Editoriale
di Marina Fabiano
Tra i 40 e i 50 anni, più donne che uomini, molto presenti in Lombardia e parecchio
anche nel Lazio; laureati e attenti alla formazione continua, con solide esperienze in
azienda e nell’ambiente della consulenza/formazione.
Questo è il profilo del Coach secondo la recente ricerca di ICF Italia.
Con formazione specifica ottenuta soprattutto in Italia, il 55% degli intervistati è
associato ad ICF; di questi, il 35% è certificato e un buon 41,6% è in corsa per
la qualificazione.
L’estratto della ricerca, presentata a Roma durante l’VIII conferenza nazionale del
coaching è disponibile nell’home page di www.coachmag.it.
Lo spunto interessante che emerge da questa ricerca è che – visto che il mercato del
coaching è in netta espansione e l’accoglienza presso le aziende è sempre più ampia
– c’è molto spazio di crescita sia per la professione che per la formazione. Intendo:
il mercato è ben lontano dall’essere saturo di professionisti preparati, ne riconosce
l’esistenza e li chiede solidi nelle loro competenze. La formazione per i coach ha
ancora molto da offrire e i coach stessi si rendono conto che un breve percorso di
apprendimento basico non è certo sufficiente per esercitare con efficacia, offrendo ai
clienti la qualità dei risultati che (giustamente) pretendono.
Proliferano le Comunità di Pratica del Coaching, team di professionisti indipendenti
da qualsiasi associazione che si interfacciano con fiducia tra di loro a scopo di
scambio conoscenze, formazione inter pares e, perché no, anche business condiviso.
Le CPC contano ormai una novantina di partecipanti.
Stiamo quindi facendo un buon lavoro (ma non basta) nel comunicare l’importanza
del coaching per lo sviluppo delle persone (in azienda, ma anche fuori), e la valenza
della preparazione dei coach per i risultati attesi. CoachMag è sempre in prima fila
per la diffusione del coaching – e dei coach – a livello nazionale e internazionale
(abbiamo anche abbonati stranieri che comprendono l’Italiano e connazionali che
vivono all’estero).
E’ anche per loro, e per noi immersi in un nuovo cambiamento, che in questo
numero parliamo di Intercultura e Diversità. Tema etico o strategico? Problema o
opportunità? I due argomenti, diversi tra di loro, si intrecciano, si sovrappongono e
si contaminano. I colleghi-autori che hanno generosamente messo a disposizione i
loro articoli, hanno saputo ricavarne spunti di profondo interesse.
Buona lettura.
Marina Fabiano
Direttore Editoriale
[email protected]
www.coachmag.it
COACHMAG
Numero 5
Maggio 2011
Direttore Editoriale
Marina Fabiano
[email protected]
In redazione (questo numero)
Alberto Camuri
Marta Fiore
Frèdèrique Sylvestre
Rosaria Montalbano
Simona Manzone
Sheyla Rega
Valerie Ryder
Antonella Villa
Nathalie De Broux
Agnès Perrone
Claudia Crescenzi
Alessandro Testa
Oliviero Brega
Alessandro Lo Russo
Susanna Dal Zotto
Mattia Rossi
Matilde Cesaro
Marco Donadoni
Luca Gentile
Grafica e impaginazione
Luca Gentile
[email protected]
Direzione e Redazione
Marina Fabiano
Via Baranzate, 57
Novate Milanese (MI)
Tf: 347 3061024
e-mail: [email protected]
sito: www.coachmag.it
Diffusione e periodicità
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L’editore dichiara di aver usato ogni mezzo
per riconoscere i diritti d’autore del materiale
e delle informazioni utilizzate, e resta ovviamente
a disposizione per adempiere agli obblighi di
legge nel caso non avesse ottemperato pienamente.
* i profili degli autori sono
disponibili nel sito coachmag.it/
redazione
Indice
04....... Diversità: mondi a confronto
di Alberto Camuri
06....... Diversità e multicultura
di Marta Fiore
07....... Interculturalità
Intervista a Frèdèrique Sylvestre
10....... Esperienze di coaching nella “diversity”:
la managerialità al femminile
di Rosaria Montalbano
12....... E’ proprio vero che le donne
sono diverse dagli uomini?
di Simona Manzone e Sheyla Rega
14....... Chi, io?
Fare coaching in lingua? Mai!
di Valerie Ryder
16....... 10 azioni perfette
per leader multiculturali
di Marina Fabiano
17....... Coaching e Politica
di Antonella Villa
23....... Il “Cultural Orientations Framework”
come supporto di percorsi individuali
di Nathalie De Broux
25....... “Audit Culturale” in una Partnership
di 3 aziende: italiana, francese ed olandese
di Agnès Perrone
27....... Diversity and Inclusion: a personal experience
di Claudia Crescenzi
C’erano un Italiano, un Francese e un Tedesco…
28....... dalle barzellette alla vita interculturale
di Marina Fabiano
Sit Up
19....... SitUp - Situazioni Appiccicose
Il coachee ostile
Coaching & Storytelling
31....... Potsdamer Platz
di Mattia Rossi
Coaching & Metafore
33....... Mi racconti dell’oceano?
di Matilde Cesaro
34...... Il bello della metafora
di Marco Donadoni
Contaminazioni
35....... Eventi
35....... Libri in Gocce
36....... Voglio aprirmi un blog... gratis.
di Luca Gentile
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“Diversità:
mondi a confronto”
Riflessioni di Alberto Camuri – Partner SCOA, Direttore Valyou Farm
Il 14 marzo scorso al Club SCOA (The
School of Coaching) ho affrontato,
con il Dr. Federico Marcon (Director,
NGO Don Carlo Gnocchi Foundation)
il tema della Diversity condividendo
con i numerosi partecipanti le nostre
esperienze di vita vissuta sul tema.
Sia io sia il Dr. Marcon abbiamo avuto
a che fare con la Diversity seguendo
percorsi professionali diversi:
• La mia esperienza trentennale è
stata di gestione del business a livello
internazionale in grandi multinazionali
o meglio aziende globali, un’esperienza
di gestione che mi ha portato a guidare
una parte del mondo (Europa, Middle
East Africa, East Europe, South Asia
Pacific) confrontandomi internamente
ed esternamente con storie, culture,
religioni profondamente diverse…
• Il Dr. Marcon, ora Director NGO
Don Carlo Gnocchi Foundation, e
prima funzionario dell’Organizzazione
Internazionale del Lavoro (ILO), ha
maturato significative esperienze
in qualità di Project Manager del
Programma “Eurosocial” sulle politiche
attive del mercato del lavoro in Europa
e America Latina, Programme Manager
di un progetto della Commissione
Europea sulla migrazione dei lavoratori
nella regione dell’Africa Occidentale,
Programme Manager di un progetto su
formazione professionale, inserimento
lavorativo, sviluppo di cooperative
e programmi di microcredito per le
persone disabili nell’area caraibica,
membro di una missione di esperti
advisor del Governo di Timor Est per la
ristrutturazione del mercato del lavoro...
tutte esperienze che gli hanno permesso
di approfondire il tema della Diversity
ed osservare molteplici comportamenti
organizzativi.
Avevamo da rispondere a tre domande
stimolo sull’argomento Diversity:
• PERCHE’ PARLARNE?
• TEMA ETICO O STRATEGICO?
• PROBLEMA OD OPPORTUNITA’?
la ”Generazione X”, i “Millennials” ed
ora i “Digital Native” e il loro diverso
pensiero nei confronti ad esempio del
significato e valore di:
• Gerarchia
Entrambi abbiamo condiviso che se ne
• Autonomia
deve parlare in quanto il mercato del
• Libertà
lavoro, a tutti i livelli, ha avuto negli
• Fedeltà
ultimi anni una modifica sostanziale,
• Cambiamento
modifica che continuerà ad accentuarsi
• Uso tecnologia
come conseguenza di fattori sociali,
• Virtualità
demografici e politici.
• Formalismo
In particolare quattro elementi hanno
• ……..
caratterizzato tale modifica, ed il quarto Tutte queste modifiche sono
in particolare creerà nuove sfide/stimoli : rappresentative non solo della forza
• Il primo elemento è relativo al
lavoro ma anche di una modifica dei
GENERE ed in particolare all’aumento mercati per le aziende, il capire quindi e
significativo del numero di donne
gestire la diversità è una capacità rivolta
lavoratrici
non solo all’interno delle organizzazioni
• Il secondo elemento è connesso
ma anche all’esterno, è un’abilità di
al tema della DISABILITA’ ed alla
ascolto che rappresenta un vantaggio
necessaria inclusione lavorativa di
competitivo per essere in intima
persone disabili, conseguentemente alla connessione con dei mercati che sono
diffusione di sempre più attente politiche sempre più caratterizzati da diversità,
sociali
quali genere, razza, età, etnia, cultura,
• Il terzo elemento, a seguito di
disabilità, religione, orientamento
forti flussi migratori e dell’emergere di
sessuale.
nuove realtà, è quello della RAZZA,
Si tratta quindi di un tema sia etico sia
il multiculturalismo/multietnicità, le
intimamente strategico in quanto è la
diversità religiose, che ha connotato in
condizione per rimanere in contatto con
modo pervasivo il nuovo mercato del
un mondo che cambia anche nella sua
lavoro, non solo della mano d’opera
composizione sociodemografica, un
ma anche del cosiddetto mercato dei
mondo diverso.
“cervelli” (usciti dalle università delle
nazioni emergenti)
Chi ha avuto a che fare inizialmente
• Da ultimo il tema delle
con questa tematica in modo ampio,
GENERAZIONI: l’innalzamento
sono state in particolar modo le aziende
dell’età media della forza lavoro, come
multinazionali, le aziende globali:
conseguenza dell’incremento della
ora è un tema con cui tutti si devono
aspettativa di vita e soprattutto delle
confrontare.
conseguenti difficoltà di finanziamento
L’esperienza personale e l’osservazione
dei sistemi pensionistici, ha acuito
degli eventi ci hanno insegnato che chi
questo tema creando una conflittualità di affronta consapevolmente questa tema,
fatto tra vecchie e nuove generazioni.
cogliendone le opportunità connesse,
Pensiamo all’incrocio organizzativo
sviluppa un ambiente in cui non ci si
tra i “Traditional”, i ”Baby Boomers”,
limita a rispettare le norme, le leggi
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 04
a garanzia delle pari opportunità di
impiego e sviluppo, ma un ambiente
in cui si riconosce e rispetta il fatto
che le persone sono “tutte uguali
e tutte diverse”, si è consapevoli
delle implicazioni di tali differenze
nell’ambiente lavorativo e quindi si
sviluppano i necessari approcci per
mettere a valore queste differenze
sempre più rappresentative di un mutato
contesto sociale.
Chi invece affronta il tema
considerandolo un problema da
amministrare e minimizzare, tende a
limitarsi al mero rispetto degli obblighi
di legge, rinunciando ciecamente ad una
opportunità. Molto spesso ne subisce le
conseguenze negative.
Il saper gestire la diversity ha una serie
di impatti positivi sia sul clima, sia sul
business ad esempio:
• Potenzia le performance degli
individui e dei gruppi di lavoro grazie ad
un clima positivo, basato sul rispetto e
sulla valorizzazione delle differenze
• Permette maggiore creatività ed
innovazione, aprendo gli orizzonti,
generando maggior numero di punti
di vista e quindi molteplici soluzioni a
fronte di problemi
• Stimola la curiosità intellettuale che
genera un costante progresso
• Potenzia la capacità di essere
globale e locale contemporaneamente
• Stimola la capacità di ascolto, anche
verso il mercato
ma certamente tutto ciò non è facile,
vi sono delle difficoltà, delle sfide da
affrontare.
Diversity, al di là della chiara matrice
etimologica comune (di-vergere,
uscire dal sentiero abituale), significa
uscire dalle proprie zone di comfort, di
abitudini, significa assumersi “rischi”
…e tutto questo diciamolo è fatica, ma
è una fatica con un bellissimo ROI sia a
livello personale, sia organizzativo, sia
di business.
Diversity significa innanzitutto mettere
in discussione se stessi, le proprie
certezze, le proprie abitudini….bisogna
crederci, bisogna avere una visione
che ci stimoli e che ci porti in questa
direzione, riuscendo a sormontare le
barriere comunicative e la naturale
resistenza al cambiamento.
Ecco perché nelle organizzazioni è
necessario che questo percorso, per
essere di successo, sia supportato da una
leadership consapevole del valore (anche
di business) di una cultura INCLUSIVA
delle diversità.
Una leadership che comunichi questo
valore culturale a tutta l’organizzazione
e che pretenda un agito coerente nel
giorno dopo giorno, un agito basato
su un forte valore di RISPETTO,
di ASCOLTO, di DIGNITA’: una
leadership che leghi anche incentivi
economici agli obiettivi di una
evoluzione culturale: “da equal
opportunities a diversity management”.
Non basta avere delle posizioni, dei ruoli
05 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
dedicati a ciò, ad esempio il Diversity
Manager, non basta dichiararlo: bisogna
agirlo ed agirlo in modo diffuso.
Mi viene in mente un parallelo con la
QUALITA’. Le aziende di qualità non
sono quelle che hanno il bollino, quelle
che hanno il QUALITY Manager; sono
quelle che la agiscono a tutti i livelli ed
in tutte le azioni quotidiane, sono quelle
in cui si respira la qualità dal momento
in cui si entra nel palazzo, virtualmente
o fisicamente, è un qualcosa che permea
il tutto.
Lo stesso è per la Diversity.
Nella mia esperienza le competenze
comportamentali da mettere in “palestra”
per potenziare le proprie capacità sul
tema in discussione sono 6, utilizzando
il dizionario delle competenze SCOA :
Competenze Tecnico Realizzative:
1. APERTURA ALLA DIVERSITA’
2. FLESSIBILITA’
Competenze Relazionali:
3. ASCOLTO
4. SENSIBILITA’ INTERPERSONALE
Competenze Gestionali:
5. SVILUPPO DEL BUSINESS
6. VISIONE
Da ultimo, costa fatica ma ne vale la
pena…buon lavoro !
Alberto Camuri*
“Diversità
e multicultura”
sviluppato un ambizioso programma
d’informazione e sensibilizzazione
all’utilizzo della metro. Dovendo
comunicare con i pubblici più disparati ed
eterogenei, ha opportunamente declinato
i messaggi in rapporto alle oggettive
differenze culturali. Per i ceti meno
abbienti, prevalentemente analfabeti, la
DMRC ha realizzato delle manifestazioni
teatrali itineranti per illustrare ai cittadini
di Marta Fiore
che, per esempio, non è possibile salire
sulla metropolitana con la mucca;
piuttosto che è impossibile prenderla al
volo, com’è uso, in India, per i treni o
gli autobus. Alcune settimane fa ho avuto
Il concetto di Diversità o Alterità
aristotelico, simbolo di una sola verità,
un’interessante discussione con il Direttore
ha rappresentato una costante del
di un unico standard di riferimento
Generale di una multinazionale italiana che
pensiero umano, sin dalle origini della
comportamentale e di un’Unità Assoluta
intende realizzare un percorso di coaching
speculazione filosofica. Dall’alterità più non è più attuabile. La polis è oggi
per i manager della sussidiaria cinese. “In
semplice e immediata -quella di genere- una aggregazione di tanti membri che
Cina non è pensabile che il Coach non sia
a quelle più complesse in cui nello stesso difendono tenacemente il loro diritto di
cinese” – “Per una questione linguistica?”
spazio e nello stesso tempo convivono
essere riconosciuti. Anche e soprattutto
– gli ho domandato. “No. La lingua è
tante diversità: di religione, cultura,
in quanto Alterità.
importante ma non fondamentale. I miei
storia, usi, costumi, appartenenza,...
Il 31 dicembre del 2006 il Times si è
manager parlano un ottimo inglese. E’ una
Il fenomeno della globalizzazione,
presentato al suo appuntamento annuale,
questione culturale: la capacità di leggere
potenziato dalle nuove tecnologie che
in essere dal 1927 e ha immortalato la
la diversità, cogliere quelle sfumature di
hanno reso possibile, attraverso i social sua “Person of the Year” in copertina.
significato che un occidentale non sarebbe
network, l’affermarsi di modelli di
Un monitor di un computer che imita
in grado di comprendere.”
comunicazione e relazione orizzontali
uno specchio così che il lettore possa
Sono questi esempi, in sé banali,
e accessibili alla maggioranza della
riflettersi e, al centro, la scritta “YOU”.
di come le Organizzazioni stiano
popolazione su scala mondiale, ha
Obiettivo del Times: testimoniare il
sviluppando una consapevolezza e
aumentato la consapevolezza del “fattore peso sempre maggiore dell’individuo
sensibilità sempre maggiore al tema
diversità” a scapito del “fattore identità” –strettamente connessa alla potenzialità
della diversità e una messa in atto del
e di una standardizzazione (peraltro attesa) espressa dalla rete - nell’influenzare i
principio “going global acting local”.
valevole world-wide.
processi decisionali globali e, di contro, la
Un approccio pragmatico a una realtà de
Questo interessa indistintamente lo Stato- progressiva perdita di controllo dei processi
facto che può anche essere detestata ma
Nazione e le Organizzazioni.
stessi da parte delle organizzazioni.
non ignorata.
Entrambi si trovano a operare in un
Oggi il vivere assieme presuppone una
mondo molteplice, complesso, in
continua negoziazione e conciliazione
rapido e continuo mutamento e quindi
di interessi diversi, spesso divergenti e,
Marta Fiore*
ambiguo, incoerente e incerto: il
come sostiene Bernard Crick, “di norma
capitalismo “soft”, come descritto e
è meglio conciliare interessi diversi che
teorizzato da Nigel Thrift in The Rise
reprimerli e opprimerli all’infinito.”
of Soft Capitalism. Fenomeno che anche Le Organizzazioni di successo stanno
R. E. Freeman in Strategic Management.
infatti attuando un cambiamento di
A Stakeholder Approach affronta da una
prospettiva: governano le relazioni non
prospettiva diversa: quella dei pubblici
attraverso il controllo ma attraverso la
(stakeholder) definiti come: «qualsiasi
costruzione di relazioni. Oggi vince
gruppo o individuo che influenza o è
chi riesce a proporre uno spazio in cui
influenzato dal raggiungimento degli
attivare e sviluppare le relazioni. E lo
obiettivi dell’organizzazione». L’effetto
spazio della relazione è innanzitutto il
forse preminente che interessa oggi
luogo del riconoscimento reciproco.
le Organizzazioni è la necessità non
E il riconoscimento reciproco passa
procrastinabile di dover dialogare e
dall’ascolto e dalla comprensione della
relazionarsi con un pluralismo di soggetti diversità di cui ciascun individuo è
consapevoli di aver diritto a un “legittimo espressione.
riconoscimento” di sé e della diversità
Il Direttore della Delhi Metro Rail
(di qualsiasi natura essa sia) di cui sono
Corporation, l’Ente che controlla
espressione. Il mito della “buona polis”
la metropolitana di Nuova Delhi, ha
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 06
Interculturalità
Intervista a Frèdèrique Sylvestre
Partner di Before ed esperta in Intercultura
In aggiunta, l’articolo “Intercultura e formazione
interculturale nelle aziende italiane” apparso su
Persone&Conoscenze nr 65 è pubblicato nel sito www.
coachmag.it
Interculturalità: relazione dinamica tra persone e gruppi
che hanno culture diverse. La Multiculturalità, invece, è
un fenomeno statico, le persone di culture differenti vivono
vicine ma non interagiscono tra di loro.
Di globalizzazione si parla e si agisce da molti anni, quindi
non è certo una novità l’aver a che fare con colleghi che
lavorano ed interagiscono in Paesi diversi. Per quali
ragioni l’Interculturalità è oggi un fenomeno considerato
importante dalle aziende?
Il fenomeno è importante perché le culture influenzano i
comportamenti umani e le relazioni tra le persone quindi
i risultati aziendali, il clima organizzativo, il modo di
lavorare, la qualità delle soluzioni... Si può dire che
le differenze di cultura condizionano gran parte delle
dinamiche organizzative e questo proporzionalmente alla
numerosità e l’intensità delle interazioni tra ruoli previsti
dalla struttura organizzativa. Nei contesti aziendali, ci sono
dei costi enormi per mancanza di preparazione delle persone:
tempi che si triplicano, stress, irritazioni, frustrazioni… che
portano a dei risultati ottenuti faticosamente e spesso appena
soddisfacenti.
La nostra esperienza professionale ci porta ad ascoltare il
racconto di tante situazioni dove le differenze di cultura
producono problematicità limitando così la qualità dei
risultati. Il mancato rispetto delle scadenze, la discrepanza
nella valutazione di determinate situazioni, la noia o
l’irritazione nei meeting internazionali perché gli elementi/
gli stili ritenuti importanti in una comunicazione sono
diversi, il disallineamento sulle priorità… sono alcune delle
difficoltà che si verificano e che creano una delusione delle
aspettative reciproche.
Questi esempi si riscontrano anche nelle relazioni
interpersonali tra colleghi di una stessa cultura ma c’è una
differenza essenziale nelle relazioni interculturali: l’assenza
di codici interpretativi per comprendere il comportamento
dell’altro. Questo fattore peculiare delle relazioni
interculturali aumenta lo stato emotivo di disorientamento
e il sentimento di ambiguità e per questo stereotipi e
pregiudizi finiscono per avere una funzione rassicurante.
Va però precisato che non tutte le aziende sono consapevoli
dei fenomeni che abbiamo descritto. Ci sono aziende che
non valutano come importante la diversità culturale oppure
che la minimizzano con la credenza che gli obiettivi da
raggiungere garantiranno l’allineamento di tutti.
In queste organizzazioni prevale la convinzione che la
cultura aziendale è talmente forte da far collaborare le
persone efficacemente al di là delle differenti culture.
Eppure, l’esperienza dimostra che la concezione stessa degli
obiettivi da raggiungere si differenzia tra le culture…ma per
queste aziende si da per scontato che quello che è valido per
sé lo sarà anche per altri.
Infine, è importante notare che il modo di rispondere alle
differenze di cultura è molto diverso tra le aziende.
Si osserva che la consulenza/formazione interculturale è uno
strumento particolarmente utilizzato dalle aziende europee
mentre quelle americane tendono a governare il fenomeno
attraverso la sistematicità di strumenti come mobilità,
job rotation, selezione di persone che abbiano un profilo
internazionale…
Quali sono gli errori più comuni che le persone affrontano
nel lavoro quotidiano con i colleghi “esteri”?
Si potrebbe parlare (e spesso è quello che emerge
maggiormente nelle discussioni) degli errori o meglio delle
gaffe quotidiane causate dalla non conoscenza di usi e
costumi altrui e che non risparmiano chi lavora all’estero
(intendiamo il tipo di regalo da portare a chi invita a cena,
i colori che devono avere i fiori o il foulard che si vuole
offrire, le modalità di presentarsi oppure ancora il posto
dove ci si siede…).
Potremmo dire che questi errori sono quasi infiniti, ma
personalmente non li considero così rilevanti. Nel mondo del
business, i nostri interlocutori di cultura diversa sanno che i
nostri costumi sono differenti e in un qualche modo tendono
a passare oltre.
Conoscere tutti gli usi e costumi che caratterizzano
ogni paese non è certo l’obiettivo di una preparazione
interculturale. La consapevolezza però che si possano fare
tanti errori di questo tipo è essenziale poiché permette di
gestire la relazione con l’altro in modo appropriato.
Molto più rilevante invece è quello che nel campo
07 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
dell’intercultura viene chiamato l’etnocentrismo per il quale
non parlerei di errore ma di atteggiamento difensivo e per
questo più impegnativo, se si vuole preparare/formare le
persone alle relazioni interculturali.
L’etnocentrismo protegge dalle differenze culturali
negandole, minimizzandole oppure ancora valutandole in
modo dispregiativo con la convinzione che il proprio modo
di fare è migliore di quello dell’altro o che il modo di fare
dell’altro è migliore del proprio (si tratta in questo caso dello
stesso meccanismo, ma rovesciato).
È chiaro quindi che in queste situazioni la relazione con
l’altro diverso risulterà difficile, imprigionata dalle proprie
convinzioni e improntata alla sfiducia.
Cosa raccomanderesti alle aziende per evitare che i soliti
errori di base vengano ripetuti ad ogni nuovo progetto
o per ogni nuova persona che entra nell’organizzazione
internazionale di forma matriciale?
Accompagnare le persone dall’etnocentrismo
all’etnorelativismo è l’obiettivo generale che persegue la
consulenza e la formazione interculturale.
Vuole dire quindi prima di tutto essere consapevoli che le
differenze tra persone di culture diverse esistono. Questo
avviene non solo quando si tratta di culture molto distanti
dall’Italia come la Cina e l’India, ma anche per quelle
geograficamente vicine come la Francia e la Germania.
La consapevolezza permette di accrescere la capacità di
osservazione e quindi di attenzione e curiosità verso l’altro.
È il riconoscimento delle differenze.
Il passaggio successivo consiste nell’accettare le differenze,
il che significa comprenderle nel loro contesto. Mi
preme sottolineare che comprenderle non significa farle
proprie, il valore aggiunto delle differenze è dovuto alla
loro integrazione, non alla loro eliminazione. In questa
fase è molto importante saper formulare delle ipotesi per
comprendere queste differenze, ipotesi che dovranno essere
verificate con l’altro per instaurare una comunicazione
generativa.
Infine, si potranno valorizzare quelle differenze e cioè
utilizzarle insieme alle proprie per accrescere la qualità dei
risultati.
Si tratta quindi di riconoscere, accettare e valorizzare l’altro
nelle sue differenze, ma anche, e questo è spesso un aspetto
del quale ci si dimentica, di essere riconosciuti, accettati e
valorizzati dall’altro nelle nostre differenze.
Questo implica che la Formazione Interculturale è tesa a
facilitare la creazione di relazioni di fiducia tra le persone
e la responsabilizzazione sulle conseguenze delle propri
comportamenti.
Quali sono i pregiudizi ricorrenti degli Italiani? E da quali
pregiudizi devono difendersi?
I pregiudizi sono relativi a “chi guarda chi”. I pregiudizi
dei russi verso gli italiani sono diversi da quelli degli
americani… così come i pregiudizi degli italiani verso
i tedeschi sono diversi da quelli degli inglesi verso i
tedeschi. Solitamente il pregiudizio nasce nelle persone per
rassicurarle su ciò che comprendono e si presenta come una
spiegazione superficiale delle differenze.
Le differenze sono però relative all’identità culturale e
quindi non esistono delle disuguaglianze in assoluto ma sono
sempre legate all’osservatore.
Ho però avuto modo di constatare ripetutamente che
l’appartenenza aziendale influenza la tipologia di pregiudizi
che circolano. In tal senso, quando l’azienda è italiana, i
pregiudizi verso altre culture sono tendenzialmente negativi
mentre quando l’azienda è straniera, si osservano da parte
degli italiani più che altro pregiudizi positivi verso l’altro e
negativi verso se stessi.
Questo fenomeno porta ad una considerazione rilevante:
il potere in gioco nelle relazioni interculturali (il potere
della sede aziendale rispetto alle filiali, il potere della
padronanza di una lingua, il potere della maggioranza in un
gruppo…). La formazione interculturale ha la responsabilità
di lavorare su questo fattore per essere efficace.
In Before, i miei colleghi interculturalisti ed io, siamo molto
attenti nelle scelte delle provenienze culturali dei formatori
coinvolti nei progetti di formazione interculturale.
Ci facilita il fatto che noi stessi siamo un team interculturale,
avendo in Before colleghi francesi, tedeschi, polacchi,
australiani… ma anche italiani con esperienze di vita e
lavoro in altri paesi. Per esempio due dei nostri colleghi
italiani hanno una profonda conoscenza della Cina avendoci
vissuto per lungo tempo.
L’obiettivo che proseguiamo è quello di equilibrare le
posizioni sociologiche di potere in un gruppo scegliendo
dei formatori di provenienza culturale diversa del gruppo
dei partecipanti. Questo permette anche di facilitare i
componenti nel riconoscere e nell’esplorare le specificità
culturali dei loro colleghi stranieri.
Parecchi coach si occupano di corporate coaching a livello
Internazionale e tra i loro coachee hanno expat manager.
Cosa vorresti suggerire a questi coach per migliorare le loro
competenze Interculturali?
Direi che ci sono due aspetti caratteristici dell’esperienza di
espatrio da gestire.
Il primo è lo shock culturale, una persona che si
trasferisce in un paese diverso dal proprio sperimenta
un forte disorientamento dovuto all’inefficacia dei
propri comportamenti e alla difficoltà di comprendere i
comportamenti degli altri. In queste situazioni, fortemente
impegnative sul piano emotivo è facile che la persona
adoperi delle difese che rallenteranno il suo inserimento.
Il coach ha quindi la responsabilità di conoscere le
dinamiche dello shock culturale, di averle vissute per
riconoscerle nel suo coachee e per accompagnarlo ad
identificare le risorse che lo porteranno ad elaborare delle
strategie efficaci di superamento.
Il secondo è che una persona in espatrio tenderà ad
interpretare le proprie responsabilità di ruolo relativamente
alle credenze culturali che lo influenzano. Sarà quindi
utile che il coach sappia fare delle ipotesi per accedere alle
convinzioni culturali del suo coachee e quindi sostenerlo per
ospitare una pluralità interpretativa.
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 08
Hai un caso o due da raccontare ai lettori di CoachMag?
Qualche aneddoto?
“Qual è il peggior nemico delle tirannie, dei pregiudizi e
delle inerzie che soffocano la vita?” Voltaire diceva : “Il
ridere”.
Ti racconto quindi per finire con un nota umoristica quello
che emerge quando proponiamo ai gruppi interculturali con
i quali lavoriamo di creare delle scenette oppure dei fumetti
umoristici sugli stereotipi.
L’attività richiede l’esagerazione, l’assurdo, la
generalizzazione “abusiva”… e viene realizzata dalle stesse
culture in presenza nel gruppo. Gli italiani… sono quelli
che arrivano in ritardo, che non spengono il cellulare nelle
riunioni, che chiamano oppure sono chiamati dalla mamma,
che propongono i break per bere un caffè, che si fanno carico
di dove andare a mangiare, che abbracciano i colleghi, che
seducono e che di tutto ciò ridono…
La prossima volta ti racconterò quello che emerge quando ci
sono dei francesi nel gruppo!
Intervista a Frèdèrique Sylvestre* a cura di Marina Fabiano
09 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
“Esperienze di coaching nella diversity:
la managerialità al femminile”
Dalla leadership “imitativa” alla leadership integrativa
di Rosaria Montalbano
Il mondo del femminile è una tavolozza
di colori, con mille sfumature, che
rappresenta un’articolata diversità
di emozioni, idee, profondità e
innovazioni. E’ quello che ho percepito
sistematicamente in questi ultimi anni
nei percorsi di coaching dedicati alle
donne.
Il presente articolo vuole essere uno
stimolo alla riflessione riguardo i
cambiamenti che si sono susseguiti negli
anni, nel panorama della managerialità
femminile.
la popolazione femminile incontra
nell’espressione delle proprie capacità e
nel ricevere riconoscimenti per il proprio
operato (es: netta prevalenza di uomini
a ricoprire i livelli di quadro e dirigente
rispetto alla popolazione femminile;
donne promosse solo a valle di livelli
più elevati di valutazione rispetto agli
uomini; aumenti mediamente concessi
agli uomini in quantità maggiori; età,
titolo di studio e anzianità aziendale
che non sono riconosciuti come valore
al sesso femminile mentre, al contrario,
spinge più in alto il valore della RAL
Solo cinque anni fa la leadership delle
degli uomini), nonché specificità
donne era imitativa di uno stile maschile, comportamentali e stile manageriale
questo è confermato da un progettodella popolazione femminile che
ricerca della società cui appartengo, al
ricalcava in gran parte quello maschile.
quale ho partecipato, che ha previsto
• Percorsi di coaching individuali,
diverse fasi di processo.
finalizzati allo sviluppo di
In particolare, il progetto, realizzato
comportamenti di leadership valorizzanti
nell’ambito del contesto farmaceutico,
la diversità femminile, attraverso
ha riguardato il tema della Diversity,
la definizione di Piani di Azione
intesa chiaramente come identità di
personalizzati.
genere, che è nato grazie alla volontà
dell’Organizzazione, non solo di
Il progetto, con i percorsi di coaching
individuare possibili diversità culturali
per le donne Executive, in particolare,
ma anche di favorire, eventualmente si
rappresentava la possibilità di creare un
fossero individuate delle discriminazioni nuovo approccio che contribuisse ad una
gestionali e/o comportamentali, di
“rottura” con il passato e che orientasse a
valorizzare la diversità al proprio
nuove filosofie e strategie di intervento,
interno. Il progetto si è articolato in più più attuali ed innovative, mirate ad
macro fasi:
enfatizzare le diversità, a valorizzare le
• Analisi preliminare del contesto
differenze di genere e, in tale prospettiva,
(caratteristiche anagrafiche, livello di
a sostenere modelli di leadership
inquadramento e retribuzioni, percorsi
“inclusiva”: il femminile con il maschile.
di carriera, livelli di performance, %
di copertura in ruoli chiave), relativi
I percorsi di coaching, che hanno
alla popolazione aziendale, maschile e
interessato le Executive Manager, hanno
femminile.
toccato fondamentalmente tre fasi:
• Identificazione/Definizione del
1. valorizzazione dei comportamenti
Modello di Leadership, attraverso
femminili specifici, quali l’empatia e
l’esplorazione di comportamenti premianti l’intelligenza relazionale, ma anche
e di eccellenza, sia femminili, sia maschili. senso di appartenenza, spirito di
• Elaborazione dei dati rilevati, che
squadra e forte responsabilizzazione
ha messo in evidenza gli ostacoli che
al ruolo manageriale, con conseguente
orientamento ai risultati finali.
Gli snodi chiave dei percorsi di coaching
hanno permesso di ripercorrere i propri
episodi di successo manageriale, i
risultati raggiunti, anche in termini di
clima favorito all’interno del team e
di collaborazione interfunzionale, che
hanno consentito il raggiungimento di
risultati comuni aziendali;
2. “inclusione” di comportamenti
più tipicamente maschili ritenuti, dal
femminile dell’Organizzazione, funzionali
a raggiungere obiettivi importanti, come
la capacità di leggere i trend evolutivi,
la visione strategica e il focus sulla
crescita e lo sviluppo del team, come
parte del proprio processo di maturazione
manageriale, il che ha favorito il focus
su azioni e attività che le Manager hanno
posto in atto all’interno di “palestre”
di sviluppo personale e con i propri
collaboratori;
3. evitamento dei comportamenti
di stile maschile, come ad esempio
l’accento, quasi esclusivo, posto ai
risultati e conseguente predominanza
dello stile di leadership direttivo,
vissuti come non propri e dunque non
autentici, meno spontanei e certamente
meno positivi in termini di risultato,
che ha connotato la massima parte dei
percorsi, con il fine di permettere alle
Executive di recuperare il proprio spazio
di contribuzione vera, autentica ma
anche di responsabilità manageriale nel
trasporre le proprie volontà e il proprio
stile con consapevole motivazione.
A distanza di 5 anni circa, una nuova
esperienza con Executive Manager,
realizzata presso un’azienda petrolifera, ha
posto in risalto cambiamenti evidenti della
managerialità femminile.
Il progetto ha previsto un processo
intermodulare, dedicato allo sviluppo della
leadership, sia in termini di costruzione
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 10
di una identità di leadership forte,
solida e specifica dell’Azienda, sia
come costruzione di una responsabilità
manageriale a 360° (verso i propri
collaboratori, in termini di sviluppo e
motivazione, verso i colleghi, in termini
di iniziativa e contribuzione fattiva, sia nei
confronti dei propri capi, in funzione di
comportamenti influenzanti e propositivi).
In particolare, il processo ha previsto più
moduli:
• Outdoor Sailing (I Modulo), la
barca a vela come metafora aziendale e
il mare metafora del contesto esterno,
complesso e competitivo, per un primo
processo di conoscenza ed integrazione
interfunzionale, tra i partecipanti
e di sperimentazione della propria
managerialità.
• Sessioni di Coaching individuali (II
Modulo), per uno spazio più “privato”,
funzionale a riflettere su di sé, sui
propri comportamenti manageriali e di
contribuzione al benessere della squadra e
dell’Azienda.
• Leadership integrativa (III Modulo),
dove il gruppo, nuovamente unito, funge
da generatore di idee, suggerimenti,
innovazioni e feedback mirati al supporto
reciproco.
• Leadership dello sviluppo (IV
Modulo), volto a strutturare comportamenti
manageriali più consapevoli e responsabili,
di sviluppo e motivazione degli altri.
Fin dalle prime istanze del percorso le
Manager hanno fatto emergere le loro
specificità che, in qualche misura, si
connotavano come cambiamenti forti
della managerialità femminile negli
ultimi anni. Ciò è risultato ancora più
evidente nei percorsi di coaching, dove i
temi portanti hanno riguardato:
• il mantenere la propria integrità,
all’interno di un’azienda con regole, stili,
modalità e cultura prettamente maschili;
• “l’essere e l’esserci”, nella prospettiva
di annullare l’appiattimento con il modello
maschile, con il rischio di essere altro da
sé, piuttosto valorizzare il proprio modo di
essere manager, partecipando attivamente
alla ridefinizione della cultura e dei
valori aziendali, all’interno di una
impresa complessa;
• il realizzare una leadership
autentica, frutto delle proprie
caratteristiche, che si connotano per
visione di insieme, problem solving,
capacità di pianificazione, ascolto e
sensibilità relazionale;
• il rimodulare il comportamento
manageriale, in ottica di worklife
balance, e optare per uno stile di lavoro/
vita privata in linea con le esigenze di
carriera, professionalità, ma anche con
le necessità personali da esprimere fuori
dell’Azienda.
proprie specificità, laddove sono ormai
consapevoli del valore che possono
apportare nella managerialità, spesa a
vantaggio dell’Azienda.
La cosa paradossale, in tutto ciò, è
che questo modo di essere più vero
e autentico, è apprezzato anche dagli
uomini che, a questo punto, fanno
spazio, condividono e si rendono
disponibili a collaborare con il
femminile, trovando in questa nuova
opportunità possibili altri traguardi
e potenzialità da perseguire in modo
condiviso.
CONCLUSIONI
Sono certa di rappresentare un pensiero
decisamente contro corrente rispetto a
tanta letteratura, ricerche e convegni
centrati sul tema della diversity e, in
particolare, sulla leadership al femminile.
Tuttavia, malgrado mi renda conto che le
donne in azienda debbano realizzare ancora
molti passi per arrivare ad una corretta
di Rosaria Montalbano
valorizzazione del loro modo di essere,
ritengo che abbiano raggiunto dei traguardi
significativi, ad oggi.
Tale considerazione nasce dal fatto che,
lavorando al fianco di molte manager donne
in aziende complesse, ho potuto verificare
negli anni cambiamenti consistenti.
I cambiamenti più significativi si
possono sintetizzare in una maggiore
consapevolezza del proprio “potere”,
con il conseguente esercizio conscio del
proprio valore; ciò sta comportando
una maggiore fiducia nelle proprie
capacità e potenzialità che le donne
manager sfruttano a vantaggio della
messa in campo, più autentica e
spontanea, di uno stile manageriale
integrativo che non esclude, ma
include. Lo stile di leadership al
femminile concepisce, in particolare, il
cambiamento e la sfida continui (per i
quali le donne sono fortemente allenate),
tiene conto dell’impegno nel lavoro,
ma anche delle necessità di conquistare
energie al di fuori dell’Azienda, per
essere più efficace nell’Azienda, che si
immedesima nell’altro che è vissuto, in
questo modo, come persona e dunque
come entità e valore.
La volontà forte e consolidata che
emerge è quella di esserci in modo
autentico, con il proprio stile, con il
proprio modo di essere, valorizzando
le emozioni, l’attenzione alle persone e
le capacità relazionali, di cui le donne
sono portatrici, ma soprattutto la volontà
di costruire una propria identità, il
che può far pensare alla costruzione
di confini, certamente non rigidi ma
permeabili, nella misura in cui le
donne accettano di far proprie alcune
modalità più tipicamente maschili, se
funzionali all’Organizzazione, nello
stesso tempo intendono far risaltare le
11 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
E’ proprio vero che le
donne sono diverse dagli uomini?
LeaderShe®
di Simona Manzone e Sheyla Rega
Dal punto di vista fisiologico il cervello femminile ha lo
stesso numero di cellule cerebrali dei maschi, solo più
fittamente ammassate in una scatola cranica più piccola.
A differenza degli uomini le donne sono molto influenzate
dai flussi ormonali: alcune parti del loro cervello cambiano
assetto venticinque volte al mese.
Questo comporta un modo diverso della donna di percepire
la realtà ma anche il fatto di avere valori e desideri
generalmente diversi dagli uomini.
Le donne hanno mediamente più neuroni dedicati al
linguaggio e all’ascolto (circa +11% rispetto ai maschi);
l’ippocampo, principale centro di controllo delle emozioni
e della formazione dei ricordi è più sviluppato, così
come l’insieme dei circuiti dedicati al linguaggio e
all’osservazione delle emozioni altrui.
Questo comporta una maggior capacità delle donne di
esprimere le loro emozioni e di collegarle ad eventi.
Essendo naturalmente portate ad utilizzare più forme di
comunicazione sono maggiormente attratte dai lavori che
favoriscono la socializzazione.
Il cervello femminile reagisce in modo diverso allo stress e
all’aggressività. Non essendo influenzate dal testosterone,
le donne cercano di evitare gli attriti; la discordia le mette
in conflitto con il loro bisogno di armonia, di ricevere
l’approvazione e le cure dagli altri.
I conflitti e le tensioni provocano nel cervello femminile una
reazione di allarme molto più intensa che in quello maschile.
Quando un uomo entra in una situazione di conflitto questo
provoca in lui un afflusso ormonale che generalmente
lo spinge all’azione fino ad arrivare a reazioni fisiche
immediate. Per questo motivo gli uomini apprezzano la lotta
e la competizione e a volte ne traggono stimoli positivi.
Nella donna i dissidi mettono in moto una valanga di
reazioni chimiche provocando sensazione di turbamento,
ansia, paura, perdita di autostima.
Il circuito della difesa femminile è più strettamente connesso
alle funzioni verbali ed emozionali.
E’ più lento rispetto a quello degli uomini; questo è dovuto
al fatto che le emozioni vengono analizzate e riesaminate…
ma una volta che i veloci circuiti verbali si mettono in moto
possono arrivare a dar libero sfogo ad una valanga di frasi
rabbiose!
In che modo le aziende tengono conto delle differenze di
genere?
Lavorando al servizio delle aziende ci siamo accorte che le
donne hanno tendenzialmente approcci diversi dagli uomini
dovuti al diverso funzionamento del cervello femminile
rispetto a quello maschile.
Ma le organizzazioni sono per la maggior parte improntate
su modelli comportamentali e sociali maschili.
Questo comporta il fatto che di norma si tenda a
sottovalutare i talenti delle donne e a dare maggior evidenza
alle loro criticità in quanto risaltano maggiormente in un
contesto “classico” di comportamento organizzativo.
Citiamo di seguito alcuni comportamenti caratteristici della
diversità uomo-donna nei rapporti di lavoro.
• Rispetto al modello comportamentale maschile le
donne sono più emotive, danno più peso a quello che gli altri
pensano di loro
• Hanno un difficile rapporto tra aggressività e remissività
• Fanno maggior fatica a “chiedere”, a negoziare e
soprattutto a dire di no alle richieste degli altri
• Hanno un’autostima più fragile ed “altalenante”
• Sono confrontate a delle scelte difficili (o rinunce?)
tra vita privata e carriera che possono impattare la loro
autostima
• Hanno maggior difficoltà a gestire i conflitti
• Ma sono anche maggiormente orientate al “compito”,
all’esecuzione
Questi elementi potrebbero essere all’origine delle difficoltà
che le donne riscontrano nel far carriera oltre il cosiddetto
“soffitto di vetro”: quel limite intangibile del loro percorso
professionale oltre il quale fanno fatica ad andare.
I dati parlano chiaro: in Italia la presenza femminile nei
Consigli di Amministrazione di grandi aziende è pari al 5,5
%, mentre è del 17% in Svezia, 14% in Gran Bretagna; 7%
in Francia, 6% in Spagna, 14 % negli Stati Uniti.
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 12
Qual è il nostro approccio al tema delle differenze di genere?
La nostra idea è che non sia più possibile un approccio
indistinto al tema della leadership.
Al contrario: è arrivato il momento di lavorare sulle
“differenze” tra donna e uomo.
Occorre cioè prendere atto dell’esistenza di una oggettiva
“diversità”, caratterizzata da un diverso corredo di partenza,
una difformità di obiettivi, una maggiore dialettica da parte
della donna tra il proprio ruolo privato e quello pubblico e
lavorativo.
In generale nella donna c’è molto talento inespresso ed una
latente sfiducia nelle proprie capacità.
Il nostro obiettivo è quello di offrire alle donne la possibilità
di acquisire una migliore conoscenza e consapevolezza
di sé, del proprio potenziale e delle proprie specificità di
genere per aiutarle a valorizzare le risorse che portano in sé,
affiancandole nel costruire percorsi personali e professionali
di successo.
Abbiamo quindi ideato percorsi di coaching per valorizzare
queste differenze al fine di affinare, sviluppare e a volte
scoprire i propri talenti, smussando le criticità e nel
contempo rafforzando l’autostima e la fiducia in sé stesse.
13 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
Il recente studio “Women matter” di Mc Kinsey ha inoltre
dimostrato che i comitati esecutivi con una maggior
presenza di donne sono quelli che portano risultati di
business superiori: maggior redditività e andamento
di borsa di successo.
Siamo profondamente convinte che lo stile di leadership
vincente per le aziende che desiderano gestire con successo
la complessità del mercato globale sia quello
del “doppio-misto”.
Per questo motivo proponiamo alle organizzazioni una
nuova modalità per valorizzare il loro capitale umano
“femminile” sviluppando una cultura capace di accogliere ed
integrare le differenze.
Simona Manzone e Sheyla Rega
*LeaderShe nasce nel 2007 dall’intuizione di alcune
consulenti con una ventennale esperienza nel settore della
consulenza e della formazione manageriale, per rispondere
al bisogno delle donne di ricevere un’offerta formativa
attenta alle differenze di genere per lo sviluppo delle loro
competenze di management e di leadership.
Chi, io?
Fare coaching in lingua? Mai!
di Valerie Ryder
Quante volte negli ultimi otto anni ho sentito stimati colleghi
– coach esperti – dirmi, “Non è pensabile che riesca a fare
coaching in una lingua straniera, non la parlo abbastanza
bene!” Ogni volta rimanevo ammutolita. Come può un
valido professionista, che parla inglese meglio del mio
italiano, dirmi che non lo parla sufficientemente bene?
Come executive coach madrelingua inglese che vive e lavora
in Italia dal 2003, tengo sessioni di coaching in italiano (e
in francese) con una padronanza non certo perfetta delle
due lingue. In base alla mia esperienza, ritengo che tutte
queste incertezze sul fare coaching in lingua siano per lo
più il risultato della paura, malamente nascosta sotto forma
di dubbi razionalmente spiegati, di non essere abbastanza
competenti. Voglio cogliere questa occasione per dimostrare
che, coloro di voi che condividono dubbi simili potrebbero,
in realtà, essere dei coach efficaci anche in lingua straniera.
Quali sono appunto gli ostacoli che ci auto-imponiamo e
che ci bloccano? Come possiamo superarli? Cominciamo da
alcune delle giustificazioni.
“Il mio inglese (spagnolo, francese...) parlato è inadeguato”.
Eccovi alcuni spunti di riflessione per mettere le cose nella
giusta prospettiva. Come coach abbiamo appreso che la
conversazione di coaching ottimale è quella in cui il coachee
parla per i ¾ del tempo lasciando al coach il restante 25%.
Ora, la scienza della comunicazione ci insegna che il 55%
del messaggio ricevuto è trasmesso grazie ai movimenti del
corpo, soprattutto le espressioni facciali; il 38% dagli aspetti
vocali, in particolare il volume, il tono e il ritmo della voce;
ed un mero 7% dall’aspetto verbale. Facciamo i conti: meno
del 2% (25% x 7% = 1,75%) della conversazione è riposta
nelle vostre parole.
Risulta quindi ovvio che, per una così minuscola percentuale
della comunicazione di coaching, la capacità di esprimersi
ad un livello verbale di base è sufficiente, lasciando che
gli aspetti vocali e la comunicazione non verbale facciano
il resto – ascoltare attivamente, dimostrare empatia e
comprensione, avere una postura attenta, adottare espressioni
facciali adeguate, etc. Chiedetevi in modo oggettivo : Ho
una conoscenza di base della lingua parlata? Attenzione,
ciò non significa trovare la parola o la frase perfetta, ma
essere in grado di farsi capire attraverso sinonimi, metafore,
una parola straniera o qualche altro stratagemma. Se la
risposta è si, allora il tuo inglese (o altra lingua) parlato è
adeguato.
“Non riuscirò a comprendere le sfumature verbali utilizzate
dal coachee”
I coachee usano sempre sfumature, ed a volte non siamo
in grado di comprenderle nemmeno quando condividiamo
la stessa lingua madre. Per essere sicuri di aver compreso
correttamente la questione, formuliamo semplicemente
ulteriori domande. E’ esattamente la stessa cosa quando si
sta lavorando con un coachee in un’altra lingua. Non capisci
una parola, una frase, un concetto? Chiedigli di ripeterlo.
Ancora non chiaro? Chiedi un esempio o di descrivere la
situazione in un altro modo. Ciò dimostra il tuo impegno a
voler comprendere ed aiutare il coachee, indipendentemente
dalla lingua utilizzata.
“Non sarò in grado di capire la realtà del coachee perché
appartiene ad una diversa cultura”
Quante volte hai fatto coaching ad una persona
considerevolmente diversa da te? Qualcuno proveniente
da un ambiente lavorativo, socio-economico o familiare
significativamente diverso? Un coachee con uno stile di
vita, un percorso educativo, un approccio alla vita diverso
dal tuo? Succede spesso e molto probabilmente non ti
ha impedito di essere un bravo coach per quella persona.
Una diversa cultura nazionale è semplicemente un altro
tipo di diversità da affrontare allo stesso modo – facendo
affidamento alle tue comprovate competenze come coach.
“Non ci sarà compatibilità coach-coachee”
Questa obiezione è assolutamente vera e si applica a tutti i
potenziali coachee. Solo perché condividi la stessa lingua
madre non significa che sei il coach giusto – potrebbe non
esserci compatibilità. Succede. Diversamente, potresti avere
un’ottima alchimia con uno straniero. Perché lasciare che
un dettaglio come la lingua diventi un ostacolo? Perché
non considerare invece la tua esperienza, conoscenza,
competenza, personalità, volontà e capacità di aiutare
la persona a raggiungere i propri obiettivi? Sei pronto a
relegare tutto questo in un angolo solo perché può accadere
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 14
di non trovare la parola perfetta o non comprendere appieno
un’eventuale espressione idiomatica che il coachee potrebbe
– forse – impiegare?
Ora che queste giustificazioni (normalmente superficiali)
sono state respinte da argomenti razionali, cosa resta? C’è
qualcosa in te che dice, Sì, tutto questo ha un senso, ma
ancora non sono convinto di poter fare coaching in una
lingua straniera?
Eccoci, diciamoci apertamente la verità.
“Sarò percepito come incompetente”
Variazioni sul tema sono: “Rovinerò la mia reputazione,
perché rischiare?” oppure, “Dovrò dire addio alla possibilità
di lavorare in futuro con il cliente”. Questi pensieri
costituiscono spesso il nocciolo del problema, e sono una
combinazione di convinzioni autolimitanti, ristretta fiducia
nelle proprie capacità, e paura di essere inadeguati e delle
conseguenze che ne derivano. Suona familiare? Dovrebbe.
La paura è molto spesso alle radici delle problematiche che
aiutiamo i nostri coachee ad affrontare e, dal momento che
anche noi siamo umani, è solo naturale che sia anche alle
radici delle nostre.
Quindi, come vincere questa paura?
Eccovi solo alcune possibilità:
• Immagina i benefici : Più elevata soddisfazione
personale e professionale. Un mercato più ampio, nuovi
clienti, nuove persone su cui puoi avere un impatto positivo.
Nuove esperienze e conoscenze relativamente a culture
diverse. Maggior fiducia e convinzione nelle proprie
capacità.
• Comincia con la politica dei piccoli passi, uno alla
volta. Minimizza il rischio, le variabili impreviste, facendo
coaching ad un amico o collega straniero per far pratica, pro
bono oppure no.
• Procurati nel processo l’aiuto e il supporto di qualcuno
in cui hai fiducia.
• Rendilo parte del tuo piano di sviluppo personale.
• Considera il modo in cui hai superato altre sfide
professionali ed applica simili riflessioni, processi e metodi.
Come straniera in Italia mi considero fortunata: sono stata
in un certo modo buttata nell’arena e, per poter raggiungere
i miei obiettivi professionali, obbligata ad affrontare i miei
timori e i miei dubbi sul fare coaching in una lingua diversa
dall’inglese.
La maggior parte dei coach hanno tuttavia una possibilità
di scelta. Se sei tra questi ti incoraggio a scegliere di
confrontarti con queste paure e convinzioni autolimitanti.
Accetta la sfida di metterti alla prova. Con tutta probabilità
ti sorprenderai di essere sì, in effetti, capace di fare coaching
in una lingua diversa dalla tua.
Valerie Ryder*
15 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
10 azioni perfette
per leader multiculturali
di Marina Fabiano
Insieme alla globalizzazione che avanza
a grandi passi, procede la necessità di
essere leader e coach efficaci in ambienti
multiculturali. Ottenere ottimi risultati in
realtà internazionali significa prendersi
il tempo per apprendere e coltivare
relazioni interculturali riconoscendone le
complessità.
snobbando la conoscenza personale del
venditore e della sua famiglia. Ci sono
voluti altri due anni per riprendere la
trattativa.
4. Non aver timore di chiedere,
non avere fretta, sii certo del
linguaggio adeguato prima di parlare.
In sintesi: allineati prima di agire.
5. Sviluppa obiettività verso la tua
Una decina di suggerimenti dedicati
cultura. Ci vuole umiltà per guardare la
possono fare la differenza tra essere
propria cultura nei confronti degli altri e
parte di un team multiculturale e
non pensare di essere sempre nel giusto.
relazionarsi con successo in un gruppo
6. Riconosci le caratteristiche
interculturale.
comportamentali vincenti. Ad esempio,
1. Identifica il tuo mentor boss/coach se si cerca un orientamento praticoad alto livello gerarchico. Nelle aziende operativo, molto probabilmente un
e nelle associazioni globali, è importante Americano avrà le competenze adeguate.
avere un riferimento internazionale ai
Nel caso siano indispensabili sottili
piani alti.
tecniche di comunicazione, forse un
2. Mostra interesse per i collaboratori Brasiliano sarà il più adatto. Comunque,
ad ogni livello; ciò è particolarmente
è utile sapere bene cosa muove le
importante per manager o coach che
persone nelle diverse culture, il che
lavorano all’estero. La comunicazione
è estremamente variabile da Paese a
individuale verso ambienti diversi
Nazione, da elementi motivatori tangibili
contribuisce alla creazione di fiducia e
come il denaro, ad altri che includono
alla conoscenza reciproca. Ad esempio, status symbol, alla relazione con
un boss Americano in visita trimestrale
l’autorità.
in Cina, si è impegnato a trascorrere
7. Identifica gli elementi nazionali ad
un paio d’ore ogni volta con gruppi
impatto negativo. Specialmente quando
diversi di collaboratori, entrando così
parli in una lingua straniera, le finezze
in contatto con quasi tutti gli impiegati, del linguaggio, i termini diplomatici,
dando occasione di fare domande e
l’accuratezza, qualcosa può andar perso
soprattutto offrendo risposte sincere,
nella traduzione. Alcuni idiomi possono
non preconfezionate e in forma verbale suonare duri o aggressivi per via della
(evitando così quelle pompose aride
loro struttura fonetica, anche se chi
e-mail urbi et orbi, piene di belle parole parla non ha certo questa intenzione. Ad
ma povere di emozioni).
esempio, un Cinese che parla in Inglese
3. Impara ad adattarti. Non è
può apparire troppo diretto a causa del
necessario cambiare il proprio modo
vocabolario ristretto e della limitatezza
di essere, ma è indispensabile sapersi
nella comunicazione non verbale.
adattare alle normative culturali, dal
8. Costruisci una cultura che
linguaggio agli argomenti ai protocolli
vada oltre le nazionalità. I veri leader
comportamentali. Ad esempio, una
incoraggiano la diversità e cercano
fusione organizzativa in Argentina
rappresentanti di varie geografie.
fu sospesa quando un manager entrò
Esistono aziende in grado di mettere
troppo rapidamente nella negoziazione, insieme competenze forti, flessibili e
senza pregiudizi culturali, abili nella
collaborazione e nella considerazione
multiculturale, eppure capaci di
rispettare le abitudini comportamentali
locali.
9. Impara dai successi e dai
fallimenti. Cosa funziona e cosa no? I
bravi manager, gli ottimi coach, sanno
trasferire alle generazioni successive
lezioni impagabili a proposito di
intercultura.
10. Crea relazioni locali. E’ facile
per chi si trasferisce in una nazione
cadere nell’abitudine di passare la
maggior parte del tempo con persone
di cultura simile. E’ invece molto più
costruttivo, anche se più impegnativo,
senza dubbio più arricchente, coltivare
relazioni locali per conoscere in modo
approfondito la cultura che ci sta
ospitando.
Marina Fabiano*
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 16
Coaching e Politica
Intervista ad Antonella Villa
Come si affiancano queste due modalità relazionali? In
cosa si assomigliano (oppure differiscono)?
Penso che coaching e politica siano simili per il fatto che
sono entrambi rapporti che muovono l’altro all’azione.
Ma sono anche profondamente diversi: mentre l’elettore
agisce perché vede nell’uomo politico (o nella sua idea) il
proprio leader, il coachee agisce perché riconosce in sé il
motore delle proprie azioni.
Questo accade perché molto diversi sono gli obiettivi:
mentre il coaching mira allo sviluppo dell’altro, nella
relazione politica l’altro viene persuaso. Nessuna modalità
persuasoria deve essere utilizzata dal coach, sul contenuto
politico in particolare.
Come ti sei trovata ad operare in questo ambiente?
La politica è da sempre una passione.
Fin da quando ero molto giovane e ho avuto esperienze di
forte impegno ideologico nella società civile.
Ben presto questa passione è diventata anche oggetto di
studio: ho affrontato in modo sistematico il tema politico,
con letture che mi hanno permesso di indagare e separare il
piano ideologico-valoriale dal piano pragmatico-valoriale
(distinzione che si è rivelata particolarmente preziosa nel
coaching politico).
A un certo punto del mio percorso professionale si è
concretizzata la possibilità di portare questo tipo di
riflessione nell’attività lavorativa, quando mi sono occupata
della costruzione dell’identità di una associazione giovanile
nel modo del sindacato d’impresa.
È stata un’esperienza energizzante e di successo, e da lì è
iniziato il passa-parola. Oggi molti dei miei coachee sono
uomini politici. Ti confesso però che ho ancora un sogno:
essere il coach di un politico donna.
Quali sono le competenze particolari che un coach deve
mostrare per essere credibile in questo ambiente?
Nella mia esperienza è fondamentale l’etica personale, che
garantisce un’assoluta riservatezza, nel coaching politico
ancora più indispensabile perché il coachee si affidi.
Le competenze ICF ci sono tutte, ma credo sia centrale
l’essere presenti a se stessi: lavorare con personaggi pubblici
e di potere implica avere ben chiaro il confine tra me
17 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
e l’altro, chi sono io e chi è l’altro.
Come sempre, ciò che i nostri coachee ci propongono
durante le sessioni di lavoro può avere a che fare con noi
come persone, con la nostra storia, con i vostri valori e
con la nostra visione del mondo. Nel coaching politico più
che altrove, è la capacità del coach di conoscere la propria
estrazione o preferenza politica (ed il peso che ha sui
temi affrontati) che fa la differenza, allontana dal rischio
persuasione, consente di dialogare con l’altro per aprire
nuove e diverse prospettive a chi tende a ragionare solo
all’interno delle proprie cornici o premesse.
Da questo punto di vista, fondamentale nella mia formazione
è stato il Metodo Feuerstein: ha strutturato la consapevolezza
dei processi di pensiero (miei e, per differenza, dell’altro)
e ha messo in primo piano la reciprocità della relazione nel
rapporto di coaching.
Chi è un personaggio politico? In che cosa è simile e/o
diverso da un manager d’azienda?
La mia risposta può essere sintetizzata in una parola: potere.
Entrambi lo conoscono, entrambi lo esercitano, entrambi ne
sono sedotti.
Ma le modalità con cui tutto ciò avviene è profondamente
diverso: l’uomo politico considera il potere un attributo della
propria persona, mentre per il manager è legato al ruolo che
ricopre in azienda.
L’uomo politico è un uomo di potere. Il manager è anche un
uomo di potere.
In entrambi i casi il coach deve avere la capacità di gestire i
rapporti di potere.
C’è stato un caso in cui ritieni di non essere riuscita ad
avviare il cambiamento richiesto dall’individuo?
Mi è capitato diversi anni fa di incontrare un giovane
politico molto brillante e molto ambizioso.
L’obiettivo dichiarato del percorso di coaching era quello
di aiutarlo a sviluppare la capacità di costruire alleanze
durature per sé e per il proprio gruppo.
Durante il percorso il giovane si è rivelato sostanzialmente
privo di scrupoli: i suoi modelli di riferimento e i suoi valori
erano perciò l’ostacolo fondamentale alla realizzazione
del suo progetto, dato che non è possibile cucire alleanze
durature se non si costruiscono relazioni di reciproco
affidamento!
Ho interrotto il percorso perché andare oltre avrebbe
significato per me una violazione etica.
Quale situazione ti ha invece dato maggiori soddisfazioni?
La soddisfazione è quella di poter osservare che, a distanza
di anni, alcuni dei miei coachee sono cresciuti moltissimo:
mi chiamano perché riconoscono che “pensare insieme” è
per loro una grande risorsa. Non cercano soluzioni, consigli
o pareri: hanno il desiderio di scambiare opinioni, punti di
vista, diversità di sguardi.
Mi dicono che faccio indossare loro ‘occhiali’ diversi!
Se qualche coach fosse interessato a questo settore, cosa
gli/le suggeriresti?
Sono un coach: non ho suggerimenti ma domande!
Chiederei: che cosa ti spinge alla politica?
Che ruolo ha la passione personale in tutto questo?
Cosa pensi del potere e delle relazioni di potere?
Quanto sei consapevole del tuo potere e delle tue capacità di
gestione?
Trova le risposte e vieni a trovarmi! Per ora buona ricerca.
Intervista a Antonella Villa* a cura di Marina Fabiano
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 18
Una Situazione Appiccicosa rappresenta un momento
in cui non sai bene come proseguire il dialogo con
il coachee, addirittura cominci a pensare di essere
inadeguato nel tuo ruolo di coach (e di managercoach).
Cambiare argomento? Insistere? Dichiarare “non so
più che dire…”?
Ad ogni edizione, CoachMag propone una situazione
appiccicosa e chiede ad alcuni coach esperti di esprimere
il proprio parere.
Vuoi essere uno di loro? Proponiti a [email protected]
Il coachee ostile
Il coachee ha accettato volentieri un percorso di coaching proposto dall’azienda con l’obiettivo di rendersi maggiormente
consapevole delle sue qualità di leader ma anche delle sue “aree deboli”, come l’avarizia nella delega e nella comunicazione
con i suoi collaboratori, la scarsa propensione al feedback e l’attitudine a fare troppo da solo. Lui stesso ha riconosciuto
queste caratteristiche di fronte al suo capo, per poi metterle in discussione con il coach. Al terzo incontro, l’aria si riempie di
elettricità: il coachee manifesta aperta ostilità verso l’azienda che proprio il giorno prima gli ha negato la promozione tanto
attesa (“per quest’anno non se ne parla, Carlo; vedremo l’anno prossimo, dopo che avrai completato questo coaching che
senza dubbio ti aiuterà a colmare le lacune che sappiamo…”).
E così mezza sessione passa tra recriminazioni e male parole verso l’azienda. Il lato preoccupante è che questa palese ostilità
sembra rivolgersi anche verso il coach: “cosa pensano che succeda da qui a un anno? Per caso ritengano che tu sia il mago
che farà di me il leader eccezionale che loro hanno in testa?”
Come uscire da questa situazione appiccicosa? Come proseguire il dialogo di coaching?
Il punto di vista di
Alessandro
Testa
Io inizierei a cambiare il focus della domanda pur restando connesso al suo discorso e usando le
sue parole e gli chiederei semplicemente “TU cosa vorresti che succedesse da qui ad un anno?”.
A questo punto potrebbero aprirsi due scenari: i il coachee accetta l’ingaggio e sposta
l’attenzione su di se invece che sull’azienda, oppure continua nella resistenza rispondendo ad
esempio “non conta ciò che voglio io tanto sono sempre loro a fare il bello o il cattivo tempo, e
questo del coaching è solo una stupida scusa…”.
Nel primo scenario è possibile riprendere i focus già definiti e continuare a lavorare su
quelli con un focus of control interno e l’obiettivo duplice di dimostrare all’azienda di essere
all’altezza e a se stesso di riuscire in ciò in cui si crede. In questo caso si aggiunge anche un
elemento temporale: l’azienda dice l’anno prossimo e occorre capire con il coachee se si sente a
suo agio con queste tempistiche. Potrebbe essere un aggancio per rinforzare la sfida e giungere
ad aver portato a termine il piano d’azione in anticipo.
Nel secondo scenario vale la pena di iniziare una nuova fase di esplorazione poiché potrebbero
emergere nuovi focus del coachee legati al calo di motivazione e alla delusione avuta (esempio
estremo il desiderio di cambiare posto di lavoro). Non si può cioè sottovalutare l’impatto che
la decisione aziendale ha sull’atteggiamento del coachee, eventualmente analizzando i nessi
di causa effetto e restituendoli al coachee stesso. E’ importante ribadire che il coach è in toto
dalla sua parte e che ciò che conta è che lui creda negli obiettivi che si pone e sia motivato
a raggiungerli. Fare un passo indietro in questa fase offrendo comprensione e appoggio e
ribadendo il nostro ruolo può invertire l’energia negativa del coachee in positiva verso ciò che
lui vuole veramente.
In entrambi i casi però a mio avviso è importante rendere concreti e misurabili gli obiettivi
definiti con l’azienda come oggetto del coaching. Ciò avrebbe almeno due vantaggi: aiutare
il coachee a vedere i miglioramenti step by step con conseguente crescente motivazione e
costringere l’azienda ad essere più precisa nella definizione dei comportamenti e a riconoscere il
miglioramento quando questo si verificherà.
19 ––INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
Il punto di vista di
Oliviero
Brega
Ci troviamo di fronte ad un caso che potrebbe essere così sintetizzato: in un processo di
Coaching relativo a temi abbastanza tradizionali, avviene un evento (la mancata promozione del
Coachee) che potrebbe rischiare di vanificare tutto il lavoro fin qui fatto e pregiudicare quello da
fare. Cosa può fare il Coach per trasformare questo rischio in una OPPORTUNITA’?
Il Coach può iniziare sottolineando due FATTI (e non parole) innegabili e molto positivi:
1. la promozione non è NEGATA ma solo RINVIATA (in alternativa avrebbero potuto dirgli
che lo ritenevano inadeguato per la promozione),
2. l’azienda dimostra che CREDE nel potenziale del Coachee perché ha deciso di
INVESTIRE su di lui dandogli la possibilità di avere a disposizione un Coach (in alternativa
avrebbe potuto non iniziare oppure interrompere l’intervento del Coach).
Le prime domande saranno quindi del tipo:
Quali potrebbero essere secondo te le ragioni per le quali hanno preferito rinviare la promozione?
Come avresti pensato e come avresti agito se fossi stato nei panni del tuo capo?
Quali potrebbero essere state secondo il tuo capo le motivazioni per aspettare la fine dell’esperienza
del Coaching e la verifica dei risultati in termini di miglioramento delle tue performance?
Potrebbero esistere ipotesi di promozioni alternative per le quali è meglio aspettare i risultati di
questa esperienza di Coaching?
Questa situazione può costituire fin da ora, o ti da la possibilità di farla diventare, una opportunità
a te più favorevole?
Cosa puoi fare fin da ora per sfruttare, al meglio e a tuo favore, questa stimolante situazione?
Come hai pensato di utilizzare al massimo le sessioni che ci restano per trovare in te le risorse,
le energie, le idee, le modalità per raggiungere i tuoi obiettivi?
Tenuto conto della nuova situazione come puoi sfruttare al meglio il tempo che hai per ridefinire i tuoi
obiettivi e agire sul contesto lavorativo migliorandolo e facendolo diventare a te più favorevole?
La maggiore disponibilità di tempo ti consente di definire piani più articolati?
Cosa ne dici di lavorare insieme per ridefinire dei nuovi obiettivi e i relativi piani di azioni più
articolati, più sfidanti, più ambiziosi?
Quanto esposto tende ad ottenere un valutazione favorevole della situazione che si è venuta a
creare successivamente al rinvio della promozione e a generare un atteggiamento meno critico,
più positivo e costruttivo.
L’obiettivo del Coach è quello di aiutare il Coachee a diventare consapevole che questa è una
OPPORTUNITÀ che l’azienda gli ha messo a disposizione, che va colta, e pertanto bisogna
studiare bene la situazione e prepararsi per ottenere il massimo dal tempo a disposizione.
Raggiunti questi risultati l’esperienza di Coaching può rientrare nei binari precedenti che erano
quelli di lavorare sulle “aree deboli” come: “l’avarizia nella delega e nella comunicazione con
i suoi collaboratori, la scarsa propensione al feedback e l’attitudine a fare troppo da solo. Lui
stesso ha riconosciuto queste caratteristiche di fronte al suo capo, per poi metterle in discussione
con il coach” con il grande vantaggio di avere maggiori e rinnovate motivazioni a massimizzare
quanto il Coachee può ottenere dalle successive sessioni di Coaching.
Il punto di vista di
Alessandro
Lo Russo
Questo tipo di situazione capita sicuramente, prima o poi, lavorando in azienda con dei manager.
Uno dei maggiori benefici del corporate coaching è quello di acquisire la capacità di leggere
accuratamente il contesto della propria azienda.
Non è tanto importante rilevare il fatto di non aver avuto la promozione sperata, ma il capire,
innanzitutto, esattamente perché non sia arrivata.
Il sovraccarico emozionale della delusione provata ed il conseguente più o meno pronunciato
sequestro emotivo, rende spesso il coachee meno efficace nell’individuazione dei reali motivi
che hanno portato ad un esito di mancata promozione.
Questi ultimi, infatti, possono essere sia relativi alla performance inferiore alle attese (il che
può anche derivare da fattori esogeni quale un mercato in fase negativa), sia alla mancanza di
competenze manageriali soft (People skills) necessarie per la posizione superiore, sia al contesto
organizzativo interno specifico del momento (budget del numero di promozioni per l’anno
in corso), sia a logiche affiliative di cordata estranee alla qualità della prestazione fornita dal
coachee e, last but not least, a problemi relazionali con i propri superiori diretti.
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 20
Un bravo coach, esperto di dinamiche organizzative complesse, aiuterà il coachee a far
“decantare” rapidamente le emozioni negative forti e ad individuare quali sono le vere cause
sottostanti alla mancata promozione, attraverso un’accurata lettura del contesto e delle azioni
sintoniche o distoniche operate dal manager in esso.
In una seconda fase si lavorerà sulle capacità di elaborare strategie operative, relazionali e
constructive politics del coachee che lo facciano avanzare efficacemente verso l’obiettivo
gerarchico realisticamente individuato, attraverso azioni allineate al contesto operativo ed
ecologiche rispetto alla cultura organizzativa aziendale.
In questa fase interventi di fasatura con il proprio superiore diretto e/o di feedback a 360°,
possono rivelarsi preziosi per individuare i reali temi su cui allenarsi.
Talvolta, infine, in fase di revisione dei driver motivazionali del manager, si potrà anche
prendere in esame, come metro di paragone, un’eventuale exit strategy ottimale, nell’interesse
di Coachee ed Azienda, in caso di un disallineamento valoriale insanabile.
Il punto di vista di
Susanna
Dal Zotto
Durante un percorso di coaching possono capitare momenti down nel bioritmo fisiologico che
lo contraddistingue - e che varia a da persona a persona - ed alcuni passi fatti “in prevenzione”
ci possono essere di concreto aiuto nel momento del bisogno. Ecco perché curo in maniera
particolare il primo momento di incontro col coachee.
Sono solita chiedergli cosa gli è stato raccontato del percorso e cosa sa del coaching in generale.
Questo mi permette di dargli, eventualmente, informazioni utili per capire il senso del percorso
e cosa andremo a fare insieme, allontanando percezioni o “sentito dire” che possono influire
sulle sue aspettative e comportamenti. È importante che sappia che il mio non è un ruolo
consulenziale, ma di facilitazione verso degli orientamenti da lui decisi. Di conseguenza, la
sua motivazione, il suo impegno e la sua disponibilità a lavorare in maniera concreta sono
fondamentali. Sottolineo anche che il lavoro si basa sul “qui ed ora”: ovvero, qual è la
situazione di partenza, dove vogliamo arrivare e poi che piano d’azione decidere.
Definisco infine i miei rapporti con il committente. Questo rende chiaro che, sebbene l’incarico
me lo abbia dato l’azienda per cui il mio coachee lavora, sarà comunque lui il mio focus.
Se capita quindi, durante una seduta, che il mio coachee esprima ostilità e rabbia, gli lascio il
tempo opportuno per sfogare il malessere, senza interromperlo.
Ritengo che non sia tempo perso (anche se la seduta ha una durata limitata) ma piuttosto
tempo investito, perché ottengo due importanti risultati. Il primo, di ordine fisiologico. Ovvero,
sfogandosi, abbassa il livello di rabbia. Se lo si interrompe mentre ha l’esigenza di buttare fuori,
anche nel tentativo di consolarlo o peggio consigliarlo, otteniamo il solo risultato di esacerbare
il livello di ira. E allora sarà sordo alle nostre parole e infastidito dal non potersi esprimere. Il
secondo risultato è relativo alla funzione primaria dell’ascolto attivo, che è quella di reperire
importanti informazioni che mi permettano di capire il suo stato d’animo e la situazione.
Potrei così scoprire che la sua rabbia è più che lecita, oppure che il pit stop proposto
dall’azienda forse è motivato, e per quanto faccia male, rappresenti non il punto di arrivo, bensì
un punto di partenza.
Posso poi ricordagli i contenuti emersi durante il nostro primo incontro e il fatto che abbiamo
condiviso che il percorso di coaching è costruito intorno a lui. Ovvero, intorno agli obiettivi che
lui si è dato, che riguardano l’agire sulle sue “aree deboli”. Gli chiedo se è ancora dell’idea che
lavorare su quegli obiettivi possa aiutarlo nel percorso professionale. Una volta condiviso che, a
prescindere dalla (momentanea) promozione negata, il far emergere nuovi punti di forza gli può
dare più chance, gli chiedo cosa vuole fare.
Se sono stata in grado di trasmettergli il concetto del “qui ed ora”, il tempo dedicato ad ulteriori
lamentele sarà assai più circoscritto, perché il coachee capirà che è molto meglio utilizzarlo per
crescere come professionista, piuttosto che sì come momento catartico, ma decisamente fine
a se stesso. Nelle ulteriori sedute, se viene di nuovo fuori la frustrazione, la accoglierò. Ma le
dedicherò un tempo sempre più limitato a favore di comportamenti più proattivi. Mi può anche
capitare di rendere il percorso maggiormente personalizzato. Se l’azienda ha deciso un numero
definito di sedute a cadenza prestabilita, posso decidere di dargli la mia personale disponibilità
ad un ulteriore incontro più ravvicinato. Magari per rifare il punto a mente un po’ più fredda e
riordinare meglio le priorità. Ciò permette al coachee di capire appieno che il suo coach ha colto
il suo malessere ed è lì per lui. E per il principio della reciprocità tenderà a proporre anche lui un
comportamento positivo.
21 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
www.ricchezzeumane.it
Il “Cultural Orientations Framework”
come supporto di percorsi individuali
di Nathalie De Broux
Un progetto per dirigenti internazionali esperti, in
collaborazione con MaieuticaRete e SDA-Bocconi.
Il contesto e la sfida:
La caratteristica particolare di questo MBA risiede nel suo
aspetto realmente internazionale, sia per l’origine degli
studenti, sia per la struttura dei corsi che si svolgono su vari
continenti.
In precedenza, non era stato previsto niente per sfruttare
questa ricchezza né il vissuto multiculturale degli studenti.
Tra l’altro, la sfida consisteva nel proporre un percorso
che fosse breve ma anche molto efficace. L’approccio e lo
strumento, un questionario culturale online – rispondevano
perfettamente a queste necessità.
Il concetto di cultura viene inteso nel suo significato più
ampio, ossia l’insieme delle caratteristiche che distinguono
un gruppo di persone da un altro: non soltanto la nazionalità
e la regione di origine, ma anche il livello di educazione, la
formazione, il mestiere, il livello gerarchico, la società in cui
lavora, ecc.
Un supporto unico nel suo genere
Il COF (Cultural Orientations Framework) è un
questionario online che indaga sia sui nostri orientamenti
culturali: « cosa preferisco in maniera spontanea », sia sulle
nostre capacità di adattamento culturale: “cosa mi sento
capace di fare”.
Detto questionario è relativamente facile da completare e
costituisce un’eccellente base di riflessione e di dialogo
tra il coach ed il suo coachee . Non si tratta di un test
psicometrico, in quanto lo strumento non fornisce alcuna
interpretazione delle risposte o del profilo ottenuto.
Da un lato, il Cultural Orientations Framework permette al
coachee di riflettere sulla sua posizione personale spontanea
nei confronti di ognuna delle dimensioni presentate, e
dall’altra di porsi domande sulle proprie capacità di adattarsi
ad ognuna di esse: cosa che riflette il suo comportamento
reale in situazione reali.
Non vi è alcun giudizio di valore, perché ogni aspetto di una
dimensione è positivo di per sé.
23 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
Il COF elenca gli elementi di cui è formata una cultura
attraverso 18 dimensioni raggruppate per affinità in 7
categorie. Ognuno si posiziona in funzione della propria
conoscenza di se stesso in un dato momento temporale. Ed
ecco apparire un’altra ricchezza dello strumento: il profilo
del coachee può evolvere nel corso della discussione.
All’interno delle categorie proposte, e per ogni dimensione,
il coachee si posiziona su una scala in relazione ai suoi
atteggiamenti: “cosa preferisco in maniera spontanea”,
e, in relazione alla sua capacità di messa in opera di ogni
elemento costituente della dimensione: “cosa mi sento
capace di fare”.
Esempio di una dimensione nella categoria Dinamiche
organizzative : Universalista / Particolarista.
a) Orientamento: “cosa preferisco in maniera spontanea?”
Universalismo: “Tutti i casi dovrebbero essere trattati in
modo identico. Dovremmo adottare processi comuni per
ottenere coerenza ed economie di scala.”
Particolarismo: “Dobbiamo tener conto delle circostanze
particolari. Dovremmo favorire il decentramento e le
soluzioni su misura.”
b) Atteggiamento:“cosa mi sento capace di fare?”
o la capacità di messa in opera per ogni aspetto di una stessa
dimensione
Atteggiamento
Atteggiamento
Gli incontri successivi, di durata più classica, vengono svolti
per raggiungere gli obbiettivi che ognuno si è prefissato nel
quadro della propria situazione professionale, proprio alla
luce del feedback culturale.
I benefici di un coaching basato sul COF
Quale è il beneficio di questo percorso ?
Nel contesto di un master che mira esplicitamente a mettere
i suoi clienti nelle migliori condizioni per sfruttare la
globalisation, il coaching interculturale permette di:
• Prendere coscienza delle proprie preferenze
• Riconoscere e/o scoprire l’esistenza e soprattutto i
vantaggi di preferenze diverse
• Fornire una visione ed un lessico comune per parlare
dei modi di essere o di agire
• Cogliere senza giudizio ed in maniera positiva le
differenze, evitando in tale modo i malintesi ed i conflitti
• Imparare a sfruttare queste differenze in maniera
creativa e sorprendentemente potente in situazioni concrete,
professionali o non.
Universalismo:
“Sono capace di lavorare in
organizzazioni dove tutti i casi
sono trattati in modo identico;
dove adottano processi comuni
per ottenere coerenza ed
economia di scala.”
Particolarismo:
“Sono capace di lavorare in
organizzazioni che tengono
conto delle circostanze
particolari, favoriscono il
decentramento e le soluzioni
su misura.”
Il risultato immediato è una visualizzazione delle vostre
stesse risposte. Non viene accompagnato da alcun rapporto,
commenti o suggerimenti che spieghino come siete e quello
che dovreste fare. Tuttavia, può risultare sconcertante
prenderne coscienza in questa maniera.
Tutta la ricchezza di questo questionario risiede nel vasto
supporto di discussione che il profilo così stabilito offre al
coach ed al coachee, così come il fatto che ci permette di
riflettere sulle evoluzioni che man mano si manifestano.
Per mezzo delle sue domande, dei suoi feedback e della
sua intuizione, come in ogni percorso di coaching, il coach
aiuterà il coachee a progredire grazie a prese di coscienza e a
responsabilizzazione accresciuta.
Per via della discussione, il coachee prenderà maggiore
consapevolezza dei propri atteggiamenti, dei suoi
comportamenti/capacità e delle loro conseguenze. Perciò
potrà adattarli alle diverse situazioni.
L’apporto è stato tale che gli studenti di quest’anno hanno
voluto utilizzare un’altra applicazione di questo strumento
polivalente sfruttandolo per rendere i lavori di gruppo
maggiormente efficace.
Hanno capito tutto !
Ne parleremo in un articolo futuro.
Nathalie De Broux*
Per gli studenti del Master
Il percorso proposto agli studenti consiste in una prima
sessione di feedback sul questionario preventivamente
compilato, che permette loro di «fare il giro» dell’insieme
delle dimensioni in gioco, e di individuare quelle che,
secondo loro, necessitano di un lavoro più approfondito.
Questo primo incontro dura dalle 2 alle 3 ore.
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 24
“Audit Culturale” in una Partnership
di 3 aziende: italiana, francese ed olandese
di Agnès Perrone
Contesto:
Tre aziende hanno creato una partnership nell’ottica
di sviluppare sinergie. Gli obiettivi da raggiungere in
3 anni sono molto ambiziosi e saranno decisivi per il
prolungamento o l’interruzione della Partnership. In questo
ambito sono stati creati una decina di gruppi di lavoro misti,
coinvolgendo un centinaio di persone, per ottimizzare le
procedure delle loro aree di competenza.
Ognuna delle tre aziende aveva già sperimentato
precedentemente dei tentativi di partnership con altri, non
andati a buon fine, lasciando tracce d’insoddisfazione,
amarezza e sfiducia nelle persone. La componente culturale
aveva spesso avuto un’importanza imprevista.
Forte di queste esperienze e partendo dal presupposto
che “la difficoltà maggiore nell’interazione interculturale
è prevalentemente un mancato riconoscimento delle
differenze culturali rilevanti” (E. Stewart e M. Bennett,
esperti interculturalisti), il Direttore della Partnership,
francese basato a Roma, ci ha coinvolto chiedendo un “audit
culturale” rivolto alle persone coinvolte nei gruppi di lavoro
misti, a scopo di aumentare la loro efficacia. L’idea è di fare
leva sull’aspetto culturale, finora trascurato.
Obiettivi del cliente:
• diventare consapevoli delle somiglianze e differenze
culturali tra le aziende (non le persone) italiana, francese e
olandese
• evitare stereotipi e attitudini giudicanti
• avere qualche suggerimento concreto su come
interagire e lavorare meglio insieme
…tutto ciò per essere più efficaci e ottenere risultati migliori
Strumento usato: per raccogliere i “dati culturali” su cui
lavorare, abbiamo sfruttato le potenzialità del COF (Cultural
Orientation Framework) di Philippe Rosinski, esperto di
coaching interculturale, detto in italiano: “Modello degli
orientamenti culturali”. Questo strumento permette a ognuno
di esplicitare in modo obiettivo e condiviso la propria
tendenza a pensare, sentire o agire su 18 dimensioni divise
nelle 7 categorie seguenti:
• Senso di potere e di responsabilità
• Gestione del tempo
• Definizioni dell’identità e dello scopo
25 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
•
•
•
•
Preferenze organizzative
Nozioni di territorio e di confini
Modelli di comunicazione
Modi di pensare
Modalità d’intervento:
1. le 100 persone coinvolte nei gruppi di lavoro della
Partnership hanno completato il COF on line (durata: 20-30
minuti)
2. 2 coach hanno realizzato 20 interviste individuali, per
affinare gli aspetti specifici del progetto e avere illustrazioni
concrete delle interazioni e modalità di lavoro in atto nei
gruppi di lavoro prima dell’intervento. Ciò ha permesso di
qualificare risultati statistici.
3. i coach hanno facilitato 3 “workshop interattivi” di
mezza giornata, uno ad Amsterdam, uno a Parigi e uno a
Roma, per presentare e discutere i risultati consolidati per
azienda.
Commenti sui risultati del grafico nella pagina seguente,
interpretati grazie alle interviste:
• L’Azienda 2 ha un lungo processo di elaborazione delle
procedure, che include vari studi ed analisi dei dati, molto
validi. Una volta deciso su questa base, diventa però molto
difficile adattare la procedura ad eventuali cambi della realtà.
• L’Azienda 3 tende ad essere “più rigida
sull’applicazione delle procedure. È preparata ad adattarle
abbastanza rapidamente ma non le piace particolarizzare.”
• L’Azienda 1 ha bisogno di un lungo periodo di
riflessione e definizione di procedure… che alla fine
verranno comunque adattate ai casi personali.(“tutte le
scorciatoie si possono fare”). L’azienda 1 richiede e si
aspetta dalla partnership un contesto più strutturato con delle
regole e procedure chiare.
Reazioni delle persone:
• Si riconoscono (se stessi e i propri partner) e ridono
della precisione della loro “fotografia” che appare tra dati
obiettivi e commenti chiarificatori.
• Hanno in mano gli strumenti per analizzare con
precisione e obiettività le dinamiche presenti nei loro gruppi
di lavoro.
Risultati dell’intervento:
- Dei primi risultati sono stati ottenuti lavorando con il
cliente sulla definizione e delimitazione del progetto:
la richiesta iniziale era di spiegare agli expat francesi e
olandesi che dovevano lavorare a Roma le “specificità
italiane” per supportare la loro integrazione. Al nostro
contatto hanno capito che questa richiesta era già basata
su un pregiudizio culturale: come se gli Italiani che li
avrebbero accolti non avessero bisogno di conoscere le
“specificità” di chi arrivava da loro… Hanno cambiato
approccio e fatto un lavoro molto più efficace rivolgendolo
ai manager delle 3 aziende.
- Le discussioni durante i workshop hanno portato delle
consapevolezze forti e una comprensione migliore dei
meccanismi in gioco nei gruppi di lavoro, nei meeting in
generale e nelle relazioni gerarchiche delle 3 aziende.
- Con lo stimolo dei coach, le persone diventano creative e
costruttive, imparando a fare leva sulle proprie differenze
per trovare un modo originale e adatto a loro per lavorare
insieme. Per esempio, su questa dimensione, hanno trovato
una bella soluzione, dicendo: “Facciamo studiare ed
analizzare in profondità le situazioni all’azienda 2, facciamo
pianificare le soluzioni all’azienda 3, e facciamo gestire
le eccezioni e particolarità all’azienda 1”. Congiungendo
e traendo vantaggio dei punti forti di ciascuno, la loro
Partnership può diventare molto potente.
Originalità e punti forti dell’approccio interculturale:
• l’approccio interculturale viene spesso trascurato ed
è una delle principali ragioni di fallimento di Fusioni e
Partnership. Noi invece ne facciamo la chiave d’ingresso
del lavoro tra entità e persone diverse.
• la “cultura” qui in gioco non si limita al suo aspetto
nazionale. È un concetto molto più ampio: può essere
regionale, locale, ma soprattutto aziendale, di mestiere, di
dipartimento, di ruolo,… e infine personale. Infatti lo stesso
strumento usato a livello di un team è straordinariamente
potente, facendo leva in modo creativo e costruttivo sulle
differenze personali.
• il COF di Philippe Rosinski permette a chi lo usa di:
diventare consapevole dei propri “orientamenti culturali”,
scoprire l’esistenza e i vantaggi di orientamenti diversi
dai propri, e quindi superare pregiudizi su comportamenti
mal interpretati (potenziali fonti di conflitti).
- l’effetto leva di questo approccio interculturale moltiplica
la ricchezza presente nel team/gruppo: riferendosi ad
alternative diverse, diciamo A e B, trarre vantaggio dalle
differenze significa raggiungere la sinergia adottando A e B
(traendo pienamente vantaggio sia da A che da B), invece di
dover scegliere tra A o B privandosi dei vantaggi dell’uno o
dell’altro.
E voi, quanto sfruttate la vostra potenza interculturale?
Agnès Perrone*
Esempio di risultati consolidati sulla categoria “processi organizzativi”, dimensione “universalismo /
particolarismo” (vedi sotto la definizione di questi termini).
Az. 1
Az. 2
Az. 3
Universalismo
Universalismo
“Tutti i casi devono essere trattati in modo identico. Dobbiamo
adottare dei processi comuni per ottenere coerenza ed
economia di scala.”
Neutro
Particolarismo
Particolarismo
“Dobbiamo tener conto delle circostanze particolari. Favorisco
il decentramento e le soluzioni su misura”
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 26
Diversity and Inclusion:
a personal experience
di Claudia Crescenzi
Intervento al convegno della Comunità Europea “Diversity and Inclusion” - Cipro
I wish to give my personal contribution on the issue of
diversity and inclusion.
I would like to tell you about one of my experiences in a
company where I’ve worked at as COACH within a process
of multicultural integration. This European firm was to
merge with another firm that was completely different as far
as culture and daily procedures and habits.
I was faced with substantial problems concerning
‘diversity’; I worked using a coaching approach that started
from making the most of what people working for the two
firms had in common. Therefore, by exploiting common
characteristics that UNITED people I gave my contribution
in creating harmony. By working hard we managed to spot
each and every common trait that the employees had among
each other.
I worked with the managers in charge of infrastructures,
offices and operations concentrating on what was there and
on the opportunities that could arise from the integration of
diversity.
An example: diversity in religions. We faced the issue
of religious festivities. One of the firms didn’t work on
Saturdays nor on Sundays whereas the other firm didn’t
have any fixed day that the employees should be off on.
Just imagine what this means for any manager who has to
run a business with people who can take off without a fixed
schedule.
It wasn’t easy but by starting from the situation that the
firm was at (as is situation) we sorted out the details and the
specifics belonging to each department and person creating
satisfaction for everyone allowing the firm to grow its profits
and productivity exponentially. This process has lasted one
year so far and has yielded significant results.
Considering that, I’d like to share with you this thought: I
strongly believe that the issue of diversity is ‘subjective’.
If the issue is considered as a problem, it will than be dealt
with as a PROBLEM whenever we are interacting with
diversity.
27 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
It is undeniable that diversity is a very difficult and tricky
social issue to deal with but it is also true that societies and
companies are made of people. We are the ones who choose
to perceive diversity as a critical issue.
Handicapped people have an OBJECTIVE problem; women
have a natural diversity due to their natural and intrinsic
nature of being females. People of different religions are
different due to their practices and customs.
However, as different as people might be, they are still
PEOPLE, human beings with their intrinsic value, with their
skills unique to them that can mean added value if given the
chance to express themselves.
We can all – as people – potentially be an asset and be
considered as a PROFIT, NO EXCEPTIONS.
Thank you for your attention and I hope that my contribution
can help in spotting and solving problems concerning the
issue of diversity.
Claudia Crescenzi*
(nel rispetto della “diversità”, il testo è stato volutamente
lasciato nella lingua originale in cui era stato scritto – ndr)
C’erano un Italiano, un Francese e un Tedesco…
dalle barzellette alla vita interculturale
di Marina Fabiano
In azienda, come accade nelle barzellette, si inciampa
facilmente nelle diversità comportamentali e si creano
situazioni ridicole, quando va bene, solo per ignoranza (in
senso buono) culturale. Abbiamo visto film, abbiamo letto,
ci siamo documentati: crediamo di saperne abbastanza
sulla precisione dei tedeschi, sull’eleganza dei francesi,
sull’imperturbabilità degli inglesi. Eppure, alla prima
occasione, incappiamo nell’errore relazionale scatenato da
insufficiente considerazione dell’importanza della cultura
nazionale e delle tradizioni. E ci offendiamo se i nostri
colleghi trans-nazionali sbagliano qualche approccio.
La cultura nazionale identifica parte dei nostri
comportamenti, quelli legati all’organizzazione della nostra
società, alle regole di atteggiamento accettate in gruppo,
a quelle tollerate, a quelle preferite. Definisce un codice
comune, dei rituali, i valori condivisi, le norme sociali. Ogni
popolo riconosce e rende espliciti i propri simboli esteriori,
il modo di vestire, il cibo, il linguaggio, i rituali. Altre regole
sono più nascoste, ma altrettanto importanti; poco visibili
ma evidenti se ci prendiamo la briga di conoscerle.
Nelle aziende spesso si sovrappongono e si fondono:
• cultura nazionale (noi italiani…),
• cultura dell’azienda (noi di XXX…)
• cultura di settore (noi dell’ambiente…)
all’apparenza si integrano, ma ci vuole tempo e comprensione
reciproca (“mettersi nei panni dell’altro, interrogare e voler
capire”) perché la fusione sia effettiva e vantaggiosa.
C’erano un Italiano, un Francese e un Tedesco…
I soliti studiosi hanno riconosciuto che le differenze culturali
più evidenti si appoggiano su queste basi:
• il contesto
• il riconoscimento dell’autorità
• la ricerca di certezze
• il genere maschile o femminile
Il contesto si riferisce alla cultura delle relazioni, quelle
che riteniamo più importanti dei dati oggettivi. I rapporti
di lavoro si mischiano con le relazioni amichevoli. La
valutazione dei risultati non è in primo piano. Italiani,
Spagnoli e Francesi reagiscono in modo simile.
Per Inglesi, Tedeschi e Americani contano più i fatti che
le parole, le competenze evidenti hanno maggior valore, i
contratti contengono molti dettagli, le discussioni non girano
intorno al punto critico ma lo centrano al primo attacco.
Riconoscere l’autorità è una fede esistenziale per i popoli
Asiatici. La distanza dal potere è inversamente proporzionale
al senso di indipendenza che una cultura manifesta. Le
gerarchie sono sottili in America e in Australia, dove
chiunque può salire al potere grazie ai risultati che dimostra.
Italiani e Francesi tendono a stare in posizione mediana,
bilanciando il riconoscimento fedele dell’autorità che hanno
scelto con eroismi di imprevedibile anarchia.
Il bisogno di certezze si traduce nel credere agli assoluti,
nelle regole scritte, nelle procedure descritte con profusione
di dettagli, nella scarsa tolleranza, nel rifiuto delle novità.
Qui si rannicchiano Francesi, Giapponesi, Greci. Per loro il
tempo è denaro, gli esperti sono indiscutibili, non prendono
decisioni individuali.
Inglesi, Americani, Arabi cercano invece di appoggiarsi a
pochi dogmi irrinunciabili, usano le norme il meno possibile,
amano il cambiamento. Anche in questo caso, gli Italiani
mediano.
Delle differenze culturali tra i generi maschile e femminile
potremmo disquisire a lungo.
C’è chi ci crede e chi no. Sembra comunque, se vogliamo
ascoltare il parere dei nostri esperti ricercatori, che gli
uomini siano più preoccupati per il successo, il denaro,
l’ansia di possedere. Mentre le donne sono più attente alle
persone e alla qualità della vita. Tra i popoli più maschilisti
abbiamo l’Italia (ma dai!), il Giappone, l’America, l’India,
l’Australia. I paesi più mentalmente orientati al femminismo
sembrano essere la Cina, la Svezia, la Francia, il Portogallo.
Interessante!
Nelle aziende a cultura maschile i manager tendono verso un
decisionismo assertivo. Al centro dei comportamenti espressi
troviamo competitività e ambizione. Nelle organizzazioni a
matrice femminile i manager si dimostrano più collaborativi
e cercano il consenso degli altri; l’ambiente di lavoro è
ritenuto importante e curato, i conflitti vengono risolti con il
dialogo e la negoziazione.
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 28
Come comprendere le differenze culturali e trarne
vantaggio?
Lo stress culturale nasce dal timore verso l’ignoto. Si
costruisce un’impalcatura difensiva a protezione della
propria identità culturale. Ogni contatto è una missione di
sopravvivenza.
E’ invece possibile trasformare ciò in arricchimento
culturale, costruendo fiducia reciproca in ambiente
autentico, dove ognuno vale per ciò che è e ciò che fa, dove
si impara a vicenda, gli uni dagli altri.
• Se avete a che fare con aziende internazionalmente
lontane, studiate le diversità esplicite. Non partite dal
presupposto che sono loro a doversi adeguare a noi.
• Usate l’empatia per comprendere i colleghi stranieri,
quali sono le norme su cui si basano le loro convinzioni,
quali usi e costumi è bene conoscere.
• Sviluppate l’autocontrollo. Se voi state studiando il
vicino di nazione, non è detto che l’altro stia facendo lo
stesso. Può darsi che vi sentiate offesi da qualche commento
inadeguato (“Italiani: spaghetti e mafia”). Non dategli
subito un pugno in faccia, ma spiegate con semplicità che il
connubio agli italiani non piace, anzi, li offende.
• Umiltà nel chiedere scusa per le inevitabili gaffe e
diplomazia per aggirare qualche situazione franosa saranno
complementari all’ascolto e all’osservazione.
Suggerisco con forza che ai primi incontri è molto meglio
tenere occhi e orecchie aperti e bocca chiusa. Senza evitare
di dimostrare curiosità ed apertura verso la conoscenza di
altre culture, diverse dalla nostra, non meglio né peggio, solo
in grado di valorizzare il nostro sapere e di rendere la nuova
relazione proficua e morbida.
Marina Fabiano
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 28
// C o a c h i n g & S t o r y t e l l i n g //
Potsdamer
Platz
di Mattia Rossi
Si appoggiò allo schienale, incrociò le
braccia sul petto e rimase a fissare il
monitor: il trio in programma lo attirava
parecchio, l’occasione di rinverdire i
ricordi di quella vacanza giovanile, con
le sue nottate in giro per il Village, era
troppo ghiotta… Alzò leggermente il
volume degli amplificatori, per farsi
compagnia con Keith Jarrett negli uffici
ormai vuoti e bui. Ragionò che se fosse
andato al primo spettacolo sarebbe
riuscito a rientrare in albergo a un orario
decente e avrebbe potuto farsi trovare
pronto e professionale la mattina dopo:
del resto, l’incontro era fissato alle 10.30
a tre isolati dall’hotel. Dunque doveva
solo trovare il modo di sganciarsi
elegantemente dal capo, sperando
che quello non volesse trascinarlo in
qualche night. Non che gli sembrasse
il tipo, in verità: era vero che stava con
loro a Berlino da soli 3 mesi, e quindi
forse si stava sforzando di ambientarsi
mantenendo un certo contegno, ma
per essere italiano aveva mostrato fin
troppa disciplina e sobrietà. Comunque
non poteva dire di conoscerlo davvero:
smozzicava un tedesco decisamente
ancora acerbo, e la comunicazione in
inglese risultava limitata alle faccende
tecniche di lavoro. Nessuno, nel
team, si fidava ancora veramente di
quel nuovo manager: avrebbe dovuto
cominciare proprio lui, nel bel mezzo
di una trasferta oltreoceano, alla vigilia
della firma di un accordo strategico?
Sarebbero stati loro due soli, senza
testimoni: sarebbe stata la sua parola
contro quella dell’italiano, con la
differenza che l’altro era il capo…
“Keith Jarrett… Esiste una Autumn
Leaves più potente e intensa?”
Alzò la testa di scatto: l’italiano in questione
stava a un metro da lui, appoggiato
al divisorio del cubicolo, le mani
nella tasca del cappotto sbottonato,
e aveva parlato in tedesco. Beccato
in flagrante, Konrad restò immobile
cercando rapidamente una risposta,
una giustificazione, qualcosa… Intanto
Francesco aveva accennato con il mento
verso il monitor:
“Biglietto per il Village Vanguard
mercoledì sera?”
“Ehm… mi sarebbe piaciuto…”
“Prendine due, allora. Se ti disturbo,
mi siedo lontano. In fondo. Giuro. Ma
non posso andare a New York senza un
po’ di jazz: è una specie di rito, risale
a quando avevo 20 anni. Magari se hai
voglia ti racconto la storia. Tu intanto
compra due biglietti. A domani!”
*********
Visto dal finestrino del 757 della
Continental alle 8 di mattina, l’aeroporto
di Tegel aveva un aspetto strano, diverso
dal solito. In genere, quando l’aereo
rullava placido verso il parcheggio, era
il momento in cui Konrad provava una
famigliare sensazione di ritorno: quella
volta però gli pareva di avvertire come
un’aria di novità che sembrava preludere
piuttosto a un nuovo inizio. Anche il suo
capo sembrava diverso, fin dal giorno
prima, quando sul taxi per Newark,
dopo un lunghissimo e pensoso silenzio,
gli aveva fatto telefonare a Berlino per
convocare il team alle 10 in punto: lo
scopo dichiarato era quello di aggiornare
immediatamente tutti circa il successo
della missione a New York, ma Konrad
aveva percepito che c’era qualcos’altro.
Sembrava confermarglielo il vago senso
di urgenza con cui ora lo vedeva agitarsi
tra i sedili e il corridoio affollato in
attesa di sbarcare. E non si sbagliava:
Francesco era impaziente di tornare in
sede per cominciare una nuova missione,
quella cioè trasformare il gruppo di
stranieri affidatogli 3 mesi prima in un
team.
Così, quando furono tutti in sala
riunioni, per la prima volta prese la
parola in tedesco:
“E’ stata una missione molto
istruttiva, vero Konrad?”
E il berlinese rispose in italiano.
“Sono completamente d’accordo”.
“Come vedete, abbiamo sfruttato le
lunghe ore di volo per studiare un po’
31 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
di lingue straniere”, riprese Francesco
ammiccando. Gli rispose qualche cauto
sorriso. Si affidò di nuovo all’inglese.
“Ci siamo concessi una serata in uno
dei migliori jazz clubs del Greenwich
Village. Grande trio, eh Konrad?”
Per qualche motivo (miracoli della
musica passione comune?) a Konrad
pareva di leggere nella mente di
Francesco, e comprese al volo il senso
di quel discorso, fuori luogo solo in
apparenza.
“Confermo. E a metà serata è
comparso un trombettista che ha
attraversato tutta la sala suonando,
e si è unito agli altri: sono diventati
un quartetto affiatato dopo un paio di
battute soltanto”.
“Grazie a Konrad che si è occupato
dei biglietti e del taxi. Da bravo italiano
ho preferito lasciar fare all’efficienza
teutonica”.
Risatine cordiali: l’energia era quella
giusta.
“Venendo a noi: la missione è stata
un successo, ora vi spiego perché”.
E per i successivi 15 minuti passò
in rassegna il contributo specifico di
ciascun membro del team durante il
lavoro di preparazione. Magari qualche
passaggio era un po’ forzato, ma
ognuno ebbe la sua parte di gloria e
alla fine Francesco ottenne ciò che era
davvero importante in quel momento:
gente sorridente abbandonata contro lo
schienale della sedia, cravatte allentate
(con garbo), Ingrid che mostrava il
pollice alzato a Carmen, la giovane
spagnola ultima arrivata, fino a quel
momento snobbata da tutti come ultima
ruota del carro.
“Ora si tratta di raccogliere i frutti”,
concluse Francesco. “Avete tempo fino a
lunedì alle 9.30 per farvi venire idee da
mettere sul tavolo. Grazie ancora a tutti
e buon lavoro… Carmen, puoi fermarti,
per favore? Voglio chiederti di quel tuo
insegnante di tedesco. Konrad è bravo,
ma dopo la terza birra tende a parlare
in dialetto e io non imparo più niente”.
Era la prima volta che una riunione
terminava tra le risate.
Quando tornò a sedersi alla sua
postazione, Carmen si accorse che era
passata quasi un’ora: con Francesco
aveva parlato di lezioni di tedesco per
qualche minuto, poi lui le aveva chiesto
qualcosa dei suoi studi in Spagna, e si
// C o a c h i n g & S t o r y t e l l i n g //
era ritrovata a raccontare della sua vita,
delle sue passioni e dei suoi progetti.
Il discorso era così tornato al lavoro, a
quello che le piaceva e non le piaceva
fare, e Francesco le aveva proposto
alcuni piccoli aggiustamenti: poca
roba, ma sufficiente a farle apparire
quell’impiego come pensato apposta per
lei. Cercò di ricordare in quale lingua
avessero parlato, ma non avrebbe saputo
dire se si erano intesi più con l’italiano,
lo spagnolo o l’inglese: sembrava che
quel giorno la sostanza dei discorsi
avesse trovato il modo di filtrare
attraverso i muri linguistici. Carmen
si chiese quanto sarebbe durato, quel
piccolo miracolo. Decise che era meglio
andare sul sicuro, e, preso il telefono,
chiamò herr Mayer per avvisarlo che
gli aveva mandato un nuovo allievo che
aveva particolare urgenza di imparare a
comunicare presto e bene.
Intanto Francesco, rimasto solo in un
angolo della sala riunioni, aveva tirato
fuori lo smartphone: dopo essersi
appuntato un pro-memoria su Carmen,
armeggiava con l’agenda per pianificare
gli incontri personali con ciascuno degli
altri.
e parla in un’altra lingua, superare la
sgradevole sensazione di essere guardato
con diffidenza da persone che invece
molto più semplicemente non sanno
come sintonizzarsi con te. Inizialmente
aveva commesso l’errore di affidarsi
alle procedure e alla policy aziendale,
pensando che quello fosse il linguaggio
universale della solita “grande famiglia”.
Ma solo quando aveva cominciato a
guardare in faccia i suoi collaboratori, ad
ascoltarli, e a permettere loro di guardare
in faccia lui, solo allora avevano
davvero cominciato a lavorare insieme.
Ciascuno aveva manifestato i propri
talenti migliori, lui aveva dato qualche
aggiustatina in modo da eliminare le
sovrapposizioni ed esaltare le differenze,
e da quando il nuovo meccanismo aveva
cominciato a girare le perfomances
erano improvvisamente esplose.
Alzò lo sguardo sui cristalli della
Bahn Tower che sparivano in alto
nella notte: sparuti fiocchi di neve
galleggiavano tra i grattacieli.
La mattina dopo avrebbe convocato tutti
quanti per dare l’annuncio: l’azienda
aveva deciso che loro erano uno dei
migliori team in assoluto, e avrebbe
espresso il concetto nella prima busta
*********
paga utile.
Busta paga che, sia detto per inciso, ora
Si fermò di botto e tornò a guardare
Francesco si poteva leggere nei minimi
attraverso la notte illuminata dai lampioni dettagli anche se era scritta in tedesco.
di Potsdamerstrasse: non si era sbagliato, Senza vocabolario, natürlich.
era proprio una volpe. Trotterellava
attraverso il piazzale antistante la
Philarmonik, senza dare segni di
Mattia Rossi*
particolare nervosismo ma palesemente
all’erta, il muso proteso e le orecchie
ben diritte. Francesco sorrise, provando
simpatia per quella creatura fuori
contesto: “mi ricordi qualcuno”, le disse
a mezza voce, ripensando alle sue prime
settimane berlinesi. La volpe dovette
averlo udito, perché si fermò e si volse
nella sua direzione: lui restò immobile,
e l’animale ripartì in direzione del
Tiergarten, dove sicuramente aveva la
tana. Francesco invece si incamminò
verso le luci di Potsdamer Platz.
Con il senno di poi tutto quanto appariva
dotato di una sua logica abbastanza
lineare, ma quando ci sei immerso
non è facile trovare il bandolo della
matassa: distinguere la normale fatica
del lavoro da quella specifica della
comunicazione con gente che pensa
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 32
// C o a c h i n g & m e t a f o r e //
Mi racconti
dell’oceano?
di Matilde Cesaro
“Mi racconti dell’oceano?”
Chiese la gocciolina di pioggia al vento
di primavera che per un momento smise
di soffiare aggrottando la fronte.
“Come si può raccontare la storia
dell’oceano ad una fresca gocciolina?”
pensò il vento di primavera…
“Mi chiedi di raccontare la tua storia che
poi è la storia di ieri ma è anche la storia
di domani…” soffiò leggero il venticello.
La gocciolina per nulla turbata da queste
importanti parole e lasciandosi cullare
dal filo d’erba si preparò ad ascoltare la
storia delle storie.
“L’oceano è come una grande goccia…
sì, proprio come te. Nei giorni di sole è
luminosa e lucente come un raggio di
sole e nei giorni di tempesta è inquieta
e scontrosa, pronta a litigare con
chiunque le si avvicini. La sua origine
è ancora avvolta dal mistero ma molto
si sa invece della sua attuale situazione.
Ogni sua gocciolina prima di arrivare
a lei compie un viaggio lungo, pieno
di imprevisti ed ostacoli. Le goccioline
nascono in posti lontani e diversissimi
tra di loro. Poi trasportate dalle nuvole
atterrano sulla terra e cominciano il loro
cammino. Ognuna si dà da fare, secondo
le sue caratteristiche, per raggiungere
il più velocemente possibile l’oceano.
Spesso si incontrano e viaggiano insieme
e a volte accade che alcune goccioline
si montino la testa e vogliano prendere
il comando mentre altre stentano ad
emergere e sono costrette a raddoppiare
gli sforzi per camminare affiancate.
Alcune hanno un colore, altre hanno una
forma o una consistenza diversa e non
sempre si accordano da subito e prima di
decidere di camminare insieme perdono
tempo ed energia nel ri-conoscersi”. Il
venticello si fermò per prendere fiato e
intanto rivolse lo sguardo lontano. La
gocciolina ascoltava in gran silenzio
senza perdere una sola parola di questa
magnifica storia che poi era anche la sua
storia…
“Certo, ” riprese il venticello, “certo
sarebbe più semplice se tutte le
goccioline si unissero da subito per
generare una corrente comune” …
“Mah!” sospirò pensieroso il vento.
“Mah!” ripeté la gocciolina che
cominciava a comprendere come vanno
le cose, anche se non ne capiva il
funzionamento.
“E poi?” incalzò la gocciolina, “e poi è
necessario che si guardino ed imparino
ad ascoltarsi, solo così potranno comprendersi e crescere… e man mano che
cresceranno aumenterà la loro forza e la
loro potenza e questo le renderà anche
più fluide e veloci”.
“Allora è facile!” sbottò la gocciolina.
Il vento di Primavera guardò la
coraggiosa gocciolina che aveva già tutte
e due le gambe fuori dallo stelo d’erba
pronta a riprendere il suo cammino verso
la madre goccia.
“Spesso la paura ci fa mostrare il
nostro lato peggiore e ci costringe
ad essere diffidenti e a difendere
solo i nostri pensieri” aggiunse il
venticello profondamente commosso
dall’entusiasmo della gocciolina “spesso
non ascoltiamo per il timore di sapere
che oltre al nostro mondo esistono
mondi differenti, che non conosciamo e
allora preferiamo continuare a pensare
che il nostro sia l’unico modo possibile
di essere e fare le cose” la gocciolina
non perdeva una sola parola “oppure
proteggiamo gli occhi con le mani per
non vedere e chiudiamo le orecchie
per non sentire rischiando di rimanere
indietro e da soli…”
“E cosa si può fare per evitare tutta
33 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
questa fatica e ri-conoscersi sin da
subito?” chiese impaziente la gocciolina.
“Apri il tuo cuore al diverso e accogli
le sue parole come un messaggio di
novità” disse il venticello di primavera
mentre riprese a soffiare giocando con le
giovani foglie del melo.
“Ora vai e segui la tua strada e ricorda
solo se acquisisci le differenze potrai
affrontare situazioni complesse e
sfaccettate e raggiungere in armonia la
goccia madre che è lì ad aspettarti pronta
ad accogliervi tutte”.
La gocciolina scivolò via urlando al
vento di primavera “ora ho capito che
cosa posso fare, quale contributo posso
dare per migliorare la situazione”
prendendo sottobraccio una nuova
goccia incontrata per caso….
Ma si sa, il caso è un’invenzione!
Matilde Cesaro*
// C o a c h i n g & m e t a f o r e //
Il bello della
metafora
di Marco Donadoni
Fra i molti strumenti che figurano nella cassetta degli attrezzi
dell’ immaginazione, uno dei più efficaci è senza dubbio la
metafora, tanto è vero che -sicuramente lo avrete notato- è
stata usata già in queste prime righe. Volendo fare i didattici
potremmo definire metafora (dal greco metaphérō, «io
trasporto») come figura retorica che implica un trasferimento
di significato, sostituendosi al termine che normalmente
occuperebbe un posto nella frase un altro la cui “essenza”
va a sovrapporsi a quella del termine originario creando
immagini di forte carica espressiva. Di solito usiamo la
metafora nel linguaggio verbale o scritto, ma in formazione
la metafora può essere strutturata anche attraverso una
situazione complessa, legata cioè ad una somma di azioni,
ambienti, personaggi, motivazioni eccetera. Insomma un’
intera attività da vivere come “altro da sé”.
L’efficacia di questo strumento si basa sul corretto
rapporto tra un ambiente di partenza (reale) e uno di arrivo
(metaforico), con un potere comunicativo tanto maggiore
quanto più i termini di cui è composto il rapporto sono
lontani tra loro. Dei due ambiti/ambienti diversi e paralleli,
quello più difficile o sconosciuto (bersaglio) viene compreso
più facilmente perché avvicinato attraverso termini di
un altro, più facile e/o soprattutto più noto (sorgente).
Prendiamo ad esempio la metafora che abbiamo usato prima:
“strumenti nella cassetta degli attrezzi”. L’ambito sorgente
è ovviamente il mondo dell’operaio: chiavi, cacciaviti, conti
salati da pagare, roba fisica con cui tutti noi abbiamo avuto
contatto; l’ambito obiettivo è quello dell’apprendimento,
della scuola, mondo difficile per definizione, fin dai tempi
delle elementari.
Di solito le metafore hanno un concetto più astratto come
obiettivo e un concetto più concreto come sorgente.
Naturalmente la cosa funziona solo se la conoscenza
dell’ambiente sorgente é nota a coloro ai quali la metafora
viene rivolta: se porto un uomo in ambiente beauty
probabilmente (solo probabilmente) la metafora sarà
meno efficace che se lo porto al Brico. La metafora aiuta a
essere più flessibili, stimolando l’adozione di diversi tipi di
pensiero, attraverso un universo parallelo in cui si possono
più facilmente superare molte riluttanze/rigidità causate da
esperienza, paura, insicurezza.
Visto che ne stiamo parlando, proviamo ad usare la metafora
per spiegarci meglio: è la rigidità quello che ci porta a
non accettare consigli sulla strada che percorriamo ogni
giorno da casa all’ufficio. Se qualcuno ci chiede di provare
nuovi percorsi, suggerendo “volta a destra che facciamo
prima” quando noi invece di solito voltiamo a sinistra, ne
siamo infastiditi, vittime dell’abitudine e delle certezze
preregistrate. Ci si alza cioè la resistenza, perché viene
suggerito un cambiamento che non avevamo previsto né
ipotizzato. Ma se qualcuno disegnasse in un’altra città un
percorso assolutamente identico per distanze e diramazioni
a quello nostro solito, e ci desse consigli nel modo di
affrontarlo, sicuramente saremmo più liberi e disponibili
nell’accettare suggerimenti e sperimentare nuove traiettorie.
Poi, una volta decodificato il rapporto di uguaglianza
geografica che collegasse i due percorsi, guardando le
diverse strade su due piantine accostate, potremmo più
facilmente accettare di riportare anche nel vecchio percorso
(ambito obiettivo) le modifiche sperimentate nel nuovo
(ambito sorgente). E averlo sperimentato dal vivo avrebbe
reso la scoperta più immediata e efficace del solo studio
topografico.
Marco Donadoni*
Autore di Met@forming
Crescere e migliorare attraverso l’esperienza in metafora
ed: Dante Alighieri
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 34
Eventi
E w
ICF – European
Coaching Conference
Madrid, 16 -17-18 giugno 2011
Occasione di assaggio/avvicinamento/confronto del coaching
ad alto livello internazionale. Un’esperienza creativa e
dinamica per incontrare colleghi coach ed acquisire qualcosa
di nuovo da ciò che fanno gli altri. Il titolo dell’evento,
“Reinventing Ourselves“, suscita curiosità e voglia di
esserci. Tutte le informazioni per partecipare sono disponibili
al sito http://www.coachingconferencemadrid2011.com
E w
A.I.C.P.
Fiera del Coaching
Trento, 18 e 19 giugno 2011
“La leadership imprenditoriale positiva:
Prassi delle idee innovative”
Seconda Fiera di A.I.C.P., per dare un contributo concreto
all’uscita dalla crisi. Il filo conduttore è l’imprenditore che
genera leadership positiva innovativa in ogni ambiente ed
organizzazione, portatore di creatività, positività, coscienza
collettiva, che crea benessere non solo a se stesso ma all’intera
collettività, in particolare nel mondo delle PMI. Per saperne
di più http://www.associazionecoach.com
E w
ICF - Networking
Weekend 2011
Bologna, 9 e 10 Luglio
Sesta edizione del Coaching Networking Weekend.
Il tema dell’incontro e’ Attrarre Clienti con Etica e
Competenze.Un’occasione per conoscere i criteri utilizzati
da chi acquista abitualmente coaching, le tecniche di
attrazione sviluppate da alcuni Coach esperti e come i Master
Certified Coach utilizzano i principi etici e le competenze ICF
nel dialogo con i decision maker ed i clienti potenziali.
Da non perdere.
Informazioni aggiuntive dal Project Leader dell’evento,
Davide Tambone, tramite il sito ICF, selezionando Contatti
e Networking Weekend 2011.
altri EVENTI sul sito www.coachmag.it/eventi/
35 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– CoachMag nr°5, maggio 2011
Libri in gocce
Diplomathìa…
L’arte di imparare due volte:
messaggi dal G8
A cura di Fabrizio Petri e Fabrizio
Lobasso – editore Rubbettino
Prefazione del Ministro Franco Frattini
In questo libro si trovano i racconti dei liaison officers, i giovani
funzionari diplomatici che si sono presi cura delle delegazioni
straniere durante il vertice dei ministri degli Affari esteri di
Trieste nel giugno 2009 e il Summit dei capi di Stato e di
governo dell’Aquila. Il libro, a cura del capo della delegazione
del Ministero degli Affari Esteri per la Presidenza Italiana
del G8, Fabrizio Petri e del suo vicario, Fabrizio Lobasso,
riporta anche i contributi di altri diplomatici e un interessante
approfondimento sulle abilità comunicative necessarie per chi
opera in contesti multiculturali realizzato dall’Università Ca’
Foscari di Venezia. In poco più di 100 pagine ho trovato un
evento storico raccontato dai protagonisti, spunti di formazione,
comunicazione, scienze politiche, antropologia... I molteplici
piani di lettura del libro sono ben sintetizzati in questa
frase di Fabrizio Lobasso. Questo “è un libro che racconta
innanzitutto di esseri umani che per alcuni giorni si vestono da
protagonisti e con coraggio e pazienza affrontano timori, dubbi
imprevisti e la diversità nei valori, linguaggi, posture, costumi,
ideologie dei membri delle delegazioni straniere, facendo
costante modulazione di frequenza” per il compimento della
loro missione e cioè per la piena e reciproca soddisfazione.”
Ringrazio Fabrizio Lobasso per avermi donato questo libro e per
avermi insegnato l’arte della “Diplomathia” (recensione di Helga
Ogliari). Ora passo la parola ai liason officer: “Osservare il
Presidente americano percorrere strade alternative per evitare
il bagno di folla - strade semideserte dove gli unici saluti
sarebbero venuti dal personale di servizio in pausa dai balconi
- e vedere il suo saluto schietto, ripetuto, riconoscente a chi
rappresentante dei media certo non era, mi lasciava molto
stupita. Avevo pensato male: quell’uomo stava ringraziando
tutti di cuore.” “Sentii di essere spagnolo, desiderando però di
essere anche svedese”. “A mente fredda, essere liaison officer
vuol dire essere un manager di un affare, seppur temporaneo,
ma grande e considerevole per i risultati che verranno
prodotti.” “In caso di imprevisti avevo preso l’abitudine di
accompagnare le mie interlocuzioni con loro con il motto “No
panic, please, it’s only the Italian way” strappando sinceri sorrisi
dei delegati ONU che, tutto sommato si mostravano soddisfatti
per l’andamento complessivo degli aspetti organizzativi.”
Questa è solo una piccola selezione dei messaggi dal G8 che credo
possano essere utili anche per chi non intraprende la carriera
diplomatica.
// C o a c h i n g & W E B //
Il Coaching
Interculturale
di Philippe Rosinski, ed: Franco Angeli
Tutto ad un tratto coaching e intercultura si incontrano,
riconoscono a vicenda le diversità ma anche le affinità che
ne accompagnano l’applicazione, si integrano.
Volevo dire “si sposano e vivono a lungo felici e contenti”
ma mi sembrava poco serio: meglio che prima si fidanzino
un po’, le due discipline, e provino a vedere se si piacciono
davvero.
Il riconoscimento delle dimensioni culturali, unito alle
modalità espressive del coaching, non solo può far bene al
coachee e al gruppo di persone che desiderano mescolare le
proprie competenze; accrescerà – e di molto – la potenza del
coach, in quanto lo porterà a comprendere velocemente le
pluralità comportamentali che incontra.
Il modello di Rosinski, accuratamente dettagliato nel
suo libro, si adatta facilmente ad ogni stile di coaching,
arricchendolo.
Recensione di Marina Fabiano
Il linguaggio
dell’accordo
di Paolo Carmassi e Alessandro
Lucchini, ed: Centopagine
Leggere, gestire e orientare i rapporti di forza nelle relazioni
interpersonali. Alessandro e Paolo sono due esperti di
comunicazione e linguaggio che hanno fatto del semplificare
il loro mantra formativo. Val la pena di sorridere riflettendo
su un libretto asciutto ma intenso, intriso di situazioni e
casi tipici della vita relazionale quotidiana, dall’ambiente
lavorativo alla riunione condominiale, dal festival di
Sanremo al tribunale, al dibattito politico.
Recensione di Marina Fabiano
Voglio aprirmi un
blog...gratis.
La necessità di aprire un blog è fondamentale per tutti quei
professionisti e imprese che volessero divulgare articoli o idee
relative alla propria attività.
Il principale problema per un neofita che non ha particolari
competenze tecniche, è quella di non saper installare,
configurare e gestire su un proprio server CMS* adatti a
bloggare.
Per ovviare a questa lacuna, la rete ci viene incontro con
piattaforme gratuite che offrono un servizio facile e veloce da
gestire con tutti gli strumenti necessari di cui abbiamo bisogno.
Ne esistono in particolare tre, tra i più famosi e utilizzati vi
segnalo WordPress.com, Blogger e Tumblr.
Wordpress.com è sicuramente il
mio preferito, permette la creazione
e la gestione di illimitati blog del
tipo tuonome.wordpress.com. Il
mantenimento è a cura del provider,
che gestisce archiviazione, backup,
sicurezza e controlli anti-spam.
E’ possibile creare blog multi-autore con settaggio permessi a
vari livelli.
A disposizione dell’utente vi sono circa 100 temi gratuiti ma
anche la possibilità di modificare il foglio di stile CSS (o fogli
di stile, linguaggio per determinare l’aspetto grafico del sito
web).
WordPress è un CMS molto gradito ai motori di ricerca: la
versione auto ospitata permette di modificare facilmente
la struttura del permalink e quindi la possibilità di essere
indicizzato sulla rete. La community di WordPress è attivissima,
ogni giorno vengono rilasciati nuovi plugin ed è molto
frequente trovare supporto ad eventuali problemi.
Blogger è il servizio gratuito di blogging
offerto da Google.
La sua peculiarità è l’estrema semplicità
d’uso: in poco più di 15 minuti potrai
creare il tuo blog del tipo tuonome.
blogspot.com e pubblicare i tuoi primi
contenuti.
I fogli di stile CSS ed il metalinguaggio XML con cui è scritto
permettono ai più esperti di modificare facilmente il design
del blog. I neofiti hanno invece a disposizione tantissimi
temi gratuiti, disponibili tramite interfaccia o scaricabili
nei tanti siti dedicati al prodotto presenti in rete. Blogger si
integra con Google Docs, Microsoft Word, e Windows Live
Writer, permettendo la pubblicazione direttamente da queste
applicazioni. Con Blogger potrai permettere la pubblicazione ad
CoachMag nr°5, maggio 2011 –– INTERCULTURA E DIVERSITA’ –– 36
oltre 100 autori contemporaneamente, in modo tale da creare un
blog multiautore semplicissimo da usare con la possbilità anche
di creare fino a 20 pagine statiche per ogni blog.
Tumblr è un po’ una via di mezzo
tra una piattaforma per bloggare ed
una di microblogging come Twitter.
Da pannello di controllo del proprio
Tumblr è possibile scegliere il tipo di
contenuto da pubblicare un post, un
link, un video, un file audio o un’immagine. Anche in questo
caso il servizio è davvero rapido e semplicissimo da usare:
basterà una registrazione per avere il proprio blog con nome
tuonome.tumblr.com.
A disposizione dell’utente ci sono molti temi gratuiti da
installare oppure personalizzare a piacimento. E’ possibile
anche ri-pubblicare post di altri tumblr sulla propria piattaforma
con un click o seguire gli autori che più vi interessano.
Qualora si volesse usare un proprio dominio di primo livello,
sostituendolo a quello di secondo livello di default, si può
acquistare presso un provider e farlo ‘puntare’ al server del
servizio scelto. Questa opzione è comune a tutte le piattaforme
ed è fondamentale per poter mantenere la propria identità,
sicuramente poi un dominio di primo livello darà un aspetto più
professionale e credibile al vostro blog.
C’è da sottolineare che queste piattaforme di tipo gratuito, non
sono l’ideale se si volesse usare il blog per vendere/pubblicare
contenuti di tipo pubblicitario. Di fatto si è ospitati su un server
di cui non si è proprietari e, ad esempio, una seppur breve
interruzione del servizio da voi non risolvibile, potrebbe portare
non pochi disagi nei confronti dei vostri clienti.
Prossima Uscita
20 Settembre
2011
Si parlerà di
Team & Group
Coaching
Bisognerebbe in questo caso installare il blog su un proprio
server, operazione che richiede comunque specifiche
competenze tecniche che solo un professionista potrà darti.
Una volta installata, la gestione dei contenuti è semplice e
veloce come quella gratuita, ma con la differenza che sarai tu
proprietario e responsabile di tutta la piattaforma.
Luca Gentile*
[email protected]
http://think.bigchief.it
http://lucagentile.it
*CMS: acronimo di Content Managment Sistem, di fatto un’
applicazione da installare sul proprio server per poter gestire i
contenuti del proprio sito web/blog.
p.s. Se qualche termine non ti è chiaro, o soltanto desideri
saperne di più, scrivimi a [email protected]
p.p.s. Se invece sei interessato alla progettazione di un nuovo
sito/blog o vuoi rinfrescare l’attuale, questo è il mio lavoro.
Manda le tue proposte,
i tuoi articoli, i tuoi consigli, le
tue domande a:
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Parla di CoachMag con il tuo
network, diffondi il coaching.
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