OSSERVAZIONI SUL SUBLIME: IL FEMMINILE, IL CINEMA, IL COMICO di Fabrizio Foligno All’inizio del romanzo Alice in Wonderland di Lewis Carroll, la protagonista vede improvvisamente un coniglio bianco dagli occhi rosa che le passa davanti con una sveglia al collo e dice «è tardi, è tardi», ma non si stupisce del fatto e anzi lo accetta come naturale, segue la creatura nella sua tana e precipita in un pozzo profondissimo che la conduce nel paese delle meraviglie, il regno del fantastico e del nonsense. Solo più tardi, ripensandoci, confessa a se stessa che forse avrebbe dovuto meravigliarsene, ma allora l'unica cosa che desiderava era seguire il coniglio senza pensarci due volte. Questa immagine può essere assunta a rappresentare un'importante premessa al discorso sul perturbante freudiano, per cui di fronte all'irruzione del fantastico nella realtà si possono individuare due atteggiamenti distinti e contrapposti: da una parte, proprio come Alice, la sospensione del giudizio, per cui ogni categoria razionale cade e si prende per reale quello che succede anche se non appartiene all'ordine del reale; dall'altra, come i personaggi e i lettori della letteratura fantastica e in particolare della letteratura gotica, l'astonishment, l'amazement, la sorpresa mista al turbamento di fronte agli avvenimenti, turbamento che richiama anche da un punto di vista di contiguità lessicale il perturbamento, il sentimento del perturbante, oggetto del saggio di Freud. Nel 1919 Freud, allora impegnato nella scrittura di Al di là del principio di piacere, riprende un vecchio articolo riguardante un argomento cui aveva fatto già cenno in Totem e tabù (1912-13), lo completa e lo pubblica sulla rivista Imago lo stesso anno con il titolo Das Unheimliche. Il breve saggio di psicoanalisi si spinge nel campo della ricerca estetica, intesa non come teoria del bello, ma “delle qualità del nostro sentire”1, e cerca di definire che cosa sia il perturbante: Non c’è dubbio che esso appartiene alla sfera dello spaventoso, di ciò che ingenera angoscia e orrore, ed è altrettanto certo che questo termine non viene sempre usato in un senso nettamente definibile, tanto che quasi sempre coincide con ciò che è genericamente angoscioso. È lecito tuttavia aspettarsi che esista un nucleo particolare e tale da legittimare l’impiego di una particolare terminologia concettuale. Saremmo lieti di conoscere in cosa consista questo nucleo comune che consente appunto di sceverare, nell’ambito dell’angoscioso, un che di “perturbante”2. In ambito estetico, prosegue Freud, le ricerche si concentrano soprattutto sul bello, sul sublime e sull'attraente, si occupano “dei moti dell’animo positivi e delle condizioni e degli oggetti che ad essi danno vita”3, piuttosto che dei sentimenti repellenti e angoscianti; mentre in ambito medico-psicologico l'antecedente più diretto è rappresentato dal saggio di Jentsch Zur Psychologie des Unheimlichen, pubblicato nel 1906, in cui l'autore aveva analizzato i meccanismi del perturbante e passato in rassegna “le persone e le cose, le impressioni, gli eventi e le situazioni capaci di destare in noi con particolare forza e nitidezza il senso del perturbante” 4, rilevando in particolar il “dubbio che un essere apparentemente animato sia vivo davvero e, viceversa, il dubbio che un oggetto privo di vita non sia per caso animato”5, come nel caso di figure di cera, pupazzi e automi, ma anche di attacchi epilettici e manifestazioni di pazzia che suscitano il sospetto di processi automatici negli esseri viventi. Anche in Jentsch, quindi, il perturbante è legato a un'incertezza intellettuale, a un misto di stupore e repulsione di fronte ad avvenimenti difficilmente interpretabili secondo categorie razionali: 1 2 3 4 5 Sigmund Freud, Das Unheimliche, in, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Boringhieri, Torino 1969. Idem pag. 3 Ibidem Idem pag 15 Ibidem “Uno degli espedienti piu sicuri per provocare senza difficoltà effetti perturbanti mediante il racconto”, scrive Jentsch, “consiste nel tenere il lettore in uno stato d’incertezza sul fatto che una determinata figura sia una persona o un automa, facendo in modo, però, che questa incertezza non focalizzi l’attenzione del lettore, affinché costui non venga indotto ad analizzare subito la situazione e a chiarirla, perché in tal caso, come abbiamo detto, questo particolare effetto emotivo svanirebbe facilmente. E. T. A. Hoffmann ha effettuato a piu riprese con successo questa manovra psicologica nei suoi racconti fantastici.” 6 Riprendendo l'analisi di Jentsch, Freud assume come esempio supremo di perturbante il racconto del 1816 di E.T.A. Hoffmann contenuto nella raccolta dei Notturni e intitolato Der Sandmann, tradotto in italiano come L'uomo della sabbia o Il mago Sabbiolino: mentre Jentsch attribuiva l'effetto perturbante al motivo della bambola dotata di vita apparente, rappresentata da Olimpia, Freud pone al centro del racconto il motivo del mago Sabbiolino che strappa gli occhi ai bambini. Lo studente Nathaniel non riesce a liberarsi dai ricordi legati alla misteriosa morte del padre, che sembra connessa al racconto infantile del mago Sabbiolino che getta manciate di sabbia negli occhi dei bambini cattivi, li strappa e li porta con sé per darli in pasto ai propri figli dotati di becco ricurvo come le civette e che vivono in una mezzaluna. Nathaniel identifica infatti la figura del temuto mago nell'avvocato Coppelius, amico di suo padre, che una sera di molti anni addietro in cui era stato ospite in casa lo aveva minacciato di cavargli gli occhi ed era stato fermato solo dall'intervento del padre, morto un anno dopo proprio durante un'altra visita dell'avvocato, che poi era scomparso senza lasciare traccia. Ormai adulto, Nathaniel crede di riconoscere la figura spaventosa della sua infanzia nell'ottico italiano Giuseppe Coppola, da cui acquista un cannocchiale tascabile con cui inizia a spiare nella casa di fronte alla sua, in cui abitano il professor Spallanzani e sua figlia Olimpia, misteriosa ed immobile. Olimpia in realtà è una bambola in cui Spallanzani ha inserito il meccanismo e Coppola gli occhi: un giorno durante un litigio tra i due, la bambola si rompe e Spallanzani getta nel petto di Nathaniel gli occhi dell'automa affermando che sono i suoi occhi. Dopo una lunga malattia, Nathaniel e la sua promessa sposa salgono sulla torre del palazzo comunale, il ragazzo osserva la piazza sottostante con il suo cannocchiale ed è preso da un attacco di follia in cui tenta di gettare di sotto la sua ragazza. Nella piazza appare l'avvocato Coppelius, che forse ha provocato la follia di Nathaniel, che si getta dalla torre. Riassumendo il racconto, Freud afferma che il senso del perturbante, generato dalla figura del mago Sabbiolino, più che all'incertezza intellettuale intorno alla natura di Olimpia, come sosteneva Jentsch, è legato all'idea di vedersi sottratti gli occhi, “una tremenda angoscia infantile” 7 che nei miti e nei sogni mostra spesso una relazione di sostituzione della minaccia di castrazione. Non a caso, prosegue Freud, nel racconto la minaccia di perdere gli occhi è posta in relazione strettissima con la morte del padre, figura temuta da cui ci si aspetta l'evirazione, sostituita appunto da quella del mago Sabbiolino. In riferimento ad un altro racconto del 1816 di Hoffmann, Gli elisir del diavolo, nel “complesso garbuglio di motivi romanzeschi ai quali saremmo tentati di attribuire l’effetto perturbante che scaturisce dalla narrazione”8, Freud enuclea in particolare il motivo del doppio o del sosia, attorno al quale si addensa una vera e propria “costellazione del perturbante”: “Tali sono il motivo del «sosia» in tutte le sue gradazioni e configurazioni, ossia la comparsa di personaggi che, presentandosi con il medesimo aspetto, debbono venire considerati identici; l’accentuazione di questo rapporto mediante la trasmissione immediata di processi psichici dall’una all’altra di queste persone – fenomeno che noi chiameremmo telepatia – cosi che l'una è compartecipe della conoscenza, dei sentimenti e delle esperienze dell’altra; l’identificazione del soggetto con un’altra persona sì che egli dubita del proprio lo o lo sostituisce con quello della persona estranea; un raddoppiamento dell’Io, quindi, una suddivisione dell’Io, una permuta dell’Io; un motivo del genere è infine il perpetuo ritorno dell’uguale, la ripetizione degli stessi tratti del volto, degli stessi 6 7 8 S. Freud, op. cit., pag.15 Idem pag.21 Idem pag.27 caratteri, degli stessi destini, delle stesse imprese delittuose, e perfino degli stessi nomi attraverso piu generazioni che si susseguono.”9 Il motivo del doppio era stato oggetto di un esame approfondito nel saggio Der Doppelgänger di Otto Rank, pubblicato nel 1914 sulla stessa rivista Imago, in cui analizzava le relazioni del sosia con l'immagine riflessa nello specchio, l'ombra, il genio tutelare, la credenza nell'anima e la paura della morte e metteva in luce la storia dell'evoluzione del motivo dall'immagine mitica di Narciso che si innamora della propria immagine riflessa nell'acqua. Freud evidenzia come, all'interno di questa riflessione, il sosia rappresentasse “un baluardo contro la scomparsa dell'io, una energica smentita del potere della morte”10 e che “probabilmente il primo sosia del corpo fu l'anima immortale”11. La rappresentazione del sosia, inoltre, segue le fasi di sviluppo dell'identità del soggetto, per cui nell'Io si forma un'istanza di autosservazione e autocritica definita “coscienza morale” che determina una scissione in un Io soggetto e un Io oggetto dell'autosservazione, una sorta di doppio, appunto. Inoltre, all'idea del sosia possono essere assimilate tutte le possibilità inespresse e le aspirazioni del soggetto, ma soprattutto l'illusione del libero arbitrio, che Freud individua come il tema portante del racconto Lo studente di Praga di H.H. Ewers, da cui aveva preso le mosse lo studio di Rank. Ma, conclude Freud, è difficile comprendere le motivazione del senso di straordinario turbamento che promana dalla figura del doppio: “il carattere perturbante del sosia può trarre origine soltanto dal’ fatto che il sosia stesso è una formazione appartenente a tempi psichici remoti e ormai superati, nei quali tale formazione aveva comunque un significato piu’ amichevole. Il sosia è diventato uno spauracchio cosi come gli dèi, dopo la caduta della loro religione, si sono trasformati in dèmoni.”12 Freud porta avanti l'analisi di Jentsch e afferma che nel racconto di Hoffmann il perturbante è legato soprattutto al modello del motivo del doppio e procede alla ricostruzione dell'ordinamento originario degli elementi del racconto: nella storia infantile il padre e Coppelius rappresenta “l'imago paterna che si è scissa, a causa dell'ambivalenza del bambino, in due personaggi opposti” 13, un padre negativo che minaccia l'accecamento e l'evirazione e un padre positivo che salva il bambino dalla minaccia. A questa coppia originaria corrispondono nella biografia successiva del personaggio il professor Spallanzani e l’ottico Coppola, coppia di padri in cui il professore è istanza positiva e Coppola istanza negativa, identificandosi quindi con Coppelius. Come i primi due avevano lavorato insieme, così gli altri hanno creato insieme la bambola Olimpia, e il professore è definito proprio come padre di Olimpia. Attraverso questa doppia sovrapposizione i personaggi rivelano la loro natura di scissioni dell'imago paterna ma emerge in particolar modo una nuova interpretazione della figura della bambola Olimpia, che verrebbe ad essere quindi un doppio di Nathaniel stesso, “la materializzazione dell'atteggiamento femmineo del piccolo Nathaniel verso il padre”14: l'affermazione di Spallanzani secondo cui l'ottico Coppola avrebbe rubato gli occhi a Nathaniel per metterli alla bambola testimonia proprio questa identità, in cui il motivo degli occhi strappati richiama il complesso di castrazione e legando l'immagine maschile di Nathaniel a quella femminile di Olimpia, definisce il suo attaccamento alla bambola come un amore narcisistico. Si determina dunque un “sistema di doppi” all'interno dell'immagine paterna e di quella dello stesso protagonista, che contribuisce a rendere veramente perturbante il racconto. 9 10 11 12 13 14 Ibidem Ibidem Ibidem Idem pag. 29 Idem nota a pag. 25 Ibidem In particolare il tema del doppio, ma insieme ad esso anche i motivi della bambola e degli occhi, consentono di sviluppare una riflessione molto ampia sia in ambito strettamente letterario che in un orizzonte più vasto che abbraccia le arti performative e il cinema, determinando due orizzonti distinti ma intrecciati. I motivi della bambola e degli occhi sono alla base di una breve short story di Antonia S. Byatt dall'enigmatico titolo Dolls' eyes, pubblicata nel 2008 all'interno dell'antologia dall'emblematico titolo The New Uncanny, un vero e proprio esperimento letterario, come sottolineato dai curatori della raccolta, in cui a quattordici scrittori è stato chiesto di elaborare brevi racconti ispirati al saggio freudiano. Il titolo del racconto della Byatt definisce chiaramente quale sarà l'oggetto perturbante per eccellenza: la bambola, appunto, dotata di un'intrinseca aura di ambiguità “nel suo essere oggetto connotato da una consistenza al contempo materiale e immateriale”15, nonché uno dei motivi letterari in cui il perturbante trova espressione come forma estetica. Se in Freud, il perturbante nasce dalla riemersione del desiderio di riscontrare la vita anche in oggetti apparentementi inanimati, nella riflessione successiva la bambola viene accostata alla nozione di “fantasma”: il suo carattere perturbante “deriva dal suo essere una forma dell'assenza”16, dal suo stare al posto di qualcosa che non c'è, configurandosi quindi come feticcio, come “oggetto di una materialità tangibile sulla quale tuttavia si deposita la presenza di un'assenza (rimandando, secondo il circuito malinconico-fantasmatico, a qualcosa di desiderato ma mai realmente posseduto)” 17. La bambola, e con essa tutto l'orizzonte dell'assenza e della malinconia, appare strettamente connessa all'universo femminile e in particolar modo al racconto della Byatt: la trama verte sull’incontro tra Felicity detta Fliss, insegnante in una scuola elementare, e Carole, una nuova collega. Fliss vive da sola insieme ad un’innumerevole quantità di bambole; Carole, nuova arrivata, viene ospitata in una stanza libera della casa della protagonista, fra le due nasce un’ambigua relazione amorosa, ma nel frattempo Polly, fra le bambole più care a Fliss, viene danneggiata dal cane di Carole, che la azzanna danneggiandole gli occhi. La vicenda culmina nella vendita di Polly a un’asta da parte di Carole, all’insaputa della protagonista. Scoperto il fatto, Fliss auspica insieme alle bambole vendetta. Nella conclusione Carole, nel frattempo partita per una vacanza in Grecia, viene attaccata durante un bagno in mare da un branco di meduse, le quali hanno compromesso probabilmente per sempre la sua vista. Fliss racconta l’accaduto alle bambole, condividendo con loro il segreto dell’avverata nemesi. È evidente come il racconto sia strutturato su molteplici esemplificazioni del perturbante freudiano, configurandosi quindi come “una sintesi del processo di mise-en-scène narrativa del motivo del perturbante”18: l'incertezza intellettuale riguardo ad oggetti inanimati che sembrano veri, le bambole della protagonista; il motivo dell'accecamento della bambola Polly prima e di Carole nel finale; la ripetizione degli stessi destini, variazione del tema del doppio, proprio nel parallelo accecamento, che contribuisce a definire Carole come una sorta di doppio umano della bambola Polly; l'onnipotenza dei pensieri, che Freud ascrive alle patologie nevrotiche, nella convinzione di Fliss della vendetta delle bambole su Carole. Gli elementi perturbanti diventano una sorta di “leitmotiv che accompagna il lettore lungo tutto l’intreccio, e che ne fonda anche l’attendibilità narrativa circa uno dei suoi nuclei principali, articolato intorno alla piccola bambola Polly.”19 L'incidente innesta sulla narrazione una seconda manifestazione del perturbante, legata proprio al motivo degli occhi e della vista, e determina una svolta narrativa che introduce l'Ospedale delle bambole di Mr. Copple, una sorta di caverna in cui sono esibiti i pezzi di ricambio delle bambole, arti, occhi, teste separati dal corpo, vero e proprio doppio ancor più perturbante della casa di Fliss. 15 B. Seligardi, Occhi sinistri. L'ombra e il perturbante in Dolls' eyes di A.S.Byatt, in Elephant&Castle, laboratorio dell'immaginario. Rivista elettronica del Centro Arti Visive dell'Università degli studi di Bergamo, aprile 2012 16 A Castoldi, Giocattoli mentali, Violi, 2010, pag 75 17 B. Seligardi, op. cit. pag. 7 18 Idem pag. 14 19 Idem pag. 12 Lo statuto malinconico di Fliss costituisce solo un esempio all’interno di una vasta campionatura di personaggi femminili umbratili che popolano la scrittura della Byatt: molte delle sue protagoniste femminili, in particolar modo quelle impegnate in attività intellettuali, possono essere ricondotte a questa tipologia, accomunate da una costruzione che attinge direttamente al conflitto dei paradigmi di genere di angel of the house e monster. In The Game, secondo romanzo della Byatt pubblicato nel 1967, Cassandra vive in una sorta di autoreclusione in un mondo alternativo a metà tra illusione e allucinazione attinto dai giochi infantili e, quando diventa la protagonista del romanzo della sorella Julia, trova un referente oggettuale della propria condizione, una sorta di doppia e si suicida, unico modo per uscire dal mondo delle ombre. Nel romanzo più famoso della Byatt, Possession: a romance, del 1990, le protagoniste femminili Christabel LaMotte e Maud Bailey appaiono addirittura legate dal motivo della bambola: Maud e il suo collega Roland Mitchell riescono a trovare la corrispondenza segreta dei poeti Christabel LaMotte e Randolph Henry Ash nascosta dietro delle bambole, descritte come in Dolls' eyes e dotate dello stesso valore memoriale legato all'universo femminile. Altro esempio significativo dello stretto legame tra perturbante e universo femminile, che peraltro permette di legare la riflessione al cinema, è il romanzo gotico di Daphne du Maurier, Rebecca, pubblicato nel 1938, da cui due anni dopo Alfred Hitchcock trasse il suo primo film americano, intepretato da Joan Fontaine e Laurence Olivier: il romanzo è narrato in prima persona dalla protagonista, di cui non viene rivelato il nome, che in seguito a un sogno, ricorda i giorni trascorsi nella sua magione di Manderley. A Montecarlo come dama di compagnia di una donna americana, aveva incontrato Maxim de Winter, un uomo più vecchio di lei, bello e ricco, circondato da un alone di mistero che sembra connesso con la moglie morta Rebecca, annegata in mare. Maxim le propone di sposarlo, la ragazza accetta e dopo un frettoloso matrimonio, si trasferiscono nella dimora di Manderley, su cui aleggia ancora il fantasma del ricordo della prima moglie, da cui Maxim stesso sembra ossessionato. Anche la governante e cameriera personale di Rebecca, Mrs Danvers contribuisce con il suo comportamento a farla sentire inadeguata. La ragazza convince il marito a dare un ballo mascherato e si dedica alla ricerca di un costume con cui stupirlo. Mrs Danvers le suggerisce di indossare l'abito di Caroline de Winter, il cui ritratto campeggia nella galleria della magione, ma quando appare in cima allo scalone la notte del ballo, il marito inorridito le ordina di cambiarsi: Rebecca aveva indossato lo stesso abito. La protagonista entra nella camera di Rebecca dove Mrs Danvers quasi la convince a suicidarsi, ma dei bagliori luminosi all'esterno segnalano un naufragio: è stata ritrovata la barca di Rebecca con il suo cadavere. Solo allora Maxim rivela alla giovane moglie che odiava Rebecca per le sue continue infedeltà, la notte in cui era morta gli aveva rivelato addirittura di essere incinta di un altro e durante il litigio aveva battuto la testa ed era morta, lui allora aveva affondato la barca. In seguito il cugino di Rebecca cerca di far accusare Maxim del delitto, ma si viene a scoprire che la donna era malata di cancro e si era fatta uccidere di proposito dal marito. Nel finale, Mrs Danvers da fuoco a Manderley in un accesso di follia e brucia con essa. I due coniugi lasciano per sempre la casa. Come appare evidente già dal semplice riassunto della trama, Rebecca è la storia del processo di maturazione di una donna che deve venire a patti con una figura paterna rappresentata dal marito e diversi sostituti della figura femminile rappresentati da Rebecca e Mrs Danvers e, secondo Raymond Durgnat è un dramma edipico dal punto di vista femminile20: si presenta come una variante del romanzo familiare femminile, sottolineando i modi infantili della protagonista nel confronto con il marito fino all'epilogo in cui è una donna cresciuta. In particolar modo nel film, viene sottolineata costantemente la totale incompetenza della protagonista nel confronto con Rebecca: 20 R. Durgnat, The strange case of Alfred Hitchcock, or the plain man's Hitchcock, Cambridge, MIT press, 1974, pag.168 “Mise-en-scène e lavoro della cinepresa contribuiscono, insieme alla sceneggiatura, a esprimere il senso di inadeguatezza della protagonista: sembra sempre piccola piccola negli immensi saloni in cui si ritrova a vagare; anche i pomelli delle porte sono posti all'altezza delle spalle, così che lo spettatore abbia l'impressione subliminale della donna come di una bambina che sbircia e si intrufola furtivamente in un mondo di adulti che genera curiosità e paura. Un movimento di macchina caratteristico del film è quello che parte da un primo piano dell'erina nell'atto di ricevere l'ennesima prova della superiorità di Rebecca, poi carrella all'indietro in una lunga inquadratura che la fa sembrare piccola, fragile e sola.” 21 L'ambientazione della magione di Manderley, ultima erede dei castelli e delle dimore tenebrose del romanzo gotico, contribuisce, quindi, con la sua aura di mistero e di labirinto, a generare un forte senso del perturbante che pervade tutta la narrazione e si declina soprattutto in una sovrapposizione multeplice di doppi: la giovane donna in quanto seconda moglie è un doppio di Rebecca, in una polarità moglie buona-moglie cattiva; Mrs Danvers è a sua volta un doppio di Rebecca, sacerdotessa del culto della sua memoria e sua sostituta dopo la morte; Maxim è un doppio della figura paterna assente; le due donne sono un doppio inquietante della figura materna, quasi, parafrasando Freud, un'imago scissa della madre; indossando il costume di Caroline de Winter, la giovane protagonista diventa un suo doppio, a sua volta raddoppiato dal dipinto, e un doppio sostitutivo di Rebecca, quando scopre che il costume in realtà apparteneva a lei. All'interno del panorama della Feminist Film Theory, assume una particolare rivelanza critica il tema della visione, soprattutto in relazione al soggetto femminile che diventa oggetto dello sguardo maschile: questa specifica declinazione del tema, connesso all'orizzonte più vasto del vedere e al motivo degli occhi, risulta strettamente derivante dalla riflessione freudiana sul perturbante. Nel saggio di Freud, infatti, il senso del perturbante rintracciato nel racconto di Hoffmann è profondamente legato alla sfera visiva, emerge sempre in seguito alla visione di qualcosa o in rapporto agli strumenti del vedere: gli occhi di Nathaniel e di Olimpia, in quanto simbolo di castrazione o il cannocchiale tascabile che Nathaniel acquista da Coppola. Ed è solo quando la vede attraverso il cannocchiale che Nathaniel si innamora di Olimpia, laconica ed immobile presenza nella casa di fronte, sospesa nell'incertezza intellettuale se sia realmente viva o una bambola animata. Una situazione quasi identica, e con un significato quasi corrispondente, si presenta nel film del 1954 di Alfred Hitchcock, Rear window, in cui lo sguardo è al centro dell'intreccio, “oscillando tra il voyeurismo e la fascinazione feticistica” 22, fino a diventare una metafora del cinema, in cui il protagonista maschile Jeffries è il pubblico e gli eventi che osserva attraverso la finestra sul cortile corrispondono alle immagini contenute nell'inquadratura cinematografica e proiettate sullo schermo. Sin dall'inizio della sua forzata inattività, Jeffries è circondato dalla sua ragazza Lisa, ma mostra uno scarso interesse sessuale per lei, è troppo preso dall'osservazione degli strani movimenti di Thorvald dall'altra parte del cortile. È solo quando Lisa decide di attraversare il cortile e intrufolarsi in casa del sospettato in cerca di prove, e Jeffries ne segue i movimenti furtivi attraverso il suo teleobiettivo, è solo quando è diventata oggetto della visione, una visione mediata come quella di Nathaniel, che Lisa diventa anche oggetto del desiderio. Secondo il famoso saggio Piacere visivo e cinema narrativo di Laura Mulvey, nel cinema classico il soggetto della visione cinematografica, con cui lo spettatore si identifica, è sempre un soggetto maschile, mentre la donna oscilla tra il ruolo di figura simbolica della minaccia di castrazione e oggetto della scopofilia o del feticismo maschili, ma è solo quando diventa oggetto della visione che risulta innocua e può essere amata dal soggetto maschile. 21 T. Modleski, La donna e il labirinto: “Rebecca” di Alfred Hitchcock, in The women who knew too much: Hitchcock and Feminist Theory, New York & london, Methuen, 1988 22 L. Mulvey, Piacere visivo e cinema narrativo, in Screen, 16 n.3, autunno 1975 Anche in questo caso risulta strettamente connesso all'universo femminile l'esempio forse più rilevante di perturbante cinematografico, il film del 2001 di David Lynch, Mulholland Drive, che si presenta subito con un'ambiguità testuale così evidente da richiedere allo spettatore l'impegno di un lavoro interpetativo: oltre a occultare una serie di elementi diegetici rilevanti, infatti, “poco dopo la metà del film, le due attrici protagoniste assumono nell'orizzonte diegetico ruoli narrativi, identità di personaggi e nomi differenti”23, per cui Betty Elms diventa Diane Selwyn e Rita diventa Camilla Rhodes, con un conseguente rovesciamento di ruoli psicologici e di rapporti tra le due. Nel segmento finale della prima parte, che presenta immagini ambigue ed enigmatiche, avviene il passaggio da un mondo diegetico a un altro, da un'identità all'altra: tornate a casa, Rita e Betty trovano sul letto una scatola blu, Rita estrae una chiave dalla sua borsa e apre la scatola, la macchina da presa entra all'interno della scatola e “si immerge in profondità nella prima immagine tutta in nero” 24, che da inizio alla seconda parte del film, in cui si presenta un altro mondo immaginario, parallelo. Il segmento costituisce un momento di passaggio forse dal sonno alla veglia della protagonista: nel nuovo orizzonte personaggi e scene della prima parte “si rivelano interni a un racconto allucinatorio o onirico e assumono la loro configurazione veridica”25 e di conseguenza il film appare costituito da una prima lunga sezione onirica e da una seconda sezione in cui alcuni momenti del presente sono integrati con segmanti memoriali e immagini allucinatorie26. Il film produce, quindi, una dimensione ulteriore che, in quanto sintesi dei piani del sogno, della memoria, dei fenomeni, dell'allucinazione, si configura come l'orizzonte del possibile. Questa “affermazione del potenziale implica un superamento dell'idea tradizionale di realtà e in qualche modo l'oltrepassamento della nozione di un essere forte, presente nelle cose” 27 e “l'abolizione della credenza nella realtà di un contenuto”28 è secondo Freud una delle possibili articolazioni del perturbante legato al vissuto. Inoltre, alcune figure ricorrenti come la zia di Betty, il cowboy, il barbone, la donna con il velo, gli anziani coniugi sono tutte “componenti che attuano l'inscrizione nel testo di un inquietante assurdo, di un perturbante che sgretola la razionalità degli eventi e introduce altri misteri” 29, figure inquietanti che sono un umano perturbante di cui non si capisce la natura e forse sono sostituti dell'umano. La stessa moltiplicazione delle figure delle protagoniste tende a rendere indefinibili i contorni del soggetto e, per estensione, dell'umano: i personaggi sono concepiti come doppi multipli, doppi di altri personaggi dalle stesse fattezze e dal nome differente, “che forse rivelano poi una natura onirica, doppi di un doppio onirico o fantasmatico.” 30 Il meccanismo del doppio appare quindi come una delle figure specifiche del perturbante inscritto nel testo e come una delle forme del film stesso, tanto che il raddoppiamento/sdoppiamento investe anche le dinamiche dell'identità delle protagoniste: nella prima sequenza del film, la protagonista senza memoria afferma di chiamarsi Rita perché vede riflesso nello specchio il poster di Gilda, in una sorta di rappresentazione del lacaniano stadio dello specchio, momento essenziale della costruzione dell'io; in seguito Rita indossa una parrucca bionda che la fa apparire simile a Betty, una sorta di doppio speculare in un complesso percorso di identificazione e di sostituzione dell'identità. Ma tutta la seconda parte del film può essere analizzata come un doppio rovesciato e inquietante (in quanto più reale) della prima parte, con la ripetizione variata di molteplici situazioni e rapporti tra i personaggi. Nei meccanismi dell'inquietante enigmatico, del doppio e della coazione a ripetere, il perturbante, insomma, è una delle dimensioni, dei modi figurali più rilevanti del 23 P. Bertetto, L'analisi interpetativa. Mulholland Drive e Une femme mariée, in Metodologie di analisi del film, Editori Laterza, 2006, pag. 224 24 Idem pag. 226 25 Idem pag. 231 26 Bertetto propone un'ulteriore intepretazione secondo cui il film sarebbe costituito da due sogni differenti della stessa protagonista che si concludono entrambi con la sua morte, come appare evidente dalla scena di Dan che parla del suo sogno ricorrente, sorta di mise-en-abyme della struttura del film stesso. 27 Idem pag. 244 28 S. Freud, op. cit., pag. 27 29 P. Bertetto, op. cit. pag. 244 30 Idem pag. 245 testo, è istituito come figura centrale di tutto il film. A margine di questo percorso attraverso il perturbante e i suoi sviluppi nell'orizzonte della scrittura femminile e del cinema, può essere utile una precisazione che consente un'ulteriore riflessione: nella seconda parte del suo saggio, Freud sottolinea che un'altra fonte del sentimento perturbante può essere rintracciata nella ripetizione di avvenimenti consimili, che in determinate circostanze evoca l'impotenza di certi stati onirici: alcune situazioni hanno in comune il ritorno non intenzionale di alcuni elementi che provocano un senso di impotenza e quindi di turbamento, anzi, precisa Freud, spesso “soltanto il fattore della ripetizione involontaria rende perturbante ciò che di per sé sarebbe innocuo, insinuandoci l’idea della fatalità e dell’ineluttabilità laddove normalmente avremmo parlato soltanto di caso” 31. Tale turbamento causato dal ritorno di eventi analoghi può essere ricondotto alla vita psichica dell'infanzia ed è spesso legato al principio dell'onnipotenza dei pensieri e al predominio della coazione a ripetere, ma in alcune circostanze può essere piegato ad un effetto di comicità. Partendo da questa affermazione, è possibile proporre una linea di analisi che lega il perturbante alla dimensione del comico, alla commedia come struttura di narrazione a lieto fine. Nell'ultima parte del saggio, Freud passa ad analizzare il perturbante sotto il profilo strettamente estetico e innanzitutto traccia una “linea di demarcazione tra il perturbante che si sperimenta direttamente e il perturbante che ci si immagina soltanto, o del quale si sente parlare nei libri” 32. Il perturbante che si sperimenta nella vita reale può essere ricondotto quasi sempre a un elemento familiare rimosso, sia esso una credenza primitiva che un tempo si riteneva reale e che sembra riproporsi all'esame di realtà o l'effettiva rimozione di un contenuto psichico e il ritorno di tale rimosso. Il perturbante che appartiene al mondo della finzione letteraria, cioè della fantasia e della poesia, “abbraccia un campo più vasto del perturbante che si sperimenta nella vita, comprende questo nella sua totalità e altre cose ancora, che nella vita vissuta non capitano mai” 33, perché presuppone che il suo contenuto sia esonerato dall'esame di realtà: di conseguenza, molti elementi che sarebbero perturbanti nella vita non sono perturbanti nella poesia. Il mondo della fiaba si basa su convinzioni animistiche che però non producono alcun effetto perturbante in quanto sono accettate come vere sin dall'inizio attraverso una sospensione del giudizio, premessa della narrazione fantastica. Al contrario il narratore che si pone sul piano della realtà consueta fa proprie tutte le condizioni che nell'esperienza concreta sono all'origine del perturbante e può accrescere tale sentimento attraverso la scelta di eventi impossibili o rari nella realtà, anche nascondendo al lettore le premesse scelte per il mondo rappresentato. Si potrebbe aggiungere che, inserito in una cornice di commedia, il perturbante perde le sue connotazioni inquietanti e apre un nuovo e più profondo livello di analisi della realtà, mostrando come il perturbante possa essere una declinazione moderna del sublime come profondità. Due delle tre opere italiane di Mozart-Da Ponte, Don Giovanni e Così fan tutte, possono essere considerati gli esempi più significativi di questo rapporto tra perturbante e comico, per di più coevi alla riflessione sul sublime della seconda metà del Settecento e allo sviluppo della letteratura gotica classica. Don Giovanni ossia Il dissoluto punito, del 1787, pur presentandosi con l'esplicita denominazione di dramma giocoso, è difficilmente ascrivibile al genere canonico dell'opera buffa settecentesca, e proprio per la presenza di una dimensione fortemente perturbante inscritta all'interno di un orizzonte comico, che la rende un'opera sui generis che sfugge a un'intepretazione univoca: il mito teatrale e moderno del libertino seduttore viene calato in un'atmosfera sempre sottilmente inquietante, tanto che il compositore, dopo la prima dell'opera a Praga, dovette inserire un secondo finale dopo la morte di Don Giovanni, in cui i personaggi superstiti cantano la morale della storia, ricomponendo così l'ordine iniziale e inserendo la vicenda in una cornice di commedia a lieto fine, con la punizione del dissoluto e la vittoria degli eroi positivi. Dopo l'attacco dell'ouverture su un accordo di Re minore, 31 S. Freud, op. cit. pag. 31 32 Idem pag. 49 33 Idem pag. 53 tonalità connotata per tutta l'opera come oscura e quasi infernale, la prima scena si apre in un'ambientazione notturna e furtiva: Don Giovanni fugge dalla stanza di Donna Anna dopo averla sedotta, viene inseguito dal padre di lei, il Commendatore, che uccide in duello. L'opera, inoltre, è quasi interamente costruita sul rapporto tra Don Giovanni e il suo servo Leporello, che si configura come una sorta di sdoppiamento, una variazione sul tema del doppio, assente nelle versioni precedenti della storia: nel corso dell'azione si scambiano più volte abiti e ruoli, per sfuggire agli inseguitori o solo per sedurre; nelle scene quasi sempre notturne, gli altri personaggi confondono spesso servo e padrone; nelle scene in cui compaiono insieme i due indossano delle maschere che ne celano la vera identità. Mozart approfondisce ulteriormente questo rapporto speculare, attribuendo ai due personaggi lo stesso ruolo vocale di baritono e nelle scene di insieme battute simili o addirittura identiche, per cui le due figure spesso risultano interscambiabili o perfettamente sovrapponibili. Ma l'elemento più perturbante di tutta l'opera resta comunque il personaggio del Commendatore: nel secondo atto, Don Giovanni e Leporello, intrufolatisi in un cimitero si trovano davanti alla sua tomba; Don Giovanni, che in questa scena mostra il suo volto di libertino miscredente, vuole beffare perfino l'adilà e invita a cena la statua del Commendatore, la statua si anima e risponde che verrà. Nell'ultima scena, ritornerà dall'aldilà e porterà Don Giovanni con sé all'inferno. Il Commendatore si configura come un vero e proprio emblema del perturbante, in quanto rappresentato visivamente dalla sua statua funebre, oggetto inanimato che prende vita, parla e si muove, ma soprattutto in quanto incarnazione del ritorno del rimosso, di una colpa originaria che ritorna ad esigere la punizione del dissoluto. In Così fan tutte ossia La scuola degli amanti, del 1790, il perturbante è inserito in una cornice di commedia vera e propria, su un libretto originale di Lorenzo Da Ponte, in cui tutta la storia si regge su un sottile gioco di corrispondenze e di simmetrie: due amici, Ferrando e Guglielmo, sono innamorati di due sorelle napoletane, Fiordiligi e Dorabella, e scommettono con il vecchio libertino Don Alfonso sulla fedeltà delle amate. Il vecchio propone una sfida: i due dovranno fingere di partire per la guerra per poi tornare sotto mentite spoglie e mettere alla prova la fedeltà delle due scambiandosi le parti. Nella perfetta corrispondenza delle due coppie di amanti si inserisce quindi un ulteriore sdoppiamento generato dal travestimento e dall'inversione dei ruoli, per cui i due giovani sono l'uno il doppio dell'altro e nello stesso tempo il doppio speculare di se stessi. Insieme al tema del doppio, la stessa prova di fedeltà e le minacce al rapporto amoroso contribuiscono a generare un'atmosfera sospesa e inquetante. Nella morale esistenziale e sentimentale dell'opera, il senso del perturbante appare nella possibilità che la persona amata sia in realtà sconosciuta, che i rapporti più intimi si rivelino in realtà sfuggenti ed obliqui, e che infine dietro la facciata levigata e rassicurante della realtà si nasconda un abisso insondabile. Altro esempio di perturbante comico può essere rintracciato nella seconda novella della seconda giornata del Decameron di Boccaccio: durante un viaggio, Rinaldo d'Asti viene assalito da due ladri che lo derubano delle armi, del cavallo, degli abiti e lo lasciano inerme e nudo nella neve quando cala la sera. Il cavaliere si ritrova fuori dalle mura di Castel Guglielmo, le cui porte sono chiuse per la notte, quando scopre una porta laterale e chiede aiuto ad una donna, che lo accoglie in casa, gli offre un bagno caldo, vestiti puliti, cibo e un letto: la donna è l'amante del marchese Azzo d'Este e i vestiti e il cibo offerti erano destinati proprio a lui, che è stato richiamato ai suoi doveri. Nell'offerta della donna, che si configura come un risarcimento della ferita narcisistica sperimentata da Rinaldo nella privazione di tutto, il cavaliere diventa una sorta di doppio del marchese, sostituendosi a lui nei suoi piaceri e beneficiandone in una dimensione di accoglimento femminile quasi materno. La novella appare quindi strutturata su un doppio livello perturbante: quello dell'angoscia generata dalla situazione di pericolo come ferita narcisitica dell'io, quello del doppio che consente un risarcimento e un finale trionfo del personaggio, che recupera la sua condizione iniziale di vincente protetto dal Padre nostro di San Giuliano in un lieto fine che riconduce la novella ad un orizzonte di commedia. Da questi esempi tra scrittura femminile, cinema e commedia, risulta evidente che la riflessione sul perturbante è spesso legata alla nozione di superficie sotto cui si nasconde qualcosa di non detto, non conosciuto e non conoscibile, qualcosa di insondabile e inquietante. Per questo, dal punto di vista psicoanalitico, il sublime in quanto perturbante recupera il suo significato etimologico: se nell'accezione classica il sublime pertiene al limen, alla soglia e si configura come un movimento dal basso verso l'alto, verso la soglia appunto, con il perturbante si configura invece come strettamente sub-limine, al di sotto del limite, con un movimento che dalla superficie va verso il fondo, verso l'abisso. Nel suo saggio, Freud era partito da una riflessione linguistica sul termine unheimliche, parola composta dal prefisso negativo un- e dalla radice heim, casa, patria: riprendendo la definizione etimologica, spiega che heimliche è tutto ciò che è familiare, domestico e quotidiano, quindi noto, conosciuto, ma anche attinente alla heim, alla casa, intesa come parte più intima e nascosta dell'ambiente domestico, il focolare, luogo sacro custodito gelosamente, simbolo del nucleo più inviolabile della famiglia. Heimliche appare quindi come qualcosa di familiare ma anche come qualcosa di segreto e nascosto. Riprendendo la definizione di Schelling della Ventottesima lezione di filosofia della mitologia, per cui heimliche è “tutto ciò che doveva rimanere segreto, nascosto e che invece è affiorato”, Freud giunge ad indentificare heimliche e unheimliche. L'unheimliche permette infatti che riaffiori qualcosa che stava sotto la superficie, è qualcosa di heimliche, di noto, familiare, che però è stato dimenticato e rimosso e riaffiora in una veste inedita e inquietante, che mina la normale visione del mondo e rivela che sotto la superficie delle cose si nasconde un abisso, quello della psiche, dell'inconscio. In questo senso il perturbante diventa una declinazione moderna del sublime come profondità, davvero al di sotto del limite. BIBLIOGRAFIA S. Freud, Das Unheimliche, in, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Boringhieri, Torino 1969. B. Seligardi, Occhi sinistri. L'ombra e il perturbante in Dolls' eyes di A.S.Byatt, in Elephant&Castle, laboratorio dell'immaginario. Rivista elettronica del Centro Arti Visive dell'Università degli studi di Bergamo, aprile 2012. R. Durgnat, The strange case of Alfred Hitchcock, or the plain man's Hitchcock, Cambridge, MIT press, 1974. T. Modleski, La donna e il labirinto: “Rebecca” di Alfred Hitchcock, in The women who knew too much: Hitchcock and Feminist Theory, New York & london, Methuen, 1988. L. Mulvey, Piacere visivo e cinema narrativo, in Screen, 16 n.3, autunno 1975. P. Bertetto, L'analisi interpetativa. Mulholland Drive e Une femme mariée, in Metodologie di analisi del film, Editori Laterza, 2006