Scuola del Design / Politecnico di Milano TESI DI LAUREA MAGISTRALE / Design del prodotto per l’innovazione I TRADIZIONALI case history di un percorso di designer-impresa grazie al crowdfunding e all’autoproduzione Studente / Sarah V. Richiuso 797561 Relatore / Prof. Venanzio Arquilla anno accademico / 2013 - 2014 sessione / Dicembre I TRADIZIONALI case history di un percorso di designer-impresa grazie al crowdfunding e all’autoproduzione ABSTRACT CAPITOLO 1 [ pp. 13 - 28 ] un designer in continua evoluzione 1.1 Introduzione / 1.2 Attraverso i linguaggi / 1.3 Attraverso i segni / 1.4 Attraverso le strategie / 1.5 Attraverso le esperienze / 1.6 Un designer centauro / CAPITOLO 2 [ pp. 29-88 ] ATOMS ARE THE NEW BITS 2.1 “Atoms are the new bits” / 2.2 Da azienda a azienda-editrice / 2.3 Il confine tra autopromozione e autoproduzione / Intervista #1 Gamfratesi / Intervista #2 StudioKlass / 2.4 Autoproduzione: modalità che dà il via ad esperienze aziendali / 2.5 Qual è il ruolo dell’autoproduzione oggi? / Intervista #3 Dossofiorito / 2.6 La distribuzione: in soccorso alcune piattaforme / 2.7 Il modello D2C / Intervista #4 En&Is / 2.8 Autoproduzione digitale / 2.9 L’artigiano digitale 2.10 Il fenomeno dei maker / 2.11 La community: un design open / Intervista #5 MEG di Yradia CAPITOLO 3 [ pp. 89-116 ] Il crowdfunding 3.1 Il crowdfunding / 3.2 Kickstarter: la signora del crowdfunding / 3.3 Sette regole d’oro / 3.4 Che fine fanno i progetti di Kickstarter? / 3.5 Kickstarter aiuta gli imprenditori / 3.6 Il caso dell’insalata di patate / Intervista #6 Primo di Matteo Loglio / Intervista #7 Thingk di Umberto Tolino CAPITOLO 4 [ pp. 117-228 ] crowdfun... che? 4.1 E in Italia? / 4.2 Genesi e motivazioni / 4.3 Criticità del crowdfunding / 4.4 Perchè un’azienda dovrebbe fare un crowdfunding? Il caso Natevo / Intervista #8 M. Messina di Natevo / 4.5 #milancut: in Italia i designer emergenti scelgono il crowdfunding? / Intervista #9 Tania da Cruz / 4.6 Eppela / Intervista #10 StudioLievito / Intervista #11 Lucia Rota di Inner Design / Intervista #12 Fattelo! / 4.7 Opportunità e limiti / 4.8 L’importante è “to be connected” / 4.9 L’incremento dei social netwowrking / 4.10 I social media nel crowdfunding / 4.11 Riflessioni sulle interviste CAPITOLO 5 [ pp. 177-228 ] I tradizionali 5.1 I Tradizionali / 5.2 Tattoo-recipes / 5.3 Food-design / 5.4 Verso Expo 2015 / 5.5 Trend food e tattoo / 5.6 Il mondo dei gadget / 5.7 Il team / 5.8 Swot analisys / 5.9 Prima del crowdfunding - Valori & Business Plan / 5.10 Lo sponsor: Favini / 5.11 Dietro le quinte: il video / 5.12 E tu cosa mi dai in cambio? / 5.13 www.itradizionali.com / 5.14 Press Kit 5.15 Storytelling attraverso social e blog / 5.16 E dopo? 5.17 The Xmas Limited Edition / 5.18 Cosa cambierei della campagna? / 5.19 A confronto con il progetto Litographs Tattoo / CAPITOLO 6 [ pp. 228-241 ] Next step 6.1 Un modello valutativo per comprendere se andare avanti 6.2 Next step uno / 6.2 Next step due / 6.3 Next step tre Conclusioni bibliografia sitogragia INDICE immagini & GRAFICI INDICE interviste Ringraziamenti ABSTRACT Il crowdfunding è un nuovo modello che non rappresenta semplicemente una via di fuga alla crisi economica, ma più di ogni altra cosa rappresenta un’occasione culturale e sociale. È anche un sistema di comunicazione poiché apre le porte ad un nuovo linguaggio in cui il racconto viene approfondito e trasformato continuamente. Il finanziamento dal basso nasce da Internet e vive grazie all’energia e la forza dell’unione dei suoi utenti e, nonostante la spinta del web, esprime una delle caratteristiche fondamentali dell’uomo che da sempre confida nella teoria “l’unione fa la forza”. Partendo da un’analisi del ruolo del designer che, per esigenza e per attitudine, si evolve e si adatta parallelamente alle nuove modalità socio-economiche che si affacciano, si mostra come il crowdfunding possa divenire uno strumento in grado di creare nuove forme di valore progettuale e di impresa, sia in termini di innovazione di linguaggio sia per i nuovi sistemi di distribuzione. Da questa riflessione iniziale ho esaminato il crowdfunding negli Stati Uniti, prendendo in esame Kickstarter, la regina di piattaforme di questo tipo che ha assunto modalità di fruizione molto simili ad Amazon, e mettendolo a confronto con l’Italia per comprenderne i limiti e le opportunità che si riscontrano. Una delle difficoltà più grandi per i progetti di successo del crowdfunding è superare il rischio di “episodicità”, cioè il delinearsi di forme di imprese che si bloccano sul nascere per problemi tecnici o logistici, o semplicemente per “inesperienza”. E in più, il crowdfunding è davvero solo una modalità alternativa alle banche per finanziare un progetto o alle aziende per poter realizzare un’idea valida? Questa tesi è un’occasione per guardare al crowdfunding con un altro punto di vista rispetto al semplice raggiungimento del goal. L’esperienza personale vissuta con la campagna de “I Tradizionali-tattoo recipes” lanciata sulla piattaforma italiana Eppela, è stata un’occasione per vivere in prima persona lo sviluppo di un progetto in tutte le sue fasi, interfacciandomi con gli strumenti necessari prima, durante e dopo il crowdfunding. Ho scoperto sulla mia pelle che il crowdfunding è un fenomeno umano, che si carica di aspettative ma che deve essere affrontato con strumenti tecnici e che ha rappresentato un vero e proprio lavoro su me stessa. Verranno, infatti, analizzati i percorsi e i valori di comunicazione e di marketing, che vengono solitamente 9 – ABSTRACT prediletti dalle aziende, per raggiungere un goal diverso che vada oltre quello finanziario. In uno scenario in cui le aziende si trasformano in editori, in cui il progettista si occupa di tutte le fasi di un progetto, dal concept alla produzione, quest’ultimo si trova di fronte ad un bivio: presentarsi da un’azienda o fare un’impresa, dove il crowdfunding può essere un ottimo strumento per creare nuovi networks: comprendere il feedback di mercato, le potenzialità del prodotto, creare una campagna di comunicazione, trovare clienti per la prima distribuzione, aumentare le proprie collaborazioni, migliorare il prodotto ascoltando i consiglie dei propri sostenitori, fare consulenza progettuale, ottenere un “biglietto da visita” per bussare ad una azienda o accoglierla… Il designer è il tassello mancante e indispensabile di questo sistema, sistema aperto a tutti ma che esige un modalità di storytelling progettuale ed esperienziale che si trasformano in continuazione. La tesi presenta un modello finale di autovalutazione per un progettista per considerare le fasi in cui concentrarsi e come evitare che il proprio prodotto sia semplicemente uno dei tanti casi “episodici” da crowdfunding. 11 – ABSTRACT 1. uN DeSIgNeR IN cONTINuA evOLuZIONe 1.1 INTRODUZIONE Nell’immaginario comune il termine designer evoca un progettista che disegna prodotti pensati per una produzione industriale richiesti da un cliente, l’azienda. Il panorama contemporaneo sta cambiando in fretta spinto da una continua e sfrenata ricerca di soddisfare i propri desideri, più che i bisogni, da parte dei consumatori. Il designer è, per sua natura, attento e si adegua, cercando di individuare come poter “essere d’aiuto” e riuscire a trovare un ruolo adatto a lui. Cambiando i punti di riferimento, da bisogni a desideri, il designer si specializza in progettista di storytelling, di segni, di strategie e di emozioni, cercando ti trovare sbocchi lavorativi anche all’esterno delle aziende. Dal disegnare e “dare -semplicemente- forma”, i progettisti oggi sono in grado di ricoprire diversi ruoli in maniera completa in diversi ambiti come, per esempio, il prodotto dal concept al sistema che deve essere percorso da un’azienda e dalla comunicazione ai servizi. Il designer, all’interno di un contesto molto delicato e un mercato saturo, oggi cerca di essere un portatore di conoscenza, cultura e innovazione e, al contempo, attivatore sociale in relazione a aziende e clienti finali. Sotto l’ottica di un’innovazione per le imprese, il designer assume un ruolo fondamentale in quanto presenta tutte le caratteristiche per analizzare, gestire e incrementare i processi coinvolti. Il designer, infatti, riesce a supportare le imprese, e non solo, riuscendo a muoversi in maniera trasversale attraverso diverse discipline unendo la dimensione sociale a quella tecnica per creare nuovi processi e nuovo valore. Comunemente si tende a far coincidere il termine innovazione con il mondo tecnologico e funzionale ma, in realtà, si tratta di un insieme molto vasto che comprende anche i linguaggi, i messaggi, le emozioni e i valori che si desidera trasferire all’interno di un sistema di “innovazione dei significati” per cui è evidente che in un sistema-prodotto il designer è attento a gestire e a coordinare diversi fattori che assieme contribuiscono al progetto del prodotto sviluppato in ogni sua sfumatura. 15 – I TRADIZIONALI 1.2 ATTRAVERSO I LINGUAGGI (1), (2) e (3) Fulvio Carmagnola, “Design. La fabbrica del desiderio”, Lupetti, 2009 IMG 1 Forchette Parlanti, illustrazioni di Bruno Munari, immagine estratta dal catalogo “Irony in Italian Design” di Alessandro Bergonzoni per Foscarini. Rispetto al passato, uno dei tratti dominanti della nostra contemporaneità, la cosiddetta epoca della comunicazione, è la fine dei “grandi racconti” sostituiti da micro narrazioni. All’interno di questo contesto si impone il designer come una figura in grado di creare storytelling. Design e narrazione sono due termini carichi di significati; il design è un insieme complesso che indica un’attività intellettuale, una pratica professionale, un sistema di oggetti, un sistema produttivo, un sistema di relazione. Inoltre, questo ambito non influenza solo un singolo progetto o un singolo oggetto ma include culture, immaginari, scuole di pensiero. Allo stesso modo, la narrazione pervade diversi contesti del sapere ricodificando di volta in volta le modalità consolidate e rappresenta per l’essere umano uno strumento per esprimere sé stesso e la propria identità. Il designer adopera la narrazione in quanto un insieme complesso di linguaggi e dispositivi relazionali che permettono al nuovo (e all’innovazione) di essere compreso per essere infine diffuso e accettato. Come sappiamo, i designer da sempre producono simboli e codici attraverso gli oggetti e, come afferma Fulvio Carmagnola(1), citando Derrick de Kerckhove, si parla di un design “diventato la pelle della cultura, ovvero la concretizzazione espressiva, figurativa e sensibile in grado di tradurre in forme l’essenza del nostro tempo assumendosi così il ruolo di trasformatore metaforico delle tendenze di fondo in superfici sensoriali”. La sfera del senso e del significato vengono messi in evidenza attraverso la valenza simbolica ed estetica degli oggetti all’interno del mondo materiale, per cui possiamo dire che i processi culturali e i prodotti sono forme del pensiero sociale e non un mero atto di produzione individuale. I designer della comunicazione rappresentano in maniera evidente il forte legame tra design e narrazione per la sua natura segnica e informativa e la medesima attenzione ai valori “immateriali” è oggi presente nel mondo del prodotto, in quanto il designer diviene un mediatore di linguaggi e saperi che legano diverse culture. Il progettista può essere, quindi, visto come un legante tra la condivisione di senso e la costruzione di conoscenza, dove la narrazione progettuale viene espressa in termini visivi e materici, con un focus sempre maggiore sulla dimensione esperienzale). Il pubblico di un prodotto è costituito da diverse tipologie a seconda dello step della fase del processo e in ognuna avviene una narrazione accessibile a tutti e che riescono a modificare i bisogni, i desideri, gli immaginari e i valori. 16 – I TRADIZIONALI “L’oggetto stesso, nel design, ha natura di narrazione tangibile. Non solo perché l’oggetto-prodotto arriva all’utente accompagnato da un insieme di artefatti esplicativi, ma perché l’oggetto stesso è narrante, capace di raccontare l’essenza di una cultura.” (2). I designer creano un tipo di cultura che riesce a coinvolge attraverso gli oggetti delle forme di testualità che vengono espresse attraverso i riti, i gesti e i codici di comportamento, ovvero tutti i modi di comunicazione non-verbale. “La proceduralità tipica di un semplice gesto tecnico è arricchita da pratiche di valore simbolico che introducono nell’azione l’elemento liturgico non tanto come segno del sacro ma della cerimonialità tipica di un atto di culto.”(3) IMG 1 17 – I TRADIZIONALI 1.3 ATTRAVERSO I SEGNI (4) G. Fabris, “Il nuovo consumatore: verso il postmoderno”, FrancoAngeli, Milano, 2003 IMG 2 Termostato disegnato da Nest.. IMG 3 Segnalatore di fumo disegnato da Nest. Il designer, oltre a “dare forma alle cose”, negli ultimi anni si confronta anche con sistemi più complessi e multiculturali dove la sua capacità di leggere e interpretare elementi e processi immateriali in artefatti che evincono l’eredità culturale. Il progettista, infatti, è in grado di dar forma al progetto, di rielaborare gli stimoli e le ispirazioni legate al proprio vissuto e organizzarli, infine, in repertori socio-culturalmente condivisi da parte della società. Gli ambiti e i valori su cui egli lavora sono intangibili e immateriali e riescono ad attivare dei processi di significazione che sollecitano emozioni. La massificazione dei mercati e la delocalizzazione produttiva ha portato a una forte spersonalizzazione delle produzioni e a una generale omologazione delle realtà locali. Le dinamiche del consumo contemporaneo hanno portato al delinearsi dell’individuo-consumatore che, non riconoscendosi più nel prodotto standardizzato, chiede al mercato un prodotto esclusivo e customizzato. Si è progressivamente passati da un prodotto solido e strutturale a, come li definisce G. Fabris(4), prodotti che “si de-materializzano e si trasformano in segni, simboli e comunicazione”. In questo contesto, il designer si fa carico di un ruolo molto importante: conferire all’oggetto una forma, un segno ed un significato, senza cancellare la tradizione ma cercando di dare a quest’ultima nuovo valore per mezzo dell’uso di nuovi linguaggi e di nuovi segni. Parlare di significati non significa alludere semplicemente alla dimensione legata alla presentazione e allo styling, ma si riferisce al “senso” percepito dall’utente attraverso l’identità del prodotto, i valori, l’aspetto cognitivo e così via. Il designer progetta la “forma del prodotto” e si spinge oltre attraverso lo studio di come l’oggetto in questione verrà usato e percepito unendo variabili fisici, di comunicazione e di interazione. L’ampliamento delle skills del designer e della progettazione con un approccio di tipo relazione è sintomo di un cambiamento culturale che coinvolge il pubblico e le aziende stesse che, finalmente, comprendono, l’importanza delle possibilità e delle potenzialità che tali argomenti offrono a livello competitivo. 18 I TRADIZIONALI IMG 2 IMG 3 19 – I TRADIZIONALI 1.4 ATTRAVERSO LE STRATEGIE (5) ICSID, International Council of Societies of Industrial Design, organizzazione no-profit che protegge e promuove gli interessi dei designer industriali (6) e (7) Francesco Zurlo, “Relazioni produttive, Design e strategia nell’impresa contemporanea”, Aracne, 2006 IMG 4 Cuboluce, progettato da Franco Bettonica e Mario Melocchi, 1972. Design e strategia rappresentano oggi una relazione molto particolare all’interno dell’impresa contemporanea. Dal momento che il termine design è ricco di significati diversi, è interessante comprendere la definizione operativa del concetto di design da parte dell’ICSID(5) che afferma che “il design è un’attività creativa il cui obiettivo è stabilire la qualità multiforme di oggetti, processi, servizi e dei loro sistemi nell’intero ciclo di vita. In più il design è il fattore centrale per umanizzare in modo innovativo le tecnologie e un fattore cruciale di cambiamento economico e culturale.” In questa descrizione evinciamo una complessità del lavoro del designer su livelli sia tecnici sia culturali. A sua volta, il termine strategia(6) può significare molte cose, in quanto usato in diversi ambiti. Nel caso della reazione tra design e strategia è interessante comprendere tale termine all’interno della “cultura d’impresa” e, più nello specifico, nella “cultura del progetto” in cui entrano in gioco sia la dimensione organizzativa - funzionale sia quella cognitiva – pragmatica. Qual è il ruolo del designer all’interno dell’impresa? Rendere visibile le strategie attraverso l’identità, i valori e dare senso all’operato del design e dell’azienda. Il suo campo di azione è molto vasto, soprattutto nell’era dell’intensificazione del progetto; tra le capabilities(7) del designer ricordiamo: / Saper visualizzare scenari futuri possibili grazie alla capacità di osservare come un’antenna il contesto per rintracciare esigenze, desideri, trasformazioni e nuovi trends. / Sfruttare al meglio le proprie capacità relazionali sfruttando le esperienze e le conoscenze di un patrimonio accumulato. / Lavorare come knowledge worker mettendo a disposizione il proprio sapere per conferire valore aggiunto ad una determinata attività. / Saper raccontare una “storia” per coinvolgere gli utenti. / Aumentare il valore aggiunto attraverso la costruzione di momenti di relazione tramite scenari, riferimenti simbolici e codici comunicativi. 20 – I TRADIZIONALI (8) Venanzio Arquilla citando Francesco Zurlo, “Design, imprese e distretti | Un approccio all’innovazione”, pag. 73-74, Edizioni PoliDesign, 2005 (9) Tratto da www.cinienils.com IMG 4 Le capabilities del designer nell’impresa entrano a far parte di una complessa dinamica di trasformazione e creazione di conoscenza e l’identificazione del designer strategico si sposta da una dimensione prettamente funzionale a un processo integrato all’interno di un’organizzazione. Oggi, molti designer, consapevoli del proprio ruolo e delle proprie potenzialità, decidono di diventare imprenditori di un’idea, di un progetto in un determinato territorio. A partire dagli anni ’70, in Italia si riscontrano i primi sintomi di tale fenomeno che, progressivamente, è aumentato. Due esempi(8) storici sono i casi Cini&Nils e MHWay. 1. Cini&Nils(9) nasce nel 1969 grazie all’incontro di Franco Bettonica e Mario Melocchi che, spinti dall’onda di grande trasformazione che stava vivendo il design italiano in quegli anni, decidono di instaurare un rapporto professionale che li ha portati a pensare ad un’iniziativa imprenditoriale propria. Il loro primo catalogo presenta quattro prodotti orientati al mondo dell’oggettistica e, grazie alle opportunità produttive del territorio. I progettisti sfruttano la propria esperienza comunicativa e di servizio per promuovere i prodotti e individuano mercati marginali in cui inserirsi e rompere alcuni schemi commerciali. 21 – I TRADIZIONALI (10) Tratto da www.mhway.it 2. Makio Hasuike(10) è un progettista giapponese che dal 1968 lavora a Milano per diverse aziende e, dopo una serie di esperienze lavorative nel campo della pelle e degli accessori da lavoro e da viaggio, decide di aprire nel 1982 il marchio MH Way per esplorare altri campi del sistema prodotto come imprenditore e, contemporaneamente, per proseguire le proprie ricerche materiche e formali. L’identità del marchio è molto forte ed è permeato dall’incontro della cultura italiana e l’approccio giapponese con una continua sperimentazione tecnologica e materica anche in ambiti inesplorati. Il caso MH Way mostra come un designer, attento al contesto storico e sociale in cui sta vivendo, riesce a cogliere le opportunità che gli si offrono per divenire imprenditore di sé stesso. Tali opportunità oggi stanno cambiando, l’impresa stessa si sta trasformando modificando la propria struttura e molte possibilità vanno diminuendo. Allo stesso tempo, altre se ne propongono. 22 – I TRADIZIONALI 1.5 ATTRAVERSO LE ESPERIENZE (11) Tratto dal saggio di Elizabeth B. N. Sanders, “From User-centred to partecipatory design approaches”, pubblicato su www.maketools.com nell 2002 Viviamo nella cosiddetta “era del consumatore” dove grandi marchi dal successo incontestabile mostrano come l’attenzione all’individuo e ai suoi bisogni e, soprattutto, desideri sia riuscita a costruire un nuovo tipo di mercato in cui ciò che viene venduto è l’esperienza. Non si parla più di vendere o possedere semplicemente un oggetto, il concetto si amplia e coinvolge la sfera emotiva attraverso un’economia in cui il valore viene attribuito grazie alla qualità delle esperienze che le persone possono vivere. In un contesto in cui il successo di un’azienda è strettamente legato al tipo di esperienza memorabile che riesce a restituire, è diventato fondamentale il designer che, attraverso le sue capacità, funge da connettore tra azienda e clienti e progettista di soluzioni razionali e emozionali all’interno di tale sistema. Si delinea quindi una figura professionale evoluta del designer che, grazie ai propri processi di ricerca, strategia e progettazione. É in grado di incrementare la definizione di modelli di business attraverso creatività e strategie per ottenere vantaggi competitivi e qualitative in diversi modi: da un lato organizza e distribuisce il prodotto in base all’interazione finale e piacevole con l’utente, dall’altra progetta l’esperienza d’uso che la persona vive attraverso i prodotti e i servizi offerti. Come mai sono cambiati i modelli di consumo? Dal modello dell’economia fordista si è passati da una cultura del progetto tecno centrica a un progetto dell’utilità dell’esperienza, grazie all’aumento della componente simbolica, della diffusa soddisfazione dei bisogni di base e dalla vasta offerta di prodotti sul mercato accessibili a una fetta di consumatori sempre più ampia. Oggi si parla di progetto dell’esperienza(11) il cui focus è concentrato sull’utente e, come afferma Donald Norman, docente di scienze cognitive ed ex vicepresidente di Apple computer, “la questione dell’esperienza dell’utente riguarda tutti quegli aspetti relativi all’interazione dello stesso utente con il prodotto: come quest’ultimo viene percepito, compreso, utilizzato.” L’esperienza, negli ultimi anni, è divenuto un tema di fondamentale importanza in quanto riguarda tutti gli stadi del processo di progettazione, dal concept alla fase finale di usabilità del prodotto. L’utente viene osservato per comprendere il processo di esperienza e come esso costruisce la propria esperienza all’interno di un contesto. 23 – I TRADIZIONALI (12) Donald A. Norman, “Emotional design. Perché amiamo (o odiamo) gli oggetti della vita quotidiana”, Apogeo, 2007 (13) John Dewey, filosofo e pedagogista, analizza il concetto dell’esperienza come rapporto tra uomo ed ambiente nell’opera “L’arte come esperienza”, in Italia pubblicato per la prima volta a Firenze, La Nuova Italia, 1951. IMG 6 Tableware as Sensory Stimuly, Jinhyun Jeon, 2013. IMG 7 Juicy Salif, Philppe Starck, per Alessi. Uno dei modi più efficaci per provocare interesse nell’individuo è attraverso il coinvolgimento sensoriale per creare emozioni. Il design che si occupa di multisensorialità si affida a diversi strumenti per elaborare forme, suoni, colori, profumi, materiali che riescano ad abbracciare i cinque sensi. Oltre alla dimensione sensoriale, vi sono altri escamotage per attirare l’attenzione di una persona come, per esempio, la sorpresa che rende indimenticabile l’esperienza, l’alterazione della misura o il senso di un prodotto (esplicativo è il caso dello spremiagrumi Juicy Salif(12) per Alessi disegnato da Philippe Starck) e oggetti che rievocano un ricordo, spesso dell’infanzia (le forme rotonde e morbide dell’Audi TT ricordano le automobiline con cui giocano i bambini). Ma cos’è l’esperienza? Nel 1934 John Dewey(13), filosofo americano, definisce l’esperienza come l’interazione tra essere vivente e il suo ambiente naturale e sociale, con un raggio più ampio della sola conoscenza. Secondo questa definizione, subentrano due fattori fondamentali contrapposti: da un lato le condizioni interne e soggettive e dall’altro quelle esterne e oggettive ricollegabili all’ambiente circostante. Una delle caratteristiche dell’esperienza in entrambi i casi è la variabile dell’estetica in cui si inserisce il ruolo del designer che riesce a restituire la corretta importanza alla centralità dell’uomo. Donald Norman, docente di scienze cognitive ed ex vicepresidente di Apple computer, infatti, dimostra come l’esperienza sia legata alla fasi relative all’uso dell’oggetto stesso: acquisto, apertura del packaging, eventuale assemblaggio, primo impatto relativo al primo uso, la fruizione di routine, la manutenzione, la relazione 24 – I TRADIZIONALI IMG 7 con i servizi offerti, fino ad arrivare alla fine del ciclo di vita del prodotto stesso. L’emozione relativa ad un prodotto attraversa diverse fasi in cui il designer non lascia più niente al caso: ogni fase deve apportare un coinvolgimento positivo in relazione alla mente e al contesto circostante in cui si inseriscono affettività, emotività, dimensione cognitiva e piacevolezza. Il progettista viene sempre più coinvolto dalle imprese in quanto riesce a rendere la persona il protagonista dell’interazione con i prodotti e i servizi offerti, progettati sotto una chiave di lettura ben precisa: aumentare l’esperienza dell’utente a seconda dell’ambiente e della “magia” che si cela dietro una piacevole e appagante scoperta. Cosa comporta quindi l’esperienza? Il designer di oggi è in grado di dimostrare l’importanza di una singola o di infinite esperienze in relazione a un sistema molto complesso che riguarda strategie differenti come la comunicazione, il prodotto stesso, i servizi interconnessi offerti all’utente che desidera sempre più condividere l’esperienza del processo progettuale e produttivo. 25 – I TRADIZIONALI 1.6 UN DESIGNER “Centauro” (4) Dalla voce centauro “centauro” / Dizionario della lingua italiana Devoto Oli, Le Monnier, Firenze 1995 centàuro s. m. (raro il f. -a o -éssa) [dal lat. centaurus]. Figura biforme della mitologia greca (il cui nome deriva dal capostipite Centauro, figlio di Issione), partecipe della natura del cavallo (le quattro zampe e la groppa) e dell’uomo (dal bacino in su), che, secondo la leggenda, viveva sui monti della Tessaglia. IMG 8 “Wonders of the World”, Therouanne (?) ca. 1277 Il mito del centauro(4): Riccardo Dalisi definisce “la figura del centauro un simbolo attuale. Essa appartiene al mito dell’antica Grecia, metà animale metà uomo, un simbolo che unisce il mondo arcaico con il mondo della storia nascente. Simboleggia un trapasso, una metamorfosi, una fusione di valori. È una figura complessa e circolare, bipolare, uomo e animale, antico e moderno, guaritore ferito.” Con questa affermazione, R. Dalisi paragona il centauro alla nuova cultura del progetto che ha reinterpretato la propria organizzazione in due direzioni: da un lato abbiamo una dimensione protettiva, dall’altra parte una forma aperta al dibattito e a nuovi orizzonti. Uno studio di design nell’era contemporanea assomiglia sempre più ad un’azienda perché si presenta al “mercato” con una propria microimmagine ed è una struttura aperta pronta ad instaurare un rapporto dialogico , caratteristica di base di ogni impresa. Il dialogo si fonda su tre variabili: / Senso di responsabilità sociale attraverso il rispetto delle regole. / Attitudine alla cooperazione e al confronto. / Creazione di senso come obiettivo finale di ogni progetto. 26 – I TRADIZIONALI txt IMG 8 27 – I TRADIZIONALI 2. ATOMS ARE THE NEW BITS 2.1 “ATOMS ARE THE NEW BITS” (14) Traduzione letteraria “arti e mestieri”, è stato un movimento artistico per la riforma delle arti applicate, una vera e propria reazione intellettuale di artisti e colti all’industrializzazione crescente della fine dell’Ottocento. (15) “L’uomo artigiano”, di Richard Sennet, Professore di sociologia alla London School of Economics e alla New York University. Pubblicazione del libro che è ricerca intorno al significato più profondo di “lavoro fatto a regola d’arte” di Feltrinelli, 2012. (16) Tratto dall’articolo “Sulla nuova Rivoluzione”, di Francesca Gattello, pubblicato sul blog Pressletter, 4 Novembre 2013 (17) Chris Anderson, giornalista e saggista americano, direttore di Wired. Dopo il boom economico, abbiamo assistito all’avvento della società dei consumi, caratterizzata da una massiccia diffusione di prodotti “usa e getta”, fino agli inizi del 2000. A partire dallo scorso decennio, si è sempre più insinuato nelle persone un sentimento di rifiuto nei confronti di tutto ciò che è standardizzato e che non rispecchia la personalità dell’individuo, riavvicinando i clienti verso la dimensione dell’artigianato. La risposta romantica del movimento “Arts and Craft”(14) alla macchinizzazione della Prima Rivoluzione Industriale può essere paragonata a ciò che sta accadendo oggi con l’avvento del cosiddetto “Uomo Artigiano” (15) e dei Makers, come alternativa alla produzione industriale in un periodo di crisi. Come ci ricorda Francesca Gattello(16), nell’articolo “Sulla nuova Rivoluzione”, pubblicato su Presstletter, “evolvere significa “trasformarsi gradualmente verso forme più progredite”, dunque la ripresa dell’artigianato come modello produttivo ed economico non può considerarsi una soluzione praticabile, significherebbe voltarsi indietro, regredire.” Secondo questo pensiero, si può pensare che l’artigianato può suggerire nuovi metodi e far riflettere sulla condizione che stiamo vivendo, ma la formula vincente può essere intravista nel binomio artigianato e tecnologia che si basa su una società critica e consapevole. La prossima rivoluzione industriale, secondo ciò che sostiene Chris Anderson(17) nell’articolo “In the next Industrial Revolution, atoms are the new bits”, pubblicato su Wired nel 2010, sarà guidata da una generazione nuova costituita da piccole imprese basate sul risultato del lavoro combinato di artigianato e tecnologia, in grado di fornire prodotti innovativi in quantità limitata ma personalizzati. Ciò a cui si andrà incontro è una combinazione tra le qualità e le caratteristiche dell’artigiano di una volta unite all’efficienza della produzione in serie, in scala globale per la scelta dei fornitori, per i canali di distribuzione e per l’apertura al dialogo coi clienti finali. Stiamo già vivendo la Rivoluzione Digitale e, al contrario delle precedenti rivoluzioni capitanate dagli ingegneri, questa volta troviamo alla guida i designer che, con la loro sperimentazione e la continua ricerca, aiutano le imprese a progettare le tecnologie di cui hanno bisogno, a sviluppare nuovi materiali e a individuare strumenti di produzione e distribuzione. La concezione della dinamica economico-produttiva sta cambiando, basti pensare a: 31 – I TRADIZIONALI IMG 9 32 – I TRADIZIONALI IMG 9 Enthusiasts of the maker movement foresee a third industrial revolution. Illustration by Harry Campbell. le tecnologie digitali come le stampanti 3D e il sistema Arduino, il movimento DIY supportato dalla conoscenza condivisa online, le proposte di sistemi di produzione modulari che decostruiscono la produzione industriale tradizionale, l’uso di materiali alternativi. Si sta profilando progressivamente un contesto futuro in cui crescono le relazioni tra industria e progettisti con una visione focalizzata sull’utente, in quanto loro stessi consumatori, per gestire al meglio le risorse e le varie fasi di progettazione, produzione, distribuzione. In Italia, all’interno di un panorama progettuale intento ad approfondire le dinamiche dell’autoproduzione e del riuso, troviamo qualche pioniere delle nuove tecnologie, come l’impresa D-Shape dei fratelli Dini, Fabtotum e DWS Systems. Lo scenario italiano in cui si inserisce il design, e non solo, oggi non è uno dei più incoraggianti. I dati generali dimostrano che i consumi non aumentano, l’esportazione diminuisce e si respira un clima di incertezza e sfiducia alla quale si somma la situazione europea che non è una delle più floride. A questi dati si aggiungono sintomi per cui si parla spesso di perdita della “cultura” per cui, se in passato è stata quest’ultima la promotrice del successo del boom italiano degli anni ’50, oggi si rischia di perdere anche uno dei fattori in grado di produrre innovazione. Una delle caratteristiche dell’Italia è la sua grande inclinazione all’autoimprenditorialità che, soprattutto nel caso di piccole e medie imprese, non demordono e cercano di sopravvivere al mercato internazionale affidandosi al designer. In che modo può intervenire il designer in una situazione così critica? Sicuramente la dimensione strategica e gli strumenti utilizzati da questa figura gli permettono di individuare le opportunità di mercato attraverso ciò che ha sempre svolto, la preparazione di un concept adatto all’azienda, ma volgendo il supporto all’intero processo delle nuove imprese. L’evolversi del modo di progettare è direttamente proporzionale al mutamento del sistema economico e culturale per cui è interessante comprendere effettivamente il cambiamento. Su cosa puntano le aziende per sopravvivere? La tendenza delle aziende è quella di concentrarsi sulle ricerche di mercato e sulle motivazioni che sostengano gli aumenti di volumi di vendita. A tal proposito, infatti, il designer supporta le imprese a comprendere il comportamento dei clienti, le 33 – I TRADIZIONALI (18) Tratto da “Special Report: UX Business and ROI” e dall’articolo “Comprendere il cambiamento. Il valore della user research”, pubblicato su www.sketchin.ch, 10 giugno 2014 IMG 10 Riproduzione con una stampante 3D dell’illustrazione “From desktop to production” di Brett Ryder IMG 11 Illustrazione di Enzo Mari pubblicate su “Strade blu” / mondadori, 2011. loro esigenze, le condizioni che apportano soddisfazione e dove si possono trovare delle opportunità di sviluppo. Una delle parti fondamentali è, per esempio, lavorare sul miglioramento della qualità dell’esperienza vissuta nel sistema dei servizi offerti in base a delle modalità e degli obiettivi. Bisogna sempre puntare a legare l’utente attraverso una condizione di affettività per cui ecco un exploit di apertura di e-commerce, siti che si aggiornano continuamente e applicazioni che ampliano la scala dei servizi esistenti. All’interno di questo sistema, però, torna e ritorna sempre la questione su cosa effettivamente vogliono i clienti. La questione è molto delicata poiché in confine tra successo e fallimento è molto labile e dipende da cosa e come l’azienda lascia un ricordo memorabile alle persone. Di fatto, ci troviamo in un contesto evolutivo caratterizzato da tantissimi variabili di natura imprevedibile, come quelli culturali, emozionali, tecnologi e modaioli, per cui risulta davvero difficile definire una “ricetta” vincente per le aziende per superare le aspettative del pubblico. Ogni azienda è sinonimo di un ecosistema unico nel suo genere in cui sono attuate modalità e strategie di funzionamento diverse rispetto alle altre. Ciò comporta un approccio dedicato e specifico in base ad ogni tipo di azione e le aziende che negli ultimi anni hanno investito nella ricerca finalizzata all’utente, detta anche User Research, dimostrano che hanno ottenuto addirittura un incremento del +240% della fidelizzazione e del Net Promoter Score(18). Dal momento che non è la sede per approfondire dati e numeri relativi alle aziende, è interessante spostare l’attenzione su cosa è una User Research. Essa è definita come lo studio della comprensione delle persone, siano esse nel ruolo di clienti, fruitori, utenti, prospect, team aziendale, fruitori. Questa ricerca comprende, in poche parole, tutte le persone con bisogni ed esigenze da soddisfare che gravitano attorno alle realtà aziendali e che interagiscono con quest’ultima. Un’azienda che investe energie e 34 – I TRADIZIONALI (19) Tratto dall’articolo “Milano si fa da sè. Laura Agnoletto racconta il progetto MISIAD pensato per valorizzare le autoproduzioni milanesi di design”, pubblicato da Sofia Lauro su LivingCorriere, 2011 IMG 11 tempo all’attenzione dei propri clienti e di quelli potenziali incrementa le proprie performance e riesce a tracciare un percorso per raggiungere nel migliore dei modi i propri obiettivi, in base alla definizione di valori oggettivi. Qual è il rapporto tra i designer e le imprese italiane? Nella storia italiana possiamo ripercorrere tanti casi di grandi imprenditori e maestri del design che assieme hanno fatto la Storia del Design italiano e che rappresentano anche all’estero un esempio di grande valore. Anche se le piccole e medie imprese che caratterizzano la nostra Penisola fino ad ora sono sempre riuscite a sopravvivere e a distinguersi a livello internazionale, oggi(19) la situazione presenta le prime crepe e i limiti che le aziende italiane devo sostenere a fronte di un’inesorabile globalizzazione. Delle tante piccole e medie imprese che costellano il nostro territorio, solo alcune davvero eccellenti riescono a fronteggiare la competizione dei prezzi e lo sviluppo dei Paesi che fino a un decennio fa non si presentavano sul mercato. Le imprese legate al mondo del design riescono ancora a 35 – I TRADIZIONALI (20) Chiara Alessi, curatrice e critica del design. Nel 2014 Laterza ha pubblicato il suo saggio sul nuovo design italiano “Dopo gli anni Zero”. (21) Enzo Mari, “Autoprogettazione?”, Corraini, Gennaio 2002 IMG 12 Illustrazione di Enzo Mari pubblicate su “Strade blu” / mondadori, 2011. distinguersi perché caratterizzate da un sistema digestione di stampo familiare e perché collaborano con i designer, non solo per ragioni di sviluppo formale del prodotto. Gli imprenditori che attuano un ragionamento del genere e che riconoscono nel designer un ruolo centrale per il miglioramento dell’intero processo produttivo sono ancora davvero esigui e il rischio che un progettista rimanga inserito nell’immaginario comune di semplice “esecutore di estetica e forme” , purtroppo, comune. La produzione nelle aziende è ormai delegata a terzi e la distribuzione tradizionale ha mostrato le prime crepe. È una soluzione possibile e più sostenibile concentrare in un’unica figura, quella del designer, le fasi di ideazione, di produzione e di distribuzione? Negli ultimi anni si è parlato tanto di “designer impresa” che, come ci ricorda Chiara Alessi (20) nel libro Dopo gli anni Zero, il nuovo design italiano, “ha l’ambizione di sostituire in maniera agile e simultanea il sistema complesso della produzione tradizionale, arricchendo la relazione tra designer e produzione, tra competenze tecniche e distributive, tra progettazione individuale e collettività”. Questo profilo nel Belpaese coincide con quella dell’autoproduttore che ha l’esperienza del progettista e gestisce le fasi di ideazione, progettazione, realizzazione, distribuzione e comunicazione in maniera autonoma e parallelamente alla relazione che ha fino ad ora legato i designer e le aziende. I primi sintomi di “autoproduzione” in Italia sono già riscontrabili con l’esperimento “manuale di autoprogettazione” di Enzo Mari(21) e l’azienda Produzione Privata fondata da Michele De Lucchi con cui produceva i suoi progetti. Al contrario di questi ultimi due esempi della storia del design italiano, oggi le motivazioni che portano l’autoproduzione ad essere un fenomeno ormai comune sono altre: con l’aumento delle tecnologie a portata di tutti, dei software open source in aggiunta all’idea di un design diffuso, si insinua l’ipotesi che un giorno le persone potranno realizzare i propri i prodotti in casa; produttore e utente-consumatore si scambiano a vicenda il proprio ruolo; la riscoperta delle forme dell’artigianato e della manualità di alto livello; l’idea di un nuovo tipo di distribuzione che ascolta l’esigenza del consumatore di poter acquistare prodotti limitati e altamente personalizzati; l’aumento esponenziale della vendita online. La trasformazione del sistema produttivo include anche altri fenomeni come quello dei Makers, cioè persone che si 36 – I TRADIZIONALI 37 – I TRADIZIONALI (22) Tratto da www.segnoitaliano.it (23) Tratto da www.arduino.cc (24) Tratto da www.slowd.it e www. adidesignindex.com “design dei servizi” servono di strumenti digitali e tradizionali per creare da sé, in cui l’autoproduttore italiano si rivede. In Italia, quindi, si manifesta una sorta di sintesi tra i due fenomeni con risultati nel design di due tipi: da un lato un design più tecnologico aperto a tutti grazie a laboratori e officine , come i FabLab, che mettono a disposizione strumenti per realizzare i propri oggetti, e dall’altra parte un design con una forte impronta artistica e artigianale le cui produzioni sono ridotte e privilegiano una produzione su richiesta. Il caso Segno Italiano(22) rappresenta la riscoperta dell’artigianato. Il loro manifesto afferma che “Segno Italiano è un’agenzia in grado di valorizzare e commercializzare prodotti di alto artigianato italiano, a livello internazionale”. L’agenzia lavora come agente e editore per gli artigiani, creando un sistema che unisce una piattaforma sociale e multimediale con delle piccole aziende artigiane storiche e di alta qualità attraverso l’organizzazione di una documentazione video, il confronto e l’organizzazione di eventi. Arduino(23), dall’altra parte, rappresenta il successo dell’open source che si pone l’obiettivo di dare la possibilità ad un numero sempre più ampio di persone di essere creatori, fruitori e individui consapevoli della cultura materiale. Arduino, in sostanza, rappresenta il binomio tra comunità di confronto-perfezionamento e autoproduzione. Gli oggetti non sono più il risultato di una produzione industriale, ma sono progetti che nascono da un’esperienza che somma l’analogico al digitale, in cui la componente personale del progettista e quella della personalizzazione per l’utente sono elementi da condividere nel sistema che coinvolge: produttori, progettisti, utenti finali. Questi ultimi sono chiamati a riadattare, intervenire e rendere migliore e unico il prodotto finale. In questo panorama in cui le capacità manuali vengono riscoperte e quelle digitali sperimentate, i designer impresa rappresentano un contributo indiretto all’accrescimento della consapevolezza del processo produttivo e il web diviene il canale adatto a questa diffusione. La rete permette di condividere risultati, sperimentazioni ed esperienze sorpassando la distribuzione tradizionale che non è più in grado di gestire il confronto. Il caso Slowd rappresenta un esempio calzante di vendita online che ha eliminato i costi di magazzino e ha accorciato la filiera distributiva. Slowd(24) è una piattaforma che permette a artigiani e designer di vendere online prodotti realizzati a Km zero. 38 – I TRADIZIONALI 39 – I TRADIZIONALI 2.2 DA AZIENDA AD AZIENDA-EDITRICE Grafico 1 Grafico rappresentativo dei ruoli dell’azienda (nero) e dei designer (rosso) ieri. Come sappiamo, il designer ricompre un ruolo fondamentale per la ricerca formale ed estetica di un prodotto, per il mercato e per l’anticipazione dei trends. Solitamente le aziende si affidano ai progettisti come figure esterne sia per contribuire alle creazione di un prodotto che per eventuali consulenze e ispirazioni per generare innovazione. Prima le aziende design oriented avevano un ufficio tecnico e gestivano al proprio interno l’intera fase di produzione, distribuzione, di comunicazione e immagine. Il ruolo del designer era, per così dire, “marginale” poiché si dedicava alla progettazione o alla stesura di un concept che poi destinava all’azienda che glielo aveva richiesto o che lui stesso aveva contattato. In questo modo l’azienda deteneva in mano l’intera produzione e si occupava della produzione poiché la sua struttura fisica presentava gli impianti e le macchine utili a tale sistema. Essa, inoltre, rappresentava il passaggio tra designer e utente finale, i quali non consideravano assolutamente possibile una forma di dialogo diretto. Oltre alla fasi di concept e una primissima fase di sviluppo del prodotto, il contributo del progettista rimaneva esterno all’azienda poiché le decisione erano riservate all’interno dell’azienda, già nelle fasi di ingegnerizzazione del prodotto riservate ai tecnici. A causa del cambiamento a livello globale dei sistemi produttivi e culturali, molte aziende hanno perso questo ruolo e hanno introdotto nuove strategie come, per esempio la ricerca sull’utente e la dimensione esperienziale dei servizi e progressivamente sono andati persi gli impianti produttivi, sempre più delegati alle aziende terziste nate come funghi nel continente Asiatico. 40 – I TRADIZIONALI Grafico 2 Grafico rappresentativo dei ruoli dell’azienda (nero) e dei designer (rosso) oggi. Molte aziende oggi, a causa del periodo storico, si differenziano rispetto a quelle di stampo “tradizionale” tendono a ridurre gli investimenti, soprattutto nello sviluppo e nella ricerca, evitando di rischiare. Chi si muove, invece, nell’altra direzione sono le cosiddette “aziende-editrici”, le quali delegano molte fasi, rischiando così il meno possibile in prima persona. In quest’ultimo caso, il progettista, anche se rimane, come ieri, all’esterno dell’azienda finalmente si occupa anche di tutte le altre fasi. I compiti una volta svolti dall’azienda ora sono completamente affidati al designer che, oltre alla fase di concept, può gestire lo sviluppo, la produzione e, in casi alternati, anche l’immagine e la comunicazione dell’intero sistema relativo al prodotto. Si delinea così un nuovo tipo di azienda, un’azienda editrice. L’editoria è un’attività che, solitamente, viene ricollegata ad un’attività imprenditoriale di gestione e produzione di contenuti sia in relazione alla distribuzione che alla commercializzazione e che apre una finestra nel modo dei libro e della musica. Al suo interno vi è l’editore che svolge la selezione ed esercita una serie di azioni strettamente connesse a tale processo. Così come un editore seleziona gli originale, cura e rende accessibili determinati contenuti al pubblico, oggi le aziende-editrici nel campo del design sono quelle che svolgono le stesse identiche azioni ma rivolte ai designer. Si attua una vera e propria “caccia” ai prodotti da inserire all’interno del catalogo dell’azienda e ciò implica un vero e proprio cambiamento e scambio dei ruoli del designer e dell’impresa. L’azienda cerca, o meglio sceglie tra le infinite possibilità fra i progettisti che offrono un prodotto finito, che assicura meno sprechi ti tempo ed energie e al contempo può essere meglio valutato da un punto di vista di sicurezza del mercato e di fattibilità. 41 – I TRADIZIONALI IMG 14, 15, 16 Established & Sons, azienda inglese. Dall’alto verso il basso: immagine del sito, banner pubblicitario sul sito e immagine coordinata. IMG 17 E 18 Dallo schema si può intuire come il designer che offre un “pacchetto completo” del progetto che comprende fornitura, comunicazione, foto, prototipo funzionante che dimostra la fattibilità dell’prodotto e addirittura i clienti, ha una maggiore probabilità di essere inserito all’interno del catalogo successivo della azienda. La chance design, azienda francese. Nell’ordine dall’alto verso il basso: catalogo e immagine sito (pagina designers). Per concludere possiamo quindi dire che l’impresa concentra tutte le forze nella ricerca dei prodotti maggiormente coerenti rispetto alla propria identità di brand e alla distribuzione, per mantere un alto livello competitivo. Due esempi di aziendeeditrici, ovviamente nuove, sono “Estabilished & sons” e “La chance”, nell’ordine rispettivamente inglese e francese. Come è possibile notare dal sito di entrambi i marchi,viene data molta importanza alla selezione dei prodotti, offerta che deriva dalla scelta di un ampio bacino di progettisti che arrivano da ogni parte del mondo. Un’altra parte fondamentale del sito è quella dedicata al profilo dei progettisti, un po’ come se fossero loro l’animo dell’azienda e non più l’esperienza decennale e tradizionale che mostrano le aziende più storiche. Questo cambiamento deriva non solo dall’impronta dell’azienda-editrice ma anche dall’esigenza dell’utente di “conoscere” il progettista che ha disegnato il prodotto, quasi come se al momento dell’acquisto, quasi sempre su e-commerce, si scegliesse il volto del designer prima ancora del prodotto. 42 – I TRADIZIONALI IMG 17 IMG 18 43 – I TRADIZIONALI 2.3 IL CONFINE TRA AUTOPROMOZIONE E AUTOPRODUZIONE Nel paragrafo precedente sono stati analizzati i cambiamenti delle aziende e dei ruoli da stampo tradizionale a azienda-editrice. Ma cosa comporta questo sistema per un designer? Nel momento in cui il progettista propone ad un’azienda un “pacchetto completo” di un prodotto ciò non significa che il prodotto inevitabilmente andrà in produzione o finirà nella selezione del catalogo. La competizione oggi è molto alta e si aggiunge alle difficoltà che l’economia, soprattutto in Italia, sta attraversando. Per ottenere maggiori possibilità di visibilità da parte delle aziende che spesso sono molto difficili da contattare, molti progettisti attuano due tipi di strategie: l’autopromozione e l’autoproduzione. L’autopromozione comporta la partecipazione a eventi importanti e di rilievo internazionale come fiere dedicate al settore e il Salone del Mobile che si svolge ogni anno a Milano. Ciò non si limita alla semplice partecipazione ma si riferisce ad una vera e propria campagna di promozione dei propri prodotti che, anche se effettivamente ancora non in produzione, mirano alla massima visibilità sia a livello fisico che tramite pubblicazioni su riviste e blog. Per poter riscuotere il maggior successo possibile da questo punto di vista, è indispensabile che il progettista sviluppato il progetto in tutte la fasi e avere a disposizione, oltre al prototipo, anche foto da catalogo e una forte immagine comunicativa. Il passo tra autopromozione e autoproduzione, che analizzeremo in maniera più approfondita nel seguente paragrafo, è breve ma ciò che fondamentalmente differenzia la prima modalità dalla seconda è il tipo di investimento. Nell’autopromozione il designer gestisce le fasi che partono dalla ricerca e dal concept fino ad arrivare alla comunicazione, delegando la fase di effettiva produzione (in alcuni casi dopo aver fornito il terzista all’azienda)e distribuzione all’impresa. Nel caso dell’autoproduzione, invece, gli ultimi due step sono gestiti dal designer stesso. Tra gli esempi più significativi dei casi di autopromozione si ricordano Gamfratesi e StudioKlass, ai quali sono state rivolte alcune domande, rispettivamente su un prodotto, per comprendere le modalità intraprese per aumentare la visibilità. 44 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #1 GAMFRATESI / ENRICO (25) Intervista svolta via mail IMG 19 Stine e Enrico, Studio Gamfratesi. Come è nata l’idea di “Rewrite”(25)? Abbiamo progettato Rewrite in occasione di un’esposizione personale in un museo in relazione con un premio ricevuto. La scrivania è una sorta di bolla insonorizzata che protegge dalla luce e dai rumori esterni, attutendo anche i suoni provenienti dall’interno. Abbiamo voluto accentuare il senso di dolcezza e di sicurezza rimandata dalle forme attraverso la scelta di materiali naturali e pregiati come il legno di noce e la lana Divina di Kvadrat. Che tipo di esperienza avevate quando avete cominciato a progettarlo? Quando abbiamo progettato Rewrite, lo studio GamFratesi era aperto già da qualche anno e, soprattutto, avevamo già realizzato e lavorato con gli stessi materiali. Cerchiamo sempre di mantenere tre caratteristiche nei nostri prodotti: poetico, onesto e personale. Per la realizzazione del prototipo vi siete rivolti ad un artigiano? Sì, i nostri progetti uniscono sempre i background da cui proveniamo e che ci hanno formato: la tradizione dei mobili danesi e un approccio concettuale italiano. Lavoriamo spesso a stretto contatto con gli artigiani e, come nel caso di Rewrite, cerchiamo di ricercare una forte emozione e una storia dietro ogni prodotto. Che tipo di rapporto avete instaurato con l’artigiano? Sicuramente tecnico e professionale. Abbiamo un profondo rispetto per gli artigiani scandinavi perché hanno una grande esperienza nel campo dei mobili e miscelano qualità e attento uso dei materiali. Come vi siete mossi per la reperibilità e la fornitura dei materiali? 45 – I TRADIZIONALI IMG 20 Rewrite, Ligne Roset, 2011 IMG 21 Schizzi di progetto di Rewrite. Erano materiali che già avevamo usati in passato infatti cerchiamo di prediligere materiali naturali perché onesti e belli, senza escludere le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Il materiale è senza dubbio una parte fondamentale di Rewrite e dei nostri progetti in generale. L’uso di materiali naturali permette di creare un legame tra le culture da cui proveniamo. Che tipo di canali di comunicazione avete prediletto per la promozione di Rewrite? L’evento in occasione dell’esposizione al museo ci ha dato grande visbilità e poi da lì sono partite autonomamente le pubblicazioni i riviste e blog di settore. Come è avvenuto l’incontro con Ligne Roset? Altre aziende avevano espresso il proprio interesse per il prodotto? C’è stato interesse da parte di diverse aziende di design, tra cui anche Ligne Roset che è stata determinata fin dall’inizio a voler produrre Rewrite. Abbiamo quindi deciso di inizare questa collaborazione. Durante il passaggio da prototipo a prodotto finale, sono state riscontrate alcune problematiche? Per fortuna, non abbiamo riscontrato alcuna problematica di sviluppo. Quando il prodotto non faceva ancora parte del catalogo di Ligne roset, i clienti vi contattavano direttamente per comprarlo? Se sì, come? Sì, in molti ci hanno contattato via mail. Avete mai pensato di aprire uno shop online dedicato sul sito dello studio? No, non ci interessa. Cosa ne pensate del crowdfunding in generale? Il mio è un no. 46 – I TRADIZIONALI 47 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #2 STUDIOKLASS / MARCO (26) Intervista svolta dal vivo IMG 22 Marco Maturo e Alessio Roscini, StudioKlass. IMG 23 Schizzi di progetto di Balloon per Azzurra Ceramiche. Com’è nata l’idea di Balloon(26)? Balloon è la rivisitazione del classico servo muto. Il progetto è nato per un allestimento per l’Appartamento Lago durante il Salone del Mobile di qualche anno fa. Era una delle prime volte che realizzavamo un prototipo e un pochino ci rodeva di dover “investire” così tanto per un progetto. Noi siamo abituati a lavorare moltissimo con la modellazione 3D e i render foto realistici, soprattutto perché quando si prototipa l’investimento dei soldi è a scatola chiusa. Abbiamo però voluto fare questo duplice esperimento che comporta prototipo e foto ad hoc per una buona pubblicità. Come avete pubblicizzato Balloon? Qualche azienda si era dimostrata interessata al prodotto? Il prodotto è piaciuto tanto durante l’esposizione all’appartamento Lago e da lì i giornalisti ci hanno contattati per avere il press kit. Le pubblicazioni su Balloon sono frutto delle richieste da parte dei giornalisti. Per quanto riguarda le aziende abbiamo ricevuto qualche richiesta di collaborazione che poi si è persa per strada. La produzione di Balloon è frutto di quello che io chiamo “fattore casualità” che nel design è la sola regola. E la cosa mi spaventa perché non si può gestire. Spiegati meglio, cosa intendi per “fattore casualità”? Dopo l’esperimento di prototipazione e comunicazione di Balloon, il prodotto è rimasto inserito nel nostro sito e nel portfolio che usiamo solitamente per presentarci e per collaborare con le aziende. Durante una riunione con Azzurra ceramica, un’azienda romana che si occupa di sanitari con particolare attenzione al design, stavamo presentando il nostro portfolio e casualmente avevamo lasciato Balloon al suo interno. L’attenzione è stata focalizzata improvvisamente sul prodotto che, anche se non rientra nelle tipologie di produzione dell’azienda, semplicemente piaceva e hanno deciso di realizzarlo. 48 – I TRADIZIONALI IMG 23 E non è la prima volta che ci capita una cosa del genere, lo stesso è accaduto a Parigi durante la fiera Maison des object dove abbiamo conosciuto chi si occupava della ricerca di prodotti e dello sviluppo di un nuovo brand chiamato Busso, semplicemente perché avevamo gli stand uno di fianco all’altro. Da lì è partita, con una serie di situazioni in cui il “fattore casualità” era molto forte, la nostra collaborazione. Cosa ne pensi del crowdfunding? Io amo pensare che funziona ancora oggi il legame classico che si instaura tra progettista e azienda e spesso ho riflettuto sul crowdfunding giungendo ad una soluzione: non mi piace. Non mi piace perché è un sistema di moda, un po’ come la stampa 3D, che illude che tutti possano fare i designer. È un sistema che presenta delle lacune ma che sta attuando un vero e proprio “bombardamento” di idee; penso che ci vogliano delle limitazioni poiché concettualmente funziona ma si autofagocita. Nel crowdfunding mi sono reso conto che funzionano il video fatto bene e un buon racconto a discapito del progetto. Tutto quello che serve è un video. Da un lato mi vien da pensare che la sicurezza blocca, dall’altra parte invece l’ignoranza ci salva. Ciò che mi piace del crowdfunding è che, oltre a ottenere i soldi per la produzione, offre molte opportunità come per esempio il feedback dei finanziatori, che corrispondono ai futuri clienti, che ti permette di migliorare le caratteristiche del prodotto ancora prima di metterlo in produzione. 49 – I TRADIZIONALI IMG 24 Balloon, rivisitazione del classico servomuto, 2012. Autoprodurresti un tuo prodotto? Qual è il tuo parere sull’autoproduzione? L’autoproduzione ha senso quando il progetto che sta alla base è pensato per essere realizzato secondo questo sistema e non come piano B nel momento in cui il progettista non è riuscito a trovare un’azienda disposta a realizzare una produzione industriale. Molto dipende quindi da quello che si vuole autoprodurre e funziona molto quando si vuole creare una piccola azienda basata su una tipologia di prodotto. StudioKlass crede ancora in un’azienda di design di vecchio stampo, quindi per il momento escludiamo questa visione. 50 – I TRADIZIONALI 2.4 Autoproduzione: modalità che dà il via ad esperienze aziendali IMG 25 Collezione “Unveils”, di Tom Dixon, presentata al Salone del Mobile del 2014. Spesso si contrappone l’autoproduzione alla produzione di tipo industriale. Più che una contrapposizione di modalità, probabilmente è più corretto parlare di due modelli che convivono da tempo e che restituiscono un’offerta molto più ampia e ricca. Nell’ultimo decennio, infatti, soprattutto all’estero, la combinazione di progettazione, produzione e distribuzione ha dato il via ad esperienze aziendali, come per esempio Tom Dixon e Marcel Wanders, che hanno creato veri e propri marchi. La scelta dei designer di rivolgersi al modello dell’autoproduzione artigianale non è univoca ma è parallela alla dimensione industriale. Molti progettisti, spesso, auto producono per conto proprio ciò che un’azienda non ha voluto includere all’interno del proprio catalogo, in attesa di ricevere l’attenzione di qualche produttore. In alcuni casi, quindi, l’autoproduzione rappresenta una fase temporale che precede o che sostituisce la realizzazione di un prodotto. È oggi la scelta univoca dell’autoproduzione un metodo che raccoglie la sfiducia dei designer nei confronti delle imprese che non sono più viste come dei luoghi di ricerca e di sperimentazione? 51 – I TRADIZIONALI (27) Intervista “Design, scuola, fabbricazione” a Stefano Maffei, tratto da “Dopo gli anni Zero. Il nuovo design italiano”, pag. 126, di Chiara Alessi, Universale LaTerza, 2014 IMG 26, 27 & 28 Stand e allestimento in occasione di Operae, mostra-mercato, Torino 2014. I giovani designer che si affacciano al mondo del lavoro non trovano la relazione classica committenza-impresa che ha caratterizzato la storia del design italiano fino alla fine degli anni Novanta. Ciò si verifica per due motivi principali: da un lato la maggior parte delle imprese non ha più la capacità di rispondere in maniera propositiva al cambiamento e dall’altra parte vi è una forte domanda da parte dei progettisti che vedono ormai un miraggio l’idea di basare i propri guadagni sulle royalties dei prodotti venduti. I giovani designer, schiavi di questa evoluzione, stanno contribuendo a riconfigurare il ruolo del progettista all’interno del nuovo panorama che coinvolge conceptproduzione-distribuzione attraverso nuovi network e nuove relazioni tra tecnologia e organizzazione sociale. Uno dei suggerimenti per i progettisti che arriva dal libro “Dopo gli anni Zero, il nuovo design italiano” scritto da Chiara Alessi è di Stefano Maffei(27), docente del Politecnico di Milano, che si rivolge agli studenti dicendogli che “quando il progettista immagina, non deve immaginare solamente un prodotto, ma può immaginare la complessa rete di opportunità e vincoli che può configurare o riconnettere con il suo impulso d’azione. Può cioè immaginare futuri diversi in cui gli oggetti (materiali e immateriali) con i loro processi di produzione generano anche lavoro, distribuzione di opportunità e ricchezza, definizione di qualità ambientali, trasformazione dei contesti di vita e di lavoro, cambiamento delle risorse, orientamento del sistema dei consumi di prodotti/servizi”. In base a questo suggerimento, possiamo quindi dire che un designer auto produttore è un individuo che attiva dei sistemi di ideazione-produzione-distribuzione non continui. In questo modo questa figura professionale può fare consulenza in senso tradizionale e accogliere, contemporaneamente, competenze e lavori di ogni aspetto articolando modelli collaborativi di design e produzione-distribuzione che abilitano nuove opportunità. 52 – I TRADIZIONALI 53 – I TRADIZIONALI 2.5 QUAL è il ruolo dell’autoproduzione oggi? (28) “Autoproduzione e design italiano”, saggio a cura di Dario Moretti, Le Pagine dell’ADI | Associazione per il Disegno Industriale (29) Intervista “Tre pareri sull’autoproduzione” tra cui a Luisa Bocchietto, pubblicata su www. ideamegazine.net, 2014 Porsi questa domanda è un modo per riflettere come nel progetto e nella produzione contemporanea si favorisca un processo di “smaterializzazione” e di “decontestualizzazione” grazie allo sviluppo di nuove tecnologie. Una delle caratteristiche principali dell’autoproduzione(28) è una sorta di enfatizzazione di un mestiere, di una tecnica o di un’attività rivolte al servizio di una comunità. Tali modalità sono tante e variano, per esempio, dall’artigianalità al design-driven o dalla specificità dell’autore alla forte territorialità di un manufatto, mescolandosi di volta in volta tra di loro e hanno lo scopo di realizzare prodotti che si raccontano da soli attraverso narrazioni dirette e oneste. Qualche anno fa il mercato equo-solidale ha riscontrato l’attenzione e l’interesse delle multinazionali, allo stesso modo possiamo immaginare che, in un futuro non troppo lontano, possa accadere lo stesso per il settore dell’autoproduzione, ovviamente in chiave di lettura differente. Secondo Luisa Bocchietto(29), designer ed ex Presidente di Adi, il design è principalmente disegno industriale e la differenza tra design, artigianato e arte è molto distinta. In base a questa affermazione, Luisa Bocchietto giustifica il design autoprodotto come una tendenza e un’occasione di espressione che pone la propria attenzione alla gente e al territorio in cui si vive e non può essere associato al fenomeno DIY (do-it-yourself), tipico del mondo anglosassone. È comune pensare che il design industriale e l’autoproduzione siano due universi distanti ma, in realtà, molti designer che si dedicano al design autoprodotto per mettersi in luce e trovare aziende che producano in maniera tradizionale, insomma si fanno autopromozione. L’autoproduzione implica che il designer riesca a gestire e a tenere sotto controllo tutti i passaggi della filiera e guadagnare abbastanza, che non sono problemi da sottovalutare. È per questo che molti designer, soprattutto i più giovani, sfruttano l’autoproduzione come fase di passaggio a eccezione di alcuni rari casi che si rivolgono ad una specifica nicchia o intendono esprimere una determinata. Si presentano così due strade: da un lato la dimensione artistica che esprime un particolare concetto filosofico,dall’altra parte l’ambito artigianale che si focalizza su una particolare tecnica. In alcuni casi più articolati, invece, il modello dell’autoproduzione cerca di mettere in discussione il processo creativo mettendo a confronto 54 – I TRADIZIONALI diverse figure per trovare un riscontro innovativo. Se si volge lo sguardo al territorio italiano, le realtà locali più interessanti che si interfacciano con l’autoproduzione sono quelle che hanno una piccola rete di micro-imprenditoria e che si trovano lontane dai grandi centri di comunicazione e ciò si verifica in assenza di un territorio con forte impronta industriale che offre opportunità che possono portare ad una nascita di piccole imprese molto interessanti. Veneto, Marche e Campania sono solo alcune delle regioni in cui si sta diffondendo questo fenomeno e mostrano la presenza di un interesse diffuso e di una qualità artigianale e di nuova imprenditoria che non sempre è condivisa in tutta l’Italia. grafico 3 Differenze tra pezzo unico (quasi arte), serie limitata e produzione simil azienda gestita da un designer. A dar la possibilità ai designer, e non solo, di poter produrre “quasi tutto” vi sono i Fablab dove l’autoproduzione delinea la rivendicazione del designer a fare il “designer”. Per sua vocazione il progettista ha sempre avuto il bisogno di toccare la materia, realizzare le proprie idee e restituire la propria visione del mondo. L’apertura dei Fablab pone il designer ad accettare che “tutti” possano progettare poiché chiunque può usufruire delle macchine che usavano esclusivamente le industrie e può entrare a conoscenza delle competenze di un designer o di un artigiano. In questo modo l’individuo mostra un comportamento responsabile nei confronti dei prodotti per cui si chiede come vengono realizzati, quali sono i materiali e qual è il suo ciclo di vita. 55 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #3 DOSSOFIORITO / LIVIA & GIANLUCA (30) Intervista svolta via skype IMG 29 Livia Rossi e Gianluca Giabardo, Dossofiorito. IMG 30 The Phytophiler, serie di vasi di terracotta realizzati a mano. Ho letto su domusweb un articolo molto interessante, pubblicato il 14 ottobre 2014, intitolato “I designer del futuro. Sette giovani designer per sette progetti originali: per la seconda volta il Design Supermarket della Rinascente apre le porte ai talenti selezionati dal Salone Satellite”. Il tema centrale dell’articolo è “design, innovazione e artigianalità”, tema che include materiali trattati con tecniche tradizionali o nuove come il digital manufacturing, in un dialogo tra produzione industriale e artgianato. Quest’anno avete presentato “The Phytophiler” al Salone Satellite 2014. Com’è nata l’idea(30)? Livia ed io collaboriamo assieme dal 2012 e questo è stato il primo progetto esposto al Salone Satellite. L’anno scorso abbiamo partecipato con la lampada “Lightscape” alla Galleria Rossana Orlandi ma quest’anno abbiamo cercato di arrivare “più preparati”. The Phytophiler è ispirato al mondo vegetale, è una serie di vasi in terracotta torniti a mani, su cui sono installate delle appendici funzionali attraverso un sistema di fori. Abbiamo studiato alcune ricerche scientifiche che dimostrano quando la presenza di piante nei nostri spazi domestici e lavorativi sia importante per il nostro benessere, ed è proprio con le piante d’appartamento, vicine a noi nella quotidianità, che finiamo con lo sviluppare un rapporto di vera relazione simpatetica. Infatti, esse possono perdere ai nostri occhi lo status di “cosa” per essere elette speciali, vive. In questo scambio, noi umani arriviamo a notare i loro micromovimenti e intuirne le necessità, fino ad attribuirne a ognuna di esse una specifica personalità. I vasi rappresentano dei tentativi di relazione con il mondo delle piante, per testimoniare una nuova attitudine diffusa verso la natura e l’acquisita consapevolezza di trovarsi di fronte a esseri viventi e sensibili appartenenti a un mondo che ci completa. Gli elementi aggiuntivi, infatti, rappresentano un modo per relazionarsi con il mondo domestico delle piante, attraverso metodi e sensibilità che sono tipici dell’uomo. Gesti che migliorano il nostro rapporto con le piante e che rappresentano un nuovo atteggiamento per diffondere il rispetto e la complicità con la natura. 56 – I TRADIZIONALI IMG 30 Il vostro studio è giovanissimo e siete ancora alle prime armi. Come cercate di autopromuovervi? Non attuiamo alcun tipo di strategia particolare, crediamo che tutto succeda da sé. Per noi, per esempio, è stato fondamentale la partecipazione al Salone Satellite e lo scorso anno alla Galleria Rossana Orlandi perché siamo riusciti a presentare dal vivo i nostri progetti, creando un confronto con chi era interessato. Sicuramente siamo riusciti a raccogliere nuovi contatti e a conoscere persone del campo che hanno deciso di promuovere il nostro ultimo progetto. Il ceramista che vi ha realizzato il prototipo è lo stesso che sta realizzando oggi la produzione? La fase di prototipazione è stata molto lunga poiché abbiamo fatto diversi tentativi con l’artigiano ceramista. Abbiamo realizzato degli “stampi fai da te” che abbiamo passato al ceramista e tutt’ora quest’ultimo segue la nostra piccola produzione. I pezzi venduti non sono molti quindi riusciamo ancora a gestire autonomamente la realizzazione dei sottovasi e delle appendici ma, oltre ad essere poco profittevole, questo tipo di mestiere toglie molto tempo e tante energie al nostro lavoro intellettuale. Ho visto che sul sito avete predisposto la sezione dello shop online ma non è ancora possibile acquistare i vostri prodotti. Come vi state attrezzando? Sì, in realtà giusto ieri l’abbiamo eliminato dal menù perché per il momento ci siamo resi conti che vi sono 57 – I TRADIZIONALI IMG 31 Dettaglio, The Phytophiler, Dossofiorito. troppi problemi burocratici e troppe tasse da pagare. Ora come ora, non solo lo shop presenterebbe una gamma di prodotti molto ristretta ma toglierebbe molto tempo alla progettazione che, non dobbiamo dimenticare, è un lavoro intellettuale. Spesso ci chiediamo come fanno gli autoproduttori? Riflettendoci siamo arrivati alla conclusione che gli auto produttori sono molto vicini agli artigiani o realizzano delle “auto edizioni”, cioè editando e vendendo piccole collezioni. Cosa ne pensate dell’autoproduzione? La strada di “farsi le cose” è una necessità. Durante il Salone Satellite più persone ci hanno esortato a realizzare il nostro prodotto dicendoci “Ragazzi, fatelo!” ma dopo pochi mesi ci siamo già resi conto che portare avanti un progetto all’interno di questo sistema porta via molto tempo e energie. L’autoproduzione, come ti dicevo prima, funziona in piccole serie ma più che altro per rendere sostenibile l’attività del designer. So che non avete mai partecipato ad un crowdfunding, ci avete mai pensato? Cosa ne pensate in generale? Il crowdfunding è un meccanismo molto interessante e rivoluzionario. Riesce a dare una scrollata alle aziende ormai fin troppo irrigidite e permette al progettista di saltare i canali classici. Il rischio, secondo noi, di questo sistema è che molti progetti sono naif e sottovalutano l’importanza di una buona strategia, di un business plan e di un piano di lavoro. 58 – I TRADIZIONALI 2.6 La distribuzione: IN soccorso alcune piattaforme IMG 32 Schema del modello attuale adottato da Slowd. Infografica realizzata da Slowd. Una delle maggiori difficoltà riscontrate dai designer che decidono di investire nell’autoproduzione è la distribuzione. Come si evince dall’intervista di Dossofiorito, la questione della distribuzione implica un investimento a livello di tempo, energie e denaro che vengono sottratti al lavoro intellettuale del designer. Alcune piattaforme si sono interessate a questo problema e fungono da tramite tra il designer intenzionato a vendere e l’utente finale, supportando così l’autoproduzione. Di fatto, si tratta di un sistema che ripone la sua forza nella vendita on-line e che, quindi, si riferisce ad un target definito, mediamente giovane e che ha abbastanza confidenza con i pagamenti su Internet. / Slowd - www.slowd.it Slowd si definisce la prima piattaforma per artigiani e product designer, in quanto offre loro un modo innovativo per produrre e vendere prodotti artigianali online. La piattaforma sintetizza, infatti, le fasi della progettazione (design, prototipo, prodotto e distribuzione) al suo interno e si pone l’obiettivo di creare collaborazioni e valorizzare il territorio italiano. Il portale permette al designer di trovare nuovi concept e, secondo una modalità basata sulla community, di migliorarli e di creare un confronto con gli artigiani scambiandosi pareri e consigli. Inoltre, viene dato supporto ai progettisti sulla delicata questione della proprietà intellettuale del progetto, sulla fornitura dei materiale e sulla vendita sull’e-commerce dedicato che permette di seguire, attraverso un calendario condiviso la produzione in tutte le sue fasi. 59 – I TRADIZIONALI 60 – I TRADIZIONALI IMG 33 Modello attuale adottato da Slowd. Infografica realizzata da Slowd. / Garagedesign - www.garagedesign.it Garage design è un atelier di produzione e un workshop di oggetti inediti di design, da produrre in piccole quantità. Grazie al lavoro di talent scouting internazionale, la piattaforma permette di far incontrare chi crea progetti d’avanguardia con chi è alla ricerca di oggetti unici e speciali da acquistare. Garagedesign, intenzionalmente, esclude le logiche tradizionali della produzione seriale sulla piattaforma favorendo la flessibilità e la libertà della lavorazione semi-artigianale. Dopo la prima selezione fatta all’interno del portale, è il mercato a decidere quale prodotto sarà effettivamente realizzato o meno. In questo modo in consumatore è il vero protagonista dell’acquisto del bene e della sua stessa realizzazione, contribuendo a un processo stenibile, privo di sprechi e che da alle idee di valore l’opportunità di essere prodotte. Lo shop online mostra i prototipi selezione che possono essere acquistati e, una volta raggiunta la soglia minima di consensi che garantisce la sostenibilità economica della produzione compare l’icona “aggiungi al carrello”. L’utente, dopo aver acquistato il prodotto e ricevuto una mail di conferma per l’accettazione dell’ordine per effettuare il pagamento, da il via alla produzione degli oggetti. / Etsy - www.etsy.com Etsy è un sito che ha pian piano rivoluzionato il mondo del “fai-da-te” e dei giovani progettisti in quanto è un negozio virtuale in cui tutti possono aprire la propria vetrina e vendere i propri manufatti. Aprire il proprio “negozio” costa poco ed è semplice da usare e permette di far incontrare persone di differenti gusti e linguaggi all’interno di un’unica piattaforma. In poche parole Etsy ha creato una vera e propria community basata sull’e-commerce che riesce a convogliare makers provenienti da tutto il mondo. Etsy, inoltre, permette anche di collaborare con un produttore esterno per la realizzazione dei propri oggetti. I produttori esterni sono, in questo caso, generalmente dei laboratori di cucito, di ceramica, fonderie e servizi stampa on-demand. Questo servizio nasce per andare incontro ai progettisti che hanno ottenuto successo sulla piattaforma e che da un momento all’altro si sono ritrovati sommersi dalle richieste e non riescono più a gestire l’attività in maniera efficiente. 61 – I TRADIZIONALI 62 – I TRADIZIONALI 2.7 IL MODELLO D2c (31) D2C, designer-to-consumer, aiutati da Internet, i progettisti vendono i propri prodotti autonomamente. (32) Tratto dall’articolo “Generazione D2C”, scritto da Jonathan Olivares su domusweb.it, 17 Dicembre 2012 (33) Riferimento a “Dopo gli anni Zero. Il nuovo design italiano”, pag.49, di Chiara Alessi, Universale LaTerza, 2014 Il modello D2C(31) che verrà descritto si inserisce all’interno di un contesto molto particolare in cui un designer tende a divenire un’impresa. Prima di analizzare questo caso, è opportuno definire i termini “design” e “autoproduzione” che a livello semantico sono in antitesi fra di loro: la parola design implica quasi sempre una produzione di oggetti di tipo industriale basata su grandi quantità e su processi seriali, mentre l’autoproduzione rimanda ad una dimensione manuale-artigianale che porta alla realizzazione di edizioni limitate o, addirittura, pezzi unici. È possibile posizionare la sfera dell’autoproduzione ai confini della ricerca del design contemporaneo e l’interesse per il design autoprodotto può essere ricondotto alla forte impronta della tradizione delle botteghe artigiane sparse in tutto il territorio nazionale. Ciò che si sta verificando oggi, però, è da ricercare nelle potenzialità delle tecnologie digitali sia in campo progettuale che in quello di lavorazione e rappresenta una novità, che non deve essere confuso con la riscoperta dell’artigianato creativo. Il modello D2C(32) presenta una modalità(33) molto particolare che ha dato la possibilità ai designer di mettere alla prova le potenzialità del web e degli e-commerce dedicati nel proprio sito, ancora prima delle piattaforme come Solwd. Si delinea così un nuovo modello di distribuzione che amplifica la distribuzione classica, indirizzandosi direttamente al cliente finale ed eliminando l’azienda come tramite. Con l’aiuto della rete, il modello designer-to-consumer (d2c) evita i costi di distribuzione e permette al designer di guadagnare di più vendendo un numero di pezzi inferiori. Sui siti degli studi di progettazione è consuetudine trovare l’iconcina del carrellino e ormai non ci stupisce più scoprire che all’interno di parecchi studi si trovano scatole di cartone, etichette e rotoli di pluriball che vengono utilizzate per spedire i prodotti richiesti dai clienti. Un negozio online esiste ovunque ci sia internet. Si possono identificare due categorie di designer d2c: da un lato alcuni progettisti come Jasper Morrison e Sam Hecht vendono online i prodotti che hanno progettato per le aziende, dall’altro parte si affacia una nuova generazione di designer che rinuncia al legame designer-produttore e vende i prodotti, realizzati autonomamente, attraverso il proprio sito. Si può dire che il design classico, basato su un servizio designe-to business, si sta evolvendo nella formula 63 – I TRADIZIONALI (34) L’espressione “coda lunga”, in inglese “the long tail”, è stata coniata da Chris Anderson in un articolo dell’ottobre 2004 su Wired Magazine per descrivere alcuni modelli economici e commerciali, come per esempio Amazon.com o Netflix. IMG 35 Laboratorio dello studio di design Very Good & Proper. IMG 36 & 37 Ray e Charles Eames mentre controllano una un prototipo e, nell’immagine in basso, una pubblicità dei loro prodotti. designer-to-consumer dove i progettisti diventano i produttori, diventano impresa. Very Good & Proper, Rich Brilliant Willing, ODLCO (oggetto di design League Company) e Filed sono solo alcuni dei casi più eclatanti di questo panorama che riscopre nuove organizzazioni all’interno degli studi e richiede ulteriori competenze al designer. In mancanza di un produttore tradizionale, uno studio che decide di seguire il modello d2c deve fare un notevole investimento di energie, oltre che monetario: bisogna per prima cosa creare un sistema di vendita, un inventario dei prodotti e realizzare un un’infrastruttura online che richiede un ingente lavoro di programmazione. Inoltre, il progettista deve garantire ai clienti le prestazioni dei prodotto, il controllo qualità e riuscire a organizzare il lavoro anche in base ai tempi dei fornitori. Un altro punto di forza è sempre internet che ha permesso ai designer di competere con le aziende più grandi grazie alle newsletter ben studiate, alle abilità di scrittura e al forte contenuto degli argomenti e delle immagini pubblicate sul sito e, ovviamente, su Facebook e Twitter. Grazie alle opportunità offerte da Internet, aumentano i casi di desgner-impresa e, contemporaneamente, spariscono alcune professioni tipiche dell’era industriale, lasciando spazio a nuove figure che sono responsabili di grandi incarichi anche se i loro studi sono molto piccoli rispetto alle grandi imprese. Negli ultimi anni si è parlato del principio della distribuzione “a coda lunga” (the long-tail distribution)(34); i primi sintomi sono riscontrabili nel settore della musica, dei libri e dei film fino a contaminare il mondo del design in cui, come afferma Chris Anderson nel suo libro “The Long Tail”, “il futuro del business è vendere meno di più”. Ciò significa che il grande profitto che può fare un imprenditore sta nel vendere meno quantità di oggetti rari ma a molti clienti. Il modello dello studio d2c riprende alcuni aspetti dell’era 64 – I TRADIZIONALI IMG 36 e 37 pre-industriale in cui spesso la figura del progettista e quella del produttore coincidevano e, oggi, anche se i prodotti vengono venduti a livello internazionale, spesso i prodotti sono realizzati con materiali e forniture di fabbriche locali, spesso a conduzione familiare. In questo modo, gli studi di tipo d2c creano prodotti e scenari che amano condividere con i clienti, mostrando loro i luoghi, le persone che contribuiscono al lavoro e i macchinari, celebrando la produzione e gli oggetti finali. Il modello d2c non solo contribuisce a delineare un nuovo profilo di economia ma, al contempo, aumenta la consapevolezza del pubblico che alla fine si sente coinvolto nell’esperienza dello studio, assistendo virtualmente al processo di produzione e scoprendo nuove realtà locali. È vero, si sta formando un nuovo tipo di economia ma, forse, bisogna ricercare le prime forme di Imprese create dai designer nella storia. Per esempio, nel 1942 Charles & Ray Eames e John Entenza hanno fondato La Plyformed Wood Company con collaboratori come Herbert Matter e Harry Bertoia per realizzare la produzione di stecche di compensato per la US Navy, in quanto anticipatori di una nuova tecnica di produzione che le aziende del periodo disconoscevano. In Italia troviamo un caso simile nel 1947, anno in cui Corrado Corradi Dell’Acqua, Luigi Caccia Dominioni, Maria Teresa e Franca Tosi hanno messo in piedi Azucena, in seguito ad un’analisi di mercato che aveva messo in evidenza una lacuna nel mercato italiano per i mobili moderni, spinti dalla 65 – I TRADIZIONALI IMG 38 Progetto di lampada di Ingo Maurer sotto la propria azienda Design M. forte convinzione che il pubblico avrebbe accolto con entusiasmo i loro prodotti. Ingo Maurer, eccentrico artista e progettista di illuminazione, nel 1963 ha cominciato a vendere i suoi progetti sotto il nome della sua società Design M, poi divenuta Ingo Maurer GmbH, per riuscire a sperimentare e realizzare lampade che un’impresa non avrebbe mai pensato di mettere in produzione. Al contrario di questi esempi, gli studi che si rifanno al modello d2c progettano e realizzano prodotti che potrebbero essere prodotti dalle aziende presenti nel mercato. La vera novità sta nel modo in cui questi studi si servono di internet per comunicare e distribuire i prodotti e non nel processo di produzione. Spesso questo modello risulta l’unica via intraprendibile da un giovane designer che si ritrova schiacciato dalla frustrazione causata dai frequenti “no!” ricevuti da aziende e punti vendita. Molti designer alle prime armi si ritrovano a lavorare gratuitamente per le aziende pur di ottenere un minimo di visibilità, altri criticano la lentezza dei tempi di risposta (quando rispondono) delle imprese nella fase di sviluppo di un prodotto e la scarsa comunicazione dei prodotti non appena immessi nel mercato. I lati negativi, purtroppo, non mancano e sono tanti: in primis, si perdono le competenze degli ingegneri che lavorano negli uffici tecnici delle aziende, la conoscenza del business da parte del team che si occupa della gestione e sicuramente i budget corposi che permettono grande innovazione. Inoltre, ancora oggi i migliori prodotti vengono distribuiti dalle aziende poiché i designer seguono il processo di sviluppo affidandosi a figure professionali e leader visionari molto competenti; gli studi che seguono il modello d2c spesso si ritrovano a sfruttare tecniche conosciute e materiali facili da comprare e a basso costo 66 – I TRADIZIONALI come il legno fresato, il marmo, le lamiere tagliate al laser, per cui i prodotti mostrano un’estetica comune che è stata definita da Jonathan Olivares, nell’articolo “D2C generation” pubblicato su Domuseweb nel Dicembre del 2012, “cruda e semplice”. In questo panorama vi sono anche delle realtà di progettisti che trovano dei modi ingegnosi per rendere i loro progetti più sofisticati e, per fortuna, si stanno diffondendo. Alcuni chiedono un finanziamento su Kickstarter, come per esempio ODLCO per la pentola Wabi Nabe in ghisa, altri invece, come Field, preferiscono fare un investimento iniziale per acquistare un macchinario per poter tagliare l’alluminio. Un’altra via è quella intrapresa da RBW che in un primo momento mostra un prototipo dell’idea, e se riesce ad ottenere gli ordini, allora sviluppa il prodotto per la produzione nei minimi dettagli. Il modello d2c rappresenta oggi una possibilità in più per i giovani designer di fare successo, eliminare molti costi grazie all’uso di internet e per poter andare in affari in maniera autonoma e va incontro alle esigenze e agli interessi dei clienti “home-grown”. 67 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #4 EN&IS / ISABELLA (35) Intervista svolta dal vivo IMG 39 Isabella Lovero di En&Is. IMG 40 Megaphone Mini Quando e come è nata l’idea di Megaphone(35)? L’idea è nata nel 2011 quando io e il mio collega Enrico stavamo preparando i prodotti per il Salone Satellite di quello stesso anno. Mentre preparavamo altri progetti, abbiamo cominciato a giocare con l’iPhone posizionandolo davanti alla bocca e abbiamo notati che il suono veniva amplificato. Allora abbiamo cominciato a fare diverse prove sperimentando con oggetti di forme e geometrie differenti fino a quando abbiamo deciso di disegnare un oggetto ad hoc. Come mai avete scelto di realizzarlo in ceramica? C’è una particolare relazione con il suono? Abbiamo scelto la ceramica principalmente per poter seguire il prototipo in tutte le sue fasi e ci siamo rivolti ad un nostro amico ceramista di Milano, Puzzo. Abbiamo fatto diverse prove formali fino a limare l’oggetto in tutti i suoi dettagli per garantirne la trasmissione e amplificazione ottimale del suono con l’aiuto di un ingegnere del suono. Megaphone, inoltre, nasce come un prodotto che arreda e il posizionamento del target è alto, attento al design e che può permettersi di spendere. I Megaphone infatti sono in ceramica e presentano una finitura superficiale preziosa grazie all’uso di metalli che rendono così l’oggetto sofisticato e dal gusto ricercato. Megaphone mini, invece, è un oggetto più pop e ciò che lo caratterizza è la portabilità suggerita dal fatto che oggi le persone ascoltano la musica ovunque e che l’iPhone è un oggetto di culto che usano / desiderano tutti. Abbiamo quindi deciso di creare una co-branding con Pijama realizzando una borsetta per portare Megaphone mini in giro grazie ad una maniglietta. Come per le famose skin del brand italiano, è stato svolto uno studio attento sulle tendenze dei colori e dei pattern provenienti dal mondo della modo e degli accessori, indirizzandoci sull’uso di cromie più pop rispetto a quelle di Megaphone classico. Com’era organizzato il team di lavoro inizialmente? E oggi? 68 – I TRADIZIONALI IMG 40 Durante la fase di prototipazione eravamo in due, io e Enrico. Il nostro obiettivo per il Salone Satellite era di creare e trasmettere un po’di magia, creando dello stupore nelle persone che si avvicinavano e riavvicinavo al nostro stand. È stata una grande emozione perché tutti lo volevano e lo desideravano. Abbiamo raccolto molti contatti, soprattutto di aziende, che si sono rivelati solo un buco nell’acqua. Sapevamo che l’oggetto è troppo specifico e di nicchia ma le richieste erano talmente tante da parte di possibili clienti che abbiamo deciso di autoprodurcelo. Come vi siete mossi per l’auotproduzione? Come è stata la ricecra del fornitore e che tipo di rapporto avete instaurato? Nel momento in cui abbiamo deciso di auto produrre il prodotto, abbiamo dovuto cambiare ceramista per poter garantire una tiratura di 1000-2000 pezzi all’anno. La ricerca del fornitore è stata molto lunga perché molti ceramisti ci dicevano “sì, si può fare” e poi in realtà non erano attrezzati per un oggetto così complesso come il nostro. Infine, abbiamo ritardato il lancio di qualche mese ma i due fornitori veneti a cui ci siamo affidati sono sempre gli stessi fin dall’inizio. Siamo molto orgogliosi di dire che il prodotto è completamente “made in italy”, che usiamo solo ed esclusivamente materiali naturali e che, oltre al controllo del prodotto e della qualità, ci piace poter seguire il lavoro in tutte le sue fasi, confrontandoci con gli artigiani, cosa impossibile se si affida la produzione a fornitori in Cina. Come vi contattano i clienti? Come vi occupate della distribuzione? Fin dall’inizio i clienti ci contattavano telefonicamente e via mail. Alcuni si presentavano anche in studio. Ci siamo occupati della distribuzione solo per poco perché non riuscivamo a gestirla visto che contemporaneamente svolgevamo il nostro lavoro da progettisti. Abbiamo quindi creato una sorta di sistema di piccola azienda per cui tutta la creatività e la comunicazione viene gestita all’interno dello studio, mentre la distribuzione è affidata ad una persona 69 – I TRADIZIONALI IMG 41 & 42 Ceramista che realizza Megaphone che si occupa di rispondere alle richieste, della gestione del magazzino e delle spedizioni. La rete dei distributori è molto fitta e solitamente sono i negozianti a contattarci. Dobbiamo ammettere che la vendita offline funziona molto meglio rispetto a quella online proprio perché è un oggetto che viene capito e affascina solo quando viene visto dal vivo. Solitamente giriamo molto partecipando a fiere che aprono sempre nuovi canali e ci offrono nuovi contatti utili. Per i nostri distributori abbiamo dovuto realizzare una Bibbia ad hoc per evitare che il prodotto venisse posizionato in sezioni del negozio non corrette e/o venissero usati cartellini diversi e così via. La Bibbia ci è servita molto per definire l’immagine coordinata e il mood che il nostro prodotto esprime, evitando così che si possa perdere nell’insieme degli altri prodotti esposti, col rischio di non comprenderne la funzione. Come avete gestito la campagna di autopromozione/ pubblicità e quali sono i canali che prediligete per ottenere maggiore visibilità? Per noi è stata molto importante la partecipazione al Salone Satellite del 2011 che ha dato il via alla nostra auto sponsorizzazione. A partire da quel momento sono stati i giornalisti, i blog e le testate a contattarci personalmente. C’è da dire che rispetto alle strategie pubblicitarie online, preferiamo mostrare dal vivo Megaphone per essere compreso a pieno e trasmettere quel senso di magia che altrimenti non verrebbe compreso. Le parole chiave che più vengono usate per descrivere il nostro prodotto sono: made in italy, magico, sostenibilità e contemporaneo. Come avete finanziato la prima produzione? La prima produzione corrisponde a quella realizzata per il Salone Satellite ed è stata interamente autofinanziata e, anche se ancora oggi Megaphone rappresenta lo zoccolo duro dello studio, i margini di guadagno sono molto bassi poiché finiture e packaging sono molto costosi. Per due anni è stata la nostra unica attività e solo ora stiamo riuscendo ad occuparci al altri progetti. Cosa ne pensi del crowdfunding? Credo che con l’avvento del crowdfunding l’azienda quasi sparisce e i progettisti riescono ad ottenere un feedback diretto da parte del pubblico e questa mi sembra una grande possibilità per i designer. Inoltre, penso che l’impostazione del crowdfunding crei una 70 – I TRADIZIONALI relazione di affezione particolare tra cliente-finanziatore e designer, sintomo di come stiano cambiando i ruoli dell’utente e del progettista. Il crowdfunding rappresenta un buon mezzo mediatico con un alto potenziale comunicativo che si fa promotore di prodotti più o meno innovativi e di nuovi progettisti dove viene data più attenzione al ruolo del progettista. IMG 41 e 42 71 – I TRADIZIONALI 2.8 AUTOPRODUZIONE DIGITALE (36) Tratto dall’intervista “Autoproduzione: intervista al primo fablab italiano”, pubblicato su l blog di operae (www.operae.biz/blog) + confronto personale da opendot IMG 43 Workshop “Un Arduino in zucca” svolto da opendot, FabLab di Milano. IMG 44 & 45 Nella pagina a fianco, dall’alto verso il basso: ingranaggio stampato in 3D e progettista all’opera durante il workshop “KItchen becomes open” organizzato da opendot in collaborazione con Valcucine Secondo il parere di Enrico Bassi(36), coordinatore del primo Fablab italiano e attuale FabLab menager presso opendot, “produrre con delle macchine significa adeguarsi ai linguaggi a cui quelle macchine rispondono: nuove macchine implicano nuovi linguaggi”. Gli oggetti esprimono le caratteristiche del linguaggio della tecnologia che li ha realizzati e, come per lo stampaggio a iniezione tipico della plastica, oggi le macchine digitali aprono le porte a nuove opportunità di progettazione e,di conseguenza, a nuovi linguaggi. L’unica grande differenza rispetto alle tecnologie digitali, è che fino al decennio scorso per progettare un prodotto efficace per un macchinario come lo stampaggio a iniezione bisognava conoscere nei minimi dettagli il funzionamento del processo scelto; oggi è sufficiente essere in grado di modellare un file in 3D e gli unici limiti risultano essere i tempi e i costi di realizzazione. Il progettista, quindi, si focalizza molto di più nella fase dell’analisi del contesto per ottenere una valida valutazione iniziale e, una volta pronto il progetto, il prototipo corrisponde al prodotto finito e permette di saltare il processo industriale. Nel mondo dell’autoproduzione digitale una delle realtà più interessanti è Ponoko (www.ponoko.com), un sito che propone un servizio in cui i progettisti posso caricare il proprio progetto, sfruttando una vetrina internazionale, che viene commissionato direttamente a Ponoko nel momento in cui viene richiesto da un utente. Se il prodotto non è gratuito, il designer guadagna una parte della vendita e il resto va al sito che si è occupato della realizzazione. In questo modo gli oggetti vengono prodotti solo nel momento in cui vengono richiesti e il designer ha la possibilità di creare una serie limitata del suo progetto, riuscendo a vendere in tutto il mondo. 72 – I TRADIZIONALI 73 – I TRADIZIONALI 2.9 L’ARTIGIANO DIGITALE (37) Tratto dall’articolo“Da grande faccio l’artigiano (digitale)”, pubblicato su www.d,repubblica.it, scritto da Laura Traldi, 2 Ottobre 2014 IMG 46 Strumenti di lavoro di un artigiano fabbro. Il mondo dei Maker è una “boccata di speranza” e fa ben pensare ad un presente che guarda al futuro creato dalle idee dei giovani? In cui creatività, curiosità e intraprendenza pagano? Questo è ciò che afferma Laura Traldi(37) con il titolone dell’articolo “Da grande faccio l’artigiano (digitale)” pubblicato su d.repubblica.it e in cui esorta a dimenticare l’artigiano stereotipato anziano e con il martello in mano (alla Geppetto per intenderci). L’artigiano di oggi è giovane e connesso. E, cosa più importante, ha un lavoro che lo appassiona e che gli permette di avere uno stipendio a fine mese. I temi dell’artigianato e del futuro non sono più così distanti, spiega il Professore di Economia dell’università Cà Foscari di Venezia, Stefano Micelli, e incrociandosi hanno trovato l’interesse di tanti giovani che uniscono la manualità al mondo digitale. L’artigiano del futuro che si sta delineando è una figura cosmopolita, un narratore e al contempo è hi-tech poiché, al contrario dell’artigiano tradizionale che custodiva i segreti del mestiere, sfrutta Internet per comunicare, confrontarsi e farsi trovare, oltre a fare laboratori di formazione ed è attento a ciò che succede nel proprio territorio e nel resto del mondo. L’evoluzione che ha avuto l’artigianato ha creato un nuovo mestiere che richiede capacità particolari e molta creatività, cercando di andare incontro al gusto del pubblico di Internet disposto ad acquistare i prodotti proposti, senza dimenticare la cosa più importante: il saper fare impresa, ascoltando il cliente. L’artigiano contemporaneo si distingue da chi fa semplicemente “fai-da-te” anche perché, oltre alle 74 – I TRADIZIONALI IMG 47 Macchinario a controllo numerico per la lavorazione della pelle. caratteristiche sopra elencate, è una figura imprenditoriale a 360 gradi che comunica se stesso e le proprie idee. In questo modo i giovani artigiani digitali riescono a trovare i fondi per i propri progetti e le neo imprese anche attraverso il crowdfunding. La possibilità di acquistare macchinari come le stampanti 3D o taglio laser aumenta la possibilità di divenire dei piccoli imprenditori e di fare artigianato innovativo in un’economia di scala che non regge più e che viene sconfitta dalla produzione di nicchia, versatile e fatta su misura per e con l’utente finale. A partire dalla filosofia open source dei maker, i diritti d’autore spariranno dai software fino ad arrivare agli oggetti e molte grandi aziende hanno compreso l’importanza di creare delle community con gli utenti finali, a tal punto che ciascuno di essi potrà personalizzare il proprio acquisto. Se si volge lo sguardo all’Italia ci si rende già conto che gran parte dell’artigianato è open e il valore non sta tanto nel segreto del mestiere ma nella qualità del lavoro, nel valore delle tecnologie, nella creazione di una comunità e di un marchio. 75 – I TRADIZIONALI 2.10 IL FENOMENO DEI MAKER (38) Tratto da “I maker e la tradizione italiana del design”, Chiara Alessi, www.domusweb.it, 2 Ottobre 2014 (39) Massimo Banzi ha contribuito ad inventare Arduino, un microcontrollore open-source facile da utilizzare che ha ispirato migliaia di persone in tutto. (40) “Makers. Il ritorno dei produttori. Per una nuova rivoluzione industriale”, Chris Anderson, Rizzoli Etas, Gennaio 2013 IMG 48 & 49 Kit di Arduino Lo slogan “yes you can” di Obama, uno dei maggiori sostenitori del panorama dei maker, è un’incitazione per far rimettere in moto l’economia statunitense e incoraggia la gente a credere che tutti possono realizzare qualcosa da soli. Lo slogan appena citato è molto simile alla frase “chiunque è designer” o “chiunque è produttore” che, ovviamente, non viene condiviso da chi fa questo mestiere o da chi si ritrova nella situazione in cui non ha alcun interessa nella progettazione. Il mondo sembra completamente digitalizzato e qualunque cosa può essere aggiustata o realizzata semplicemente stando seduti davanti a un computer. La rivoluzione che stanno attuando i maker si prefigge di rilanciare l’economia e il settore manifatturiero, aiutando chi è poco pratico con la manualità o con sistemi digitali. In un articolo pubblicato da Chiara Alessi(38) su Domus web, in contemporanea alla Maker Faire di Roma, si legge il suo interessante punto di vista: “Certo, penso che sarebbe bello se fossi stata educata a pensare di poterlo fare io, con le mie mani, anziché stare da questa parte solo a guardare,ante volte con gli occhi e le mandibole spalancati come se si trattasse di cose dell’altro mondo. Ma probabilmente, anche se avessi imparato a farmele da me, avrei continuato a desiderare o almeno a provare piacere nel trovare anche delle cose già fatte, e fatte già come mi sarebbe piaciuto farle io (come trovo piacere nel leggere romanzi che avrei voluto scrivere io, o nel trovare un paio di scarpe disegnate proprio come me le sarei fatte, se avessi avuto quella speciale immaginazione tridimensionale). Così come la fotografia non ha rimpiazzato la pittura o il cinema con il teatro, anche la rivoluzione dei maker, spinta dall’onda degli aggiornamenti tecnologici, farà sì che il mezzo precedente per sopravvivere troverà una sua peculiarità forte e insostituibile”. È per questo che il fenomeno dei maker in Italia gioca un duplice ruolo: da un lato ha delle responsabilità nei confronti della tradizione italiana, dall’altra offre molte opportunità, possibili solo nel caso in cui si valorizzi il territorio. L’Italia è un territorio particolare 76 – I TRADIZIONALI su cui testare il fenomeno dei maker proprio per la sua storia, per la sua tradizione, i suoi inventori e per il modello di crescita diverso rispetto agli altri Paesi, ma sicuramente è un campanello che gli artigiani di oggi non possono ignorare e che fa comprendere loro l’importanza della rete. I maker sono stati definiti “portatori di buone notizie”, non solo perché hanno fatto riscoprire il piacere del “saper fare” e molti prodotti che realizzano rendono fieri il Made in Italy, come nel caso di Arduino di Massimo Banzi(39), e non sono dei “geni” ma delle persone che credono in un nuovo modello etico e politico improntato sull’apertura delle informazioni e sulla condivisione dei progetti affinché questi ultimi possano essere implementati e migliorati. Citando Banzi, “Non ci vuole il permesso di nessuno per rendere le cose eccezionali”. Chris Anderson, autore di “Makers”(40), spiega che in realtà il fenomeno dei maker altro non è che “la somma delle due precedenti rivoluzioni industriali: quella delle macchine e quella di Internet”. E oggi tutti possiamo sperimentare gli effetti, i cambiamenti e le conseguenze che gli input di questo mondo hanno innescato sull’economia. 77 – I TRADIZIONALI 2.11 LA COMMUNITY: UN DESIGN OPEN (41) Locuzione utilizzata in informatica per indicare diverse fattispecie, a seconda del contesto in cui viene impiegata. In informatica, di software non protetto da copyright e liberamente modificabile dagli utenti. Dizionario di Economia e Finanza, Treccani, 2012. (42) Tratto dal saggio di Nicola Bassi, “Open Source. Analisi di un movimento”. Open source(41) è un termine che appartiene al campo dell’informatica e in italiano si traduce con “codice sorgente aperto”. In genere indica un software i cui fondatori mettono a disposizione le proprie ricerche e danno la possibilità agli utenti di apportare modifiche e altre conoscenze. Questo tipo di fenomeno(42) è molto recente poiché la sua diffusione risale dal beneficio di internet che ha permesso a programmatori provenienti da diverse parti del mondo di lavorare contemporaneamente ad un unico progetto. L’open source prende spunto dal modello open content, nel quale contenuti di diverso genere (testi, immagini e video) sono pubblici, come per esempio il caso Wikipedia. Dal momento che l’open source si prefigge di essere quasi sempre gratuito e aperto a tutti, nasce spontanea la domanda: perché degli individui dedicano tempo ed energie a progetti senza ottenere in cambio un guadagno? In realtà esistono e ci possono essere delle forme di guadagno ottenibili attraverso delle strategie costruite ad hoc per questo tipo di sistema. Per esempio lo sviluppatore, cioè l’individuo o l’azienda che si occupa di migliorare il programma, può dare la possibilità di fare delle donazioni non obbligatorie a chi fruisce del prodotto software come ringraziamento. Un’altra strada è quella di decidere, invece, che il programma è completamente gratuito ma che il supporto e l’aiuto del programmatore prevedono delle donazioni. Alcuni programmi open source si affidano, invece, alla sponsorizzazione di alcuni enti o aziende che supportano economicamente i programmatori o che un’impresa decida di occuparsi gratuitamente di un programma per ottenere in cambio di una forte visibilità e pubblicità. La didattica può essere anche un esempio di fonte di remunerazione in casi in cui il prodotto creato è molto articolato e implica un nuovo linguaggio di programmazione per cui lo sviluppatore viene chiamato come insegnante nei corsi di apprendimento. La progettazione aperta è lo sviluppo e la realizzazione di prodotti, di macchine e si sistemi grazie alla conoscenza progettuale condivisa pubblicamente e reso possibile attraverso l’uso del web. Una delle sue caratteristiche principale è che non ha alcun scopo di lucro e la sua filosofia è identica a quella dell’Open source. 78 – I TRADIZIONALI (43) Tratto da www.openstructures.net / Il progetto Open Structures OS, o OpenStructures(43), è un esperimento in corso di un progetto che si prefigge di innescare un sistema aperto e costruttivo in cui ogni individuo progetta per tutti. Lo scopo è di scoprire cosa si verifica nel momento in cui si offre alle persone una griglia modulare comune per progettare oggetti, cercando di aprire un confronto e un dialogo stimolante che possa creare un bagaglio di esperienze e di idee. La griglia modulare consiste a tutti di progettare parti compatibili, strutture e componenti indipendentemente e il sito presenta delle linee guida per spiegare il processo e le varie possibilità. 1.Progettare per disassemblare 2.Uso di materiali riciclabili 3.Sfruttare la griglia OS come strumento di progettazione per scegliere le dimensioni, i punti di assemblaggio e i diametri delle interconnessioni in modo che le parti realizzate da ciascun individuo siano compatibili con quelle degli altri. IMG 50 Stampo della griglia Open Structures. La griglia è stata ideata per essere un sistema metrico condiviso e comune fra tutti i partecipanti al progetto ed è costruita in base a moduli di quadrati 4 cm x 4 cm, dove i perimetri rappresentano le linee di taglio e le diagonali mostrano i punti di assemblaggio e i diametri di interconnessione. La costruzione modulare porta alla distinzione di due modelli differenti: un sistema modulare chiuso, che opera secondo un modello gerarchico verticale per cui solo un individuo progetta per tutti, e un sistema modulare aperto, che opera in base a un modello di rete orizzontale in cui ogni persona può contribuire a una piccola parte del sistema comune. Nel primo caso l’individuo che progetta può essere un designer o un’azienda e anche se tutti gli individui possono godere dei benefici della modularità all’interno del sistema, 79 – I TRADIZIONALI la maggior parte delle volte sono incompatibili tra loro. Negli ultimi anni, stiamo assistendo sempre più alla nascita di sistemi modulari aperti, come Wikipedia (conoscenza condivisa) o Linux (programmazione aperta). Allo stesso modo Open Structure si prefigge di costruire un sistema aperto dove diverse persone possono progettare parti e componenti in funzione della griglia modulare. Lo scopo finale è di riuscire a capire se è possibile creare una sorta di “puzzle” universalmente condiviso realizzato da più individui, che possono essere sia artigiani che multinazionali, per progettare, scambiare, condividere un’enciclopedia di elementi modulari che creano un contesto più flessibile e variabile alla portata di tutti. Un sistema di questo genere può portare alla generazione di strutture dinamiche che presentano un buon livello di varietà all’interno della propria modularità e alla stimolazione di creazione di cicli di riuso dei vari pezzi. / Open Source Ecology Open Source Ecology (OSE) si prefigge di avviare un’economia di tipo open source che possa incrementare la collaborazione e l’innovazione. Per 80 – I TRADIZIONALI (44) Tratto da www.opensourceecology.org IMG 51 Griglia di open structures. IMG 52 Locandina di presentazione di open structures a Milano, Aprile 2013. raggiungere questo obiettivo, OSE ha cominciato a sviluppare una serie di progetti open source che consistono in cinquanta macchine che derivano da altre macchine e che implicano un processo di creazione di un sistema modulare aperto. La visione di OSE(44) si concentra su un mondo dedicato all’innovazione ottenuta per mezzo del modello open source aperto in cui lo sviluppo collaborativo permetta di risolvedere determinati problemi ancor prima che si presentino. Secondo questo punto di vista, un tipo di economia open source per mette anche al genere umano di evolversi e di creare una nuova coscienza personale e responsabile. I valori fondamentali si basano sulla collaborazione condivisa e aperta a tutti e chi partecipa al progetto si sforza documentare il proprio lavoro per creare una piattaforma di condivisione aperta, sfruttando le potenzialità di Internet in modo che altri individui possano dare il proprio contributo. In base alla consapevolezza che oggi le aziende impiegano i propri fondi per campagne di protezionismo e non sulla ricerca e lo sviluppo, lo scopo finale di OSE è quello di riuscire a creare un’impresa basata sul dialogo e sul confronto e disposta a rendere pubblici strategie e dati in modo che gli altri possano imparare e contribuire all’innovazione, eliminando eventuali forme di competizione non utili. Il modello open source, in pratica, riferisce a un sistema che fornisce servizi e beni e che coinvolgono attivamente l’utente che ne usufruisce. Linux rappresenta un modello open source già testato dove alcuni sviluppatori hanno creato un’alternativa gratuita ed efficace al sistema operativo di Windows. Un’economia Open Source amplia il modello Open Source e lo estende alla fornitura di servizi e beni per aprire l’accesso alle tecnologie e alle informazioni al fine di creare un sistema economico basato sull’ecologia industriale, ambientale e sociale. I fondatori di OSE sono fermamente convinti che un modello di economia partecipativo e distribuito a livello globale possa essere un modello economico d’ispirazione e da mettere in pratica per una società democratica e con un determinato riguardo nei confronti delle risorse naturali e umane. Ciò è possibile grazie alla possibilità offerta da questa modalità di poter fare ciò che uno vuole essere, 81 – I TRADIZIONALI impegnandosi al massimo in quello che bisogna fare per sopravvivere, dove tutti gli individui hanno un potenziale per crescere. OSE ha creato il Global Village Construction (GVCS) che è una piattaforma modulare di stampo do-it-yourself con un livello prestazionale molto alto che permette l’accesso gratuito alle informazioni per realizzare circa cinquanta macchine industriali diverse, quantità minima di macchinari per creare una civiltà piccola ma sostenibile. Il progetto è supportato da una community che comprende tantissimi collaboratori che credono nella filosofia dell’open source per uno sviluppo collaborativo e condiviso. L’obiettivo è di far partecipare chiunque (soprattutto chi si interessa di ingegneria, progettazione, arte, comunicazione, video, impresa e scrittura) e, grazie agli strumenti messi a disposizione della piattaforma, anche chi ha poca esperienza in questi campi può generare dei risultati rilevanti e utile a completare il puzzle finale. Uno degli aspetti più interessanti dell’Open Source Economy è che testa continuamente i limiti dell’innovazione ottenuta da un sistema di collaborazione per coinvolgere tutti e dimostrare che, nel momento in cui gli accessi a determinati strumenti sono liberi, chiunque possa incrementare incredibilmente la propria produttività e la propria creatività. Un’altra caratteristica di OSE risiede nel crowdfunding. Infatti, il suo fondatore ha chiesto il finanziamento dal basso per lanciare il progetto e continuare a raccogliere donazioni per il sostenimento, evitando di creare così una piattaforma senza scopi di lucro. 82 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #5 MEG DI YRADIA / CARLO E PIERO (45) Intervista svolta dal vivo presso opendot, durante la design table con MEG IMG 53 Carlo D’Alesio e Piero Santoro di Yradia durante la design table per presentare MEG da opendot. Che tipo di esperienza avevate quando avete deciso di realizzare il progetto MEG(45)? Il nostro studio si chiama Yradia ed è un’agenzia di progettazione di luce nata dalla partnership tra Design Group Italia, D’Alesio&Santoro (noi) e Huub Ubbens. Yradia lavora combinando tre elementi di fondamentale importanza: l’abilità di creare valore attraverso la progettazione, le capacità di manipolare in maniera creativa le tecnologie più innovative sulla luce e gli strumenti per sviluppare prodotti originali da inserire all’interno del mercato. Cerchiamo di esplorare in continuazione le nuove frontiere e le nuove opportunità offerte dalle innovazioni illuminotecniche per progettare una luce bella esteticamente, piacevole e, soprattutto, sostenibile. Teniamo in considerazione aspetti quali la cultura, la funzione e l’atmosfera. L’obiettivo finale è quello di applicare questo tipo di approccio a tutti i settori nei quali la luce può fare la differenza (architettura, trasporti, benessere, design del prodotto e degli interni). Quando avete presentato per la prima volta MEG? Nell’Aprile del 2013, durante il Fuorisalone, abbiamo presentato nel proprio studio per la prima volta MEG, progetto nato con l’intento di far incontrare la luce con la Natura. L’idea, inoltre, è progressivamente nata unendo la passione per l’illuminotronica con il forte desiderio di far crescere le piante in un ambiente interno a basso consumo. MEG è una serra automatizzata che controlla e fa crescere le piante attraverso dei parametri che gestiscono i cicli di luce (intensità, durata), ventilazione, temperatura, irrigazione. Come mai avete improntato il progetto sotto la visione open-source? L’open-source è alla base del progetto MEG. Siamo convinti e consapevoli che le dinamiche dell’open-source e dell’open-knowledge possano migliorare la qualità della vita delle persone e che siano frontiere del futuro da cogliere e sfruttare. La serra è direttamente connessa ad una piattaforma online che condivide e acquisisce le 83 – I TRADIZIONALI IMG 54 Piero Santoro costruisce un prototipo MEG durante la design table presso opendot. IMG 55 Prototipo MEG IMG 56 App di MEG informazioni sull’efficacia effettiva delle impostazioni del ciclo di vita delle piante, contribuendo così allo sviluppo di una conoscenza condivisa accessibile per tutti. Dal momento in cui le informazioni sono open-source, l’intera comunità può contribuire ad un continuo miglioramento del software e del progetto stesso. Vogliamo essere sensibili allo scenario culturale in continua evoluzione e per questo abbiamo deciso di puntare a questa nuova filosofia attraverso MEG e di essere pronti al futuro. Che tipo di esperienza avete maturato grazie al confronto e quali ostacoli avete riscontrato? Abbiamo investito molto del nostro tempo e denaro in questo progetto non avendo esperienze in senso stretto sulle serre interne ma facevano consulenza inizialmente per le aziende. Attraverso questo tipo di esperienza abbiamo notato che mancava da parte dell’imprese una ricezione nei confronti delle idee complesse o che, se in qualche modo recepite, l’azienda non era effettivamente interessata a un progetto di tipo open-source. Lo step successivo è stato quello di trovare un’alternativa valida per poter finanziare il progetto affidandoci al crowdfunding per trovare fondi in modo diverso. Ci siamo quindi rivolti a kickstarter dopo i tre anni di ricerca e di prototipazione e dopo aver aperto un’azienda in UK per poterci presentare sulla piattaforma. Purtroppo la campagna non è andata a buon fine. Che tipo di comunicazione avete attuato? Uno degli step fondamentali del progetto MEG è stata la campagna pubblicitaria, visto che la primissima presentazione durante il Fuorisalone 2013 aveva coinvolto 84 – I TRADIZIONALI IMG 55 e 56 un pubblico ristretto. Di fondamentale importanza è stata la partecipazione alla Maker fair di Roma in cui hanno riscosso un grande successo e il secondo posto in classifica su Focus. Questi tipi di risultati sono stati estremamente importanti per poter accedere a Kickstarter in quanto partire con una comunicazione importante è non solo una delle clausole della piattaforma ma garantisce anche la possibilità di raggiungere l’obiettivo finale di trovare i fondi. Avete creato un manifesto per MEG. Su cosa vi soffermate principalmente? Sì, Meg è supportata da una sorta di “manifesto” del prodotto che sottolinea l’importanza dell’opensource e dell’openknowledge: le slide della community infatti mostrano come sarà possibile gestire i dati all’interno del database per poter essere condivisi con tutti gli utenti. Inoltre, Yradia si prefigge di predisporre una MEG per i beta-tester ad ogni serra completa venduta in modo da continuare e attivare una rete di sperimentazioni che porteranno ad un miglioramento delle conoscenze che si hanno fino ad ora. 85 – I TRADIZIONALI 2.12 La distribuzione: il tassello mancante (46) Tratto dall’articolo “E-commerce nel 2014: stato del mercato italiano”, pubblicato su www.hostingtalk.it (47) In riferimento ai dati pubblicati dall’Osservatorio eCommerce B2C Netcomm (www.osservatori.net) del Politecnico di Milano (48) Tratto dall’articolo “Generazione D2C”, scritto da Jonathan Olivares, pubblicato su www.domusweb.it, 17 Dicembre 2012 La vendita online, cioè tramite e-commerce(46) su Internet, nonostante la crisi italiana, rappresenta una via percorribile per i designer che decidono di investire nell’autoproduzione e nel modello D2C. Sempre più italiani, infatti, cominciano ad avvicinarsi all’acquisto online(47) e ciò ha aperto una nuova via di vendita per gli imprenditori, soprattutto perché permette di raggiungere potenziali clienti provenienti da altre zone. Questo tipo di distribuzione richiede uno sforzo e un investimento sui canali social data dalla competitività dovuta alla presenza di concorrenti a livello internazione e dalla difficoltà nell’ampliare il bacino dai clienti acquisiti a quelli potenziali. Il settore dell’e-commerce in Italia sta lavorando con sforzo e determinazione per occupare un posto di rispetto nel settore commerciale e, nonostante le difficoltà, in molti casi si dimostra più remunerativo rispetto alla distribuzione offline. La differenza di vendite tra distribuzione online e quella offline risiede più che altro nella tipologia di prodotto per cui nel primo caso sono prediletti oggetti di piccole dimensioni e dai prezzi contenuti, mentre la vendita diretta nei negozi riscuote più successo nel caso di manufatti di arredamento o come l’esempio di Megaphone di En&Is che stupisce quando visto dal vivo. Una delle problematiche più grandi dello shopping on line è la diffidenza da parte degli italiani di acquistare su Internet e a “distanza”, cosa che si verifica, come vedremo nei capitolo successivi, anche nel sistema del crowdfunding. Che si tratti di distribuzione on line o distribuzione offline, i progettisti che autoproducono e/o decidono di vendere i propri prodotti riscontrano una vera difficoltà nella distribuzione(48) in generale per una serie di motivi correlati alla logistica, alle spese di magazzino e alla ricerca del cliente che non appartiene alla cerchia di amici e parenti. Il “punto debole” e lo step finale che manca ai designer, che ormai si occupano di realizzare un progetto completo in tutte le sue fasi, e che spesso e volentieri delegano alle aziende è proprio questo, quello della distribuzione. All’interno di questo contesto si inserisce il sistema del crowdfunding in quanto modello completo che permette loro di presentare al meglio attraverso video e immagini da “catalogo” un prodotto finito e pronto per essere realizzato e per di più gli garantisce la prima fetta di clienti che corrisponde all’insieme dei finanziatori. Inutile dire 86 – I TRADIZIONALI che, se il progetto è stato finanziato e piace, il passaparola dei finanziatori e dei mass media, contribuirà alla pubblicizzazione del prodotto e del designer impresa. Il crowdfunding rappresenta così un modo interessante per creare un’impresa ma come si fa ad evitare che questo successo eviti di rimanere un caso episodico? 87 – I TRADIZIONALI 3. IL CROWDFUNDING 3.1 IL CROWDFUNDING (49) Saggio “Framework for European crowdfunding” che mostra il panorama del crowdfunding in Europa, scritto da Kristof De Buysere, Oliver Gajda, Ronald Kleverlaan, Dan Marom, 2012 Cos’è il crowdfunding? Il termine deriva dall’accoppiamento di due parole inglesi: crowd (folla) e funding (finanziamento). In italiano si dice finanziamento collettivo e indica un processo collaborativo di un gruppo di persone che mettono a disposizione il proprio denaro per sostenere economicamente un progetto di altre persone. Il finanziamento arriva “dal basso”, abbatte le barriere tradizionali dell’investimento finanziario e arriva da persone comuni che si interessano al progetto e vogliono contribuire alla realizzazione del progetto che può essere un’iniziativa di qualunque genere, soprattutto per promuovere il cambiamento sociale, l’innovazione e l’imprenditoria. Lo strumento di comunicazione è il web che, attraverso una piattaforma, permette l’incontro, la conoscenza e il coinvolgimento degli individui in un progetto di crowdfunding. Il Framework for European Crowdfunding(49) afferma che “l’ascesa del crowdfunding negli ultimi dieci anni deriva dal proliferare e dall’affermarsi di applicazioni web e di servizi mobile, condizioni che consentono a imprenditori, imprese e creativi di ogni genere di poter dialogare con la crowd, la folla, per ottenere idee, raccogliere soldi e sollecitare input sul prodotto o servizio che hanno intenzione di proporre.” Un miliardo e mezzo di euro è la cifra totale raccolta nel 2013 in Europa per finanziare i progetti europei che non sarebbero riusciti ad ottenere un finanziamento tradizionale ed è stato stimato che entro il 2020 si parlerà di milioni di miliardi, grazie alle opportunità che offre il web. Nella storia possiamo scovare l’antenato del crowdfunding in due esempi risalenti alla fine ‘700 e dell’800: il primo caso è partito dall’iniziativa di Jonathan Swift, scrittore ilrandese, che ispirò degli istituti collettivi di microcredito, gli “irish Loan Fund”, che cercavano di andare incontro alla povertà del popolo; il secondo caso riguarda la famosa Statua della Libertà che, grazie alla rivista “The World” è riuscita a trovare la metà dei fondi necessari per finanziare il piedistallo e l’installazione dell’opera. Nell’era contemporanea un esempio che ha riscosso grande scalpore è quello dell’attuale Presidente statunitense che ha finanziato la sua campagna elettorale per la presidenza con i soldi che i suoi elettori avevano donato. Il finanziamento dal basso si distingue in: piattaforme di crowdfunding e iniziative autonome sviluppate appositamente per sostenere una determinata causa come, per esempio, la campagna per la ricostruzione della Città 91 – I TRADIZIONALI della Scienza a Napoli che era stata incendiata nel 2013 e che è riuscita a raccogliere ben oltre un milione di euro. Le piattaforme sono, invece, dei siti dedicati che mettono in contatto possibili finanziatori con chi promuove i progetti. Esse possono essere specializzate in un particolare settore oppure raccogliere progetti di ogni campo d’interesse. Il successo di tale fenomeno ha portato negli ultimi anni ad un incremento della nascita di piattaforme di questo genere e all’apertura di nuovi siti che si operano per diffondere questo tipo di finanziamento. 92 – I TRADIZIONALI 3.2 KICKSTARTER: LA SIGNORA DEL CROWDFUNDING (50) Tratto dal sito ufficiale di Kickstarter, www.kickstarter.com (51) Tratto dall’articolo “Kickstarter supera il miliardo di dollari di finanziamenti”, di Jacopo Tondelli, www.wired.it, 4 Marzo 2014 IMG 57 Illustrazione finanziamento di Kickstarter Kickstarter(50) è una piattaforma per progetti creativi di qualunque settore. Gli ideatori del social network “Diaspora” hanno avviato per primi la richiesta di fondi iniziale a partire da dieci mila dollari e hanno ottenuto oltre duecento mila dollari. L’obiettivo principale è quello di dare la possibilità di ottenere finanziamenti per progetti innovativi in ambiti di business differenti e in questo ambito, Kickstarter è un’autorità. I dati(51) parlano da sé: dal 2009, anno di apertura della piattaforma, sono stati proposti più di 91 mila progetti e sono stati ottenuti circa 593 milioni di dollari. Ogni progetto pubblicato ha un intervallo di tempo definito per riuscire ad ottenere il proprio budget economico e queste due variabili vengono decise esclusivamente dal creatore del progetto. Passato il tempo a disposizione, Kickstarter versa i soldi raccolti solo se è stata raggiunta la cifra richiesta per il finanziamento, in caso di fallimento della campagna invece la cifra “donata” da ciascun sostenitore torna al mittente. La cifra minima per donare è un dollaro e chiunque può essere sostenitore di uno o più progetti. Su Kickstarter è comune che un progetto raccolga più soldi di quelli richiesti e la piattaforma non richiede nessun tipo di obbligo in merito. I progetti che ottengono il finanziamento richiedono del tempo per essere realizzati, quindi i sostenitori dovranno aspettare qualche mese prima di poter usufruire della ricompensa e/o del prodotto che hanno sostenuto. Kickstarter, purtroppo, è attiva solo nei Paesi anglosassoni (Stati Uniti e Regno Unito), di conseguenza per poter proporre una proposta di progetto bisogna essere residenti in uno dei due Stati. È possibile trovare degli escamotage per lanciare ugualmente l’idea chiedendo aiuto a un amico residente negli Stati Uniti o in Gran Bretagna o aprire la partita iva direttamente lì. I sostenitori, invece, possono essere residenti al di fuori dei due Paesi anglosassoni e, una volta investito, è come se pre-ordinassero il prodotto che stanno sostenendo a livello monetario. Inoltre, su questa piattaforma vige la regola “all-or-nothing” 93 – I TRADIZIONALI grafico 4 Storia del crowdfunding (tutto o niente); ciò significa che i progetti verranno finanziati esclusivamente solo nel caso in cui riescono ad ottenere il goal prestabilito. In caso contrario, la cifra donata tornerà direttamente ai sostenitori. Secondo i fondatori della piattaforma, questa regola protegge sia chi propone l’idea sia gli investitori poiché i progettisti non avranno alcun obbligo di avviare il progetto, mentre i donatori non avranno “investito” inutilmente. Se il progetto raggiunge il goal stabilito, il creatore ha la responsabilità di portare a termine il progetto e di ricompensare i propri sostenitori in base alla cifra donata. Ogni sostenitore, infatti, può donare qualunque cifra a partire da un dollaro e ogni ricompensa è in proporzione al tipo di investimento. Le categorie che possono essere proposte e sostenute sono: arte, fumetto, artigianato, danza, design, moda, film e video, cibo, giochi, giornalismo, musica, fotografia, editoria, tecnologia e teatro. 94 – I TRADIZIONALI 3.3 SETTE REGOLE D’oro (52) Tratto dal sito ufficiale di Kickstarter, nella sezione handbook (Creator Handbook) realizzata dai fondatori per aiutare a creare una campagna di successo , www.kickstarter.com/ help/handbook (53) Tratto dall’articolo “Six tips from Kickstarter and how to run a successful crowdfunding campaign”, pubblicato su www.enterpreneur. com (54) Tratto dall’articolo “Crowdfunding Secrets: 7 Tips For Kickstarter Success”, scritto da Amadou Diallo su www.forbes.com Su internet le persone si sbizzarriscono sulle strategie vincenti per raggiungere senza problemi il goal. In realtà non è così semplice ma, in generale, si può stilare una breve lista delle regole(52) che ogni progetto deve seguire per potersi preparare al lancio su Kickstarter (o in generale su una piattaforma di Kickstarter): / I progetti devono creare qualcosa da condividere con gli altri; / I progetti devono essere onesti e ben presentati: le idee non possono essere confuse e indurre all’errore e i creatori devono essere sinceri su ciò che voglio portare avanti. È utile presentare un prototipo di ciò che si propone nel momento in cui si tratta di qualcosa di complesso, evitando render fotorealistici. / I progetti non possono essere a scopo di beneficienza né coinvolgere articoli proibiti. Il team che lavora dietro Kickstarter è costituito da 93 persone a Brooklyn (Greenpoint) dove la metà delle persone lavora alla progettazione e codifica (prodotto) e la parte restante si occupa della comunità. In pochi anni Kickstarter non solo è diventato un fenomeno di moda ma un vero e proprio modello di raccolta fondi mainstream preso in considerazione non solo dai giovani ma anche dagli imprenditori e dalle imprese. Sulle modalità per una campagna di successo sono stati raccolti tanti suggerimenti sul web(53). Su un’intervista pubblicata sul blog Forbes(54) è stata stilata, per esempio, un’intervista ai creatori di alcuni progetti che hanno riscosso molto successo e da cui è nata una breve lista di consigli da considerare nel momento in cui si vuole lanciare una propria idea sulla piattaforma di crowdfunding più seguita al mondo: 1. Risolvere un problema reale: è bene adottare la filosofia “creare un prodotto che la gente vuole/desidera comprare” che sta alla base di ogni azienda. È importante saper comunicare l’essenza del progetto in poche e sintetiche frasi, in modo da catturare subito l’attenzione dell’eventuale sostenitore senza annoiare. Identificare un problema e riuscire a risolverlo è sinonimo di successo su Kickstarter.Il prodotto deve essere un tantino più avanti rispetto a ciò che esiste nel mercato ma non troppo futuristico per evitare di dover giustificare perché effettivamente le persone dovrebbero averne bisogno. 96 – I TRADIZIONALI 2. Fare il proprio dovere: come in ogni progetto, il successo di un’idea è direttamente proporzionale alla quantità di test e di lavoro per ottenere il migliore risultato possibile prima di lanciare la campagna. È importante pianificare anche le sfide della fase post-campagna considerando sito e-commerce, fornitura e canali di distribuzione ed eventuale deposito in modo da soddisfare ciò che si ha promesso ai propri sostenitori. È molto utile cercare di costruire un database clienti prima di lanciare la campagna, sfruttando i social come Facebook e Twitter come mezzi per ottenere un feedback positivo sulla propria idea anche quando non esiste ancora un prototipo. 3. Kickstarter non è l’unica fonte di denaro: molti progettisti, che hanno riscosso un grande successo sulla piattaforma di crowdfunding, avevano già acquisito denaro prima della campagna attraverso altri canali. Tutto ciò si può verificare solo dopo aver investito tempo e molti soldi per portare a compimento il progetto affinché delle aziende interessate possano credere in voi e nel vostro progetto. Bisogna considerare sempre che vi possano essere degli ostacoli o degli errori lungo il percorso e, sicuramente, del budget extra permetterà di risolvere qualunque cosa, o quasi. 4. Impostare un “Goal” intelligente e fattibile: mai confondere quanto si vuole guadagnare con quanto serve per poter finanziare l’idea. Sulle piattaforme di crowdfunding viene indicato oltre all’importo in cifre anche la percentuale raggiunta relativa al’obiettivo iniziale. La gente che naviga su questo tipo di piattaforme ama lasciarsi trasportare dall’impeto di una campagna vincente che mostra, per esempio, il 300% del finanziamento nei primi giorni della campagna e ciò contribuisce ad attirare nuovi donatori. L’importo del goal ovviamente deve rispondere ai costi di produzione e di distribuzione, considerando quanto effettivamente è possibile raggiungere. 5. Fare un video efficace: la gente supporta il crowdfunding perché è attratta da una visione nella quale vogliono essere coinvolti, quindi la presentazione del progetto gioca un ruolo di fondamentale importanza sul progetto e può determinarne il successo o la sconfitta. Non importa se il video viene girato un iPhone, ciò che è veramente fondamentale è il pensiero che si vuole trasmettere. 97 – I TRADIZIONALI grafico 5 Confronto Kickstarter e Indiegogo / fonti e dati del grafico tratti dal sito ufficiale di Kickstarter e di Indiegogo e dall’articolo “Dollar for dollar raised, Kickstarter dominates Indiegogo SIX times Il messaggio deve essere concentrato, breve e chiaro ed è utile mostrare in maniera diretta come il prodotto potrebbe influenzare positivamente la vita delle persone. Inoltre, è molto utile lasciarsi conoscere dai propri sostenitori dal momento che la fiducia e la trasparenza sono valori su cui si basa questo fenomeno (bisogna convincere uno sconosciuto a credere in voi). In un secondo momento si può parlare anche delle caratteristiche che distinguono il prodotto proposto rispetto alla massa e spiegare perché è il migliore. Le ricompense possono influenzare molto i potenziali finanziatori quindi è utile essere creativi e accattivanti. over”, pubblicato su www.medium. com, 2013 6. Non è (sempre) una questione di soldi: le campagne di crowdfunding possono portare molti benefici e creare nuove opportunità al di là del denaro. Spesso questo genere di piattaforme viene sfruttato per ottenere un feedback da parte del pubblico e comprendere se esiste un potenziale mercato oppure permette di migliorare un prodotto attraverso le domande, i dubbi e le richieste delle persone. La risposta da parte del pubblico è preziosa in quanto permette di ottenere un eventuale feedback positivo che, oltre a fare pubblicità, apre nuove opportunità di collaborazione sia da parte dei rivenditori sia da parte dei distributori ancora prima che il prodotto sia finito, venendo incontro alle diverse esigenze. 7. La campagna deve essere la prima priorità: la gestione di una campagna è un’attività a tempo pieno sia a livello di concentrazione sia a livello di tempo (risponde ad ogni singola e-mail, intervista, domanda…). I sostenitori sono i primi clienti e bisogna prendersene cura e instaurare un dialogo ed un confronto per creare un legame forte da mantenere oltre l’intervallo di tempo del lancio del progetto. I mezzi di comunicazione, le e-mail, le condivisioni sono molto efficaci e funzionano come un vero e proprio passaparola, quindi mai dimenticare di rispondere personalmente alle mail con umiltà e cercando di essere più esaustivi possibile. 98 – I TRADIZIONALI 99 – I TRADIZIONALI grafico 6 Rappresentazione dei milioni di dollari raccolti in base alle diverse categorie di Kickstarter. Le categorie segnalate con il colore rosso più saturo sono quelle in cui i designer solitamente lanciano una campagna di crowdfunding. / dati tratti da the statistics portal www.statista.com 3.4 CHE FINE FANNO I PROGETTI DI KICKSTARTER? (55) Storia dei successi preferiti di kickstarter, “The History of #1”, tratto dal blog di Kickstarter, www. kickstarter.com/blog Di seguito verranno analizzati alcuni progetti presenti nell’albo dei successi di Kickarter(55). Prendendo in esame una serie di casi, è interessante scoprire cosa è successo dopo la campagna, se il progetto è proseguito, se è nata una azienda oppure semplicemente si è tornati alla vita di tutti i giorni. Sono stati indagati pochi esempi, alcuni strettamente connessi al mondo della progettazione, altri provenienti da altre categorie, proprio perchè Kickstarter accoglie progetti eterogenei. / New York makes a book Questo progetto è stato lanciato il giorno stesso in cui è stato aperto Kickstarter ed ha ottenuto il proprio obiettivo di tremila dollari nel giro di 22 giorni (28 Aprile 2009 – 19 Maggio 2009) con 110 finanziatori. Lo scopo della campagna era di creare il primo libro su New York finanziato dalla comunità del crowdfunding interamente costituito dalle osservazioni e dai pensieri di cento partecipanti. Il budget da raggiungere comprendeva esclusivamente i costi di stampa di alta qualità attraverso il sito di Blurb.com e la spedizione dei cento libri per ogni partecipante a spese della città di New York. Per partecipare bastava donare trenta dollari e la presentazione del finanziatore attraverso una foto, un testo, una scansione e così via. Per evitare di spedire i libri, i creatori chiedevano la collaborazione di un locale per organizzare un piccolo evento in cui festeggiare la stampa dei libri da donare. Oggi? nessuna notizia. / Allison Weiss makes a full lenght record Allison Weiss è una cantautrice adolescente americana che in soli due giorni è riuscita a ottenere il goal di duemila dollari (arrivando in totale a settemila) per poter registrare un album di musica con otto canzoni per l’estate. Il suo caso è rimasto nella storia di Kickstarter perché per molto tempo è rimasto un modello da seguire. La ragazza ha sfruttato moltissimo Twitter, aumentando sempre più la posta in gioco. Alla fine ha addirittura proposto una maratona di canzoni con registrazione audio e video da donare ai suoi sostenitori, ottenendo così un coinvolgimento esponenziale. 102 – I TRADIZIONALI Oggi? Allison Weiss è una cantautrice e ha pubblicato tre album e ha ottenuto un contratto con una delle principali etichette californiane No Sleep Records, oltre ad aver affiancato in tour Lou Reed , Matt Pryor e altri gruppi musicali in Europa e negli USA. / Polyvinyl needs your help! Polyvinyl è un’etichetta discografica che ha chiesto aiuto alla community di Kickstarter. Il motivo era quello di evitare i costi per distruggere più di diecimila record dal momento che alcuni magazzini dei loro distributori stavano per essere ridimensionati. Lo scopo principale della campagna era quindi quello di evitare costi alti di magazzinaggio, sfruttando Kickstarter come strumento per riavere tutti i pezzi, che altrimenti sarebbero andati distrutti, nel proprio ufficio. Il goal era una cifra irrisoria di mille dollari ma hanno ottenuto più di quindicimila dollari in cambio di ottima musica. / Oggi? esiste ancora e vende i prodotti soprattutto online / Tik Tok + Luna Tik Una delle prime campagne ad avvicinarsi ad un finanziamento impensabile fino ad allora: arrivare a quasi un milione di dollari ed ha mantenuto il record per più di un anno. Il goal era di soli quindicimila dollari per realizzare TikTok, un prodotto che trasforma l’iPod nano in un orologio multi-touch e minimal. I creatori spiegano sulla pagina a loro dedicata per il lancio di Tik tok che hanno voluto realizzare una collezione ben progettata, ingegnerizzata e di alta qualità per mantenere al massimo la coerenza con il marchio Apple. Inoltre, spiegano, che l’idea è venuta dallo studio di molte aziende di orologi che hanno fatto di tutto per poter realizzare un display multi-touch senza ottenere buoni risultati. I creatori sono partiti dall’iPod nano, convertendolo in un orologio che tutti possono desiderare. I progettisti lavoravano per grandi aziende da anni ma anche loro nutrivano il sogno di vedere realizzato i prodotti sotto il proprio marchio. Ammettono anche che solo Kickstarter può aiutarli a realizzare qualcosa per cui le imprese hanno paura di investire oggi, senza le 103 – I TRADIZIONALI grandi politiche aziendali, credendo così nella comunità del crowdfunding e nell’individuo. Oggi? Lunatik è un brand che vende online cover dalla struttura molto sofisticata (per esempio cover acquatiche) per iPhone, iPod e Tablet. / Elevation Dock È stato il primo progetto a superare un milione di dollari. La campagna proponeva un nuovo supporto per iPhone che ponesse fine a diverse frustrazioni causate dall’uso di questi oggetti: sgancio difficile, forma non adatta per l’uso dell’iPhone con cover, leggeri e materiali scadenti. La loro presentazione era basata soprattutto sui punti di forza del prodotto che proponeva elencandone le qualità: semplice da usare, sgancio rapido, uso con o senza senza cover, materiale alluminio solido con ottima finitura superficiale e stabilità. Oggi? Lo studio ElevationLab vende online prodotti simili a Elevation Dock ed è possibile acquistarli anche su amazon. Legenda: Il progetto ha mostrato sviluppi futuri o un’evoluzione, migliorando (aumento tipologico dei prodotti, servizi offerti, distribuzione...) Non si sa più nulla del progetto (le ultime fonti risalgono alla campagna) Il progetto è rimasto fermo allo stadio della fine della campagna senza ulteriori sviluppi (nessun cambiamento del servizio o di gamma di prodotti proposti...) 104 – I TRADIZIONALI 3.5 KICkstarter aiuta gli imprenditori (56) Riferimento tratto dall’articolo “Kickstarter aiuta gli imprenditori, ora guarda all’Europa”, pubblicato sul portale www.hostingtalk.it, Img 58 Illustrazione finanziamento Kickstarter Negli ultimi anni la piattaforma più famosa del mondo, Kickstarter, ha cominciato a dare aiuto agli imprenditori(56) che si rivolgevano alla sua comunità per finanziare progetti, ottenendo cifre considerevoli. Dopo il Regno Unito, probabilmente la piattaforma allargherà il suoi confini anche nel resto d’Europa per accrescere il successo del finanziamento dal basso e per aiutare a realizzare progetti in cui la gente crede. L’intenzione di coinvolgere anche il Vecchio Continente è nell’aria, soprattutto per dare modo ai nuovi imprenditori di creare soluzioni sempre migliori e comprendere fino a che punto le potenzialità del finanziamento dal basso possano arrivare, ma bisogna sicuramente considerare che le modalità imprenditoriali sono molto diverse oltre oceano. Anche se oggi sono ancora molti i progetti che non ottengono un finanziamento sulle piattaforme di crowdfunding, l’obiettivo a lungo termine di Kickstarter è di essere aperta a tutti coloro i quali hanno un’idea che valga la pena di finanziare e di vedere sul mercato. Il crowdfunding è la risposta ideale per capire esattamente se il pubblico desidera o ha bisogna del prodotto che gli si sta proponendo. La ricerca di mercato, preceduta dallo studio di mercato, è alla base di ogni prodotto di successo. Si può dire che il crowdfunding funziona come un vero e prorio test pre-investimento per cui il prodotto verrà alla fine finanziato solo se vi sarà un feedback positivo da parte del pubblico che avrà contribuito non solo a livello economico, ma anche con pubblicità e passaparola. La vera novità di questo nuovo modello di finanziamento sta proprio nel dare la certezza all’imprenditore di produrre un prodotto che è già stato venduto, avendo la possibilità di gestire al meglio le fasi di realizzazione e di distribuzione con la sicurezza del capitale di investimento e di guadagno. Il caso dell’orologio Pebble, che ha superato i dieci milioni di dollari raccolti, dimostra che questo tipo di piattaforme non è una moda di passaggio ma un vero e proprio modello che 105 – I TRADIZIONALI sta crescendo esponenzialmente negli anni. Una delle caratteristiche più belle delle piattaforme di crowdfunding è che si può dare la possibilità a singoli individui di finanziare qualunque tipo di idea senza incorrere in grandi società che cercano di ricavarne grandi profitti o senza dover restituire eventuali interessi per un prestito ad una banca. In questo modo stanno aumentando le idee e la determinazione nelle persone di creare nuove imprese che altrimenti non avrebbero mai visto la luce a causa della mancanza di disponibilità economica. 106 – I TRADIZIONALI 3.6 IL CASO DELL’insalata di patate IMG 59 Crowdfunding dell’insalata di patate su Kickstarter, 2014 La campagna di un ragazzo dell’Ohio, Zack Brown, prima dell’Estate 2014 ha lanciato su Kisckstarter una raccolta fondi un po’ insolita: dieci dollari per preparare un’insalata di patate. Inutile dire che l’impresa è risultata un po’ geniale e un po’ una barzelletta. Il giovane Zack, infatti, ha scatenato talmente tanta attenzione nei suoi confronti che alla fine è riuscito a raccogliere ben 55 mila dollari. La causa di ciò che si è verificato sta nella decisione di Kickstarter di ridimensionare le regole e, ormai, è possibile finanziare quasi tutto, ad eccezione dei prodotti illegali o di beneficienza in senzo stretto. In questo modo, la piattaforma presto si presenterà più “amichevole e semplice” e premierà chi ha metodo e merito. Oggi, chiunque può lanciare la propria campagna con l’opzione “Launch now” e finire direttamente in rete, senza dovere passare eccessivi controlli. Il risultato? Ci si sta sempre più avvicinando al web di intrattenimento dove chi, come Zack Brown, sa costruire una storia dietro al nulla riuscirà ad ottenere i finanziamenti. 107 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #6 PRIMO / MATTEO LOGLIO / Kickstarter (57) Intervista svolta su Skype IMG 60 Matteo Loglio e il suo socio. Com’è nata l’idea di Primo? Puoi raccontarmi il progetto(57)? Il progetto Primo inizialmente era diverso perché è nato in università durante un corso in cui bisognava aiutare i bambini ad avvicinarsi alla programmazione, creando un prototipo funzionante sotto la guida del Professore Massimo Banzi. Oggi Primo è un’interfaccia fisica di programmazione che non richiede competenze linguistiche ed è rivolto ai bambini comrpesi nella fascia di età tra i 4 e i 7 anni. Scrivendo semplici algoritmi per controllare un piccolo robot di legno, i bambini imparano le basi della logica della programmazione, il tutto senza alcuno schermo. Il prodotto di ispira alla programmazione Logo ed è un set di gioco composto da Cubetto (un piccolo robot), una console e una serie di blocchi di istruzioni che vengono inseriti all’interno di una griglia per creare una coda di comandi che muovono Cubetto in base al percorso scelto. Un bambino quindi inserendo la lista di comandi, attraverso i blocchi, scrive la sua prima linea di codice; ciò è possibile perché Primo si concentra su concetti di astrazione utilizzando la coda visiva dei comandi che vengono inseriti all’interno della console. Il prodotto e i suoi componenti sono realizzati in legno di pioppo, materiale neutrale e tattile e, oltre al set, viene fornito anche un piccolo libretto delle istruzioni con esempi e obiettivi da raggiungere. Che tipo di esperienza avevi quando hai cominciato il progetto? Mi occupo di interaction design e ho collaborato presso le Officine Arduino mentre Filippo Yacob è diventato il mio 108 – I TRADIZIONALI partner un anno dopo aver presentato il progetto in Accademia e dopo averlo inserito nel portfolio. È stato lui a convincermi a credere nella mia idea, a spingermi di migliorarlo e di provare a lanciare una campagna di crowdfunding. Abbiamo creato assieme una società a Londra con l’obiettivo di permettere ai bambini di giocare con gli oggetti di casa, blocchi e robot che insegnano loro a essere creativi e a usare IMG 61 & 62 Primo, progetto di Matteo Loglio lanciato con una campagna su Kickstarter. l’immaginazione. Cubetto e la console sono pensati per durare a lungo, seguendo il bambino durante la fase di sviluppo delle capacità e delle competenze. Come il bambino, anche Cubetto diventa grande e aumenta le sue potenzialità, facendosi aiutare da un computer più evoluto o da un’app installata su smartphone e/o tablet. Vogliamo creare prodotti hardware e software per facilitare l’apprendimento dei bambini di età prescolare e non no, con particolare attenzione alle scienze e alla tecnologia. Primo rappresenta il primo prodotto della società e per lanciarlo lo abbiamo presentato tramite Kickstarter. Quali sono i motivi che vi hanno spinto a scegliere Kickstarter? E come vi siete preparati al lancio? Abbiamo scelto Kickstarter perché è la Signora delle piattaforme di crowdfunding. Oltre ad essere la più 109 – I TRADIZIONALI IMG 63 Primo, progetto di Matteo Loglio lanciato con una campagna su Kickstarter. conosciuta, è la piattaforma con un maggiore bacino di utenza e volevamo essere sicuri di ottenere la massima visibilità possibile. Il nostro scopo era quello di raggiungere il goal monetario proposto e Kickstarter ci è sembrata l’unica via “sicura”. Come ben saprai, per lanciare un progetto su Kickstarter bisogna essere residenti in America, Canada o Gran Bretagna ma, per fortuna, il mio socio Filippo era già residente a Londra quindi abbiamo deciso di aprire la società. Prima del lancio abbiamo preparato un video e ci siamo concentrati sul business plan per calcolare precisamente quanto richiedere per la campagna. Come vi siete mossi durante la campagna? Durante l’intervallo di tempo disponibile per Primo, ci siamo dedicati interamente alla campagna postando continuamente degli aggiornamenti sulla pagina di face book e di twitter e ci siamo affidati ad un’agenzia PR che ha lavorato per noi per essere sempre attivi sui social e presentu su blog e riviste. Abbiamo fatto davvero di tutto per far rumore. Una volta vinta la campagna, che cosa è successo? Avete cambiato il prodotto? Avete riscontrato delle problematiche? Siamo riusciti ad ottenere trentacique mila sterline e, seguendo la filosofia dei nostri sostenitori, Primo sarà completamente open-source; ciò significa che metteremo a disposizione tutta la documentazione necessaria per costruire una versione a basso costo di primo liberamente disponibile sul sito con tutti i codici, i disegni e le istruzioni. In fase progettuale, prototipazione e validazione abbiamo riscontrato alcune problematiche ma le vere difficoltà le abbiamo dovute affrontare al momento di produzione, soprattutto nella fase di manufacturing per le parti meccaniche e la logistica in generale. Abbiamo, infatti, realizzare una scheda elettronica ad hoc, settare la 110 – I TRADIZIONALI produzione industriale e abbiamo fatto in modo che le aziende spediscano direttamente ai clienti senza dover passare dal nostro studio. Penso che siano ostacoli abbastanza comuni di chi si è trovato nella nostra situazione. Come gestite la distribuzione e a che tipo di canali vi affidate? Per noi è molto facile vendere online direttamente dal sito, mentre i contatti dei distributori e delle scuole le abbiamo ricevuti durante la campagna di crowdfunding e le pubblicazioni. Sono nate delle collaborazioni grazie alla campagna? Ci hanno contattato in molti e abbiamo costruito un network molto fitto, parlo soprattutto di collaborazioni commerciali e a livello distributivo o di servizi e marketing. Cosa ne pensi in generale del crowdfunding? Penso che sia un’opportunità molto interessante. Nel nostro caso è stato anche un mezzo molto utile per comprendere il feedback da parte del mercato, se piace, se la gente è disposta a comprarlo e, soprattutto, abbiamo ascoltato i consigli degli utenti. Inutile dire che vi sono degli interessi secondari, serve per farsi finanziare e vendere. 111 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #7 THINGK / UMBERTO TOLINO / Indiegogo (58) Intervista svolta dal vivo IMG 64 Thingk, Gkilo (bilancia) e Clogk (timer-orologio) Thingk è un brand che usa materiali naturali e che ha l’obiettivo di realizzare prodotti con i quali è possibile interagire. Le tipologie di prodotti che avete realizzato per la campagna di crowdfunding sulla piattaforma di Indiegogo sono due: Gkilo e Clogk. Di che si tratta e qual è secondo te il loro punto di forza(58)? Gkilo è una bilancia per cucina intelligente, dove l’orientamento dà la funzione all’oggetto che si trasforma in orologio se posizionato a faccia in giù. Grazie al wireless Gkilo interagisce con gli altri prodotti (Clogk) e un’applicazione per smartphone e tablet. L’applicazione permette di scegliere il cibo che si vuole cucinare e imposta un timer, indicando il tempo di cottura ottimale. Clogk è un timer-orologio con due sensori tattili poiché in base al tocco l’utente può scegliere che funzione dell’oggetto sfruttare: il tocco sul lato destro permette di switchare da una funzione all’altra, il tocco sul lato sinistro imposta un orario o il timer. Dal legno appare un display a led e, come con Gkilo, il wireless riesce a creare una comunicazione tra gli oggetti della linea Thingk. Uno degli aspetti più importanti, il punto di forza, è che gli oggetti aperti e opensource che abbiamo progettato danno gratificazione all’utente e che presentano un design curato. Come è costituito il vostro team? Siamo in cinque ed ognuno ha un ruolo fondamentale all’interno del gruppo: Stefano è il team leader, lavora con la tecnologia ed è coautore di fablabitalia.it e cofondatorei di makeinitali.org; Domenico è uno sviluppatore di web e app per smartphone e Andrea è un ingegnere elettronico specializzato in optoelettronica e Arduino; anche Giuseppe è un ingegnere elettronico e dei sistemi esperto in PCB, mentre io, Umberto, sono un ricercatore e un interaction designer. Come è nata l’idea? 112 – I TRADIZIONALI IMG 65 Clogk (timer-orologio) Il progetto Thingk è nato dall’analisi dei trend futuri per gli oggetti di media tecnologia; abbiamo identificato due trend generali: da un lato quelli poveri di qualità estetica, materiali scarsi e pessima ux e dall’altra parte, invece, quelli che esprimono un alta cura di dettaglio e design, l’uso di materiali naturali e che sfruttano una ux contemporanea. Abbiamo inoltre esaminato il mercato dove solo nel 2010 sono stati realizzati circa dodici miliardi e mezzo di oggetti connessi (numero che aumenta a livello esponenziale fino ad arrivare a cinquanta mila miliardi nel 20150) e, come afferma Frog Design, “la tecnologia sarà più presente, in ogni oggetto, ed emergerà un nuovo modello di interazione basato su touch, voce e gesti”. Nel 2012 avevamo realizzato un orologio celebrativo per il nuovo modello di scarpa Adidas Profi come test di flusso produttivo ed è stato esposto in cinquanta Adidas Store italiani. Un anno fa, nel 2013, abbiamo partecipato a due grandi eventi: la Maker Faire di Roma e a Polihub, incubatore del Politecnico di Milano, dove abbiamo vinto la Switch2product competition. Visto il successo del prodotto e le migliorie applicate, che hanno generato Gkilo e Clogk, abbiamo deciso di lanciare a fine Aprile del 2014 la campagna di crowdfunding sulla piattaforma Indiegogo con un goal di cinquantamila dollari. Come avete gestito la campagna? 113 – I TRADIZIONALI Per prima cosa abbiamo scelto un periodo strategico per lanciare la campagna. Aprile e Maggio, infatti, sono due mesi lontani dal periodo delle tasse, per cui la gente “poteva permettersi” di finanziare il nostro progetto, e relativamente “vicini” a Natale perché abbiamo calcolato di inviare i prodotti ai donatori per l’occasione della festività. Poi abbiamo attuato una vera e propria campagna di comunicazione per fare pubblicare il progetto in modo da ottenere visibilità e, di conseguenza, investimenti. Il primo giorno siamo stati pubblicati sul blog italiano Gizmodo – tech by design che ha scatenato un effetto duplice: da un lato abbiamo ottenuto ottomila dollari in un colpo solo, dall’altra ha dato il via ad altre pubblicazioni finché siamo stati pubblicati su wired rimanendo in homepage per due giorni. Grazie alla mossa di wired, abbiamo ottenuto circa dieci o dodicimila dollari. Ogni giorno blogger e trend setter ci pubblicavano e abbiamo ottenuto visibilità e, soprattutto, donazioni da Paesi di tutto il Mondo. Abbiamo deciso di evitare di usare i social network per scelta per poterci concentrare sugli articoli, che abbiamo ritenuto più proficui come si è poi dimostrato. Ormai sono passati più di cinque mesi dalla fine della campagna. Quali sono le tue conclusioni? Ci aspettavamo di ottenere un finanziamento più alto ma l’importante è avercela fatta. Tornando indietro forse proverei con Kickstarter perché attira un pubblico meno tecnologico e più vario. Penso, inoltre, che in generale non vale la pena produrre il prodotto ma che il crowdfunding sia un ottimo strumento di comunicazione, da sfruttare con una strategia a 360°, che permette di ottenere altri lavori e di misurarsi con il feedback del mercato. Dopo la campagna abbiamo partecipato a tantissimi eventi e fiere per incrementare i consigli e le richieste degli utenti. Il nostro prodotto è a tutti gli effetti user oriented poiché abbiamo cercato di migliorarlo continuamente e di finire l’app. In fondo abbiamo venduto la nostra filosofia, cioè un modo di progettare e il crowdfunding, che è un piedistallo a vista di tutti, ci ha permesso di ottenere il rumore e i contatti che desideravamo per trasmettere che si può realizzare un design ad hoc per i prodotti e non standardizzato. Dopo le migliorie sul vostro prodotto e la prima distribuzione, avete pensato ad una seconda produzione? Abbiamo in mente di procedere con una seconda 114 – I TRADIZIONALI IMG 66 Illustrazione vettoriale dei prodotti Thingk, una delle immagini usate per la campagna su Indiegogo. produzione che circa trentamila pezzi per fare magazzino e per realizzare circa mille pezzi abbiamo bisogno di trentacinque mila euro. È un costo che possiamo dividerci nel gruppo e che sfrutterà le possibilità che otterremo sia dalla ricerca che stiamo facendo per Telecom, che ci fornisce gratuitamente la tecnologia, sia per lo sviluppo per Whirlpool. Cosa pensi in generale del crowdfunding? Il crowdfunding è un sistema molto interessante perché nasce come finanziamento dal basso ma offre visibilità e comunicazione completamente diverse rispetto ai soliti canali. Questo sistema non solo innesca una scintilla ma è un vero e proprio biglietto da visita che vende experties. Al contrario di behance, in cui vengono pubblicati più che altro dei progetti accademici e dei concept di studenti, il crowdfunding trasmette l’idea che il prodotto è finito e pronto per essere acquistato. 115 – I TRADIZIONALI 4. CROWDF... CHE? 4.1 E in italia? (59) Dati tratti dal saggio di Daniela Castrataro e Ivana Pais, “Analisi delle piattaforme italiane di crowdfunding - aggiornamento semestrale”, promosso da Italian Crowdfunding Network, Maggio 2014 (60) Riferimento alla tesi “Analisi del mercato italiano del Crowdfunding per i progetti Business Oriented” di Edoardo Cioni, facoltà di ingegneria dei Sistemi, 2013 IMG 67 Illustrazione GettyImages sul In Italia le prime piattaforme di crowdfunding(59) hanno cominciato ad operare nel 2005, ma solo nell’ultimo anno è realmente esploso questo fenomeno. Fino alla fine del 2013 esistevano circa 27 piattaforme, mentre dopo qualche mese si è arrivati a 41 attive. Il valore totale dei progetti finanziati ammonta a 30 milioni di euro e, anche se rispetto al colosso Kickstarter sembra poco, le piattaforme sono riuscite a far finanziare ben il 35% dei progetti proposti. Nel nostro Paese si sono diffusi diversi modelli(60) di piattaforma: il più comune è il “reward-based” dove i finanziatori ottengono in cambio una ricompensa (non in denaro); al secondo posto vi è la “donation-based” dove si fanno donazioni a fondo perduto, senza ricevere nulla in cambio. Esistono, inoltre, piattaforme “lending-based”, cioè prestiti tra privati, che vengono ricompensati con un pagamenti di interessi ed è solitamente più diffuso nel caso delle start-up. Dopo diversi anni dal lancio delle prime piattaforme in Italia, si può dire che il tasso di fallimento delle campagne è ancora molto alto, soprattutto quelle che interessano un determinato territorio o realtà locale, e che i progetti più seguiti sono quelli che coinvolgono la creatività e il sociale. crowdfunding, Wired, 2014 119 – I TRADIZIONALI (61) Dati tratti da due saggi di Daniela Castrataro e Ivana Pais, “Analisi delle piattaforme italiane di crowdfunding - aggiornamento semestrale”, (I) Aprile 2013, (II) Maggio 2014, promosso da Italian Crowdfunding Network Lista descrittiva(61) delle piattaforme di crowdfunding in Italia: / Boomstarter: nasce nel Settembre 2011, proponendosi come primo progetto con una raccolta fondi di ottomila euro. È un esempio di piattaforma renard-based con modello “take-it-all”. / Com-unity: è una piattaforma donation-reward generalista di proprietà della Banca Interprovinciale Spa; è stata sviluppata da quest’ultimo in collaborazione con lo Studio SCOA, società di consulenza. È aperta a progetti di vario genere con una maggiore attenzione nei confronti degli ambiti umanitari, culturali, sociali e scientifici. È costituita da tre entità che svolgono rispettivamente un proprio ruolo: Comitato Etico (valuta i progetti verificandone la liceità), Tutor (esprime un parere vincolante sulla fattibilità dei progetti e assiste i progettisti durante il lancio), la Banca (gestisce le somme donate ai progetti). / Crowdfunding-Italia: è una piattaforma generalista, nata a Ottobre 2012. La registrazione è gratuita e non viene imposta alcuna commissione sui fondi raccolti. / DeRevolutione: è stata fondata da Roberto Esposito a Novembre 2012; consente di trasformare le idee migliori in “rivoluzioni” con lo scopo di migliorare il mondo in cui viviamo. La piattaforma accoglie campagne di crowdfunding, petizioni, raccolte firme e iniziative. / Eppela: è una piattaforma rewarded-based fondata nel 2011 da Nicola Lencioni che si è basato su un modello di business americano. Permette di finanziari progetti innovativi e creativi in vari ambiti: arte, tecnologia, cinema, design, musica, fumetto, innovazione sociale, scrittura, moda e no profit. La pubblicità che sfruttano maggiormente è l’innovazione che vogliono portare in Italia. Secondo un’intervista rilasciata alla fine del 2013, il loro punti di forza è la leadership italiana, mentre affermano che i loro punti di debolezza sono il digital che divide l’Italia e una bassa propensione delle persone ad essere degli imprenditori veri. / Kapipal: è stata fondata nel 2009 da Alberto Falossi e la piattaforma si definisce “un sito per raccogliere soldi 120 – I TRADIZIONALI online”. Essa permette di finanziare qualunque tipo di progetto, soprattutto progetti personali, come una lista nozze o una festa di compleanno. Per questo motivo, Kapipal si definisce la prima piattaforma internazionale a supportare il crowdfunding personale, senza imporre alcuna commissione sui progetti. / Produzione dal Basso (PdB): fondata nel 2005 da Angelo Rindone, è ritenuta la prima piattaforma di crowdfunding in Italia. Lo scopo principale è di “offrire uno spazio a tutti coloro che vogliono proporre il proprio progetto attraverso il sistema delle produzioni dal basso”. È una piattaforma gratuita e ogni progetto lanciato viene gestito autonomamente. / Starteed: è nata nel 2011 per mano di Claudio Bedino, ma è stata lanciato circa un anno dopo. Aiuta le persone a finanziare le proprie idee grazie al supporto finanziario e sociale della Community Starteed,integrando nel crowdfunding tutte le fasi successive dello sviluppo e della vendita del prodotto, dando la possibilità di vendere online il prodotto sul sito della piattaforma stessa. La piattaforma italiana più “vecchia” è Produzioni dal Basso, seguita dalla social-lending Smartika del 2008 e da Kapipal del 2009. Il vero primo boom è avvenuto nel 2011, per poi esplodere nel 2013-2014. In media tra l’idea e il lancio della piattaforma passa un anno e le sedi si concentrano prevalentemente al Nord Italia. 121 – I TRADIZIONALI Grafico 7 Nascita delle piattaforme di crowdfunding in Italia. / Dati tratti dal saggio di Daniela Castrataro e Ivana Pais, “Analisi delle piattaforme italiane di crowdfunding - aggiornamento semestrale”, promosso da Italian Crowdfunding Network, Maggio 2014 4.2 GENESI E MOTIVAZIONI (62) Infromazioni tratte dal saggio “Analisi delle piattaforme di crowdfunding di Daniela Castrataro e Ivana Pais in collaborazione con ICN - Italian Crowdfunding Networks Grafico 8 Distribuzione delle piattaforme di crowdfunding sul territorio italiano. Le piattaforme italiane sono nate prevalentemente dal contatto e dalla conoscenza delle esperienze straniere, specialmente americane: “a partire da un’idea di piattaforma collaborativa attorno alle idee e ai progetti, ho scoperto il crowdfunding americano e ne sono rimasto affascinato. Da subito ho compreso che poteva essere una rivoluzione, resa possibile grazie all’evoluzione social della rete, che poteva rendere possibili tanti sviluppi anche nel vecchio continente”, “Le piattaforme italiane non sono conosciute e non sono gratuite. [La nostra piattaforma] nasce esclusivamente a scopo benefico e gratuito”, “Dall’esperienza del primo social lending al mondo”, “Studiando una piattaforma straniera”(62). L’unica piattaforma italiana che si differenzia è Produzioni Dal Basso, nata con molto anticipo rispetto al resto delle piattaforme nazionali e, dal momento che nel 2005 disconosceva il termine crowdfunding, si è basata su un sistema orizzontale per sostenere le autoproduzioni. La maggior parte dei fondatori delle piattaforme di tipo rewarde-based hanno un’età inferiore ai 35 anni, ma in geneale la media varia tra i 30 e i 50 anni. Gli autori hanno un background professionale deriva dal mondo stesso delle piattaforme o dalle esperienze di comunicazione. 123 – I TRADIZIONALI Grafico 9 Valore complessivo dei progetti finanziati in base alla tipologia di piattaforma. Grafico 10 Nella pagina a fianco, in alto: modelli di crowdfunding (piattaforme attive) Grafico 11 Nella pagina a fianco, in basso: modelli di crowdfunding (piattaforme attive e in fase di Il mercato di riferimento è nazionale, ad eccezione di qualche piattaforma che si posiziona sul mercato europeo. I siti di crowdfunding italiani sono indirizzate a singole persone che possono proporre le proprie idee, ad aziende, ad associazioni e alla pubblica amministrazione. I competitor sono per lo più le altre piattaforme di crowdfunding sparse nel territorio italiano (50%) o a livello internazionale (30%), ma anche banche e finanziarie (20%). Le reti di collaborazione possono essere di diverso tipo: con altre piattaforme (italiane e non), con banche e finanziarie, con la segnalazione alle aziende di professionisti (e viceversa), con enti di formazione e associazioni. lancio) / i grafici 9, 10 e 11 fanno riferimento ai dati tratti dal saggio “Analisi delle piattaforme di crowdfunding di Daniela Castrataro e Ivana Pais in collaborazione con ICN - Italian Crowdfunding Networks, Maggio 2014 124 – I TRADIZIONALI 4.3 CRITICITà del crowdfunding in italia (63) Fonti tratte dall’articolo “Boom di crowdfunding in Italia, Denis Rizzoli, pubblicato su www.wired.it, 13 Maggio 2014 (64) Riferimento al documento “Sfruttare il potenziale del crowdfunding nell’Unione europea” definito dalla Commissione Europea, pag. 11,12 e 13, Bruxelles, 27 Marzo 2014 (65) Tratto dall’articolo “Le fatiche del crowdfunding”, di Ivana Pais, www. nuvola.corriere.it, 14 Marzo 2014 I punti deboli delle piattaforme italiane, purtroppo, sono ancora tanti. Uno dei principali, per esempio, è il quadro normativo che, oltre a essere restrittivo e poco chiaro, comporta finanziamenti ridotti e un’elevata tassazione (valido per tutti i tipi di piattaforma al di fuori di quelle no profit donationbased). Molti progettisti che decidono di lanciare un progetto con il crowdfunding non comprendono a pieno le dinamiche del finanziamento dal basso e delle strategie delle campagne. Il livello di qualità dei progetti e della presentazione delle idee è ancora molto basso. La mancanza di cultura di questo fenomeno porta i potenziali sostenitori italiani a sospettare e a diffidare delle donazioni. È difficile promuovere e diffondere il crowdfunding(64) e il lavoro delle piattaforme. Vi è un’elevata difficoltà di networking con gli addetti del settore e moltissime problematiche tecniche, soprattutto relative ai sistemi di pagamento. Se da un lato troviamo molte piattaforme che ammettono di fare poco per risolvere alcune delle difficoltà sopra citate, altre dichiarano di far conoscere il fenomeno crowdfunding, organizzando e partecipando a eventi, momenti di dibattito, incontri per promuovere la propria piattaforma e la cultura del finanziamento dal basso. La vivacità del mercato del crowdfunding sta maturando, il numero delle piattaforme continua a crescere e si nota uno sforzo verso la diversificazione, la specializzazione e la localizzazione. Il mercato è ancora però immaturo a causa della mancanza della conoscenza del fenomeno da parte della folla che dovrebbe essere la sua prima promotrice e i fondi raccolti sono di bassa entità. La scarsa partecipazione del pubblico potrebbe derivare dal divario tra l’expertise dei fondatori delle piattaforme e lo sviluppo della cultura web nel nostro Paese(65), frenato da un ritardo tecnologico latente. Inoltre, è stato riscontrato che le iniziative che seguono una moda o un trend specifico, come nel caso delle piattaforme crowdfunding DIY (Do-It-Yourself), aumentano e ottengono molto successo e non si riesce a comprendere la causa di questa tendenza. Forse la motivazione più valida risiede nella diffidenza del progettista ad affidarsi a piattaforme italiane, preferendo quelle straniere come Indiegogo e Kickstarter, poiché oltre alle criticità sopra elencate si limitano al territorio nazionale. 126 – I TRADIZIONALI 4.4 perchè un’azienda dovrebbe fare un crowdfunding? IL CASO NATEVO (66) Tratto da www.natevo.com (67) Articolo “Natevo al Salone”, pubblicato su www.domusweb, 17 Aprile 2013 IMG 68 Schizzi di Lucciola, progetto di DoroDesign per Natevo Natevo(66), il nuovo marchio creato da Flou, durante il Salone dello scorso anno ha lanciato il “concorso di idee” in cui invita designer di tutto il mondo a progettare mobili luminosi. I migliori progetti selezionati vengono prototipati e proposti al pubblico direttamente su Internet per essere sponsorizzati. In questo modo la Rete viene usata come strumento per selezionare i prodotti migliori e che hanno un feedback positivo. Il Presidente di Flou afferma(67) che “il crowdfunding rappresenta un’opportunità per il mondo del design, anche in termini ecologici”. La scelta è ricaduta su un mobile luminoso, anche se rappresenta un tema progettuale molto complesso, perché è un tema nuovo ed una sorta di sfida per un designer per trovare nuove soluzioni per illuminare la casa. “L’uso dei mobili luminosi - come viene definito dall’Università di Genovaun sistema ecologico che diminuisce i materiali e l’impianto elettrico risulta più semplificato. Il prodotto, oltre alla componente iconologica, si carica così di una forte dimensione emozionale”. Il crowdfunding è stato scelto per riuscire a accedere a migliori idee e per creare nuovi contatti con l’azienda e, al contrario di un concorso, permette a idee di qualità di arrivare in un tempo non predefinito, augurando così una crescita costante. Questa modalità permette anche di avere un riscontro immediato con i futuri compratori e permette alla nuova azienda di capire se vale la pena produrre o meno un prodotto. Il processo di “sponsorizzazione” permette di aumentare la proposta del catalogo e sarà poi il mercato a decidere se ne ha bisogno o meno. Nel caso in cui il crowdfunding non ha successo, i soldi provenienti dai finanziatori, e che erano stati bloccati durante la fase di sponsorizzazione, tornato indietro; se, al contrario, si raggiunge il goal la cifra viene prelevata in 127 – I TRADIZIONALI cambio della ricompensa promessa/scelta. Le ricompense possono essere di qualunque genere (gadget per la maggior parte) ma ciò che ha veramente successo è la formula che permette al finanziatore di poter acquistare un pezzzo della pre-serie. Massimiliano Messina, dopo qualche mese dal lancio della sponsorizzazione, afferma che sette prodotti su undici sono riusciti ad ottenere il finanziamento, creando una sorta di “selezione naturale”. Al contrario di Kickstarter, la maggiore comunicazione e pubblicizzazione del prodotto non avviene attraverso il web ma l’azienda permette alle persone di vedere dal vivo, durante eventi come il Salone o presso i Natevo Lab o altri showroom, gli oggetti. Natevo rappresenta un primo esempio di uno sviluppo prodotto diverso rispetto alla tradizione, permettendo ai designer di esprimere al meglio le proprie idee e di mettersi in gioco. 128 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #7 NATEvo / Massimiliano messina (68) Intervista svolta via mail IMG 69 Massimiliano Messina nello showroom Natevo Come è nata l’idea di Natevo(68)? E’ nata due anni fa, da una costola di FLOU. L’idea era di formare una collezione “in progress” di mobili dotati internamente di led decorativi ma soprattutto funzionali, in grado di illuminare autonomamente l’ambiente, eliminando lampadari e altri corpi illuminanti. Un progetto fortemente innovativo anche nei processi di progettazione, produzione e distribuzione. Cosa ne pensi in generale del crowdfunding? Ne pensiamo così bene che è la formula con cui è partito Natevo. Per la prima volta architetti e designer, ma anche studenti o semplici appassionati di design, hanno l’opportunità di progettare mobili con queste caratteristiche (in pratica “mobili lampada”) e sottoporli al sito www. natevo.com. Come mai Natevo ha scelto di rivolgersi al crowdfunding? Il nostro più che un crowdfunding è un crowdsourcing, ci è sembrato un buon modo per aprirci a ricevere le idee migliori dovunque esse nascano, siano esse vicine o lontane dall’azienda. Che tipo di selezione di progettisti e progetti viene fatta all’interno di Natevo? La partecipazione è libera a chiunque, e la scelta viene fatta da un’apposita Commissione che si riunisce periodicamente per decidere se di quel progetto si realizzerà il prototipo. Una volta messo in rete, se non passerà il traguardo fissato, verrà regalato al progettista. Qual è il target? Il target degli acquirenti è medio, medio-alto, ma ciò dipende anche dalla tipologia del prodotto. Nel caso di alcuni prodotti che hanno raggiunto il feedback positivo da parte del mercato durante la campagna di crowdfunding, avete riscontrato problematiche in fase di produzione che in prototipazione non si erano verificati? Finora non abbiamo riscontrato problemi, anche per il buon 129 – I TRADIZIONALI IMG 70 Schizzo di Lucciola, progetto di DoroDesign per Natevo rapporto collaborativo che si viene a creare tra il nostro Centro Ricerche e il progettista. Che tipo di pubblicità - canali - eventi prediligete per la visibilità durante la campagna di crowdfunding? Trattandosi di un’idea che non ha riscontri nel panorama delle aziende di design, abbiamo iniziato con presentazioni e mostre presso facoltà di architettura e ingegneria di varie Università italiane. Quanto alla distribuzione, abbiamo trovato grande disponibilità da parte dei rivenditori Flou più sensibili all’innovazione, che hanno dedicato alla collezione Natevo spazi riservati nei loro showroom. A breve inizieremo con una campagna limitatamente alle riviste di design. È capitato che Natevo credesse tanto in un progetto che poi non ha avuto lo stesso riscontro da parte del pubblico o viceversa? Verifichiamo con soddisfazione che Natevo è seguita con entusiasmo, lo stesso che ci ha animati fin dall’inizio, e questo ci fa guardare al futuro con ottimismo. Anche se va messo in conto che perché un’idea tanto rivoluzionaria abbia succei tempi non sono brevi. In generale quali pensi che siano i punti di forza e di debolezza di questa iniziativa? Il punto di forza è nei mobili che illuminano autonomamente e e nella riduzione dei costi energetici. Altro punto di forza sono i vantaggi economici ed ecologici nella progettazione e costruzione di edifici nuovi o da ristrutturare (soprattutto nei centri storici, vincolati dalle Belle Arti) in quanto si eliminano interventi demolitori sui muri e non è necessario installare punti luce a parete o tracciati elettrici. Lo vediamo come un progetto ad alto tasso etico, quasi una missione di impegno sociale. Il punto di debolezza risiede nell’abbinamento che i consumatori fanno del crowdfunding con persone che 130 – I TRADIZIONALI partono da zero e cercano soldi per realizzare le loro idee, mentre noi siamo un’azienda che usa la sponsorizzazione dopo aver già realizzato il prodotto per sapere se piace ai potenziali clienti. A breve probabilmente sostituiremo al parte sponsorizzazione con mostre sul territorio, quella che realizzammo durante l’ultimo Salone del Mobile ha avuto 3.000 visitatori in una settimana; pensiamo che le mostre raggiungano meglio lo scopo di sapere se i clienti sono interessati ad acquistare i nuovi prodotti, ed invece manterremo il crowdsourcing , cioè continuiamo ad accogliere i progetti realizzare nel nostro sito internet e dalle varie collaborazioni universitarie che abbiamo in essere. IMG 71 Lucciola, progetto di DoroDesign per Natevo 131 – I TRADIZIONALI 4.5 #milancut: In italia i designer emergenti scelgono il crowdfunding? (69) Riferimento all’articolo “Ecco il crowdfunding che finanzia i designer”, Valentina Ravizza, www. nuvola.corriere.it, 10 Novembre 2013 Mark Studholme, architetto olandese e direttore della rivista online Archello.com, assieme alla sua collega imprenditrice Suzan Claesen ha avviato una nuova piattaforma dedicata esclusivamente al mondo del design, CrowdyHouse. L’idea è nata dalla domanda: “perché un designer emergente dovrebbe portare i propri prodotti a Milano, stare al salone del mobile per un’intera settimana cercando di convincere qualcuno a comprarli e produrli, per poi ricevere solo il cinque per cento del prezzo finale?” Questa riflessione è nata qualche anno fa da una discussione nata sul social Twitter sotto l’ashtag #milancut(69) dove, alla fine, qualcuno suggerì che è più conveniente per i giovani designer produrre autonomamente il proprio prodotto divenendo loro stessi rappresentanti del brand. La verità è che il sistema dei diritti d’autore funziona molto bene per chi è famoso e può avere un certo controllo sull’azione dell’azienda, cosa che non si verifica nel caso in cui un giovane e fortunato designer riesce a inserirsi ma ne viene completamente “risucchiato” e sfruttato. L’idea della nuova piattaforma è di ricompensare i sostenitori che non fanno semplici donazioni con gadget di poco valore ma ti coinvolgerli nel sistema trasformandoli in veri e propri buyer dei prodotti di cui si interessano. Le parole chiave sono design democratico e onesto e che dia la possibilità di realizzare edizioni limitate in modo che tutti abbiano la possibilità di avere un piano di produzione nel rispetto dei tempi da rispettare di tutte le fasi successive alla campagna. 132 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #8 TANIA DA CRUZ (70) Intervista via telefono IMG 72 Tania Da Cruz fotografata presso il suo stand al Salone Satellite 2013 Tania, puoi parlarmi della tua esperienza di crowdfunding(70)? Due anni fa ho intrapreso una sorta di “crowdfunding fai da te”. L’obiettivo era quello di riuscire a finanziare la partecipazione al Salone Satellite 2013 per cui dovevo pagare circa 2500 euro (iva esclusa) per lo spazio. Non avendo i soldi, ho deciso di scendere letteralmente per strada a chiedere un aiuto alle persone che incontravo. L’iniziativa è stata chiamata “Design my way” ed ho creato una pagina facebook per la comunicazione. Sono andata in giro per Milano con addosso un cartello che riportava la frase “congratulazioni sei il mio sponsor ufficiale!” e semplicemente chiedevo alle persone una piccola donazione a piacere dopo aver esposto la mia causa; in cambio ogni sera pubblicavo la foto fatta con il mio iphone che catturava il momento della donazione del mio finananziatore. Il tutto secondo lo schema: quota / donazione > ufficializzazione tramite foto > pubblicazione su facebbok / ringraziamento Sei riuscita nel tuo intento, cioè a pagarti lo spazio al Salone Satellite? Nove persone su dieci mi hanno sostenuta, anche semplicemente donandomi un euro e, grazie al loro aiuto, sono riuscita a pagarmi lo spazio per lo Stand al Salone Satellite. Non avrei mai creduto di farcela! Per lo stand e l’allestimento, invece, ho “rotto le scatole” alle aziende finché, grazie alla mia testardaggine e al mio coinvolgimento, sono riuscita a trovare uno sponsor che ha anche pagato per la realizzazione dei prototipi. In questo modo sono riuscita ho avuto la possibilità di vincere l’edizione del Salone Satellite del 2013 a spese pari a zero. Cosa ne pensi in generale del crowdfunding? Condivido idealmente questo sistema ma non riesco a comprenderne a pieno le dinamiche. Ho notato che la 133 – I TRADIZIONALI IMG 73 Foto pubblicata su Facebook da Tania da Cruz per ringraziare i suoi sostenitori maggior parte dei progettisti che lanciano una campagna di questo tipo propongo semplicemente un concept e qualche render, il tutto ovviamente ben presentato e “impacchettato”. Il dubbio che mi è sorto è quindi: “fanno il crwodfunding per pagarsi il prototipo?” Penso che se il progetto riesce ad avere successo, cioè a raggiungere il goal monetario, può essere anche un’arma a doppio taglio e un’illusione (che a volte non si concretizza) sotto molti aspetti. Non metto in dubbio però che sia un buon mezzo per trovare contatti e nuovi collegamenti ma ciò che veramente conta è il progetto che c’è alla base e la voglia di farcela. Molto probabilmente il crowdfunding è da un lato una “moda” del momento e dall’altra un mezzo che la società mediatica ha messo a disposizione ma che, purtroppo, non basta se non c’è una grande forza di volontà che mette in moto e sfrutta altre dinamiche. Il crowdfunding, inoltre, in Italia non può funzionare perché non ci sono soldi. Negli Stati Uniti ha un ottimo riscontro perché fondamentalmente le persone vivono su internet e hanno una grande attività online. Cosa ne pensi dell’autoproduzione? Hai provato a vendere i tuoi prodotti da sola? Mi sono informata per auto produrre e vendere autonomamente i miei prodotti ma le leggi in Italia sono stupide e non è sostenibile. Vendere non è il mio obiettivo principale e non ci sono agevolazioni che vengono incontro a questo tipo di sistema: se si vende in italia con una partita iva come quella di un progettista bisogna pagare circa il 60% di tasse. O si fa il progettista o si fa l’imprenditore. Come cerci di dare visibilità ai tuoi progetti e che canali sfrutti? Invio sempre il press kit ai giornalisti cercandoli all’interno del colophon delle riviste che mi interessano. Poi attuo una evra e propria campagna di “spam” tra magazine e blog online… insomma, “tutto fa brodo”! 134 – I TRADIZIONALI 4.6 EPPELA (71) Tratto da www.eppela.com Eppela(71) è una piattaforma online di crowdfunding, reward-based generalista, che dà la possibilità ai propri utenti di condividere un progetto con la propria rete di fruitori per ottenere un finanziamento per riuscire a realizzarlo. Nasce in Italia, a Lucca nel Giugno 2011, sulla base di un modello di business americanom ed è la prima piattaforma italiana che dà la possibilità di testare il riscontro del mercato ad un prodotto/progetto senza spendere denaro: ha già finanziato diversi progetti con un sistema molto simile a Kickstarter. Il fondatore del portale è Nicola Lencioni che ha raccolto da solo dodicimila euro per sostenere la sua iniziativa e, nonostante egli affermi che per i prossimi due anni probabilmente Eppela non avrà dei ricavi, punta al mercato europeo. In Europa esistono realtà simili in Francia, Spagna e in Germania mentre in Inghilterra sono distanti da questa visione per la quale il crowdfunding è una risorsa per il proprio Paese in un momento di grande difficoltà. L’idea del progetto è nata leggendo un articolo su Kickstarter a seguito del quale Lencioni ha pensato di voler dare le stesse opportunità ai giovani italiani in una situazione in cui le banche e le imprese non sono disposte facilmente a investire il proprio denaro. Il team dietro Eppela è composto da otto persone guidate e seguita dal fondatore: project menager, web designer, customer care e sviluppatori. La piattaforma è indirizzata a diversi settori: arte, scrittura, videomaker, design e tecnologia. Lo scopo è quello di trovare dei fondi per supportare la propria idea per dar vita ad una startup o ad un’attività imprenditoriale. Eppela, come Kickstarter, si basa sull’intento di trovare un “finanziamento dal basso” in cui più figure contribuiscono e supportano un progetto ottenendo in cambio dal progettista un’esperienza e/o una ricompensa di tipo materiale, mai un guadagno monetario. In questo modo, la sfera della progettazione e della nuova imprenditoria si fondono e credono insieme in un progetto più ampio di co-creazione e co-sostentamento. Il sito è gestito da un team che aiuta il progettista a definire le eventuali ricompense dei sostenitori in base ai rispettivi fondi; il team, inoltre, promuove e sostiene l’idea attraverso una fitta rete di contatti e una campagna pubblicitaria che prova a dare una determinata visibilità al progetto al fine di raggiungere il budget richiesto. Una volta raggiunto l’obiettivo entro la data di scadenza, il progettista può prelevare le offerte ai sostenitori e poi procedere alle corrispettive ricompense in funzione 135 – I TRADIZIONALI dell’ammontare di denaro messo a disposizione. Eppela trattiene come commissione il 5% della cifra raccolta solo ed esclusivamente nel caso in cui il progetto raggiunge il traguardo. Il progettista che si rivolge ad Eppela deve iscriversi al sito e inviare al team della piattaforma tutti i dettagli dell’idea, definendo il budget utile ed una scadenza. Dopo aver determinato le ricompense per ogni sostenitore, viene creato il progetto (titolo, immagine, video, racconto autobiografico) e si passa alla promozione coinvolgendo il network. I progetti inviati vengono selezionati su un criterio di fattibilità. Eppela, inoltre, si occupa di un blog in cui vengono giornalmente pubblicati argomenti e informazioni riguardanti le startup, gli eventi e la cultura del crowdfunding, sottolineando l’intento innovativo del sito e del design. Il portale si basa su una comunicazione tramite passaparola e social network, soprattutto Facebook. Eppela è una comunità di più di 17.000 persone e ovviamente è anche compito del progettista promuovere la propria iniziativa attraverso la strada gratuita dei social network. Il sito punta ad avere una grossa capienza di utenti che porta visibilità e tra gli obiettivi nuovi vi è anche l’idea di dare la possibilità di offrire consulenza alle aziende che desiderano affacciarsi al mondo del crowdfunding. Una delle più grandi difficoltà di Eppela è legata a due problemi riguardanti il crowdfunding in Italia: la comprensione del termine stesso e la diffidenza nei confronti delle donazioni. Inoltre durante l’intervista Nicola Lencioni ha affermato che in Italia si nota una bassa propensione delle persone ad essere veri imprenditori. In una visione ottimistica, si pensa che nei prossimi cinque anni, grazie ad una campagna “educativa”delle piattaforme italiane, il crowdfunding possa diventare una nuova leva di marketing ed uno strumento efficace per le aziende. 136 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #9 STUDIO LIEVITO / FRANCESCO (72) Intervista svolta via mail IMG 74 StudioLievito Come è organizzato il team di Studio Lievito e che tipo di esperienza avete? Come è nato il progetto? Studio Lievito è frutto di un’accurata ricerca di passioni comuni, una prima di tutte: la voglia di lavorare insieme. Siamo tre distinte personalità legate però da tratti comuni: la passione per la sfida, la ricerca del nuovo, il rispetto per la materia e la qualità come elemento di ogni progetto. Jacopo Volpi, un accento ligure anche se ligure non è, viene da Carrara, ama cucinare, la buona musica e andare su una bicicletta costruita con le sue mani. Francesco Taviani, é l’anima nostalgica ma dallo spirito imprenditoriale del gruppo, ama collezionare antichi giochi in scatola, ed infine Laura Passalacqua nata a Fiesole, instancabile divoratrice di mostre d’arte, odia il sughero e il mare. Siamo tre Toscani che in tempo di crisi decidono di scommettere sulla loro terra ancora piena di risorse e di abili artigiani. Ci formiamo tra Firenze e Milano nella stessa Università conoscendoci progettualmente durante numerosi ed animati workshop. Dopo aver terminato gli Studi Accademici ed esserci arricchiti con alcuni anni di esperienze lavorative, decidiamo di aprire lo Studio. Può sembrare strano aprire un’attività simile in una cittàd’impronta rinascimentale come il capoluogo fiorentino: non sarà come lavorare a Milano circondata dalle sue numerose fabbriche o come vivere nella capitale della creatività parigina; ma la nostra città ci sta dando un grande supporto, ed in particolare con gli artigiani e le aziende locali si è istaurato un ottimo rapporto. All’interno del team come sono suddivisi i ruoli? Lo Studio ha le stesse necessità di una vera e propria azienda quindi ognuno di noi svolge delle precise mansioni (commerciali, amministrative, tecniche) ma tutti e tre partecipiamo alla fase creativa di qualsiasi progetto confrontandoci continuamente per affinare il progetto finale. Perché il Lievito, cosa rappresenta per voi questo 137 – I TRADIZIONALI IMG 75 & 76 Type, dosa spaghetti, disegnato da StudioLievito ingrediente nella vita e nel lavoro? Il Lievito rappresenta e descrive molto di noi: “quanto serve ad alimentare il diffondersi di uno stato d’animo o di un’idea”. Quella ‘reazione inarrestabile’ che questa sostanza innesca tra ingredienti apparentemente inerti é ciò che per noi significa progettare. Creare infiniti link, rimandi tra forme e materiali fino a fondersi in un’amalgama perfetta. Nell’arte culinaria non basta seguire gli appunti di una ricetta: gli ingredienti ci mettono sempre del proprio. Perché uno più uno non restituisca due, ma almeno tre. Riprendendo l’idea del lievito, qual è il vostro rapporto con il passato per mezzo dell’artigianalità? Ci piace definire Studio Lievito come cerniera tra passato e futuro. Il recupero della maestria artigiana ispira molti dei nostri progetti, che non possono però vivere se non sostenuti dalla produzione industriale. Rifinire a mano la produzione seriale, assemblare in serie pezzi unici per rispondere all’urgenza di un design slow, ma al passo con le logiche del mercato contemporaneo. In che modo avviene il vostro processo creativo e come perseguite la vostra volontà di voler rendere unico ognuno dei vostri lavori, quale ingrediente, quale valore aggiunto è 138 – I TRADIZIONALI IMG 76 il vostro? Ci piace molto valorizzare la qualità, l’originalità,l’interpr etazione. Lavoriamo componendo principalmente forme primarie dove l’intervento ‘stilistico’ é ridotto al minimo, nel rispetto dell’identità dell’archetipo che trattiamo di volta in volta. Ciò che da un’identità particolare ai nostri progetti é la materia: dalla pietra serena al marmo, dalla porcellana al vetro, dal legno al ferro, impieghiamo tutti materiali del nostro territorio. La cucina ci influenza a tal punto da indurci a confrontarci spesso con il disegno di questo ambiente quotidiano. La preparazione e la consumazione del cibo sono pratiche primordiali, e costituiscono un interessante condensato dei caratteri propri di ogni cultura. Progettare strumenti atti a svolgere questi processi significa instaurare un contatto ‘intimo’ con l’utilizzatore. I nostri progetti cercano di costruire un alfabeto privato fatto di forme e materie, che chiede un’attiva partecipazione dell’utente per essere compreso: la sua curiosità prima di tutto. Oggetti che spiegano se stessi soltanto se utilizzati, anche impropriamente! Cos’è per voi il design? Progettare per noi significa coltivare una ‘piccola ecologia esistenziale’. Cercare di annullare ogni sorta di gerarchia tra gli elementi; il design non crea vinti né vincitori e non apre conflitti d’interesse. Gli elementi in gioco finiscono piuttosto con pacificarsi a vicenda in un mutuo riconoscimento. In che modo il design di oggi si rapporta con la quotidianità pur derivando spesso da un processo creativo e realizzativo sempre più complesso? Design è sempre sinonimo di innovazione? Il design é il primo responsabile del buon 139 – I TRADIZIONALI IMG 77 Bigliettino inserito nel packaging di Type, dosa spaghetti, disegnato da StudioLievito esito delle nostre attività quotidiane: la complessità della progettazione di un oggetto o strumento deve risolversi per l’utilizzatore in una percepita immediatezza d’utilizzo, pena la mancata performance dell’oggetto! Quali sono le difficoltà per un designer nel panorama artistico italiano in questo determinato periodo storico? La difficoltà che si trova ad affrontare chi si occupa di progettazione è la medesima incontrata da aziende e produttori. La crisi é però anche motivo di ricerca di nuove opportunità, é necessario teorizzare e costruire differenti modalità di produzione in cui il designer ricopre ruoli differenti e si inserisce nel processo produttivo a più livelli. In questo panorama ci troviamo a mettere in discussione continuamente il nostro lavoro, che viene ‘disegnato su misura’ di volta. Nei nostriprogetti ci affidiamo agli artigiani perché sono il vero futuro del nostro paese. Pensiamo che non possa esistere una industria competitiva e organizzata se dietro le quinte non ci sono saperi artigiani in grado di plasmare la materia. Siamo infatti da sempre affascinati dall’attraversare il confine rigido ed allo stesso tempo labile tra artigianato e produzione industriale, condensando i pregi di entrambe nei propri progetti. Cosa suggerite a chi, come voi, ha deciso di investire la propria vita nella creatività? Sicuramente é necessario investire nella creatività, nel design come nell’arte, al fine di ricostruire l’identità culturale del nostro paese. L’arte é la massima espressione delle capacità cognitive umane, é sarà la chiave per uscire dal periodo storico difficile che stiamo attraversando. Vi siete confrontati con il tema dell’autoproduzione, come è nata l’idea del dosaspaghetti?Come avete gestito la 140 – I TRADIZIONALI campagna (prima, mentre e dopo?) La prima autoproduzione che abbiamo realizzato, tramite l’aiuto di Eppela, una piattaforma di crowdfunding italiana, é un dosaspaghetti in marmo che abbiamo chiamato Type, ricordando nella sua forma un carattere mobile da stampa. Abbiamo gestito tutte le fasi di promozione dagli scatti fotografici, al video per I social network fino all’imballo. Il lavoro è stato molto complicato ma Eppela facendoci da cassa di risonanza ci ha aiutato a far conoscere il progetto a livello nazionale e non solo. Type trasforma un’azione quotidiana in qualcosa di più, omaggiando una delle varietà più caratteristiche della pasta italiana. Lavorando spesso con gli oggetti per la cucina, il dosaspaghetti è stata una tappa obbligata per noi. Avevamo in mente di creare uno strumento semplice, utile ed allo stesso tempo iconico. Ci piace molto l’idea di “dosare” le materie prime in qualsiasi campo si lavori, analizzando i passaggi di ogni operazione allo scopo di individuare i nodi superflui e gli eccessivi scarti: dalla cucina all’industria, dall’agricoltura alla politica. Il “saper dosare” le risorse risulta un’azione preziosa a nostro avviso in particolare nel periodo economico che stiamo attraversando. La scelta del marmo è stata naturale, questo materiale descrive l’area dove viviamo e dove vogliamo lavorare ed esprime pienamente l’identità di Studio Lievito, che si costruisce a cavallo tra passato e futuro. Il punto di forza di type? non siamo noi a doverlo dire, ci piace soltanto ricordare che un giornalista ha paragonato l’iconicità del nostro dosaspaghetti allo spremiagrumi di Philippe Starck con la sola differenza di essere più pratico! La prima produzione che avete avviato corrisponde a quella finanziata grazie a Eppela? Non esattamente! Eppela per noi è stata la prima autoproduzione finanziata dai sostenitori, in passato abbiamo avuto altre mini produzioni di piccoli oggetti come lo zerbino in fibra di cocco Belinda, i nastri adesivi educativi per bambini e gli sgabelli in cemento realizzati interamente a mano nel nostro laboratorio. L’artigiano che vi ha realizzato il prototipo è lo stesso che ha realizzato la produzione? No, il primo artigiano che ha realizzato i Type di Eppela non è lo stesso usato per la produzione, il suo laboratorio era troppo piccolo e poco strutturato per seguire una produzione vera e propria. Come è avvenuta la ricerca dell’artigiano (fornitore)? E che tipo di rapporto avete instaurato? Abbiamo la fortuna di avere un componente dello Studio di 141 – I TRADIZIONALI Carrara quindi trovare un fornitore affidabile che lavorasse il marmo non è stato difficile! Avete riscontrato delle problematiche al momento della realizzazione dei Dosa Spaghetti destinati alla distribuzione? Se sì, di che tipo? Sì, durante la prima produzione abbiamo avuto qualche problema sul taglio del blocco di marmo, non riuscivamo a trovare il macchinario che tagliasse esattamente gli scassi del blocco come da progetto. A che tipo di target è rivolto il vostro prodotto? Famiglie dai 30/50 anni con potere di acquisto medio alto. I clienti come comprano e dove? avete mai pensato di aprire un vostro shop online dedicato sul vostro sito? Al momento è possibile acquistarlo su alcuni shop online di design e fisicamente in alcuni bookshop di importanti ristoranti italiani. Riceviamo richieste anche dal nostro sito web e prossimamente apriremo un canale più diretto per poter acquistare direttamente da studiolievito.com Durante la campagna che tipo di pubblicità / eventi / canali avete sfruttato? Durante la campagna abbiamo attivato alcuni social network per pubblicizzare il prodotto ma preferiamo non tartassare i potenziali clienti preferiamo invece sfruttare il prodotto esponendolo in mostre di settore per alzare il più possibile il suo valore. Recentemente il Type è stato selezionato per la mostra“LUXURY IS NOT A WASTE” upgrade 2014 un progetto di Guido Polito, CEO Baglioni Hotels, e Vincenzo Basile di Basile Arteco - edizioni design. La mostra avrà luogo nella prestigiosa Top Suite “Roman Penthouse” del Regina Hotel Baglioni a Roma. L’intento è quello di dare ospitalità a progetti di Design Contemporaneo legati al fare italiano, rigorosamente ‘made in Italy’ e sviluppati dalle nuove generazioni di progettisti e designer italiani e dai Maestri del design contemporaneo e del ‘900 Cosa ne pensate del crowdfunding in generale? L’esperienza crowdfunding è stata molto positiva, specialmente perché ci ha permesso di entrare in diretto contatto con le persone che apprezzano il nostro lavoro e che sono stati ben contenti di partecipare così attivamente allo sviluppo di un progetto. L’ autoproduzione, è comunque un termine che fa discutere chi si occupa di progetto, un fenomeno sicuramente ancora difficilmente inquadrabile che è però sintomo di una radicale modifica della ‘staticità’ del consueto processo produttivo. E’ stata recentemente presentata Ennagona, una lampada 142 – I TRADIZIONALI a sospensione che avete disegnato per Officinanove. Come è nato questo progetto? Ennagona è stata inizialmente da noi prototipata nel 2013 per essere esposta durante la Design Week Milano all’interno dello spazio Design junction La Pelota, dove Officinanove ha avuto modo di apprezzare il progetto individuando in esso affinità con il proprio mood. Questo interesse si è poi concretizzato in un reale prodotto costituendo uno degli elementi della collezione che segna il rilancio di Officinanove sotto la guida della genovese Onfactory. La lampada, che nasce dall’idea di piegare un foglio di carta, è stata realizzata in due misure ed è disponibile in un ampio range di colori. Si può regolare l’altezza del filo a piacimento senza doverlo tagliare, semplicemente avvolgendolo intorno alla forma in lamiera d’alluminio. Qual é invece l’ultimo progetto su cui avete lavorato? Durante l’utima edizione di Operae, festival dedicato all’autoproduzione, tenutosi a Torino qualche settimanafa, abbiamo presentanto il brand OttAnta che nasce dalla collaborazione tra il nostro studio ed un’azienda produttrice di arredi in legno. I nostri trent’anni di vita si sono confrontati con altrettanti trent’anni di esperienza aziendale di Design80 con l’intento comune di costruire un’autoproduzione che non rinunci al fondamentale apporto tecnico del produttore, attivamente coinvolto nello sviluppo del progetto. Il prodotto che tiene a battesimo il brand OttAnta è Fugit, un orologio da parete. Lancette sospese all’interno di un pannello rivestito da scampoli di laminati provenienti dalle lavorazioni della fabbrica ogni volta differenti. Tre forme primarie ed innumerevoli combinazioni grafiche sono gli ingredienti del progetto, una collezione di textures che ci porta avanti ed indietro nel tempo, con suggestioni estetiche che vanno dai polite anni Cinquanta al design sperimentale dei Settanta, fino alle note sempre sopra le righe degli Ottanta. 143 – I TRADIZIONALI INTERVISTA #10 INNer design / lucia rota (73) Tratto da www.innerdesign.com (74) Confronto e intervista dal vivo IMG 78 Lucia Rota, fondatrice di Inner Design Inner Design(73) è un’hub di design, cioè un dispositivo che collega i clients con il server, che fino a qualche mese sotto il Gruppo Sole 24 Ore, che fa incontrare professionisti, esperti, appassionati di design da ogni parte del mondo. L’approccio innovativo e di stampo relazionale di Inner Design gli ha permesso di creare un netowrk molto fitto, oltre a un blog con un flusso di utenti molto consistente. Lucia Rota(74) è la fondatrice di questo portale “nato dalla constatazione”, come spiega, “di una mancata corretta comunicazione tra produttori, designer e clienti, in quanto parlano linguaggi diversi e non riescono a interfacciarsi”. Grazie a Inner Design si crea un linguaggio comune e una sorta di portale dove i designer possono mostrare i propri prodotti e le storie alle spalle del progetto. Qualche anno fa è stata creata una partnership con Eppela con l’obiettivo di creare una vetrina per i designer finanziati con successo tramite la piattaforma di crowdfunding in questione. In questo modo il portale rappresenta uno strumento diretto dal crowdfunding all’ecommerce. Inner Design aveva proposto un concorso chiamato “Talent on the Table”, con la partecipazione di Taste of Milano ed Eppela, per la scelta di tre prodotti vincitori pensati per la tavola ai quali si dava l’opportunità di esporre i progetti alla manifestazione “Taste of Milano” e di partecipare ad una campagna di crowdfunding su Eppela. Lo scopo era quello di focalizzare l’attenzione del finanziamento per la realizzazione di idee valide e per l’industrializzazione del prodotto che sarebbe poi stato inserito nel catalgo online di Inner Design. È il caso di Type di 144 – I TRADIZIONALI Studio Lievito che, dopo aver vinto per la sua piacevolezza estetica, la storia del marmo e le forme evocative, è stato comunicato e proposto su Eppela. Il goal era di 3500 euro, cifra limita fino alla fine da Lucia Rota che credeva tantissimo nel progetto e, come poi i fatti hanno dimostrato, bisognava scegliere un budget ragionevole in base al contesto italiano (e alla sua cultura nei confronti del crowdfunding e degli acquisti online). Come spiega Lucia, il progetto è riuscito nell’impresa, al contrario degli altri due progetti sostenuti, principalmente per alcuni motivi: il valore percepito dell’oggetto era molto alto (un po’ come se fosse un oggetto d’arte più che un oggetto funzionale, il goal era un budget ragionevole, era stata studiata una strategia per la scelta delle ricompense in maniera sistematica e molto funzionale per raggiunger l’obiettivo del finanziamento con il “minimo sforzo”. L’oggetto, infatti, è riuscito a raggiungere il goal perché, anche se i sostenitori non erano moltissimi (facendo un confronto con le piattaforme fuori dai confini italiani), i finanziatori per avere in cambio il prodotto completo dovevano donare almeno 25 euro (un prezzo speciale, considerando la qualità intrinseca del materiale). Lucia, racconta inoltre, che durante la campagna sia loro che i designer di Studio Lievito avevano fatto un grandissimo sforzo per far conoscere Type, per comunicarlo e pubblicizzare la campagna di crowdfunding. Il tutto era improntato verso una comunicazione indirizzata all’Italia, il che ha permesso loro di ottimizzare le energie per ottenere il goal, oltre a diffondere la filosofia del crowdfunding. Alla domanda “quali problemi sono stati riscontrati durante e dopo la campagna?” Lucia risponde che fondamentalmente ve ne è stato solo uno: ovvero il peso del prodotto in marmo, per cui la spedizione è risultata molto costosa. 145 – I TRADIZIONALI INTERVISTA + REPORT #11 FATTELO! (75) Intervista svolta via mail + report tratto dal documento “Fattelo! e il crowdfunding | una storia di (sudato) successo” messo a disposizione sul sito ufficiale della srl (www.fattelo.com) IMG 79 Il team di Fattelo! IMG 80 & 81 Lampada e svilupo della Fattelo! Lamp Quali sono i valori di “Fattelo!” che avete voluto trasmettere durante la campagna(75)? Comprendere quali sono i valori del progetto porta con sé è un’operazione semplice quando si hanno in mente gli obiettivi e se l’idea è stata già sottoposta a persone che lavorano in diversi settori. Nel caso di Fattelo!, ad esempio, diversi valori del gruppo di lavoro sono stati riversati nel progetto: l’idea di un design aperto e collaborativo (che si esprime attraverso la progettazione di prodotti facilmente customizzabili e il free download su internet), la cultura del riuso (sempre per la parte DIY) e il piacere per la bellezza riversata nel design. Una cosa molto utile può essere costruire una tag-cloud di valori (parole) che rappresentano il progetto. Il bello della tag-cloud è che si può giocare sulla scala delle parole rappresentate per mettere in risalto alcuni temi rispetto ad altri. Come credete che bisogna struttura una campagna di Crowdfunding? Il punto più importante da analizzare prima di decidere se avviare o meno una campagna di raccolta fondi online è capire dove si vuole arrivare con il proprio progetto. Una volta compreso il punto in cui si vuole arrivare e quale utilità può avere il CF per il progetto (che diventerà un progetto di tutti coloro che vi sosterranno) si può usare la tecnica del back-casting: partire da un punto lontano nel 146 – I TRADIZIONALI IMG 80 & 81 futuro e cercare di comprendere cosa serve per arrivare lì. Fattelo! vuole diventare un’impresa in cui lo sviluppo dei prodotti sia collaborativo. Per fare questo ha bisogno di costruire una piattaforma (che però richiede investimenti fuori dalla portata del CF), di espandere il pubblico di collaboratori su scala mondiale (che senso ha aprire lo sviluppo dei prodotti solo agli italiani? Per questo c’è bisogno di tempo) ma, innanzitutto, di diventare un’impresa. Il crowdfunding, nel nostro caso e in tanti altri, può aiutare a trovare i fondi per diventare un’impresa. Quali sono gli ostacoli riscontrati nella vostra campagna di successo? Gli ostacoli da superare per il successo della campagna sono stati tanti. Non c’è comunque da aver paura: per quanto grossi possano essere stati, basta conoscerli per capire come aggirarli. Il primo degli ostacoli è sicuramente l’approccio della popolazione italiana alle novità di Internet. Dalla poca (o nulla) conoscenza del CF, passando per l’utilizzo di internet per fare acquisti o donazioni. E’ certamente un fenomeno che si livellerà col tempo, ma che per il momento può rappresentare un serio ostacolo. Il secondo ostacolo, legato alle piattaforme di tipo “rewardbased” con il meccanismo del “o tutto o niente”, è l’utilizzo di Paypal come unico sistema di pagamento ammesso. In pratica, poiché le banche non permettono di effettuare “promesse di pagamento” tramite carta di credito, l’unica infrastruttura utilizzabile è Paypal. Questo è forse l’aspetto più complicato: immaginate di dover dire a un potenziale donatore che non ha abitudine 147 – I TRADIZIONALI IMG 82 Svilupo della Fattelo! Lamp all’acquisto via internet, di doversi iscrivere a Paypal, collegare la carta di credito, comunicare a Paypal il numero della transazione per l’attivazione del codice di verifica e di attivare il proprio account. Per ridurre l’incidenza di questi ostacoli, abbiamo organizzato degli eventi di autofinanziamento per raccogliere fondi da versare poi nella campagna fondi online, oppure abbiamo provato ad aprire una linea preferenziale per i donatori che proprio non volevano aprire un account Paypal. Come avete capito che Eppela faceva al caso vostro? Inizialmente una delle più grandi difficoltà è stata riuscire ad orientarsi tra il marasma delle piattaforme di CF presenti online: in Italia, all’estero, generaliste, specifiche per temi. Come scegliere? La risposta non riusciamo a darvela nemmeno noi. Dipende molto dall’obiettivo e dal tema del progetto perché se, per esempio, è a sfondo sociale, è più probabile trovare potenziali donatori su piattaforme specifiche per questi argomenti. A nostro parere non bisogna neanche farsi fuorviare dai numeri: magari una piattaforma generalista ha più utenti, proprio perché ha ospitato più tipologie di progetti, ma una piattaforma specifica per il tema del progetto ha utenti, diciamo così, più qualificati. Uno strumento che ci è tornato molto utile è Alexa: si tratta di una società che raccoglie statistiche relative a siti web. In pratica è in grado di dire quante sono le persone che visitano un determinato sito, quanti anni hanno, se sono in maggioranza uomini o donne, da quale regione provengono, qual è la loro capacità di spesa. Uno strumento utile per orientarsi nella scelta della piattaforma, partendo dalle persone che si vogliono raggiungere. Con Fattelo! abbiamo scelto Eppela soprattutto a seguito dell’incontro con Chiara Spinelli, che ci è subito sembrata una persona valida e disponibile a supportarci durante lo sviluppo del progetto. Per noi, quindi, è stato decisivo chiamare i diversi gestori delle rispettive piattaforme per capire quale contributo 148 – I TRADIZIONALI possono offrire in termini di esperienza e community. Su cosa vi siete concentrati per il video? Il video, come ben noto, è uno strumento potentissimo per comunicare: il fatto di essere composto da immagini in movimento, coordinate con suoni e parole, ne fa una tecnica coinvolgente e di rapida fruizione per l’osservatore. Gli aspetti tecnici non sono più un problema: si possono usare un qualsiasi smartphone, una fotocamera compatta o reflex, una GoPro, la webcam del vostro PC; tutti strumenti che permettono di girare video in qualità HD. In realtà non servono né esperienza né qualità del video. Per esempio, il video per la campagna di CF di Fattelo! è stato girato utilizzando nell’ordine: una reflex Nikon, un iPhone, una webcam di un portatile e una vecchia videocamera. Le luci di scena altro non erano che lampade Ikea o simili, opportunamente schermate con fogli di carta per pennarelli. Quello che invece è importantissimo curare sono due cose: il concetto dietro il video e la sceneggiatura. Nel nostro caso una delle caratteristiche è che il progetto viene sviluppato lavorando da 4 città differenti, cosa che sarebbe risultata vera anche per le riprese del video. Quale poteva essere il concetto dietro il video? Esprimere che esiste una continuità anche se si sta a chilometri di distanza. L’idea è stata, quindi, quella di creare continuità tra le scene facendo passare oggetti da un’inquadratura all’altra e di alternare spezzoni di riprese girate nelle relative città di permanenza. Non c’è ovviamente limite alla creatività: basta liberare la mente e essere originali. Ottenere questo risultato ha richiesto una certa cura nello sviluppo della sceneggiatura: oltre a costruire il discorso, è stato infatti necessario suddividerlo nelle parti di competenza di ciascun membro del team e coordinare tutte le azioni che ciascuno doveva compiere sapendo di volta in volta quale oggetto passava da un’inquadratura ad un’altra e quindi quali oggetti ciascuna persona doveva avere per poter girare. Al di là dell’aspetto tecnico, la sceneggiatura del video di Fattelo! è stata strutturata in 3 sezioni: 1. Chi siamo e cos’è il progetto; 2. Cos’è il crowdfunding e perché siamo qui; 3. Come si fa ad effettuare la donazione e (importantissimo) quando termina la raccolta fondi. Le riprese sono state effettuate con regia via Skype: il regista guardava attraverso webcam la scena che veniva girata e poteva quindi dare indicazioni sull’inquadratura, 149 – I TRADIZIONALI sui movimenti da compiere o sul modo di pronunciare il discorso. Ovviamente le scene sono state registrate diverse volte, in modo da scegliere poi le migliori. A dirlo così sembra banale. Coordinare tutte le persone per portare a casa le riprese e ottenere un buon montato è stato più difficile del previsto e lo sarebbe stato molto di più senza il contributo spontaneo di Donato Sambuco, un nostro caro amico e videomaker. Nel nostro caso, il video è durato 4:40 minuti, sicuramente troppo per mantenere l’attenzione. Noi consigliamo di restare tra i 2:30 e i 3:00 minuti; almeno stando alle statistiche di Youtube, che ci dicono che dopo questa soglia di tempo metà delle persone hanno già smesso di guardare il video. Bisogna saper riuscire a dire tutto in 3 minuti. Come avete scelto le ricompense? Nel caso di Fattelo! la risposta è stata ovvia: la 01Lamp. Questo era quello che avevamo, cioè un’idea di impresa ed un solo prodotto. Abbiamo cercato di dare delle ricompense che non fossero solo materiali, ma anche emozionali: l’idea di poter prendere parte in maniera attiva ad un progetto può essere molto gradita dai donatori, così come l’idea di ricevere una ricompensa personalizzata o esclusiva, dedicata specificatamente a quel donatore. Con Fattelo! ogni donatore è diventato anche un Fattelo! Founder, il ché gli ha dato la prerogativa di entrare per primo nella community che è stata, ricevendo gli sviluppi del progetto e dell’impresa. Quanti donatori servono per finanziare un progetto? Per Fattelo! abbiamo preparato un file excel contenente i balzelli di donazione previsti. Per capire poi di quanti donatori avevamo bisogno, abbiamo cercato su Eppela progetti similari al nostro e verificato l’andamento del numero di donatori per ogni tipo di donazione/ricompensa. Qui c’è un primo punto chiave, da non dimenticare mai: quando si parla di eventi che devono ancora avvenire, altro non si può fare che ipotizzare ciò che potrebbe succedere. Non vi è certezza nel prevedere il futuro ma è bene, quantomeno, raccogliere delle informazioni utili per costruire scenari possibili e aumentare la possibilità di compiere scelte giuste. Purtroppo non abbiamo i dati delle visite alla nostra pagina di progetto, che abbiamo richiesto ad Eppela ma che non ci sono stati forniti, altrimenti avremmo potuto dirvi anche qual è stato il tasso di conversione visite/donatori (utile per comprendere quante persone è necessario raggiungere per 150 – I TRADIZIONALI IMG 83 Fattelo! Lamp in esposizione aumentare le chance di arrivare al goal). Quanto tempo è durata la vostra campagna? Il progetto ha avuto una durata di 42 giorni sulla piattaforma. Suona strano, ma ci sono dei motivi. Il primo è che non necessariamente un progetto che dura di più ha più possibilità di successo. Esiste, infatti, una sorta di fattore “conto alla rovescia” che rende un lavoro più efficace e mantiene viva l’attenzione di chi è intenzionato a donare. Quindi, come suggeritoci da Eppela, il nostro progetto sarebbe dovuto durare 45 giorni. Ma perché allora 42? Perché vale la pena anche tenere in considerazione che la fine del progetto deve ricadere in una data utile per poter mantenere le promesse fatte ai donatori. Noi, infatti ci eravamo prefissati che le ricompense dovevano essere consegnate entro Natale: abbiamo quindi cercato di creare una sorta di cuscinetto per garantire che le spedizioni arrivassero in tempo, tenendo conto di eventuali ritardi del corriere. Abbiamo, inoltre, tenuto sotto controllo le azioni nel tempo costruendo un GANTT, che ci ha permesso di visualizzare graficamente le azioni da compiere nel tempo per poter raggiungere il nostro obbiettivo. Come vi siete organizzati durante la campagna? L’aspetto più importante della partenza è riuscire a 151 – I TRADIZIONALI raccogliere subito dei fondi. Questo serve a dare una spinta iniziale al progetto e a rendere consapevoli le persone che, anche con il loro contributo, si può riuscire a farcela. Per questo motivo è d’obbligo organizzarsi prima: chiedere agli amici, parenti o conoscenti, se vi sono persone disposte a donare. Per noi è stato utile organizzarci in modo che effettivamente queste persone abbiano donato il primo giorno di messa online, considerando che anche tra le persone che ci seguivano online ci sarebbe stata gente a finanziare. È importante, infatti, far sapere ai propri follower cosa bolle in pentola, per renderli realmente partecipi del progetto. Grazie a Facebook o Twitter, abbiamo presentato contenuti sul tema del CF, sul progetto e qualche aggiornamento sul lavoro di preparazione. Abbiamo predisposto un forum sul sito per permettere ai visitatori di iscriversi alla newsletter e anche attraverso questo canale abbiamo annunciato in anticipo le nostre intenzioni e preparato una newsletter per comunicare la messa online del progetto. Che tipo di rapporto avete instaurato con i vostri follower? Già prima di cominciare a pensare al crowdfunding, ci siamo preoccupati di aprire dei canali di comunicazione con le persone interessate al progetto: creare dei punti di contatto dove scambiare opinioni, chiedere suggerimenti ai propri supporter, aprire lo sviluppo dell’idea. Esistono molteplici canali per fare questo, ma il mondo dell’online offre davvero tante opportunità. C’è innanzitutto il sito internet, che è stato un punto di contatto fondamentale: contiene informazioni sempre accessibili sul progetto, ha comunicato chi eravamo e che stavamo per andare su una piattaforma di CF per una campagna. C’è poi l’enorme mondo dei Social Network, che si distinguono principalmente per tema, modalità di pubblicazione, numero di frequentatori ed età. Non è facile capire quale scegliere, ma è certo che difficilmente avremmo potuto evitare di creare una pagina Facebook e un account Twitter, senza dimenticare Youtube (utile per caricare il video del progetto). Inoltre, abbiamo usato moltissimo la newsletter grazie a MailChimp, che funziona bene ed è facile da usare. Abbiamo raccontato a chi ci seguiva quello che stavamo facendo per portare avanti la raccolta fondi e gli ostacoli. Come avete fatto a trovare sempre nuovi donatori? Che tipo di canali avete sfruttato? Come spesso capita, a un certo punto dovevamo trovare 152 – I TRADIZIONALI altre persone (oltre a quelle che già conoscevamo) che avrebbero potuto essere interessate a sostenere il progetto. Abbiamo svolto questa operazione su due fronti: online (dove abbiamo potuto raggiungere più gente, ma in percentuale meno donatori) e offline (cioè in situazioni in cui si può creare un contatto diretto e personale con i potenziali donatori). Nel caso di Fattelo!, abbiamo avviato delle azioni di Digital PR. In pratica, selezionati i valori da comunicare, abbiamo iniziato a contattare siti riguardanti i temi del progetto, presentando una breve descrizione, immagini e una cartella stampa in pdf. Se il progetto è davvero interessante, non è difficile venire pubblicati su siti più o meno noti. Abbiamo organizzato la campagna di comunicazione scegliendo scegliete siti e blog inerenti. Più i siti sono frequentati, più persone si possono raggiungere. Anche qui, per ottimizzare gli sforzi, abbiamo usato Alexa e E-Buzzing, che presenta una lista dei blog più visitati in Italia divisi per categoria. Riguardo all’offline, invece, ci sono decine di modi per raggiungere nuova audience: organizzare un evento per la raccolta fondi presso un teatro, un bar, un casa del popolo, un centro sociale (a seconda del tema del progetto). Siete riusciti a trovare uno sponsor? La strada per il successo di una campagna è piena di difficoltà e quindi abbiamo cominciato a cercare una sorta di sponsor: vale a dire, un donatore che apportasse una cifra più sostanziosa per dare una spinta verso l’altro alla raccolta. In questo caso, il vero valore di scambio per lo sponsor è stato: “la mia attività sta sostenendo, via crowdfunding, un interessante progetto”. L’idea è stata di Anteprima ADV, agenzia di comunicazione che, dovendo recapitare regali natalizi a 120 fra clienti, fornitori e amici, ha deciso di donare 2.500,00 euro al progetto ricevendo in cambio 120 lampade. All’impacchettamento hanno pensato loro: una bella busta colorata, un flyer che spiegava il contributo di Anteprima ADV al progetto e anche una cartolina elettronica per scaricare direttamente il profilo della lampada, senza passare dallo share. E’ chiaro che senza l’aiuto di questo sponsor, non avremmo mai raggiunto la soglia dei 5.000,00 euro. Ma è anche vero che senza i 3.900,00 euro di offerte da singoli donatori, non saremmo riusciti comunque a raggiungere il risultato. Non ci chiediamo qui se sia giusto o meno trovare uno sponsor: semplicemente prendiamo atto che allo stato 153 – I TRADIZIONALI IMG 84 Materiale informativo della Fattelo! Lamp attuale, trovare uno sponsor può essere una buona possibilità per concludere con successo la raccolta fondi. Come dialogate con i vostri follower? Internet permette non di lanciare messaggi pubblicitari da fare assorbire come una spugna, ma di creare un vero e proprio dialogo con le persone. Creare argomenti di discussione è sempre un buon metodo per tenere viva l’attenzione: questo sistema è utile sia prima del lancio del progetto, che durante; in generale si tratta di una buona occasione per ascoltare ed imparare. Uno degli esperimenti che abbiamo fatto è stato quello di chiedere sulla pagina Facebook di Fattelo! chi fra i nostri fan avesse già donato e chi no, chiedendo il perché. Dei 21 voti raccolti (non è quindi un dato statisticamente rilevante, ma a noi è servito lo stesso), 5 persone hanno risposto che volevano donare ma, essendo troppo pigri, chiedevano di essere avvisati prima della scadenza della raccolta fondi per poter contribuire; altri 5 hanno ci hanno fatto invece sapere che volevano donare, ma senza aprire un account Paypal. In questo modo, siamo riusciti a venire incontro ai donatori e ad aumentarne il numero. Abbiamo anche usato la sezione aggiornamenti e commenti presente sulla piattaforma. In questo modo abbiamo tenuto nascosto alcune informazioni che abbiamo svelato pian piano per mantenere vivo l’interesse. Per esempio abbiamo pubblicato in un secondo momento le informazioni più dettagliate sulla spedizione, richieste di aiuto per raggiungere il goal o su un evento con un aggiornamento di Facebook. I commenti rappresentano invece una parte più interattiva e siamo riusciti a dialogare con le singole persone. Alcuni donatori li hanno utilizzati per farci i complimenti ed esprimere il loro supporto (il ché, soprattutto quando la strada si fa difficile, dà una bella boccata di ottimismo). Avete incontrato i vostri sostenitori? Vista la diffidenza degli italiani verso i nuovi fenomeni online, uno degli aspetti più utili per aumentare le chance di successo è stato quello di organizzare un evento offline. 154 – I TRADIZIONALI Un evento offline non deve solo essere un’occasione per lanciare un messaggio, ma è anche un modo per divertirsi, rilassarsi e, soprattutto, rispondere tempestivamente alle domande e ai dubbi dei sostenitori. Esempio pratico: durante la messa online del progetto, Chiara Spinelli ha organizzato un interessante iniziativa al CoWo360 di Roma. Si trattava di una serata di finanziamento in cui ogni invitato pagava all’ingresso 5 euro, ricevendo in cambio 5 fagioli. Durante la serata, oltre a gustarsi l’aperitivo e a parlare di crowdfunding, sono stati presentati due progetti presenti su Eppela, uno dei quali era il nostro. Dopo le presentazioni, ciascuno poteva “versare” i propri fagioli su uno dei due progetti. Il ricavato raccolto veniva infine versato su ciascun progetto. Un’idea interessante e originale, che ha permesso al progetto di raccogliere 195 euro in un pomeriggio. Come vi siete mossi a fine campagna? Una volta raggiunto il goal su una piattaforma reward-based con il sistema “o tutto o niente”, abbiamo cominciato a ricevere sull’account Paypal le donazioni. I tempi dipendono della piattaforma: nel nostro caso sono serviti dai 7 ai 10 giorni. Il prelievo, infatti, avviene automaticamente dalla carta di credito del donatore quindi è possibile che alcuni di essi abbiano la ricaricabile vuota e la donazione non arrivi subito. Nel caso di Fattelo!, in realtà, le donazioni sono arrivate quasi tutte e subito. L’unico ostacolo che abbiamo incontrato era legato ad una limitazione di Paypal. Per la legge europea antiriciclaggio Paypal ha delle limitazioni che non permettono di raccogliere più di 2.500,00 euro. Fortunatamente il limite si rimuove presentando alcuni documenti e, sul totale di donazione dei 6.403,00 euro raccolti, nei primi 3 giorni successivi alla conclusione del progetto ne sono arrivati 6.203,00. I gestori della piattaforma si sono messi in contatto con i donatori che non hanno completato il pagamento: il più delle volte si trattava di problemi tecnici o di carte prepagate da ricaricare, insomma piccolezze. Le donazioni sono arrivate come singole transazioni da parte dei donatori, già decurtate della percentuale per la piattaforma (5% per Eppela) e della percentuale per Paypal (3,4% + 0,35 a transazione). Come avete gestito ricompense e spedizioni? Ci siamo affidati a “Come Spedire”, un Gruppo d’Acquisto Solidale (GAS) che permette di effettuare spedizioni con 155 – I TRADIZIONALI corriere a prezzi vantaggiosi e con un’infrastruttura di facile utilizzo. Terminata la campagna e ricevute le donazioni, il gestore della piattaforma ci ha mandato un report contenente alcune info sulle donazioni, ma non gli indirizzi per le spedizioni. Abbiamo, quindi, fatto una paginetta in PHP per la raccolta dei dati e abbiamo usato un servizio di newsletter per contattare tutti i donatori in un colpo solo. Abbiamo caricato tutti gli indirizzi presenti sul report all’interno di Mailchimp e inviato una newsletter con un breve ringraziamento e il link alla pagina presente sul sito internet. Il vantaggio di usare Mailchimp è che rileva automaticamente chi ha aperto la newsletter e chi no, oltre a dirci chi ha cliccato sul link. Ci siamo assicurati che tutti fossero stati avvisati e abbiamo risparmiato un sacco di tempo nella gestione dell’anagrafica. Inoltre, grazie allo stesso sistema, abbiamo potuto avvisare i donatori dell’avvio della spedizione e comunicare il codice di tracking. La pagina sul sito conteneva tutti i campi necessari per poter ricevere la spedizione: nome e cognome, indirizzo, CAP, città, provincia, numero di telefono (casomai il corriere non avesse trovato in casa il destinatario) e un campo “note” per aggiungere dettagli (orario preferito di ricezione, c/o, etc.). Seguendo il consiglio di chi prima di noi ha fatto un crowdfunding, abbiamo ringraziato tutti i donatori: senza di loro il progetto sarebbe rimasto fermo, il che fa dei donatori il motore centrale del CF. Finita la campagna e gestite le spedizioni, abbiamo fondato l’impresa e ci siamo trovati a dover gestire diversa burocrazia, partecipare ad incontri sul CF, interviste, fiere, etc. Siamo riusciti ad inviare il ringraziamento con 3 mesi di ritardo! Per il ringraziamento abbiamo registrato in diretta un video tramite il servizio di video-conferenza gratuito Google Hangout, in cui non solo abbiamo ringraziato i Founder per il loro contributo, ma li abbiamo anche aggiornati sullo stato di avanzamento del progetto. Se poteste tornare indietro, cambiereste qualcosa? Partiamo dagli errori, che sono quelli che fanno più male. L’errore principale che abbiamo compiuto è stato non organizzare bene la campagna di comunicazione per coinvolgere nuovi donatori. E’ stata soprattutto una questione di tempi: l’attività di PR digitali è stata rallentata dopo i primi giorni (effetto “dormire sugli allori”) e ripresa 156 – I TRADIZIONALI troppo tardi. A nostro parere, invece, una buona campagna di PR digitali avrebbe aumentato di molto le possibilità di arrivare al goal senza l’aiuto di uno sponsor. Per esempio, finita la raccolta fondi siamo stati pubblicati su diversi media: diverse persone ci hanno contattato dicendoci che, se l’avessero saputo prima, avrebbero sostenuto il progetto. Il secondo errore (relativamente ad alcuni aspetti) è legato all’organizzazione. Avevamo in testa quali dovevano essere le azioni e i tempi per gestire la campagna di raccolta fondi, ma non avevamo tenuto ben in conto alcuni imprevisti (es.: ritardi dei fornitori, blocco account Paypal). Fortunatamente alla fine è andata bene e siamo riusciti a consegnare in tempo le ricompense, ma la paranoia e lo stress sono stati non indifferenti. Passiamo ora alla parte più bella: i meriti. Certamente uno dei meriti è stata la progettualità nel costruire la campagna. Abbiamo cercato di capire già prima quali fossero gli ostacoli e organizzare il lavoro per aumen-tare le possibilità di farcela. Questo ci ha permesso di non disperdere energie, di comunicare bene il progetto, di renderlo qualitativamente soddisfacente. Secondo merito: la reattività del team. Ogni persona si sentiva responsabile del successo e, quando sorgeva un imprevisto, era sempre pronta a reagire fornendo soluzioni. Terzo e ultimo merito): quello che interessa realmente a noi in quanto persone (quindi al di là di Fattelo!) è che il CF diventi veramente un mezzo per finanziare le proprie idee. Siamo convinti che questo passi anche attraverso un’evoluzione qualitativa dei progetti presentati e speriamo, quindi, di aver dato, con questo report e le discussioni che ci auguriamo ne nascano, il nostro contributo. Cosa ne pensate del crowdfunding in Italia? Allo stato attuale delle cose il CF in Italia, per quel che riguarda il reperimento di fondi per l’impresa, si posiziona in quella che nell’attività d’impresa viene definita la fase delle 3F: Fools, Friends and Family. Stiamo appunto parlando di fasi iniziali di finanziamento: il CF in Italia è certamente già uno strumento utile per trovare i primi capitali e fondare una società, soprattutto dopo la creazione della SRL Semplificata. Non è invece adeguata per sostenere i costi legati all’attività imprenditoriale, questo è evidente. Vogliamo subito schierarci contro tutti i disfattisti che blaterano sull’inutilità del crowdfunding per le imprese: “si raccoglie troppo poco”, “ma dove volete arrivare con 5.000,00 euro” e tutta la sequela di lamentele che 157 – I TRADIZIONALI solitamente trattiene le idee nello status di idee e non ci permette di trasformarle in realtà. Se guardiamo ai fatti, Fattelo SRLS non sarebbe nata senza il crowdfunding. E senza una forma societaria non avremmo potuto cominciare a commercializzare la lampada, chiedere pagamenti a 30 giorni ai fornitori, presentarci ad associazioni di categoria e alle istituzioni come impresa e (il ché ti permette di accedere a molti servizi a cui non potresti accedere da privato cittadino, vedi i servizi offerti per le startup innovative). Inoltre pensiamo che sia più facile raccogliere 5.000,00 euro tramite crowdfunding che non ottenere un finanziamento della stessa somma a fondo semi-perduto dallo Stato. Il crowdfunding è davvero un’opportunità e il motivo principale è chi finanzia parla la stessa lingua! Il vero punto di forza del CF è che mette in contatto innovatori con innovatori, anche se gli uni mettono le idee e gli altri mettono capitali diffusi. L’unica controindicazione che abbiamo trovato è stata la difficoltà di raggiungere il goal, pur con un progetto interessante, ben strutturato e adeguatamente comunicato. Oggi Fattelo SRL di cosa si occupa? Si occupa dello sviluppo di prodotto di design che possono essere acquistati o costruiti con materiali di recupero o di scarto, insieme alla diffusione della cultura del DIY attraverso i Fattelo! on Tour. Ci occupiamo anche della commercializzazione dei prodotti, affidandoci a partner esterni per la produzione dei materiali necessari. Quali sono i prossimi step della società? Vorremmo che Fattelo! diventasse un’impresa al 100%, che generi abbastanza fatturato per creare posti di lavoro e aprire la possibilità di nuovi investimenti per la sperimentazione. E’ una strada lunga e tutta da costruire. Idealmente abbiamo individuato quattro componenti che potranno permetterci di avvicinarci a questo goal: individuare la tipologia di clienti, strutturare il processo di vendita, sviluppare nuovi prodotti e diffondere il brand. Mentre i primi due punti sono stati sviluppati negli anni precedenti, il terzo punto è il prossimo ostacolo da affrontare, mentre il quarto è un processo continuo che passa attraverso varie fasi di definizione. Avete in mente altri progetti/prodotti da mettere sul mercato? Se sì, di che tipo? Se no, perchè? Sì, abbiamo già lavorato a dei prototipi per altri prodotti, ma stiamo effettivamente ancora definendo quale sarà 158 – I TRADIZIONALI il mondo dei prodotti Fattelo! Proprio per questo, non vogliamo ancora sbilanciarci sulla tipologia di prodotti che presenteremo, anche perché non è detto che l’innovazione debba arrivare dal prodotto, ma potrebbe anche arrivare da una ridefinizione della catena di distribuzione. Stiamo quindi definendo come sarà il mondo di Fattelo! Vendete di più online o offline? Vendiamo più offline, ma c’è da dire anche che vendiamo in maniera differente nei rispettivi canali. Offline vendiamo ai negozi, che effettuano ordini più sostanziosi a prezzi unitari più bassi (cosa necessaria per garantire che ci sia marginalità anche per loro). I negozianti sono fondamentali in questa fase perché ci permettono di avvalerci delle loro capacità ma anche di apprendere dalla loro esperienza. Online vendiamo invece ai singoli clienti e a prezzo pieno, cosa che genera maggior margine per l’impresa, e subiamo le molte difficoltà del vendere un prodotto fisico attraverso un canale digital e la difficoltà nel portare visitatori sul sito. 159 – I TRADIZIONALI 4.7 Opportunità & limiti (76) Alessandro Brunello, fondatore di Pruduzione dal Basso e scrittore del libro “Il manuale del crowdfunding”, Modelli di Business, Maggio 2014 Il crowdfunding rappresenta in primis una nuova forma di linguaggio dove il racconto diviene uno degli strumenti fondamentali per la struttura di un progetto. Da un lato questo fenomeno in maniera virale si sta diffondendo a livello internazionale come opportunità sociale, economica e culturale, dall’altro sicuramente non presenta solo vantaggi ma raccoglie in sé una serie di problematiche legate alla disintermediazione assistita, cioè al ridimensionamento del ruolo di intermediazione svolto dagli istituti di credito. La vera innovazione di questo servizio è che dipende solo ed esclusivamente dalle persone e dall’unione delle loro forze e dalla trasversalità delle discipline che riesce a coinvolgere. Come suggerisce Alessandro Brunello in “Il manuale del crowdfunding”, pubblicato nel Maggio del 2014 per MDB (Modelli di Business), “i movimenti e gli upgrade più significativi del fenomeno, si nota che sono espressione di una long tail (coda lunga) frammentata. Questi frammenti sono utenti sparsi, persone che inconsapevolmente stanno convergendo da posizioni e motivazioni molto diverse alla creazione di nuove comunità economiche. Sono la parte consistente del crowdfunding sia in termini di valore delle transazioni sia per i contenuti innovativi nel linguaggio e nelle modalità sia per la loro distribuzione”. Ciò che contraddistingue il crowfunding è che è un fenomeno umano, ancor prima di essere una soluzione economica o di valore progettuale. È una delle modalità che al meglio riesce a esprimere le potenzialità offerte da Internet e i limiti celati dietro i software stessi. Il finanziamento dal basso rappresenta per molti un modo per sopravvivere e scoprire nuovi percorsi per realizzare un progetto, per apportare innovazione o semplicemente per condividere un’idea con una comunità che parla lo stesso linguaggio. Con il crowdfunding non bisogna limitarsi a ciò che si conosce, aiuta a aprire nuovi mondi, a cambiare punti di vista, a dimenticare cose che si credevano importanti e a evolversi continuamente assieme al progetto, osservando e confrontandosi con chi sostiene o denigra un determinato progetto. Una campagna di crwodfunding mette alla prova le skills e gli strumenti a disposizione e, per la prima volta nella storia, il progettista si propone alle persone e non alle aziende. Non si parla di clienti, ma è fondamentale sottolineare “persone”, tutti i sostenitori, tutti coloro che vogliono essere resi 160 – I TRADIZIONALI IMG 85 Illustrazione sul significato della parola crowdfunding partecipi all’interno del processo creativo e che desiderano interfacciarsi con gli strumenti operativi, compresi coloro i quali vogliono conoscere il volto di chi ha prodotto l’oggetto che stanno utilizzando. Kickstarter, Indiegogo e la nascita di una costellazione di piattaforme di crowdfunding in tutto il mondo dimostra come questa modalità di coinvolgimento abbatta le frontiere tradizionali di tipo tecnico e culturale. Come ci ricorda A. Brunello, nel crowdfunding i progetti “si fondano sulla condivisione di un sentire, di quel sentimento-opinionefeeling che in lingua inglese è contenuto nella parola sentiment. Nuovi e funzionali modelli di business nascono ogni giorno per accogliere questi sentimenti.” Si delinea sempre più una economia collaborativa (sharing economy) in cui si sviluppano nuove forme ci co-working, nascono nuove start-up e persorsi formativi e professionali trovano spazio, le imprese “illuminate” investono in ricerca per ottenere in maniera strategia collaborazioni in grado di generare prodotti innovativi e una nuova rete di collaborazioni sociali. All’interno di questo sistema in forte fermento il designer rappresenta una figura professionale indispensabile che, assieme al crowdfunding, diviene un punto d’incontro tra chi vuole realizzare un’idea e chi desidera sostenerla, all’interno di un contesto sempre più aperto alla condivisione e allo scambio. Una delle problematiche più grandi delle piattaforme di crowdfunding italiane è di tipo “culturale” in quanto non riescono a creare una salda comunità di riferimento, in grado di far rumore e di generare la forza che, un fenomeno basato sulla folla, richiede. La piattaforma offre un servizio che dipende dalle persone ma spesso manca una vera e propria azione di comunicazione e di marketing che dovrebbe essere gestita dai fondatori delle tante piattaforme di finanziamento dal basso italiane. Non sempre l’errore risiede nei progettisti che credono nell’idea o dal livello della loro intraprendenza. Il mercato italiano del crowdfunding è immaturo in molti 161 – I TRADIZIONALI suoi aspetti e, oltre a diffondere il “verbo” di tale movimento bisognerebbe affiancare e studiare ad hoc ogni progetto per ottenere il massimo risultato, ovviamente dopo un’attenta selezione delle idee. Rispetto a Kickstarter, ormai consolidata da anni, il crowdfunding in italia non può limitarsi ad offrire solo il portale e qualche consiglio standard. Oltre al fatto che l’impegno in termini di tempo e energie potrebbero non essere giustificati per alcuni progetti, gli ostacoli in cui inciampare sono tanti e l’aiuto e il sostegno deve partire dall’impegno e dal supporto del team della piattaforma. Tralasciando i dati che prospettano una forte crescita del fenomeno in Italia, uno degli step fondamentali da compiere è creare una vera e propria cominità di specifici progetti. In Italia i limiti risiedono nel fatto che molte piattaforme offrono solo uno strumento, il portale per il lancio della campagna e con cui raccogliere gli eventuali fondi, e un servizio minimo di consulenza e di promozione, spesso basato sui click e sull’aumento del finanziamento, diversificato poiché ancora possono permetterselo (i numeri dei progetti caricati sono ancora pochi rispetto a quelli di Kickstarter o Indiegogo). Un modo per superare queste criticità e, contemporaneamente, diffondere la forza del crowdfunding potrebbe essere superato attraverso un supporto da parte delle piattaforme e l’aiuto e collaborazione di sponsor più conosciuti. Alcuni mezzi di comunicazione potrebbero riservare uno spazio dedicato per aumentare il confronto e il dialogo su alcuni progetti che stanno per essere lanciati e durante la campagna per creare un vero “finanziamento della folla”, a partire dalla comunicazione stessa. 162 – I TRADIZIONALI 4.8 l’importante è “to be connected” (77) Tratto da “Estratto - Il Manuale del crowdfunding”, di Alessandro Brunello, Modelli di Business, Maggio 2014 Nell’ultimo decennio sono nati molti neologismi legati alla parola “crowd”e vengono utilizzati su Internet per definire le nuove forme di economia che si affacciano in maniera virale a livello internazionale grazie ai social network che riescono a coinvolgere anche milioni di persone. I termini più diffusi sono: share economy, crowdsourcing, crowd economy, weconomy, coworking, open economy, open sourcing… e così via. Questo insieme rappresenta diverse forme di economia partorite da Internet e dai netowork sociali che ne derivano. All’interno di questa visione, la nascita del crowdfunding risulta essere quasi un’evoluzione scontata di questo processo che, dopo alcuni esperimenti, da due anni a questa parte rappresenta un fenomeno in continuo aumento. È possibile paragonare l’incremento delle transazioni destinate al finanziamento dei progetti al numero dei like cliccati su Facebook. Di fatto, le prime campagne di crowdfunding(77) sono state finanziate perché sostenevano cause sociali o per volontariato. A partire da questi casi vincenti, si sono evolute le richieste di finanziamento e sono aumentate le campagne fino a portare il crowdfunding ad essere definito, come ci ricorda Allessandro Brunello sul testo “Il Manuale del crowdfunding”, “una risposta alle crescenti carenze del welfare e che si e poi diffuso in maniera trasversale e multidisciplinare in tutti i settori e in diverse classi sociali. Se il bene del singolo è uno spicchio del bene comune, allora anche la creazione del singolo è una parte della creazione collettiva dell’uomo , o di una comunità”. 163 – I TRADIZIONALI (78) Riferimento al documento “Analisi delle piattaforme italiane di crowdfunding”, pag. 22, Daniela Castrataro e Ivana Pais, promosso dalla Italian Crowdfunding Network - ICN, Maggio 2014 (79) Tratto da “Estratto - Il Manuale del crowdfunding”, di Alessandro Brunello, Modelli di Business, Maggio 2014 Gli addetti al settore (fondatori di piattaforme, economisti...) come definiscono(78) il crowdfunding? / La voce della rete / Opportunità di crescita e di sviluppo / Un modello ideale per sviluppare idee e per fare impresa In un’epoca finance oriented (forse ancora per poco) è l’opportunità di riscoprire l’economia reale attraverso il mondo digitale / È un crocevia tra nuove forme di economia e social networking IMG 86 Nella pagina a fianco: illustrazione di Adam Simpson per The New Yorker / La nascita di nuove comunità economiche basate sul finanziamento orizzontale / L’attivarsi di community per raggiungere un obiettivo comune / Valida alternativa ai classici canali di finanziamenti. Sostiene un’idea con tanti piccoli contributi che messi insieme fanno la differenza / Sistema di finanziamento che utilizza il web come strumento per condividere progetti e recepire donazioni per la realizzazione degli stessi / Una sovrastruttura del social networking Per concludere, la nuova definizione di A. Brunello sul crowdunding: / Un progetto in crowdfunding mira a coinvolgere una community di riferimento con l’obiettivo di raccogliere attraverso donazioni e in un periodo di tempo definito, una somma di denaro dichiarata sufficiente alla realizzazione di quel progetto(79). 165 – I TRADIZIONALI 4.9 L’incremento dei social networking (80) Riferimento all’articolo “L’importanza della presenza sui social netowrk”, www.networkservice.it, Gennaio 2014 grafico 12 Uso dei social netowrk dalle aziende I social network ogni giorno incrementano la loro importanza e rappresentano per un’azienda un canale di comunicazione per attuare una strategia efficace da non lasciarsi sfuggire. La maggior parte delle persone ha almeno un profilo su uno dei social network più diffusi e il loro aumento e direttamente proporzionale all’ampiezza delle reti di contatto che si possono creare. Grazie agli smartphone e ai tablet e alla possibilità di essere sempre raggiungibili e connessi alla rete, l’uso dei social network non solo è più semplice e immediato ma ha fatto comprendere che il loro ruolo non può che aiutare all’interno di una strategia mirata ad un target ben specifico. Sappiamo che lo scopo principale per cui sono stati creati i social network(80) è la possibilità di comunicare, quindi se un’azienda apre un profilo solo per poter aumentare le vendite molto probabilmente non si otterranno i risultati immaginati. Bisogna attuare una strategia di marketing completa partendo dal presupposto di comunicare qualcosa e capire quali obiettivi si vogliono raggiungere, approfittando della potenzialità dei social di essere sempre a portata di mano e di poter raggiungere un pubblico molto vasto che ricopre diverse fasce di età che dispongono di un reddito (soprattutto tra i 20 e i 55 anni). Altro elemento fondamentale è che i social network sono gratuiti ma gestire un profilo non è così semplice se si vogliono ottenere certi risultati. È importante partire da un’analisi dettagliata della comunicazione aziendale e cercare di comprendere come veicolare al meglio il messaggio. Spesso le aziende decidono di affidarsi a dei professionisti esterni per ottenere la massima coerenza con l’azienda. Importanza attività e presenza sui social network: / Gli utenti valutano le aziende in base alla cura che dedicano ai loro profili social / Maggior numero di fan uguale maggiori probabilità di vendita online / Dialogo diretto cliente-azienda / Le scelte dei consumatori vengono influenzate dai social network Una delle cose più importanti per ottenere successo all’interno dei social è, oltre a dare informazioni, parlare con le persone e non alle persone, creando dei post coinvolgenti. 166 – I TRADIZIONALI grafico 13 (in questa pagina e a seguire) Uso di Twitter, Facebook, Youtube e blog personale dalle aziende a livello mondiale / riferimento ai dati raccolti da burson-marsteller the global social media check-up, www.burson-marsteller.eu Benifici: / Fidelizzazione del cliente / Raggiungimento facile e veloce di milioni di clienti contemporaneamente / Influenzare scelte di navigazione / Monitorare recensioni / Gestire la reputazione del brand / Portare traffico sul sito web / Contatto diretto coi clienti 167 – I TRADIZIONALI 4.10 i social media nel crowdfunding (81) Riferimento all’articolo “Blogifield Progettare nell’era dei blog”, Chiara Alessi, Domus n.968, Aprile 2013 (82) Cenno a “Blogfield. Dinamiche di propagazione del Design nei new media”, Marco Napoli, Tesi di Laurea Magistrale, Design del Prodotto per l’innovazione, relatore Odoardo Fioravanti, Febbraio 2013 Quando si avvia una campagna su una piattaforma di crowdfunding, per ricevere il finanziamento è importante curare contemporaneamente sia la piattaforma sia la campagna sui social network, come Facebook, Twitter, Instagram, Youtube. Le regole di base per promuovere una campagna su Facebook o Twitter sono la creatività e il coinvolgimento puntando alla qualità dei contenuti e dei contatti, evitando la quantità. Se si riesce, è comodo farsi appoggiare da persone che hanno molto seguito in modo da creare un buon passaparola. Inoltre, un altro strumento efficace è creare una community page su twitition, ma in Italia è ancora poco conosciuto. I post pubblicati devono essere concisi e chiari per essere letti con piacere e senza annoiare e se si intraprende una corretta strategia, grazie alle ricompense, è possibile trasformare un fan in un sostenitore. Livio Garzanti(81), editore storico, afferma che “il successo o meno di un’opera non sia in alcun modo prevedibile, ma dipende quasi casualmente dal passaparola, che è sempre ingovernabile”. Senza ombra di dubbio, lo sforzo attuato dalla promozione, distribuzione e critica può influenzare molto il successo o meno di un progetto, ma è il pubblico ad avere l’ultima parola. Se nel caso dei best seller dei libri, come ci spiega Chiara Alessi nel suo articolo “Blogfield_ progettare nell’era dei blog”, “un po’ di disillusione e malizia hanno sempre fatto sospettare che il passaparola non fosse poi un evento così neutrale e fortuito”, sicuramente nel caso del prodotto le regole del successo sono state stravolte grazie all’importanza della rete e dei blog. Fino all’avvento dei blog, i prodotti venivano immessi nel sistema della comunicazione dopo essere stati presentati negli showroom e nelle fiere specializzate e, subito dopo, arrivava la stampa con il compito di parlarne e divulgare le novità. Steve Jobs è stato uno dei primi che ha cominciato a stravolgere questo sistema inserendo la “preview”, cioè un’anteprima esclusiva del prodotto che serve per creare attesa e far scalpore attorno ad essa. Internet ha, infine, contribuito a ampliare il rumore delle notizie, accorciando le distanze temporali e spaziali in un colpo solo. Le conseguenze di questo nuovo atteggiamento hanno fatto sì che oggi non è più importante se il progetto esisterà o meno e le caratteristiche che permettono ad un prodotto di ottenere più o meno successo nel mondo virtuale sono state completamente sostituite da nuove regole. I blog sono riusciti nell’ultimo decennio a sorpassare, sotto alcuni punti di vista, le riviste di settore in 170 – I TRADIZIONALI IMG 87 Progetto Memento di Marco Napoli quanto riescono a gestire un numero di informazioni molto più ampio e in maniera più veloce, oltre a godere un’utenza molto vasta. La credibilità di un blog è direttamente proporzionale al pubblico online che è disposto a dargliela ed è determinata dal numero di “like” che riesce a collezionare. È un circolo vizioso: da un lato per sopravvivere i blog sono “obbligati” a selezionare i progetti che possono avere più successo mediatico, dall’altra parte i designer cercano di progettare prodotti che rispondano agli standard delle caratteristiche predilette dalla rete. Il risultato? Molti progetti non esistono nella realtà e sono anche preparati ad hoc per i blog. Questo tema è stato approfondito da Marco Napoli(82), ex studente del Politecnico di Milano, attraverso la tesi “Blogfield. Dinamiche di propagazione del Design nei new media” sotto la guida del relatore Odoardo Fioravanti, attraverso l’analisi di dieci prodotti e dieci progetti su dieci blog e otto riviste di settore per ricavarne le variabili costanti e le criticità. Le caratteristiche principali che sono state rilevate sono poche ma decisive all’interno di questo sistema: il processo viene raccontato in maniera affascinante e accurata, un testo descrittivo conciso e chiaro, un’immagine quasi immateriale senza riferimenti antropometrici, lavorazioni che derivano dal mondo artigianale con un buon mix di sofisticatezza e esclusività, somiglianza con progetti importanti realizzati in contesti storici diversi e/o lontani. In conclusione, possiamo dire che i progetti in rete rappresentano un sistema virtuale di un mondo in cui la vita di un prodotto equivale all’aggiornamento online, dove il valore del prodotto non è apprezzabile né a livello materiale né in quello materiale. La maggior parte di questi prodotti, infatti, nascondo i propri difetti e spesso non rispetto i limiti tecnici di una produzione industriale. Questo dimostra anche che il loro scopo principale è la visibilità generale e non indirizzata al pubblico degli imprenditori. 171 – I TRADIZIONALI 5.20 RIFLESSioni sulle interviste Le interviste sono state rivolte a determinati designer o figure professionali in base a una serie di requisiti che sono stati messi in evidenza dalle domande. Tali variabili sono: / autopromozione / autoproduzione / designer-impresa / favorevole al crowdfunding / evoluzione del prodotto Gli studi a cui mi sono rivolta rientrano principalmente in tre macrocategorie (autopromozione, autoproduzione e crowdfunding) e sono: 1 / Studio Gamfratesi – autopromozione 2 / StudioKlass – autopromozione 3 / Dossofiorito – autopromozione & autoproduzione 4 / En&Is – designer-impresa 5 / MEG – crowdfunding (e open-source) 6 / Matteo Loglio – crowdfunding Kickstarter 7 / Umberto Tolino – crowdfunding Indiegogo 8 / Massimiliano Messina di Natevo – crowdfunding 9 / Tania Da Cruz – autopromozione & crowdfunding “per strada” 10 / StudioLievito – autoproduzione & crowdfunding Eppela 11 / Lucia Rota di Inner Design – supporto crowdfunding di StudioLievito 12 / Fattelo! – crowdfunding Eppela 172 – I TRADIZIONALI grafico 14 Posizionamento delle attitudini degli studi intervistati L’insieme delle interviste mi ha permesso di generare, quindi, una visione d’insieme del pensiero di figure con diversi background paragonando i risultati ottenuti. Ogni variabile è segnalata in verde in caso cui sia stata riscontrata un buon grado di positività nei confronti della tematica o in rosso in caso contrario. Il nero distingue i casi di indifferenza o di assenza della tematica. 173 – I TRADIZIONALI grafico 15 Confronto delle risposte degli studi intervistati Analizzando la tabella notiamo che l’auotpromozione è una componente presente in tutti gli studi. Dalle interviste si evince, infatti, che tutti gli studi di design preparano un piano d’azione per la comunicazione dei propri prodotti per ottenere visibilità su riviste di settore o blog, in modo da farsi notare soprattutto dalle aziende. Oltre alle pubblicazioni, è ritenuto fondamentale la partecipazione ad eventi di rilievo come il Salone del Mobile e le fiere. Per chi propone una campagna di crowdfunding, l’autopromozione è una strategia fondamentale per far conoscere il progetto anche al di fuori della cerchia degli interessati al settore per coinvolgere un numero maggiore di eventuali finanziatori. In questo caso, molti progettisti intervistati (StudioLievito, Umberto Tolino del team del progetto Thingk, Matteo Loglio e Fattelo!) si sono affidati ad un’agenzia PR per ottimizzare le risorse ed ottenere i 174 – I TRADIZIONALI migliori risultati possibili. L’autoproduzione è una scelta non condivisa da tutti o, addirittura assente (identificato col colore nero) in quanto presuppone un tipo di progettazione differente rispetto a quella di stampo tradizionale. StudioKlass e Studio Gamfratesi, per esempio, rispecchiano a pieno quest’ultima categoria in quanto i loro progetti sono indirizzati esclusivamente alle aziende. Dossofiorito, invece, ha cominciato l’autoproduzione di un solo prodotto in assenza di un’azienda interessata al progetto mentre StudioLievito abbraccia questa filosofia perché sfrutta artigianato e materiali del territorio toscano. En&Is è l’unico caso di designer-impresa poiché, partendo dall’autoproduzione, è riuscito a organizzare all’interno dello studio differenti ruoli che ricoprono quelli di una vera e propria piccola impresa. Per quanto riguarda il crowdfunding, molti degli intervistati ritengono il fenomeno uno strumento molto interessante per la sua capacità di mettere in relazione l’utente con il designer ma non sentono l’esigenza di parteciparvi (studio En&Is e Dossofiorito). Chi ha, invece, partecipato ad una campagna di crowdfunding ammette che è stata un’esperienza molto utile e strategica. La componente degli sviluppi futuri, cioè di un prodotto che ha degli sbocchi futuri e che è stato pensato per evolversi, è molto delicata. Dalla tabella si evince che i due studi di stampo tradizionale non rispondono in maniera positiva a tale aspetto in quanto l’obiettivo è quello di posizionare il prodotto semplicemente all’interno del catalogo di un’azienda. Una volta riusciti nell’intento, il prodotto non viene più gestito dallo studio. I casi di crowdfunding in Italia rispondono negativamente poiché il loro prodotto ha rappresentato un caso episodico e non ha ottenuti nuovi risvolti e/o collaborazioni. Un caso particolare è Fattelo! che dopo la campagna ha creato una srl ma ancora dopo più di un anno non sono molto chiare le idee sul tipo di prodotti che si vogliono eventualmente produrre. Le campagna di crowdfunding che sono state lanciate su Kickstarter e Indiegogo, invece, hanno ottenuto sia il goal che un ottimo riscontro mediatico per cui sono nate una serie di sviluppi futuri che lasciano ben sperare il delinearsi di ulteriori esempi di designer-imprenditori o designerconsulenti. 175 – I TRADIZIONALI 5. I TRADIZIONALI 5.1 i tradizionali (83) In occasione della cerimonia ed inaugurazione della mostra dei progetti selezionati per il concorso premio Lissone 2013 IMG 88 Electroplate teiera, progettata da Christopher Dresser e prodotta da James Dixon and Sons, 1879. Il progetto “I Tradizionali” è nato in occasione del concorso “Design for food. Design for feed” indetto dal Comune di Lissone in previsione dell’Expo 2015 ormai alle porte. La quarta edizione del Premio Lissone Design ha voluto, attraverso la tematica del concorso suddivisa in due categorie (rito e funzione), entrare nel vivo del tema dell’Expo, ricreando un panorama stimolante legato all’istinto primario dell’essere umani di nutrirsi. Il concorso era rivolto a giovani designer, chiamati a competere su un tema molto vasto e allo stesso tempo sensibile dove, in un contesto di continuo cambiamento e ricco di sfumature provenienti da diversi mondi, il legame risiede proprio nella cultura. Oggi il cibo è una tematica che coinvolge interessi apparentemente lontani da tra di loro: locali e globali, individuali e collettivi, sociali e politici. Il cibo fa parte della cultura umana perché, oltre ad essere un istinto primordiale, come necessità del corpo umano di assimilare energia, ma ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella società e nel mercato che genera. Infatti, come ci ricorda Matteo Pirola in “Progetto e cibo: idee per l’alimentazione”(83), “il cibo inteso come prodotto fondamentale per la nostra esistenza e per il piacere personale, è un settore dai numeri smisurati: quasi sette miliardi di persone, tutti i giorni e più volte al giorno, hanno bisogno di nutrirsi.” Il cibo è stato uno dei primi campi esplorati dal mondo progettuale a causa della necessità ma oggi il design esplora questo vasto panorama in svariate forme: a partire dal nutrimento individuale al disegno di strumenti per l’alimentazione, dalla ricerca si soluzioni a problemi del settore alimentare alla progettazione di servizi ed esperienze sociali e di condivisione. Da qualche anno a questa parte è stato coniato il termine “Food design” che in maniera molto generale indica un settore ampio e sfaccettato, a volte ambiguo, che si occupa sia della produzione che del consumo del cibo. Se andiamo a scavare nella storia del design, è facile scoprire che il design ha una lunga tradizione di progetti legati al mondo del cibo. Uno dei primi progettisti a interpretare la professione del designer in chiave di lettura moderna e a cimentarsi nel prodotto legato al mondo della cucina è Christopher Dresser, uno dei maggiori sostenitori del movimento “Arts 179 – I TRADIZIONALI IMG 89 Il Quattrova Illustrato, ovvero la cucina elegante, libro di ricette illustrate da Gio Ponti. IMG 90 Illustrazione di Gio Ponti tratta daIl Quattrova Illustrato, ovvero la cucina elegante. (84) Marti Guixè, artista e designer spagnolo ecclettico che da anni focalizza la sua ricerca sul food design. Frase citata da Guixè in riferimento a Inga Knolke, fotografa di food design, 1999. and Craft”, che già alla fine dell’800 aveva realizzato oggetti di qualità pensati per la produzione di massa, realizzando una serie molto ampia di ciotole, teiere, caraffe e caffettiere. Un altro esempio emblematico legato al mondo degli interni e degli spazi della cucina è Margarete Shutte-Lihotzky con la realizzazione della famosa “Cucina di Francoforte”, il primo archetipo di cucina componibile e funzionale caratterizzata da: razionalizzazione degli spazi, distribuzione degli elementi in base ad uno schema a “U” che ottimizza l’uso della cucina e i movimenti dell’utente, spazio ristretto per diminuire tragitti e tempi e materiali studiati. In Italia Gio Ponti si è distinto per la realizzazione di numerosi oggetti in ceramica grazie alla collaborazione con l’azienda Richard Ginori, la manifattura di porcellane tra le più importanti nel nostro Paese, con la quale ha riformato il gusto italiano di quel periodo. Ha anche illustrato “Il Quattrova illustrato, ovvero la cucina elegante”, un libro di ricette italiane pubblicato nel 1931 dove nella prefazione di Piero Gadda vengono messe subito in chiaro le intenzioni del ricettario: “mangiare è una cosa seria. Lettore, non sei compreso della verità e dell’importanza, veramente vitale, di questa solenne affermazione, ti compiango: questo libro non è per te”. Bruno Munari, invece, nel 1958 illustra le posate nel libro “Forchette parlanti” dove le forchette diventano mani che possono esprimere gesti, sovvertendo la funzione di un oggetto quotidiano in arte, caricandola di valori e significati. L’elenco di progettisti che hanno fatto la storia del design sarebbe davvero lungo ma tra quelli moderni spicca Martì Guixè(84) che fin dalla metà degli anni Novanta progetta seconda la filosofia per cui un cibo possa essere un prodotto progettato e commestibile, riferendosi al pensiero che “un food designer è qualcuno che lavora con il cibo, senza alcuna idea sul cucinare / a food designer is somebody working with food, with no idea of coking” (Inga Knolke, 1999). Il designer ha progettato cibi sponsorizzati, pillole energetiche, rivestimenti commestibili e nuovi modi per 180 – I TRADIZIONALI (85) Un Dia En elBulli, scritto da Ferran Adrià, chef spagnolo, 2005 (86) Manifesto dello Slow Food, di Carlo Petrini, fondatore del movimento, 1989 (87) Ettore Sottsass, “Le case hanno un interno”, 1995 IMG 90 la condivisione del cibo, inaugurando uno dei fenomeni mediatici oggi più attivi: la gastronomia. I nuovi protagonisti contemporanei sono i grandi Chef, ormai divenuti delle vere e proprie celebrità. Anche se non sono dei progettisti, molti chef hanno contribuito a far ragionare sull’importanza del cibo e i suoi aspetti progettuali, come per esempio Ferran Adrià(85) che ha mostrato sotto una nuova luce gli strumenti e i riti di una cucina intesa a livello tecnologico e contemporaneamente emozionale. Il cibo non è più solo un bisogno, è anche desiderio, ossessione, rito, status symbol, eccitazione e consolazione. La produzione e il consumo di cibo apre una serie di argomenti diversi tra di loro e si evolve continuamente: la globalizzazione, per esempio, sta sostituendo la cucina tradizionale con un nuovo gusto, quasi uniformato, che mescola consumi alimentari sempre più indifferenziati e meno specializzati, come per esempio i cibi surgelati o già pronti preparati industrialmente. Per combattere questo fenomeno di “appiattimento” e di perdita delle tradizioni culinarie, l’Italia si sente tirata in causa ed è proprio qui che è nato, sotto la guida di Carlo Petrini(86), il movimento Slow Food, un’associazione internazionale senza scopo di lucro impegnata a ridare valore al cibo grazie ai saperi delle tradizioni locali e dei rispettivi territori, per ridare valore al cibo e a chi li produce.A tal proposito, Ettore Sottsass(87) nel 1995 aveva pubblicato il testo “Le case hanno un interno” in cui riflette sul valore del design considerando la qualità della produzione per la popolazione, “quegli ammassi nebulosi di persone alle quali i progetti vengono consegnati più o meno precotti, come quasi sempre precotti sono gli spaghetti nei ristoranti di seconda, terza, quarta categoria. Spaghetti più o meno precotti, surgelati, riscaldati… spaghetti schifosi”. Iltesto parla dell’idea di abitazione su diversi piani per poi concludere con una metafora sul cibo che “deve essere un diritto, ma che deve essere sotteso da una altissima, seppur semplice, qualità progettuale, al di là degli spaghetti precotti. 181 – I TRADIZIONALI 5.2 TATTOO-RECIPES IMG 91 Collezione “I Tradizionali” realizzata per la campagna di crowdfunding su Eppela, Maggio 2014 IMG 92 Tattoo-recipes “Cappuccino di zucca” applicata sull’avambraccio L’idea è nata un po’ per caso grazie all’incontro con la mia collega Marina, designer di interni, che, per l’occasione del concorso Premio Lissone 2013, abbiamo deciso di progettare “I Tradizionali”. Dall’abitudine di appuntare i passaggi delle ricette sul dorso della mano e, soprattutto sull’avambraccio, abbiamo deciso di progettare I Tradizionali, una collezione di mini ricette tatuabili temporaneamente sull’avambraccio. Il progetto mira ad avvicinare i più giovani alla cultura del cibo sano e buono, quello in cui si cucina in casa “rimboccandosi le maniche” ed in cui si condivide il piatto in due momenti: nell’atto vero e proprio di mangiare e in quello di scambiarsi le ricette. Il nome “I Tradizionali” si ispira a uno degli stili tattoo più importanti, il tradizionale appunto o Old School. La ricetta intesa come elemento di trasmissione, di memoria e passaggio di conoscenze ha a sua volte un valore tradizionale, capace di veicolare svariate informazioni e significicati di una famiglia o di un territorio. La collezione realizzata per il Concorso prevedeva una suddivisione delle ricette in quattro categorie differenti in base alle quattro stagioni e, di conseguenza, alla frutta e verdura tipica di un determinato periodo dell’anno. L’obiettivo era quello di predisporre una catalogazione di ricette italiane che rispettassero i prodotti italiani e le caratteristiche di ogni regione del nostro Paese. Matteo Pirola, scrittore, critico e docente al Politecnico di Milano, ha motiva il secondo premio de I Tradizionali scrivendo che “il progetto sdrammatizza un comportamento tradizionale, quello della preparazione del cibo, attraverso manuali di cucina, veicolando un messaggio alimentare attraverso l’originale uso del corpo, che diventa supporto di immagini guida per la realizzazione di una ricetta”. 182 – I TRADIZIONALI IMG 92 In seguito il progetto si è evoluto. È stata scartata l’idea della catalogazione sotto la chiave di lettura delle stagioni e si è cercato di concentrarsi sulle ricette tipiche italiane, raccogliendo i saperi e, allo stesso tempo, rivisitandole così come ogni famiglia italiana aggiunge un dettaglio ad ogni piatto. L’obiettivo è, nella scia della tradizione di tramandare una ricetta da madre in figlia, riscoprire la tradizione culinaria e i nuovi sapori condividendo l’esperienza del cibo in un modo fresco, divertente e nuovo. 183 – I TRADIZIONALI 5.3 FOOd design (88) Cibarsi di interrogativi di Susanna Legrenzi, tratto da “Design for food, design for feed, 2013 IMG 92 Illustrazione di Martì Guixè tratta dal suo libro “Food design”, Edizioni Corraini, 2011 Negli ultimi dieci anni è scoppiata la moda del cosiddetto “Food design” che tutto include e nulla è di specifico. Susanna Legrenzi(88), ricercatrice e insegnante al Politecnico di Milano, afferma nel breve testo “Cibarsi di interrogativi”, pubblicato su “Design for feed. Design for food” nel 2013, che “oggi che tutto è design non è sempre facile individuare ricerche che siano portatrici non solo di processualità progettuale ma anche di visioni che ci permettano di cogliere il passo del futuro. Il food design vive su questo crinale. È cibo che diventa oggetto, oggetti che vivono di simbiosi segnico-materiche con il cibo”. Il food design analizza la dimensione del rito e progetta sistemi di relazione in cui la nutrizione è: identità, condivisione, desiderio, privazione, lontananza e vicinanza. Il cibo, più di ogni altra cosa, ci pone nella posizione di relazionarci con gli altri attraverso le azioni rituali e gli strumenti di diverse tipologie che ci propone. Se design è sinonimo di progetto, mi piace pensare ad una sua applicazione su qualunque ambito e qualunque contesto dove è possibile sviluppare le opportunità che ogni territorio offre, grazie alla sua capacità di immaginare e individuare nuovi sistemi in cui legare prodotto ed esperienzialità. 186 – I TRADIZIONALI 5.4 verso expo 2015 (89) Slogan di EXPO 2015 (90) Tratto dal sito ufficiale di EXPO 2015 www.expo2015.org L’EXPO è un’esposizione Universale che presenta una rassegna espositiva e coinvolge attivamente numerosi Paesi e soggetti attorno ad un tema decisivo che, nel caso dell’Italia, è assolutamente inedito e innovativo. Il tema dell’EXPO 2015(89) che si svolgerà tra pochi mesi a Milano è “Nutrire il Pianeta. Energia per la vita”. Il tema ha dato il via libera, negli ultimi anni, a tantissimi eventi e concorsi che si sono sentiti coinvolti in questa tematica che abbraccia ovviamente il tema del cibo in tutte le sue sfumature. Saranno disponibili 184 giorni di evento in cui più di 130 partecipanti avranno la possibilità di sfruttare una superficie di un milione di metri quadri per sviluppare in maniera innovativa, tecnologica e originale l’argomento. Il tema dell’EXPO è stato articolato in sette aree tematiche tra cui l’educazione al cibo, cibo e cultura e il cibo per un migliore stile di vita. Le tematiche sono state definite sulla base di aree di ricerca e di sviluppo in cui il design può provare a scardinarsi dal limitante ruolo di “food design”. L’obiettivo(90) è di creare - come recita il sito di EXPO 2015 - un “viaggio attraverso i sapori” e intorno al mondo, in cui i visitatori saranno coinvolti in prima persona in iter tematici e approfondimenti su vari livelli dell’alimentazione. EXPO 2015 è la prima Esposizione Universale che apre un duplice dialogo: oltre ai manufatti innovativi, si parlerà per la prima volta di temi sociali, di educazione e risorse del pianeta. Non è la prima volta che Milano ospita un’Esposizione Universale. Già nel 1906, più di un secolo fa, Milano ha inaugurato l’evento dedicato ai trasporti e, per l’occasione, il Castello Sforzesco e il Parco Sempione avevano accolto più di duecento Padiglioni. Oggi Milano si ripropone come rappresentante di tutta l’Italia, come metropoli multiculturale che racchiude in sé un po’ di tutte le altre città. Milano, infatti, è ambasciatrice della tradizione alimentare con sede di ventimila imprese che si dedicano alla trasformazione agroalimentare e alla nutrizione, oltre a sessanta mila imprese di eccellenza nella produzione agricola. Inoltre, la città è nata come punto strategico per i traffici commercianti e ancora oggi la sua posizione è un punto di partenza o di arrivo ideale per le mete del turismo internazionale e italiane. Anche se comunemente non si pensa a Milano come città turistica, può vantare di essere un grande centro per la cultura grazie ai teatri La Scala e 187 – I TRADIZIONALI IMG 93 Illustrazione di Martì Guixè tratta dal suo libro “Food design”, Edizioni Corraini, 2011 il Piccolo, il Cenacolo Vinciano, la Pinacoteca di Brera, il Castello Sforzesco e il Duomo. Milano offre molte occasioni esperienziali e vende circa dieci milioni di biglietti tra arte, musica, musei e cinema. A partire dagli anni ’60, Milano è il cuore dell’economia Italiana che guarda ai mercati internazionali ed è un punto di riferimento mondiale per il design e per la moda, grazie al Salone Internazionale del Mobile (che si svolge ogni anno ad Aprile e che, quindi, quasi si sovrappone all’apertura dell’EXPO prevista per l’1 Maggio). Oltre ad essere un polo internazionale per lo shopping, la metropoli si apre verso il mondo grazie al “melting pot” di 191 comunità straniere presenti e accoglie cento rappresentanze diplomatiche, con una particolare attenzione all’attività solidale e alla cooperazione. Un po’ per tutti questi motivi e un po’ perché per chi abita a Milano respira aria di fermento, l’evento ha creato nei giovani designer, nei makers e negli auto produttori una speranza di poter trovare un’occasione di lavoro e di portare in luce nuovi modi di progettazione e di intendere il cibo, oltre alla possibile opportunità di incontro fra imprese e giovani. 188 – I TRADIZIONALI 5.5 trend food & tattoo (91) Neologismo coniato da Rosalind Coward che per la prima volta ha usato il termine “food porn” nel suo testo “ Female Desire-Women’s. Sexuality Today”, 1984 Durante gli ultimi anni è scoppiata una vera modo legata al cibo e l’era digitale ha incrementato esponenzialmente questo fenomeno. Dai foodblogger ai programmi TV, non si riesce più a non sentire parlare di cake designer, Masterchef, cucina molecolare, cibo biologico, junk food, food porn, in food we trust, street food e cupacke, almeno una volta al giorno. Siamo continuamente bombardati da immagini di cibi (finti) fotografati e che fanno venire l’acquolina in bocca anche se si ha appena finito di pranzare. Ecco che è stato coniato il termine “food porn”(91), riferito all’ossessione per il cibo al limite del pornografico, che letteralmente significa “cibo da mangiare con gli occhi”. Il termine è stato coniato nel 1984 dalla scrittrice femminista Rosalind Coward che, per la prima volta, l’ha usato nel libro “Female Desire-Women’s. Sexuality Today”, dove si afferma che “l’estetica del piatto è più importante della persona che l’ha cucinato e degli ingredienti usati”. Ciò che assume davvero fondamentale importanza è la presentazione del cibo e il desiderio che riesce a stimolare. Questo fenomeno si riferisce prevalentemente alla presentazione sui libri di cucina, sulle riviste di settore e non, su facebook e instagram e su infiniti blog, di fotografie di piatti prelibati e immagini goduriose di ogni tipo di pietanza. Ormai è diventata una vera e propria ossessione di fotografare tutti i pasti della giornata, partita dai giornalisti enogastronomici fino a coinvolgere la gente comune, che rappresenta un palese sintomo di quanto il cibo sia diventato negli ultimi anni un elemento importante della nostra società. Cosa spinge le persone a fotografare il proprio piatto? Lo si fotografa per condividerlo con gli altri in maniera virtuale per mezzo dei social network o semplicemente perché lo si apprezza e non si può farne a meno. I dati parlano da sé: su Flickr esiste un gruppo completamente dedicato al food porn con circa seicento mila immagini caricate da quarantamila utenti membri e su Pinterest le foto che catturano del cibo vengono condivise il doppio rispetto a quelle legate al mondo della modo e dello stile. Il piacere del cibo, quindi, non solo è determinato dalle nostre papille gustative ma anche dalla nostra vista che pretende che il cibo emani sensualità. Una delle promotrici e regina di questo mondo è Nigella Lawson, autrice di libri di cucina e conduttrice inglese di trasmissioni tv, che con vanta più di un milione di fan sulla sua pagina facebook. 189 – I TRADIZIONALI (92) Food Design, n.1, Ottobre 2014, gruppo editoriale DDW | Design Diffusion World (93) Progetto Pantone Pairings, tratto dal sito del grafico David Schwen www.dschwen.com IMG 94, 95 & 96 L’amore per la presentazione del cibo è figlia dell’era digitale in cui le immagini visive hanno assunto un ruolo a dir poco imponente. La maggior parte delle fotografie condivise sui social media o usate per le pubblicità sono studiate nei minimi dettagli perché il loro unico obiettivo è quello di provocare un desiderio irrefrenabile. Le variabili che determinano il food porn sono: / fotografia della pietanza presentato in modo da far venire l’acquolina in bocca; / condivisione della foto sui principali social media, preferibilmente accompagnata da una sintetica descrizione / i commenti che contribuiscono ad aumentare il desiderio ed esprimo apprezzamenti, cercando di capire qual è la ricetta. Progetto fotografico “Pantone Pairings”, una foto al giorno viene pubblicata su Facebook e Instagram, di David Schwen Grazie all’impazzare di questo fenomeno, gli chef sono divenute delle star, sono esplose serie televisive, programmi tv, blog e riviste dedicate al settore (una delle ultime arrivate è “Food Design”(92) del gruppo editoriale DDW Design Diffusion World con il primo numero uscito ad ottobre 2014). La comunicazione mediatica, non potendo esprime il sapore dei piatti, focalizza la sua attenzione sulla sua unica risorsa: la vista. Un progetto che esaspera questo concetto è quello del grafico David Schwen. Il progetto Pantone Pairings(93) usa delle pietanze che stanno bene insieme a livello cromatico al posto dei colori. In questo modo i colori Pantone sono stati “sostituiti” da piccole porzioni di cibo in un lavoro work-in-progress che può essere seguito quotidianamente su Instagram o Facebook. Il food porn è una una delle tendenze più in voga e che, a quanto pare, non ha alcuna intenzione di tramontare. Di seguito verranno presentati alcuni trend che sono stati di ispirazione al progetto I Tradizionali. 190 – I TRADIZIONALI IMG 95 E 96 (94) www.theydrawandcook.com IMG 97 Illustrazione tratta dalle ricette caricate dagli utenti sul sito “They draw and cook” / They draw and cook Uno dei trend che I Tradizionali hanno cercato di cavalcare è l’illustrazione legata al cibo. They draw and cook è un sitoblog(94) gestito da Nate Padavick e Salli Swindell, fratello e sorella che, dopo aver lavorato per più di dieci anni come Studio SSS, hanno creato centinaia di riviste e illustrazioni per libri, biglietti di auguri e infinite ricette illustrate. L’idea del sito è nata durata una vacanza per puro caso accorgendosi di quanto fosse divertente e coinvolgente illustrare l’ingrediente di una ricetta scelta. Oggi il blog The draw and cook contiene la più grande collezione di ricette illustrate mai vista fino ad ora grazie al contributo di professionisti, grafici, artisti, cuochi o semplicemente appassionati di cucina. Il sito è costituito da diverse sezioni tra cui una home in cui è possibile visualizzare le ultime ricette illustrate caricate e quelle riferite alla selezione in base ad un ingrediente specifico. È possibile trovare una ricetta in base all’efficace motore di ricerca oppure caricare la propria illustrazione, seguendo i consigli e i formati suggeriti da Nate e Salli, creando un profilo da artista per eventuali royalties raccolte dalla persona. Oltre al blog che raccoglie eventi, focus e articoli sul settore, una sezione interessante è quella dello shop online in cui è possibile trovare dei libri di ricette, ovviamente, interamente illustrate. 192 – I TRADIZIONALI (95) www.dmax.it IMG 98 Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, chef e protagonista di “Unti e Bisunti”, trasmissione che va in onda su DMAX / Unti e bisunti – Chef Rubio “Unti e bisunti” è un programma tv trasmesso su DMAX(95) in cui il cuoco Gabriele Rubini, sotto le vesti di Chef Rubio, gira in lungo e in largo per tutta Italia alla ricerca delle leggende dello street food di ogni città con l’obiettivo di sfidarle. Prima della sfida, però, Chef Rubio esplora a fondo ogni città alla ricerca della caloria assaggiando qualunque cibo tradizionale che sia unto, caratteristico del posto e delizioso. Allievo della scuola di cucina di Gualtiero Marchesi e interamente tatuato, il cuoco è amato da chi non si ritrova nei due filoni classici dedicati alla televisione: Antonella Clerici e Benedetta Parodi per la cucina popolare e Carlo Cracco e Bruno Barbieri per le micro porzioni da cucina di alta gamma. Chef Rubio infatti apre una finestra al mondo dei sapori tipici del nostro Paese, cucinando per strada, sporcandosi le mani e raccontando storie e sapori legati alle persone del luogo che di volta in volta visita. Oltre all’esplosione del successo del programma televisivo, Chef Rubio è parallelamente divenuto seguitissimo sui social poiché racconta in maniera sincera e vorace le sue avventure e i piatti assaggiati. 193 – I TRADIZIONALI / Le Grand Fooding Milano - Pelle all’arrabbiata Dal 2010 l’evento “Le Grand Fooding”(96) da Parigi arriva anche in Italia. È un evento gastronomico che coinvolge il mondo delle illustrazioni e dei tatuaggi, della moda e della musica. Ogni edizione sviluppa un tema di tendenza specifico, per esempio il primo anno il finger food, dove dieci giovani cuochi possono dare una loro interpretazione, sbizzarrendosi. Le Grand Fooding si ispira alla celebre frase di Brillat-Savarin(97), “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”, della seconda metà del ‘700 e che risulta ancora oggi estremamente contemporanea, aprendo una nuova ipotesi: “ciò che mangiamo oggi determina ciò che mangeremo domani e, quindi, ciò che domani saemo?” Come ieri, il cibo che ogni individuo assimila e sceglie rappresenta uno status symbol per cui determinate pietanze erano piaceri negati alla fascia più povera. Le Grand Fooding di Milano, sulla scia dei grandi cambiamenti degli anni ’50, porta e raccoglie nuova modalità espressive nelle cucine dei ristoranti, riunendo gruppi di cuochi giovani “arrabbiati” e pronti a (96) www.legrandfooding.com (97) Frase tratta da “Fisiologia del gusto”, Anthelme Brillat-Savarin, 1825 IMG 99 Comunicazione sponsor dell’evento mixare cibi e stili. La parola d’ordine è quella di essere provocatori per cui “Pelle all’arrabbiata” rappresenta l’esasperazione dell’incrocio tra il boulevard dello Stile pettinato e il viale della Bontà tipico dello street food. “Pelle all’arrabbiata” è il nome scelto per la terza edizione per sottolineare la scelta del team di cuochi giovani, anticonformisti e interamente tatuati, che si allontanano dagli schemi rigidi della gastronomia. “Pelle all’arrabbiata” - Le Grand Fooding Milano, 2012 194 – I TRADIZIONALI (98) www.tattly.com IMG 100 Trasferelli illustrati del brand Tattly / Tattly Tattly è un brand newyorkese che realizza tatuaggi temporanei disegnati da giovani designer. La collezione di Tattly altro non è che una collezione ampia di trasferelli illustrati tra vintage e ironia. I Tattly sono venduti a circa venti dollari in tutto il mondo online ed è possibile trovarli in 500 negozi in più di quaranta Paesi, tra cui anche negli shop dei musei di arte contemporanea e di design. Perché hanno avuto così tanto successo? Perché sono ben illustrati, toccano temi cari e di tendenza tra i giovani (come per esempio la cucina, la fotografia e la musica) e rispolverano i ricordi di quando si era bambini e si collezionavano su tutto il corpo i trasferelli trovati nei pacchetti delle patatine. Tattly crede che un buon design e l’arte possano rendere felici le persone e che i prodotti di qualità e di grande supporto al cliente sono le uniche opzioni. La missione di Tattly è quella di regalare un sorriso ad ogni cliente, adulto o bambino esso sia. Tattly differenza i tatuaggi in categorie in base allo stile e alle tematiche scelte per la rappresentazione delle illustrazioni. Le categorie più comuni sono: summertime, kids, food, colorful, bikes, typographic e wedding. A queste si aggiungono i set, insieme di trasferelli spediti all’interno di una semplice scatoletta di latta, e le cartoline di auguri per occasioni speciali. Una sezione interessante del sito è dedicata alla customizzazione per grandi eventi, libri, show e così via. Ciò significa che un cliente non può richiedere la personalizzazione di un singolo tattoo poiché la produzione dei trasferelli è industriale (cioè comporta quantitativi minimi da rispettare). 195 – I TRADIZIONALI 5.6 IL MONDO DEI GADGET (99) Citazione tratta dall’articolo “Gadget, ovvero, ti conquisto con un regalopubblicato su PrintPub. net, portale di comunicazione e arti grafiche. IMG 101 Tazza bianca per uso gadget Il vasto panorama dei gadget è malvisto dal mondo del design ma in realtà “il gadget è un buon mezzo per creare un legame tra il brand e il suo destinatario e può essere determinante anche per consolidare e diffondere il riconoscimento del brand stesso”(99). I consumatori sono continuamente bombardati da messaggi provenienti dai mezzi di comunicazione e, all’interno di questo sistema, la Pubblicità tramite oggetto, detta anche PTO, è uno strumento molto efficace, discreto e personalizzato, sfruttato dal marketing aziendale per mirare ad una determinata fetta di mercato. Di fatto, il gadget è un ponte tra mercato e azienda e permette di determinare, assieme a una strategia di marketing ben strutturata, il massimo riconoscimento / memorizzazione del logo e del messaggio di un brand. La pubblicità tramite oggetto viene usata prevalentemente per due motivi: costo contenuto e impatto emozionale sul cliente. In queste occasioni il marketing studia ad hoc quali prodotti gadget sono più adatti al tipo di target definito e li personalizza semplicemente inserendo logo, colori aziendali e/o messaggi. Le categorie più comuni sono: penne, tazze, magliette, shopper, cappelli, calendari, agende, giochi, braccialetti, adesivi, chiavette usb. Una parte del design ha volto lo sguardo dall’oggetto usa e getta al fenomeno dell’oggetto-immagine, proiettati all’indegna della superficialità, del dono e del souvenir. L’obiettivo di questa categoria di prodotti è di suscitare un impatto positivo e piacevole, tralasciando la scelta dei materiali (solitamente viene usata la plastica) per dare spazio al lato ludico e spensierato del prodotto. Il gadget, così come gli oggetti usa e getta, vengono spesso criticati per il loro consumismo di massa e di spreco ma, come giustamente ci ricorda Gabriella D’Amato nel libro “Storia del design” pubblicato nel 2005 da Bruno Mondadori, “dimenticando come proprio il consumo sia stato uno degli obiettivi prioritari del design moderno”. Quanta importanza riveste un gadget? Il gadget è un dono e serve per far riconoscere il brand. Inoltre, permette ad un’azienda di aumentare le vendite dei prodotti pubblicizzati e viene distribuito esclusivamente durante occasioni come 196 – I TRADIZIONALI eventi in fiera o a clienti affezionati. Aiuta anche a diffondere e consolidare il marchio, soprattutto verso nuovi clienti, e a mantenere un legame di fidelizzazione. Nonostante l’era digitale, uno dei supporti più utilizzati per la produzione di gadget è la carta ed ogni anno vengono prodotti articoli di ogni formato e tipologia (blocco note, calendari, agende) e vengono realizzati su richiesta e personalizzati in alcun punti grazie alle stampe digitali che, grazie alla semplicità di impiego e alla flessibilità, ricopre un grande ruolo per la produzione di quantità non troppo ampie. 197 – I TRADIZIONALI 5.7 IL TEAM IMG 102 & 103 Dall’alto verso il basso: Sarah e Marina del team “I Tradizionali” Il progetto nasce dall’incontro di due passioni: la cucina, per Marina, e l’illustrazione, per me. Il filo conduttore tra le due inclinazioni è il design. Entrambe provenienti dalla Scuola di Design del Politecnico di Milano, classe di Interni per la prima e di prodotto per la seconda. Fin dall’inizio i ruoli all’interno del gruppo sono stati suddivisi per cercare di organizzare al meglio la struttura del lavoro e per ottimizzare i tempi. Infatti, Marina, con un’esperienza maggiore a livello lavorativo, si è occupata delle questioni burocratiche, delle chiamate puntuali ai fornitori e della compilazione delle fatture, oltre ad essere una grande cuoca in cucina e, quindi, la responsabile della scelta e la preparazione delle ricette. Io mi sono sempre occupata della gestione dei social network, lavoro che occupa quotidianamente le mie giornate, poiché è fondamentale “curare” i propri fan e stimolarli con contenuti sempre nuovi e mai banali. Le illustrazioni sono interamente disegnate da me in base alla scelta delle ricette. La scelta dei dettagli del prodotto, la cura dell’estetica e la parte creativa dell’intero sistema de I Tradizionali è un lavoro che svolgiamo assieme e che, grazie al confronto e alla costante ricerca di stimoli e nuove ispirazioni, cerchiamo di migliorare continuamente. 198 – I TRADIZIONALI 5.8 swot analisys (100) “Come fare un’analisi SWOT di qualità”, www.slideshare.net L’analisi SWOT(100) è uno strumento molto utile per una pianificazione strategica. Questa matrice permetti di considerare opportunamente i punti di forza e di debolezza e metterle a confronto con le opportunità e le eventuali minacce di un determinato progetto o di un’impresa. Se ben strutturata, la SWOT analysis all’interno di un progetto delinea l’organizzazione e le azioni strategiche da effettuare per raggiungere un determinato obiettivo. L’analisi è stata svolta per analizzare i fattori interni ed esterni de I Tradizionali prima della campagna di crowdfunding per poter sapere gestire al meglio eventuali imprevisti e comprendere quali punti di forza comunicare. A tal proposito ci è stato utile definire l’obiettivo principale de I Tradizionali in prossimità del lancio della campagna; la missione del prodotto è quella di far conoscere il nuovo potenziale de I Tradizionali come strumento nuovo di comunicazione e come prodotto adattabile ad eventi e diere, al mondo delle ristorazione, del turismo e dei gadget. I fattori interni possono essere definiti come i punti di forza e di debolezza dell’ipotetica azienda I Tradizionali in base agli obiettivi proposti; i fattori esterni, invece, riguardano l’evoluzione tecnologica, i cambiamenti socio-culturali e di mercato. Le fasi principali dell’analisi possono essere sintetizzate: Obiettivo: far conoscere la nuova tipologia di prodotto attraverso una comunicazione strategica. Sfruttare il crowdfunding per la visibilità del prodotto e ottenere contatti di tipo lavorativo. Se il prodotto ottiene i fondi grazie al crowdfunding, evitare di rimanere un”episodico” e trovare nuovi canali per una seconda produzione. 199 – I TRADIZIONALI Punti di forza: competenze progettuali competenze grafiche possibile ampliamento della collezione versatilità del team personalizzazione ad hoc consulenza qualità prodotto sponsor Favini Punti deboli: poca esperienza come impresa e consulenza tutte le fasi vengono gestite all’interno del team produzione industriale: raggiungimento di quantitativi minimi affidamento a fornitori per la produzione industriale basse risorse interne per investimenti mancanza di un’agenzia PR Opportunità: prodotto completo e pronto da vendere prezzo di costo e finale basso un solo grande competitor target definito possibilità Expo 2015 Crowdfunding alto livello esperienziale crea relazione e condivisione versatilità servizi Rischi: prodotto non brevettabile episodicità legata al crowdfunding rimandare il giusto valore percepito prodotto canali di distribuzione possibili nuovi competitor tipologia di prodotto nuova 200 – I TRADIZIONALI 5.9 PRIMA DEL CROWDFUNDING / VALORI & BUSINESS PLAN IMG 104 & 105 Dall’alto verso il basso: le confezioni de I Tradizionali e styling di una ricetta con una tattoo-recipe Quando abbiamo deciso di lanciare una campagna di crowdfunding il progetto era stato definito in tutte le sue parti. Il packaging era stato estremamente semplificato per ridurre i costi, senza diminuire il valore percepito del prodotto e l’inventario di ricette era stato predisposto in base a due fattori fondamentali: ottimizzazione della collezione di ricette da stampare cercando di sfruttare al massimo il formato del foglio e strutturando quattro ricette per ogni categoria: antipato/contorno, primo, secondo, cocktail, dessert e eventuale menù speciale per vegetariani o celiaci. Oltre al raggiungimento del goal, gli obiettivi della campagna erano diversi e visti sotto un’ottica di piccola impresa con l’attenzione al mercato italiano e, soprattutto, internazionale: riuscire a trovare un network di collaborazioni con azienda o realtà di ristorazione o agricole offrendo un biglietto da visita e un pacchetto completo del prodotto e comprendere se il prodotto potesse avere un riscontro positivo del pubblico e possibili clienti. Per prima cosa abbiamo cercato di comprendere i valori del prodotto e del progetto in generale con uno sguardo ad EXPO 2015. I Tradizionali sono un prodotto fisico poco complesso ma il rischio di cadere nella catalogazione tipologica di mero oggetto-gadget abbiamo dovuto lavorare molto sull’estetica del prodotto e sull’acquisizione di un corretto valore percepito. 201 – I TRADIZIONALI Sia nel press kit che nel video di presentazione del progetto sono state sottolineate alcune parole chiave che vi presenterò di seguito attraverso un elenco: tradizione / genuinità cibo buono e sano / fatto in casa / condivisione / esperienza / tramandare / giovani / made in intaly / ludico La scelta della piattaforma è stata molto travagliata e difficile. Per una questione logistica non potevamo scegliere la regina delle piattaforme di crowdfunding, Kickstarter, perché nessuna delle due è americana, canadese o inglese e non avevamo la possibilità di aprire una società in uno dei rispettivi Paesi, quindi siamo state a lungo indecise se scegliere l’americana Indiegogo o l’Italiana Eppela. Un po’ per patriottismo e un po’ perché avevamo avuto la possibilità di incontrare personalmente alcuni collaboratori di Eppela che ci avevano assicurato di seguirci e spingerci al massimo attraverso i loro canali di comunicazione, abbiamo deciso di provarci con quest’ultima, consapevoli che il budget che chiedevamo fosse “basso” per gli americani ma “alto” per l’Italia. Tra le piattaforme italiane abbiamo escluso a priori tutte le altre per due motivi: le possibilità di raggiungere il goal si abbassavano ancora di più e il genere di alcuni progetti pubblicati su Eppela si mostrava più affine alla nostra idea e, quindi, al tipo di utenza. / BUSINESS PLANN Quando si decide di avviare un’azienda o un’attività imprenditoriale bisogna eseguire un’analisi di fattibilità a livello economico-aziendale per poter organizzare e gestire al meglio le risorse iniziali all’interno della pianificazione e della gestione aziendale. La sintesi di questo studio, basato soprattutto su dati statistici o stimati, viene raccolta in un documento chiamato “business plan” e, anche nei casi di crowdfunding, è indispensabile proporlo, soprattutto, per valutare in maniera consapevole il mercato, i valori, i vincoli, gli obiettivi scanditi nel tempo, le entrate e le uscite. Questo documento rappresenta, quindi, una sorta di “piano strategico” usato per la pianificazione aziendale e per la comunicazione esterna, nel caso di eventuali investitori e/o finanziatori. 202 – I TRADIZIONALI Elenco voci focalizzate alle entrate/ uscite del business plann per determinare la previsione del goal (molte voci presentano un costo ridotto perché abbiamo avuto la fortuna di riuscire a coinvolgere amici che con piacere hanno voluto aiutarci): / tattoo 101x50mm / font / busta pack 2500pz IVA incl / fustella / carta pack / stampa / punzone / buste da lettera standard / spedizione multipack / costi spedizionenormale / costi spedizione raccomandata / adesivi tondi 2500pz IVA incl / adesivi logo 5000pz / taglierina / cartolina (carta e stampa) / liste spesa/pieghevole (carta, taglio e stampa) / stampante b/n laser (voce ipotetica) / toner nero (voce ipotetica) / costo abbonamento bigcartel / video / foto / sito 203 – I TRADIZIONALI 5.10 LO SPonsor: favini IMG 105 Carta Crush realizzata da Favini IMG 105 Styling per la comunicazione della collezione speciale di Natale Al contrario dei trasferelli presenti sul mercato, I Tradizionali presentano uno studio grafico che valorizza l’involucro che confeziona i tattoo-recipe. Il prodotto, infatti, fin dal principio è stato pensato per essere inserito all’interno di una piccola bustina, dal medesimo formato (5 mm x 10 mm) del trasferello. La scelta della carta è stata fondamentale per esprimere al meglio il valore percepito del prodotto e, dopo una serie di ricerche, la carta Crush di Favini è risultata la più adatta. La linea Crush è una gamma di carte colorare e naturali molto particolari poiché realizzata dalla combinazione di frutta e noci. L’intero processo prevede la purificazione degli scarti agro-industriali che vengono micronizzate e miscelati con cellulosa vergine e fibre riciclate post consumo certificate FSC, utilizzando elettricità idroelettrica autoprodotta. Favini, leader mondiale per la realizzazione di packaging di lusso, ha accolto con interesse il progetto de I Tradizionali in quanto coerente con la filosofia della linea Crush, decidendo di sponsorizzare la fornitura della carta. In questo modo, il progetto I Tradizionali è riuscito a abbassare i costi di produzione eliminando una voce dal business plan e la sponsorizzazione da parte dell’azienda ha apportato maggiore visbilità ad entrambe le parti. 204 – I TRADIZIONALI 5.11 DIETRO LE QUINTE: il video (101) Yancey Strickler, uno dei tre fondatori di Kickstarter, assieme a Perry Chen e Charles Adler IMG 106 Backstage foto della preparazione della comunicazione de I Tradizionali Yancey Strickler(101), sul blog di Kickstarter, ha scritto: “Un video è il miglior modo per comunicare le emozioni e le motivazioni dietro a un progetto, così come la sincerità e la serietà del suo creatore. Inoltre è anche più divertente”. L’importanza dei filmati è comprovata dai fatti: la maggior parte dei progetti presentati con un filmato hanno avuto successo (una cifra che tempo fa era del 54% e che è andata via via aumentando), mentre solo il 39% di quelli senza video si è poi concretizzato. Il video è stato realizzato appositamente per la campagna in due versioni, con e senza logo di Eppela, ed è una delle parti fondamentali di una campagna. Tra i consigli trovati su internet, molti assicurano che basta uno smartphone per realizzare il video che dovrà presentare in modo credibile il progetto su cui puntare tutte le aspettative. Abbiamo scartato subito questa possibilità per svariati motivi e ci siamo rivolte ad un amico che per mestiere fa il video maker soprattutto perché crediamo che una buona presentazione del prodotto sia fondamentale per un progettista e perché la concorrenza nel crowdfunding è talmente alta che ormai difficilmente si trova un video fatto con un cellulare. Una delle prime cose che sono state stabilite è il tempo: 1 minuto e trentacinque secondi. Nei video di crowdfunding è fondamentale essere veloci, concisi e chiari senza distogliere l’attenzione del possibile finanziatore e mostrare 205 – I TRADIZIONALI IMG 108 Backstage della preparazione del video per la campagna di Eppela il mood del progetto, nel nostro caso era fondamentale riuscire a comunicare spensieratezza, convivialità, il piacere di cucinare e la condivisione. Il video ruota attorno a dodici brevi scene: 1. Presentazione del logo con collegamento al pomodoro e riferimento all’illustrazione che caratterizza il nostro progetto. La prima scena è una sintesi del mood del brand e un’indicazione chiara e diretta del tema che si va a presentare: il cibo. 2. La confezione viene aperta e il tatuaggio viene tirato fuori: è la prima presentazione del prodotto e delle sue fattezze, un oggetto piccolo e semplice e che rimanda subito allo scenario dei trasferelli. Obiettivo della scena: far riaffiorare in maniera velata i ricordi d’infanzia. A far da sfondo a questa scena vi è la cucina e una luce chiara e accogliente. 3. Presentazione delle progettiste: delle scritte, con il font usato per il progetto, indicano i nomi delle progettiste: è fondamentale coinvolgere fin da subito lo spettatore e far conoscere, anche semplicemente visivamente, chi è il loro interlocutore. Parallelamente si intravede una scena in cui la protagonista del video tira su le maniche: anche questo un concetto molto importante del nostro prodotto che richiama due scenari, da un lato la cucina e la preparazione di una ricetta, dall’altra parte l’azione di “darsi da fare”. 4. Scena in cui la protagonista applica il trasferello sul braccio: breve indicazione sulle istruzioni per usare I Tradizionali per far comprendere la facilità d’uso. 5. Scena di preparazione della ricetta: mentre le inquadrature si soffermano su alcuni dettagli della cucina, i fornelli e gli ingredienti, vi è una prima sintetica descrizione del prodotto (come è nata l’idea e la scelta del punto su cui posizionare il trasferello). 6. Mentre la protagonista continua a cucinare viene presentata una seconda descrizione del prodotto: focus sugli ambiti da cui deriva il progetto. 7. La protagonista imbandisce la tavola e, mentre accoglie gli 206 – I TRADIZIONALI IMG 109 Backstage della preparazione del video per la campagna di Eppela ospiti, la voce fuori campo racconta l’obiettivo: avvicinare le persone al cibo buono, sperimentazione in cucina. 8. Vengono mostrate le due progettiste mentre si termina l’obiettivo del progetto. È stato volutamente lasciato un errore, che determina una piccola pausa nel racconto, per focalizzare l’attenzione sulla frase “il piacere di cucinare”. Allo stesso tempo sdrammatizza la situazione in un momento clou della presentazione e diverte lo spettatore, coinvolgendolo maggiormente. 9. La scena confezione il momento conviviale del pranzo tra amici tra risate e chiacchiere in un’atmosfera piacevole e vicina a molti giovani che vivono fuori casa. Subito dopo ogni ospite scopre, mentre si sparecchia, una tattoo-recipe sotto il proprio piatto: un piccolo dono da parte della persona che ha cucinato per loro. 10. Breve sequenza delle possibili applicazioni del tattoo: in un video indirizzato al crowdfunding, è fondamentale mostrare come può essere usato il prodotto che state comunicando. Bastano due o tre scenari per trasmettere l’idea e le ipotesi sono state mostrate con una semplice illustrazione. 11. Richiesta d’aiuto: le due progettiste chiedono l’aiuto delle persone per riuscire nel progetto. Abbiamo cercato di essere chiare e dirette e di mantenere la spensieratezza presente in tutto il video. 12. Ringraziamenti: è una parte fondamentale in un progetto di crowdfunding perché non bisogna mai dimenticare di dire grazie a chi collabora e condivide il progetto per sentirsi maggiormente partecipe della missione. 207 – I TRADIZIONALI 5.12 E TU cosa mi dai in cambio? IMG 110 & 111 Dall’alto verso il basso: cartoline e poster illustrati da I Tradizionali per la campagna La scelta delle ricompense per i finanziatori è stata molto difficile. Il nostro prodotto si presenta sul mercato con un prezzo di 10 euro, quindi, per noi era molto importante innescare il meccanismo: “faccio una donazione da 10 euro e ricevo in cambio il prodotto finito e completo”. Una delle cose di cui abbiamo tenuto conto è stato quello di trovare delle ricompense aggiuntive emozionali e immateriali, o semplicemente di poco costo ma desiderabili per il target a cui ci rivolgevamo: fascia di età tra i 25 e i 35 anni, soprattutto donne. Al momento della scelta delle ricompense abbiamo cercato di considerare sia i costi di spedizione in Italia e all’estero sia quanto costa produrre eventuali prodotti in più, inserendo un budget minimo all’interno del goal da raggiungere. / 5€ in su: ringraziamenti sul nostro sito e pagine social / 10€ in su: Ringraziamento personale inserito nel packaging, una confezione di tattoo classic edition / 20€ in su: Ringraziamento personale inserito nel packaging, una confezione di tattoo special edition, cartolina illustrata “frutta e verdura” per una stagione / 30€ in su: Ringraziamento personale inserito nel packaging, due confezioni di tattoo special edition, cartoline illustrate “frutta e verdura” per quattro stagioni / 50€ in su: Ringraziamento personale inserito nel packaging, tre confezioni di tattoo special edition, poster illustrato “frutta e verdura” quattro stagioni, invito personale evento di lancio del prodotto / 70€ in su: Ringraziamento personale inserito nel packaging, tre confezioni di tattoo special edition, poster illustrato “frutta e verdura” quattro stagioni, invito personale evento di lancio del prodotto, cartolina con illustrazione ricetta personalizzata / 90€ in su: Ringraziamento personale inserito nel packaging, tre confezioni di tattoo special edition, poster illustrato “frutta e verdura” quattro stagioni, invito personale evento di lancio del prodotto, cartolina con illustrazione ricetta personalizzata, shopper in cotone con logo i tradizionali. 208 – I TRADIZIONALI Le cartoline, la personalizzazione della confezione e il poster sono stati un buon escamotage per trovare delle soluzioni personalizzabili, grazie alla stampa digitale, poco costose e poco ingombranti per eventuali spedizioni. Molti progetti di crowdfunding presentano delle differenze molto alte di ricompense tra di loro, soprattutto nel caso di prodotti molto costosi per cui i donatori che offrono una somma che può variare tra i 5 e i 50 euro spesso non riescono a ricevere in cambio il prodotto che stanno finanziando, poiché acquistabile a 200 o 500 euro. 209 – I TRADIZIONALI 5.13 www.itradizionali.com (102) Dati tratti dall’articolo “Perchè avere un sito”, pubblicato su www. studiolab24.it Il sito è fondamentale per un’azienda. Perché? I dati(102) parlano da sé: solo in Italia, al mese, circa venticinque milioni di navigatori si collegano . Oltre alle stime, un sito è sinonimo di affidabilità, credibilità e, il più delle volte, professionalità a patto che i messaggi comunicati siano d’impatto e chiari. Quando abbiamo deciso di realizzare www.itradizionali.com è stato fondamentale confrontarsi per decidere come sfruttare il canale per creare la migliore interazione con i futuri finanziatori ed eventuali clienti che, ovviamente, prima di acquistare o addirittura investire, si sarebbe messi alla ricerca online di informazioni sul prodotto che stavamo proponendo. Considerando che la gente è abituata a trovare qualunque informazione su Internet, bisogna fare in modo che il sito fosse facile da trovare quindi abbiamo scelto di usare il nome del progetto per creare un collegamento diretto ed evitare dispersioni di ricerca. La pagina web, inoltre, è stata molto utile durante e dopo la campagna perché, come fanno molte aziende per stimolare l’interesse nel pubblico, abbiamo inserito l’indirizzo web in aggiunta alla didascalia di video e immagini che rappresentavano il prodotto. Inoltre, molti giornalisti ci hanno richiesto il link per poterlo inserire negli articoli e nelle pubblicazioni, in modo da poter dare un’identità completa per chi avesse voluto approfondire e comprendere al meglio il progetto. È stato fondamentale utilizzare e progettare una grafica appropriata che rispettasse i canoni del progetto, privilegiando il colore rosso per creare un richiamo con il logo rosso de I Tradizionali. Durante la campagna il sito presentava in alto al centro il logo su sfondo bianco poco sopra il menù principale. Quest’ultimo è stato studiato in maniera tale da evitare eventuali sottomenù per facilitare la ricerca dell’utente ed avere un quadro d’insieme molto chiaro, facile e veloce. In Home Page veniva presentato il video ed è stato lasciato lì per focalizzare l’attenzione sulla campagna di crowdfunding e la raccolta del finanziamento. Oltre a fornire le classiche informazioni sul progetto e sul team, il sito, essendo una vetrina del progetto visitabile ventiquattro ore su ventiquattro, è stato arricchito di immagini che presentavano sia la collezione (in gallery) con alcune ricette pensate ad hoc per la campagna che le modalità d’uso del prodotto in modo da suggerire 210 – I TRADIZIONALI visivamente le istruzione per applicare il trasferello sull’avambraccio. Durante la campagna abbiamo aggiornato continuamente la sezione delle news dedicata agli articoli più belli e interessanti per il pubblico e per dimostrare una maggiore credibilità e dimostrare di essere sempre in continuo aggiornamento, invogliando così il pubblico a tornare sulla pagina. Dopo la campagna, grazie al sostegno e alle richieste di molti clienti, abbiamo aperto la sezione dello shop online che, non solo è un must per le aziende che posizionano strategicamente l’iconcina del carello, sta cominciando ad essere inserito in siti di alcuni studi di design. In mancanza di altri canali di distribuzione forti, abbiamo deciso di aprire un e-commerce. Nel nostro caso, per comodità e per facilità di gestione, la sezione dello shop online è reindirizzata a Bigcartel, un servizio web che permette di creare un negozio virtuale in cui vendere in maniera semplice i propri prodotti online tramite una paypal. Dopo la campagna su Eppela e in prossimità dell’apertura dell’e-commerce, abbiamo aggiornato il menù inserendo la sezione relativa alla collezione di Natale (collection) e i lavori precedenti commissionati per due eventi (Planetario Space Party e Opendot Opening). 211 – I TRADIZIONALI 5.14 PRESS KIT Durante la campagna su Eppela è stato fondamentale organizzare e preparare una lista dei giornalisti a cui inviare il press kit per annunciare la campagna.Il press kit è uno strumento molto utile che ha come obiettivo la promozione, in modo professionale, attraverso i punti principali del prodotto. Per il lancio abbiamo raccolto una serie di indirizzi di giornalisti attraverso alcuni amici già avviati nel mondo del design e che, quindi, avevano già organizzato delle “liste” di contatti. Una volta raccolte le nostre liste, abbiamo preparato il press kit, principalmente costituito da: foto ad alta risoluzione da visualizzare e scaricare attraverso un link di dropbox, logo “I Tradizionali”, presentazione del progetto e del team, link al video utile per la campagna di crowdfunding su Eppela. Oltre all’elenco dei giornalisti, abbiamo scelto i blog a cui avremmo voluto mandare il progetto il giorno dell’apertura della campagna. Il 5 Maggio 2014 è andato online il progetto su Eppela e il giorno stesso abbiamo deciso di inviare il progetto solo a design boom, uno dei blog più seguiti e cliccati a livello internazionale. Non c’è un motivo specifico per cui abbiamo deciso di considerare solo designboom alla fine, l’unica certezza è che da lì è partito tutto. Il mattino dopo alle 9 eravamo già pubblicate e l’articolo è stato condiviso 540 volte e ha ottenuto circa 400 share su facebook e altri social, il tutto solo tramite la pagina di designboom. Nel giro di poche ore ci sono arrivate mail e richieste di interviste da qualunque parte del mondo, soprattutto Stati Uniti. Si è scatenata una sorta di “effetto domino” per cui, se designboom ha pubblicato il progetto, tutti hanno ritenuto opportuno farlo. A partire da questa piccola esperienza abbiamo compreso quanto sia essenziale promuovere al meglio il prodotto. I punti principali di cui abbiamo tenuto conto sono: / logo posizionato in alto, ben visibile e chiaro / prima immagine di impatto e più significativa del prodotto / descrizione stimolante del progetto in tutte le sue parti sia in italiano che in inglese / cadenza ritmata tra immagini e testi / impaginazione pulita / informazioni chiave evidenziate / link diretti a sito / ringraziamenti con link diretto al fotografo / indicazione dello sponsor con link diretto / link diretto a dropbox per le foto ad alta risoluzione 212 – I TRADIZIONALI 213 – I TRADIZIONALI 5.15 STorytelling attraverso social e blog (103) Dall’articolo “Brand Storytelling and the mind” pubblicato da Chris Wren su brandingstrategyinsider.com, Settembre 2014 Grazie ai social netrowrk, Facebook, Twitter e Instagram, è possibile rendere più forte un marchio. Fin dall’inizio del lancio del crowdfunding è stata attuata una vera e propria campagna di “brand sorytelling”(103), cioè un racconto preciso del marchio. L’uomo racconta storia da sempre: una volta venivano semplicemente tramandate oralmente, oggi si usa la dimensione digitale per comunicare determinate emozioni. Intraprendere una campagna di comunicazione attraverso i social network non è semplice come potrebbe sembrare in apparenza. Bisogna comprendere i punti di forza e i valori del marchio e intuire cosa desidera leggere, vedere, commentare e condividere il pubblico, senza bombardarlo di pubblicità soffocante. I social network, essendo gratuiti, a meno che non si paghi per la sponsorizzazione e la spinta, sono usati da tutte le aziende, marchi e studi. Ciò significa che il livello di competizione è davvero molto alta e bisogna sempre trovare una strada per distinguersi e non annoiare le persone che non vogliono semplicemente essere un “target a cui si è puntato”. È davvero interessante come questo nuovo tipo di “comunicazione” abbia creato un dialogo ed un confronto bidirezionale che, se ben sfruttato, può diventare un ottimo passaparola. I Tradizionali hanno cominciato progressivamente a creare un’identità fluida per il tipo di pubblico a cui si rivolge: prevalentemente donne tra i 25 e i 35 anni. È stato fondamentale rivolgersi in modo appropriato e creare dei contenuti coinvolgenti, lineari e inerti al tema, adattando i temi e le foto in base al social usato: per esempio su Facebook, bisogna sempre adattare le immagini al formato corretto (470 x 395 px) e mai superare i 500 caratteri altrimenti si rischia di risultare come “spam”, e lo stesso vale per il testo contenuto all’interno di una foto non deve mai superare il 20% della superficie totale. L’uso di diversi mezzi di comunicazione viene chiamata “cross-medialità” poiché permette ad un marchio di usare in maniera trasversale lo storytelling per creare un quadro generale finale completo. I Tradizionali, per differenziarsi, hanno puntato tutto sulla personalità del prodotto per un duplice motivo: incuriosire e coinvolgere emotivamente grazie ai ricordi d’infanzia, alle immagini degli ingredienti belli e buoni e alle immagini ben curate. 214 – I TRADIZIONALI IMG 112 Tattoo-recipe preparata in occasione dello Showcooking in Piazza San Babila durante la Milano Food Week Le storie ben raccontate, infatti, hanno un potere molto forte sul pubblico perché riescono a coinvolgere all’interno della storia stessa, un po’ come funziona coi film. Il progetto si rivolge a un pubblico giovane e femminile, che ama cucinare e le illustrazioni ma che ha anche un’attenzione particolare alle novità per cui è stato sempre prediletto un linguaggio semplice e informale, quasi familiare, in modo da veicolare maggiormente il senso di condivisione delle emozioni proposte. Inizialmente abbiamo fatto alcuni esperimenti per comprendere a fondo la questione, provando a sperimentare con immagini dello stesso linguaggio ma con contenuti differenti. Il risultato è stato che, nel nostro caso, funzionano molto di più le immagini/ link/video che raccontano di noi, del works in progress e delle nostre ricette e/o illustrazioni (anche non finite) rispetto ad immagini/ link/video che parlano di contenuti trasversali come,per esempio, un evento o una mostra interessante di cucina in generale. Abbiamo notato, infatti, che le persone filtrano le informazioni disponibili e vengono attratte dalle immagini in cui riconoscono velocemente la condivisione di una storia o la partecipazione emotiva a quella storia. Inoltre, a partire dalla campagna, abbiamo monitorare continuamente messaggi, commenti e post poiché l’attenzione che un “fan” dedica vale tantissimo e va curata continuamente per rispondere a aspettative, dubbi e richieste. Anche su Instagram è possibile creare un canale di comunicazione che stimoli lo sviluppo emozionale e ha permesso a I Tradizionali di creare un legame diretto con i proprio follower. Ciò che ci ha sorpreso è che Instagram riesca a raccogliere molti più like rispetto a Facebook , nonostante i follower siano in numero inferiore. Su Instragram viene pubblicata almeno una foto quotidianamente e, col tempo, anche qui sono state individuate le fasce d’orario migliori o i contenuti più adatti 215 – I TRADIZIONALI IMG 113 & 114 Nella pagina a fianco, dall’alto verso il basso: collezione realizzate ad hoc per l’evento di apertura “Opening NoParty” di Opendot (in alto) in collaborazione con lo studio Tour De Fork e per l’evento “Planetario Space Party” al Mummy Coffee Burger, Ristorante di Milano per il pubblico. Ciò che funziona di più è raccontare, con foto esclusive, l’attività a 360 gradi, i momenti più recenti e “assaggi” delle anteprime, in maniera da tenere sempre aggiornati chi segue costantemente il profilo. Instagram non è stato progettato per pubblicizzare prodotti ma uno stile di vita: persone, dettagli, ricette, illustrazioni, work in progress e richiami al brand Tradizionali in maniera interessante. È molto utile interagire commentando e apprezzando le immagini di persone che rispecchiano la medesima filosofia, in modo da trovare sempre nuovi canali e visualizzazioni per nuovi possibili follower. Alla fine, ci siamo rese conto di avere creato una vera e propria piccola community che commenta e richiede novità continuamente, in cui non bisogna mai dimenticare di rispondere menzionando la persona interessata. Ciò è possibile grazie a delle didascalie interessanti oppure attraverso delle semplici domande che aumentano la probabilità di interazione. Una delle cose fondamentali introdotte da instagram è il famoso hashtag che, oltre a permettere nuove visualizzazioni, identifica il brand stesso, soprattutto in occasioni particolari, come un evento, in cui basta semplicemente crearne uno ad hoc che dà il via a una vera e propria campagna organica che contribuisce alla presenza complessiva della foto sulla pagina “esplora” del social. Alla fine dell’evento Planetario Space Party, è stata una piacevole sorpresa scoprire che molti partecipanti avevano pubblicato foto con #itradizionali e #planetarioparty. 216 – I TRADIZIONALI 5.16 E DOPO? IMG 115 & 116 Scatti durante lo showcooking presso San Babila durante la Milano Food Week, 2014 Nonostante il lancio della campagna non sia andato a buon fine, la strategia di comunicazione ha riscosso un ottimo successo a livello mediatico e ha raggiunto anche gli altri continenti, gli Stati Uniti in primis. Dopo la fine della campagna l’indirizzo di posta elettronica de I Tradizionali si è affollato di e-mail scritte da persone che chiedevano dove è possibile acquistare il prodotto e desideravano assolutamente essere aggiornati sull’eventuale produzione. Il loro sostegno è stato molto utile per digerire la sconfitta su Eppela ma, per fortuna, a questo aiuto morale si sono aggiunte una serie di richieste da parte di distributori online e offline e di richieste di collaborazioni e di preventivi da parte di aziende di grande spessore legate al mondo del cibo (e non solo) e di ristoranti. Con alcuni il progetto di collaborazione è sfumato col tempo e con altri, che gestiscono per esempio il mondo legato al caffè o che desiderano un gadget fresco e innovativo studiato ad hoc per il proprio Padiglione, I Tradizionali sono ancora in trattativa. Proprio per motivi di riservatezza non sarà possibile in questa sede citare i nomi dei marchi. Una delle collaborazioni interessanti che però è possibile citare è il progetto di un sistema di partecipazione attiva fra I Tradizionali e Feel IT, una giovane start-up italiana che raccoglie gli oli più pregiati d’Italia. La partnership è nata da una semplice mail inviata da Veronica Motto, dopo aver letto 218 – I TRADIZIONALI IMG 117 Oli di Feel Italy, start-up di olio extra vergine di oliva con la quale è nata una collaborazione su I Itradizionali sulla rivista Food Design. Dopo una serie di confronti e di valutazioni, si è cercato di trovare una strada per unire le forze. Feel IT esporta molto all’estero, soprattutto in Asia, mentre I Tradizionali sono acquistati e apprezzati in particolar modo dagli Stati Uniti; l’obiettivo proposto da entrambe le parti è, quindi, di ampliare i mercati e la visibilità di uno e dell’altro brand facendo affidamento ai propri canali già avviati. Uno dei prossimi step, utili a tastare il terreno di mercato in prossima delle feste natalizie. Dal primo Dicembre, infatti, una collezione speciale de I Tradizionali verrà messa in vendita assieme a una bottiglia di olio extra vergine olivo denominato “Casaliva” e prodotto sul Lago di Garda. Il prodotto che propone I Tradizionali è un ricetta speciale che esalta le caratteristiche dell’olio: il pesto di mandorle. Per la confezione verrà usata la carta olive della linea Crush di Favini, ottenuta dall’uso di scarti alimentari grazie a un processo ecosostenibile. Fra le tante proposte di collaborazione, alcune in sospeso e altre accettate, I Tradizionali è stato invitato a realizzare due progetti speciali in occasione di eventi quali Planetario Space Party svolto al Mummy Coffee Burger, ristorante di Via Vigevano a Milano, e Opendot Opening Party, festa di inaugurazione del FabLab. Nel primo caso, l’evento è stato organizzato dal da Planetario, un sito in cui vengono selezionate e create delle playlist musicali affiancate da scatti 219 – I TRADIZIONALI IMG 118 Illustrazione per tattoo-recipe “pesto alle mandorle” per la collaborazione con Fell Italy fotografici che immortalano la Terra da alcuni satelliti della Nasa. Il ristorante ha messo a disposizione spazio e cuochi per l’organizzazione della festa basata sul tema “Planetario”. A tal proposito, I Tradizionali ha realizzato tre ricette di polpette speciali che ricordavano tre pianeti: mercurio, giove e venere. Ogni pacchetto, progettato graficamente per l’occasione, conteneva una ricetta e le confezioni sono state distribuite tra i partecipanti alla serata. Opendot Opening Party è stato l’evento di inaugurazione di opendot, un makerspace nato all’interno dello studio di interaction design dotdotdot. L’evento ha coinvolto i Tour de Fork, studio di food design, che ha presentato “Food Factory”, un percorso interattivo all’interno del quale gestualità e attrezzi da officina sono stati riproposti in chiave culinaria. I Tradizionali hanno partecipato al progetto “Food Factory” e hanno editato per l’occasione un tattoorecipe diverso dal solito in quanto illustrava le linee guida e il processo per utilizzare gli strumenti progettati ad hoc da Tour de Fork. 220 – I TRADIZIONALI 5.17 THE XMAS LIMITED EDITION IMG 119 Styling per la comunicazione della collezione limitata Xmas Edition de I Tradizionali Dal lancio della campagna, risalente ai primi di Maggio, sulla posta elettronica del sito sono arrivate circa 300 richieste di acquisto del prodotto. Il sostegno dei potenziali clienti e il feedback positivo ottenuto tramite la stampa, anche dopo mesi dal lancio della campagna, hanno contribuito alla decisione di realizzare una edizione limitata del prodotto, ai limiti della sostenibilità economica dal momento che non è stato raggiunto il goal per avviare una produzione industriale di un minimo di diecimila pezzi singoli (per un totale di 2500 pacchetti). Natale rappresenta un’occasione speciale per verificare se l’entusiasmo riscontrato fino ad ora e per questo primo lancio sul mercato è stata pensata una collezione speciale di ricette interamente dedicata al pranzo e ai dolci tipici di questa festività. I Tradizionali, infatti, hanno un prezzo contenuto, dieci euro, che lo inserisce all’interno della categoria dei doni natalizi che, rispetto ad altri, riescono a stupire e rendere un regalo pensato per la persona a cui è destinato. Abbracciando la filosofia del progetto, la collezione vuole essere un invito a condividere un momento particolare in modo divertente. L’edizione è composta da due confezioni, una dedicata al pranzo di Natale, l’altra ai dolci natalizi. Le confezioni sono acquistabili singolarmente, ognuna di esse contiene quattro ricette-tattoo illustrate tipiche e provenienti da tutta Italia. La carta scelta per i packaging è la linea Crush, corn paper per il Pranzo e kiwi paper per per i Dolci. Ogni confezione contiene, inoltre, un pieghevole con la storia de I Tradizionali e sul retro si trovano le liste della spesa, con tutti gli ingredienti necessari alla preparazione delle singole ricette. 221 – I TRADIZIONALI La collezione di Natale è un’edizione limitata di 300 confezioni in Italiano e in Inglese, di cui 150 per il pranzo di Natale e il restante per i dolci. In occasione della Xmas Limited Edition è stato aperto il 10 Novembre 2014 lo shop online dedicato sul sito e nel giro di due settimane la metà delle tattoo-recipes è stato già venduta. Contemporaneamente allo shop online la collezione è in vendita presso alcuni distributori: Ecobook-shop di Valcucine a Milano, Libreria B**K a Milano, Mutty a Castiglione delle Stiviere (Brescia),la libreria ZOO a Bologna e Le corbeau in Belgio. 222 – I TRADIZIONALI 5.18 COSA CAMBIEREI DELLA CAMPAGNA? grafico 16 Grafico sulle modalità di scambio tra utente e designer e/o azienda. Terminato il periodo utile alla campagna, è utile fare un “esame di coscienza” e comprendere i risultati ottenuti e esaminare gli errori. Il caso de I Tradizionali non è riuscito a raggiungere il goal prefissato e, anche se da un lato è stato molto scoraggiante, ha innescato un meccanismo di rivincita, soprattutto a seguito di un’analisi dettagliata degli ostacoli e dei possibili miglioramenti attuabili. Il confronto con esperti del settore del crowdfunding, aziende, professori, giornalisti, progettisti e, soprattutto, con sostenitori e non, ha permesso di prendere in esame alcuni punti che di solito determinano il successo o il fallimento di una campagna: scelta della piattaforma, ricerca di uno sponsor in termini monetari, organizzazione, campagna di comunicazione, scelta funzionale delle ricompense e del goal. Raccontando il progetto a Lucia Rota, fondatrice di Inner Design e coordinatrice della campagna di Studio Lievito su Eppela, sono emerse delle problematiche a livello di preparazione e scelta delle ricompense. Ha definito la campagna de I Tradizionali molto completa sia dal punto di vista progettuale che della comunicazione, ma a livello di ricompense e di budget ha delineato un profilo coerente con una visione “purista” del crowdfunding. Entrando nel dettaglio del discorso, infatti, la scelta del budget finale di seimila euro rispecchia il risultato ottenuto dalle voci considerate nel business plan, nel quale 224 – I TRADIZIONALI IMG 120 & 121 Preparazione di una tattoo-recipe durante le riprese della foodblogger “A Gipsy in the kitchen” per Elle sono stati eliminati e accantonati molti costi pur di limare la somma. Secondo il suo parere personale, infatti, anche se il goal era “basso” rispetto alle cifre richieste su altre piattaforme italiane, avremmo dovuto considerare che ci stavamo rivolgendo a Eppela per cui bisognava in tutti i modi abbassare ulteriormente il budget fino a quattromila euro. Il ragionamento a suo tempo era stato preso in considerazione ma l’obiettivo di fare una campagna di crowdfunding era di riuscire a mettere in moto una produzione industriale in base ai quantitativi minimi richiesti da tale processo; diminuire il budget equivaleva a non poter avviare la produzione e sarebbe stato un controsenso. Una seconda annotazione da parte di Lucia Rota è stata la scelta delle ricompense. È qui che la “visione purista” si evidenza più che nel passaggio appena esposto, in quanto i balzi tra una ricompensa e l’altra sono molto piccoli e parta da un minimo di cinque euro, dieci euro. Considerando che solo una persona ha donato cinque euro, 31 individui dieci euro e 14 sostenitori 20 euro, secondo Lucia se I Tradizionali fossero partiti da un minimo step di 15-20 euro il finanziamento raccolto sarebbe raddoppiato e molto probabilmente nessuno di loro avrebbe notato una mancanza secondo il ragionamento: “voglio uno o due confezioni de I Tradizionali? Ah, con venti euro do il mio contributo e ottengo anche due prodotti…”. Dal momento che I Tradizionali hanno riscosso un buon successo a livello di comunicazione e durante la campagna sono arrivate molte richieste d’acquisto, forse sarebbe stato utile comunicare il prodotto al pubblico italiano eliminando i verbi “donare” e finanziare e favorire l’uso di “prevendita” o “acquisto in anteprima” per evitare l’uso di “parole da crowdfunfing”, linguaggio ancora poco conosciuto. Il successo mediatico è stato riscontrato soprattutto negli Stati Uniti e la cosa che ci ha sorpreso di più è stato che ci sono arrivate molte e-mail da parte di fan americani che sostenevano che non riuscivano ad effettuare la donazione: 225 – I TRADIZIONALI Eppela accetta solo Visa e Mastercard e come sappiamo nell’America del Nord si usa American Express. Nel caso del crowdfunding, come sappiamo, la questione dei bakers è molto delicata in quanto il momento della donazione è il più delle volte impulsiva e le persone devono riuscire nell’impresa a primo colpo, senza inutili log-in e passaggi complicati da una pagina all’altra. Forse, oltre a scegliere un’altra piattaforma per un pubblico che masticava di più il concetto di crowdfunding, seguendo l’esempio di Tania Da Cruz che è scesa in strada per farsi finanziare, avremmo dovuto creare un evento offline per raccogliere i soldi fisicamente e poi versarli personalmente. Di fatto, molti italiani durante la campagna ci hanno scritto su Facebook, Twitter e via mail dicendoci che ci sostenevano (moralmente) ma non hanno fatto il passo della donazione. Uno dei rimpianti? Aver scelto Eppela perché la piattaforma non ha seguito il progetto come promesso e perché I Tradizionali, paradossalmente, hanno apportato molta visibilità al portale italiano senza ottenere in cambio nemmeno un post su Facebook per coinvolgere il bacino di utenti della fan page. grafico 17 Lesson learned / conclusioni auto-valutative sugli errori della campagna 226 – I TRADIZIONALI 5.19 a confronto con Il progetto Litographs tattoos IMG 122 & 123 Progetto Litographs tattoos lanciato su kickstarter, Agosto 2014 La campagna de I Tradizionali è terminata a metà Giugno e, anche se la comunicazione e gli apprezzamenti sono stati tanti, il progetto non ce l’ha fatta dal punto di vista del goal. Forse è utile analizzare il caso di “Litographs tattoo: wearable Tributes to Iconic Books” un progetto lanciato su Kickstarter durante Agosto del 2014. Il progetto viene descritto così: “A beautiful collection of (temporary) literary tattoos, and a chace to join the World’s Longest Tattoo Chain”. In Italiano: “Una bella collezione di tatuaggi letterari (temporanei), e la possibilità di partecipare alla più lunga catena di tatuaggi del mondo. Le immagini presentate ricordano molto quelle di Tattly e, senza scendere nella critica, è evidente che siano dei semplici fotomontaggi. Il goal? Settemila e cinquecento dollari che in euro corrisponde a seimila. Il progetto ha raccolto più di cinquanta mila dollari e dimostra come I Tradizionali avessero identificato il trend e che il “fallimento” della campagna non è dipeso dalla validità del progetto. 227 – I TRADIZIONALI 6. NEXT STEP 6.1 UN MODELLO VALUTATIV0 per comprendere se andare avanti Che sia un successo o un fallimento, in seguito alla campagna è utile comprendere se il progetto ha le potenzialità per andare avanti e per evitare che rimanga uno dei tanti casi episodici finanziati con il crowdfunding o meno. Non dimentichiamo che l’obiettivo del finanziamento dal basso non è raccogliere i soldi, ma comprendere se un prodotto piace e capire se è possibile creare un’impresa sull’idea che si propone. In base all’esperienza de I Tradizionali e all’analisi di casi presenti su kickstarter, Indiegogo ed Eppela, di seguito viene ipotizzato un modello di valutazione personale della campagna per comprendere se ci sono opportunità di sviluppo. Nella prima parte del modello sono presentati gli step principali di una campagna per poi evidenziare quali sono i punti su cui concentrare l’analisi di autovalutazione. La cosa più interessante del modello è che propone tre variabili (eventuali collaborazioni, successo mediatico e raggiungimento del goal) per cui se due punti sono attivi allora gli ideatori del progetto possano riflettere ad eventuali “next step”. Il modello è stato applicato al progetto I Tradizionali e l’unico punto non attivo corrisponde a quello del raggiungimento del goal. Dal momento che questa variabile è dipesa molto dal tipo di piattaforma scelta, I Tradizionali rappresenta un caso in cui le variabili delle eventuali collaborazioni e del successo mediatico rappresentano una motivazione per proseguire nel percorso dell’avvio e dell’apertura di un piccola impresa con tre esempi di possibili evoluzioni. All’interno del modello è interessante notare come l’unica variabile presente e costante dall’inizio alla fine della campagna sia quella relativa al successo mediatico che in sé può far convergere le altre due variabili e permette di stimolare fan e potenziali clienti in maniera continuativa. Per il progetto de i Tradizionali sono stati ipotizzati tre gradi di next step, l’uno la versione potenziata e aggiornata dell’ipotesi precedente. I tre upgrade mostrano, quindi, un eventuale sviluppo del progetto ai fini di delineare un caso di designer impresa in cui il prodotto il non finanziamento, in questo caso, del crowdfunding non rimanga bloccato ad un caso isolato di produzione relativa al soddisfacimento delle ricompense promesse ai backers. 231 – I TRADIZIONALI grafico 18 Modello auto-valutativo per comprendere i risultati di una campagna e se il progetto è valido per investire nel futuro grafico 19 Modello auto-valutativo applicato all’intera campagna de I Tradizionali 235 – I TRADIZIONALI 6.2 NEXT STEP #1 IMG 124 Servizio “Make your Dodo” del sito Dodo.com Il primo step possibile da affrontare è la customizzazione. Il termina indica la possibilità di concedere, da parte del progettista e dello sviluppatore, un certo gradi di libertà al cliente rispetto al prodotto per cui, in base a una serie di variabili, sarà possibile creare un diretto collegamento tra utente e progettista attraverso il prodotto che darà la sensazione finale di essere stato, per usare un termine scorretto, “personalizzato”. La customizzazione, infatti, differisce dalla personalizzazione in quanto concede solo un certo grado diretto sui contenuti, mentre il secondo caso limita la libertà ad alcune variabili prestabilite in base ai comportamenti studiati e, in qualche modo, attesi. Questo tipo di sviluppo nasce dalla richiesta continua e dal desiderio da parte dei sostenitori e dei clienti di avere la propria “tattoo-recipe” realizzata ad-hoc. Le persone ormai sono sempre di più consapevoli dell’importanza del ruolo di consumatore che rivestono e, di fatto, ormai hanno un ruolo sempre più centrale nella definizione dell’offerta, soprattutto indirizzata a quella personalizzabile o personalizzata. Partendo da esempi di grande successo coma custumizzazione online dei prodotti Nike e il caso italiano dei gioielli Dodo, figli della casa Pomellato, per aumentare il livello di soddisfazione dei propri clienti e per incrementare l’intera esperienza d’acquisto attraverso un canale elettronico si è pensato a un’offerta customizzata. In questo caso il sito presenta una sezione in più nel menù chiamata “make your tattoo-recipe” che predispone un format preciso che rispetta le dimensioni del supporto cartaceo su cui vengono stampati i tatuaggi. All’interno della sezione è presente una libreria di illustrazioni disegnati da I Tradizionali e, per ciascun ingrediente o strumento di cucina, si possono trovare due o tre possibili scelte. Nella tattoo-recipe tradizionale vi sono delle brevissime indicazioni scritte, allo stesso modo il cliente può decidere di inserirle con la font predisposta, oppure diminuire la comprensione dei passaggi della ricetta per aumentare il livello estetico generato dalle illustrazioni. Il prodotto customizzato può essere infine stampato e acquistato attraverso il sito semplicemente cliccando “buy now” oppure può essere caricato nella sezione “custom works” per cui tutti i clienti possono visualizzare le ricette condivise. 236 – I TRADIZIONALI txt 237 – I TRADIZIONALI 6.3 NEXT STEP #2 IMG 125 & 126 Stampante tascabile PoGo prodotta da Polaroid Una volta aumentata la community di utenti che ruota attorno al servizio di customizzazione de I Trazionali, sarà possibile progettare una piccola stampante brandizzata che riprende il modello delle polaroid, una volta l’unico sistema per vedere in tempo reale il risultato di una foto appena scattata. Da qualche anno è ritornata la moda delle polaroid e della macchina fotografica analogica e proprio seguendo questo trend il marchio Polaroid ha lanciato, per esempio, dei nuovo prodotti. Uno di questi è PoGo che, al contrario delle aspettative, non è una macchina fotografica ma una stampante portatile di dimensioni ridotte e che ricrea le stesse emozioni e sensazioni dei suo antenati. Il progetto de I Tradizionali consiste in una piccola stampante tascabile, dalle dimensioni simili ad un iPad mini, e molto leggera in grado di stampare in pochi secondi il tatuaggio sull’apposita carta. Si prospettano due scenari: uno di collaborazioni con aziende importanti a livello internazionale come Polaroid, Epson o Canon, oppure la scelta di rendere open-source il progetto della stampante. Nel primo caso la stampante sarà acquistabile sul sito o sui canali di distribuzione online e offline dell’azienda e il prodotto sarà indispensabile per chi volesse stampare la propria ricetta personalizzata direttamente a casa, evitando così tempi e costi di spedizione. Il sito così implementerà il bacino delle ricette da poter selezionare per la stampa attraverso il canale delle ricette de I Tradizionali e quelle personalizzate dall’utente stesso o da altri. La seconda strada apre, invece, una finestra sul mondo dell’open-source e della dimensione del FabLab poiché riprende lo stesso fenomeno verificatosi con la stampante 3D. Il sito de I Tradizionali metterà a disposizione il progetto tecnico della stampante per cui l’utente, oltre a poter migliorare il progetto condividendo i pareri, potrà scaricare i file per la realizzazione e la costruzione del prodotto. Sul sito, inoltre, i clienti con meno confidenza con la digital fabrication potranno in ogni caso acquistare i pezzi da assemblare o addirittura già assemblati. 238 – I TRADIZIONALI 6.4 Next step #3 Il terzo sbocco, evoluzione dei primi due, riguarda un investimento maggiore a livello finanziario ma che prevede una collaborazione in senso stretto con un’azienda di carte o con un dipartimento di chimica per la ricerca e lo sviluppo di due possibili progetti: inchiostri particolari o carta speciale per il tattoo che prevede l’eliminazione degli inchiostri nella stampante. Gli inchiostri utilizzati per I Tradizionali per il momento derivano dalle cartucce inserite nella stampante laser a colori che stampa direttamente sul foglio. L’investimento di ricerca focalizzerebbe l’attenzione per la realizzazione di due inchiostri speciali: un inchiostro facile da rimuovere dalla pelle o degli inchiostri alimentari che possano essere utilizzati in occasione di eventi specifici. I trasferelli e la tecnica usata fino ad ora per realizzarli sono certificati e testati allergicamente ma, anche se il prodotto si rimuove con acqua e sapone, bisogna strofinare per qualche minuto con una determinata pressione per rimuoverlo completamente e in fretta. A tal proposito lo studio andrebbe in una direzione specifica, cioè la ricerca di un modo per facilitare ancora di più la rimozione e la pulizia del prodotto. L’opzione degli inchiostri alimentari, già presenti sul mercato e usati per la stampa di fotografie su carta commestibile da applicare sulle torte, invece, permetterebbe la realizzazione di tatuaggi dal sapore specifico che potrebbero essere usati in occasioni di eventi e fiere legate alla promozione di un determinato cibo oppure accompagnare un turista durante una guida all’interno di un azienda agroalimentare, facendone riscoprire anche i sapori durante il percorso. Un’altra possibilità è lo studio di una carta speciale che non necessita di cartucce. Esiste una tecnologia chiamata “Zink”, zero inchiostro, che include l’inchiostro all’interno della carta. Le qualità delle immagini purtroppo non sono di alta qualità poiché i colori sfumano, quindi il progetto investirebbe molto sul miglioramento della tecnologia applicato ad una carta che possa permettere la trasferibilità del tatuaggio sulla pelle. 240 – I TRADIZIONALI CONCLUSIONI In Italia il crowdfunding si presenta con più di cinquanta piattaforme dedicate e, finalmente, anche qui si cominciano ad abbattere la diffidenza nei confronti di questa modalità e i pregiudizi sui pagamenti online. Non ci sono solo motivi oggettivi economico-finanziari ma anche culturali che facciano pensare a questo modello di finanziamento online come strumento per creare nuove opportunità di innovazione, impresa e, soprattutto culturali. Il sistema non è così semplice come spesso viene minimizzato. È una modalità complessa, un nuovo linguaggio che crea opportunità se ben gestita e che offre la possibilità di creare una vera campagna di “brand storytelling”, una sorta di trampolino di lancio. Il crowdfunding, nato grazie alle potenzialità del web e dal massimo accorciamento delle distanze, crea un nuovo linguaggio e un’innovazione a livello di comunicazione in quanto, se ben sfruttato, crea un dialogo bi-direzionale fra progettista e utente, che fino ad ora ha visto le aziende fare da tramite. Aumenta il desiderio degli utenti di interfacciarsi con gli ideatori di un progetto e con il volto dei progettisti, partecipando attivamente all’esperienza. All’interno di questo contesto, il designer riesce a distinguersi, grazie alle attitudini e alle skills che dovrebbero appartenergli, sviluppando l’idea in ogni suo aspetto. Egli riesce ad anticipare desideri e, al contempo, considera il mercato, la comunicazione, le strategie sui social network, la gestione della produzione e della distribuzione, per ottenere il massimo risultato dalla campagna. Se un progetto è valido, il crowdfunding offre al designer gli strumenti per migliorare il proprio prodotto, osservando e ascoltando i feedback, interfacciandosi direttamente con i finanziatori-clienti. Anche se in una campagna si possono commettere degli errori di percorso, non bisogna perdere di vista uno dei tanti obiettivi raggiungibili e cercare di trovare delle soluzioni alternative. Il crowdfunding, inoltre, fa convergere in sé una delle necessità del designer di oggi, cioè la possibilità di trovare la prima fetta di distribuzione, uno degli ostacoli più grandi quando si decide di fare impresa. Questa tesi vuole essere uno spunto per riflettere sulle potenzialità e, al contempo, sui limiti di questo nuovo fenomeno, mostrando come gestire una campagna con l’obiettivo di fare evolvere un progetto valido, anche dopo aver concluso il ciclo del finanziamento-distribuzione. Il modello auto-valutativo è un’occasione anche per i progetti che non sono riusciti a raggiungere il goal monetario per esaminare le possibilità attraverso tre variabili che dimostrano che il finanziamento può non essere l’unico scopo del crowdfunding. La nascita di collaborazioni e di opportunità di lavoro, oltre a un notevole successo mediatico, riscontrate con l’esperienza del crowdfunding con il progetto “I Tradizionali” dimostra come fare crowdfunding in Italia riesca a creare le condizioni per creare un networking che permetta ad un progetto di sopravvivere e di evolversi nel futuro La nascita di collaborazioni e di opportunità di lavoro, oltre a un notevole successo mediatico, riscontrate con l’esperienza del crowdfunding con il progetto “I Tradizionali” dimostra come fare crowdfunding in Italia riesca a creare le condizioni per creare un networking che permetta ad un progetto di sopravvivere e di evolversi nel futuro. 243 – CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA & ARTICOLI AA.VV., Beppe Finessi (Cur.), Progetto cibo. La forma del gusto, Cataloghi Museo MART, 2013 AA. VV, Le ricette dei designer. 130 nuovi progetti in punta di forchetta, Editrice Compositori, 2010 AA.VV, Design, imprese, distretti. 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IMG 2 / Termostato disegnato da Nest IMG 3 / Segnalatore di Fumo disegnato da Nest IMG 4 / Cuboluce, progettato da Franco Bettonica e Mario Melocchi, 1972. IMG 5 / MIX Match, MAKIO HASUIKE per MH Way, 2013. IMG 6 / Tableware as Sensory Stimuly, Jinhyun Jeon, 2013 IMG 7 / Juicy Salif, Philppe Starck, per Alessi. IMG 8 / “Wonders of the World”, Therouanne (?) ca. 1277 IMG 9 / Enthusiasts of the maker movement foresee a third industrial revolution.Illustration by Harry Campbell. IMG 10 / Riproduzione con una stampante 3D dell’illustrazione “From desktop to production” di Brett Ryder IMG 11 / Illustrazione di Enzo Mari pubblicate su “Strade blu” / mondadori, 2011. IMG 12 / Illustrazione di Enzo Mari pubblicate su “Strade blu” / mondadori, 2011. IMG 13 / Illustrazione di Enzo Mari pubblicate su “Strade blu” / mondadori, 2011. IMG 14 / Established & Sons, azienda inglese. Immagine del sito IMG 15 / Established & Sons, azienda inglese. Bbanner pubblicitario sul sito IMG 16 / Established & Sons, azienda inglese. Immagine coordinata. IMG 17 / La chance design, azienda francese. Catalogo IMG 18 / La chance design, azienda francese. Immagine sito IMG 19 / Stine e Enrico, Studio Gamfratesi. IMG 20 / Rewrite, Ligne Roset, 2011 IMG 21 / Schizzi di progetto di Rewrite. IMG 22 / Marco Maturo e Alessio Roscini, StudioKlass. IMG 23 / Schizzi di progetto di Balloon per Azzurra Ceramiche. IMG 24 / Balloon, rivisitazione del classico servomuto, 2012. IMG 25 / Collezione “Unveils”, di Tom Dixon, presentata al Salone del Mobile del 2014. IMG 26 27 & 28 /Stand e allestimento in occasione di Operae, mostra-mercato, Torino 2014. IMG 29 / Livia Rossi e Gianluca Giabardo, Dossofiorito. IMG 30 / The Phytophiler, serie di vasi di terracotta realizzati a mano. IMG 31 / Dettaglio, The Phytophiler, Dossofiorito. 252 – I TRADIZIONALI [ pp. 59 ] [ pp. 60 ] [ pp. 62 ] [ pp. 64 ] [ pp. 65 ] [ pp. 66 ] [ pp. 68 ] [ pp. 69 ] [ pp. 71 ] [ pp. 72 ] [ pp. 73 ] [ pp. 74 ] [ pp. 75 ] [ pp. 76-77 ] [ pp. 79 ] [ pp. 80 ] [ pp. 80 ] [ pp. 83 ] [ pp. 84 ] [ pp. 85 ] [ pp. 85 ] [ pp. 93 ] [ pp. 105 ] [ pp. 107 ] [ pp. 108 ] [ pp. 109 ] [ pp. 110 ] [ pp. 112 ] [ pp. 113 ] [ pp. 115 ] IMG 32 / Stand alla Maker Faire di Roma di Ponoko, piattaforma online dedicata alla digital fabrication, IMG 33 / Modello attuale adottato a confronto con quello di Slowd. Infografica realizzata da Slowd. IMG 34 / Home page della piattaforma Shapeways. IMG 35 / Laboratorio dello studio di design Very Good & Proper. IMG 36 e 37 / Ray e Charles Eames mentre controllano una un prototipo e, nell’immagine in basso, una pubblicità dei loro prodotti. IMG 38 / Progetto di lampada di Ingo Maurer sotto la propria azienda Design M IMG 39 / Isabella Rovero di En&Is IMG 40 / Megaphone Mini IMG 41 & 42 / Ceramista che realizza Megaphone IMG 43 / Workshop “Un Arduino in zucca” svolto da opnedot, FabLab di Milano IMG 44 & 45 / Ingranaggio stampato in 3D e progettista all’opera durante il workshop “KItchen becomes open” organizzato da opendot in collaborazione con Valcucine IMG 46 / Strumenti di lavoro di un artigiano fabbro. IMG 47 / Macchinario a controllo numerico per la lavorazione della pelle. IMG 48 & 49 / Kit di Arduino IMG 50 / Stampo della griglia open structures IMG 51 / Griglia di open structures IMG 52 / Locandina di presentazione di open structures a Milano, Aprile 2013 IMG 53 / Carlo D’Alesio e Piero Santoro durante la design table per MEG presso Opendot IMG 54 / Piero Santoro costruisce un prototipo di MEG durante la design table presso opendot IMG 55 / Prototipo di MEG IMG 56 / App di MEG IMG 57 / Illustrazione finanziamento Kickstarter IMG 58 / Illustrazione finanziamento Kickstarter IMG 59 / Corwdfunding dell’insalata di patate, 2014 IMG 60 / Matteo Loglio e il suo socio IMG 61 & 62 / Primo, progetto di Matteo Loglio lanciato con una campagna di crowdfunding su Kickstarter IMG 63 / Primo, progetto di Matteo Loglio lanciato con una campagna di crowdfunding su Kickstarter IMG 64 / Thingk, Gkilo (bilancia) e Clogk (timer-orologio) IMG 65 / Clogk (timer-orologio) IMG 66 / Illustrazione vettoriale dei prodotti Thingk, una 253 – I TRADIZIONALI [ pp. 119 ] [ pp. 127 ] [ pp. 130 ] [ pp. 131 ] [ pp. 133 ] [ pp. 134 ] [ pp. 137 ] [ pp. 138-139 ] [ pp. 140 ] [ pp. 144 ] [ pp. 146 ] [ pp. 147 ] [ pp. 147 ] [ pp. 151 ] [ pp. 154 ] [ pp. 161 ] [ pp. 164 ] [ pp. 171 ] [ pp. 179 ] [ pp. 180 ] [ pp. 181 ] [ pp. 182 ] [ pp. 187-188 ] [ pp. 190-191 ] [ pp. 192 ] [ pp. 193 ] delle immagini usate per la campagna su Indiegogo. IMG 67 / Illustrazione di GettyImages sul crowdfunding, Wired 2014 IMG 68 / Schizzo di Lucciola, progetto di DoroDesign per Natevo IMG 70 / Schizzo di Lucciola, progetto di DoroDesign per Natevo IMG 71 / Lucciola, progetto di DoroDesign per Natevo IMG 72 / Tania da Cruz fotografata presso il suo stand al Salone Satellite 2013 IMG 73 / Foto pubblicata da Tania da Cruz su facebook per ringraziare i sostenitori IMG 74 / StudioLievito IMG 75 e 76 / Type, dosa spaghetti, disegnato da StudioLievito IMG 77 / Bigliettino inserito nel packaging di Type, dosa spaghetti, disegnato da StudioLievito IMG 78 / Lucia Rota di Inner Design IMG 79 / Il team di Fattelo! IMG 80 & 81 / Lampada e sviluppo della Fattelo! Lamp IMG 81 / Sviluppo della Fattelo! Lamp IMG 83 / Fattelo! Lamp in esposizione IMG 84 / materiale informativo della Fattelo! Lamp IMG 85 / Illustrazione sul significato della parola crowdfunding IMG 86 / Illustrazione di Adam Simpson per The New Yorker IMG 87 / Progetto Memento di Marco Napoli IMG 88 / Electroplate teiera, progettata da Christopher Dresser prodotta da James Dixon and Sons, 1879. IMG 89 / Il Quattrova Illustrato, ovvero la cucina elegante, libro di ricette illustrate da Gio Ponti. IMG 90 / Illustrazione di Gio Ponti tratta daIl Quattrova Illustrato, ovvero la cucina elegante. IMG 91 / Collezione “I Tradizionali” realizzata per la campagna di crowdfunding su Eppela, Maggio 2014 IMG 92 & 93 / Illustrazione di Martì Guixè tratta dal suo libro “Food design”, Edizioni Corraini, 2011 IMG 94, 95 & 96 / Progetto fotografico “Pantone Pairings”, una foto al giorno viene pubblicata su Facebook e Instagram, di David Schwen IMG 97 / Illustrazione tratta dalle ricette caricate dagli utenti sul sito “The draw and cook” IMG 98 / Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, chef e protagonista di “Unti e Bisunti”, trasmissione che va in onda su DMAX 254 – I TRADIZIONALI [ pp. 194 ] [ pp. 195 ] [ pp. 196 ] [ pp. 201 ] [ pp. 237 ] [ pp. 238 ] IMG 99 / Comunicazione sponsor dell’evento “Pelle all’arrabbiata” - Le Grand Fooding Milano, 2012 IMG 100 / Trasferelli illustrati del brand Tattly IMG 101 / Tazza bianca per uso gadget IMG 105 / Carta Crush realizzata da Favini IMG 124 / Servizio “Make your Dodo” disponibile sul sito Dodo.com IMG 125 & 126 / Polaroid PoGo indice grafici [ pp. 40 ] [ pp. 41 ] [ pp. 55 ] [ pp. 95 ] [ pp. 99 ] [ pp. 100 ] [ pp. 122 ] [ pp. 123 ] [ pp. 124 ] [ pp. 125 ] [ pp. 125 ] [ pp. 167 ] [ pp. 168 ] [ pp. 173 ] [ pp. 174 ] [ pp. 224 ] [ pp. 226 ] [ pp. 232 ] [ pp. 234 ] 1 / Ruoli designer e azienda (ieri) 2 / Ruoli designer e azienda (oggi) 3 / Differenze tra pezzo unico-arte, serie limitata e produzione simil-azienda gestita da un designer 4 / Storia del crowdfunding americano 5 / Confrontro fra Kickstarter e Indiegogo 6 / Categorie e rispettivi milioni di dollari raccolti su Kickstarter 7 / Nascita delle piattaforme di crowdfunding in Italia 8 / Distribuzione delle piattaforme sul territorio italiano 9 / Valore complessivo dei progetti finanziati in base alla tipologia di piattaforma 10 / Modelli di crowdfunding (piattaforme attive) 11 / Modelli di crowdfunding (piattaforme attive e in fase di lancio) 12 / Uso dei social da parte delle aziende 13 / Uso di Twitter, Facebook, Yotube e Blog personale dalle aziende a livello internazionaale 14 / Posizionamento delle attitudini degli studi intervistati 15 / Confronto delle risposte degli studi intervistati 16 / Modalità di scambio tra utente e designer e/o azienda 17 / Lesson learned / conclusioni auto-valutativi sugli errori della campagna 17 / Modello auto-valutativo per comprendere i risultati di una compagna 18 / Modello auto-valutativo applicato al progetto 255 – I TRADIZIONALI indice interviste Le interviste sono state rivolte dal vivo o via mail ai diretti interessati. [ pp. 45 ] 1# Studio Gamfratesi [ pp. 48 ] 2# StudioKlass [ pp. 56 ] 3# Dossofiorito [ pp. 68 ] 4# En&Is [ pp.83 ] 5# MEG di Yradia [ pp. 108 ] 6# Matteo Loglio [ pp. 112 ] 7# Umberto Tolino [ pp. 129 ] 8# Massimiliano Messina NATEVO [ pp. 133 ] 9# Tania Da Cruz [ pp. 137 ] 10# StudioLievito [ pp. 144] 11# Lucia Rota di Inner Design [ pp. 146 ] 12# Fattelo! [ pp. 172 ] Riflessioni sulle interviste 256 – I TRADIZIONALI RINGRAZIAMENTI Grazie a tutti i finanziatori e i sostenitori della campagna. Senza il loro aiuto e il loro conforto oggi non sarei qui a parlare de I Tradizionali. Grazie a Marina, prima ancora del progetto che stiamo portando avanti assieme, per la tua amicizia. Grazie al Prof. Venanzio Arquilla per aver creduto in questa idea e per i preziosi consigli al di fuori della tesi. Grazie a Chiara Alessi per il tempo che mi ha dedicato e per i suggerimenti. Ne approfitto per gli auguri del bimbo. Grazie a Enrico dello Studio Gamfratesi, Marco di StudioKlass, Livia e Giancluca di Dossofiorito, Isabella di en&is, Carlo e Piero di MEG, Matteo di Primo, Umberto di Thingk, Massimiliano di Natevo, Tania, Lucia di Inner Design, i ragazzi di StudioLievito e di Fattelo per la disponibilità e la pazienza con cui hanno risposto alle mie domande. Grazie a Mariangela per il super sito. Grazie a Stanz per essere il fotografo ufficiale de I Tradizionali. Grazie a Chiara per le zuppe buonissime e i sorrisi che scaldano anche le case più fredde. Viva Casa Simpaty! Grazie ai miei genitori. Grazie a Giulia, perché una sorella speciale è una cosa rara. Grazie a Renata che mantiene sempre le promesse e che oggi è qui con me. Grazie a tutti gli amici di Bovisa Suerte. Grazie a Michela per questi due splendidi anni di Poli e per l’amicizia al di fuori dell’Università. Grazie a chi crede nei progetti. Grazie a Lorenzo. 259 – I TRADIZIONALI