire
incontro ai donatori e ad
aumentarne il numero.
Abbiamo anche usato
la sezione aggiornamenti e commenti presente sulla
piattaforma. In questo modo abbiamo tenuto nascosto
alcune informazioni che abbiamo svelato pian piano per
mantenere vivo l’interesse. Per esempio abbiamo pubblicato
in un secondo momento le informazioni più dettagliate sulla
spedizione, richieste di aiuto per raggiungere il goal o su
un evento con un aggiornamento di Facebook. I commenti
rappresentano invece una parte più interattiva e siamo
riusciti a dialogare con le singole persone. Alcuni donatori li
hanno utilizzati per farci i complimenti ed esprimere il loro
supporto (il ché, soprattutto quando la strada si fa difficile,
dà una bella boccata di ottimismo).
Avete incontrato i vostri sostenitori?
Vista la diffidenza degli italiani verso i nuovi fenomeni
online, uno degli aspetti più utili per aumentare le chance di
successo è stato quello di organizzare un evento offline.
154 – I TRADIZIONALI
Un evento offline non deve solo essere un’occasione per
lanciare un messaggio, ma è anche un modo per divertirsi,
rilassarsi e, soprattutto, rispondere tempestivamente alle
domande e ai dubbi dei sostenitori.
Esempio pratico: durante la messa online del progetto,
Chiara Spinelli ha organizzato un interessante iniziativa
al CoWo360 di Roma. Si trattava di una serata di
finanziamento in cui ogni invitato pagava all’ingresso 5 euro,
ricevendo in cambio 5 fagioli.
Durante la serata, oltre a gustarsi l’aperitivo e a parlare di
crowdfunding, sono stati presentati due progetti presenti
su Eppela, uno dei quali era il nostro. Dopo le presentazioni,
ciascuno poteva “versare” i propri fagioli su uno dei due
progetti. Il ricavato raccolto veniva infine versato su ciascun
progetto. Un’idea interessante e originale, che ha permesso
al progetto di raccogliere 195 euro in un pomeriggio.
Come vi siete mossi a fine campagna?
Una volta raggiunto il goal su una piattaforma reward-based
con il sistema “o tutto o niente”, abbiamo cominciato a
ricevere sull’account Paypal le donazioni.
I tempi dipendono della piattaforma: nel nostro caso
sono serviti dai 7 ai 10 giorni. Il prelievo, infatti, avviene
automaticamente dalla carta di credito del donatore quindi
è possibile che alcuni di essi abbiano la ricaricabile vuota e la
donazione non arrivi subito.
Nel caso di Fattelo!, in realtà, le donazioni sono arrivate
quasi tutte e subito. L’unico ostacolo che abbiamo
incontrato era legato ad una limitazione di Paypal. Per la
legge europea antiriciclaggio Paypal ha delle limitazioni
che non permettono di raccogliere più di 2.500,00 euro.
Fortunatamente il limite si rimuove presentando alcuni
documenti e, sul totale di donazione dei 6.403,00 euro
raccolti, nei primi 3 giorni successivi alla conclusione
del progetto ne sono arrivati 6.203,00. I gestori della
piattaforma si sono messi in contatto con i donatori che non
hanno completato il pagamento: il più delle volte si trattava
di problemi tecnici o di carte prepagate da ricaricare,
insomma piccolezze.
Le donazioni sono arrivate come singole transazioni da
parte dei donatori, già decurtate della percentuale per la
piattaforma (5% per Eppela) e della percentuale per Paypal
(3,4% + 0,35 a transazione).
Come avete gestito ricompense e spedizioni?
Ci siamo affidati a “Come Spedire”, un Gruppo d’Acquisto
Solidale (GAS) che permette di effettuare spedizioni con
155 – I TRADIZIONALI
corriere a prezzi vantaggiosi e con un’infrastruttura di facile
utilizzo.
Terminata la campagna e ricevute le donazioni, il gestore
della piattaforma ci ha mandato un report contenente
alcune info sulle donazioni, ma non gli indirizzi per le
spedizioni. Abbiamo, quindi, fatto una paginetta in PHP per
la raccolta dei dati e abbiamo usato un servizio di newsletter
per contattare tutti i donatori in un colpo solo.
Abbiamo caricato tutti gli indirizzi presenti sul report
all’interno di Mailchimp e inviato una newsletter con un
breve ringraziamento e il link alla pagina presente sul
sito internet. Il vantaggio di usare Mailchimp è che rileva
automaticamente chi ha aperto la newsletter e chi no,
oltre a dirci chi ha cliccato sul link. Ci siamo assicurati che
tutti fossero stati avvisati e abbiamo risparmiato un sacco
di tempo nella gestione dell’anagrafica. Inoltre, grazie
allo stesso sistema, abbiamo potuto avvisare i donatori
dell’avvio della spedizione e comunicare il codice di tracking.
La pagina sul sito conteneva tutti i campi necessari per
poter ricevere la spedizione: nome e cognome, indirizzo,
CAP, città, provincia, numero di telefono (casomai il corriere
non avesse trovato in casa il destinatario) e un campo “note”
per aggiungere dettagli (orario preferito di ricezione, c/o,
etc.).
Seguendo il consiglio di chi prima di noi ha fatto un
crowdfunding, abbiamo ringraziato tutti i donatori: senza di
loro il progetto sarebbe rimasto fermo, il che fa dei donatori
il motore centrale del CF.
Finita la campagna e gestite le spedizioni, abbiamo
fondato l’impresa e ci siamo trovati a dover gestire diversa
burocrazia, partecipare ad incontri sul CF, interviste, fiere,
etc. Siamo riusciti ad inviare il ringraziamento con 3 mesi di
ritardo!
Per il ringraziamento abbiamo registrato in diretta un video
tramite il servizio di video-conferenza gratuito Google
Hangout, in cui non solo abbiamo ringraziato i Founder per
il loro contributo, ma li abbiamo anche aggiornati sullo stato
di avanzamento del progetto.
Se poteste tornare indietro, cambiereste qualcosa?
Partiamo dagli errori, che sono quelli che fanno più
male. L’errore principale che abbiamo compiuto è stato
non organizzare bene la campagna di comunicazione
per coinvolgere nuovi donatori. E’ stata soprattutto una
questione di tempi: l’attività di PR digitali è stata rallentata
dopo i primi giorni (effetto “dormire sugli allori”) e ripresa
156 – I TRADIZIONALI
troppo tardi. A nostro parere, invece, una buona campagna
di PR digitali avrebbe aumentato di molto le possibilità di
arrivare al goal senza l’aiuto di uno sponsor. Per esempio,
finita la raccolta fondi siamo stati pubblicati su diversi
media: diverse persone ci hanno contattato dicendoci che,
se l’avessero saputo prima, avrebbero sostenuto il progetto.
Il secondo errore (relativamente ad alcuni aspetti) è legato
all’organizzazione. Avevamo in testa quali dovevano essere
le azioni e i tempi per gestire la campagna di raccolta fondi,
ma non avevamo tenuto ben in conto alcuni imprevisti (es.:
ritardi dei fornitori, blocco account Paypal). Fortunatamente
alla fine è andata bene e siamo riusciti a consegnare in
tempo le ricompense, ma la paranoia e lo stress sono
stati non indifferenti. Passiamo ora alla parte più bella: i
meriti. Certamente uno dei meriti è stata la progettualità
nel costruire la campagna. Abbiamo cercato di capire già
prima quali fossero gli ostacoli e organizzare il lavoro per
aumen-tare le possibilità di farcela. Questo ci ha permesso
di non disperdere energie, di comunicare bene il progetto, di
renderlo qualitativamente soddisfacente.
Secondo merito: la reattività del team. Ogni persona si
sentiva responsabile del successo e, quando sorgeva un
imprevisto, era sempre pronta a reagire fornendo soluzioni.
Terzo e ultimo merito): quello che interessa realmente a
noi in quanto persone (quindi al di là di Fattelo!) è che il
CF diventi veramente un mezzo per finanziare le proprie
idee. Siamo convinti che questo passi anche attraverso
un’evoluzione qualitativa dei progetti presentati e speriamo,
quindi, di aver dato, con questo report e le discussioni che ci
auguriamo ne nascano, il nostro contributo.
Cosa ne pensate del crowdfunding in Italia?
Allo stato attuale delle cose il CF in Italia, per quel che
riguarda il reperimento di fondi per l’impresa, si posiziona in
quella che nell’attività d’impresa viene definita la fase delle
3F: Fools, Friends and Family.
Stiamo appunto parlando di fasi iniziali di finanziamento: il
CF in Italia è certamente già uno strumento utile per trovare
i primi capitali e fondare una società, soprattutto dopo la
creazione della SRL Semplificata. Non è invece adeguata
per sostenere i costi legati all’attività imprenditoriale, questo
è evidente.
Vogliamo subito schierarci contro tutti i disfattisti che
blaterano sull’inutilità del crowdfunding per le imprese:
“si raccoglie troppo poco”, “ma dove volete arrivare
con 5.000,00 euro” e tutta la sequela di lamentele che
157 – I TRADIZIONALI
solitamente trattiene le idee nello status di idee e non ci
permette di trasformarle in realtà.
Se guardiamo ai fatti, Fattelo SRLS non sarebbe nata senza
il crowdfunding. E senza una forma societaria non avremmo
potuto cominciare a commercializzare la lampada,
chiedere pagamenti a 30 giorni ai fornitori, presentarci ad
associazioni di categoria e alle istituzioni come impresa e (il
ché ti permette di accedere a molti servizi a cui non potresti
accedere da privato cittadino, vedi i servizi offerti per le
startup innovative).
Inoltre pensiamo che sia più facile raccogliere 5.000,00 euro
tramite crowdfunding che non ottenere un finanziamento
della stessa somma a fondo semi-perduto dallo Stato.
Il crowdfunding è davvero un’opportunità e il motivo
principale è chi finanzia parla la stessa lingua! Il vero punto
di forza del CF è che mette in contatto innovatori con
innovatori, anche se gli uni mettono le idee e gli altri mettono
capitali diffusi.
L’unica controindicazione che abbiamo trovato è stata
la difficoltà di raggiungere il goal, pur con un progetto
interessante, ben strutturato e adeguatamente comunicato.
Oggi Fattelo SRL di cosa si occupa?
Si occupa dello sviluppo di prodotto di design che possono
essere acquistati o costruiti con materiali di recupero
o di scarto, insieme alla diffusione della cultura del DIY
attraverso i Fattelo! on Tour. Ci occupiamo anche della
commercializzazione dei prodotti, affidandoci a partner
esterni per la produzione dei materiali necessari.
Quali sono i prossimi step della società?
Vorremmo che Fattelo! diventasse un’impresa al 100%,
che generi abbastanza fatturato per creare posti di
lavoro e aprire la possibilità di nuovi investimenti per la
sperimentazione. E’ una strada lunga e tutta da costruire.
Idealmente abbiamo individuato quattro componenti
che potranno permetterci di avvicinarci a questo goal:
individuare la tipologia di clienti, strutturare il processo di
vendita, sviluppare nuovi prodotti e diffondere il brand.
Mentre i primi due punti sono stati sviluppati negli anni
precedenti, il terzo punto è il prossimo ostacolo da
affrontare, mentre il quarto è un processo continuo che
passa attraverso varie fasi di definizione.
Avete in mente altri progetti/prodotti da mettere sul
mercato? Se sì, di che tipo? Se no, perchè?
Sì, abbiamo già lavorato a dei prototipi per altri prodotti,
ma stiamo effettivamente ancora definendo quale sarà
158 – I TRADIZIONALI
il mondo dei prodotti Fattelo! Proprio per questo, non
vogliamo ancora sbilanciarci sulla tipologia di prodotti che
presenteremo, anche perché non è detto che l’innovazione
debba arrivare dal prodotto, ma potrebbe anche arrivare da
una ridefinizione della catena di distribuzione.
Stiamo quindi definendo come sarà il mondo di Fattelo!
Vendete di più online o offline?
Vendiamo più offline, ma c’è da dire anche che vendiamo
in maniera differente nei rispettivi canali. Offline vendiamo
ai negozi, che effettuano ordini più sostanziosi a prezzi
unitari più bassi (cosa necessaria per garantire che ci sia
marginalità anche per loro). I negozianti sono fondamentali
in questa fase perché ci permettono di avvalerci delle loro
capacità ma anche di apprendere dalla loro esperienza.
Online vendiamo invece ai singoli clienti e a prezzo pieno,
cosa che genera maggior margine per l’impresa, e subiamo
le molte difficoltà del vendere un prodotto fisico attraverso
un canale digital e la difficoltà nel portare visitatori sul sito.
159 – I TRADIZIONALI
4.7
Opportunità & limiti
(76)
Alessandro Brunello, fondatore di
Pruduzione dal Basso e scrittore del
libro “Il manuale del crowdfunding”,
Modelli di Business, Maggio 2014
Il crowdfunding rappresenta in primis una nuova forma
di linguaggio dove il racconto diviene uno degli strumenti
fondamentali per la struttura di un progetto.
Da un lato questo fenomeno in maniera virale si sta
diffondendo a livello internazionale come opportunità
sociale, economica e culturale, dall’altro sicuramente non
presenta solo vantaggi ma raccoglie in sé una serie di
problematiche legate alla disintermediazione assistita, cioè
al ridimensionamento del ruolo di intermediazione svolto
dagli istituti di credito.
La vera innovazione di questo servizio è che dipende solo ed
esclusivamente dalle persone e dall’unione delle loro forze e
dalla trasversalità delle discipline che riesce a coinvolgere.
Come suggerisce Alessandro Brunello in “Il manuale del
crowdfunding”, pubblicato nel Maggio del 2014 per MDB
(Modelli di Business), “i movimenti e gli upgrade più
significativi del fenomeno, si nota che sono espressione di
una long tail (coda lunga) frammentata. Questi frammenti
sono utenti sparsi, persone che inconsapevolmente stanno
convergendo da posizioni e motivazioni molto diverse alla
creazione di nuove comunità economiche. Sono la parte
consistente del crowdfunding sia in termini di valore delle
transazioni sia per i contenuti innovativi nel linguaggio e
nelle modalità sia per la loro distribuzione”.
Ciò che contraddistingue il crowfunding è che è un
fenomeno umano, ancor prima di essere una soluzione
economica o di valore progettuale. È una delle modalità
che al meglio riesce a esprimere le potenzialità offerte da
Internet e i limiti celati dietro i software stessi.
Il finanziamento dal basso rappresenta per molti un modo
per sopravvivere e scoprire nuovi percorsi per realizzare un
progetto, per apportare innovazione o semplicemente per
condividere un’idea con una comunità che parla lo stesso
linguaggio.
Con il crowdfunding non bisogna limitarsi a ciò che si
conosce, aiuta a aprire nuovi mondi, a cambiare punti di
vista, a dimenticare cose che si credevano importanti e a
evolversi continuamente assieme al progetto, osservando e
confrontandosi con chi sostiene o denigra un determinato
progetto.
Una campagna di crwodfunding mette alla prova le skills e
gli strumenti a disposizione e, per la prima volta nella storia,
il progettista si propone alle persone e non alle aziende. Non
si parla di clienti, ma è fondamentale sottolineare “persone”,
tutti i sostenitori, tutti coloro che vogliono essere resi
160 – I TRADIZIONALI
IMG 85
Illustrazione sul significato della
parola crowdfunding
partecipi all’interno del processo creativo e che desiderano
interfacciarsi con gli strumenti operativi, compresi coloro i
quali vogliono conoscere il volto di chi ha prodotto l’oggetto
che stanno utilizzando.
Kickstarter, Indiegogo e la nascita di una costellazione di
piattaforme di crowdfunding in tutto il mondo dimostra
come questa modalità di coinvolgimento abbatta le frontiere
tradizionali di tipo tecnico e culturale. Come ci ricorda
A. Brunello, nel crowdfunding i progetti “si fondano sulla
condivisione di un sentire, di quel sentimento-opinionefeeling che in lingua inglese è contenuto nella parola
sentiment. Nuovi e funzionali modelli di business nascono
ogni giorno per accogliere questi sentimenti.”
Si delinea sempre più una economia collaborativa (sharing
economy) in cui si sviluppano nuove forme ci co-working,
nascono nuove start-up
e persorsi formativi e
professionali trovano spazio,
le imprese “illuminate”
investono in ricerca per
ottenere in maniera
strategia collaborazioni in
grado di generare prodotti
innovativi e una nuova rete
di collaborazioni sociali.
All’interno di questo
sistema in forte fermento
il designer rappresenta
una figura professionale
indispensabile che, assieme
al crowdfunding, diviene un punto d’incontro tra chi vuole
realizzare un’idea e chi desidera sostenerla, all’interno di un
contesto sempre più aperto alla condivisione e allo scambio.
Una delle problematiche più grandi delle piattaforme di
crowdfunding italiane è di tipo “culturale” in quanto non
riescono a creare una salda comunità di riferimento, in
grado di far rumore e di generare la forza che, un fenomeno
basato sulla folla, richiede.
La piattaforma offre un servizio che dipende dalle
persone ma spesso manca una vera e propria azione di
comunicazione e di marketing che dovrebbe essere gestita
dai fondatori delle tante piattaforme di finanziamento dal
basso italiane. Non sempre l’errore risiede nei progettisti
che credono nell’idea o dal livello della loro intraprendenza.
Il mercato italiano del crowdfunding è immaturo in molti
161 – I TRADIZIONALI
suoi aspetti e, oltre a diffondere il “verbo” di tale movimento
bisognerebbe affiancare e studiare ad hoc ogni progetto
per ottenere il massimo risultato, ovviamente dopo
un’attenta selezione delle idee. Rispetto a Kickstarter,
ormai consolidata da anni, il crowdfunding in italia non
può limitarsi ad offrire solo il portale e qualche consiglio
standard. Oltre al fatto che l’impegno in termini di tempo
e energie potrebbero non essere giustificati per alcuni
progetti, gli ostacoli in cui inciampare sono tanti e l’aiuto e il
sostegno deve partire dall’impegno e dal supporto del team
della piattaforma.
Tralasciando i dati che prospettano una forte crescita del
fenomeno in Italia, uno degli step fondamentali da compiere
è creare una vera e propria cominità di specifici progetti. In
Italia i limiti risiedono nel fatto che molte piattaforme offrono
solo uno strumento, il portale per il lancio della campagna e
con cui raccogliere gli eventuali fondi, e un servizio minimo
di consulenza e di promozione, spesso basato sui click e
sull’aumento del finanziamento, diversificato poiché ancora
possono permetterselo (i numeri dei progetti caricati sono
ancora pochi rispetto a quelli di Kickstarter o Indiegogo).
Un modo per superare queste criticità e,
contemporaneamente, diffondere la forza del crowdfunding
potrebbe essere superato attraverso un supporto da parte
delle piattaforme e l’aiuto e collaborazione di sponsor più
conosciuti.
Alcuni mezzi di comunicazione potrebbero riservare uno
spazio dedicato per aumentare il confronto e il dialogo su
alcuni progetti che stanno per essere lanciati e durante la
campagna per creare un vero “finanziamento della folla”, a
partire dalla comunicazione stessa.
162 – I TRADIZIONALI
4.8
l’importante è “to be connected”
(77)
Tratto da “Estratto - Il Manuale
del crowdfunding”, di Alessandro
Brunello, Modelli di Business,
Maggio 2014
Nell’ultimo decennio sono nati molti neologismi legati alla
parola “crowd”e vengono utilizzati su Internet per definire le
nuove forme di economia che si affacciano in maniera virale
a livello internazionale grazie ai social network che riescono
a coinvolgere anche milioni di persone.
I termini più diffusi sono: share economy, crowdsourcing,
crowd economy, weconomy, coworking, open economy,
open sourcing… e così via. Questo insieme rappresenta
diverse forme di economia partorite da Internet e dai
netowork sociali che ne derivano.
All’interno di questa visione, la nascita del crowdfunding
risulta essere quasi un’evoluzione scontata di questo
processo che, dopo alcuni esperimenti, da due anni a questa
parte rappresenta un fenomeno in continuo aumento.
È possibile paragonare l’incremento delle transazioni
destinate al finanziamento dei progetti al numero dei like
cliccati su Facebook.
Di fatto, le prime campagne di crowdfunding(77) sono
state finanziate perché sostenevano cause sociali o per
volontariato. A partire da questi casi vincenti, si sono
evolute le richieste di finanziamento e sono aumentate le
campagne fino a portare il crowdfunding ad essere definito,
come ci ricorda Allessandro Brunello sul testo “Il Manuale
del crowdfunding”, “una risposta alle crescenti carenze
del welfare e che si e poi diffuso in maniera trasversale e
multidisciplinare in tutti i settori e in diverse classi sociali. Se
il bene del singolo è uno spicchio del bene comune, allora
anche la creazione del singolo è una parte della creazione
collettiva dell’uomo , o di una comunità”.
163 – I TRADIZIONALI
(78)
Riferimento al documento “Analisi
delle piattaforme italiane di
crowdfunding”, pag. 22, Daniela
Castrataro e Ivana Pais, promosso
dalla Italian Crowdfunding Network
- ICN, Maggio 2014
(79)
Tratto da “Estratto - Il Manuale
del crowdfunding”, di Alessandro
Brunello, Modelli di Business,
Maggio 2014
Gli addetti al settore (fondatori di piattaforme, economisti...)
come definiscono(78) il crowdfunding?
/ La voce della rete
/ Opportunità di crescita e di sviluppo
/ Un modello ideale per sviluppare idee e per fare impresa
In un’epoca finance oriented (forse ancora per poco) è
l’opportunità di riscoprire l’economia reale attraverso il
mondo digitale
/ È un crocevia tra nuove forme di economia e social
networking
IMG 86
Nella pagina a fianco: illustrazione di
Adam Simpson per The New Yorker
/ La nascita di nuove comunità economiche basate sul
finanziamento orizzontale
/ L’attivarsi di community per raggiungere un obiettivo
comune
/ Valida alternativa ai classici canali di finanziamenti.
Sostiene un’idea con tanti piccoli contributi che messi
insieme fanno la differenza
/ Sistema di finanziamento che utilizza il web come
strumento per condividere progetti e recepire donazioni per
la realizzazione degli stessi
/ Una sovrastruttura del social networking
Per concludere, la nuova definizione di A. Brunello sul
crowdunding:
/ Un progetto in crowdfunding mira a coinvolgere una
community di riferimento con l’obiettivo di raccogliere
attraverso donazioni e in un periodo di tempo definito, una
somma di denaro dichiarata sufficiente alla realizzazione di
quel progetto(79).
165 – I TRADIZIONALI
4.9
L’incremento dei social networking
(80)
Riferimento all’articolo
“L’importanza della presenza sui
social netowrk”, www.networkservice.it, Gennaio 2014
grafico 12
Uso dei social netowrk
dalle aziende
I social network ogni giorno incrementano la loro
importanza e rappresentano per un’azienda un canale di
comunicazione per attuare una strategia efficace da non
lasciarsi sfuggire.
La maggior parte delle persone ha almeno un profilo
su uno dei social network più diffusi e il loro aumento
e direttamente proporzionale all’ampiezza delle reti di
contatto che si possono creare. Grazie agli smartphone e
ai tablet e alla possibilità di essere sempre raggiungibili e
connessi alla rete, l’uso dei social network non solo è più
semplice e immediato ma ha fatto comprendere che il loro
ruolo non può che aiutare all’interno di una strategia mirata
ad un target ben specifico.
Sappiamo che lo scopo principale per cui sono stati creati
i social network(80) è la possibilità di comunicare, quindi
se un’azienda apre un profilo solo per poter aumentare le
vendite molto probabilmente non si otterranno i risultati
immaginati. Bisogna attuare una strategia di marketing
completa partendo dal presupposto di comunicare
qualcosa e capire quali obiettivi si vogliono raggiungere,
approfittando della potenzialità dei social di essere sempre
a portata di mano e di poter raggiungere un pubblico molto
vasto che ricopre diverse fasce di età che dispongono di
un reddito (soprattutto tra i 20 e i 55 anni). Altro elemento
fondamentale è che i social network sono gratuiti ma gestire
un profilo non è così semplice se si vogliono ottenere certi
risultati. È importante partire da un’analisi dettagliata della
comunicazione aziendale e cercare di comprendere come
veicolare al meglio il messaggio. Spesso le aziende decidono
di affidarsi a dei professionisti esterni per ottenere la
massima coerenza con l’azienda.
Importanza attività e presenza sui social network:
/ Gli utenti valutano le aziende in base alla cura che
dedicano ai loro profili social
/ Maggior numero di fan uguale maggiori probabilità di
vendita online
/ Dialogo diretto cliente-azienda
/ Le scelte dei consumatori vengono influenzate dai social
network
Una delle cose più importanti per ottenere successo
all’interno dei social è, oltre a dare informazioni, parlare con
le persone e non alle persone, creando dei post coinvolgenti.
166 – I TRADIZIONALI
grafico 13
(in questa pagina e a seguire)
Uso di Twitter, Facebook,
Youtube e blog personale
dalle aziende a
livello mondiale
/ riferimento ai dati raccolti da
burson-marsteller the global social
media check-up,
www.burson-marsteller.eu
Benifici:
/ Fidelizzazione del cliente
/ Raggiungimento facile e veloce di milioni di clienti
contemporaneamente
/ Influenzare scelte di navigazione
/ Monitorare recensioni
/ Gestire la reputazione del brand
/ Portare traffico sul sito web
/ Contatto diretto coi clienti
167 – I TRADIZIONALI
4.10
i social media nel crowdfunding
(81)
Riferimento all’articolo “Blogifield Progettare nell’era dei blog”, Chiara
Alessi, Domus n.968, Aprile 2013
(82)
Cenno a “Blogfield. Dinamiche di
propagazione del Design nei new
media”, Marco Napoli, Tesi di Laurea
Magistrale, Design del Prodotto per
l’innovazione, relatore Odoardo
Fioravanti, Febbraio 2013
Quando si avvia una campagna su una piattaforma di
crowdfunding, per ricevere il finanziamento è importante
curare contemporaneamente sia la piattaforma sia la
campagna sui social network, come Facebook, Twitter,
Instagram, Youtube. Le regole di base per promuovere
una campagna su Facebook o Twitter sono la creatività e
il coinvolgimento puntando alla qualità dei contenuti e dei
contatti, evitando la quantità. Se si riesce, è comodo farsi
appoggiare da persone che hanno molto seguito in modo
da creare un buon passaparola. Inoltre, un altro strumento
efficace è creare una community page su twitition, ma in
Italia è ancora poco conosciuto. I post pubblicati devono
essere concisi e chiari per essere letti con piacere e senza
annoiare e se si intraprende una corretta strategia, grazie
alle ricompense, è possibile trasformare un fan in un
sostenitore.
Livio Garzanti(81), editore storico, afferma che “il successo
o meno di un’opera non sia in alcun modo prevedibile, ma
dipende quasi casualmente dal passaparola, che è sempre
ingovernabile”. Senza ombra di dubbio, lo sforzo attuato
dalla promozione, distribuzione e critica può influenzare
molto il successo o meno di un progetto, ma è il pubblico
ad avere l’ultima parola. Se nel caso dei best seller dei libri,
come ci spiega Chiara Alessi nel suo articolo “Blogfield_
progettare nell’era dei blog”, “un po’ di disillusione e malizia
hanno sempre fatto sospettare che il passaparola non fosse
poi un evento così neutrale e fortuito”, sicuramente nel caso
del prodotto le regole del successo sono state stravolte
grazie all’importanza della rete e dei blog. Fino all’avvento
dei blog, i prodotti venivano immessi nel sistema della
comunicazione dopo essere stati presentati negli showroom
e nelle fiere specializzate e, subito dopo, arrivava la stampa
con il compito di parlarne e divulgare le novità. Steve Jobs è
stato uno dei primi che ha cominciato a stravolgere questo
sistema inserendo la “preview”, cioè un’anteprima esclusiva
del prodotto che serve per creare attesa e far scalpore
attorno ad essa. Internet ha, infine, contribuito a ampliare
il rumore delle notizie, accorciando le distanze temporali e
spaziali in un colpo solo. Le conseguenze di questo nuovo
atteggiamento hanno fatto sì che oggi non è più importante
se il progetto esisterà o meno e le caratteristiche che
permettono ad un prodotto di ottenere più o meno successo
nel mondo virtuale sono state completamente sostituite
da nuove regole. I blog sono riusciti nell’ultimo decennio a
sorpassare, sotto alcuni punti di vista, le riviste di settore in
170 – I TRADIZIONALI
IMG 87
Progetto Memento
di Marco Napoli
quanto riescono a gestire un numero di informazioni molto
più ampio e in maniera più veloce, oltre a godere un’utenza
molto vasta.
La credibilità di un blog è direttamente proporzionale al
pubblico online che è disposto a dargliela ed è determinata
dal numero di “like” che riesce a collezionare. È un circolo
vizioso: da un lato per sopravvivere i blog sono “obbligati”
a selezionare i progetti che possono avere più successo
mediatico, dall’altra parte i designer cercano di progettare
prodotti che rispondano agli standard delle caratteristiche
predilette dalla rete. Il risultato? Molti progetti non esistono
nella realtà e sono anche preparati ad hoc per i blog.
Questo tema è stato approfondito da Marco Napoli(82),
ex studente del Politecnico di Milano, attraverso la tesi
“Blogfield. Dinamiche di propagazione del Design nei new
media” sotto la guida del
relatore Odoardo Fioravanti,
attraverso l’analisi di dieci
prodotti e dieci progetti
su dieci blog e otto riviste
di settore per ricavarne
le variabili costanti e le
criticità. Le caratteristiche
principali che sono state
rilevate sono poche ma
decisive all’interno di questo
sistema: il processo viene
raccontato in maniera
affascinante e accurata, un
testo descrittivo conciso
e chiaro, un’immagine
quasi immateriale senza
riferimenti antropometrici,
lavorazioni che derivano dal mondo artigianale con un buon
mix di sofisticatezza e esclusività, somiglianza con progetti
importanti realizzati in contesti storici diversi e/o lontani.
In conclusione, possiamo dire che i progetti in rete
rappresentano un sistema virtuale di un mondo in cui la vita
di un prodotto equivale all’aggiornamento online, dove il
valore del prodotto non è apprezzabile né a livello materiale
né in quello materiale. La maggior parte di questi prodotti,
infatti, nascondo i propri difetti e spesso non rispetto i limiti
tecnici di una produzione industriale. Questo dimostra
anche che il loro scopo principale è la visibilità generale e
non indirizzata al pubblico degli imprenditori.
171 – I TRADIZIONALI
5.20
RIFLESSioni sulle interviste
Le interviste sono state rivolte a determinati designer o
figure professionali in base a una serie di requisiti che sono
stati messi in evidenza dalle domande.
Tali variabili sono:
/ autopromozione
/ autoproduzione
/ designer-impresa
/ favorevole al crowdfunding
/ evoluzione del prodotto
Gli studi a cui mi sono rivolta rientrano principalmente in tre
macrocategorie (autopromozione, autoproduzione e crowdfunding) e sono:
1 / Studio Gamfratesi – autopromozione
2 / StudioKlass – autopromozione
3 / Dossofiorito – autopromozione & autoproduzione
4 / En&Is – designer-impresa
5 / MEG – crowdfunding (e open-source)
6 / Matteo Loglio – crowdfunding Kickstarter
7 / Umberto Tolino – crowdfunding Indiegogo
8 / Massimiliano Messina di Natevo – crowdfunding
9 / Tania Da Cruz – autopromozione & crowdfunding “per
strada”
10 / StudioLievito – autoproduzione & crowdfunding Eppela
11 / Lucia Rota di Inner Design – supporto crowdfunding di
StudioLievito
12 / Fattelo! – crowdfunding Eppela
172 – I TRADIZIONALI
grafico 14
Posizionamento delle attitudini degli
studi intervistati
L’insieme delle interviste mi ha permesso di generare,
quindi, una visione d’insieme del pensiero di figure con
diversi background paragonando i risultati ottenuti.
Ogni variabile è segnalata in verde in caso cui sia stata
riscontrata un buon grado di positività nei confronti della
tematica o in rosso in caso contrario. Il nero distingue i casi
di indifferenza o di assenza della tematica.
173 – I TRADIZIONALI
grafico 15
Confronto delle risposte degli studi
intervistati
Analizzando la tabella notiamo che l’auotpromozione è
una componente presente in tutti gli studi. Dalle interviste
si evince, infatti, che tutti gli studi di design preparano un
piano d’azione per la comunicazione dei propri prodotti per
ottenere visibilità su riviste di settore o blog, in modo da farsi
notare soprattutto dalle aziende. Oltre alle pubblicazioni, è
ritenuto fondamentale la partecipazione ad eventi di rilievo
come il Salone del Mobile e le fiere.
Per chi propone una campagna di crowdfunding,
l’autopromozione è una strategia fondamentale per far
conoscere il progetto anche al di fuori della cerchia degli
interessati al settore per coinvolgere un numero maggiore
di eventuali finanziatori. In questo caso, molti progettisti
intervistati (StudioLievito, Umberto Tolino del team del
progetto Thingk, Matteo Loglio e Fattelo!) si sono affidati
ad un’agenzia PR per ottimizzare le risorse ed ottenere i
174 – I TRADIZIONALI
migliori risultati possibili.
L’autoproduzione è una scelta non condivisa da tutti o,
addirittura assente (identificato col colore nero) in quanto
presuppone un tipo di progettazione differente rispetto
a quella di stampo tradizionale. StudioKlass e Studio
Gamfratesi, per esempio, rispecchiano a pieno quest’ultima
categoria in quanto i loro progetti sono indirizzati
esclusivamente alle aziende. Dossofiorito, invece, ha
cominciato l’autoproduzione di un solo prodotto in assenza
di un’azienda interessata al progetto mentre StudioLievito
abbraccia questa filosofia perché sfrutta artigianato e
materiali del territorio toscano. En&Is è l’unico caso di
designer-impresa poiché, partendo dall’autoproduzione, è
riuscito a organizzare all’interno dello studio differenti ruoli
che ricoprono quelli di una vera e propria piccola impresa.
Per quanto riguarda il crowdfunding, molti degli intervistati
ritengono il fenomeno uno strumento molto interessante
per la sua capacità di mettere in relazione l’utente con
il designer ma non sentono l’esigenza di parteciparvi
(studio En&Is e Dossofiorito). Chi ha, invece, partecipato
ad una campagna di crowdfunding ammette che è stata
un’esperienza molto utile e strategica.
La componente degli sviluppi futuri, cioè di un prodotto che
ha degli sbocchi futuri e che è stato pensato per evolversi, è
molto delicata.
Dalla tabella si evince che i due studi di stampo tradizionale
non rispondono in maniera positiva a tale aspetto in quanto
l’obiettivo è quello di posizionare il prodotto semplicemente
all’interno del catalogo di un’azienda. Una volta riusciti
nell’intento, il prodotto non viene più gestito dallo studio.
I casi di crowdfunding in Italia rispondono negativamente
poiché il loro prodotto ha rappresentato un caso episodico
e non ha ottenuti nuovi risvolti e/o collaborazioni. Un caso
particolare è Fattelo! che dopo la campagna ha creato una
srl ma ancora dopo più di un anno non sono molto chiare
le idee sul tipo di prodotti che si vogliono eventualmente
produrre.
Le campagna di crowdfunding che sono state lanciate su
Kickstarter e Indiegogo, invece, hanno ottenuto sia il goal
che un ottimo riscontro mediatico per cui sono nate una
serie di sviluppi futuri che lasciano ben sperare il delinearsi
di ulteriori esempi di designer-imprenditori o designerconsulenti.
175 – I TRADIZIONALI
5.
I TRADIZIONALI
5.1
i tradizionali
(83)
In occasione della cerimonia ed
inaugurazione della mostra dei
progetti selezionati per il concorso
premio Lissone 2013
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Electroplate teiera, progettata da
Christopher Dresser e prodotta da
James Dixon and Sons, 1879.
Il progetto “I Tradizionali” è nato in occasione del concorso
“Design for food. Design for feed” indetto dal Comune
di Lissone in previsione dell’Expo 2015 ormai alle porte.
La quarta edizione del Premio Lissone Design ha voluto,
attraverso la tematica del concorso suddivisa in due
categorie (rito e funzione), entrare nel vivo del tema
dell’Expo, ricreando un panorama stimolante legato
all’istinto primario dell’essere umani di nutrirsi. Il concorso
era rivolto a giovani designer, chiamati a competere su un
tema molto vasto e allo stesso tempo sensibile dove, in un
contesto di continuo cambiamento e ricco di sfumature
provenienti da diversi mondi, il legame risiede proprio nella
cultura.
Oggi il cibo è una tematica che coinvolge interessi
apparentemente lontani da tra di loro: locali e globali,
individuali e collettivi, sociali e politici.
Il cibo fa parte della cultura umana perché, oltre ad essere
un istinto primordiale, come necessità del corpo umano
di assimilare energia, ma ha sempre avuto un ruolo
fondamentale nella società e nel mercato che genera.
Infatti, come ci ricorda Matteo Pirola in “Progetto e cibo:
idee per l’alimentazione”(83), “il cibo inteso come prodotto
fondamentale per la nostra esistenza e per il piacere
personale, è un settore dai numeri smisurati: quasi sette
miliardi di persone, tutti i giorni e più volte al giorno, hanno
bisogno di nutrirsi.”
Il cibo è stato uno dei primi campi esplorati dal mondo
progettuale a causa della necessità ma oggi il design
esplora questo vasto panorama in svariate forme: a
partire dal nutrimento individuale al disegno di strumenti
per l’alimentazione, dalla ricerca si soluzioni a problemi
del settore alimentare alla progettazione di servizi ed
esperienze sociali e di condivisione.
Da qualche anno a questa parte è stato coniato il termine
“Food design” che in maniera molto generale indica un
settore ampio e sfaccettato, a volte ambiguo, che si occupa
sia della produzione che del consumo del cibo.
Se andiamo a scavare nella storia del design, è facile
scoprire che il design ha una lunga tradizione di progetti
legati al mondo del cibo.
Uno dei primi progettisti a interpretare la professione
del designer in chiave di lettura moderna e a cimentarsi
nel prodotto legato al mondo della cucina è Christopher
Dresser, uno dei maggiori sostenitori del movimento “Arts
179 – I TRADIZIONALI
IMG 89
Il Quattrova Illustrato, ovvero la
cucina elegante, libro di ricette
illustrate da Gio Ponti.
IMG 90
Illustrazione di Gio Ponti tratta daIl
Quattrova Illustrato, ovvero la cucina
elegante.
(84)
Marti Guixè, artista e designer
spagnolo ecclettico che da anni
focalizza la sua ricerca sul food
design. Frase citata da Guixè in
riferimento a Inga Knolke, fotografa
di food design, 1999.
and Craft”, che già alla fine dell’800 aveva
realizzato oggetti di qualità pensati per la
produzione di massa, realizzando una serie
molto ampia di ciotole, teiere, caraffe e
caffettiere.
Un altro esempio emblematico legato
al mondo degli interni e degli spazi della
cucina è Margarete Shutte-Lihotzky con
la realizzazione della famosa “Cucina di
Francoforte”, il primo archetipo di cucina
componibile e funzionale caratterizzata da:
razionalizzazione degli spazi, distribuzione
degli elementi in base ad uno schema a
“U” che ottimizza l’uso della cucina e i
movimenti dell’utente, spazio ristretto
per diminuire tragitti e tempi e materiali
studiati.
In Italia Gio Ponti si è distinto per la
realizzazione di numerosi oggetti in
ceramica grazie alla collaborazione con
l’azienda Richard Ginori, la manifattura di
porcellane tra le più importanti nel nostro
Paese, con la quale ha riformato il gusto italiano di quel
periodo. Ha anche illustrato “Il Quattrova illustrato, ovvero
la cucina elegante”, un libro di ricette italiane pubblicato
nel 1931 dove nella prefazione di Piero Gadda vengono
messe subito in chiaro le intenzioni del ricettario: “mangiare
è una cosa seria. Lettore, non sei compreso della verità
e dell’importanza, veramente vitale, di questa solenne
affermazione, ti compiango: questo libro non è per te”.
Bruno Munari, invece, nel 1958 illustra le posate nel libro
“Forchette parlanti” dove le forchette diventano mani che
possono esprimere gesti, sovvertendo la funzione di un
oggetto quotidiano in arte, caricandola di valori e significati.
L’elenco di progettisti che hanno fatto la storia del design
sarebbe davvero lungo ma tra quelli moderni spicca Martì
Guixè(84) che fin dalla metà degli anni Novanta progetta
seconda la filosofia per cui un cibo possa essere un prodotto
progettato e commestibile, riferendosi al pensiero che
“un food designer è qualcuno che lavora con il cibo, senza
alcuna idea sul cucinare / a food designer is somebody
working with food, with no idea of coking” (Inga Knolke,
1999).
Il designer ha progettato cibi sponsorizzati, pillole
energetiche, rivestimenti commestibili e nuovi modi per
180 – I TRADIZIONALI
(85)
Un Dia En elBulli, scritto da Ferran
Adrià, chef spagnolo, 2005
(86)
Manifesto dello Slow Food, di Carlo
Petrini, fondatore del movimento,
1989
(87)
Ettore Sottsass, “Le case hanno un
interno”, 1995
IMG 90
la condivisione del cibo, inaugurando uno dei fenomeni
mediatici oggi più attivi: la gastronomia.
I nuovi protagonisti contemporanei sono i grandi Chef, ormai
divenuti delle vere e proprie celebrità. Anche se non sono
dei progettisti, molti chef hanno contribuito a far ragionare
sull’importanza del cibo e i suoi aspetti progettuali, come
per esempio Ferran Adrià(85) che ha mostrato sotto una
nuova luce gli strumenti e i riti di una cucina intesa a livello
tecnologico e contemporaneamente emozionale.
Il cibo non è più solo un bisogno, è anche desiderio,
ossessione, rito, status symbol, eccitazione e consolazione.
La produzione e il consumo di cibo apre una serie di
argomenti diversi tra di loro e si evolve continuamente: la
globalizzazione, per esempio, sta sostituendo la cucina
tradizionale con un nuovo gusto, quasi uniformato, che
mescola consumi alimentari sempre più indifferenziati e
meno specializzati, come per esempio i cibi surgelati o già
pronti preparati industrialmente.
Per combattere questo fenomeno
di “appiattimento” e di perdita delle
tradizioni culinarie, l’Italia si sente tirata
in causa ed è proprio qui che è nato,
sotto la guida di Carlo Petrini(86), il
movimento Slow Food, un’associazione
internazionale senza scopo di lucro
impegnata a ridare valore al cibo grazie
ai saperi delle tradizioni locali e dei
rispettivi territori, per ridare valore al
cibo e a chi li produce.A tal proposito,
Ettore Sottsass(87) nel 1995 aveva
pubblicato il testo “Le case hanno un
interno” in cui riflette sul valore del
design considerando la qualità della
produzione per la popolazione, “quegli
ammassi nebulosi di persone alle
quali i progetti vengono consegnati
più o meno precotti, come quasi
sempre precotti sono gli spaghetti nei
ristoranti di seconda, terza, quarta categoria. Spaghetti più
o meno precotti, surgelati, riscaldati… spaghetti schifosi”.
Iltesto parla dell’idea di abitazione su diversi piani per poi
concludere con una metafora sul cibo che “deve essere un
diritto, ma che deve essere sotteso da una altissima, seppur
semplice, qualità progettuale, al di là degli spaghetti precotti.
181 – I TRADIZIONALI
5.2
TATTOO-RECIPES
IMG 91
Collezione “I Tradizionali” realizzata
per la campagna di crowdfunding su
Eppela, Maggio 2014
IMG 92
Tattoo-recipes “Cappuccino di
zucca” applicata sull’avambraccio
L’idea è nata un po’ per caso grazie all’incontro con la mia
collega Marina, designer di interni, che, per l’occasione
del concorso Premio Lissone 2013, abbiamo deciso di
progettare “I Tradizionali”.
Dall’abitudine di appuntare i passaggi delle ricette sul dorso
della mano e, soprattutto sull’avambraccio, abbiamo deciso
di progettare I Tradizionali, una collezione di mini ricette
tatuabili temporaneamente sull’avambraccio.
Il progetto mira ad avvicinare i più giovani alla cultura
del cibo sano e buono, quello in cui si cucina in casa
“rimboccandosi le maniche” ed in cui si condivide il piatto in
due momenti: nell’atto vero e proprio di mangiare e in quello
di scambiarsi le ricette.
Il nome “I Tradizionali” si ispira a uno degli stili tattoo
più importanti, il tradizionale appunto o Old School. La
ricetta intesa come elemento di trasmissione, di memoria
e passaggio di conoscenze ha a sua volte un valore
tradizionale, capace di veicolare svariate informazioni e
significicati di una famiglia o
di un territorio.
La collezione realizzata per
il Concorso prevedeva una
suddivisione delle ricette in
quattro categorie differenti
in base alle quattro stagioni
e, di conseguenza, alla
frutta e verdura tipica di
un determinato periodo
dell’anno.
L’obiettivo era quello
di predisporre una
catalogazione di ricette
italiane che rispettassero
i prodotti italiani e le
caratteristiche di ogni
regione del nostro Paese.
Matteo Pirola, scrittore, critico e docente al Politecnico
di Milano, ha motiva il secondo premio de I Tradizionali
scrivendo che “il progetto sdrammatizza un comportamento
tradizionale, quello della preparazione del cibo, attraverso
manuali di cucina, veicolando un messaggio alimentare
attraverso l’originale uso del corpo, che diventa supporto di
immagini guida per la realizzazione di una ricetta”.
182 – I TRADIZIONALI
IMG 92
In seguito il progetto si è evoluto. È stata scartata l’idea
della catalogazione sotto la chiave di lettura delle stagioni
e si è cercato di concentrarsi sulle ricette tipiche italiane,
raccogliendo i saperi e, allo stesso tempo, rivisitandole così
come ogni famiglia italiana aggiunge un dettaglio ad ogni
piatto.
L’obiettivo è, nella scia della tradizione di tramandare una
ricetta da madre in figlia, riscoprire la tradizione culinaria e i
nuovi sapori condividendo l’esperienza del cibo in un modo
fresco, divertente e nuovo.
183 – I TRADIZIONALI
5.3
FOOd design
(88)
Cibarsi di interrogativi di Susanna
Legrenzi, tratto da “Design for food,
design for feed, 2013
IMG 92
Illustrazione di Martì Guixè tratta
dal suo libro “Food design”, Edizioni
Corraini, 2011
Negli ultimi dieci anni è scoppiata la moda del cosiddetto
“Food design” che tutto include e nulla è di specifico.
Susanna Legrenzi(88), ricercatrice e insegnante al
Politecnico di Milano, afferma nel breve testo “Cibarsi di
interrogativi”, pubblicato su “Design for feed. Design for
food” nel 2013, che “oggi che tutto è design non è sempre
facile individuare ricerche che siano portatrici non solo
di processualità progettuale ma anche di visioni che ci
permettano di cogliere il passo del futuro.
Il food design vive su questo crinale. È cibo che diventa
oggetto, oggetti che vivono di simbiosi segnico-materiche
con il cibo”. Il food design
analizza la dimensione del
rito e progetta sistemi di
relazione in cui la nutrizione
è: identità, condivisione,
desiderio, privazione,
lontananza e vicinanza.
Il cibo, più di ogni altra cosa,
ci pone nella posizione di
relazionarci con gli altri
attraverso le azioni rituali
e gli strumenti di diverse
tipologie che ci propone.
Se design è sinonimo di
progetto, mi piace pensare
ad una sua applicazione
su qualunque ambito e
qualunque contesto dove
è possibile sviluppare
le opportunità che ogni
territorio offre, grazie alla
sua capacità di immaginare
e individuare nuovi sistemi
in cui legare prodotto ed
esperienzialità.
186 – I TRADIZIONALI
5.4
verso expo 2015
(89)
Slogan di EXPO 2015
(90)
Tratto dal sito ufficiale di EXPO 2015
www.expo2015.org
L’EXPO è un’esposizione Universale che presenta una
rassegna espositiva e coinvolge attivamente numerosi
Paesi e soggetti attorno ad un tema decisivo che, nel caso
dell’Italia, è assolutamente inedito e innovativo. Il tema
dell’EXPO 2015(89) che si svolgerà tra pochi mesi a Milano
è “Nutrire il Pianeta. Energia per la vita”. Il tema ha dato il via
libera, negli ultimi anni, a tantissimi eventi e concorsi che
si sono sentiti coinvolti in questa tematica che abbraccia
ovviamente il tema del cibo in tutte le sue sfumature.
Saranno disponibili 184 giorni di evento in cui più di 130
partecipanti avranno la possibilità di sfruttare una superficie
di un milione di metri quadri per sviluppare in maniera
innovativa, tecnologica e originale l’argomento.
Il tema dell’EXPO è stato articolato in sette aree tematiche
tra cui l’educazione al cibo, cibo e cultura e il cibo per un
migliore stile di vita. Le tematiche sono state definite sulla
base di aree di ricerca e di sviluppo in cui il design può
provare a scardinarsi dal limitante ruolo di “food design”.
L’obiettivo(90) è di creare - come recita il sito di EXPO 2015
- un “viaggio attraverso i sapori” e intorno al mondo, in cui i
visitatori saranno coinvolti in prima persona in iter tematici e
approfondimenti su vari livelli dell’alimentazione.
EXPO 2015 è la prima Esposizione Universale che apre un
duplice dialogo: oltre ai manufatti innovativi, si parlerà per
la prima volta di temi sociali, di educazione e risorse del
pianeta.
Non è la prima volta che Milano ospita un’Esposizione
Universale. Già nel 1906, più di un secolo fa, Milano ha
inaugurato l’evento dedicato ai trasporti e, per l’occasione, il
Castello Sforzesco e il Parco Sempione avevano accolto più
di duecento Padiglioni.
Oggi Milano si ripropone come rappresentante di tutta
l’Italia, come metropoli multiculturale che racchiude in sé
un po’ di tutte le altre città.
Milano, infatti, è ambasciatrice della tradizione alimentare
con sede di ventimila imprese che si dedicano alla
trasformazione agroalimentare e alla nutrizione, oltre
a sessanta mila imprese di eccellenza nella produzione
agricola.
Inoltre, la città è nata come punto strategico per i traffici
commercianti e ancora oggi la sua posizione è un punto
di partenza o di arrivo ideale per le mete del turismo
internazionale e italiane. Anche se comunemente non si
pensa a Milano come città turistica, può vantare di essere
un grande centro per la cultura grazie ai teatri La Scala e
187 – I TRADIZIONALI
IMG 93
Illustrazione di Martì Guixè tratta
dal suo libro “Food design”, Edizioni
Corraini, 2011
il Piccolo, il Cenacolo Vinciano, la Pinacoteca di Brera, il
Castello Sforzesco e il Duomo. Milano offre molte occasioni
esperienziali e vende circa dieci milioni di biglietti tra arte,
musica, musei e cinema.
A partire dagli anni ’60, Milano è il cuore dell’economia
Italiana che guarda ai mercati internazionali ed è un punto
di riferimento mondiale per il design e per la moda, grazie
al Salone Internazionale del Mobile (che si svolge ogni anno
ad Aprile e che, quindi, quasi si sovrappone all’apertura
dell’EXPO prevista per l’1 Maggio). Oltre ad essere un polo
internazionale per lo shopping, la metropoli si apre verso il
mondo grazie al “melting
pot” di 191 comunità
straniere presenti e accoglie
cento rappresentanze
diplomatiche, con una
particolare attenzione
all’attività solidale e alla
cooperazione.
Un po’ per tutti questi
motivi e un po’ perché per
chi abita a Milano respira
aria di fermento, l’evento ha
creato nei giovani designer,
nei makers e negli auto
produttori una speranza di
poter trovare un’occasione
di lavoro e di portare in luce
nuovi modi di progettazione
e di intendere il cibo, oltre
alla possibile opportunità
di incontro fra imprese e
giovani.
188 – I TRADIZIONALI
5.5
trend food & tattoo
(91)
Neologismo coniato da Rosalind
Coward che per la prima volta ha
usato il termine “food porn” nel
suo testo “ Female Desire-Women’s.
Sexuality Today”, 1984
Durante gli ultimi anni è scoppiata una vera modo legata
al cibo e l’era digitale ha incrementato esponenzialmente
questo fenomeno. Dai foodblogger ai programmi TV, non si
riesce più a non sentire parlare di cake designer, Masterchef,
cucina molecolare, cibo biologico, junk food, food porn, in
food we trust, street food e cupacke, almeno una volta al
giorno.
Siamo continuamente bombardati da immagini di cibi (finti)
fotografati e che fanno venire l’acquolina in bocca anche se
si ha appena finito di pranzare.
Ecco che è stato coniato il termine “food porn”(91), riferito
all’ossessione per il cibo al limite del pornografico, che
letteralmente significa “cibo da mangiare con gli occhi”.
Il termine è stato coniato nel 1984 dalla scrittrice femminista
Rosalind Coward che, per la prima volta, l’ha usato nel libro
“Female Desire-Women’s. Sexuality Today”, dove si afferma
che “l’estetica del piatto è più importante della persona che
l’ha cucinato e degli ingredienti usati”.
Ciò che assume davvero fondamentale importanza è la
presentazione del cibo e il desiderio che riesce a stimolare.
Questo fenomeno si riferisce prevalentemente alla
presentazione sui libri di cucina, sulle riviste di settore e
non, su facebook e instagram e su infiniti blog, di fotografie
di piatti prelibati e immagini goduriose di ogni tipo di
pietanza. Ormai è diventata una vera e propria ossessione di
fotografare tutti i pasti della giornata, partita dai giornalisti
enogastronomici fino a coinvolgere la gente comune,
che rappresenta un palese sintomo di quanto il cibo sia
diventato negli ultimi anni un elemento importante della
nostra società.
Cosa spinge le persone a fotografare il proprio piatto? Lo
si fotografa per condividerlo con gli altri in maniera virtuale
per mezzo dei social network o semplicemente perché lo
si apprezza e non si può farne a meno. I dati parlano da
sé: su Flickr esiste un gruppo completamente dedicato
al food porn con circa seicento mila immagini caricate
da quarantamila utenti membri e su Pinterest le foto che
catturano del cibo vengono condivise il doppio rispetto a
quelle legate al mondo della modo e dello stile.
Il piacere del cibo, quindi, non solo è determinato dalle
nostre papille gustative ma anche dalla nostra vista che
pretende che il cibo emani sensualità. Una delle promotrici
e regina di questo mondo è Nigella Lawson, autrice di libri di
cucina e conduttrice inglese di trasmissioni tv, che con vanta
più di un milione di fan sulla sua pagina facebook.
189 – I TRADIZIONALI
(92)
Food Design, n.1, Ottobre 2014,
gruppo editoriale DDW | Design
Diffusion World
(93)
Progetto Pantone Pairings, tratto dal
sito del grafico David Schwen
www.dschwen.com
IMG 94, 95 & 96
L’amore per la presentazione del cibo è figlia dell’era digitale
in cui le immagini visive hanno assunto un ruolo a dir poco
imponente. La maggior parte delle fotografie condivise sui
social media o usate per le pubblicità sono studiate nei
minimi dettagli perché il loro unico obiettivo è quello di
provocare un desiderio irrefrenabile.
Le variabili che determinano il food porn sono:
/ fotografia della pietanza presentato in modo da far venire
l’acquolina in bocca;
/ condivisione della foto sui principali social media,
preferibilmente accompagnata da una sintetica descrizione
/ i commenti che contribuiscono ad aumentare il desiderio
ed esprimo apprezzamenti, cercando di capire qual è la
ricetta.
Progetto fotografico “Pantone
Pairings”, una foto al giorno viene
pubblicata su Facebook e Instagram,
di David Schwen
Grazie all’impazzare di questo fenomeno, gli chef sono
divenute delle star, sono esplose serie televisive, programmi
tv, blog e riviste dedicate al settore (una delle ultime arrivate
è “Food Design”(92) del gruppo editoriale
DDW Design Diffusion World con il primo
numero uscito ad ottobre 2014).
La comunicazione mediatica, non potendo
esprime il sapore dei piatti, focalizza la sua
attenzione sulla sua unica risorsa: la vista.
Un progetto che esaspera questo concetto
è quello del grafico David Schwen. Il
progetto Pantone Pairings(93) usa delle
pietanze che stanno bene insieme a
livello cromatico al posto dei colori. In
questo modo i colori Pantone sono stati
“sostituiti” da piccole porzioni di cibo in un
lavoro work-in-progress che può essere
seguito quotidianamente su Instagram o
Facebook.
Il food porn è una una delle tendenze più in voga e che, a
quanto pare, non ha alcuna intenzione di tramontare.
Di seguito verranno presentati alcuni trend che sono stati di
ispirazione al progetto I Tradizionali.
190 – I TRADIZIONALI
IMG 95 E 96
(94)
www.theydrawandcook.com
IMG 97
Illustrazione tratta dalle ricette
caricate dagli utenti sul sito “They
draw and cook”
/ They draw and cook
Uno dei trend che I Tradizionali hanno cercato di cavalcare
è l’illustrazione legata al cibo. They draw and cook è un sitoblog(94) gestito da Nate Padavick e Salli Swindell, fratello
e sorella che, dopo aver lavorato per più di dieci anni come
Studio SSS, hanno creato centinaia di riviste e illustrazioni
per libri, biglietti di auguri e infinite ricette illustrate.
L’idea del sito è nata durata una vacanza per puro caso
accorgendosi di quanto fosse divertente e coinvolgente
illustrare l’ingrediente di una ricetta scelta. Oggi il blog
The draw and cook contiene la più grande collezione di
ricette illustrate mai vista fino ad ora grazie al contributo
di professionisti, grafici, artisti, cuochi o semplicemente
appassionati di cucina.
Il sito è costituito da diverse sezioni tra cui una home in cui
è possibile visualizzare le ultime ricette illustrate caricate
e quelle riferite alla selezione in base ad un ingrediente
specifico.
È possibile trovare una ricetta in base all’efficace motore di
ricerca oppure caricare la propria illustrazione, seguendo
i consigli e i formati suggeriti da Nate e Salli, creando
un profilo da artista per eventuali royalties raccolte
dalla persona. Oltre al blog che raccoglie eventi, focus e
articoli sul settore, una sezione interessante è quella dello
shop online in cui è possibile trovare dei libri di ricette,
ovviamente, interamente illustrate.
192 – I TRADIZIONALI
(95)
www.dmax.it
IMG 98
Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio,
chef e protagonista di “Unti e
Bisunti”, trasmissione che va in onda
su DMAX
/ Unti e bisunti – Chef Rubio
“Unti e bisunti” è un
programma tv trasmesso
su DMAX(95) in cui il cuoco
Gabriele Rubini, sotto le
vesti di Chef Rubio, gira in
lungo e in largo per tutta
Italia alla ricerca delle
leggende dello street food
di ogni città con l’obiettivo
di sfidarle. Prima della sfida,
però, Chef Rubio esplora a
fondo ogni città alla ricerca
della caloria assaggiando
qualunque cibo tradizionale
che sia unto, caratteristico
del posto e delizioso.
Allievo della scuola
di cucina di Gualtiero
Marchesi e interamente
tatuato, il cuoco è amato
da chi non si ritrova nei due
filoni classici dedicati alla
televisione: Antonella Clerici
e Benedetta Parodi per la
cucina popolare e Carlo
Cracco e Bruno Barbieri per le micro porzioni da cucina di
alta gamma.
Chef Rubio infatti apre una finestra al mondo dei sapori tipici
del nostro Paese, cucinando per strada, sporcandosi le mani
e raccontando storie e sapori legati alle persone del luogo
che di volta in volta visita.
Oltre all’esplosione del successo del programma televisivo,
Chef Rubio è parallelamente divenuto seguitissimo sui
social poiché racconta in maniera sincera e vorace le sue
avventure e i piatti assaggiati.
193 – I TRADIZIONALI
/ Le Grand Fooding Milano - Pelle
all’arrabbiata
Dal 2010 l’evento “Le Grand Fooding”(96)
da Parigi arriva anche in Italia. È un evento
gastronomico che coinvolge il mondo delle
illustrazioni e dei tatuaggi, della moda e
della musica.
Ogni edizione sviluppa un tema di
tendenza specifico, per esempio il
primo anno il finger food, dove dieci
giovani cuochi possono dare una loro
interpretazione, sbizzarrendosi.
Le Grand Fooding si ispira alla celebre frase
di Brillat-Savarin(97), “dimmi cosa mangi e
ti dirò chi sei”, della seconda metà del ‘700
e che risulta ancora oggi estremamente
contemporanea, aprendo una nuova
ipotesi: “ciò che mangiamo oggi determina
ciò che mangeremo domani e, quindi, ciò
che domani saemo?”
Come ieri, il cibo che ogni individuo
assimila e sceglie rappresenta uno status
symbol per cui determinate pietanze erano
piaceri negati alla fascia più povera.
Le Grand Fooding di Milano, sulla scia dei
grandi cambiamenti degli anni ’50, porta
e raccoglie nuova modalità espressive
nelle cucine dei ristoranti, riunendo gruppi
di cuochi giovani “arrabbiati” e pronti a
(96)
www.legrandfooding.com
(97)
Frase tratta da “Fisiologia del gusto”,
Anthelme Brillat-Savarin, 1825
IMG 99
Comunicazione sponsor dell’evento
mixare cibi e stili.
La parola d’ordine è quella di essere provocatori per
cui “Pelle all’arrabbiata” rappresenta l’esasperazione
dell’incrocio tra il boulevard dello Stile pettinato e il viale
della Bontà tipico dello street food.
“Pelle all’arrabbiata” è il nome scelto per la terza edizione
per sottolineare la scelta del team di cuochi giovani,
anticonformisti e interamente tatuati, che si allontanano
dagli schemi rigidi della gastronomia.
“Pelle all’arrabbiata” - Le Grand
Fooding Milano, 2012
194 – I TRADIZIONALI
(98)
www.tattly.com
IMG 100
Trasferelli illustrati
del brand Tattly
/ Tattly
Tattly è un brand newyorkese che realizza tatuaggi
temporanei disegnati da giovani designer. La collezione
di Tattly altro non è che una collezione ampia di trasferelli
illustrati tra vintage e ironia.
I Tattly sono venduti a circa venti dollari in tutto il mondo
online ed è possibile trovarli in 500 negozi in più di
quaranta Paesi, tra cui anche negli shop dei musei di arte
contemporanea e di design.
Perché hanno avuto così tanto successo? Perché sono
ben illustrati, toccano temi cari e di tendenza tra i giovani
(come per esempio la cucina, la fotografia e la musica)
e rispolverano i ricordi di quando si era bambini e si
collezionavano su tutto il corpo i trasferelli trovati nei
pacchetti delle patatine.
Tattly crede che un buon design e l’arte possano rendere
felici le persone e che i prodotti di qualità e di grande
supporto al cliente sono le uniche opzioni.
La missione di Tattly è quella di regalare un sorriso ad ogni
cliente, adulto o bambino esso sia.
Tattly differenza i tatuaggi in categorie in base allo stile e alle
tematiche scelte per la rappresentazione delle illustrazioni.
Le categorie più comuni sono: summertime, kids, food,
colorful, bikes, typographic
e wedding. A queste si
aggiungono i set, insieme di
trasferelli spediti all’interno
di una semplice scatoletta di
latta, e le cartoline di auguri
per occasioni speciali.
Una sezione interessante
del sito è dedicata alla
customizzazione per grandi
eventi, libri, show e così
via. Ciò significa che un
cliente non può richiedere
la personalizzazione di un
singolo tattoo poiché la
produzione dei trasferelli è
industriale (cioè comporta
quantitativi minimi da
rispettare).
195 – I TRADIZIONALI
5.6
IL MONDO DEI GADGET
(99)
Citazione tratta dall’articolo
“Gadget, ovvero, ti conquisto con
un regalopubblicato su PrintPub.
net, portale di comunicazione e arti
grafiche.
IMG 101
Tazza bianca per uso gadget
Il vasto panorama dei gadget è malvisto dal mondo
del design ma in realtà “il gadget è un buon mezzo per
creare un legame tra il brand e il suo destinatario e può
essere determinante anche per consolidare e diffondere il
riconoscimento del brand stesso”(99).
I consumatori sono continuamente bombardati da
messaggi provenienti dai mezzi di comunicazione e,
all’interno di questo sistema, la Pubblicità tramite oggetto,
detta anche PTO, è uno strumento molto efficace, discreto e
personalizzato, sfruttato dal marketing aziendale per mirare
ad una determinata fetta di mercato.
Di fatto, il gadget è un ponte tra mercato e azienda e
permette di determinare, assieme a una strategia di
marketing ben strutturata, il massimo riconoscimento /
memorizzazione del logo e del messaggio di un brand. La
pubblicità tramite oggetto viene usata prevalentemente
per due motivi: costo contenuto e impatto emozionale sul
cliente. In queste occasioni il marketing
studia ad hoc quali prodotti gadget sono
più adatti al tipo di target definito e li
personalizza semplicemente inserendo
logo, colori aziendali e/o messaggi. Le
categorie più comuni sono: penne, tazze,
magliette, shopper, cappelli, calendari,
agende, giochi, braccialetti, adesivi,
chiavette usb.
Una parte del design ha volto lo sguardo
dall’oggetto usa e getta al fenomeno
dell’oggetto-immagine, proiettati
all’indegna della superficialità, del dono e
del souvenir. L’obiettivo di questa categoria
di prodotti è di suscitare un impatto
positivo e piacevole, tralasciando la scelta dei materiali
(solitamente viene usata la plastica) per dare spazio al
lato ludico e spensierato del prodotto. Il gadget, così come
gli oggetti usa e getta, vengono spesso criticati per il loro
consumismo di massa e di spreco ma, come giustamente
ci ricorda Gabriella D’Amato nel libro “Storia del design”
pubblicato nel 2005 da Bruno Mondadori, “dimenticando
come proprio il consumo sia stato uno degli obiettivi
prioritari del design moderno”.
Quanta importanza riveste un gadget? Il gadget è un dono
e serve per far riconoscere il brand. Inoltre, permette ad
un’azienda di aumentare le vendite dei prodotti pubblicizzati
e viene distribuito esclusivamente durante occasioni come
196 – I TRADIZIONALI
eventi in fiera o a clienti affezionati.
Aiuta anche a diffondere e consolidare il marchio,
soprattutto verso nuovi clienti, e a mantenere un legame di
fidelizzazione.
Nonostante l’era digitale, uno dei supporti più utilizzati per
la produzione di gadget è la carta ed ogni anno vengono
prodotti articoli di ogni formato e tipologia (blocco note,
calendari, agende) e vengono realizzati su richiesta e
personalizzati in alcun punti grazie alle stampe digitali che,
grazie alla semplicità di impiego e alla flessibilità, ricopre
un grande ruolo per la produzione di quantità non troppo
ampie.
197 – I TRADIZIONALI
5.7
IL TEAM
IMG 102 & 103
Dall’alto verso il basso: Sarah e
Marina del team “I Tradizionali”
Il progetto nasce dall’incontro di due passioni: la cucina, per
Marina, e l’illustrazione, per me.
Il filo conduttore tra le due inclinazioni è il design. Entrambe
provenienti dalla Scuola di Design del Politecnico di Milano,
classe di Interni per la prima e di prodotto per la seconda.
Fin dall’inizio i ruoli all’interno del gruppo sono stati suddivisi
per cercare di organizzare al meglio la struttura del lavoro e
per ottimizzare i tempi.
Infatti, Marina, con un’esperienza maggiore a livello
lavorativo, si è occupata delle questioni burocratiche, delle
chiamate puntuali ai fornitori e della compilazione delle
fatture, oltre ad essere una
grande cuoca in cucina e,
quindi, la responsabile della
scelta e la preparazione
delle ricette.
Io mi sono sempre occupata
della gestione dei social
network, lavoro che
occupa quotidianamente
le mie giornate, poiché è
fondamentale “curare” i
propri fan e stimolarli con
contenuti sempre nuovi e
mai banali. Le illustrazioni
sono interamente disegnate
da me in base alla scelta
delle ricette.
La scelta dei dettagli
del prodotto, la cura
dell’estetica e la parte
creativa dell’intero sistema
de I Tradizionali è un lavoro
che svolgiamo assieme e
che, grazie al confronto
e alla costante ricerca di
stimoli e nuove ispirazioni,
cerchiamo di migliorare
continuamente.
198 – I TRADIZIONALI
5.8
swot analisys
(100)
“Come fare un’analisi SWOT di
qualità”, www.slideshare.net
L’analisi SWOT(100) è uno strumento molto utile per
una pianificazione strategica. Questa matrice permetti di
considerare opportunamente i punti di forza e di debolezza
e metterle a confronto con le opportunità e le eventuali
minacce di un determinato progetto o di un’impresa.
Se ben strutturata, la SWOT analysis all’interno di un
progetto delinea l’organizzazione e le azioni strategiche da
effettuare per raggiungere un determinato obiettivo.
L’analisi è stata svolta per analizzare i fattori interni
ed esterni de I Tradizionali prima della campagna di
crowdfunding per poter sapere gestire al meglio eventuali
imprevisti e comprendere quali punti di forza comunicare.
A tal proposito ci è stato utile definire l’obiettivo principale
de I Tradizionali in prossimità del lancio della campagna;
la missione del prodotto è quella di far conoscere il nuovo
potenziale de I Tradizionali come strumento nuovo di
comunicazione e come prodotto adattabile ad eventi e diere,
al mondo delle ristorazione, del turismo e dei gadget.
I fattori interni possono essere definiti come i punti di forza
e di debolezza dell’ipotetica azienda I Tradizionali in base
agli obiettivi proposti; i fattori esterni, invece, riguardano
l’evoluzione tecnologica, i cambiamenti socio-culturali e di
mercato.
Le fasi principali dell’analisi possono essere sintetizzate:
Obiettivo: far conoscere la nuova tipologia di prodotto
attraverso una comunicazione strategica. Sfruttare il
crowdfunding per la visibilità del prodotto e ottenere contatti
di tipo lavorativo. Se il prodotto ottiene i fondi grazie al
crowdfunding, evitare di rimanere un”episodico” e trovare
nuovi canali per una seconda produzione.
199 – I TRADIZIONALI
Punti di forza:
competenze progettuali
competenze grafiche
possibile ampliamento della collezione
versatilità del team
personalizzazione ad hoc
consulenza
qualità prodotto
sponsor Favini
Punti deboli:
poca esperienza come impresa e consulenza
tutte le fasi vengono gestite all’interno del team
produzione industriale: raggiungimento di quantitativi
minimi
affidamento a fornitori per la produzione industriale
basse risorse interne per investimenti
mancanza di un’agenzia PR
Opportunità:
prodotto completo e pronto da vendere
prezzo di costo e finale basso
un solo grande competitor
target definito
possibilità Expo 2015
Crowdfunding
alto livello esperienziale
crea relazione e condivisione
versatilità servizi
Rischi:
prodotto non brevettabile
episodicità legata al crowdfunding
rimandare il giusto valore percepito prodotto
canali di distribuzione
possibili nuovi competitor
tipologia di prodotto nuova
200 – I TRADIZIONALI
5.9 PRIMA DEL CROWDFUNDING /
VALORI & BUSINESS PLAN
IMG 104 & 105
Dall’alto verso il basso: le confezioni
de I Tradizionali e styling di una
ricetta con una tattoo-recipe
Quando abbiamo deciso di
lanciare una campagna di
crowdfunding il progetto era
stato definito in tutte le sue
parti.
Il packaging era stato
estremamente semplificato
per ridurre i costi,
senza diminuire il valore
percepito del prodotto e
l’inventario di ricette era
stato predisposto in base
a due fattori fondamentali:
ottimizzazione della
collezione di ricette da
stampare cercando di
sfruttare al massimo
il formato del foglio e
strutturando quattro
ricette per ogni categoria:
antipato/contorno, primo,
secondo, cocktail, dessert e
eventuale menù speciale per
vegetariani o celiaci.
Oltre al raggiungimento
del goal, gli obiettivi della
campagna erano diversi
e visti sotto un’ottica
di piccola impresa con
l’attenzione al mercato
italiano e, soprattutto, internazionale: riuscire a trovare un
network di collaborazioni con azienda o realtà di ristorazione
o agricole offrendo un biglietto da visita e un pacchetto
completo del prodotto e comprendere se il prodotto potesse
avere un riscontro positivo del pubblico e possibili clienti.
Per prima cosa abbiamo cercato di comprendere i valori
del prodotto e del progetto in generale con uno sguardo ad
EXPO 2015.
I Tradizionali sono un prodotto fisico poco complesso ma
il rischio di cadere nella catalogazione tipologica di mero
oggetto-gadget abbiamo dovuto lavorare molto sull’estetica
del prodotto e sull’acquisizione di un corretto valore
percepito.
201 – I TRADIZIONALI
Sia nel press kit che nel video di presentazione del progetto
sono state sottolineate alcune parole chiave che vi
presenterò di seguito attraverso un elenco:
tradizione / genuinità cibo buono e sano / fatto in casa /
condivisione / esperienza / tramandare / giovani / made in
intaly / ludico
La scelta della piattaforma è stata molto travagliata e
difficile. Per una questione logistica non potevamo scegliere
la regina delle piattaforme di crowdfunding, Kickstarter,
perché nessuna delle due è americana, canadese o inglese
e non avevamo la possibilità di aprire una società in uno
dei rispettivi Paesi, quindi siamo state a lungo indecise
se scegliere l’americana Indiegogo o l’Italiana Eppela. Un
po’ per patriottismo e un po’ perché avevamo avuto la
possibilità di incontrare personalmente alcuni collaboratori
di Eppela che ci avevano assicurato di seguirci e spingerci al
massimo attraverso i loro canali di comunicazione, abbiamo
deciso di provarci con quest’ultima, consapevoli che il
budget che chiedevamo fosse “basso” per gli americani
ma “alto” per l’Italia. Tra le piattaforme italiane abbiamo
escluso a priori tutte le altre per due motivi: le possibilità di
raggiungere il goal si abbassavano ancora di più e il genere
di alcuni progetti pubblicati su Eppela si mostrava più affine
alla nostra idea e, quindi, al tipo di utenza.
/ BUSINESS PLANN
Quando si decide di avviare un’azienda o un’attività
imprenditoriale bisogna eseguire un’analisi di fattibilità a
livello economico-aziendale per poter organizzare e gestire
al meglio le risorse iniziali all’interno della pianificazione e
della gestione aziendale.
La sintesi di questo studio, basato soprattutto su dati
statistici o stimati, viene raccolta in un documento chiamato
“business plan” e, anche nei casi di crowdfunding, è
indispensabile proporlo, soprattutto, per valutare in maniera
consapevole il mercato, i valori, i vincoli, gli obiettivi scanditi
nel tempo, le entrate e le uscite.
Questo documento rappresenta, quindi, una sorta di “piano
strategico” usato per la pianificazione aziendale e per la
comunicazione esterna, nel caso di eventuali investitori e/o
finanziatori.
202 – I TRADIZIONALI
Elenco voci focalizzate alle entrate/ uscite del business
plann per determinare la previsione del goal (molte voci
presentano un costo ridotto perché abbiamo avuto la
fortuna di riuscire a coinvolgere amici che con piacere hanno
voluto aiutarci):
/ tattoo 101x50mm
/ font
/ busta pack 2500pz IVA incl
/ fustella
/ carta pack
/ stampa
/ punzone
/ buste da lettera standard
/ spedizione multipack
/ costi spedizionenormale
/ costi spedizione raccomandata
/ adesivi tondi 2500pz IVA incl
/ adesivi logo 5000pz
/ taglierina
/ cartolina (carta e stampa)
/ liste spesa/pieghevole (carta, taglio e stampa)
/ stampante b/n laser (voce ipotetica)
/ toner nero (voce ipotetica)
/ costo abbonamento bigcartel
/ video
/ foto
/ sito
203 – I TRADIZIONALI
5.10
LO SPonsor: favini
IMG 105
Carta Crush realizzata da Favini
IMG 105
Styling per la comunicazione della
collezione speciale di Natale
Al contrario dei trasferelli presenti sul mercato, I Tradizionali
presentano uno studio grafico che valorizza l’involucro che
confeziona i tattoo-recipe. Il prodotto, infatti, fin dal principio
è stato pensato per essere inserito all’interno di una piccola
bustina, dal medesimo formato (5 mm x 10 mm) del
trasferello. La scelta della carta è stata fondamentale per
esprimere al meglio il valore percepito del prodotto e, dopo
una serie di ricerche, la carta Crush di Favini è risultata la più
adatta.
La linea Crush è una gamma di carte colorare e naturali
molto particolari poiché realizzata dalla combinazione di
frutta e noci. L’intero processo prevede la purificazione
degli scarti agro-industriali
che vengono micronizzate
e miscelati con cellulosa
vergine e fibre riciclate
post consumo certificate
FSC, utilizzando elettricità
idroelettrica autoprodotta.
Favini, leader mondiale per
la realizzazione di packaging
di lusso, ha accolto con
interesse il progetto de
I Tradizionali in quanto
coerente con la filosofia
della linea Crush, decidendo
di sponsorizzare la fornitura
della carta.
In questo modo, il progetto
I Tradizionali è riuscito
a abbassare i costi di
produzione eliminando una
voce dal business plan e la
sponsorizzazione da parte
dell’azienda ha apportato
maggiore visbilità ad
entrambe le parti.
204 – I TRADIZIONALI
5.11
DIETRO LE QUINTE: il video
(101)
Yancey Strickler, uno dei tre
fondatori di Kickstarter, assieme a
Perry Chen e Charles Adler
IMG 106
Backstage foto della preparazione
della comunicazione de I Tradizionali
Yancey Strickler(101), sul blog di Kickstarter, ha scritto:
“Un video è il miglior modo per comunicare le emozioni e
le motivazioni dietro a un progetto, così come la sincerità e
la serietà del suo creatore. Inoltre è anche più divertente”.
L’importanza dei filmati è comprovata dai fatti: la maggior
parte dei progetti presentati con un filmato hanno avuto
successo (una cifra che tempo fa era del 54% e che è
andata via via aumentando), mentre solo il 39% di quelli
senza video si è poi concretizzato. Il video è stato realizzato
appositamente per la campagna in due versioni, con e senza
logo di Eppela, ed è una delle parti fondamentali di una
campagna. Tra i consigli trovati su internet, molti assicurano
che basta uno smartphone per realizzare il video che dovrà
presentare in modo credibile il progetto su cui puntare tutte
le aspettative. Abbiamo scartato subito questa possibilità
per svariati motivi e ci siamo rivolte ad un amico che per
mestiere fa il video maker soprattutto perché crediamo che
una buona presentazione del prodotto sia fondamentale per
un progettista e perché la concorrenza nel crowdfunding è
talmente alta che ormai difficilmente si trova un video fatto
con un cellulare.
Una delle prime cose che sono state stabilite è il tempo: 1
minuto e trentacinque secondi. Nei video di crowdfunding
è fondamentale essere veloci, concisi e chiari senza
distogliere l’attenzione del possibile finanziatore e mostrare
205 – I TRADIZIONALI
IMG 108
Backstage della preparazione del
video per la campagna di Eppela
il mood del progetto, nel nostro caso era fondamentale
riuscire a comunicare spensieratezza, convivialità, il piacere
di cucinare e la condivisione.
Il video ruota attorno a dodici brevi scene:
1. Presentazione del logo con collegamento al pomodoro
e riferimento all’illustrazione che caratterizza il nostro
progetto. La prima scena è una sintesi del mood del brand
e un’indicazione chiara e diretta del tema che si va a
presentare: il cibo.
2. La confezione viene aperta e il tatuaggio viene tirato fuori:
è la prima presentazione del prodotto e delle sue fattezze,
un oggetto piccolo e semplice e che
rimanda subito allo scenario dei trasferelli.
Obiettivo della scena: far riaffiorare in
maniera velata i ricordi d’infanzia. A far da
sfondo a questa scena vi è la cucina e una
luce chiara e accogliente.
3. Presentazione delle progettiste: delle
scritte, con il font usato per il progetto,
indicano i nomi delle progettiste: è
fondamentale coinvolgere fin da subito
lo spettatore e far conoscere, anche
semplicemente visivamente, chi è il loro
interlocutore. Parallelamente si intravede
una scena in cui la protagonista del video
tira su le maniche: anche questo un
concetto molto importante del nostro
prodotto che richiama due scenari, da
un lato la cucina e la preparazione di una
ricetta, dall’altra parte l’azione di “darsi da
fare”.
4. Scena in cui la protagonista applica il
trasferello sul braccio: breve indicazione
sulle istruzioni per usare I Tradizionali per
far comprendere la facilità d’uso.
5. Scena di preparazione della ricetta:
mentre le inquadrature si soffermano su
alcuni dettagli della cucina, i fornelli e gli ingredienti, vi è una
prima sintetica descrizione del prodotto (come è nata l’idea
e la scelta del punto su cui posizionare il trasferello).
6. Mentre la protagonista continua a cucinare viene
presentata una seconda descrizione del prodotto: focus
sugli ambiti da cui deriva il progetto.
7. La protagonista imbandisce la tavola e, mentre accoglie gli
206 – I TRADIZIONALI
IMG 109
Backstage della preparazione del
video per la campagna di Eppela
ospiti, la voce fuori campo racconta l’obiettivo: avvicinare le
persone al cibo buono, sperimentazione in cucina.
8. Vengono mostrate le due progettiste mentre si termina
l’obiettivo del progetto. È stato volutamente lasciato un
errore, che determina una piccola pausa nel racconto,
per focalizzare l’attenzione sulla frase “il piacere di
cucinare”. Allo stesso tempo sdrammatizza la situazione
in un momento clou della
presentazione e diverte lo
spettatore, coinvolgendolo
maggiormente.
9. La scena confezione
il momento conviviale
del pranzo tra amici tra
risate e chiacchiere in
un’atmosfera piacevole e
vicina a molti giovani che
vivono fuori casa. Subito
dopo ogni ospite scopre,
mentre si sparecchia, una
tattoo-recipe sotto il proprio
piatto: un piccolo dono da
parte della persona che ha
cucinato per loro.
10. Breve sequenza delle
possibili applicazioni del tattoo: in un video indirizzato al
crowdfunding, è fondamentale mostrare come può essere
usato il prodotto che state comunicando. Bastano due o
tre scenari per trasmettere l’idea e le ipotesi sono state
mostrate con una semplice illustrazione.
11. Richiesta d’aiuto: le due progettiste chiedono l’aiuto delle
persone per riuscire nel progetto. Abbiamo cercato di essere
chiare e dirette e di mantenere la spensieratezza presente in
tutto il video.
12. Ringraziamenti: è una parte fondamentale in un progetto
di crowdfunding perché non bisogna mai dimenticare di
dire grazie a chi collabora e condivide il progetto per sentirsi
maggiormente partecipe della missione.
207 – I TRADIZIONALI
5.12
E TU cosa mi dai in cambio?
IMG 110 & 111
Dall’alto verso il basso: cartoline e
poster illustrati da I Tradizionali per
la campagna
La scelta delle ricompense per i finanziatori è stata molto
difficile. Il nostro prodotto si presenta sul mercato con un
prezzo di 10 euro, quindi, per noi era molto importante
innescare il meccanismo: “faccio una donazione da 10 euro
e ricevo in cambio il prodotto finito e completo”.
Una delle cose di cui abbiamo tenuto conto è stato quello
di trovare delle ricompense aggiuntive emozionali e
immateriali, o semplicemente di poco costo ma desiderabili
per il target a cui ci rivolgevamo: fascia di età tra i 25 e i 35
anni, soprattutto donne.
Al momento della scelta delle ricompense abbiamo cercato
di considerare sia i costi di spedizione in Italia e all’estero sia
quanto costa produrre eventuali prodotti in più, inserendo
un budget minimo all’interno del goal da raggiungere.
/ 5€ in su: ringraziamenti sul nostro sito e pagine social
/ 10€ in su: Ringraziamento personale inserito nel
packaging, una confezione di tattoo classic edition
/ 20€ in su: Ringraziamento personale inserito nel
packaging, una confezione di tattoo special edition, cartolina
illustrata “frutta e verdura” per una stagione
/ 30€ in su: Ringraziamento personale inserito nel
packaging, due confezioni di tattoo special edition, cartoline
illustrate “frutta e verdura” per quattro stagioni
/ 50€ in su: Ringraziamento personale inserito nel
packaging, tre confezioni di tattoo special edition, poster
illustrato “frutta e verdura” quattro stagioni, invito personale
evento di lancio del prodotto
/ 70€ in su: Ringraziamento personale inserito nel
packaging, tre confezioni di tattoo special edition, poster
illustrato “frutta e verdura” quattro stagioni, invito personale
evento di lancio del prodotto, cartolina con illustrazione
ricetta personalizzata
/ 90€ in su: Ringraziamento personale inserito nel
packaging, tre confezioni di tattoo special edition, poster
illustrato “frutta e verdura” quattro stagioni, invito personale
evento di lancio del prodotto, cartolina con illustrazione
ricetta personalizzata, shopper in cotone con logo i
tradizionali.
208 – I TRADIZIONALI
Le cartoline, la
personalizzazione della
confezione e il poster sono
stati un buon escamotage
per trovare delle soluzioni
personalizzabili, grazie
alla stampa digitale, poco
costose e poco ingombranti
per eventuali spedizioni.
Molti progetti di
crowdfunding presentano
delle differenze molto alte
di ricompense tra di loro,
soprattutto nel caso di
prodotti molto costosi per
cui i donatori che offrono
una somma che può variare
tra i 5 e i 50 euro spesso
non riescono a ricevere
in cambio il prodotto che
stanno finanziando, poiché
acquistabile a 200 o 500
euro.
209 – I TRADIZIONALI
5.13
www.itradizionali.com
(102)
Dati tratti dall’articolo “Perchè
avere un sito”, pubblicato su www.
studiolab24.it
Il sito è fondamentale per un’azienda. Perché? I dati(102)
parlano da sé: solo in Italia, al mese, circa venticinque milioni
di navigatori si collegano .
Oltre alle stime, un sito è sinonimo di affidabilità, credibilità
e, il più delle volte, professionalità a patto che i messaggi
comunicati siano d’impatto e chiari. Quando abbiamo
deciso di realizzare www.itradizionali.com è stato
fondamentale confrontarsi per decidere come sfruttare
il canale per creare la migliore interazione con i futuri
finanziatori ed eventuali clienti che, ovviamente, prima
di acquistare o addirittura investire, si sarebbe messi alla
ricerca online di informazioni sul prodotto che stavamo
proponendo.
Considerando che la gente è abituata a trovare qualunque
informazione su Internet, bisogna fare in modo che il sito
fosse facile da trovare quindi abbiamo scelto di usare il
nome del progetto per creare un collegamento diretto ed
evitare dispersioni di ricerca.
La pagina web, inoltre, è stata molto utile durante e dopo la
campagna perché, come fanno molte aziende per stimolare
l’interesse nel pubblico, abbiamo inserito l’indirizzo
web in aggiunta alla didascalia di video e immagini che
rappresentavano il prodotto.
Inoltre, molti giornalisti ci hanno richiesto il link per poterlo
inserire negli articoli e nelle pubblicazioni, in modo da
poter dare un’identità completa per chi avesse voluto
approfondire e comprendere al meglio il progetto.
È stato fondamentale utilizzare e progettare una grafica
appropriata che rispettasse i canoni del progetto,
privilegiando il colore rosso per creare un richiamo con
il logo rosso de I Tradizionali. Durante la campagna il sito
presentava in alto al centro il logo su sfondo bianco poco
sopra il menù principale. Quest’ultimo è stato studiato in
maniera tale da evitare eventuali sottomenù per facilitare
la ricerca dell’utente ed avere un quadro d’insieme molto
chiaro, facile e veloce.
In Home Page veniva presentato il video ed è stato lasciato lì
per focalizzare l’attenzione sulla campagna di crowdfunding
e la raccolta del finanziamento.
Oltre a fornire le classiche informazioni sul progetto e sul
team, il sito, essendo una vetrina del progetto visitabile
ventiquattro ore su ventiquattro, è stato arricchito di
immagini che presentavano sia la collezione (in gallery)
con alcune ricette pensate ad hoc per la campagna che
le modalità d’uso del prodotto in modo da suggerire
210 – I TRADIZIONALI
visivamente le istruzione per applicare il trasferello
sull’avambraccio.
Durante la campagna abbiamo aggiornato continuamente
la sezione delle news dedicata agli articoli più belli e
interessanti per il pubblico e per dimostrare una maggiore
credibilità e dimostrare di essere sempre in continuo
aggiornamento, invogliando così il pubblico a tornare sulla
pagina.
Dopo la campagna, grazie al sostegno e alle richieste di
molti clienti, abbiamo aperto la sezione dello shop online
che, non solo è un must per le aziende che posizionano
strategicamente l’iconcina del carello, sta cominciando ad
essere inserito in siti di alcuni studi di design. In mancanza
di altri canali di distribuzione forti, abbiamo deciso di aprire
un e-commerce. Nel nostro caso, per comodità e per facilità
di gestione, la sezione dello shop online è reindirizzata a
Bigcartel, un servizio web che permette di creare un negozio
virtuale in cui vendere in maniera semplice i propri prodotti
online tramite una paypal.
Dopo la campagna su Eppela e in prossimità dell’apertura
dell’e-commerce, abbiamo aggiornato il menù inserendo la
sezione relativa alla collezione di Natale (collection) e i lavori
precedenti commissionati per due eventi (Planetario Space
Party e Opendot Opening).
211 – I TRADIZIONALI
5.14
PRESS KIT
Durante la campagna su Eppela è stato fondamentale
organizzare e preparare una lista dei giornalisti a cui inviare
il press kit per annunciare la campagna.Il press kit è uno
strumento molto utile che ha come obiettivo la promozione,
in modo professionale, attraverso i punti principali del
prodotto. Per il lancio abbiamo raccolto una serie di indirizzi
di giornalisti attraverso alcuni amici già avviati nel mondo
del design e che, quindi, avevano già organizzato delle
“liste” di contatti. Una volta raccolte le nostre liste, abbiamo
preparato il press kit, principalmente costituito da: foto ad
alta risoluzione da visualizzare e scaricare attraverso un link
di dropbox, logo “I Tradizionali”, presentazione del progetto e
del team, link al video utile per la campagna di crowdfunding
su Eppela. Oltre all’elenco dei giornalisti, abbiamo scelto
i blog a cui avremmo voluto mandare il progetto il giorno
dell’apertura della campagna.
Il 5 Maggio 2014 è andato online il progetto su Eppela e il
giorno stesso abbiamo deciso di inviare il progetto solo
a design boom, uno dei blog più seguiti e cliccati a livello
internazionale. Non c’è un motivo specifico per cui abbiamo
deciso di considerare solo designboom alla fine, l’unica
certezza è che da lì è partito tutto. Il mattino dopo alle 9
eravamo già pubblicate e l’articolo è stato condiviso 540
volte e ha ottenuto circa 400 share su facebook e altri
social, il tutto solo tramite la pagina di designboom. Nel giro
di poche ore ci sono arrivate mail e richieste di interviste
da qualunque parte del mondo, soprattutto Stati Uniti.
Si è scatenata una sorta di “effetto domino” per cui, se
designboom ha pubblicato il progetto, tutti hanno ritenuto
opportuno farlo.
A partire da questa piccola esperienza abbiamo compreso
quanto sia essenziale promuovere al meglio il prodotto. I
punti principali di cui abbiamo tenuto conto sono:
/ logo posizionato in alto, ben visibile e chiaro
/ prima immagine di impatto e più significativa del prodotto
/ descrizione stimolante del progetto in tutte le sue parti sia
in italiano che in inglese
/ cadenza ritmata tra immagini e testi
/ impaginazione pulita
/ informazioni chiave evidenziate
/ link diretti a sito
/ ringraziamenti con link diretto al fotografo
/ indicazione dello sponsor con link diretto
/ link diretto a dropbox per le foto ad alta risoluzione
212 – I TRADIZIONALI
213 – I TRADIZIONALI
5.15
STorytelling attraverso social e blog
(103)
Dall’articolo “Brand Storytelling and
the mind” pubblicato da Chris Wren
su brandingstrategyinsider.com,
Settembre 2014
Grazie ai social netrowrk, Facebook, Twitter e Instagram,
è possibile rendere più forte un marchio. Fin dall’inizio del
lancio del crowdfunding è stata attuata una vera e propria
campagna di “brand sorytelling”(103), cioè un racconto
preciso del marchio.
L’uomo racconta storia da sempre: una volta venivano
semplicemente tramandate oralmente, oggi si usa la
dimensione digitale per comunicare determinate emozioni.
Intraprendere una campagna di comunicazione attraverso
i social network non è semplice come potrebbe sembrare
in apparenza. Bisogna comprendere i punti di forza e i
valori del marchio e intuire cosa desidera leggere, vedere,
commentare e condividere il pubblico, senza bombardarlo
di pubblicità soffocante.
I social network, essendo gratuiti, a meno che non si paghi
per la sponsorizzazione e la spinta, sono usati da tutte
le aziende, marchi e studi. Ciò significa che il livello di
competizione è davvero molto alta e bisogna sempre trovare
una strada per distinguersi e non annoiare le persone che
non vogliono semplicemente essere un “target a cui si è
puntato”.
È davvero interessante come questo nuovo tipo di
“comunicazione” abbia creato un dialogo ed un confronto
bidirezionale che, se ben sfruttato, può diventare un ottimo
passaparola.
I Tradizionali hanno cominciato progressivamente a creare
un’identità fluida per il tipo di pubblico a cui si rivolge:
prevalentemente donne tra i 25 e i 35 anni.
È stato fondamentale rivolgersi in modo appropriato e
creare dei contenuti coinvolgenti, lineari e inerti al tema,
adattando i temi e le foto in base al social usato: per
esempio su Facebook, bisogna sempre adattare le immagini
al formato corretto (470 x 395 px) e mai superare i 500
caratteri altrimenti si rischia di risultare come “spam”, e lo
stesso vale per il testo contenuto all’interno di una foto non
deve mai superare il 20% della superficie totale.
L’uso di diversi mezzi di comunicazione viene chiamata
“cross-medialità” poiché permette ad un marchio di usare
in maniera trasversale lo storytelling per creare un quadro
generale finale completo.
I Tradizionali, per differenziarsi, hanno puntato tutto sulla
personalità del prodotto per un duplice motivo: incuriosire
e coinvolgere emotivamente grazie ai ricordi d’infanzia, alle
immagini degli ingredienti belli e buoni e alle immagini ben
curate.
214 – I TRADIZIONALI
IMG 112
Tattoo-recipe preparata in occasione
dello Showcooking in Piazza San
Babila durante la Milano Food Week
Le storie ben raccontate, infatti, hanno un potere molto forte
sul pubblico perché riescono a coinvolgere all’interno della
storia stessa, un po’ come funziona coi film.
Il progetto si rivolge a un pubblico giovane e femminile,
che ama cucinare e le illustrazioni ma che ha anche
un’attenzione particolare alle novità per cui è stato sempre
prediletto un linguaggio semplice e informale, quasi
familiare, in modo da veicolare maggiormente il senso di
condivisione delle emozioni proposte.
Inizialmente abbiamo fatto alcuni esperimenti per
comprendere a fondo la
questione, provando a
sperimentare con immagini
dello stesso linguaggio ma
con contenuti differenti.
Il risultato è stato che, nel
nostro caso, funzionano
molto di più le immagini/
link/video che raccontano
di noi, del works in progress
e delle nostre ricette e/o
illustrazioni (anche non
finite) rispetto ad immagini/
link/video che parlano
di contenuti trasversali
come,per esempio, un
evento o una mostra
interessante di cucina in generale.
Abbiamo notato, infatti, che le persone filtrano le
informazioni disponibili e vengono attratte dalle immagini in
cui riconoscono velocemente la condivisione di una storia
o la partecipazione emotiva a quella storia. Inoltre, a partire
dalla campagna, abbiamo monitorare continuamente
messaggi, commenti e post poiché l’attenzione che un
“fan” dedica vale tantissimo e va curata continuamente per
rispondere a aspettative, dubbi e richieste.
Anche su Instagram è possibile creare un canale di
comunicazione che stimoli lo sviluppo emozionale e ha
permesso a I Tradizionali di creare un legame diretto con
i proprio follower. Ciò che ci ha sorpreso è che Instagram
riesca a raccogliere molti più like rispetto a Facebook ,
nonostante i follower siano in numero inferiore.
Su Instragram viene pubblicata almeno una foto
quotidianamente e, col tempo, anche qui sono state
individuate le fasce d’orario migliori o i contenuti più adatti
215 – I TRADIZIONALI
IMG 113 & 114
Nella pagina a fianco, dall’alto verso
il basso: collezione realizzate ad hoc
per l’evento di apertura “Opening
NoParty” di Opendot (in alto) in
collaborazione con lo studio Tour De
Fork e per l’evento “Planetario Space
Party” al Mummy Coffee Burger,
Ristorante di Milano
per il pubblico.
Ciò che funziona di più è raccontare, con foto esclusive,
l’attività a 360 gradi, i momenti più recenti e “assaggi”
delle anteprime, in maniera da tenere sempre aggiornati
chi segue costantemente il profilo. Instagram non è stato
progettato per pubblicizzare prodotti ma uno stile di vita:
persone, dettagli, ricette, illustrazioni, work in progress e
richiami al brand Tradizionali in maniera interessante.
È molto utile interagire commentando e apprezzando le
immagini di persone che rispecchiano la medesima filosofia,
in modo da trovare sempre nuovi canali e visualizzazioni
per nuovi possibili follower. Alla fine, ci siamo rese conto
di avere creato una vera e propria piccola community che
commenta e richiede novità continuamente, in cui non
bisogna mai dimenticare di rispondere menzionando la
persona interessata. Ciò è possibile grazie a delle didascalie
interessanti oppure attraverso delle semplici domande che
aumentano la probabilità di interazione.
Una delle cose fondamentali introdotte da instagram
è il famoso hashtag che, oltre a permettere nuove
visualizzazioni, identifica il brand stesso, soprattutto
in occasioni particolari, come un evento, in cui basta
semplicemente crearne uno ad hoc che dà il via a una vera e
propria campagna organica che contribuisce alla presenza
complessiva della foto sulla pagina “esplora” del social.
Alla fine dell’evento Planetario Space Party, è stata una
piacevole sorpresa scoprire che molti partecipanti avevano
pubblicato foto con #itradizionali e #planetarioparty.
216 – I TRADIZIONALI
5.16
E DOPO?
IMG 115 & 116
Scatti durante lo showcooking
presso San Babila durante la Milano
Food Week, 2014
Nonostante il lancio della campagna non sia andato a buon
fine, la strategia di comunicazione ha riscosso un ottimo
successo a livello mediatico e ha raggiunto anche gli altri
continenti, gli Stati Uniti in primis.
Dopo la fine della campagna l’indirizzo di posta elettronica
de I Tradizionali si è affollato di e-mail scritte da persone
che chiedevano dove è possibile acquistare il prodotto
e desideravano assolutamente essere aggiornati
sull’eventuale produzione.
Il loro sostegno è stato
molto utile per digerire
la sconfitta su Eppela
ma, per fortuna, a
questo aiuto morale si
sono aggiunte una serie
di richieste da parte
di distributori online
e offline e di richieste
di collaborazioni e di
preventivi da parte
di aziende di grande
spessore legate al mondo
del cibo (e non solo) e di
ristoranti.
Con alcuni il progetto di
collaborazione è sfumato
col tempo e con altri, che
gestiscono per esempio
il mondo legato al caffè
o che desiderano un
gadget fresco e innovativo
studiato ad hoc per il
proprio Padiglione, I
Tradizionali sono ancora
in trattativa. Proprio per
motivi di riservatezza non
sarà possibile in questa
sede citare i nomi dei
marchi.
Una delle collaborazioni interessanti che però è possibile
citare è il progetto di un sistema di partecipazione attiva
fra I Tradizionali e Feel IT, una giovane start-up italiana che
raccoglie gli oli più pregiati d’Italia. La partnership è nata da
una semplice mail inviata da Veronica Motto, dopo aver letto
218 – I TRADIZIONALI
IMG 117
Oli di Feel Italy, start-up di olio extra
vergine di oliva con la quale è nata
una collaborazione
su I Itradizionali sulla rivista Food Design.
Dopo una serie di confronti e di valutazioni, si è cercato
di trovare una strada per unire le forze. Feel IT esporta
molto all’estero, soprattutto in Asia, mentre I Tradizionali
sono acquistati e apprezzati in particolar modo dagli Stati
Uniti; l’obiettivo proposto da entrambe le parti è, quindi,
di ampliare i mercati e la visibilità di uno e dell’altro brand
facendo affidamento ai propri canali già avviati. Uno dei
prossimi step, utili a tastare il terreno di mercato in prossima
delle feste natalizie. Dal primo Dicembre, infatti, una
collezione speciale de I Tradizionali verrà messa in vendita
assieme a una bottiglia
di olio extra vergine olivo
denominato “Casaliva” e
prodotto sul Lago di Garda.
Il prodotto che propone
I Tradizionali è un ricetta
speciale che esalta le
caratteristiche dell’olio: il
pesto di mandorle. Per la
confezione verrà usata la
carta olive della linea Crush
di Favini, ottenuta dall’uso di
scarti alimentari grazie a un
processo ecosostenibile.
Fra le tante proposte di
collaborazione, alcune in
sospeso e altre accettate, I
Tradizionali è stato invitato
a realizzare due progetti
speciali in occasione di
eventi quali Planetario
Space Party svolto al
Mummy Coffee Burger,
ristorante di Via Vigevano a
Milano, e Opendot Opening
Party, festa di inaugurazione
del FabLab.
Nel primo caso, l’evento
è stato organizzato dal
da Planetario, un sito in
cui vengono selezionate
e create delle playlist
musicali affiancate da scatti
219 – I TRADIZIONALI
IMG 118
Illustrazione per tattoo-recipe “pesto
alle mandorle” per la collaborazione
con Fell Italy
fotografici che immortalano la Terra da alcuni satelliti della
Nasa. Il ristorante ha messo a disposizione spazio e cuochi
per l’organizzazione della festa basata sul tema “Planetario”.
A tal proposito, I Tradizionali ha realizzato tre ricette di
polpette speciali che ricordavano tre pianeti: mercurio,
giove e venere. Ogni pacchetto, progettato graficamente per
l’occasione, conteneva una ricetta e le confezioni sono state
distribuite tra i partecipanti alla serata.
Opendot Opening Party è stato l’evento di inaugurazione
di opendot, un makerspace nato all’interno dello studio
di interaction design dotdotdot. L’evento ha coinvolto i
Tour de Fork, studio di food design, che ha presentato
“Food Factory”, un percorso interattivo all’interno del quale
gestualità e attrezzi da officina sono stati riproposti in
chiave culinaria. I Tradizionali hanno partecipato al progetto
“Food Factory” e hanno editato per l’occasione un tattoorecipe diverso dal solito in quanto illustrava le linee guida e
il processo per utilizzare gli strumenti progettati ad hoc da
Tour de Fork.
220 – I TRADIZIONALI
5.17
THE XMAS LIMITED EDITION
IMG 119
Styling per la comunicazione della
collezione limitata Xmas Edition de
I Tradizionali
Dal lancio della campagna, risalente ai primi di Maggio, sulla
posta elettronica del sito sono arrivate circa 300 richieste di
acquisto del prodotto.
Il sostegno dei potenziali clienti e il feedback positivo
ottenuto tramite la stampa, anche dopo mesi dal lancio della
campagna, hanno contribuito alla decisione di realizzare
una edizione limitata del prodotto, ai limiti della sostenibilità
economica dal momento che non è stato raggiunto il goal
per avviare una produzione industriale di un minimo di
diecimila pezzi singoli (per un totale di 2500 pacchetti).
Natale rappresenta un’occasione speciale per verificare
se l’entusiasmo riscontrato fino ad ora e per questo primo
lancio sul mercato è stata pensata una collezione speciale
di ricette interamente dedicata al pranzo e ai dolci tipici
di questa festività. I Tradizionali, infatti, hanno un prezzo
contenuto, dieci euro, che lo inserisce all’interno della
categoria dei doni natalizi che, rispetto ad altri, riescono
a stupire e rendere un regalo pensato per la persona a
cui è destinato. Abbracciando la filosofia del progetto, la
collezione vuole essere un invito a condividere un momento
particolare in modo divertente.
L’edizione è composta da due confezioni, una dedicata al
pranzo di Natale, l’altra ai dolci natalizi. Le confezioni sono
acquistabili singolarmente, ognuna di esse contiene quattro
ricette-tattoo illustrate tipiche e provenienti da tutta Italia.
La carta scelta per i packaging è la linea Crush, corn paper
per il Pranzo e kiwi paper per per i Dolci. Ogni confezione
contiene, inoltre, un pieghevole con la storia de I Tradizionali
e sul retro si trovano le liste della spesa, con tutti gli
ingredienti necessari alla preparazione delle singole ricette.
221 – I TRADIZIONALI
La collezione di Natale è
un’edizione limitata di 300
confezioni in Italiano e in
Inglese, di cui 150 per il
pranzo di Natale e il restante
per i dolci.
In occasione della Xmas
Limited Edition è stato
aperto il 10 Novembre 2014
lo shop online dedicato
sul sito e nel giro di due
settimane la metà delle
tattoo-recipes è stato già
venduta.
Contemporaneamente allo
shop online la collezione
è in vendita presso alcuni
distributori: Ecobook-shop
di Valcucine a Milano,
Libreria B**K a Milano,
Mutty a Castiglione delle
Stiviere (Brescia),la libreria
ZOO a Bologna e Le corbeau in Belgio.
222 – I TRADIZIONALI
5.18
COSA CAMBIEREI DELLA CAMPAGNA?
grafico 16
Grafico sulle modalità di scambio tra
utente e designer e/o azienda.
Terminato il periodo utile alla campagna, è utile fare un
“esame di coscienza” e comprendere i risultati ottenuti e
esaminare gli errori. Il caso de I Tradizionali non è riuscito
a raggiungere il goal prefissato e, anche se da un lato è
stato molto scoraggiante, ha innescato un meccanismo di
rivincita, soprattutto a seguito di un’analisi dettagliata degli
ostacoli e dei possibili miglioramenti attuabili. Il confronto
con esperti del settore del crowdfunding, aziende, professori,
giornalisti, progettisti e, soprattutto, con sostenitori e non,
ha permesso di prendere in esame alcuni punti che di solito
determinano il successo o il fallimento di una campagna:
scelta della piattaforma, ricerca di uno sponsor in termini
monetari, organizzazione, campagna di comunicazione,
scelta funzionale delle ricompense e del goal. Raccontando
il progetto a Lucia Rota, fondatrice di Inner Design e
coordinatrice della campagna di Studio Lievito su Eppela, sono
emerse delle problematiche a livello di preparazione e scelta
delle ricompense. Ha definito la campagna de I Tradizionali
molto completa sia dal punto di vista progettuale che della
comunicazione, ma a livello di ricompense e di budget ha
delineato un profilo coerente con una visione “purista” del
crowdfunding. Entrando nel dettaglio del discorso, infatti, la
scelta del budget finale di seimila euro rispecchia il risultato
ottenuto dalle voci considerate nel business plan, nel quale
224 – I TRADIZIONALI
IMG 120 & 121
Preparazione di una tattoo-recipe
durante le riprese della foodblogger
“A Gipsy in the kitchen” per Elle
sono stati eliminati e accantonati molti costi pur di limare
la somma. Secondo il suo parere personale, infatti, anche
se il goal era “basso” rispetto alle cifre richieste su altre
piattaforme italiane, avremmo dovuto considerare che ci
stavamo rivolgendo a Eppela per cui bisognava in tutti i modi
abbassare ulteriormente il budget fino a quattromila euro. Il
ragionamento a suo tempo era stato preso in considerazione
ma l’obiettivo di fare una campagna di crowdfunding era di
riuscire a mettere in moto una produzione
industriale in base ai quantitativi minimi
richiesti da tale processo; diminuire il budget
equivaleva a non poter avviare la produzione
e sarebbe stato un controsenso.
Una seconda annotazione da parte di Lucia
Rota è stata la scelta delle ricompense. È qui
che la “visione purista” si evidenza più che
nel passaggio appena esposto, in quanto
i balzi tra una ricompensa e l’altra sono
molto piccoli e parta da un minimo di cinque
euro, dieci euro. Considerando che solo una
persona ha donato cinque euro, 31 individui
dieci euro e 14 sostenitori 20 euro, secondo
Lucia se I Tradizionali fossero partiti da un
minimo step di 15-20 euro il finanziamento
raccolto sarebbe raddoppiato e molto
probabilmente nessuno di loro avrebbe
notato una mancanza secondo il
ragionamento: “voglio uno o due confezioni
de I Tradizionali? Ah, con venti euro do
il mio contributo e ottengo anche due
prodotti…”. Dal momento che I Tradizionali
hanno riscosso un buon successo a livello di
comunicazione e durante la campagna sono
arrivate molte richieste d’acquisto, forse
sarebbe stato utile comunicare il prodotto al
pubblico italiano eliminando i verbi “donare”
e finanziare e favorire l’uso di “prevendita” o
“acquisto in anteprima” per evitare l’uso di
“parole da crowdfunfing”, linguaggio ancora
poco conosciuto. Il successo mediatico
è stato riscontrato soprattutto negli Stati
Uniti e la cosa che ci ha sorpreso di più è
stato che ci sono arrivate molte e-mail da
parte di fan americani che sostenevano che
non riuscivano ad effettuare la donazione:
225 – I TRADIZIONALI
Eppela accetta solo Visa e Mastercard e come sappiamo
nell’America del Nord si usa American Express. Nel caso del
crowdfunding, come sappiamo, la questione dei bakers è
molto delicata in quanto il momento della donazione è il più
delle volte impulsiva e le persone devono riuscire nell’impresa
a primo colpo, senza inutili log-in e passaggi complicati da una
pagina all’altra. Forse, oltre a scegliere un’altra piattaforma per
un pubblico che masticava di più il concetto di crowdfunding,
seguendo l’esempio di Tania Da Cruz che è scesa in strada per
farsi finanziare, avremmo dovuto creare un evento offline per
raccogliere i soldi fisicamente e poi versarli personalmente.
Di fatto, molti italiani durante la campagna ci hanno scritto
su Facebook, Twitter e via mail dicendoci che ci sostenevano
(moralmente) ma non hanno fatto il passo della donazione.
Uno dei rimpianti? Aver scelto Eppela perché la piattaforma
non ha seguito il progetto come promesso e perché I
Tradizionali, paradossalmente, hanno apportato molta
visibilità al portale italiano senza ottenere in cambio nemmeno
un post su Facebook per coinvolgere il bacino di utenti della
fan page.
grafico 17
Lesson learned / conclusioni
auto-valutative sugli errori della
campagna
226 – I TRADIZIONALI
5.19 a confronto con Il progetto
Litographs tattoos
IMG 122 & 123
Progetto Litographs tattoos lanciato
su kickstarter, Agosto 2014
La campagna de I Tradizionali è terminata a metà Giugno
e, anche se la comunicazione e gli apprezzamenti sono
stati tanti, il progetto non ce l’ha fatta dal punto di vista del
goal. Forse è utile analizzare il caso di “Litographs tattoo:
wearable Tributes to Iconic Books” un progetto lanciato
su Kickstarter durante Agosto del 2014. Il progetto viene
descritto così: “A beautiful collection of (temporary) literary
tattoos, and a chace to join the World’s Longest Tattoo
Chain”. In Italiano: “Una
bella collezione di tatuaggi
letterari (temporanei), e la
possibilità di partecipare alla
più lunga catena di tatuaggi
del mondo.
Le immagini presentate
ricordano molto quelle di
Tattly e, senza scendere
nella critica, è evidente
che siano dei semplici
fotomontaggi.
Il goal? Settemila e
cinquecento dollari che in
euro corrisponde a seimila.
Il progetto ha raccolto più
di cinquanta mila dollari e
dimostra come I Tradizionali
avessero identificato il trend
e che il “fallimento” della
campagna non è dipeso
dalla validità del progetto.
227 – I TRADIZIONALI
6.
NEXT STEP
6.1 UN MODELLO VALUTATIV0 per
comprendere se andare avanti
Che sia un successo o un fallimento, in seguito alla
campagna è utile comprendere se il progetto ha le
potenzialità per andare avanti e per evitare che rimanga uno
dei tanti casi episodici finanziati con il crowdfunding o meno.
Non dimentichiamo che l’obiettivo del finanziamento dal
basso non è raccogliere i soldi, ma comprendere se un
prodotto piace e capire se è possibile creare un’impresa
sull’idea che si propone.
In base all’esperienza de I Tradizionali e all’analisi di casi
presenti su kickstarter, Indiegogo ed Eppela, di seguito
viene ipotizzato un modello di valutazione personale della
campagna per comprendere se ci sono opportunità di
sviluppo.
Nella prima parte del modello sono presentati gli step
principali di una campagna per poi evidenziare quali sono
i punti su cui concentrare l’analisi di autovalutazione.
La cosa più interessante del modello è che propone tre
variabili (eventuali collaborazioni, successo mediatico e
raggiungimento del goal) per cui se due punti sono attivi
allora gli ideatori del progetto possano riflettere ad eventuali
“next step”.
Il modello è stato applicato al progetto I Tradizionali e l’unico
punto non attivo corrisponde a quello del raggiungimento
del goal. Dal momento che questa variabile è dipesa molto
dal tipo di piattaforma scelta, I Tradizionali rappresenta
un caso in cui le variabili delle eventuali collaborazioni e
del successo mediatico rappresentano una motivazione
per proseguire nel percorso dell’avvio e dell’apertura di un
piccola impresa con tre esempi di possibili evoluzioni.
All’interno del modello è interessante notare come l’unica
variabile presente e costante dall’inizio alla fine della
campagna sia quella relativa al successo mediatico che in
sé può far convergere le altre due variabili e permette di
stimolare fan e potenziali clienti in maniera continuativa.
Per il progetto de i Tradizionali sono stati ipotizzati tre
gradi di next step, l’uno la versione potenziata e aggiornata
dell’ipotesi precedente.
I tre upgrade mostrano, quindi, un eventuale sviluppo del
progetto ai fini di delineare un caso di designer impresa
in cui il prodotto il non finanziamento, in questo caso, del
crowdfunding non rimanga bloccato ad un caso isolato di
produzione relativa al soddisfacimento delle ricompense
promesse ai backers.
231 – I TRADIZIONALI
grafico 18
Modello auto-valutativo per
comprendere i risultati di una
campagna e se il progetto è valido
per investire nel futuro
grafico 19
Modello auto-valutativo applicato
all’intera campagna de I Tradizionali
235 – I TRADIZIONALI
6.2
NEXT STEP #1
IMG 124
Servizio “Make your Dodo” del sito
Dodo.com
Il primo step possibile da affrontare è la customizzazione.
Il termina indica la possibilità di concedere, da parte del
progettista e dello sviluppatore, un certo gradi di libertà
al cliente rispetto al prodotto per cui, in base a una serie
di variabili, sarà possibile creare un diretto collegamento
tra utente e progettista attraverso il prodotto che darà la
sensazione finale di essere stato, per usare un termine
scorretto, “personalizzato”.
La customizzazione, infatti, differisce dalla
personalizzazione in quanto concede solo un certo grado
diretto sui contenuti, mentre il secondo caso limita la libertà
ad alcune variabili prestabilite in base ai comportamenti
studiati e, in qualche modo, attesi.
Questo tipo di sviluppo nasce dalla richiesta continua e dal
desiderio da parte dei sostenitori e dei clienti di avere la
propria “tattoo-recipe” realizzata ad-hoc.
Le persone ormai sono sempre di più consapevoli
dell’importanza del ruolo di consumatore che rivestono
e, di fatto, ormai hanno un ruolo sempre più centrale nella
definizione dell’offerta, soprattutto indirizzata a quella
personalizzabile o personalizzata.
Partendo da esempi di grande successo coma
custumizzazione online dei prodotti Nike e il caso italiano
dei gioielli Dodo, figli della casa Pomellato, per aumentare il
livello di soddisfazione dei propri clienti e per incrementare
l’intera esperienza d’acquisto attraverso un canale
elettronico si è pensato a un’offerta customizzata.
In questo caso il sito presenta una sezione in più nel menù
chiamata “make your tattoo-recipe” che predispone un
format preciso che rispetta le dimensioni del supporto
cartaceo su cui vengono stampati i tatuaggi.
All’interno della sezione è presente una libreria di
illustrazioni disegnati da I Tradizionali e, per ciascun
ingrediente o strumento di cucina, si possono trovare due o
tre possibili scelte.
Nella tattoo-recipe tradizionale vi sono delle brevissime
indicazioni scritte, allo stesso modo il cliente può decidere
di inserirle con la font predisposta, oppure diminuire la
comprensione dei passaggi della ricetta per aumentare il
livello estetico generato dalle illustrazioni.
Il prodotto customizzato può essere infine stampato e
acquistato attraverso il sito semplicemente cliccando “buy
now” oppure può essere caricato nella sezione “custom
works” per cui tutti i clienti possono visualizzare le ricette
condivise.
236 – I TRADIZIONALI
txt
237 – I TRADIZIONALI
6.3
NEXT STEP #2
IMG 125 & 126
Stampante tascabile PoGo prodotta
da Polaroid
Una volta aumentata la community di utenti che ruota
attorno al servizio di customizzazione de I Trazionali, sarà
possibile progettare una piccola stampante brandizzata che
riprende il modello delle polaroid, una volta l’unico sistema
per vedere in tempo reale il risultato di una foto appena
scattata.
Da qualche anno è ritornata la moda delle polaroid e
della macchina fotografica analogica e proprio seguendo
questo trend il marchio Polaroid ha lanciato, per esempio,
dei nuovo prodotti. Uno di questi è PoGo che, al contrario
delle aspettative, non è una macchina fotografica ma una
stampante portatile di dimensioni ridotte e che ricrea le
stesse emozioni e sensazioni dei suo antenati.
Il progetto de I Tradizionali consiste in una piccola
stampante tascabile, dalle dimensioni simili ad un iPad mini,
e molto leggera in grado di stampare in pochi secondi il
tatuaggio sull’apposita carta.
Si prospettano due scenari: uno di collaborazioni con
aziende importanti a livello internazionale come Polaroid,
Epson o Canon, oppure la scelta di rendere open-source il
progetto della stampante.
Nel primo caso la stampante sarà acquistabile sul sito o
sui canali di distribuzione online e offline dell’azienda e il
prodotto sarà indispensabile per chi volesse stampare la
propria ricetta personalizzata direttamente a casa, evitando
così tempi e costi di spedizione. Il sito così implementerà
il bacino delle ricette da poter selezionare per la stampa
attraverso il canale delle ricette de I Tradizionali e quelle
personalizzate dall’utente stesso o da altri.
La seconda strada apre, invece, una finestra sul mondo
dell’open-source e della dimensione del FabLab poiché
riprende lo stesso fenomeno verificatosi con la stampante
3D. Il sito de I Tradizionali metterà a disposizione il progetto
tecnico della stampante per cui l’utente, oltre a poter
migliorare il progetto condividendo i pareri, potrà scaricare
i file per la realizzazione e la costruzione del prodotto. Sul
sito, inoltre, i clienti con meno confidenza con la digital
fabrication potranno in ogni caso acquistare i pezzi da
assemblare o addirittura già assemblati.
238 – I TRADIZIONALI
6.4
Next step #3
Il terzo sbocco, evoluzione dei primi due, riguarda un
investimento maggiore a livello finanziario ma che prevede
una collaborazione in senso stretto con un’azienda di carte o
con un dipartimento di chimica per la ricerca e lo sviluppo di
due possibili progetti: inchiostri particolari o carta speciale
per il tattoo che prevede l’eliminazione degli inchiostri nella
stampante.
Gli inchiostri utilizzati per I Tradizionali per il momento
derivano dalle cartucce inserite nella stampante laser a
colori che stampa direttamente sul foglio.
L’investimento di ricerca focalizzerebbe l’attenzione per la
realizzazione di due inchiostri speciali: un inchiostro facile
da rimuovere dalla pelle o degli inchiostri alimentari che
possano essere utilizzati in occasione di eventi specifici.
I trasferelli e la tecnica usata fino ad ora per realizzarli
sono certificati e testati allergicamente ma, anche se il
prodotto si rimuove con acqua e sapone, bisogna strofinare
per qualche minuto con una determinata pressione per
rimuoverlo completamente e in fretta. A tal proposito lo
studio andrebbe in una direzione specifica, cioè la ricerca di
un modo per facilitare ancora di più la rimozione e la pulizia
del prodotto.
L’opzione degli inchiostri alimentari, già presenti sul mercato
e usati per la stampa di fotografie su carta commestibile da
applicare sulle torte, invece, permetterebbe la realizzazione
di tatuaggi dal sapore specifico che potrebbero essere
usati in occasioni di eventi e fiere legate alla promozione
di un determinato cibo oppure accompagnare un turista
durante una guida all’interno di un azienda agroalimentare,
facendone riscoprire anche i sapori durante il percorso.
Un’altra possibilità è lo studio di una carta speciale che
non necessita di cartucce. Esiste una tecnologia chiamata
“Zink”, zero inchiostro, che include l’inchiostro all’interno
della carta. Le qualità delle immagini purtroppo non sono
di alta qualità poiché i colori sfumano, quindi il progetto
investirebbe molto sul miglioramento della tecnologia
applicato ad una carta che possa permettere la trasferibilità
del tatuaggio sulla pelle.
240 – I TRADIZIONALI
CONCLUSIONI
In Italia il crowdfunding si presenta con più di cinquanta piattaforme dedicate
e, finalmente, anche qui si cominciano ad abbattere la diffidenza nei confronti
di questa modalità e i pregiudizi sui pagamenti online. Non ci sono solo motivi
oggettivi economico-finanziari ma anche culturali che facciano pensare a
questo modello di finanziamento online come strumento per creare nuove
opportunità di innovazione, impresa e, soprattutto culturali. Il sistema non
è così semplice come spesso viene minimizzato. È una modalità complessa,
un nuovo linguaggio che crea opportunità se ben gestita e che offre la
possibilità di creare una vera campagna di “brand storytelling”, una sorta di
trampolino di lancio. Il crowdfunding, nato grazie alle potenzialità del web
e dal massimo accorciamento delle distanze, crea un nuovo linguaggio e
un’innovazione a livello di comunicazione in quanto, se ben sfruttato, crea
un dialogo bi-direzionale fra progettista e utente, che fino ad ora ha visto le
aziende fare da tramite. Aumenta il desiderio degli utenti di interfacciarsi
con gli ideatori di un progetto e con il volto dei progettisti, partecipando
attivamente all’esperienza. All’interno di questo contesto, il designer riesce
a distinguersi, grazie alle attitudini e alle skills che dovrebbero appartenergli,
sviluppando l’idea in ogni suo aspetto. Egli riesce ad anticipare desideri e,
al contempo, considera il mercato, la comunicazione, le strategie sui social
network, la gestione della produzione e della distribuzione, per ottenere il
massimo risultato dalla campagna. Se un progetto è valido, il crowdfunding
offre al designer gli strumenti per migliorare il proprio prodotto, osservando e
ascoltando i feedback, interfacciandosi direttamente con i finanziatori-clienti.
Anche se in una campagna si possono commettere degli errori di percorso,
non bisogna perdere di vista uno dei tanti obiettivi raggiungibili e cercare di
trovare delle soluzioni alternative. Il crowdfunding, inoltre, fa convergere in sé
una delle necessità del designer di oggi, cioè la possibilità di trovare la prima
fetta di distribuzione, uno degli ostacoli più grandi quando si decide di fare
impresa. Questa tesi vuole essere uno spunto per riflettere sulle potenzialità
e, al contempo, sui limiti di questo nuovo fenomeno, mostrando come gestire
una campagna con l’obiettivo di fare evolvere un progetto valido, anche dopo
aver concluso il ciclo del finanziamento-distribuzione.
Il modello auto-valutativo è un’occasione anche per i progetti che non sono
riusciti a raggiungere il goal monetario per esaminare le possibilità attraverso
tre variabili che dimostrano che il finanziamento può non essere l’unico
scopo del crowdfunding. La nascita di collaborazioni e di opportunità di
lavoro, oltre a un notevole successo mediatico, riscontrate con l’esperienza
del crowdfunding con il progetto “I Tradizionali” dimostra come fare
crowdfunding in Italia riesca a creare le condizioni per creare un networking
che permetta ad un progetto di sopravvivere e di evolversi nel futuro La
nascita di collaborazioni e di opportunità di lavoro, oltre a un notevole
successo mediatico, riscontrate con l’esperienza del crowdfunding con il
progetto “I Tradizionali” dimostra come fare crowdfunding in Italia riesca a
creare le condizioni per creare un networking che permetta ad un progetto di
sopravvivere e di evolversi nel futuro.
243 – CONCLUSIONI
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251 – I TRADIZIONALI
indice immagini
[ pp. 17 ]
[ pp. 19 ]
[ pp. 19 ]
[ pp. 21 ]
[ pp. 22 ]
[ pp. 24 ]
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[ pp. 32 ]
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[ pp. 39 ]
[ pp. 42 ]
[ pp. 42 ]
[ pp. 42 ]
[ pp. 43 ]
[ pp. 43 ]
[ pp. 45 ]
[ pp. 46 ]
[ pp. 47 ]
[ pp. 48 ]
[ pp. 49 ]
[ pp. 50 ]
[ pp. 51 ]
[ pp. 52-53 ]
[ pp. 56 ]
[ pp. 57 ]
[ pp. 58 ]
IMG 1 / Forchette Parlanti, illustrazioni di Bruno Munari,
immagine estratta dal catalogo “Irony in Italian Design” di
Alessandro Bergonzoni per Foscarini.
IMG 2 / Termostato disegnato da Nest
IMG 3 / Segnalatore di Fumo disegnato da Nest
IMG 4 / Cuboluce, progettato da Franco Bettonica e Mario
Melocchi, 1972.
IMG 5 / MIX Match, MAKIO HASUIKE per MH Way, 2013.
IMG 6 / Tableware as Sensory Stimuly, Jinhyun Jeon, 2013
IMG 7 / Juicy Salif, Philppe Starck, per Alessi.
IMG 8 / “Wonders of the World”, Therouanne (?) ca. 1277
IMG 9 / Enthusiasts of the maker movement foresee a third
industrial revolution.Illustration by Harry Campbell.
IMG 10 / Riproduzione con una stampante 3D
dell’illustrazione “From desktop to production” di Brett
Ryder
IMG 11 / Illustrazione di Enzo Mari pubblicate su “Strade blu”
/ mondadori, 2011.
IMG 12 / Illustrazione di Enzo Mari pubblicate su “Strade
blu” / mondadori, 2011.
IMG 13 / Illustrazione di Enzo Mari pubblicate su “Strade
blu” / mondadori, 2011.
IMG 14 / Established & Sons, azienda inglese. Immagine del
sito
IMG 15 / Established & Sons, azienda inglese. Bbanner
pubblicitario sul sito
IMG 16 / Established & Sons, azienda inglese. Immagine
coordinata.
IMG 17 / La chance design, azienda francese. Catalogo
IMG 18 / La chance design, azienda francese. Immagine sito
IMG 19 / Stine e Enrico, Studio Gamfratesi.
IMG 20 / Rewrite, Ligne Roset, 2011
IMG 21 / Schizzi di progetto di Rewrite.
IMG 22 / Marco Maturo e Alessio Roscini, StudioKlass.
IMG 23 / Schizzi di progetto di Balloon per Azzurra
Ceramiche.
IMG 24 / Balloon, rivisitazione del classico servomuto, 2012.
IMG 25 / Collezione “Unveils”, di Tom Dixon, presentata al
Salone del Mobile del 2014.
IMG 26 27 & 28 /Stand e allestimento in occasione di
Operae, mostra-mercato, Torino 2014.
IMG 29 / Livia Rossi e Gianluca Giabardo, Dossofiorito.
IMG 30 / The Phytophiler, serie di vasi di terracotta
realizzati a mano.
IMG 31 / Dettaglio, The Phytophiler, Dossofiorito.
252 – I TRADIZIONALI
[ pp. 59 ]
[ pp. 60 ]
[ pp. 62 ]
[ pp. 64 ]
[ pp. 65 ]
[ pp. 66 ]
[ pp. 68 ]
[ pp. 69 ]
[ pp. 71 ]
[ pp. 72 ]
[ pp. 73 ]
[ pp. 74 ]
[ pp. 75 ]
[ pp. 76-77 ]
[ pp. 79 ]
[ pp. 80 ]
[ pp. 80 ]
[ pp. 83 ]
[ pp. 84 ]
[ pp. 85 ]
[ pp. 85 ]
[ pp. 93 ]
[ pp. 105 ]
[ pp. 107 ]
[ pp. 108 ]
[ pp. 109 ]
[ pp. 110 ]
[ pp. 112 ]
[ pp. 113 ]
[ pp. 115 ]
IMG 32 / Stand alla Maker Faire di Roma di Ponoko,
piattaforma online dedicata alla digital fabrication,
IMG 33 / Modello attuale adottato a confronto con quello di
Slowd. Infografica realizzata da Slowd.
IMG 34 / Home page della piattaforma Shapeways.
IMG 35 / Laboratorio dello studio di design Very Good &
Proper.
IMG 36 e 37 / Ray e Charles Eames mentre controllano una
un prototipo e, nell’immagine in basso, una pubblicità dei
loro prodotti.
IMG 38 / Progetto di lampada di Ingo Maurer sotto la
propria azienda Design M
IMG 39 / Isabella Rovero di En&Is
IMG 40 / Megaphone Mini
IMG 41 & 42 / Ceramista che realizza Megaphone
IMG 43 / Workshop “Un Arduino in zucca” svolto da
opnedot, FabLab di Milano
IMG 44 & 45 / Ingranaggio stampato in 3D e progettista
all’opera durante il workshop “KItchen becomes open”
organizzato da opendot in collaborazione con Valcucine
IMG 46 / Strumenti di lavoro di un artigiano fabbro.
IMG 47 / Macchinario a controllo numerico per la
lavorazione della pelle.
IMG 48 & 49 / Kit di Arduino
IMG 50 / Stampo della griglia open structures
IMG 51 / Griglia di open structures
IMG 52 / Locandina di presentazione di open structures a
Milano, Aprile 2013
IMG 53 / Carlo D’Alesio e Piero Santoro durante la design
table per MEG presso Opendot
IMG 54 / Piero Santoro costruisce un prototipo di MEG
durante la design table presso opendot
IMG 55 / Prototipo di MEG
IMG 56 / App di MEG
IMG 57 / Illustrazione finanziamento Kickstarter
IMG 58 / Illustrazione finanziamento Kickstarter
IMG 59 / Corwdfunding dell’insalata di patate, 2014
IMG 60 / Matteo Loglio e il suo socio
IMG 61 & 62 / Primo, progetto di Matteo Loglio lanciato con
una campagna di crowdfunding su Kickstarter
IMG 63 / Primo, progetto di Matteo Loglio lanciato con una
campagna di crowdfunding su Kickstarter
IMG 64 / Thingk, Gkilo (bilancia) e Clogk (timer-orologio)
IMG 65 / Clogk (timer-orologio)
IMG 66 / Illustrazione vettoriale dei prodotti Thingk, una
253 – I TRADIZIONALI
[ pp. 119 ]
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[ pp. 147 ]
[ pp. 151 ]
[ pp. 154 ]
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[ pp. 164 ]
[ pp. 171 ]
[ pp. 179 ]
[ pp. 180 ]
[ pp. 181 ]
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[ pp. 187-188 ]
[ pp. 190-191 ]
[ pp. 192 ]
[ pp. 193 ]
delle immagini usate per la campagna su Indiegogo.
IMG 67 / Illustrazione di GettyImages sul crowdfunding,
Wired 2014
IMG 68 / Schizzo di Lucciola, progetto di DoroDesign per
Natevo
IMG 70 / Schizzo di Lucciola, progetto di DoroDesign per
Natevo
IMG 71 / Lucciola, progetto di DoroDesign per Natevo
IMG 72 / Tania da Cruz fotografata presso il suo stand al
Salone Satellite 2013
IMG 73 / Foto pubblicata da Tania da Cruz su facebook per
ringraziare i sostenitori
IMG 74 / StudioLievito
IMG 75 e 76 / Type, dosa spaghetti, disegnato da
StudioLievito
IMG 77 / Bigliettino inserito nel packaging di Type, dosa
spaghetti, disegnato da StudioLievito
IMG 78 / Lucia Rota di Inner Design
IMG 79 / Il team di Fattelo!
IMG 80 & 81 / Lampada e sviluppo della Fattelo! Lamp
IMG 81 / Sviluppo della Fattelo! Lamp
IMG 83 / Fattelo! Lamp in esposizione
IMG 84 / materiale informativo della Fattelo! Lamp
IMG 85 / Illustrazione sul significato della parola
crowdfunding
IMG 86 / Illustrazione di Adam Simpson per The New Yorker
IMG 87 / Progetto Memento di Marco Napoli
IMG 88 / Electroplate teiera, progettata da Christopher
Dresser prodotta da James Dixon and Sons, 1879.
IMG 89 / Il Quattrova Illustrato, ovvero la cucina elegante,
libro di ricette illustrate da Gio Ponti.
IMG 90 / Illustrazione di Gio Ponti tratta daIl Quattrova
Illustrato, ovvero la cucina elegante.
IMG 91 / Collezione “I Tradizionali” realizzata per la
campagna di crowdfunding su Eppela, Maggio 2014
IMG 92 & 93 / Illustrazione di Martì Guixè tratta dal suo libro
“Food design”, Edizioni Corraini, 2011
IMG 94, 95 & 96 / Progetto fotografico “Pantone Pairings”,
una foto al giorno viene pubblicata su Facebook e Instagram,
di David Schwen
IMG 97 / Illustrazione tratta dalle ricette caricate dagli utenti
sul sito “The draw and cook”
IMG 98 / Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, chef e
protagonista di “Unti e Bisunti”, trasmissione che va in onda
su DMAX
254 – I TRADIZIONALI
[ pp. 194 ]
[ pp. 195 ]
[ pp. 196 ]
[ pp. 201 ]
[ pp. 237 ]
[ pp. 238 ]
IMG 99 / Comunicazione sponsor dell’evento “Pelle
all’arrabbiata” - Le Grand Fooding Milano, 2012
IMG 100 / Trasferelli illustrati del brand Tattly
IMG 101 / Tazza bianca per uso gadget
IMG 105 / Carta Crush realizzata da Favini
IMG 124 / Servizio “Make your Dodo” disponibile sul sito
Dodo.com
IMG 125 & 126 / Polaroid PoGo
indice grafici
[ pp. 40 ]
[ pp. 41 ]
[ pp. 55 ]
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[ pp. 100 ]
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[ pp. 125 ]
[ pp. 167 ]
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[ pp. 173 ]
[ pp. 174 ]
[ pp. 224 ]
[ pp. 226 ]
[ pp. 232 ]
[ pp. 234 ]
1 / Ruoli designer e azienda (ieri)
2 / Ruoli designer e azienda (oggi)
3 / Differenze tra pezzo unico-arte, serie limitata e
produzione simil-azienda gestita da un designer
4 / Storia del crowdfunding americano
5 / Confrontro fra Kickstarter e Indiegogo
6 / Categorie e rispettivi milioni di dollari raccolti su
Kickstarter
7 / Nascita delle piattaforme di crowdfunding in Italia
8 / Distribuzione delle piattaforme sul territorio italiano
9 / Valore complessivo dei progetti finanziati in base alla
tipologia di piattaforma
10 / Modelli di crowdfunding (piattaforme attive)
11 / Modelli di crowdfunding (piattaforme attive e in fase di
lancio)
12 / Uso dei social da parte delle aziende
13 / Uso di Twitter, Facebook, Yotube e Blog personale dalle
aziende a livello internazionaale
14 / Posizionamento delle attitudini degli studi intervistati
15 / Confronto delle risposte degli studi intervistati
16 / Modalità di scambio tra utente e designer e/o azienda
17 / Lesson learned / conclusioni auto-valutativi sugli errori
della campagna
17 / Modello auto-valutativo per comprendere i risultati di
una compagna
18 / Modello auto-valutativo applicato al progetto
255 – I TRADIZIONALI
indice interviste
Le interviste sono state rivolte dal vivo o via mail ai diretti
interessati.
[ pp. 45 ]
1# Studio Gamfratesi
[ pp. 48 ]
2# StudioKlass
[ pp. 56 ]
3# Dossofiorito
[ pp. 68 ]
4# En&Is
[ pp.83 ]
5# MEG di Yradia
[ pp. 108 ]
6# Matteo Loglio
[ pp. 112 ]
7# Umberto Tolino
[ pp. 129 ]
8# Massimiliano Messina NATEVO
[ pp. 133 ]
9# Tania Da Cruz
[ pp. 137 ]
10# StudioLievito
[ pp. 144]
11# Lucia Rota di Inner Design
[ pp. 146 ]
12# Fattelo!
[ pp. 172 ]
Riflessioni sulle interviste
256 – I TRADIZIONALI
RINGRAZIAMENTI
Grazie a tutti i finanziatori e i sostenitori della campagna.
Senza il loro aiuto e il loro conforto oggi non sarei qui a
parlare de I Tradizionali.
Grazie a Marina, prima ancora del progetto che stiamo
portando avanti assieme, per la tua amicizia.
Grazie al Prof. Venanzio Arquilla per aver creduto in questa
idea e per i preziosi consigli al di fuori della tesi.
Grazie a Chiara Alessi per il tempo che mi ha dedicato e per i
suggerimenti. Ne approfitto per gli auguri del bimbo.
Grazie a Enrico dello Studio Gamfratesi, Marco di
StudioKlass, Livia e Giancluca di Dossofiorito, Isabella di
en&is, Carlo e Piero di MEG, Matteo di Primo, Umberto di
Thingk, Massimiliano di Natevo, Tania, Lucia di Inner Design,
i ragazzi di StudioLievito e di Fattelo per la disponibilità e la
pazienza con cui hanno risposto alle mie domande.
Grazie a Mariangela per il super sito.
Grazie a Stanz per essere il fotografo ufficiale de I
Tradizionali.
Grazie a Chiara per le zuppe buonissime e i sorrisi che
scaldano anche le case più fredde. Viva Casa Simpaty!
Grazie ai miei genitori.
Grazie a Giulia, perché una sorella speciale è una cosa rara.
Grazie a Renata che mantiene sempre le promesse e che
oggi è qui con me.
Grazie a tutti gli amici di Bovisa Suerte.
Grazie a Michela per questi due splendidi anni di Poli e per
l’amicizia al di fuori dell’Università.
Grazie a chi crede nei progetti.
Grazie a Lorenzo.
259 – I TRADIZIONALI
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