Editoriale di Marina Fabiano Tra i 40 e i 50 anni, più donne che uomini, molto presenti in Lombardia e parecchio anche nel Lazio; laureati e attenti alla formazione continua, con solide esperienze in azienda e nell’ambiente della consulenza/formazione. Questo è il profilo del Coach secondo la recente ricerca di ICF Italia. Con formazione specifica ottenuta soprattutto in Italia, il 55% degli intervistati è associato ad ICF; di questi, il 35% è certificato e un buon 41,6% è in corsa per la qualificazione. L’estratto della ricerca, presentata a Roma durante l’VIII conferenza nazionale del coaching è disponibile nell’home page di www.coachmag.it. Lo spunto interessante che emerge da questa ricerca è che – visto che il mercato del coaching è in netta espansione e l’accoglienza presso le aziende è sempre più ampia – c’è molto spazio di crescita sia per la professione che per la formazione. Intendo: il mercato è ben lontano dall’essere saturo di professionisti preparati, ne riconosce l’esistenza e li chiede solidi nelle loro competenze. La formazione per i coach ha ancora molto da offrire e i coach stessi si rendono conto che un breve percorso di apprendimento basico non è certo sufficiente per esercitare con efficacia, offrendo ai clienti la qualità dei risultati che (giustamente) pretendono. Proliferano le Comunità di Pratica del Coaching, team di professionisti indipendenti da qualsiasi associazione che si interfacciano con fiducia tra di loro a scopo di scambio conoscenze, formazione inter pares e, perché no, anche business condiviso. Le CPC contano ormai una novantina di partecipanti. Stiamo quindi facendo un buon lavoro (ma non basta) nel comunicare l’importanza del coaching per lo sviluppo delle persone (in azienda, ma anche fuori), e la valenza della preparazione dei coach per i risultati attesi. CoachMag è sempre in prima fila per la diffusione del coaching – e dei coach – a livello nazionale e internazionale (abbiamo anche abbonati stranieri che comprendono l’Italiano e connazionali che vivono all’estero). E’ anche per loro, e per noi immersi in un nuovo cambiamento, che in questo numero parliamo di Intercultura e Diversità. Tema etico o strategico? Problema o opportunità? I due argomenti, diversi tra di loro, si intrecciano, si sovrappongono e si contaminano. I colleghi-autori che hanno generosamente messo a disposizione i loro articoli, hanno saputo ricavarne spunti di profondo interesse. Buona lettura. Marina Fabiano Direttore Editoriale [email protected] www.coachmag.it COACHMAG Numero 5 Maggio 2011 Direttore Editoriale Marina Fabiano [email protected] In redazione (questo numero) Alberto Camuri Marta Fiore Frèdèrique Sylvestre Rosaria Montalbano Simona Manzone Sheyla Rega Valerie Ryder Antonella Villa Nathalie De Broux Agnès Perrone Claudia Crescenzi Alessandro Testa Oliviero Brega Alessandro Lo Russo Susanna Dal Zotto Mattia Rossi Matilde Cesaro Marco Donadoni Luca Gentile Grafica e impaginazione Luca Gentile [email protected] Direzione e Redazione Marina Fabiano Via Baranzate, 57 Novate Milanese (MI) Tf: 347 3061024 e-mail: [email protected] sito: www.coachmag.it Diffusione e periodicità Online, pdf scaricabile, in abbonamento annuale Quattro numeri all’anno, trimestrali Copie arretrate in SpecialPack, 25€ Abbonamento annuale 4 numeri, 25€ [email protected] tf. 347 3061024 Pubblicità Rivista online, sito e newsletter [email protected] tf: 347 3061024 L’editore dichiara di aver usato ogni mezzo per riconoscere i diritti d’autore del materiale e delle informazioni utilizzate, e resta ovviamente a disposizione per adempiere agli obblighi di legge nel caso non avesse ottemperato pienamente. * i profili degli autori sono disponibili nel sito coachmag.it/ redazione Indice 04....... Diversità: mondi a confronto di Alberto Camuri 06....... Diversità e multicultura di Marta Fiore 07....... Interculturalità Intervista a Frèdèrique Sylvestre 10....... Esperienze di coaching nella “diversity”: la managerialità al femminile di Rosaria Montalbano 12....... E’ proprio vero che le donne sono diverse dagli uomini? di Simona Manzone e Sheyla Rega 14....... Chi, io? Fare coaching in lingua? Mai! di Valerie Ryder 16....... 10 azioni perfette per leader multiculturali di Marina Fabiano 17....... Coaching e Politica di Antonella Villa 23....... Il “Cultural Orientations Framework” come supporto di percorsi individuali di Nathalie De Broux 25....... “Audit Culturale” in una Partnership di 3 aziende: italiana, francese ed olandese di Agnès Perrone 27....... Diversity and Inclusion: a personal experience di Claudia Crescenzi C’erano un Italiano, un Francese e un Tedesco… 28....... dalle barzellette alla vita interculturale di Marina Fabiano Sit Up 19....... SitUp - Situazioni Appiccicose Il coachee ostile Coaching & Storytelling 31....... Potsdamer Platz di Mattia Rossi Coaching & Metafore 33....... Mi racconti dell’oceano? di Matilde Cesaro 34...... Il bello della metafora di Marco Donadoni Contaminazioni 35....... Eventi 35....... Libri in Gocce 36....... Voglio aprirmi un blog... gratis. di Luca Gentile PERCHÈ ABBONARSI? Per ricevere regolarmente, ogni trimestre, la tua copia di CoachMag. Per informarti, formarti, conoscere le novità del coaching, gli stili e i casi di colleghi-coach. Per essere aggiornato sugli eventi nazionali e internazionali che trattano di coaching. Per essere parte di un network di coach, manager-coach, persone (come te) che condividono la cultura del coaching. Per…perché lo fai? Dimmi la tua opinione, partecipa alla costruzione dei prossimi numeri di CoachMag, scrivi a [email protected] “Diversità: mondi a confronto” Riflessioni di Alberto Camuri – Partner SCOA, Direttore Valyou Farm Il 14 marzo scorso al Club SCOA (The School of Coaching) ho affrontato, con il Dr. Federico Marcon (Director, NGO Don Carlo Gnocchi Foundation) il tema della Diversity condividendo con i numerosi partecipanti le nostre esperienze di vita vissuta sul tema. Sia io sia il Dr. Marcon abbiamo avuto a che fare con la Diversity seguendo percorsi professionali diversi: • La mia esperienza trentennale è stata di gestione del business a livello internazionale in grandi multinazionali o meglio aziende globali, un’esperienza di gestione che mi ha portato a guidare una parte del mondo (Europa, Middle East Africa, East Europe, South Asia Pacific) confrontandomi internamente ed esternamente con storie, culture, religioni profondamente diverse… • Il Dr. Marcon, ora Director NGO Don Carlo Gnocchi Foundation, e prima funzionario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), ha maturato significative esperienze in qualità di Project Manager del Programma “Eurosocial” sulle politiche attive del mercato del lavoro in Europa e America Latina, Programme Manager di un progetto della Commissione Europea sulla migrazione dei lavoratori nella regione dell’Africa Occidentale, Programme Manager di un progetto su formazione professionale, inserimento lavorativo, sviluppo di cooperative e programmi di microcredito per le persone disabili nell’area caraibica, membro di una missione di esperti advisor del Governo di Timor Est per la ristrutturazione del mercato del lavoro... tutte esperienze che gli hanno permesso di approfondire il tema della Diversity ed osservare molteplici comportamenti organizzativi. Avevamo da rispondere a tre domande stimolo sull’argomento Diversity: • PERCHE’ PARLARNE? • TEMA ETICO O STRATEGICO? • PROBLEMA OD OPPORTUNITA’? la ”Generazione X”, i “Millennials” ed ora i “Digital Native” e il loro diverso pensiero nei confronti ad esempio del significato e valore di: • Gerarchia Entrambi abbiamo condiviso che se ne • Autonomia deve parlare in quanto il mercato del • Libertà lavoro, a tutti i livelli, ha avuto negli • Fedeltà ultimi anni una modifica sostanziale, • Cambiamento modifica che continuerà ad accentuarsi • Uso tecnologia come conseguenza di fattori sociali, • Virtualità demografici e politici. • Formalismo In particolare quattro elementi hanno • …….. caratterizzato tale modifica, ed il quarto Tutte queste modifiche sono in particolare creerà nuove sfide/stimoli : rappresentative non solo della forza • Il primo elemento è relativo al lavoro ma anche di una modifica dei GENERE ed in particolare all’aumento mercati per le aziende, il capire quindi e significativo del numero di donne gestire la diversità è una capacità rivolta lavoratrici non solo all’interno delle organizzazioni • Il secondo elemento è connesso ma anche all’esterno, è un’abilità di al tema della DISABILITA’ ed alla ascolto che rappresenta un vantaggio necessaria inclusione lavorativa di competitivo per essere in intima persone disabili, conseguentemente alla connessione con dei mercati che sono diffusione di sempre più attente politiche sempre più caratterizzati da diversità, sociali quali genere, razza, età, etnia, cultura, • Il terzo elemento, a seguito di disabilità, religione, orientamento forti flussi migratori e dell’emergere di sessuale. nuove realtà, è quello della RAZZA, Si tratta quindi di un tema sia etico sia il multiculturalismo/multietnicità, le intimamente strategico in quanto è la diversità religiose, che ha connotato in condizione per rimanere in contatto con modo pervasivo il nuovo mercato del un mondo che cambia anche nella sua lavoro, non solo della mano d’opera composizione sociodemografica, un ma anche del cosiddetto mercato dei mondo diverso. “cervelli” (usciti dalle università delle nazioni emergenti) Chi ha avuto a che fare inizialmente • Da ultimo il tema delle con questa tematica in modo ampio, GENERAZIONI: l’innalzamento sono state in particolar modo le aziende dell’età media della forza lavoro, come multinazionali, le aziende globali: conseguenza dell’incremento della ora è un tema con cui tutti si devono aspettativa di vita e soprattutto delle confrontare. conseguenti difficoltà di finanziamento L’esperienza personale e l’osservazione dei sistemi pensionistici, ha acuito degli eventi ci hanno insegnato che chi questo tema creando una conflittualità di affronta consapevolmente questa tema, fatto tra vecchie e nuove generazioni. cogliendone le opportunità connesse, Pensiamo all’incrocio organizzativo sviluppa un ambiente in cui non ci si tra i “Traditional”, i ”Baby Boomers”, limita a rispettare le norme, le leggi CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 04 a garanzia delle pari opportunità di impiego e sviluppo, ma un ambiente in cui si riconosce e rispetta il fatto che le persone sono “tutte uguali e tutte diverse”, si è consapevoli delle implicazioni di tali differenze nell’ambiente lavorativo e quindi si sviluppano i necessari approcci per mettere a valore queste differenze sempre più rappresentative di un mutato contesto sociale. Chi invece affronta il tema considerandolo un problema da amministrare e minimizzare, tende a limitarsi al mero rispetto degli obblighi di legge, rinunciando ciecamente ad una opportunità. Molto spesso ne subisce le conseguenze negative. Il saper gestire la diversity ha una serie di impatti positivi sia sul clima, sia sul business ad esempio: • Potenzia le performance degli individui e dei gruppi di lavoro grazie ad un clima positivo, basato sul rispetto e sulla valorizzazione delle differenze • Permette maggiore creatività ed innovazione, aprendo gli orizzonti, generando maggior numero di punti di vista e quindi molteplici soluzioni a fronte di problemi • Stimola la curiosità intellettuale che genera un costante progresso • Potenzia la capacità di essere globale e locale contemporaneamente • Stimola la capacità di ascolto, anche verso il mercato ma certamente tutto ciò non è facile, vi sono delle difficoltà, delle sfide da affrontare. Diversity, al di là della chiara matrice etimologica comune (di-vergere, uscire dal sentiero abituale), significa uscire dalle proprie zone di comfort, di abitudini, significa assumersi “rischi” …e tutto questo diciamolo è fatica, ma è una fatica con un bellissimo ROI sia a livello personale, sia organizzativo, sia di business. Diversity significa innanzitutto mettere in discussione se stessi, le proprie certezze, le proprie abitudini….bisogna crederci, bisogna avere una visione che ci stimoli e che ci porti in questa direzione, riuscendo a sormontare le barriere comunicative e la naturale resistenza al cambiamento. Ecco perché nelle organizzazioni è necessario che questo percorso, per essere di successo, sia supportato da una leadership consapevole del valore (anche di business) di una cultura INCLUSIVA delle diversità. Una leadership che comunichi questo valore culturale a tutta l’organizzazione e che pretenda un agito coerente nel giorno dopo giorno, un agito basato su un forte valore di RISPETTO, di ASCOLTO, di DIGNITA’: una leadership che leghi anche incentivi economici agli obiettivi di una evoluzione culturale: “da equal opportunities a diversity management”. Non basta avere delle posizioni, dei ruoli 05 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 dedicati a ciò, ad esempio il Diversity Manager, non basta dichiararlo: bisogna agirlo ed agirlo in modo diffuso. Mi viene in mente un parallelo con la QUALITA’. Le aziende di qualità non sono quelle che hanno il bollino, quelle che hanno il QUALITY Manager; sono quelle che la agiscono a tutti i livelli ed in tutte le azioni quotidiane, sono quelle in cui si respira la qualità dal momento in cui si entra nel palazzo, virtualmente o fisicamente, è un qualcosa che permea il tutto. Lo stesso è per la Diversity. Nella mia esperienza le competenze comportamentali da mettere in “palestra” per potenziare le proprie capacità sul tema in discussione sono 6, utilizzando il dizionario delle competenze SCOA : Competenze Tecnico Realizzative: 1. APERTURA ALLA DIVERSITA’ 2. FLESSIBILITA’ Competenze Relazionali: 3. ASCOLTO 4. SENSIBILITA’ INTERPERSONALE Competenze Gestionali: 5. SVILUPPO DEL BUSINESS 6. VISIONE Da ultimo, costa fatica ma ne vale la pena…buon lavoro ! Alberto Camuri* “Diversità e multicultura” sviluppato un ambizioso programma d’informazione e sensibilizzazione all’utilizzo della metro. Dovendo comunicare con i pubblici più disparati ed eterogenei, ha opportunamente declinato i messaggi in rapporto alle oggettive differenze culturali. Per i ceti meno abbienti, prevalentemente analfabeti, la DMRC ha realizzato delle manifestazioni teatrali itineranti per illustrare ai cittadini di Marta Fiore che, per esempio, non è possibile salire sulla metropolitana con la mucca; piuttosto che è impossibile prenderla al volo, com’è uso, in India, per i treni o gli autobus. Alcune settimane fa ho avuto Il concetto di Diversità o Alterità aristotelico, simbolo di una sola verità, un’interessante discussione con il Direttore ha rappresentato una costante del di un unico standard di riferimento Generale di una multinazionale italiana che pensiero umano, sin dalle origini della comportamentale e di un’Unità Assoluta intende realizzare un percorso di coaching speculazione filosofica. Dall’alterità più non è più attuabile. La polis è oggi per i manager della sussidiaria cinese. “In semplice e immediata -quella di genere- una aggregazione di tanti membri che Cina non è pensabile che il Coach non sia a quelle più complesse in cui nello stesso difendono tenacemente il loro diritto di cinese” – “Per una questione linguistica?” spazio e nello stesso tempo convivono essere riconosciuti. Anche e soprattutto – gli ho domandato. “No. La lingua è tante diversità: di religione, cultura, in quanto Alterità. importante ma non fondamentale. I miei storia, usi, costumi, appartenenza,... Il 31 dicembre del 2006 il Times si è manager parlano un ottimo inglese. E’ una Il fenomeno della globalizzazione, presentato al suo appuntamento annuale, questione culturale: la capacità di leggere potenziato dalle nuove tecnologie che in essere dal 1927 e ha immortalato la la diversità, cogliere quelle sfumature di hanno reso possibile, attraverso i social sua “Person of the Year” in copertina. significato che un occidentale non sarebbe network, l’affermarsi di modelli di Un monitor di un computer che imita in grado di comprendere.” comunicazione e relazione orizzontali uno specchio così che il lettore possa Sono questi esempi, in sé banali, e accessibili alla maggioranza della riflettersi e, al centro, la scritta “YOU”. di come le Organizzazioni stiano popolazione su scala mondiale, ha Obiettivo del Times: testimoniare il sviluppando una consapevolezza e aumentato la consapevolezza del “fattore peso sempre maggiore dell’individuo sensibilità sempre maggiore al tema diversità” a scapito del “fattore identità” –strettamente connessa alla potenzialità della diversità e una messa in atto del e di una standardizzazione (peraltro attesa) espressa dalla rete - nell’influenzare i principio “going global acting local”. valevole world-wide. processi decisionali globali e, di contro, la Un approccio pragmatico a una realtà de Questo interessa indistintamente lo Stato- progressiva perdita di controllo dei processi facto che può anche essere detestata ma Nazione e le Organizzazioni. stessi da parte delle organizzazioni. non ignorata. Entrambi si trovano a operare in un Oggi il vivere assieme presuppone una mondo molteplice, complesso, in continua negoziazione e conciliazione rapido e continuo mutamento e quindi di interessi diversi, spesso divergenti e, Marta Fiore* ambiguo, incoerente e incerto: il come sostiene Bernard Crick, “di norma capitalismo “soft”, come descritto e è meglio conciliare interessi diversi che teorizzato da Nigel Thrift in The Rise reprimerli e opprimerli all’infinito.” of Soft Capitalism. Fenomeno che anche Le Organizzazioni di successo stanno R. E. Freeman in Strategic Management. infatti attuando un cambiamento di A Stakeholder Approach affronta da una prospettiva: governano le relazioni non prospettiva diversa: quella dei pubblici attraverso il controllo ma attraverso la (stakeholder) definiti come: «qualsiasi costruzione di relazioni. Oggi vince gruppo o individuo che influenza o è chi riesce a proporre uno spazio in cui influenzato dal raggiungimento degli attivare e sviluppare le relazioni. E lo obiettivi dell’organizzazione». L’effetto spazio della relazione è innanzitutto il forse preminente che interessa oggi luogo del riconoscimento reciproco. le Organizzazioni è la necessità non E il riconoscimento reciproco passa procrastinabile di dover dialogare e dall’ascolto e dalla comprensione della relazionarsi con un pluralismo di soggetti diversità di cui ciascun individuo è consapevoli di aver diritto a un “legittimo espressione. riconoscimento” di sé e della diversità Il Direttore della Delhi Metro Rail (di qualsiasi natura essa sia) di cui sono Corporation, l’Ente che controlla espressione. Il mito della “buona polis” la metropolitana di Nuova Delhi, ha CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 06 Interculturalità Intervista a Frèdèrique Sylvestre Partner di Before ed esperta in Intercultura In aggiunta, l’articolo “Intercultura e formazione interculturale nelle aziende italiane” apparso su Persone&Conoscenze nr 65 è pubblicato nel sito www. coachmag.it Interculturalità: relazione dinamica tra persone e gruppi che hanno culture diverse. La Multiculturalità, invece, è un fenomeno statico, le persone di culture differenti vivono vicine ma non interagiscono tra di loro. Di globalizzazione si parla e si agisce da molti anni, quindi non è certo una novità l’aver a che fare con colleghi che lavorano ed interagiscono in Paesi diversi. Per quali ragioni l’Interculturalità è oggi un fenomeno considerato importante dalle aziende? Il fenomeno è importante perché le culture influenzano i comportamenti umani e le relazioni tra le persone quindi i risultati aziendali, il clima organizzativo, il modo di lavorare, la qualità delle soluzioni... Si può dire che le differenze di cultura condizionano gran parte delle dinamiche organizzative e questo proporzionalmente alla numerosità e l’intensità delle interazioni tra ruoli previsti dalla struttura organizzativa. Nei contesti aziendali, ci sono dei costi enormi per mancanza di preparazione delle persone: tempi che si triplicano, stress, irritazioni, frustrazioni… che portano a dei risultati ottenuti faticosamente e spesso appena soddisfacenti. La nostra esperienza professionale ci porta ad ascoltare il racconto di tante situazioni dove le differenze di cultura producono problematicità limitando così la qualità dei risultati. Il mancato rispetto delle scadenze, la discrepanza nella valutazione di determinate situazioni, la noia o l’irritazione nei meeting internazionali perché gli elementi/ gli stili ritenuti importanti in una comunicazione sono diversi, il disallineamento sulle priorità… sono alcune delle difficoltà che si verificano e che creano una delusione delle aspettative reciproche. Questi esempi si riscontrano anche nelle relazioni interpersonali tra colleghi di una stessa cultura ma c’è una differenza essenziale nelle relazioni interculturali: l’assenza di codici interpretativi per comprendere il comportamento dell’altro. Questo fattore peculiare delle relazioni interculturali aumenta lo stato emotivo di disorientamento e il sentimento di ambiguità e per questo stereotipi e pregiudizi finiscono per avere una funzione rassicurante. Va però precisato che non tutte le aziende sono consapevoli dei fenomeni che abbiamo descritto. Ci sono aziende che non valutano come importante la diversità culturale oppure che la minimizzano con la credenza che gli obiettivi da raggiungere garantiranno l’allineamento di tutti. In queste organizzazioni prevale la convinzione che la cultura aziendale è talmente forte da far collaborare le persone efficacemente al di là delle differenti culture. Eppure, l’esperienza dimostra che la concezione stessa degli obiettivi da raggiungere si differenzia tra le culture…ma per queste aziende si da per scontato che quello che è valido per sé lo sarà anche per altri. Infine, è importante notare che il modo di rispondere alle differenze di cultura è molto diverso tra le aziende. Si osserva che la consulenza/formazione interculturale è uno strumento particolarmente utilizzato dalle aziende europee mentre quelle americane tendono a governare il fenomeno attraverso la sistematicità di strumenti come mobilità, job rotation, selezione di persone che abbiano un profilo internazionale… Quali sono gli errori più comuni che le persone affrontano nel lavoro quotidiano con i colleghi “esteri”? Si potrebbe parlare (e spesso è quello che emerge maggiormente nelle discussioni) degli errori o meglio delle gaffe quotidiane causate dalla non conoscenza di usi e costumi altrui e che non risparmiano chi lavora all’estero (intendiamo il tipo di regalo da portare a chi invita a cena, i colori che devono avere i fiori o il foulard che si vuole offrire, le modalità di presentarsi oppure ancora il posto dove ci si siede…). Potremmo dire che questi errori sono quasi infiniti, ma personalmente non li considero così rilevanti. Nel mondo del business, i nostri interlocutori di cultura diversa sanno che i nostri costumi sono differenti e in un qualche modo tendono a passare oltre. Conoscere tutti gli usi e costumi che caratterizzano ogni paese non è certo l’obiettivo di una preparazione interculturale. La consapevolezza però che si possano fare tanti errori di questo tipo è essenziale poiché permette di gestire la relazione con l’altro in modo appropriato. Molto più rilevante invece è quello che nel campo 07 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 dell’intercultura viene chiamato l’etnocentrismo per il quale non parlerei di errore ma di atteggiamento difensivo e per questo più impegnativo, se si vuole preparare/formare le persone alle relazioni interculturali. L’etnocentrismo protegge dalle differenze culturali negandole, minimizzandole oppure ancora valutandole in modo dispregiativo con la convinzione che il proprio modo di fare è migliore di quello dell’altro o che il modo di fare dell’altro è migliore del proprio (si tratta in questo caso dello stesso meccanismo, ma rovesciato). È chiaro quindi che in queste situazioni la relazione con l’altro diverso risulterà difficile, imprigionata dalle proprie convinzioni e improntata alla sfiducia. Cosa raccomanderesti alle aziende per evitare che i soliti errori di base vengano ripetuti ad ogni nuovo progetto o per ogni nuova persona che entra nell’organizzazione internazionale di forma matriciale? Accompagnare le persone dall’etnocentrismo all’etnorelativismo è l’obiettivo generale che persegue la consulenza e la formazione interculturale. Vuole dire quindi prima di tutto essere consapevoli che le differenze tra persone di culture diverse esistono. Questo avviene non solo quando si tratta di culture molto distanti dall’Italia come la Cina e l’India, ma anche per quelle geograficamente vicine come la Francia e la Germania. La consapevolezza permette di accrescere la capacità di osservazione e quindi di attenzione e curiosità verso l’altro. È il riconoscimento delle differenze. Il passaggio successivo consiste nell’accettare le differenze, il che significa comprenderle nel loro contesto. Mi preme sottolineare che comprenderle non significa farle proprie, il valore aggiunto delle differenze è dovuto alla loro integrazione, non alla loro eliminazione. In questa fase è molto importante saper formulare delle ipotesi per comprendere queste differenze, ipotesi che dovranno essere verificate con l’altro per instaurare una comunicazione generativa. Infine, si potranno valorizzare quelle differenze e cioè utilizzarle insieme alle proprie per accrescere la qualità dei risultati. Si tratta quindi di riconoscere, accettare e valorizzare l’altro nelle sue differenze, ma anche, e questo è spesso un aspetto del quale ci si dimentica, di essere riconosciuti, accettati e valorizzati dall’altro nelle nostre differenze. Questo implica che la Formazione Interculturale è tesa a facilitare la creazione di relazioni di fiducia tra le persone e la responsabilizzazione sulle conseguenze delle propri comportamenti. Quali sono i pregiudizi ricorrenti degli Italiani? E da quali pregiudizi devono difendersi? I pregiudizi sono relativi a “chi guarda chi”. I pregiudizi dei russi verso gli italiani sono diversi da quelli degli americani… così come i pregiudizi degli italiani verso i tedeschi sono diversi da quelli degli inglesi verso i tedeschi. Solitamente il pregiudizio nasce nelle persone per rassicurarle su ciò che comprendono e si presenta come una spiegazione superficiale delle differenze. Le differenze sono però relative all’identità culturale e quindi non esistono delle disuguaglianze in assoluto ma sono sempre legate all’osservatore. Ho però avuto modo di constatare ripetutamente che l’appartenenza aziendale influenza la tipologia di pregiudizi che circolano. In tal senso, quando l’azienda è italiana, i pregiudizi verso altre culture sono tendenzialmente negativi mentre quando l’azienda è straniera, si osservano da parte degli italiani più che altro pregiudizi positivi verso l’altro e negativi verso se stessi. Questo fenomeno porta ad una considerazione rilevante: il potere in gioco nelle relazioni interculturali (il potere della sede aziendale rispetto alle filiali, il potere della padronanza di una lingua, il potere della maggioranza in un gruppo…). La formazione interculturale ha la responsabilità di lavorare su questo fattore per essere efficace. In Before, i miei colleghi interculturalisti ed io, siamo molto attenti nelle scelte delle provenienze culturali dei formatori coinvolti nei progetti di formazione interculturale. Ci facilita il fatto che noi stessi siamo un team interculturale, avendo in Before colleghi francesi, tedeschi, polacchi, australiani… ma anche italiani con esperienze di vita e lavoro in altri paesi. Per esempio due dei nostri colleghi italiani hanno una profonda conoscenza della Cina avendoci vissuto per lungo tempo. L’obiettivo che proseguiamo è quello di equilibrare le posizioni sociologiche di potere in un gruppo scegliendo dei formatori di provenienza culturale diversa del gruppo dei partecipanti. Questo permette anche di facilitare i componenti nel riconoscere e nell’esplorare le specificità culturali dei loro colleghi stranieri. Parecchi coach si occupano di corporate coaching a livello Internazionale e tra i loro coachee hanno expat manager. Cosa vorresti suggerire a questi coach per migliorare le loro competenze Interculturali? Direi che ci sono due aspetti caratteristici dell’esperienza di espatrio da gestire. Il primo è lo shock culturale, una persona che si trasferisce in un paese diverso dal proprio sperimenta un forte disorientamento dovuto all’inefficacia dei propri comportamenti e alla difficoltà di comprendere i comportamenti degli altri. In queste situazioni, fortemente impegnative sul piano emotivo è facile che la persona adoperi delle difese che rallenteranno il suo inserimento. Il coach ha quindi la responsabilità di conoscere le dinamiche dello shock culturale, di averle vissute per riconoscerle nel suo coachee e per accompagnarlo ad identificare le risorse che lo porteranno ad elaborare delle strategie efficaci di superamento. Il secondo è che una persona in espatrio tenderà ad interpretare le proprie responsabilità di ruolo relativamente alle credenze culturali che lo influenzano. Sarà quindi utile che il coach sappia fare delle ipotesi per accedere alle convinzioni culturali del suo coachee e quindi sostenerlo per ospitare una pluralità interpretativa. CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 08 Hai un caso o due da raccontare ai lettori di CoachMag? Qualche aneddoto? “Qual è il peggior nemico delle tirannie, dei pregiudizi e delle inerzie che soffocano la vita?” Voltaire diceva : “Il ridere”. Ti racconto quindi per finire con un nota umoristica quello che emerge quando proponiamo ai gruppi interculturali con i quali lavoriamo di creare delle scenette oppure dei fumetti umoristici sugli stereotipi. L’attività richiede l’esagerazione, l’assurdo, la generalizzazione “abusiva”… e viene realizzata dalle stesse culture in presenza nel gruppo. Gli italiani… sono quelli che arrivano in ritardo, che non spengono il cellulare nelle riunioni, che chiamano oppure sono chiamati dalla mamma, che propongono i break per bere un caffè, che si fanno carico di dove andare a mangiare, che abbracciano i colleghi, che seducono e che di tutto ciò ridono… La prossima volta ti racconterò quello che emerge quando ci sono dei francesi nel gruppo! Intervista a Frèdèrique Sylvestre* a cura di Marina Fabiano 09 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 “Esperienze di coaching nella diversity: la managerialità al femminile” Dalla leadership “imitativa” alla leadership integrativa di Rosaria Montalbano Il mondo del femminile è una tavolozza di colori, con mille sfumature, che rappresenta un’articolata diversità di emozioni, idee, profondità e innovazioni. E’ quello che ho percepito sistematicamente in questi ultimi anni nei percorsi di coaching dedicati alle donne. Il presente articolo vuole essere uno stimolo alla riflessione riguardo i cambiamenti che si sono susseguiti negli anni, nel panorama della managerialità femminile. la popolazione femminile incontra nell’espressione delle proprie capacità e nel ricevere riconoscimenti per il proprio operato (es: netta prevalenza di uomini a ricoprire i livelli di quadro e dirigente rispetto alla popolazione femminile; donne promosse solo a valle di livelli più elevati di valutazione rispetto agli uomini; aumenti mediamente concessi agli uomini in quantità maggiori; età, titolo di studio e anzianità aziendale che non sono riconosciuti come valore al sesso femminile mentre, al contrario, spinge più in alto il valore della RAL Solo cinque anni fa la leadership delle degli uomini), nonché specificità donne era imitativa di uno stile maschile, comportamentali e stile manageriale questo è confermato da un progettodella popolazione femminile che ricerca della società cui appartengo, al ricalcava in gran parte quello maschile. quale ho partecipato, che ha previsto • Percorsi di coaching individuali, diverse fasi di processo. finalizzati allo sviluppo di In particolare, il progetto, realizzato comportamenti di leadership valorizzanti nell’ambito del contesto farmaceutico, la diversità femminile, attraverso ha riguardato il tema della Diversity, la definizione di Piani di Azione intesa chiaramente come identità di personalizzati. genere, che è nato grazie alla volontà dell’Organizzazione, non solo di Il progetto, con i percorsi di coaching individuare possibili diversità culturali per le donne Executive, in particolare, ma anche di favorire, eventualmente si rappresentava la possibilità di creare un fossero individuate delle discriminazioni nuovo approccio che contribuisse ad una gestionali e/o comportamentali, di “rottura” con il passato e che orientasse a valorizzare la diversità al proprio nuove filosofie e strategie di intervento, interno. Il progetto si è articolato in più più attuali ed innovative, mirate ad macro fasi: enfatizzare le diversità, a valorizzare le • Analisi preliminare del contesto differenze di genere e, in tale prospettiva, (caratteristiche anagrafiche, livello di a sostenere modelli di leadership inquadramento e retribuzioni, percorsi “inclusiva”: il femminile con il maschile. di carriera, livelli di performance, % di copertura in ruoli chiave), relativi I percorsi di coaching, che hanno alla popolazione aziendale, maschile e interessato le Executive Manager, hanno femminile. toccato fondamentalmente tre fasi: • Identificazione/Definizione del 1. valorizzazione dei comportamenti Modello di Leadership, attraverso femminili specifici, quali l’empatia e l’esplorazione di comportamenti premianti l’intelligenza relazionale, ma anche e di eccellenza, sia femminili, sia maschili. senso di appartenenza, spirito di • Elaborazione dei dati rilevati, che squadra e forte responsabilizzazione ha messo in evidenza gli ostacoli che al ruolo manageriale, con conseguente orientamento ai risultati finali. Gli snodi chiave dei percorsi di coaching hanno permesso di ripercorrere i propri episodi di successo manageriale, i risultati raggiunti, anche in termini di clima favorito all’interno del team e di collaborazione interfunzionale, che hanno consentito il raggiungimento di risultati comuni aziendali; 2. “inclusione” di comportamenti più tipicamente maschili ritenuti, dal femminile dell’Organizzazione, funzionali a raggiungere obiettivi importanti, come la capacità di leggere i trend evolutivi, la visione strategica e il focus sulla crescita e lo sviluppo del team, come parte del proprio processo di maturazione manageriale, il che ha favorito il focus su azioni e attività che le Manager hanno posto in atto all’interno di “palestre” di sviluppo personale e con i propri collaboratori; 3. evitamento dei comportamenti di stile maschile, come ad esempio l’accento, quasi esclusivo, posto ai risultati e conseguente predominanza dello stile di leadership direttivo, vissuti come non propri e dunque non autentici, meno spontanei e certamente meno positivi in termini di risultato, che ha connotato la massima parte dei percorsi, con il fine di permettere alle Executive di recuperare il proprio spazio di contribuzione vera, autentica ma anche di responsabilità manageriale nel trasporre le proprie volontà e il proprio stile con consapevole motivazione. A distanza di 5 anni circa, una nuova esperienza con Executive Manager, realizzata presso un’azienda petrolifera, ha posto in risalto cambiamenti evidenti della managerialità femminile. Il progetto ha previsto un processo intermodulare, dedicato allo sviluppo della leadership, sia in termini di costruzione CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 10 di una identità di leadership forte, solida e specifica dell’Azienda, sia come costruzione di una responsabilità manageriale a 360° (verso i propri collaboratori, in termini di sviluppo e motivazione, verso i colleghi, in termini di iniziativa e contribuzione fattiva, sia nei confronti dei propri capi, in funzione di comportamenti influenzanti e propositivi). In particolare, il processo ha previsto più moduli: • Outdoor Sailing (I Modulo), la barca a vela come metafora aziendale e il mare metafora del contesto esterno, complesso e competitivo, per un primo processo di conoscenza ed integrazione interfunzionale, tra i partecipanti e di sperimentazione della propria managerialità. • Sessioni di Coaching individuali (II Modulo), per uno spazio più “privato”, funzionale a riflettere su di sé, sui propri comportamenti manageriali e di contribuzione al benessere della squadra e dell’Azienda. • Leadership integrativa (III Modulo), dove il gruppo, nuovamente unito, funge da generatore di idee, suggerimenti, innovazioni e feedback mirati al supporto reciproco. • Leadership dello sviluppo (IV Modulo), volto a strutturare comportamenti manageriali più consapevoli e responsabili, di sviluppo e motivazione degli altri. Fin dalle prime istanze del percorso le Manager hanno fatto emergere le loro specificità che, in qualche misura, si connotavano come cambiamenti forti della managerialità femminile negli ultimi anni. Ciò è risultato ancora più evidente nei percorsi di coaching, dove i temi portanti hanno riguardato: • il mantenere la propria integrità, all’interno di un’azienda con regole, stili, modalità e cultura prettamente maschili; • “l’essere e l’esserci”, nella prospettiva di annullare l’appiattimento con il modello maschile, con il rischio di essere altro da sé, piuttosto valorizzare il proprio modo di essere manager, partecipando attivamente alla ridefinizione della cultura e dei valori aziendali, all’interno di una impresa complessa; • il realizzare una leadership autentica, frutto delle proprie caratteristiche, che si connotano per visione di insieme, problem solving, capacità di pianificazione, ascolto e sensibilità relazionale; • il rimodulare il comportamento manageriale, in ottica di worklife balance, e optare per uno stile di lavoro/ vita privata in linea con le esigenze di carriera, professionalità, ma anche con le necessità personali da esprimere fuori dell’Azienda. proprie specificità, laddove sono ormai consapevoli del valore che possono apportare nella managerialità, spesa a vantaggio dell’Azienda. La cosa paradossale, in tutto ciò, è che questo modo di essere più vero e autentico, è apprezzato anche dagli uomini che, a questo punto, fanno spazio, condividono e si rendono disponibili a collaborare con il femminile, trovando in questa nuova opportunità possibili altri traguardi e potenzialità da perseguire in modo condiviso. CONCLUSIONI Sono certa di rappresentare un pensiero decisamente contro corrente rispetto a tanta letteratura, ricerche e convegni centrati sul tema della diversity e, in particolare, sulla leadership al femminile. Tuttavia, malgrado mi renda conto che le donne in azienda debbano realizzare ancora molti passi per arrivare ad una corretta di Rosaria Montalbano valorizzazione del loro modo di essere, ritengo che abbiano raggiunto dei traguardi significativi, ad oggi. Tale considerazione nasce dal fatto che, lavorando al fianco di molte manager donne in aziende complesse, ho potuto verificare negli anni cambiamenti consistenti. I cambiamenti più significativi si possono sintetizzare in una maggiore consapevolezza del proprio “potere”, con il conseguente esercizio conscio del proprio valore; ciò sta comportando una maggiore fiducia nelle proprie capacità e potenzialità che le donne manager sfruttano a vantaggio della messa in campo, più autentica e spontanea, di uno stile manageriale integrativo che non esclude, ma include. Lo stile di leadership al femminile concepisce, in particolare, il cambiamento e la sfida continui (per i quali le donne sono fortemente allenate), tiene conto dell’impegno nel lavoro, ma anche delle necessità di conquistare energie al di fuori dell’Azienda, per essere più efficace nell’Azienda, che si immedesima nell’altro che è vissuto, in questo modo, come persona e dunque come entità e valore. La volontà forte e consolidata che emerge è quella di esserci in modo autentico, con il proprio stile, con il proprio modo di essere, valorizzando le emozioni, l’attenzione alle persone e le capacità relazionali, di cui le donne sono portatrici, ma soprattutto la volontà di costruire una propria identità, il che può far pensare alla costruzione di confini, certamente non rigidi ma permeabili, nella misura in cui le donne accettano di far proprie alcune modalità più tipicamente maschili, se funzionali all’Organizzazione, nello stesso tempo intendono far risaltare le 11 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 E’ proprio vero che le donne sono diverse dagli uomini? LeaderShe® di Simona Manzone e Sheyla Rega Dal punto di vista fisiologico il cervello femminile ha lo stesso numero di cellule cerebrali dei maschi, solo più fittamente ammassate in una scatola cranica più piccola. A differenza degli uomini le donne sono molto influenzate dai flussi ormonali: alcune parti del loro cervello cambiano assetto venticinque volte al mese. Questo comporta un modo diverso della donna di percepire la realtà ma anche il fatto di avere valori e desideri generalmente diversi dagli uomini. Le donne hanno mediamente più neuroni dedicati al linguaggio e all’ascolto (circa +11% rispetto ai maschi); l’ippocampo, principale centro di controllo delle emozioni e della formazione dei ricordi è più sviluppato, così come l’insieme dei circuiti dedicati al linguaggio e all’osservazione delle emozioni altrui. Questo comporta una maggior capacità delle donne di esprimere le loro emozioni e di collegarle ad eventi. Essendo naturalmente portate ad utilizzare più forme di comunicazione sono maggiormente attratte dai lavori che favoriscono la socializzazione. Il cervello femminile reagisce in modo diverso allo stress e all’aggressività. Non essendo influenzate dal testosterone, le donne cercano di evitare gli attriti; la discordia le mette in conflitto con il loro bisogno di armonia, di ricevere l’approvazione e le cure dagli altri. I conflitti e le tensioni provocano nel cervello femminile una reazione di allarme molto più intensa che in quello maschile. Quando un uomo entra in una situazione di conflitto questo provoca in lui un afflusso ormonale che generalmente lo spinge all’azione fino ad arrivare a reazioni fisiche immediate. Per questo motivo gli uomini apprezzano la lotta e la competizione e a volte ne traggono stimoli positivi. Nella donna i dissidi mettono in moto una valanga di reazioni chimiche provocando sensazione di turbamento, ansia, paura, perdita di autostima. Il circuito della difesa femminile è più strettamente connesso alle funzioni verbali ed emozionali. E’ più lento rispetto a quello degli uomini; questo è dovuto al fatto che le emozioni vengono analizzate e riesaminate… ma una volta che i veloci circuiti verbali si mettono in moto possono arrivare a dar libero sfogo ad una valanga di frasi rabbiose! In che modo le aziende tengono conto delle differenze di genere? Lavorando al servizio delle aziende ci siamo accorte che le donne hanno tendenzialmente approcci diversi dagli uomini dovuti al diverso funzionamento del cervello femminile rispetto a quello maschile. Ma le organizzazioni sono per la maggior parte improntate su modelli comportamentali e sociali maschili. Questo comporta il fatto che di norma si tenda a sottovalutare i talenti delle donne e a dare maggior evidenza alle loro criticità in quanto risaltano maggiormente in un contesto “classico” di comportamento organizzativo. Citiamo di seguito alcuni comportamenti caratteristici della diversità uomo-donna nei rapporti di lavoro. • Rispetto al modello comportamentale maschile le donne sono più emotive, danno più peso a quello che gli altri pensano di loro • Hanno un difficile rapporto tra aggressività e remissività • Fanno maggior fatica a “chiedere”, a negoziare e soprattutto a dire di no alle richieste degli altri • Hanno un’autostima più fragile ed “altalenante” • Sono confrontate a delle scelte difficili (o rinunce?) tra vita privata e carriera che possono impattare la loro autostima • Hanno maggior difficoltà a gestire i conflitti • Ma sono anche maggiormente orientate al “compito”, all’esecuzione Questi elementi potrebbero essere all’origine delle difficoltà che le donne riscontrano nel far carriera oltre il cosiddetto “soffitto di vetro”: quel limite intangibile del loro percorso professionale oltre il quale fanno fatica ad andare. I dati parlano chiaro: in Italia la presenza femminile nei Consigli di Amministrazione di grandi aziende è pari al 5,5 %, mentre è del 17% in Svezia, 14% in Gran Bretagna; 7% in Francia, 6% in Spagna, 14 % negli Stati Uniti. CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 12 Qual è il nostro approccio al tema delle differenze di genere? La nostra idea è che non sia più possibile un approccio indistinto al tema della leadership. Al contrario: è arrivato il momento di lavorare sulle “differenze” tra donna e uomo. Occorre cioè prendere atto dell’esistenza di una oggettiva “diversità”, caratterizzata da un diverso corredo di partenza, una difformità di obiettivi, una maggiore dialettica da parte della donna tra il proprio ruolo privato e quello pubblico e lavorativo. In generale nella donna c’è molto talento inespresso ed una latente sfiducia nelle proprie capacità. Il nostro obiettivo è quello di offrire alle donne la possibilità di acquisire una migliore conoscenza e consapevolezza di sé, del proprio potenziale e delle proprie specificità di genere per aiutarle a valorizzare le risorse che portano in sé, affiancandole nel costruire percorsi personali e professionali di successo. Abbiamo quindi ideato percorsi di coaching per valorizzare queste differenze al fine di affinare, sviluppare e a volte scoprire i propri talenti, smussando le criticità e nel contempo rafforzando l’autostima e la fiducia in sé stesse. 13 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 Il recente studio “Women matter” di Mc Kinsey ha inoltre dimostrato che i comitati esecutivi con una maggior presenza di donne sono quelli che portano risultati di business superiori: maggior redditività e andamento di borsa di successo. Siamo profondamente convinte che lo stile di leadership vincente per le aziende che desiderano gestire con successo la complessità del mercato globale sia quello del “doppio-misto”. Per questo motivo proponiamo alle organizzazioni una nuova modalità per valorizzare il loro capitale umano “femminile” sviluppando una cultura capace di accogliere ed integrare le differenze. Simona Manzone e Sheyla Rega *LeaderShe nasce nel 2007 dall’intuizione di alcune consulenti con una ventennale esperienza nel settore della consulenza e della formazione manageriale, per rispondere al bisogno delle donne di ricevere un’offerta formativa attenta alle differenze di genere per lo sviluppo delle loro competenze di management e di leadership. Chi, io? Fare coaching in lingua? Mai! di Valerie Ryder Quante volte negli ultimi otto anni ho sentito stimati colleghi – coach esperti – dirmi, “Non è pensabile che riesca a fare coaching in una lingua straniera, non la parlo abbastanza bene!” Ogni volta rimanevo ammutolita. Come può un valido professionista, che parla inglese meglio del mio italiano, dirmi che non lo parla sufficientemente bene? Come executive coach madrelingua inglese che vive e lavora in Italia dal 2003, tengo sessioni di coaching in italiano (e in francese) con una padronanza non certo perfetta delle due lingue. In base alla mia esperienza, ritengo che tutte queste incertezze sul fare coaching in lingua siano per lo più il risultato della paura, malamente nascosta sotto forma di dubbi razionalmente spiegati, di non essere abbastanza competenti. Voglio cogliere questa occasione per dimostrare che, coloro di voi che condividono dubbi simili potrebbero, in realtà, essere dei coach efficaci anche in lingua straniera. Quali sono appunto gli ostacoli che ci auto-imponiamo e che ci bloccano? Come possiamo superarli? Cominciamo da alcune delle giustificazioni. “Il mio inglese (spagnolo, francese...) parlato è inadeguato”. Eccovi alcuni spunti di riflessione per mettere le cose nella giusta prospettiva. Come coach abbiamo appreso che la conversazione di coaching ottimale è quella in cui il coachee parla per i ¾ del tempo lasciando al coach il restante 25%. Ora, la scienza della comunicazione ci insegna che il 55% del messaggio ricevuto è trasmesso grazie ai movimenti del corpo, soprattutto le espressioni facciali; il 38% dagli aspetti vocali, in particolare il volume, il tono e il ritmo della voce; ed un mero 7% dall’aspetto verbale. Facciamo i conti: meno del 2% (25% x 7% = 1,75%) della conversazione è riposta nelle vostre parole. Risulta quindi ovvio che, per una così minuscola percentuale della comunicazione di coaching, la capacità di esprimersi ad un livello verbale di base è sufficiente, lasciando che gli aspetti vocali e la comunicazione non verbale facciano il resto – ascoltare attivamente, dimostrare empatia e comprensione, avere una postura attenta, adottare espressioni facciali adeguate, etc. Chiedetevi in modo oggettivo : Ho una conoscenza di base della lingua parlata? Attenzione, ciò non significa trovare la parola o la frase perfetta, ma essere in grado di farsi capire attraverso sinonimi, metafore, una parola straniera o qualche altro stratagemma. Se la risposta è si, allora il tuo inglese (o altra lingua) parlato è adeguato. “Non riuscirò a comprendere le sfumature verbali utilizzate dal coachee” I coachee usano sempre sfumature, ed a volte non siamo in grado di comprenderle nemmeno quando condividiamo la stessa lingua madre. Per essere sicuri di aver compreso correttamente la questione, formuliamo semplicemente ulteriori domande. E’ esattamente la stessa cosa quando si sta lavorando con un coachee in un’altra lingua. Non capisci una parola, una frase, un concetto? Chiedigli di ripeterlo. Ancora non chiaro? Chiedi un esempio o di descrivere la situazione in un altro modo. Ciò dimostra il tuo impegno a voler comprendere ed aiutare il coachee, indipendentemente dalla lingua utilizzata. “Non sarò in grado di capire la realtà del coachee perché appartiene ad una diversa cultura” Quante volte hai fatto coaching ad una persona considerevolmente diversa da te? Qualcuno proveniente da un ambiente lavorativo, socio-economico o familiare significativamente diverso? Un coachee con uno stile di vita, un percorso educativo, un approccio alla vita diverso dal tuo? Succede spesso e molto probabilmente non ti ha impedito di essere un bravo coach per quella persona. Una diversa cultura nazionale è semplicemente un altro tipo di diversità da affrontare allo stesso modo – facendo affidamento alle tue comprovate competenze come coach. “Non ci sarà compatibilità coach-coachee” Questa obiezione è assolutamente vera e si applica a tutti i potenziali coachee. Solo perché condividi la stessa lingua madre non significa che sei il coach giusto – potrebbe non esserci compatibilità. Succede. Diversamente, potresti avere un’ottima alchimia con uno straniero. Perché lasciare che un dettaglio come la lingua diventi un ostacolo? Perché non considerare invece la tua esperienza, conoscenza, competenza, personalità, volontà e capacità di aiutare la persona a raggiungere i propri obiettivi? Sei pronto a relegare tutto questo in un angolo solo perché può accadere CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 14 di non trovare la parola perfetta o non comprendere appieno un’eventuale espressione idiomatica che il coachee potrebbe – forse – impiegare? Ora che queste giustificazioni (normalmente superficiali) sono state respinte da argomenti razionali, cosa resta? C’è qualcosa in te che dice, Sì, tutto questo ha un senso, ma ancora non sono convinto di poter fare coaching in una lingua straniera? Eccoci, diciamoci apertamente la verità. “Sarò percepito come incompetente” Variazioni sul tema sono: “Rovinerò la mia reputazione, perché rischiare?” oppure, “Dovrò dire addio alla possibilità di lavorare in futuro con il cliente”. Questi pensieri costituiscono spesso il nocciolo del problema, e sono una combinazione di convinzioni autolimitanti, ristretta fiducia nelle proprie capacità, e paura di essere inadeguati e delle conseguenze che ne derivano. Suona familiare? Dovrebbe. La paura è molto spesso alle radici delle problematiche che aiutiamo i nostri coachee ad affrontare e, dal momento che anche noi siamo umani, è solo naturale che sia anche alle radici delle nostre. Quindi, come vincere questa paura? Eccovi solo alcune possibilità: • Immagina i benefici : Più elevata soddisfazione personale e professionale. Un mercato più ampio, nuovi clienti, nuove persone su cui puoi avere un impatto positivo. Nuove esperienze e conoscenze relativamente a culture diverse. Maggior fiducia e convinzione nelle proprie capacità. • Comincia con la politica dei piccoli passi, uno alla volta. Minimizza il rischio, le variabili impreviste, facendo coaching ad un amico o collega straniero per far pratica, pro bono oppure no. • Procurati nel processo l’aiuto e il supporto di qualcuno in cui hai fiducia. • Rendilo parte del tuo piano di sviluppo personale. • Considera il modo in cui hai superato altre sfide professionali ed applica simili riflessioni, processi e metodi. Come straniera in Italia mi considero fortunata: sono stata in un certo modo buttata nell’arena e, per poter raggiungere i miei obiettivi professionali, obbligata ad affrontare i miei timori e i miei dubbi sul fare coaching in una lingua diversa dall’inglese. La maggior parte dei coach hanno tuttavia una possibilità di scelta. Se sei tra questi ti incoraggio a scegliere di confrontarti con queste paure e convinzioni autolimitanti. Accetta la sfida di metterti alla prova. Con tutta probabilità ti sorprenderai di essere sì, in effetti, capace di fare coaching in una lingua diversa dalla tua. Valerie Ryder* 15 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 10 azioni perfette per leader multiculturali di Marina Fabiano Insieme alla globalizzazione che avanza a grandi passi, procede la necessità di essere leader e coach efficaci in ambienti multiculturali. Ottenere ottimi risultati in realtà internazionali significa prendersi il tempo per apprendere e coltivare relazioni interculturali riconoscendone le complessità. snobbando la conoscenza personale del venditore e della sua famiglia. Ci sono voluti altri due anni per riprendere la trattativa. 4. Non aver timore di chiedere, non avere fretta, sii certo del linguaggio adeguato prima di parlare. In sintesi: allineati prima di agire. 5. Sviluppa obiettività verso la tua Una decina di suggerimenti dedicati cultura. Ci vuole umiltà per guardare la possono fare la differenza tra essere propria cultura nei confronti degli altri e parte di un team multiculturale e non pensare di essere sempre nel giusto. relazionarsi con successo in un gruppo 6. Riconosci le caratteristiche interculturale. comportamentali vincenti. Ad esempio, 1. Identifica il tuo mentor boss/coach se si cerca un orientamento praticoad alto livello gerarchico. Nelle aziende operativo, molto probabilmente un e nelle associazioni globali, è importante Americano avrà le competenze adeguate. avere un riferimento internazionale ai Nel caso siano indispensabili sottili piani alti. tecniche di comunicazione, forse un 2. Mostra interesse per i collaboratori Brasiliano sarà il più adatto. Comunque, ad ogni livello; ciò è particolarmente è utile sapere bene cosa muove le importante per manager o coach che persone nelle diverse culture, il che lavorano all’estero. La comunicazione è estremamente variabile da Paese a individuale verso ambienti diversi Nazione, da elementi motivatori tangibili contribuisce alla creazione di fiducia e come il denaro, ad altri che includono alla conoscenza reciproca. Ad esempio, status symbol, alla relazione con un boss Americano in visita trimestrale l’autorità. in Cina, si è impegnato a trascorrere 7. Identifica gli elementi nazionali ad un paio d’ore ogni volta con gruppi impatto negativo. Specialmente quando diversi di collaboratori, entrando così parli in una lingua straniera, le finezze in contatto con quasi tutti gli impiegati, del linguaggio, i termini diplomatici, dando occasione di fare domande e l’accuratezza, qualcosa può andar perso soprattutto offrendo risposte sincere, nella traduzione. Alcuni idiomi possono non preconfezionate e in forma verbale suonare duri o aggressivi per via della (evitando così quelle pompose aride loro struttura fonetica, anche se chi e-mail urbi et orbi, piene di belle parole parla non ha certo questa intenzione. Ad ma povere di emozioni). esempio, un Cinese che parla in Inglese 3. Impara ad adattarti. Non è può apparire troppo diretto a causa del necessario cambiare il proprio modo vocabolario ristretto e della limitatezza di essere, ma è indispensabile sapersi nella comunicazione non verbale. adattare alle normative culturali, dal 8. Costruisci una cultura che linguaggio agli argomenti ai protocolli vada oltre le nazionalità. I veri leader comportamentali. Ad esempio, una incoraggiano la diversità e cercano fusione organizzativa in Argentina rappresentanti di varie geografie. fu sospesa quando un manager entrò Esistono aziende in grado di mettere troppo rapidamente nella negoziazione, insieme competenze forti, flessibili e senza pregiudizi culturali, abili nella collaborazione e nella considerazione multiculturale, eppure capaci di rispettare le abitudini comportamentali locali. 9. Impara dai successi e dai fallimenti. Cosa funziona e cosa no? I bravi manager, gli ottimi coach, sanno trasferire alle generazioni successive lezioni impagabili a proposito di intercultura. 10. Crea relazioni locali. E’ facile per chi si trasferisce in una nazione cadere nell’abitudine di passare la maggior parte del tempo con persone di cultura simile. E’ invece molto più costruttivo, anche se più impegnativo, senza dubbio più arricchente, coltivare relazioni locali per conoscere in modo approfondito la cultura che ci sta ospitando. Marina Fabiano* CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 16 Coaching e Politica Intervista ad Antonella Villa Come si affiancano queste due modalità relazionali? In cosa si assomigliano (oppure differiscono)? Penso che coaching e politica siano simili per il fatto che sono entrambi rapporti che muovono l’altro all’azione. Ma sono anche profondamente diversi: mentre l’elettore agisce perché vede nell’uomo politico (o nella sua idea) il proprio leader, il coachee agisce perché riconosce in sé il motore delle proprie azioni. Questo accade perché molto diversi sono gli obiettivi: mentre il coaching mira allo sviluppo dell’altro, nella relazione politica l’altro viene persuaso. Nessuna modalità persuasoria deve essere utilizzata dal coach, sul contenuto politico in particolare. Come ti sei trovata ad operare in questo ambiente? La politica è da sempre una passione. Fin da quando ero molto giovane e ho avuto esperienze di forte impegno ideologico nella società civile. Ben presto questa passione è diventata anche oggetto di studio: ho affrontato in modo sistematico il tema politico, con letture che mi hanno permesso di indagare e separare il piano ideologico-valoriale dal piano pragmatico-valoriale (distinzione che si è rivelata particolarmente preziosa nel coaching politico). A un certo punto del mio percorso professionale si è concretizzata la possibilità di portare questo tipo di riflessione nell’attività lavorativa, quando mi sono occupata della costruzione dell’identità di una associazione giovanile nel modo del sindacato d’impresa. È stata un’esperienza energizzante e di successo, e da lì è iniziato il passa-parola. Oggi molti dei miei coachee sono uomini politici. Ti confesso però che ho ancora un sogno: essere il coach di un politico donna. Quali sono le competenze particolari che un coach deve mostrare per essere credibile in questo ambiente? Nella mia esperienza è fondamentale l’etica personale, che garantisce un’assoluta riservatezza, nel coaching politico ancora più indispensabile perché il coachee si affidi. Le competenze ICF ci sono tutte, ma credo sia centrale l’essere presenti a se stessi: lavorare con personaggi pubblici e di potere implica avere ben chiaro il confine tra me 17 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 e l’altro, chi sono io e chi è l’altro. Come sempre, ciò che i nostri coachee ci propongono durante le sessioni di lavoro può avere a che fare con noi come persone, con la nostra storia, con i vostri valori e con la nostra visione del mondo. Nel coaching politico più che altrove, è la capacità del coach di conoscere la propria estrazione o preferenza politica (ed il peso che ha sui temi affrontati) che fa la differenza, allontana dal rischio persuasione, consente di dialogare con l’altro per aprire nuove e diverse prospettive a chi tende a ragionare solo all’interno delle proprie cornici o premesse. Da questo punto di vista, fondamentale nella mia formazione è stato il Metodo Feuerstein: ha strutturato la consapevolezza dei processi di pensiero (miei e, per differenza, dell’altro) e ha messo in primo piano la reciprocità della relazione nel rapporto di coaching. Chi è un personaggio politico? In che cosa è simile e/o diverso da un manager d’azienda? La mia risposta può essere sintetizzata in una parola: potere. Entrambi lo conoscono, entrambi lo esercitano, entrambi ne sono sedotti. Ma le modalità con cui tutto ciò avviene è profondamente diverso: l’uomo politico considera il potere un attributo della propria persona, mentre per il manager è legato al ruolo che ricopre in azienda. L’uomo politico è un uomo di potere. Il manager è anche un uomo di potere. In entrambi i casi il coach deve avere la capacità di gestire i rapporti di potere. C’è stato un caso in cui ritieni di non essere riuscita ad avviare il cambiamento richiesto dall’individuo? Mi è capitato diversi anni fa di incontrare un giovane politico molto brillante e molto ambizioso. L’obiettivo dichiarato del percorso di coaching era quello di aiutarlo a sviluppare la capacità di costruire alleanze durature per sé e per il proprio gruppo. Durante il percorso il giovane si è rivelato sostanzialmente privo di scrupoli: i suoi modelli di riferimento e i suoi valori erano perciò l’ostacolo fondamentale alla realizzazione del suo progetto, dato che non è possibile cucire alleanze durature se non si costruiscono relazioni di reciproco affidamento! Ho interrotto il percorso perché andare oltre avrebbe significato per me una violazione etica. Quale situazione ti ha invece dato maggiori soddisfazioni? La soddisfazione è quella di poter osservare che, a distanza di anni, alcuni dei miei coachee sono cresciuti moltissimo: mi chiamano perché riconoscono che “pensare insieme” è per loro una grande risorsa. Non cercano soluzioni, consigli o pareri: hanno il desiderio di scambiare opinioni, punti di vista, diversità di sguardi. Mi dicono che faccio indossare loro ‘occhiali’ diversi! Se qualche coach fosse interessato a questo settore, cosa gli/le suggeriresti? Sono un coach: non ho suggerimenti ma domande! Chiederei: che cosa ti spinge alla politica? Che ruolo ha la passione personale in tutto questo? Cosa pensi del potere e delle relazioni di potere? Quanto sei consapevole del tuo potere e delle tue capacità di gestione? Trova le risposte e vieni a trovarmi! Per ora buona ricerca. Intervista a Antonella Villa* a cura di Marina Fabiano CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 18 Una Situazione Appiccicosa rappresenta un momento in cui non sai bene come proseguire il dialogo con il coachee, addirittura cominci a pensare di essere inadeguato nel tuo ruolo di coach (e di managercoach). Cambiare argomento? Insistere? Dichiarare “non so più che dire…”? Ad ogni edizione, CoachMag propone una situazione appiccicosa e chiede ad alcuni coach esperti di esprimere il proprio parere. Vuoi essere uno di loro? Proponiti a [email protected] Il coachee ostile Il coachee ha accettato volentieri un percorso di coaching proposto dall’azienda con l’obiettivo di rendersi maggiormente consapevole delle sue qualità di leader ma anche delle sue “aree deboli”, come l’avarizia nella delega e nella comunicazione con i suoi collaboratori, la scarsa propensione al feedback e l’attitudine a fare troppo da solo. Lui stesso ha riconosciuto queste caratteristiche di fronte al suo capo, per poi metterle in discussione con il coach. Al terzo incontro, l’aria si riempie di elettricità: il coachee manifesta aperta ostilità verso l’azienda che proprio il giorno prima gli ha negato la promozione tanto attesa (“per quest’anno non se ne parla, Carlo; vedremo l’anno prossimo, dopo che avrai completato questo coaching che senza dubbio ti aiuterà a colmare le lacune che sappiamo…”). E così mezza sessione passa tra recriminazioni e male parole verso l’azienda. Il lato preoccupante è che questa palese ostilità sembra rivolgersi anche verso il coach: “cosa pensano che succeda da qui a un anno? Per caso ritengano che tu sia il mago che farà di me il leader eccezionale che loro hanno in testa?” Come uscire da questa situazione appiccicosa? Come proseguire il dialogo di coaching? Il punto di vista di Alessandro Testa Io inizierei a cambiare il focus della domanda pur restando connesso al suo discorso e usando le sue parole e gli chiederei semplicemente “TU cosa vorresti che succedesse da qui ad un anno?”. A questo punto potrebbero aprirsi due scenari: i il coachee accetta l’ingaggio e sposta l’attenzione su di se invece che sull’azienda, oppure continua nella resistenza rispondendo ad esempio “non conta ciò che voglio io tanto sono sempre loro a fare il bello o il cattivo tempo, e questo del coaching è solo una stupida scusa…”. Nel primo scenario è possibile riprendere i focus già definiti e continuare a lavorare su quelli con un focus of control interno e l’obiettivo duplice di dimostrare all’azienda di essere all’altezza e a se stesso di riuscire in ciò in cui si crede. In questo caso si aggiunge anche un elemento temporale: l’azienda dice l’anno prossimo e occorre capire con il coachee se si sente a suo agio con queste tempistiche. Potrebbe essere un aggancio per rinforzare la sfida e giungere ad aver portato a termine il piano d’azione in anticipo. Nel secondo scenario vale la pena di iniziare una nuova fase di esplorazione poiché potrebbero emergere nuovi focus del coachee legati al calo di motivazione e alla delusione avuta (esempio estremo il desiderio di cambiare posto di lavoro). Non si può cioè sottovalutare l’impatto che la decisione aziendale ha sull’atteggiamento del coachee, eventualmente analizzando i nessi di causa effetto e restituendoli al coachee stesso. E’ importante ribadire che il coach è in toto dalla sua parte e che ciò che conta è che lui creda negli obiettivi che si pone e sia motivato a raggiungerli. Fare un passo indietro in questa fase offrendo comprensione e appoggio e ribadendo il nostro ruolo può invertire l’energia negativa del coachee in positiva verso ciò che lui vuole veramente. In entrambi i casi però a mio avviso è importante rendere concreti e misurabili gli obiettivi definiti con l’azienda come oggetto del coaching. Ciò avrebbe almeno due vantaggi: aiutare il coachee a vedere i miglioramenti step by step con conseguente crescente motivazione e costringere l’azienda ad essere più precisa nella definizione dei comportamenti e a riconoscere il miglioramento quando questo si verificherà. 19 ––INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 Il punto di vista di Oliviero Brega Ci troviamo di fronte ad un caso che potrebbe essere così sintetizzato: in un processo di Coaching relativo a temi abbastanza tradizionali, avviene un evento (la mancata promozione del Coachee) che potrebbe rischiare di vanificare tutto il lavoro fin qui fatto e pregiudicare quello da fare. Cosa può fare il Coach per trasformare questo rischio in una OPPORTUNITA’? Il Coach può iniziare sottolineando due FATTI (e non parole) innegabili e molto positivi: 1. la promozione non è NEGATA ma solo RINVIATA (in alternativa avrebbero potuto dirgli che lo ritenevano inadeguato per la promozione), 2. l’azienda dimostra che CREDE nel potenziale del Coachee perché ha deciso di INVESTIRE su di lui dandogli la possibilità di avere a disposizione un Coach (in alternativa avrebbe potuto non iniziare oppure interrompere l’intervento del Coach). Le prime domande saranno quindi del tipo: Quali potrebbero essere secondo te le ragioni per le quali hanno preferito rinviare la promozione? Come avresti pensato e come avresti agito se fossi stato nei panni del tuo capo? Quali potrebbero essere state secondo il tuo capo le motivazioni per aspettare la fine dell’esperienza del Coaching e la verifica dei risultati in termini di miglioramento delle tue performance? Potrebbero esistere ipotesi di promozioni alternative per le quali è meglio aspettare i risultati di questa esperienza di Coaching? Questa situazione può costituire fin da ora, o ti da la possibilità di farla diventare, una opportunità a te più favorevole? Cosa puoi fare fin da ora per sfruttare, al meglio e a tuo favore, questa stimolante situazione? Come hai pensato di utilizzare al massimo le sessioni che ci restano per trovare in te le risorse, le energie, le idee, le modalità per raggiungere i tuoi obiettivi? Tenuto conto della nuova situazione come puoi sfruttare al meglio il tempo che hai per ridefinire i tuoi obiettivi e agire sul contesto lavorativo migliorandolo e facendolo diventare a te più favorevole? La maggiore disponibilità di tempo ti consente di definire piani più articolati? Cosa ne dici di lavorare insieme per ridefinire dei nuovi obiettivi e i relativi piani di azioni più articolati, più sfidanti, più ambiziosi? Quanto esposto tende ad ottenere un valutazione favorevole della situazione che si è venuta a creare successivamente al rinvio della promozione e a generare un atteggiamento meno critico, più positivo e costruttivo. L’obiettivo del Coach è quello di aiutare il Coachee a diventare consapevole che questa è una OPPORTUNITÀ che l’azienda gli ha messo a disposizione, che va colta, e pertanto bisogna studiare bene la situazione e prepararsi per ottenere il massimo dal tempo a disposizione. Raggiunti questi risultati l’esperienza di Coaching può rientrare nei binari precedenti che erano quelli di lavorare sulle “aree deboli” come: “l’avarizia nella delega e nella comunicazione con i suoi collaboratori, la scarsa propensione al feedback e l’attitudine a fare troppo da solo. Lui stesso ha riconosciuto queste caratteristiche di fronte al suo capo, per poi metterle in discussione con il coach” con il grande vantaggio di avere maggiori e rinnovate motivazioni a massimizzare quanto il Coachee può ottenere dalle successive sessioni di Coaching. Il punto di vista di Alessandro Lo Russo Questo tipo di situazione capita sicuramente, prima o poi, lavorando in azienda con dei manager. Uno dei maggiori benefici del corporate coaching è quello di acquisire la capacità di leggere accuratamente il contesto della propria azienda. Non è tanto importante rilevare il fatto di non aver avuto la promozione sperata, ma il capire, innanzitutto, esattamente perché non sia arrivata. Il sovraccarico emozionale della delusione provata ed il conseguente più o meno pronunciato sequestro emotivo, rende spesso il coachee meno efficace nell’individuazione dei reali motivi che hanno portato ad un esito di mancata promozione. Questi ultimi, infatti, possono essere sia relativi alla performance inferiore alle attese (il che può anche derivare da fattori esogeni quale un mercato in fase negativa), sia alla mancanza di competenze manageriali soft (People skills) necessarie per la posizione superiore, sia al contesto organizzativo interno specifico del momento (budget del numero di promozioni per l’anno in corso), sia a logiche affiliative di cordata estranee alla qualità della prestazione fornita dal coachee e, last but not least, a problemi relazionali con i propri superiori diretti. CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 20 Un bravo coach, esperto di dinamiche organizzative complesse, aiuterà il coachee a far “decantare” rapidamente le emozioni negative forti e ad individuare quali sono le vere cause sottostanti alla mancata promozione, attraverso un’accurata lettura del contesto e delle azioni sintoniche o distoniche operate dal manager in esso. In una seconda fase si lavorerà sulle capacità di elaborare strategie operative, relazionali e constructive politics del coachee che lo facciano avanzare efficacemente verso l’obiettivo gerarchico realisticamente individuato, attraverso azioni allineate al contesto operativo ed ecologiche rispetto alla cultura organizzativa aziendale. In questa fase interventi di fasatura con il proprio superiore diretto e/o di feedback a 360°, possono rivelarsi preziosi per individuare i reali temi su cui allenarsi. Talvolta, infine, in fase di revisione dei driver motivazionali del manager, si potrà anche prendere in esame, come metro di paragone, un’eventuale exit strategy ottimale, nell’interesse di Coachee ed Azienda, in caso di un disallineamento valoriale insanabile. Il punto di vista di Susanna Dal Zotto Durante un percorso di coaching possono capitare momenti down nel bioritmo fisiologico che lo contraddistingue - e che varia a da persona a persona - ed alcuni passi fatti “in prevenzione” ci possono essere di concreto aiuto nel momento del bisogno. Ecco perché curo in maniera particolare il primo momento di incontro col coachee. Sono solita chiedergli cosa gli è stato raccontato del percorso e cosa sa del coaching in generale. Questo mi permette di dargli, eventualmente, informazioni utili per capire il senso del percorso e cosa andremo a fare insieme, allontanando percezioni o “sentito dire” che possono influire sulle sue aspettative e comportamenti. È importante che sappia che il mio non è un ruolo consulenziale, ma di facilitazione verso degli orientamenti da lui decisi. Di conseguenza, la sua motivazione, il suo impegno e la sua disponibilità a lavorare in maniera concreta sono fondamentali. Sottolineo anche che il lavoro si basa sul “qui ed ora”: ovvero, qual è la situazione di partenza, dove vogliamo arrivare e poi che piano d’azione decidere. Definisco infine i miei rapporti con il committente. Questo rende chiaro che, sebbene l’incarico me lo abbia dato l’azienda per cui il mio coachee lavora, sarà comunque lui il mio focus. Se capita quindi, durante una seduta, che il mio coachee esprima ostilità e rabbia, gli lascio il tempo opportuno per sfogare il malessere, senza interromperlo. Ritengo che non sia tempo perso (anche se la seduta ha una durata limitata) ma piuttosto tempo investito, perché ottengo due importanti risultati. Il primo, di ordine fisiologico. Ovvero, sfogandosi, abbassa il livello di rabbia. Se lo si interrompe mentre ha l’esigenza di buttare fuori, anche nel tentativo di consolarlo o peggio consigliarlo, otteniamo il solo risultato di esacerbare il livello di ira. E allora sarà sordo alle nostre parole e infastidito dal non potersi esprimere. Il secondo risultato è relativo alla funzione primaria dell’ascolto attivo, che è quella di reperire importanti informazioni che mi permettano di capire il suo stato d’animo e la situazione. Potrei così scoprire che la sua rabbia è più che lecita, oppure che il pit stop proposto dall’azienda forse è motivato, e per quanto faccia male, rappresenti non il punto di arrivo, bensì un punto di partenza. Posso poi ricordagli i contenuti emersi durante il nostro primo incontro e il fatto che abbiamo condiviso che il percorso di coaching è costruito intorno a lui. Ovvero, intorno agli obiettivi che lui si è dato, che riguardano l’agire sulle sue “aree deboli”. Gli chiedo se è ancora dell’idea che lavorare su quegli obiettivi possa aiutarlo nel percorso professionale. Una volta condiviso che, a prescindere dalla (momentanea) promozione negata, il far emergere nuovi punti di forza gli può dare più chance, gli chiedo cosa vuole fare. Se sono stata in grado di trasmettergli il concetto del “qui ed ora”, il tempo dedicato ad ulteriori lamentele sarà assai più circoscritto, perché il coachee capirà che è molto meglio utilizzarlo per crescere come professionista, piuttosto che sì come momento catartico, ma decisamente fine a se stesso. Nelle ulteriori sedute, se viene di nuovo fuori la frustrazione, la accoglierò. Ma le dedicherò un tempo sempre più limitato a favore di comportamenti più proattivi. Mi può anche capitare di rendere il percorso maggiormente personalizzato. Se l’azienda ha deciso un numero definito di sedute a cadenza prestabilita, posso decidere di dargli la mia personale disponibilità ad un ulteriore incontro più ravvicinato. Magari per rifare il punto a mente un po’ più fredda e riordinare meglio le priorità. Ciò permette al coachee di capire appieno che il suo coach ha colto il suo malessere ed è lì per lui. E per il principio della reciprocità tenderà a proporre anche lui un comportamento positivo. 21 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 www.ricchezzeumane.it Il “Cultural Orientations Framework” come supporto di percorsi individuali di Nathalie De Broux Un progetto per dirigenti internazionali esperti, in collaborazione con MaieuticaRete e SDA-Bocconi. Il contesto e la sfida: La caratteristica particolare di questo MBA risiede nel suo aspetto realmente internazionale, sia per l’origine degli studenti, sia per la struttura dei corsi che si svolgono su vari continenti. In precedenza, non era stato previsto niente per sfruttare questa ricchezza né il vissuto multiculturale degli studenti. Tra l’altro, la sfida consisteva nel proporre un percorso che fosse breve ma anche molto efficace. L’approccio e lo strumento, un questionario culturale online – rispondevano perfettamente a queste necessità. Il concetto di cultura viene inteso nel suo significato più ampio, ossia l’insieme delle caratteristiche che distinguono un gruppo di persone da un altro: non soltanto la nazionalità e la regione di origine, ma anche il livello di educazione, la formazione, il mestiere, il livello gerarchico, la società in cui lavora, ecc. Un supporto unico nel suo genere Il COF (Cultural Orientations Framework) è un questionario online che indaga sia sui nostri orientamenti culturali: « cosa preferisco in maniera spontanea », sia sulle nostre capacità di adattamento culturale: “cosa mi sento capace di fare”. Detto questionario è relativamente facile da completare e costituisce un’eccellente base di riflessione e di dialogo tra il coach ed il suo coachee . Non si tratta di un test psicometrico, in quanto lo strumento non fornisce alcuna interpretazione delle risposte o del profilo ottenuto. Da un lato, il Cultural Orientations Framework permette al coachee di riflettere sulla sua posizione personale spontanea nei confronti di ognuna delle dimensioni presentate, e dall’altra di porsi domande sulle proprie capacità di adattarsi ad ognuna di esse: cosa che riflette il suo comportamento reale in situazione reali. Non vi è alcun giudizio di valore, perché ogni aspetto di una dimensione è positivo di per sé. 23 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 Il COF elenca gli elementi di cui è formata una cultura attraverso 18 dimensioni raggruppate per affinità in 7 categorie. Ognuno si posiziona in funzione della propria conoscenza di se stesso in un dato momento temporale. Ed ecco apparire un’altra ricchezza dello strumento: il profilo del coachee può evolvere nel corso della discussione. All’interno delle categorie proposte, e per ogni dimensione, il coachee si posiziona su una scala in relazione ai suoi atteggiamenti: “cosa preferisco in maniera spontanea”, e, in relazione alla sua capacità di messa in opera di ogni elemento costituente della dimensione: “cosa mi sento capace di fare”. Esempio di una dimensione nella categoria Dinamiche organizzative : Universalista / Particolarista. a) Orientamento: “cosa preferisco in maniera spontanea?” Universalismo: “Tutti i casi dovrebbero essere trattati in modo identico. Dovremmo adottare processi comuni per ottenere coerenza ed economie di scala.” Particolarismo: “Dobbiamo tener conto delle circostanze particolari. Dovremmo favorire il decentramento e le soluzioni su misura.” b) Atteggiamento:“cosa mi sento capace di fare?” o la capacità di messa in opera per ogni aspetto di una stessa dimensione Atteggiamento Atteggiamento Gli incontri successivi, di durata più classica, vengono svolti per raggiungere gli obbiettivi che ognuno si è prefissato nel quadro della propria situazione professionale, proprio alla luce del feedback culturale. I benefici di un coaching basato sul COF Quale è il beneficio di questo percorso ? Nel contesto di un master che mira esplicitamente a mettere i suoi clienti nelle migliori condizioni per sfruttare la globalisation, il coaching interculturale permette di: • Prendere coscienza delle proprie preferenze • Riconoscere e/o scoprire l’esistenza e soprattutto i vantaggi di preferenze diverse • Fornire una visione ed un lessico comune per parlare dei modi di essere o di agire • Cogliere senza giudizio ed in maniera positiva le differenze, evitando in tale modo i malintesi ed i conflitti • Imparare a sfruttare queste differenze in maniera creativa e sorprendentemente potente in situazioni concrete, professionali o non. Universalismo: “Sono capace di lavorare in organizzazioni dove tutti i casi sono trattati in modo identico; dove adottano processi comuni per ottenere coerenza ed economia di scala.” Particolarismo: “Sono capace di lavorare in organizzazioni che tengono conto delle circostanze particolari, favoriscono il decentramento e le soluzioni su misura.” Il risultato immediato è una visualizzazione delle vostre stesse risposte. Non viene accompagnato da alcun rapporto, commenti o suggerimenti che spieghino come siete e quello che dovreste fare. Tuttavia, può risultare sconcertante prenderne coscienza in questa maniera. Tutta la ricchezza di questo questionario risiede nel vasto supporto di discussione che il profilo così stabilito offre al coach ed al coachee, così come il fatto che ci permette di riflettere sulle evoluzioni che man mano si manifestano. Per mezzo delle sue domande, dei suoi feedback e della sua intuizione, come in ogni percorso di coaching, il coach aiuterà il coachee a progredire grazie a prese di coscienza e a responsabilizzazione accresciuta. Per via della discussione, il coachee prenderà maggiore consapevolezza dei propri atteggiamenti, dei suoi comportamenti/capacità e delle loro conseguenze. Perciò potrà adattarli alle diverse situazioni. L’apporto è stato tale che gli studenti di quest’anno hanno voluto utilizzare un’altra applicazione di questo strumento polivalente sfruttandolo per rendere i lavori di gruppo maggiormente efficace. Hanno capito tutto ! Ne parleremo in un articolo futuro. Nathalie De Broux* Per gli studenti del Master Il percorso proposto agli studenti consiste in una prima sessione di feedback sul questionario preventivamente compilato, che permette loro di «fare il giro» dell’insieme delle dimensioni in gioco, e di individuare quelle che, secondo loro, necessitano di un lavoro più approfondito. Questo primo incontro dura dalle 2 alle 3 ore. CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 24 “Audit Culturale” in una Partnership di 3 aziende: italiana, francese ed olandese di Agnès Perrone Contesto: Tre aziende hanno creato una partnership nell’ottica di sviluppare sinergie. Gli obiettivi da raggiungere in 3 anni sono molto ambiziosi e saranno decisivi per il prolungamento o l’interruzione della Partnership. In questo ambito sono stati creati una decina di gruppi di lavoro misti, coinvolgendo un centinaio di persone, per ottimizzare le procedure delle loro aree di competenza. Ognuna delle tre aziende aveva già sperimentato precedentemente dei tentativi di partnership con altri, non andati a buon fine, lasciando tracce d’insoddisfazione, amarezza e sfiducia nelle persone. La componente culturale aveva spesso avuto un’importanza imprevista. Forte di queste esperienze e partendo dal presupposto che “la difficoltà maggiore nell’interazione interculturale è prevalentemente un mancato riconoscimento delle differenze culturali rilevanti” (E. Stewart e M. Bennett, esperti interculturalisti), il Direttore della Partnership, francese basato a Roma, ci ha coinvolto chiedendo un “audit culturale” rivolto alle persone coinvolte nei gruppi di lavoro misti, a scopo di aumentare la loro efficacia. L’idea è di fare leva sull’aspetto culturale, finora trascurato. Obiettivi del cliente: • diventare consapevoli delle somiglianze e differenze culturali tra le aziende (non le persone) italiana, francese e olandese • evitare stereotipi e attitudini giudicanti • avere qualche suggerimento concreto su come interagire e lavorare meglio insieme …tutto ciò per essere più efficaci e ottenere risultati migliori Strumento usato: per raccogliere i “dati culturali” su cui lavorare, abbiamo sfruttato le potenzialità del COF (Cultural Orientation Framework) di Philippe Rosinski, esperto di coaching interculturale, detto in italiano: “Modello degli orientamenti culturali”. Questo strumento permette a ognuno di esplicitare in modo obiettivo e condiviso la propria tendenza a pensare, sentire o agire su 18 dimensioni divise nelle 7 categorie seguenti: • Senso di potere e di responsabilità • Gestione del tempo • Definizioni dell’identità e dello scopo 25 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 • • • • Preferenze organizzative Nozioni di territorio e di confini Modelli di comunicazione Modi di pensare Modalità d’intervento: 1. le 100 persone coinvolte nei gruppi di lavoro della Partnership hanno completato il COF on line (durata: 20-30 minuti) 2. 2 coach hanno realizzato 20 interviste individuali, per affinare gli aspetti specifici del progetto e avere illustrazioni concrete delle interazioni e modalità di lavoro in atto nei gruppi di lavoro prima dell’intervento. Ciò ha permesso di qualificare risultati statistici. 3. i coach hanno facilitato 3 “workshop interattivi” di mezza giornata, uno ad Amsterdam, uno a Parigi e uno a Roma, per presentare e discutere i risultati consolidati per azienda. Commenti sui risultati del grafico nella pagina seguente, interpretati grazie alle interviste: • L’Azienda 2 ha un lungo processo di elaborazione delle procedure, che include vari studi ed analisi dei dati, molto validi. Una volta deciso su questa base, diventa però molto difficile adattare la procedura ad eventuali cambi della realtà. • L’Azienda 3 tende ad essere “più rigida sull’applicazione delle procedure. È preparata ad adattarle abbastanza rapidamente ma non le piace particolarizzare.” • L’Azienda 1 ha bisogno di un lungo periodo di riflessione e definizione di procedure… che alla fine verranno comunque adattate ai casi personali.(“tutte le scorciatoie si possono fare”). L’azienda 1 richiede e si aspetta dalla partnership un contesto più strutturato con delle regole e procedure chiare. Reazioni delle persone: • Si riconoscono (se stessi e i propri partner) e ridono della precisione della loro “fotografia” che appare tra dati obiettivi e commenti chiarificatori. • Hanno in mano gli strumenti per analizzare con precisione e obiettività le dinamiche presenti nei loro gruppi di lavoro. Risultati dell’intervento: - Dei primi risultati sono stati ottenuti lavorando con il cliente sulla definizione e delimitazione del progetto: la richiesta iniziale era di spiegare agli expat francesi e olandesi che dovevano lavorare a Roma le “specificità italiane” per supportare la loro integrazione. Al nostro contatto hanno capito che questa richiesta era già basata su un pregiudizio culturale: come se gli Italiani che li avrebbero accolti non avessero bisogno di conoscere le “specificità” di chi arrivava da loro… Hanno cambiato approccio e fatto un lavoro molto più efficace rivolgendolo ai manager delle 3 aziende. - Le discussioni durante i workshop hanno portato delle consapevolezze forti e una comprensione migliore dei meccanismi in gioco nei gruppi di lavoro, nei meeting in generale e nelle relazioni gerarchiche delle 3 aziende. - Con lo stimolo dei coach, le persone diventano creative e costruttive, imparando a fare leva sulle proprie differenze per trovare un modo originale e adatto a loro per lavorare insieme. Per esempio, su questa dimensione, hanno trovato una bella soluzione, dicendo: “Facciamo studiare ed analizzare in profondità le situazioni all’azienda 2, facciamo pianificare le soluzioni all’azienda 3, e facciamo gestire le eccezioni e particolarità all’azienda 1”. Congiungendo e traendo vantaggio dei punti forti di ciascuno, la loro Partnership può diventare molto potente. Originalità e punti forti dell’approccio interculturale: • l’approccio interculturale viene spesso trascurato ed è una delle principali ragioni di fallimento di Fusioni e Partnership. Noi invece ne facciamo la chiave d’ingresso del lavoro tra entità e persone diverse. • la “cultura” qui in gioco non si limita al suo aspetto nazionale. È un concetto molto più ampio: può essere regionale, locale, ma soprattutto aziendale, di mestiere, di dipartimento, di ruolo,… e infine personale. Infatti lo stesso strumento usato a livello di un team è straordinariamente potente, facendo leva in modo creativo e costruttivo sulle differenze personali. • il COF di Philippe Rosinski permette a chi lo usa di: diventare consapevole dei propri “orientamenti culturali”, scoprire l’esistenza e i vantaggi di orientamenti diversi dai propri, e quindi superare pregiudizi su comportamenti mal interpretati (potenziali fonti di conflitti). - l’effetto leva di questo approccio interculturale moltiplica la ricchezza presente nel team/gruppo: riferendosi ad alternative diverse, diciamo A e B, trarre vantaggio dalle differenze significa raggiungere la sinergia adottando A e B (traendo pienamente vantaggio sia da A che da B), invece di dover scegliere tra A o B privandosi dei vantaggi dell’uno o dell’altro. E voi, quanto sfruttate la vostra potenza interculturale? Agnès Perrone* Esempio di risultati consolidati sulla categoria “processi organizzativi”, dimensione “universalismo / particolarismo” (vedi sotto la definizione di questi termini). Az. 1 Az. 2 Az. 3 Universalismo Universalismo “Tutti i casi devono essere trattati in modo identico. Dobbiamo adottare dei processi comuni per ottenere coerenza ed economia di scala.” Neutro Particolarismo Particolarismo “Dobbiamo tener conto delle circostanze particolari. Favorisco il decentramento e le soluzioni su misura” CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 26 Diversity and Inclusion: a personal experience di Claudia Crescenzi Intervento al convegno della Comunità Europea “Diversity and Inclusion” - Cipro I wish to give my personal contribution on the issue of diversity and inclusion. I would like to tell you about one of my experiences in a company where I’ve worked at as COACH within a process of multicultural integration. This European firm was to merge with another firm that was completely different as far as culture and daily procedures and habits. I was faced with substantial problems concerning ‘diversity’; I worked using a coaching approach that started from making the most of what people working for the two firms had in common. Therefore, by exploiting common characteristics that UNITED people I gave my contribution in creating harmony. By working hard we managed to spot each and every common trait that the employees had among each other. I worked with the managers in charge of infrastructures, offices and operations concentrating on what was there and on the opportunities that could arise from the integration of diversity. An example: diversity in religions. We faced the issue of religious festivities. One of the firms didn’t work on Saturdays nor on Sundays whereas the other firm didn’t have any fixed day that the employees should be off on. Just imagine what this means for any manager who has to run a business with people who can take off without a fixed schedule. It wasn’t easy but by starting from the situation that the firm was at (as is situation) we sorted out the details and the specifics belonging to each department and person creating satisfaction for everyone allowing the firm to grow its profits and productivity exponentially. This process has lasted one year so far and has yielded significant results. Considering that, I’d like to share with you this thought: I strongly believe that the issue of diversity is ‘subjective’. If the issue is considered as a problem, it will than be dealt with as a PROBLEM whenever we are interacting with diversity. 27 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 It is undeniable that diversity is a very difficult and tricky social issue to deal with but it is also true that societies and companies are made of people. We are the ones who choose to perceive diversity as a critical issue. Handicapped people have an OBJECTIVE problem; women have a natural diversity due to their natural and intrinsic nature of being females. People of different religions are different due to their practices and customs. However, as different as people might be, they are still PEOPLE, human beings with their intrinsic value, with their skills unique to them that can mean added value if given the chance to express themselves. We can all – as people – potentially be an asset and be considered as a PROFIT, NO EXCEPTIONS. Thank you for your attention and I hope that my contribution can help in spotting and solving problems concerning the issue of diversity. Claudia Crescenzi* (nel rispetto della “diversità”, il testo è stato volutamente lasciato nella lingua originale in cui era stato scritto – ndr) C’erano un Italiano, un Francese e un Tedesco… dalle barzellette alla vita interculturale di Marina Fabiano In azienda, come accade nelle barzellette, si inciampa facilmente nelle diversità comportamentali e si creano situazioni ridicole, quando va bene, solo per ignoranza (in senso buono) culturale. Abbiamo visto film, abbiamo letto, ci siamo documentati: crediamo di saperne abbastanza sulla precisione dei tedeschi, sull’eleganza dei francesi, sull’imperturbabilità degli inglesi. Eppure, alla prima occasione, incappiamo nell’errore relazionale scatenato da insufficiente considerazione dell’importanza della cultura nazionale e delle tradizioni. E ci offendiamo se i nostri colleghi trans-nazionali sbagliano qualche approccio. La cultura nazionale identifica parte dei nostri comportamenti, quelli legati all’organizzazione della nostra società, alle regole di atteggiamento accettate in gruppo, a quelle tollerate, a quelle preferite. Definisce un codice comune, dei rituali, i valori condivisi, le norme sociali. Ogni popolo riconosce e rende espliciti i propri simboli esteriori, il modo di vestire, il cibo, il linguaggio, i rituali. Altre regole sono più nascoste, ma altrettanto importanti; poco visibili ma evidenti se ci prendiamo la briga di conoscerle. Nelle aziende spesso si sovrappongono e si fondono: • cultura nazionale (noi italiani…), • cultura dell’azienda (noi di XXX…) • cultura di settore (noi dell’ambiente…) all’apparenza si integrano, ma ci vuole tempo e comprensione reciproca (“mettersi nei panni dell’altro, interrogare e voler capire”) perché la fusione sia effettiva e vantaggiosa. C’erano un Italiano, un Francese e un Tedesco… I soliti studiosi hanno riconosciuto che le differenze culturali più evidenti si appoggiano su queste basi: • il contesto • il riconoscimento dell’autorità • la ricerca di certezze • il genere maschile o femminile Il contesto si riferisce alla cultura delle relazioni, quelle che riteniamo più importanti dei dati oggettivi. I rapporti di lavoro si mischiano con le relazioni amichevoli. La valutazione dei risultati non è in primo piano. Italiani, Spagnoli e Francesi reagiscono in modo simile. Per Inglesi, Tedeschi e Americani contano più i fatti che le parole, le competenze evidenti hanno maggior valore, i contratti contengono molti dettagli, le discussioni non girano intorno al punto critico ma lo centrano al primo attacco. Riconoscere l’autorità è una fede esistenziale per i popoli Asiatici. La distanza dal potere è inversamente proporzionale al senso di indipendenza che una cultura manifesta. Le gerarchie sono sottili in America e in Australia, dove chiunque può salire al potere grazie ai risultati che dimostra. Italiani e Francesi tendono a stare in posizione mediana, bilanciando il riconoscimento fedele dell’autorità che hanno scelto con eroismi di imprevedibile anarchia. Il bisogno di certezze si traduce nel credere agli assoluti, nelle regole scritte, nelle procedure descritte con profusione di dettagli, nella scarsa tolleranza, nel rifiuto delle novità. Qui si rannicchiano Francesi, Giapponesi, Greci. Per loro il tempo è denaro, gli esperti sono indiscutibili, non prendono decisioni individuali. Inglesi, Americani, Arabi cercano invece di appoggiarsi a pochi dogmi irrinunciabili, usano le norme il meno possibile, amano il cambiamento. Anche in questo caso, gli Italiani mediano. Delle differenze culturali tra i generi maschile e femminile potremmo disquisire a lungo. C’è chi ci crede e chi no. Sembra comunque, se vogliamo ascoltare il parere dei nostri esperti ricercatori, che gli uomini siano più preoccupati per il successo, il denaro, l’ansia di possedere. Mentre le donne sono più attente alle persone e alla qualità della vita. Tra i popoli più maschilisti abbiamo l’Italia (ma dai!), il Giappone, l’America, l’India, l’Australia. I paesi più mentalmente orientati al femminismo sembrano essere la Cina, la Svezia, la Francia, il Portogallo. Interessante! Nelle aziende a cultura maschile i manager tendono verso un decisionismo assertivo. Al centro dei comportamenti espressi troviamo competitività e ambizione. Nelle organizzazioni a matrice femminile i manager si dimostrano più collaborativi e cercano il consenso degli altri; l’ambiente di lavoro è ritenuto importante e curato, i conflitti vengono risolti con il dialogo e la negoziazione. CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 28 Come comprendere le differenze culturali e trarne vantaggio? Lo stress culturale nasce dal timore verso l’ignoto. Si costruisce un’impalcatura difensiva a protezione della propria identità culturale. Ogni contatto è una missione di sopravvivenza. E’ invece possibile trasformare ciò in arricchimento culturale, costruendo fiducia reciproca in ambiente autentico, dove ognuno vale per ciò che è e ciò che fa, dove si impara a vicenda, gli uni dagli altri. • Se avete a che fare con aziende internazionalmente lontane, studiate le diversità esplicite. Non partite dal presupposto che sono loro a doversi adeguare a noi. • Usate l’empatia per comprendere i colleghi stranieri, quali sono le norme su cui si basano le loro convinzioni, quali usi e costumi è bene conoscere. • Sviluppate l’autocontrollo. Se voi state studiando il vicino di nazione, non è detto che l’altro stia facendo lo stesso. Può darsi che vi sentiate offesi da qualche commento inadeguato (“Italiani: spaghetti e mafia”). Non dategli subito un pugno in faccia, ma spiegate con semplicità che il connubio agli italiani non piace, anzi, li offende. • Umiltà nel chiedere scusa per le inevitabili gaffe e diplomazia per aggirare qualche situazione franosa saranno complementari all’ascolto e all’osservazione. Suggerisco con forza che ai primi incontri è molto meglio tenere occhi e orecchie aperti e bocca chiusa. Senza evitare di dimostrare curiosità ed apertura verso la conoscenza di altre culture, diverse dalla nostra, non meglio né peggio, solo in grado di valorizzare il nostro sapere e di rendere la nuova relazione proficua e morbida. Marina Fabiano CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 28 // C o a c h i n g & S t o r y t e l l i n g // Potsdamer Platz di Mattia Rossi Si appoggiò allo schienale, incrociò le braccia sul petto e rimase a fissare il monitor: il trio in programma lo attirava parecchio, l’occasione di rinverdire i ricordi di quella vacanza giovanile, con le sue nottate in giro per il Village, era troppo ghiotta… Alzò leggermente il volume degli amplificatori, per farsi compagnia con Keith Jarrett negli uffici ormai vuoti e bui. Ragionò che se fosse andato al primo spettacolo sarebbe riuscito a rientrare in albergo a un orario decente e avrebbe potuto farsi trovare pronto e professionale la mattina dopo: del resto, l’incontro era fissato alle 10.30 a tre isolati dall’hotel. Dunque doveva solo trovare il modo di sganciarsi elegantemente dal capo, sperando che quello non volesse trascinarlo in qualche night. Non che gli sembrasse il tipo, in verità: era vero che stava con loro a Berlino da soli 3 mesi, e quindi forse si stava sforzando di ambientarsi mantenendo un certo contegno, ma per essere italiano aveva mostrato fin troppa disciplina e sobrietà. Comunque non poteva dire di conoscerlo davvero: smozzicava un tedesco decisamente ancora acerbo, e la comunicazione in inglese risultava limitata alle faccende tecniche di lavoro. Nessuno, nel team, si fidava ancora veramente di quel nuovo manager: avrebbe dovuto cominciare proprio lui, nel bel mezzo di una trasferta oltreoceano, alla vigilia della firma di un accordo strategico? Sarebbero stati loro due soli, senza testimoni: sarebbe stata la sua parola contro quella dell’italiano, con la differenza che l’altro era il capo… “Keith Jarrett… Esiste una Autumn Leaves più potente e intensa?” Alzò la testa di scatto: l’italiano in questione stava a un metro da lui, appoggiato al divisorio del cubicolo, le mani nella tasca del cappotto sbottonato, e aveva parlato in tedesco. Beccato in flagrante, Konrad restò immobile cercando rapidamente una risposta, una giustificazione, qualcosa… Intanto Francesco aveva accennato con il mento verso il monitor: “Biglietto per il Village Vanguard mercoledì sera?” “Ehm… mi sarebbe piaciuto…” “Prendine due, allora. Se ti disturbo, mi siedo lontano. In fondo. Giuro. Ma non posso andare a New York senza un po’ di jazz: è una specie di rito, risale a quando avevo 20 anni. Magari se hai voglia ti racconto la storia. Tu intanto compra due biglietti. A domani!” ********* Visto dal finestrino del 757 della Continental alle 8 di mattina, l’aeroporto di Tegel aveva un aspetto strano, diverso dal solito. In genere, quando l’aereo rullava placido verso il parcheggio, era il momento in cui Konrad provava una famigliare sensazione di ritorno: quella volta però gli pareva di avvertire come un’aria di novità che sembrava preludere piuttosto a un nuovo inizio. Anche il suo capo sembrava diverso, fin dal giorno prima, quando sul taxi per Newark, dopo un lunghissimo e pensoso silenzio, gli aveva fatto telefonare a Berlino per convocare il team alle 10 in punto: lo scopo dichiarato era quello di aggiornare immediatamente tutti circa il successo della missione a New York, ma Konrad aveva percepito che c’era qualcos’altro. Sembrava confermarglielo il vago senso di urgenza con cui ora lo vedeva agitarsi tra i sedili e il corridoio affollato in attesa di sbarcare. E non si sbagliava: Francesco era impaziente di tornare in sede per cominciare una nuova missione, quella cioè trasformare il gruppo di stranieri affidatogli 3 mesi prima in un team. Così, quando furono tutti in sala riunioni, per la prima volta prese la parola in tedesco: “E’ stata una missione molto istruttiva, vero Konrad?” E il berlinese rispose in italiano. “Sono completamente d’accordo”. “Come vedete, abbiamo sfruttato le lunghe ore di volo per studiare un po’ 31 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 di lingue straniere”, riprese Francesco ammiccando. Gli rispose qualche cauto sorriso. Si affidò di nuovo all’inglese. “Ci siamo concessi una serata in uno dei migliori jazz clubs del Greenwich Village. Grande trio, eh Konrad?” Per qualche motivo (miracoli della musica passione comune?) a Konrad pareva di leggere nella mente di Francesco, e comprese al volo il senso di quel discorso, fuori luogo solo in apparenza. “Confermo. E a metà serata è comparso un trombettista che ha attraversato tutta la sala suonando, e si è unito agli altri: sono diventati un quartetto affiatato dopo un paio di battute soltanto”. “Grazie a Konrad che si è occupato dei biglietti e del taxi. Da bravo italiano ho preferito lasciar fare all’efficienza teutonica”. Risatine cordiali: l’energia era quella giusta. “Venendo a noi: la missione è stata un successo, ora vi spiego perché”. E per i successivi 15 minuti passò in rassegna il contributo specifico di ciascun membro del team durante il lavoro di preparazione. Magari qualche passaggio era un po’ forzato, ma ognuno ebbe la sua parte di gloria e alla fine Francesco ottenne ciò che era davvero importante in quel momento: gente sorridente abbandonata contro lo schienale della sedia, cravatte allentate (con garbo), Ingrid che mostrava il pollice alzato a Carmen, la giovane spagnola ultima arrivata, fino a quel momento snobbata da tutti come ultima ruota del carro. “Ora si tratta di raccogliere i frutti”, concluse Francesco. “Avete tempo fino a lunedì alle 9.30 per farvi venire idee da mettere sul tavolo. Grazie ancora a tutti e buon lavoro… Carmen, puoi fermarti, per favore? Voglio chiederti di quel tuo insegnante di tedesco. Konrad è bravo, ma dopo la terza birra tende a parlare in dialetto e io non imparo più niente”. Era la prima volta che una riunione terminava tra le risate. Quando tornò a sedersi alla sua postazione, Carmen si accorse che era passata quasi un’ora: con Francesco aveva parlato di lezioni di tedesco per qualche minuto, poi lui le aveva chiesto qualcosa dei suoi studi in Spagna, e si // C o a c h i n g & S t o r y t e l l i n g // era ritrovata a raccontare della sua vita, delle sue passioni e dei suoi progetti. Il discorso era così tornato al lavoro, a quello che le piaceva e non le piaceva fare, e Francesco le aveva proposto alcuni piccoli aggiustamenti: poca roba, ma sufficiente a farle apparire quell’impiego come pensato apposta per lei. Cercò di ricordare in quale lingua avessero parlato, ma non avrebbe saputo dire se si erano intesi più con l’italiano, lo spagnolo o l’inglese: sembrava che quel giorno la sostanza dei discorsi avesse trovato il modo di filtrare attraverso i muri linguistici. Carmen si chiese quanto sarebbe durato, quel piccolo miracolo. Decise che era meglio andare sul sicuro, e, preso il telefono, chiamò herr Mayer per avvisarlo che gli aveva mandato un nuovo allievo che aveva particolare urgenza di imparare a comunicare presto e bene. Intanto Francesco, rimasto solo in un angolo della sala riunioni, aveva tirato fuori lo smartphone: dopo essersi appuntato un pro-memoria su Carmen, armeggiava con l’agenda per pianificare gli incontri personali con ciascuno degli altri. e parla in un’altra lingua, superare la sgradevole sensazione di essere guardato con diffidenza da persone che invece molto più semplicemente non sanno come sintonizzarsi con te. Inizialmente aveva commesso l’errore di affidarsi alle procedure e alla policy aziendale, pensando che quello fosse il linguaggio universale della solita “grande famiglia”. Ma solo quando aveva cominciato a guardare in faccia i suoi collaboratori, ad ascoltarli, e a permettere loro di guardare in faccia lui, solo allora avevano davvero cominciato a lavorare insieme. Ciascuno aveva manifestato i propri talenti migliori, lui aveva dato qualche aggiustatina in modo da eliminare le sovrapposizioni ed esaltare le differenze, e da quando il nuovo meccanismo aveva cominciato a girare le perfomances erano improvvisamente esplose. Alzò lo sguardo sui cristalli della Bahn Tower che sparivano in alto nella notte: sparuti fiocchi di neve galleggiavano tra i grattacieli. La mattina dopo avrebbe convocato tutti quanti per dare l’annuncio: l’azienda aveva deciso che loro erano uno dei migliori team in assoluto, e avrebbe espresso il concetto nella prima busta ********* paga utile. Busta paga che, sia detto per inciso, ora Si fermò di botto e tornò a guardare Francesco si poteva leggere nei minimi attraverso la notte illuminata dai lampioni dettagli anche se era scritta in tedesco. di Potsdamerstrasse: non si era sbagliato, Senza vocabolario, natürlich. era proprio una volpe. Trotterellava attraverso il piazzale antistante la Philarmonik, senza dare segni di Mattia Rossi* particolare nervosismo ma palesemente all’erta, il muso proteso e le orecchie ben diritte. Francesco sorrise, provando simpatia per quella creatura fuori contesto: “mi ricordi qualcuno”, le disse a mezza voce, ripensando alle sue prime settimane berlinesi. La volpe dovette averlo udito, perché si fermò e si volse nella sua direzione: lui restò immobile, e l’animale ripartì in direzione del Tiergarten, dove sicuramente aveva la tana. Francesco invece si incamminò verso le luci di Potsdamer Platz. Con il senno di poi tutto quanto appariva dotato di una sua logica abbastanza lineare, ma quando ci sei immerso non è facile trovare il bandolo della matassa: distinguere la normale fatica del lavoro da quella specifica della comunicazione con gente che pensa CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 32 // C o a c h i n g & m e t a f o r e // Mi racconti dell’oceano? di Matilde Cesaro “Mi racconti dell’oceano?” Chiese la gocciolina di pioggia al vento di primavera che per un momento smise di soffiare aggrottando la fronte. “Come si può raccontare la storia dell’oceano ad una fresca gocciolina?” pensò il vento di primavera… “Mi chiedi di raccontare la tua storia che poi è la storia di ieri ma è anche la storia di domani…” soffiò leggero il venticello. La gocciolina per nulla turbata da queste importanti parole e lasciandosi cullare dal filo d’erba si preparò ad ascoltare la storia delle storie. “L’oceano è come una grande goccia… sì, proprio come te. Nei giorni di sole è luminosa e lucente come un raggio di sole e nei giorni di tempesta è inquieta e scontrosa, pronta a litigare con chiunque le si avvicini. La sua origine è ancora avvolta dal mistero ma molto si sa invece della sua attuale situazione. Ogni sua gocciolina prima di arrivare a lei compie un viaggio lungo, pieno di imprevisti ed ostacoli. Le goccioline nascono in posti lontani e diversissimi tra di loro. Poi trasportate dalle nuvole atterrano sulla terra e cominciano il loro cammino. Ognuna si dà da fare, secondo le sue caratteristiche, per raggiungere il più velocemente possibile l’oceano. Spesso si incontrano e viaggiano insieme e a volte accade che alcune goccioline si montino la testa e vogliano prendere il comando mentre altre stentano ad emergere e sono costrette a raddoppiare gli sforzi per camminare affiancate. Alcune hanno un colore, altre hanno una forma o una consistenza diversa e non sempre si accordano da subito e prima di decidere di camminare insieme perdono tempo ed energia nel ri-conoscersi”. Il venticello si fermò per prendere fiato e intanto rivolse lo sguardo lontano. La gocciolina ascoltava in gran silenzio senza perdere una sola parola di questa magnifica storia che poi era anche la sua storia… “Certo, ” riprese il venticello, “certo sarebbe più semplice se tutte le goccioline si unissero da subito per generare una corrente comune” … “Mah!” sospirò pensieroso il vento. “Mah!” ripeté la gocciolina che cominciava a comprendere come vanno le cose, anche se non ne capiva il funzionamento. “E poi?” incalzò la gocciolina, “e poi è necessario che si guardino ed imparino ad ascoltarsi, solo così potranno comprendersi e crescere… e man mano che cresceranno aumenterà la loro forza e la loro potenza e questo le renderà anche più fluide e veloci”. “Allora è facile!” sbottò la gocciolina. Il vento di Primavera guardò la coraggiosa gocciolina che aveva già tutte e due le gambe fuori dallo stelo d’erba pronta a riprendere il suo cammino verso la madre goccia. “Spesso la paura ci fa mostrare il nostro lato peggiore e ci costringe ad essere diffidenti e a difendere solo i nostri pensieri” aggiunse il venticello profondamente commosso dall’entusiasmo della gocciolina “spesso non ascoltiamo per il timore di sapere che oltre al nostro mondo esistono mondi differenti, che non conosciamo e allora preferiamo continuare a pensare che il nostro sia l’unico modo possibile di essere e fare le cose” la gocciolina non perdeva una sola parola “oppure proteggiamo gli occhi con le mani per non vedere e chiudiamo le orecchie per non sentire rischiando di rimanere indietro e da soli…” “E cosa si può fare per evitare tutta 33 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 questa fatica e ri-conoscersi sin da subito?” chiese impaziente la gocciolina. “Apri il tuo cuore al diverso e accogli le sue parole come un messaggio di novità” disse il venticello di primavera mentre riprese a soffiare giocando con le giovani foglie del melo. “Ora vai e segui la tua strada e ricorda solo se acquisisci le differenze potrai affrontare situazioni complesse e sfaccettate e raggiungere in armonia la goccia madre che è lì ad aspettarti pronta ad accogliervi tutte”. La gocciolina scivolò via urlando al vento di primavera “ora ho capito che cosa posso fare, quale contributo posso dare per migliorare la situazione” prendendo sottobraccio una nuova goccia incontrata per caso…. Ma si sa, il caso è un’invenzione! Matilde Cesaro* // C o a c h i n g & m e t a f o r e // Il bello della metafora di Marco Donadoni Fra i molti strumenti che figurano nella cassetta degli attrezzi dell’ immaginazione, uno dei più efficaci è senza dubbio la metafora, tanto è vero che -sicuramente lo avrete notato- è stata usata già in queste prime righe. Volendo fare i didattici potremmo definire metafora (dal greco metaphérō, «io trasporto») come figura retorica che implica un trasferimento di significato, sostituendosi al termine che normalmente occuperebbe un posto nella frase un altro la cui “essenza” va a sovrapporsi a quella del termine originario creando immagini di forte carica espressiva. Di solito usiamo la metafora nel linguaggio verbale o scritto, ma in formazione la metafora può essere strutturata anche attraverso una situazione complessa, legata cioè ad una somma di azioni, ambienti, personaggi, motivazioni eccetera. Insomma un’ intera attività da vivere come “altro da sé”. L’efficacia di questo strumento si basa sul corretto rapporto tra un ambiente di partenza (reale) e uno di arrivo (metaforico), con un potere comunicativo tanto maggiore quanto più i termini di cui è composto il rapporto sono lontani tra loro. Dei due ambiti/ambienti diversi e paralleli, quello più difficile o sconosciuto (bersaglio) viene compreso più facilmente perché avvicinato attraverso termini di un altro, più facile e/o soprattutto più noto (sorgente). Prendiamo ad esempio la metafora che abbiamo usato prima: “strumenti nella cassetta degli attrezzi”. L’ambito sorgente è ovviamente il mondo dell’operaio: chiavi, cacciaviti, conti salati da pagare, roba fisica con cui tutti noi abbiamo avuto contatto; l’ambito obiettivo è quello dell’apprendimento, della scuola, mondo difficile per definizione, fin dai tempi delle elementari. Di solito le metafore hanno un concetto più astratto come obiettivo e un concetto più concreto come sorgente. Naturalmente la cosa funziona solo se la conoscenza dell’ambiente sorgente é nota a coloro ai quali la metafora viene rivolta: se porto un uomo in ambiente beauty probabilmente (solo probabilmente) la metafora sarà meno efficace che se lo porto al Brico. La metafora aiuta a essere più flessibili, stimolando l’adozione di diversi tipi di pensiero, attraverso un universo parallelo in cui si possono più facilmente superare molte riluttanze/rigidità causate da esperienza, paura, insicurezza. Visto che ne stiamo parlando, proviamo ad usare la metafora per spiegarci meglio: è la rigidità quello che ci porta a non accettare consigli sulla strada che percorriamo ogni giorno da casa all’ufficio. Se qualcuno ci chiede di provare nuovi percorsi, suggerendo “volta a destra che facciamo prima” quando noi invece di solito voltiamo a sinistra, ne siamo infastiditi, vittime dell’abitudine e delle certezze preregistrate. Ci si alza cioè la resistenza, perché viene suggerito un cambiamento che non avevamo previsto né ipotizzato. Ma se qualcuno disegnasse in un’altra città un percorso assolutamente identico per distanze e diramazioni a quello nostro solito, e ci desse consigli nel modo di affrontarlo, sicuramente saremmo più liberi e disponibili nell’accettare suggerimenti e sperimentare nuove traiettorie. Poi, una volta decodificato il rapporto di uguaglianza geografica che collegasse i due percorsi, guardando le diverse strade su due piantine accostate, potremmo più facilmente accettare di riportare anche nel vecchio percorso (ambito obiettivo) le modifiche sperimentate nel nuovo (ambito sorgente). E averlo sperimentato dal vivo avrebbe reso la scoperta più immediata e efficace del solo studio topografico. Marco Donadoni* Autore di Met@forming Crescere e migliorare attraverso l’esperienza in metafora ed: Dante Alighieri CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 34 Eventi E w ICF – European Coaching Conference Madrid, 16 -17-18 giugno 2011 Occasione di assaggio/avvicinamento/confronto del coaching ad alto livello internazionale. Un’esperienza creativa e dinamica per incontrare colleghi coach ed acquisire qualcosa di nuovo da ciò che fanno gli altri. Il titolo dell’evento, “Reinventing Ourselves“, suscita curiosità e voglia di esserci. Tutte le informazioni per partecipare sono disponibili al sito http://www.coachingconferencemadrid2011.com E w A.I.C.P. Fiera del Coaching Trento, 18 e 19 giugno 2011 “La leadership imprenditoriale positiva: Prassi delle idee innovative” Seconda Fiera di A.I.C.P., per dare un contributo concreto all’uscita dalla crisi. Il filo conduttore è l’imprenditore che genera leadership positiva innovativa in ogni ambiente ed organizzazione, portatore di creatività, positività, coscienza collettiva, che crea benessere non solo a se stesso ma all’intera collettività, in particolare nel mondo delle PMI. Per saperne di più http://www.associazionecoach.com E w ICF - Networking Weekend 2011 Bologna, 9 e 10 Luglio Sesta edizione del Coaching Networking Weekend. Il tema dell’incontro e’ Attrarre Clienti con Etica e Competenze.Un’occasione per conoscere i criteri utilizzati da chi acquista abitualmente coaching, le tecniche di attrazione sviluppate da alcuni Coach esperti e come i Master Certified Coach utilizzano i principi etici e le competenze ICF nel dialogo con i decision maker ed i clienti potenziali. Da non perdere. Informazioni aggiuntive dal Project Leader dell’evento, Davide Tambone, tramite il sito ICF, selezionando Contatti e Networking Weekend 2011. altri EVENTI sul sito www.coachmag.it/eventi/ 35 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011 Libri in gocce Diplomathìa… L’arte di imparare due volte: messaggi dal G8 A cura di Fabrizio Petri e Fabrizio Lobasso – editore Rubbettino Prefazione del Ministro Franco Frattini In questo libro si trovano i racconti dei liaison officers, i giovani funzionari diplomatici che si sono presi cura delle delegazioni straniere durante il vertice dei ministri degli Affari esteri di Trieste nel giugno 2009 e il Summit dei capi di Stato e di governo dell’Aquila. Il libro, a cura del capo della delegazione del Ministero degli Affari Esteri per la Presidenza Italiana del G8, Fabrizio Petri e del suo vicario, Fabrizio Lobasso, riporta anche i contributi di altri diplomatici e un interessante approfondimento sulle abilità comunicative necessarie per chi opera in contesti multiculturali realizzato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia. In poco più di 100 pagine ho trovato un evento storico raccontato dai protagonisti, spunti di formazione, comunicazione, scienze politiche, antropologia... I molteplici piani di lettura del libro sono ben sintetizzati in questa frase di Fabrizio Lobasso. Questo “è un libro che racconta innanzitutto di esseri umani che per alcuni giorni si vestono da protagonisti e con coraggio e pazienza affrontano timori, dubbi imprevisti e la diversità nei valori, linguaggi, posture, costumi, ideologie dei membri delle delegazioni straniere, facendo costante modulazione di frequenza” per il compimento della loro missione e cioè per la piena e reciproca soddisfazione.” Ringrazio Fabrizio Lobasso per avermi donato questo libro e per avermi insegnato l’arte della “Diplomathia” (recensione di Helga Ogliari). Ora passo la parola ai liason officer: “Osservare il Presidente americano percorrere strade alternative per evitare il bagno di folla - strade semideserte dove gli unici saluti sarebbero venuti dal personale di servizio in pausa dai balconi - e vedere il suo saluto schietto, ripetuto, riconoscente a chi rappresentante dei media certo non era, mi lasciava molto stupita. Avevo pensato male: quell’uomo stava ringraziando tutti di cuore.” “Sentii di essere spagnolo, desiderando però di essere anche svedese”. “A mente fredda, essere liaison officer vuol dire essere un manager di un affare, seppur temporaneo, ma grande e considerevole per i risultati che verranno prodotti.” “In caso di imprevisti avevo preso l’abitudine di accompagnare le mie interlocuzioni con loro con il motto “No panic, please, it’s only the Italian way” strappando sinceri sorrisi dei delegati ONU che, tutto sommato si mostravano soddisfatti per l’andamento complessivo degli aspetti organizzativi.” Questa è solo una piccola selezione dei messaggi dal G8 che credo possano essere utili anche per chi non intraprende la carriera diplomatica. // C o a c h i n g & W E B // Il Coaching Interculturale di Philippe Rosinski, ed: Franco Angeli Tutto ad un tratto coaching e intercultura si incontrano, riconoscono a vicenda le diversità ma anche le affinità che ne accompagnano l’applicazione, si integrano. Volevo dire “si sposano e vivono a lungo felici e contenti” ma mi sembrava poco serio: meglio che prima si fidanzino un po’, le due discipline, e provino a vedere se si piacciono davvero. Il riconoscimento delle dimensioni culturali, unito alle modalità espressive del coaching, non solo può far bene al coachee e al gruppo di persone che desiderano mescolare le proprie competenze; accrescerà – e di molto – la potenza del coach, in quanto lo porterà a comprendere velocemente le pluralità comportamentali che incontra. Il modello di Rosinski, accuratamente dettagliato nel suo libro, si adatta facilmente ad ogni stile di coaching, arricchendolo. Recensione di Marina Fabiano Il linguaggio dell’accordo di Paolo Carmassi e Alessandro Lucchini, ed: Centopagine Leggere, gestire e orientare i rapporti di forza nelle relazioni interpersonali. Alessandro e Paolo sono due esperti di comunicazione e linguaggio che hanno fatto del semplificare il loro mantra formativo. Val la pena di sorridere riflettendo su un libretto asciutto ma intenso, intriso di situazioni e casi tipici della vita relazionale quotidiana, dall’ambiente lavorativo alla riunione condominiale, dal festival di Sanremo al tribunale, al dibattito politico. Recensione di Marina Fabiano Voglio aprirmi un blog...gratis. La necessità di aprire un blog è fondamentale per tutti quei professionisti e imprese che volessero divulgare articoli o idee relative alla propria attività. Il principale problema per un neofita che non ha particolari competenze tecniche, è quella di non saper installare, configurare e gestire su un proprio server CMS* adatti a bloggare. Per ovviare a questa lacuna, la rete ci viene incontro con piattaforme gratuite che offrono un servizio facile e veloce da gestire con tutti gli strumenti necessari di cui abbiamo bisogno. Ne esistono in particolare tre, tra i più famosi e utilizzati vi segnalo WordPress.com, Blogger e Tumblr. Wordpress.com è sicuramente il mio preferito, permette la creazione e la gestione di illimitati blog del tipo tuonome.wordpress.com. Il mantenimento è a cura del provider, che gestisce archiviazione, backup, sicurezza e controlli anti-spam. E’ possibile creare blog multi-autore con settaggio permessi a vari livelli. A disposizione dell’utente vi sono circa 100 temi gratuiti ma anche la possibilità di modificare il foglio di stile CSS (o fogli di stile, linguaggio per determinare l’aspetto grafico del sito web). WordPress è un CMS molto gradito ai motori di ricerca: la versione auto ospitata permette di modificare facilmente la struttura del permalink e quindi la possibilità di essere indicizzato sulla rete. La community di WordPress è attivissima, ogni giorno vengono rilasciati nuovi plugin ed è molto frequente trovare supporto ad eventuali problemi. Blogger è il servizio gratuito di blogging offerto da Google. La sua peculiarità è l’estrema semplicità d’uso: in poco più di 15 minuti potrai creare il tuo blog del tipo tuonome. blogspot.com e pubblicare i tuoi primi contenuti. I fogli di stile CSS ed il metalinguaggio XML con cui è scritto permettono ai più esperti di modificare facilmente il design del blog. I neofiti hanno invece a disposizione tantissimi temi gratuiti, disponibili tramite interfaccia o scaricabili nei tanti siti dedicati al prodotto presenti in rete. Blogger si integra con Google Docs, Microsoft Word, e Windows Live Writer, permettendo la pubblicazione direttamente da queste applicazioni. Con Blogger potrai permettere la pubblicazione ad CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 36 oltre 100 autori contemporaneamente, in modo tale da creare un blog multiautore semplicissimo da usare con la possbilità anche di creare fino a 20 pagine statiche per ogni blog. Tumblr è un po’ una via di mezzo tra una piattaforma per bloggare ed una di microblogging come Twitter. Da pannello di controllo del proprio Tumblr è possibile scegliere il tipo di contenuto da pubblicare un post, un link, un video, un file audio o un’immagine. Anche in questo caso il servizio è davvero rapido e semplicissimo da usare: basterà una registrazione per avere il proprio blog con nome tuonome.tumblr.com. A disposizione dell’utente ci sono molti temi gratuiti da installare oppure personalizzare a piacimento. E’ possibile anche ri-pubblicare post di altri tumblr sulla propria piattaforma con un click o seguire gli autori che più vi interessano. Qualora si volesse usare un proprio dominio di primo livello, sostituendolo a quello di secondo livello di default, si può acquistare presso un provider e farlo ‘puntare’ al server del servizio scelto. Questa opzione è comune a tutte le piattaforme ed è fondamentale per poter mantenere la propria identità, sicuramente poi un dominio di primo livello darà un aspetto più professionale e credibile al vostro blog. C’è da sottolineare che queste piattaforme di tipo gratuito, non sono l’ideale se si volesse usare il blog per vendere/pubblicare contenuti di tipo pubblicitario. Di fatto si è ospitati su un server di cui non si è proprietari e, ad esempio, una seppur breve interruzione del servizio da voi non risolvibile, potrebbe portare non pochi disagi nei confronti dei vostri clienti. Prossima Uscita 20 Settembre 2011 Si parlerà di Team & Group Coaching Bisognerebbe in questo caso installare il blog su un proprio server, operazione che richiede comunque specifiche competenze tecniche che solo un professionista potrà darti. Una volta installata, la gestione dei contenuti è semplice e veloce come quella gratuita, ma con la differenza che sarai tu proprietario e responsabile di tutta la piattaforma. Luca Gentile* [email protected] http://think.bigchief.it http://lucagentile.it *CMS: acronimo di Content Managment Sistem, di fatto un’ applicazione da installare sul proprio server per poter gestire i contenuti del proprio sito web/blog. p.s. Se qualche termine non ti è chiaro, o soltanto desideri saperne di più, scrivimi a [email protected] p.p.s. Se invece sei interessato alla progettazione di un nuovo sito/blog o vuoi rinfrescare l’attuale, questo è il mio lavoro. Manda le tue proposte, i tuoi articoli, i tuoi consigli, le tue domande a: [email protected] Parla di CoachMag con il tuo network, diffondi il coaching.