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UOMINI, SCRITTE SUI SASSI
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti
Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero
Partendo dall’incipit di Veronica Tomassini e con il coordinamento
dei propri docenti, hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole
e delle classi appresso indicate:
ITCT “D. Panedda” di Olbia (OT) – classe IV C Iter
Liceo “Alfano I” di Salerno – classi IVC/IIIA
Ist. Tecnico per il Turismo e Liceo Linguistico “A. Gentileschi” di Milano - classe IVD
Liceo Psicopedagogico “A. Galizia” di Nocera Inferiore (SA) – classi IIIB/E
I.I.S. Liceo Artistico ITA “G. Tommasi” di Cosenza – classi II/III/IVB – IV/VA ITA
ITSSE “A. Genovesi” di Salerno – classi IIIB/D/E
Liceo Scientifico “E. Amaldi” di Barcellona (SPAGNA) – classe IIIA
Sede Carceraria D.D. Primo Circolo di Enna – gruppo misto
Liceo “Alfonso Gatto” di Agropoli (SA) – classe IIC
ITIS “F. Corni” di Modena - classi VA/VB/IVA/IIA
Editing a cura di: Federico Esposito
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali
Ente Formatore per docenti accreditato MIUR
Il racconto è pubblicato in seno alla Collana dei Raccontiadiecimilamani
Staffetta Bimed/Exposcuola 2013
La pubblicazione rientra tra i prodotti del Percorso di Formazione per Docenti “La Scrittura
Strumento indispensabile di evoluzione e civiltà” II livello. Il Percorso di Formazione è promosso
dal MIUR Dipartimento per l’Istruzione Direzione Generale per il Personale Scolastico Ufficio
VI e si organizza in interazione con l’Istituto Comprensivo “A. De Caro” di Lancusi/Fisciano (SA)
Direzione e progetto scientifico
Andrea Iovino
Monitoraggio dell’azione
e delle attività formative collegate
Maurizio Ugo Parascandolo
Responsabili di Area per le comunicazioni, il
coordinamento didattico, l’organizzazione
degli Stages, le procedure e l’interazione con
le scuole, le istituzioni e i fruitori del Percorso
di Formazione collegato alla Staffetta 2013
Linda Garofano
Marisa Coraggio
Andrea Iovino
Area Nord
Area Centro
Area Sud
Segreteria di Redazione
e Responsabile delle procedure
Giovanna Tufano
Staff di Direzione
e gestione delle procedure
Angelo Di Maso, Adele Spagnuolo
Responsabile per l’impianto editoriale
Federico Esposito
Grafica di copertina:
Valentina Caffaro Rore, Elisa Costanza
Giuseppina Camurati, Iulia Dimboiu, Giulia
Maschio, Giulio Mosca, Raffaella Petrucci,
Dajana Stano, Angelica Vanni - Studenti
del Corso di Grafica dell’Istituto Europeo
di Design di Torino, Docente Sandra Raffini
Impaginazione
Bimed Edizioni
Relazioni Istituzionali
Nicoletta Antoniello
Piattaforma BIMEDESCRIBA
Gennaro Coppola
Amministrazione
Rosanna Crupi
I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione Commerciale
RINGRAZIAMENTI
I racconti pubblicati nella Collana della
Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola
2013 si realizzano anche grazie al contributo erogato in favore dell’azione dai
Comuni che la finanziano perché ritenuta
esercizio di rilevante qualità per la formazione delle nuove generazioni. Tra gli
Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana Staffetta 2013 citiamo: Siano, Bellosguardo, Pisciotta,
Cetara, Pinerolo, Moncalieri, Susa, SaintVincent, Castellamonte, Torre Pellice, Castelletto Monferrato, Forno Canavese,
Rivara, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè, Santena, Agliè, Favignana, Lanzo Torinese. Si
ringrazia, inoltre, il Consorzio di Solidarierà Sociale “Oscar Romero” di Reggio
Emilia, Casa Angelo Custode di Alessandria, Società Istituto Valdisavoia s.r.l. di
Catania, Associazione Culturale “Il Contastorie” di Alessandria, Fondazione
Banca del Monte di Rovigo.
La Staffetta di Scrittura riceve un rilevante contributo per l’organizzazione
degli Eventi di presentazione dei Racconti 2013 dai Comuni di Bellosguardo,
Moncalieri, Ivrea, Salerno, Pinerolo, Saint
Vincent, Procida e dal Parco Nazionale
del Gargano/Riserva Naturale Marina
Isole Tremiti.
Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno operato
per il buon esito della Staffetta 2013 e
che nella Scuola, nelle istituzioni e nel
mondo delle associazioni promuovono
l’interazione con i format che Bimed annualmente pone in essere in favore delle
nuove generazioni. Ringraziamenti e
tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per
la Staffetta e lo donano a questa straordinaria azione qualificando lo start up
dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni Regionali Scolastiche
e agli Uffici Scolastici Provinciali che si
sono prodigati in favore dell’iniziativa. Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S.
E. l’On. Giorgio Napolitano che ha insignito la Staffetta 2013 con uno dei premi
più ambiti per le istituzioni che operano
in ambito alla cultura e al fare cultura, la
Medaglia di Rappresentanza della Repubblica Italiana giusto dispositivo Prot.
SCA/GN/0776-8 del 24/09/2012.
Partner Tecnico Staffetta 2013
Si ringraziano per l’impagabile apporto
fornito alla Staffetta 2013:
i Partner tecnici
UNISA – Salerno, Dip. di Informatica;
Istituto Europeo di Design - Torino;
Cartesar Spa e Sabox Eco Friendly
Company;
ADD e EDT Edizioni - Torino;
il partner Must
Certipass, Ente Internazionale Erogatore
delle Certificazioni Informatiche EIPASS
By Bimed Edizioni
Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
(Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura)
Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY
Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected]
La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2013 viene stampata in parte su
carta riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il
rispetto della tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi
intende contribuire alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono
risorse ineludibili per il futuro di ognuno di noi…
Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di
recupero e riciclo di materiali di scarto.
La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura
Bimed/Exposcuola 2012/2013
Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero.
Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo)
senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.
La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra tra i prodotti formativi di Bimed destinati
unicamente alle scuole partecipanti l’annuale Staffetta di Scrittura
Bimed/ExpoScuola.
PRESENTAZIONE
dedicato alle maestre e ai maestri
… ai professori e alle professoresse,
insomma, a quell’esercito di oltre mille
uomini e donne che anno dopo anno
ci affiancano in questo esercizio straordinario che è la Staffetta, per il sottoscritto, un miracolo che annualmente
si ripete. In un tempo in cui non si ha la
consapevolezza necessaria a comprendere che dietro un qualunque prodotto vi è il fare dell’essere che è, poi,
connotativo della qualità di un’esistenza, la Staffetta è una esemplarità su
cui riflettere. Forse, la linea di demarcazione che divide i nativi digitali dalle
generazioni precedenti non è nel fatto
che da una parte vi sono quelli capaci
di sentire la rete come un’opportunità
e dall’altra quelli che no. Forse, la differenza è nel fatto che il contesto digitale che sempre di più attraversa i nostri
giovani porta gli individui, tutti, a ottenere delle risposte senza la necessità
di porsi delle domande. Così, però, è
tutto scontato, basta uno schermo a risolvere i nostri bisogni… Nel contempo,
riflettere sul senso della nostra esistenza
è sempre meno un bisogno e il soddisfacimento dei bisogni ci appare come
il senso. Non è così, per l’uomo, l’essere,
non può essere così.
Ritengo l’innovazione una delle più rilevanti chiavi per il futuro e, ovviamente, non sono contrario alle LIM, a
internet e ai contesti digitali in generale, sono per me un motore straordinario e funzionale anche per la relazione
tra conoscenza e nuove generazioni,
ma la conoscenza è altro, non è mai e
in nessun caso l’arrivo, l’appagamento
del bisogno… La conoscenza è nella
capacità di guardare l’orizzonte con la
curiosità, il piacere e la voglia di conquistarlo, questo è! Con la staffetta il
corpo docente di questo Paese prova
a rideterminare una relazione con l’orizzonte, con quel divenire che accomuna
e unisce gli uomini e le donne in un afflato di cui è parte integrante il compagno di banco ma, pure, il coetaneo che
a mille chilometri di distanza accoglie la
tua storia, la fa sua e continua il racconto della vita insieme a te… In una
visione di globalizzazione positiva.
Tutto questo ci emoziona anche perché è in questo modo che al bisogno
proprio (l’egoismo patologico del nostro tempo), si sostituisce il sogno di
una comunità che attraverso la scrittura, insieme, evolve, cresce, si migliora. E se è vero come è vero che
appartiene alla nostra natura l’essere
parte di una comunità, la grande
scommessa su cui ci stiamo impegnando è proprio nel rideterminare
con la Staffetta una proficua interazione formativa tra l’innovazione e la
cultura tipica dei tanti che nell’insegnare hanno trovato… il senso.
Dedico questo breve scritto ai docenti ma vorrei che fossero i genitori e
gli studenti, gli amministratori e le imprese, la comunità e l’attorno, a prendere consapevolezza del fatto che è
proprio ri/partendo dalla Scuola che
potremo determinare l’evoluzione e la
qualificazione del nostro tempo e
dello spazio in cui viviamo. Diamoci
una mano, entriamo nello spirito della
Staffetta, non dividiamo più i primi
dagli ultimi, i sud dai nord, i potenti
dai non abbienti…
La Staffetta è, si, un esercizio di scrittura che attraversando l’intero impianto curriculare qualifica il contesto
formativo interno alla Scuola e, pure,
l’insieme che dall’esterno ha relazione
organica e continuativa con il fare
Scuola, ma la Staffetta è, innanzitutto,
un nuovo modo di esprimersi che enuclea nella possibilità di rendere protagonisti quanti sono in grado di
esaltare il proprio se nel confronto,
nel rispetto e nella comunanza con
l’altro.
Andrea Iovino
L’innovazione e la Staffetta: una opportunità per la Scuola
italiana.
Quando Bimed ci ha proposto di
operare in partnership in questa importante avventura non ho potuto far a
meno di pensare a quale straordinaria
opportunità avessimo per sensibilizzare un così grande numero di persone sull’attualissimo, quanto per molti
ancora sconosciuto, tema di “innovazione e cultura digitale”.
Sentiamo spesso parlare di innovazione, di tecnologia, di Rete e di 2.0,
ma cosa sono in realtà e quali sono le
opportunità, i vantaggi e anche i pericoli che dal loro utilizzo possono derivare?
La Società sta cambiando e la
Scuola non può restare ferma di
fronte al cambiamento che l’introduzione delle nuove tecnologie ha
portato anche nella didattica: cambia il metodo di apprendimento e
quello di insegnamento non è che una
conseguenza naturale e necessaria
per preparare gli “adulti di domani”.
Con il concetto di “diffusione della
cultura digitale” intendiamo lo svi-
luppo del pensiero critico e delle
competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione, aiutano i nostri ragazzi
a districarsi nella giungla tecnologica
che viviamo quotidianamente.
L’informatica entra a Scuola in modo
interdisciplinare e trasversale: entra
perché i ragazzi di oggi sono i “nativi
digitali”, sono nati e cresciuti con tecnologie di cui non è più possibile ignorarne i vantaggi e le opportunità e
che porta inevitabilmente la Scuola a
ridisegnare il proprio ruolo nel nostro
tempo.
Certipass promuove la diffusione della
cultura digitale e opera in linea con le
Raccomandazioni Comunitarie in materia, che indicano nell’innovazione e
nell’acquisizione delle competenze digitali la vera possibilità evolutiva del
contesto sociale contemporaneo.
Poter anche soltanto raccontare a
una comunità così vasta com’è quella
di Bimed delle grandi opportunità che
derivano dalla cultura digitale e dalla
capacità di gestire in sicurezza la re-
lazione con i contesti informatici, è di
per sé una occasione imperdibile. Premesso che vi sono indagini internazionali da cui si evince l’esigenza di
organizzare una forte strategia di ripresa culturale per il nostro Paese e
considerato anche che è acclarato il
dato che vuole l’Italia in una condizione di regressione economica proprio a causa del basso livello di
alfabetizzazione (n.d.r. Attilio Stajano,
Research, Quality, Competitiveness.
European Union Technology Policy for
Information Society II- Springer 2012)
non soltanto di carattere digitale, ci è
apparso doveroso partecipare con
slancio a questo format che opera
proprio verso la finalità di determinare
una cultura in grado di collegare la
creatività e i saperi tradizionali alle
moderne tecnologie e a un’idea di digitale in grado di determinare confronto, contaminazione, incontro,
partecipazione e condivisione… I
docenti chiamati a utilizzare una piattaforma telematica, i giovani a inventarsi un pezzo di una storia che poi
vivono e condividono grazie al web
con tanti altri studenti che altrimenti,
molto probabilmente, non avrebbero
mai incontrato e, dulcis in fundo, le
pubblicazioni…
Il libro che avrete tra le mani quando
leggerete questo scritto è la prova
tangibile di un lavoro unico nel suo
genere, dai tantissimi valori aggiunti
che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro collegando la nostra storia,
le nostre tradizioni e la nostra civiltà
all’innovazione tecnologica e alla
cultura digitale. Certipass è ben lieta
di essere parte integrante di questo
percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che procedimento tecnologico.
Il Presidente
Domenico PONTRANDOLFO
INCIPIT
VERONICA TOMASSINI
“Se sei un uomo, dimostralo”. L’iscrizione campeggiava su una pietra dalle forme
irregolari. Sarebbe stato un altro tipo di eroismo, forse meno funzionale rispetto
all’arrogante prerogativa del branco che imponeva decisioni rapide e che induceva ad azioni irreversibili. Mario ricordava solo momenti fumosi, concitati: il kala
sovietico puntato maldestramente, le dita che tremavano, il sudore gelido che
si insinuava sotto la maschera di nylon. Ilenia lo riconobbe, la sua voce ruppe in
una supplica: «Mariuszek no, ti prego, no!» Fu l’ultima volta che ci provò, Mario
non sparava di solito. Ma in quell’albergo per ricchi, a Praga, successe il finimondo. Doveva essere l’ultima rapina, giurò a se stesso. Ilenia, la compagna, lavorava in reception. Ilenia lo riconobbe. La donna lo guardava fisso negli occhi,
non aveva paura, se non per lui; lo guardava fisso negli occhi che scintillavano
e svelavano un paradiso di illusioni; due fessure luminose che rappresentavano
la stessa lusinga che la vinse e costrinse la sua vita alle sorti di un balordo. Ilenia
non gli aveva mai detto: sii uomo. Mario lo era. Gli avrebbe dovuto dire “sei ingiusto, smettila, chiudi con i soliti traffici, le rapine, l’eroina. Basta Mario”.
Il masso era posto alla fine di un lungo viale alberato. Accanto si ergeva la statua
della Vergine Maria con il Bambinello in braccio e il Rosario al collo. Mario non
cercava scorciatoie, era stanco, non aveva voglia di affidarsi all’ennesima suggestione, per soffrire meno o peggio fuggire dai suoi errori, come sempre. La Vergine Maria sorrideva dolcemente e non chiedeva e non pretendeva. Nell’aria si
spandeva un buon odore. Il glicine si arrampicava arditamente lungo il portinaccio della dimora, fino a lambire le ampie verande del primo piano. La villa patrizia
era una comunità. “Sii uomo”, lesse Mario nell’edicola incavata sulla pietra dalle
forme irregolari. Gli doleva la schiena, erano crampi, poi avrebbe vomitato.
«È la scimmia?» ammiccò divertito un vigoroso giovane chino sull’orto con la
14
vanga in mano. La scimmia cioè la rota, l’astinenza da eroina.
«Bestie!» Mario detto Mariuszek imprecò, era senz’anima. «Bestie. Ci ridono sopra»
sibilò.
Nessun bagliore lo sosteneva, una crepa da cui lasciar penetrare un minimo di
luce o speranza o una possibilità, e invece era inchiodato al suo male, alla sua
dipendenza che avrebbe dovuto scontare in un luogo di recupero o altrimenti
tornare in carcere.
Il ragazzo era in maniche di camicia e scavava e ricopriva buche, trasportando
cumuli di terra e impiantando nuovi innesti.
«Che fai lì impalato? Non ti presenti? Io sono Mohammed e sono pulito da ventidue mesi».
«Io sono sloveno, avevo una ragazza. Ora sto malissimo».
15
CAPITOLO PRIMO
Ricomincio da qui
Mohammed proseguì con aria malinconica:
«Le ragazze vanno e vengono, mio caro! La vita, no».
Ed eccola lì, la scimmia. Il crampo fu così forte che Mario si accasciò e chiuse forte
gli occhi. L’immagine di Ilenia aprì la porta ai suoi ricordi.
Era inverno, pioveva ininterrottamente e il vento soffiava forte. Si avvicinava il Natale, la festa dell’amore e della serenità ma nella sua famiglia c’era solo tristezza. Il
fuoco emanava un calore strano e il suo corpo, immobile su quella sedia impolverata
e rotta, congelava. La sua anima non era lì con lui, era al piano di sopra, a fianco
al letto di lei, fissandole gli occhi nella speranza che si aprissero.
Sua madre non c’era più. Anche la sua anima se ne era ormai andata. Ma mentre il
corpo di Mario respirava ancora, il suo non dava segni di vita. Piangeva Mario, e
la rabbia nei confronti della madre cresceva. Rabbia per aver abbandonato lui e
suo fratello Victor, per averli lasciati senza una possibile via di uscita in un mondo
che non offre amore. Si era ammalata da un giorno all’altro e se ne andò lasciando
in casa quel dolce profumo di vaniglia e cannella, in quelle poche ore diventato
troppo amaro. Il mese dopo Mario avrebbe compiuto diciotto anni, lei non ci
sarebbe stata.
Mohammed lo guardava. Attese che il crampo gli passasse per riprendere a scavare.
Ne aveva visti tanti come lui, tanti Mario, uno dietro l’altro in quella comunità. Ogni
giorno, mese, anno.
«Fratello» disse con un sorriso «Sei nel posto giusto, qui ti riprenderai la vita. Anche
senza la tua ragazza».
Mario tossì. Sentiva ancora dolore quando prese a raccontare.
«Mohammed, Ilenia per me era tutto. Ma la preoccupazione di crescere un ragazzino
di poco più di quindici anni e la droga divennero la mia nuova vita».
16
Ricomincio da qui
Mohammed si fermò. Appoggiò ad un albero la pala e si prestò al racconto del suo
nuovo compagno.
«Quando avevo quindici anni» proseguì Mario «mi regalarono un criceto. Un giorno
dimenticai la gabbia aperta. Era scappato, non lo ritrovai più. Non ero stato in
grado di prendermi cura di lui. Dopo la morte di mia madre i pensieri mi riportarono
a quel giorno. Non ero riuscito a prendermi cura di un criceto, come sarei riuscito a
badare a mio fratello? Chi avrebbe pensato al piccolo Victor?»
Mohammed prese Mario per un braccio. In silenzio sedettero su una panchina, tra i
fiori del suo giardino.
«Avevo un assoluto bisogno di denaro per mantenere me e soprattutto lui. Ben presto
scoprii però che nessuno avrebbe assunto un ragazzo senza un titolo di studio e
senza capacità. L’urgente bisogno di lavoro si faceva sentire ogni giorno di più e
non potevo stare con le mani in mano. L’unica via d’uscita erano i soldi facili. Mi venne
così in mente un locale frequentato da loschi individui: iniziai ad andarci ogni sera,
che mai sarebbe potuto accadermi? Conobbi presto l’ambiente e le persone che ci
bazzicavano. Un giorno notai la presenza di un signore di origini italiane, si chiamava
Antonio, ma tutti lo chiamavano Toni lì dentro. Era sulla quarantina, brizzolato, sedeva
ad un tavolo affollato. Si girò verso di me. “Ehi novellino! Accomodati”. Cosa voleva
da me? Mi avvicinai. Salutai e sedetti. Ero curioso e preoccupato. Lui non mi piaceva
ma qualcosa mi diceva che avrebbe potuto aiutarmi. Aveva un sorriso malizioso
quando cominciò a parlare: “Non mi interessa come ti chiami e da dove provieni. Ho
un lavoro per te, un incarico speciale. Mi sembri un tipo in gamba e so che non mi deluderai”. Gli chiesi subito di cosa si trattasse. “Presentati domani alle dieci alla taverna
del Drago Rosso” rispose deciso. “Vestiti in modo tale che nessuno possa riconoscerti,
il resto te lo darò io. Considerala una prova di lavoro”. Da quel giorno il mio futuro
sarebbe cambiato. Feci la mia prima rapina in una nota banca di Praga».
I due si guardarono per un istante negli occhi. Mohammed propose al nuovo arrivato
di andare a vedere la sua nuova stanza ma Mario aveva bisogno di continuare il
racconto.
Capitolo primo
17
«Ricordo ancora il primo incontro con Ilenia. Una sera decisi di uscire a prendere un
caffè con Carlo, un amico fidato. Appena arrivai al bar notai che insieme a lui vi era
una ragazza, rimasi abbagliato dalla sua bellezza. Aveva lunghi capelli bruni e
grandi occhi verdi. Mi avvicinai e non persi tempo. “Ciao, sono Mario”. “Ilenia, sono
la sorella di Carlo”. Aveva un modo di fare molto dolce. Mi colpì subito. Iniziammo
a frequentarci sempre più spesso. Ilenia stava diventando importante per me. Era
l’unica che riusciva a capirmi. E le bastò poco per rendersi conto che qualcosa mi
turbava. “Mario ti prego se mi vuoi bene lascia perdere quelle persone, ti fanno
solo del male”. “Non puoi capire, ho bisogno di loro”. “Ma tu hai me, insieme possiamo farcela”. “Non basta, non ho un lavoro, sono un fallito e ho un fratello da
crescere”. “E allora scegli loro e lascia me, esci dalla mia vita”. Uscii dalla sua vita,
ma quel giorno, quel maledetto giorno, decisi il mio destino».
Il kala sovietico puntato maldestramente, il sudore gelido, la voce di Ilenia: «Mariuszek no, ti prego, no!»
Il refettorio si trovava all’interno del centro di riabilitazione. La luce chiara ma incredibilmente accecante proveniente dalle tende gli provocava uno strano mal
di testa. Le luci interne erano fredde e poco luminose. Il tempo aveva lasciato i
suoi segni. Bastava osservare le crepe sui muri giallastri. La sala era grande e
poteva ospitare più di cinquanta persone grazie a dei lunghi tavoli bianchi sbiaditi dal tempo e un po’ graffiati, attorno ai quali il personale aveva disposto le
sedie che apparivano vecchie e scomode. Da una piccola porta provenivano
le voci degli addetti alla cucina e gli odori penetranti e speziati del cibo riempivano la sala. I veterani avevano i loro posti preferiti. Mario non sapeva dove
sedersi. In quel periodo il centro era particolarmente affollato e Mohammed, seduto con altri ragazzi, non si accorse della sua presenza. Mario trovò un tavolo
in fondo alla sala e sedette. Iniziò a mangiare ma, come accadeva da tempo,
non riusciva a sentire il sapore del cibo.
Mohammed si avvicinò.
«Amico, come mai qui da solo? Posso sedermi vicino a te?»
18
Ricomincio da qui
«Certo», annuì Mario tornando al suo brodo.
«Che hai, a cosa pensi?»
«Ilenia».
«Ti ripeto amico mio, le ragazze vanno e vengono, la vita no. Sai, io ero un bambino
felice, vivevo con i miei genitori, una famiglia modesta ma unita… poi gli amici, quelli
sbagliati, quelli che ti dicono “Prova è uno sballo!” e tu provi quella maledetta roba
che ti incatena, che ti cambia la vita. Fu così per anni. Il tempo passava, la paura
mi perseguitava, la mia povera madre morì di crepacuore e io… volevo cambiare.
Vedevo davanti a me persone felici, mi chiedevo se anche io un giorno avrei avuto
una famiglia e un figlio di cui essere fiero. Pensavo a mio padre, mi ripeteva spesso:
“Figlio mio gli uomini veri affrontano la vita con coraggio sempre e in qualsiasi situazione, ricordatelo”. Poi mi sono ritrovato qui. Ho iniziato con grande fatica in questo
centro di recupero il mio cammino verso il cambiamento. Hai visto il masso alla fine
del viale alberato? Quando raggiunsi la consapevolezza che il cambiamento dipendeva solo da me, incisi una frase: “Se sei uomo, dimostralo”».
I due avevano molte cose in comune. Le parole di Mohammed gli fecero capire che
lui non era stato un vero uomo: con Ilenia, con Victor. Mario aveva trovato un amico
di cui si sarebbe potuto fidare. E non era il solo.
C’era una volontaria nella comunità, Anna. Una donna non particolarmente alta,
sulla cinquantina. Occhi chiari velati da una spessa montatura nera, capelli perfettamente pettinati, camice impeccabilmente candido. Una donna solare. Quando entrava nelle enormi stanze irradiava ogni cosa. Aveva un profumo di vaniglia e
cannella, proprio come quello della madre di Mario, legato alla sua felice infanzia.
Era una donna ironica, materna, amava il suo lavoro. Il primo incontro tra Anna e
Mario era stato molto particolare. Una mattina Mario rimase a letto fino a tardi e non
si recò in refettorio per la colazione. Aveva bisogno di una dose, temeva di non riuscire a resistere, era disposto a tutto pur di avere le schifezze che era solito usare.
Anna entrò nella sua stanza.
«Che ci fai ancora qui?» disse.
Capitolo primo
19
Le urlò contro:
«Voglio una fottuta dose!»
«Mi spiace, non posso esserti d’aiuto, ora raggiungi i tuoi compagni».
«Ne ho bisogno! È facile per te parlare in questo modo. Non capisci che io non sono
nessuno senza la droga?»
Il suo tono cambiò:
«Fiducia ragazzo mio, devi credere in te stesso, puoi farcela. Solo tu sei l’artefice del
tuo destino».
Si voltò e uscì. Forse lei sapeva cosa si provava realmente. Mario pensò che aveva
bisogno di un po’ d’aria. Si sentiva soffocare ed uscì in giardino. Si sedette su un muretto a secco, aveva smesso di piovere e nell’aria c’era ancora l’odore di erba bagnata. Un leggero venticello portava via le nuvole, spuntava un raggio di sole.
Dopo il pranzo con Mohammed, Mario si fermò a pensare a quell’incontro avuto
qualche giorno prima con Anna. Era solo in giardino. Il giovedì era giorno di visite
ma non per lui. Chi mai sarebbe venuto a trovarlo? Forse il fratello al quale aveva
voltato le spalle? Oppure Ilenia?
Se ne stava lì, seduto, a pensare. Lei gli mancava ancora; lei che in tutti i modi e per
molto tempo aveva cercato di aiutarlo mentre lui l’aveva portata lontano, sempre
di più, incapace di rendersi conto di ciò che stava perdendo. Si sentì da schifo,
doveva rimediare, riportarla da lui. E c’era solo un modo per farlo: abbandonare il
suo peggiore e migliore amico. La roba, maledettissima roba. Fuori dalla sua vita, per
sempre. Fu allora, forse per la prima volta, che pensò di riuscire a raggiungere davvero il suo obiettivo, a cancellare il passato e ricostruire il futuro. Non sapeva se sarebbe stato abbastanza forte.
In quel momento il bisogno di vederla fu fortissimo.
20
Ricomincio da qui
CAPITOLO SECONDO
Uno spiraglio di luce
La mattina seguente la campanella delle sette lo svegliò da un sonno ormai artificiale procurato dai farmaci che prendeva per calmarsi. Si augurò che il lavoro
assegnatogli dal direttore gli fosse utile. Sperava gli piacesse ma gli rincresceva
alzarsi. Non aveva voglia di fare nulla.
Anna stava inondando il corridoio con un forte aroma di caffè, facendo tintinnare
le tazze a causa del suo passo svelto. Bussò alla porta di Mario, preoccupata
perché dalla stanza provenivano strane grida.
Aprì col passpartout: Mario era riverso a terra, nel suo vomito. Quell’immagine le
fece venire in mente quella maledetta mattina d’autunno in cui il tempo si fermò:
il figlio, esanime, era a terra nella sua stanza con una overdose che se lo era portato via. «Luca!». A niente servì prenderlo tra le braccia: si sentì come Maria col
Cristo morto mentre lo stringeva al petto. La visione di Mario le riportò alla mente
la sofferenza del figlio: quel respiro ansimante e affannoso, i crampi muscolari che
gli attanagliavano il ventre, il corpo seminudo e tremante madido di sudore,
l’odore acre del vomito. Pensò di fare per Mario ciò che non aveva potuto fare
per suo figlio.
Anna tornò al presente: «Ci penso io al ragazzo! Voi andate al lavoro» suggerì
frettolosamente ai compagni di stanza.
Gli amici chiusero la porta amareggiati. Lei si precipitò verso Mario.
«Fermati!» disse respingendola «Lasciami nella merda. Non ho bisogno di te!»
Tutto d’un tratto scattò in lui la voglia di riappropriarsi della vita e di uscire dalla
trappola di cui era prigioniero. Si. Aveva bisogno d’aiuto, forse da solo non ce
l’avrebbe fatta. In fondo al tunnel cominciava ad intravedere uno spiraglio di
luce: Anna? Ilenia? Victor? Mohammed? Chi di loro sarebbe riuscito ad aiutarlo?
Ma si rese conto che senza la propria volontà non sarebbe arrivato lontano.
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Uno spiraglio di luce
Era ormai trascorsa poco più di una settimana da quando era entrato in comunità. Tutto era iniziato a sembrargli più familiare, quella era la sua nuova casa. Accanto al giardino erano collocate le attività lavorative dei ragazzi: l’orto,
coltivato con grande varietà; un pollaio, che andava accudito quotidianamente; un’enorme gabbia di legno ospitava una ventina di canarini, diamantini
e variopinti pappagalli. Mario spesso osservava questi uccellini, prendendosene
cura. Quanto gli somigliavano. Quando si sarebbe liberato dalla sua gabbia? Il
nitrito di un cavallo della stalla adiacente lo distolse dai suoi pensieri. Il tanfo
degli escrementi dei cavalli, delle galline, dei maiali era talmente forte da disgustarlo.
«Non sei da meno» disse scherzando Anna. «Hai perso anche l’abitudine di lavarti». La donna continuò. «So quello che stai vivendo. Mi ricordi tanto Luca».
Mario le chiese chi fosse. Anna con le lacrime agli occhi gli raccontò la storia di
suo figlio che preso dalla tentazione di provare nuove sensazioni era caduto
nel circolo vizioso dell’eroina. Mario, preso dalla storia, si sentì profondamente
toccato e motivato ancora di più a prendere nelle sue mani le redini della propria vita per ricominciare.
La voce in lontananza di Mohammed li interruppe:
«Mario sei qui? C’è una lettera per te».
Mario, prendendo la lettera, riconobbe una calligrafia a lui familiare. Ringraziò
Mohammed e ansioso si allontanò per leggerla.
“Caro Mariuszek,
ho appena saputo del tuo ingresso in comunità e non ho saputo trattenere la
voglia di scriverti. Mi sono informata: è un bel posto con tanto verde, molti animali,
spazi per riflettere. Mi hanno detto che tutti i ragazzi entrati lì sono riusciti ad
uscire dal tunnel. Sono molto contenta che tu sia lì, il carcere non ti avrebbe sicuramente aiutato. Spero che riuscirai ad essere forte e a portare a compimento
la tua decisione di curarti. Mi dimostreresti di essere davvero un uomo in gamba,
capace di rialzarsi dopo una caduta. Fai il tuo percorso senza avere mai il dub-
Capitolo secondo
23
bio di non potercela fare. Tu devi farcela! Mario, tu sei forte e sei un grande
uomo. La vita è bella e lo sarà ancora di più se la vivremo insieme. Io credo in te
e so che quando ci ritroveremo l’uno nelle braccia dell’altra sarai di nuovo l’uomo
che amo, l’uomo che ho conosciuto a Praga. Ricordo sempre i momenti più belli
e maledico quelli che hanno lasciato un tragico segno nella nostra vita, come
quel sedici luglio, il giorno della rapina. Ma sono i momenti più belli del nostro
passato quelli che mi hanno fatto innamorare di te, che mi aiutano a sopportare
la separazione. Aggrappati a loro se vuoi sconfiggere il tuo grande nemico, che
ci ha portato solo tanta sofferenza. L’ultimo momento in cui ti ho visto è stato davvero orrendo ma so che avremo modo di stare bene insieme quando guarirai.
Hai tutto il mio sostegno e il mio conforto, ti sono sempre vicina. Tua, Ilenia”.
Mario ebbe l’esigenza di tornare nella villa per stare un po’ solo e non pensare
a nulla. Quell’inaspettata lettera lo aveva sorpreso e agitato. Ricominciò di
nuovo a piovere e l’elegante facciata della villa divenne di un rosso intenso.
L’esterno settecentesco ancora conservava tutta la sua maestosità neoclassica
ma all’interno tutto era diverso. Dopo aver salito in fretta la prima delle due rampe
di scale, Mario affannato e bagnato entrò passando davanti ai due grandi laboratori di ceramica e falegnameria in cui molti dei suoi compagni erano impegnati a lavorare. Il piano superiore era impregnato dell’odore sgradevole della
candeggina. Un lungo corridoio dalle pareti imbiancate e prive di ogni ornamento era illuminato da luci al neon; sui suoi fianchi erano collocate le stanze. Alla
fine del corridoio era posto un oculo che emanava uno spiraglio di luce naturale.
Era quello, pensò, il suo tunnel. E quella luce era l’unica speranza che aveva.
L’ultima stanza in fondo al corridoio era la sua. Ospitava quattro letti ospedalieri
con lenzuola bianche non sempre in perfetto ordine. Mario si sdraiò sul letto cercando di annullare ogni pensiero.
Quel giovedì pomeriggio l’aria era ancora umida e una brezza fresca aveva sostituito la leggera pioggia che la mattina aveva bagnato l’orto e il giardino.
Mario non aspettava nessuno. Era solo. Spesso si sentiva così, inutile e non com-
24
Uno spiraglio di luce
preso. Si sdraiò sul suo letto con le braccia incrociate dietro la nuca e lo sguardo
perso nel vuoto. L’unico pensiero continuava ad essere Ylenia. Lei e solo lei. È
tutto così strano. Quando uno è innamorato nella testa si affollano così tante
cose che vorresti pensarle tutte contemporaneamente e il cuore non riesce a
stare tranquillo… è tutto strano, sembra tutto così bello. Ma cosa mai poteva
esserci di bello in quella vita così vuota, anzi così piena di cose sbagliate? Mario
passava spesso il pomeriggio a guardare dalla finestra. La libertà con cui volavano gli uccelli gli ricordava sempre di più quanto dovesse essere bello liberarsi
da quella prigione. Immaginava di essere in giro per il mondo, con i suoi amici, con
Ylenia. Il cigolio della porta lo fece tornare alla realtà. Anna, con il solito sorriso
stampato sulle labbra, lo fissò con i grandi occhioni verdi.
«Ci sono visite!»
Il ragazzo, apparentemente indifferente, le ribadì senza smuoversi:
«Non sono in vena di scherzare».
Lei, più decisa, lo esortò a seguirla. Mario credeva si trattasse di un medico o di
uno di quelli che dice di volerti aiutare. Lo fecero accomodare in una piccola
saletta con pareti grigie e porta bianca. Si guardava intorno come di solito faceva. Rispondeva distrattamente alle domande che Anna gli poneva, girandosi
i pollici. Anna era alle sue spalle. D’improvviso Mario non sentì più la sua calda
voce. Si voltò. Pochi interminabili attimi di silenzio avvolti in un lungo sguardo
eloquente.
«Ma io… tu… che ci fai qui... ora?»
Capitolo secondo
25
CAPITOLO TERZO
Il peso del ricordo
Mario aveva riconosciuto la figura familiare di suo fratello Victor. Non si vedevano da molto, a lui sembrava un’eternità: da quando era entrato in comunità non
aveva più la concezione del tempo. Improvvisamente nella sua testa riaffiorarono
vecchi e piacevoli ricordi. Il piccolo di casa, innocente come una farfalla e tremante come una foglia, bisognoso di attenzione, si era trasformato in un uomo.
L’inaspettata visita lo aveva travolto. Una cascata di emozioni. Mario rimase
inerme, quasi paralizzato. Il respiro corto e affannato, il tremore evidente e le
mani bagnate dal sudore mostravano la sua agitazione, che aumentò nel momento in cui ripensò al tempo sprecato, alle occasioni perdute, ai progetti mai
realizzati. La piccola stanza fredda e spoglia rispecchiava il suo stato d’animo
tormentato; una lampada da tavolo dalla luce fioca investiva la figura calda e
rassicurante del fratello. Mario provava un forte senso di colpa ma allo stesso
tempo era molto felice di vederlo. Leggeva nei suoi occhi sentimenti completamente diversi: disagio, imbarazzo, come se fossero due estranei. E anche rabbia
per le scelte sbagliate che Mario aveva fatto dopo la morte della madre.
Fu la voce di Victor a riportare Mario al presente.
«Guarda come siamo finiti… uno di fronte all’altro senza riuscire a dire nulla».
«Beh, sì… insomma… ritrovarsi proprio qui, ora… » balbettò Mario timidamente.
«Questa è l’unica cosa che sai dire dopo tutto questo tempo?»
Il tono di Victor sembrava non lasciasse spazio a repliche. Mario si sentì in obbligo di difendersi.
«Che risposta ti dovrei dare? Pensi di poter venire qua a sentenziare sulla mia
vita? Vuoi che non sia stato consapevole delle mie scelte?»
«Non dire sciocchezze! Ecco dove ti ha portato la tua consapevolezza... lontano
da Praga, lontano da casa, lontano da me. Guarda fino a che punto sei arrivato!»
26
Il peso del ricordo
Spiazzato dalla verità e dalla durezza delle parole del fratello, Mario si alzò in
piedi e gli voltò le spalle.
«Eh sì... in quel momento mandarti da nostro padre pensavo fosse la decisione migliore per tutti e due. Per me non c’erano alternative».
Si fissarono con imbarazzo e piombarono in un silenzio assordante. Victor ripensò
alla loro vita e ai progetti che avrebbero voluto realizzare. Mise a fuoco il ricordo di quel giorno di molti anni prima, quando suo fratello non era ancora
maggiorenne e la madre girava indaffarata per casa. Erano nella loro piccola
ma accogliente camera e si raccontavano di come sarebbe stato bello poter
viaggiare per l’Europa, visitare quei luoghi di cui sentivano solo raccontare nei
bar o per strada. Mario gli aveva promesso che appena fosse diventato maggiorenne lo avrebbe portato con sé e si sarebbero divertiti, vivendo con spensieratezza la loro gioventù. Dopo la morte della giovane madre però qualcosa
era cambiato e il loro rapporto non era stato più lo stesso. Il suo atteggiamento
era sempre più strano e giorno dopo giorno il tempo che passavano insieme si
riduceva. Le sue amicizie erano cambiate e gli orari in cui rientrava a casa più
sospetti. Victor era cosciente del fatto che Mario non avesse un lavoro, ma ogni
giorno puntualmente suo fratello portava a casa la solita mazzetta di corone. Finché una mattina nuvolosa di marzo Mario andò da lui con passo deciso e con
tono perentorio. Gli disse che da quel momento le loro strade si sarebbero dovute
dividere. Per il bene di Victor vivere da suo padre sarebbe stata la soluzione migliore. Il più piccolo non poté fare altro che assecondare la sua scelta. Da quel
giorno le loro vite non si sarebbero più incrociate. Il ricordo svanì e la figura immobile di Mario riapparve a Victor mentre i suoi occhi si velarono di un sottile
strato di lacrime.
Si fece forza e le parole uscirono di bocca quasi da sole.
«Innanzitutto non tentare di fare il genitore perché non ti viene bene. E dimmi:
come mai tu non mi hai mai chiesto cosa io ritenessi giusto per me e cosa io volessi?»
27
Capitolo terzo
«Io sono il fratello maggiore e per questo la responsabilità era mia!»
«Data la situazione tu non mi sembri il più responsabile tra i due, caro fratello
maggiore».
«E allora cosa vuoi? Sono io il padrone della mia vita, tu non sei nessuno per giudicare».
«Il modo in cui hai deciso di gestire la tua vita non ha coinvolto solo te, ma anche
me. Visto che sei sempre stato tanto padrone di te stesso, direi che è arrivato il
momento di ammettere i tuoi sbagli e prendere in mano veramente le redini della
tua esistenza. Piantala di giustificarti!»
«Continui a non capirmi, eppure una volta ci bastava un solo sguardo... forse
siamo diventati troppo diversi».
«Diversi? Abbiamo vissuto la stessa situazione, ho sofferto tanto quanto hai sofferto tu e, nonostante ciò, sono andato avanti. In questi ultimi anni sono cresciuto
da solo e onestamente».
«Mi dispiace... non sono riuscito a essere per te il punto di riferimento che meritavi!»
Victor scrutava ogni angolo della stanza e la misurava a passi pesanti; poi riprese
a parlare, cercando di non incrociare lo sguardo del fratello.
«Mario... io ho bisogno di quel fratello che sei realmente e non di quella persona
che la droga e l’illegalità ti hanno portato ad essere».
Intanto i pensieri di Mario volarono a Praga, a quelle giornate fredde, ai soldi
che non bastavano mai per pagare le bollette e mantenere Victor. Mario voleva
una vita più comoda per entrambi, se lo meritavano. Non doveva spendere soldi
per la droga: Toni la regalava ai suoi ragazzi. Perciò non si sentiva un vero criminale: era pagato per quello che faceva. Aveva cominciato con incarichi poco
importanti, come fare il palo, per esempio, e preparare la fuga dei suoi complici.
Col passare del tempo il suo ruolo era aumentato di spessore e Toni aveva iniziato ad affidargli la gestione delle grosse rapine. Erano andate tutte lisce tranne
quella che, maledizione, doveva essere l’ultima.
28
Il peso del ricordo
Avevano ancora tanto da raccontarsi, ma il tempo non lo permetteva: l’orologio
suonò mezzogiorno, qualcuno bussò alla porta. Victor si alzò di scatto.
«Mario, l’orario delle visite è finito, me ne devo andare. Però tornerò, promesso.
Adesso vivo qui, vicino a Brno».
Poco prima di uscire dalla stanza Victor si voltò, gli sguardi si incontrarono di
sfuggita e un sorriso stentato comparve sulle loro labbra. Mario avrebbe voluto
aggiungere qualcosa, ma non trovò il coraggio: troppe cose erano accadute
quel giorno, troppe emozioni. Le parole gli morirono in gola. Rimase seduto lì ancora un po’, spaesato. Poi esplose contro se stesso, imprecò, rovesciò la sedia,
tirò pugni contro la parete: gli faceva rabbia sentirsi uguale a suo padre, un vigliacco, incapace di essere un vero uomo. Realizzava con stizza di non aver
mantenuto la promessa fatta alla madre, di aver tradito la fiducia di Ilenia. Improvvisamente si accorse che aveva in tasca la sua lettera. Quanti discorsi,
quanti litigi con lei per la sua testardaggine, per la sua insulsa spavalderia e
quanta comprensione ancora era riuscita ad avere per lui.
Anna aspettava nel corridoio. Aveva visto Victor uscire all’improvviso e camminare velocemente verso l’esterno. Preoccupata spalancò la porta della saletta.
Dopo lo sfogo Mario era annichilito, sfinito, abbandonato sulla sedia. Sembrava
un burattino spezzato. Non alzò neanche la testa.
«Esci a fumarti una sigaretta, ti schiarirà le idee» disse lei con tono deciso, facendogli strada.
Mario la seguì meccanicamente: si fidava di quella donna e sapeva che lo
avrebbe compreso.
Appoggiato al muretto, iniziò a parlare per primo:
«Mi sento di merda, sono un vero fallito. Solo ora ho capito i miei sbagli e comincio a rendermi conto dello spreco che ho fatto della mia vita». Sospirò, poi fece
un altro tiro. «È lui quello forte, Victor, che nonostante le difficoltà è riuscito a diventare un vero uomo, senza cedere, a differenza mia».
29
Capitolo terzo
Anna lo interruppe quasi con violenza. Era convinta che Mario le avesse inviato
una richiesta di aiuto e non sarebbe stata l’ultima. Chissà quanti altri momenti di
rabbia e sconforto lui avrebbe dovuto affrontare.
«Hai ragione, ma piangersi addosso non ti porterà a nulla. Pensa, anche tu stai
diventando forte: andare avanti qui è già un grande passo. Ora devi solo crederci. In fondo non siete così diversi. Vi siete trovati in differenti situazioni e tutto
ciò non ti deve demoralizzare.
«Guardati attorno. C’è diversità in tutti voi: Mohamed, Victor, Luca. Ogni esistenza
è preziosa, anche quella di mio figlio lo è stata. Mi ha insegnato a essere la persona che ora è qui davanti ai tuoi occhi. È un cammino doloroso e non è mai
troppo tardi. Questa è la tua ultima possibilità, non la sprecare».
Restarono seduti a parlare a lungo. Erano persi nei loro discorsi quando Mohammed depose i suoi attrezzi da giardino e passò davanti a loro guardandoli perplesso. Era l’ora della cena. Le luci si accesero tutte nello stesso momento e i tre
rientrarono. Un altro giorno era passato.
30
Il peso del ricordo
CAPITOLO QUARTO
Una nuova alba
La mattina il sonno di Mario fu improvvisamente interrotto da una voce maschile:
«Che disordine! Eppure mi sembravano chiare le regole della comunità!»
Era l’ispettore. Controllava nel solito giro mensile che in ogni stanza tutto fosse a
posto. Mario scattò in piedi e ancora non cosciente cercava giustificazioni con risultati piuttosto deludenti. L’ispettore lo rimproverò duramente, minacciando una
punizione. Mario era rimasto da solo in compagnia del disordine. Certo, c’era tanto
lavoro da fare per rendere la stanza accettabile, ma non ne aveva proprio voglia.
La stanza era lo specchio di come si sentiva dentro, tanti pezzi sparsi senza una
giusta collocazione.
Ancora una volta i pensieri di Mario furono interrotti bruscamente. Questa volta
era la campana delle otto: la colazione. Non si era accorto che era passato del
tempo e che non era pronto per raggiungere il refettorio. Sarebbe arrivato tardi,
un altro rimprovero? Pensò di fingersi malato per evitare la punizione. La porta della
stanza era aperta e un ospite della comunità passando lo vide seduto sul letto.
«Ehi Mario, ti sbrighi?»
Mario si voltò e vide un ragazzo alto sui trenta anni, biondo, che gli parlava con accento straniero. Lo aveva visto più volte ma non conosceva il suo nome. Mario rispose:
«Ora non mi va, non ho fame, non posso regolare il mio stomaco secondo i ritmi
della campana».
Il ragazzo non si scoraggiò per il tono ostinato. Continuò pacato:
«Ti capisco. I primi mesi sono difficili per tutti ma se riuscirai ad adattarti alle regole
avrai fatto un passo importante per la conquista della libertà».
A quelle parole il volto di Mario si distese, era bastato così poco. Guardando il
ragazzo negli occhi lo ammirò e pensò fosse una persona in gamba. Si avviarono
insieme verso il refettorio.
32
Una nuova alba
«Tu come ti chiami?»
«George».
«Non ti ho visto prima, sei nuovo?»
«In un certo senso. Sono stato ospite in una comunità come questa ma sono libero da oltre un anno ed ho deciso di collaborare con gli educatori. Vorrei
aiutare quelli che si trovano qui a superare tante difficoltà. Chi come me le ha
vissute può capire meglio».
«Come mai conosci il mio nome?»
«Sai Mario, quando entra un nuovo ospite siamo tutti interessati alla sua vita…»
«Ma tu sei straniero, da dove vieni?»
«Sono inglese».
Mario sorrise.
«Ho sempre desiderato andare in Inghilterra e parlare la tua lingua ma non ne
ho mai avuto la possibilità».
«Posso insegnartela, se vuoi. Abbiamo tanto tempo!».
«Lo faresti?»
«Let’s start!»
«Già cominci?»
«Certo, le difficoltà vanno affrontate subito. Hurry up breakfast is ready!»
«Cosa?»
«Fa presto altrimenti saltiamo la colazione».
I due scoppiarono in una risata complice. Da quel momento cominciarono a frequentarsi sempre più spesso e le lezioni erano anche occasioni per comunicare
i loro stati d’animo. Erano già passati alcuni mesi e l’amicizia tra Mario e George
si approfondì, così come la conoscenza dell’inglese. Mario gli parlò di Ilenia:
«You know, I felt in love with a wonderful girl: Ilenia. Next week it will be her birthday. I would like to visit her».
«It is difficult to have the permission to go out».
Capitolo quarto
33
La notte Mario si sentì malissimo: le gambe gli tremavano, la fronte grondava
di sudore e un nodo alla gola lo teneva incollato al cuscino. Ilenia, il desiderio
di vederla, l’odio verso quelle regole che lo costringevano a stare in quel
luogo. Si addormentò pensando a lei, come sempre, con il proposito di andare
dal direttore a chiedere un permesso per uscire.
Erano appena le sette quando si recò nell’ufficio di Saligoi spiegandogli i motivi della sua richiesta. L’anziano senza scomporsi fece un cenno negativo con
la testa. Mario insisteva ma il dottor Saligoi, come un padre dinanzi ai capricci
di un bambino, gli fece segno di uscire. Nessuna spiegazione, solo sguardi di
condanna. Mario sbattè la porta furioso. Pensava non fosse giusto, i suoi occhi
gonfi di lacrime erano il segno di una rabbia che presto gli si sarebbe ritorta
contro. Decise che sarebbe andato lo stesso da Ilenia. Anche senza permesso,
mettendo a rischio tutte le fatiche di quei mesi. Ci voleva un piano ed un amico
che lo aiutasse. A chi poteva rivolgersi? Pensò subito a George. Lo avrebbe
certamente coperto.
«Mi dispiace Mario, ma non posso essere complice in un’azione che ti potrebbe
nuocere».
«Ma si tratta solo di un giorno. Ho bisogno di vedere Ilenia. Sai quanto coraggio mi darebbe un suo abbraccio?»
«Scuse, scuse, solo scuse. Affronta la realtà e non nasconderti dietro gli altri, be a man».
In quel momento l’inglese di George lo infastidì tantissimo. Si ritrovò solo. “Bell’amico, e io che credevo di aver costruito un buon rapporto con lui” pensò. “Ma
non me ne frega niente, anche senza di lui posso farcela”. Mario non sapeva più
che fare. Era in momenti come quello che gli mancava la droga.
Arrivò il giorno del compleanno di Ilenia, Mario aveva già pianificato tutto. Sarebbe scappato nel tardo pomeriggio, quando tutti erano impegnati nelle diverse attività. Finse un forte mal di testa così da rimanere in camera e al momento
giusto si avviò verso un vialetto. Scavalcò il cancello sul retro e cominciò a correre, veloce come mai gli era capitato. In pochi minuti si trovò lontano dalla co-
34
Una nuova alba
munità. Rallentò. Il cuore gli batteva forte in petto. La corsa e l’emozione di rivedere Ilenia a lungo gli ostacolarono la ripresa di un respiro regolare. Si nascose
in un vicolo per riprendere fiato. Quando con calma alzò gli occhi fu accecato
dai colori della città. Conosceva bene quei posti. I luoghi a lui familiari gli destarono una serie di ricordi, di sensazioni mai sopite. Ogni angolo gli ricordava
un episodio della sua vita. Questo lo disorientava. Non sapeva più dove era il
bene e dov’era il male.
Era arrivato davanti alla porta di Ilenia. Il cuore era a mille, bussò, chissà che
cosa avrebbe detto, lo amava ancora? Sentiva i passi avvicinarsi. L’ansia. Lo
sfiorò la tentazione di tornare indietro. Indietro? Dove? La porta si aprì.
Ilenia, bella, apparve in tutto il suo splendore con gli occhi sgranati per la meraviglia. Ci vollero alcuni secondi per capire. Sorrise, era felice. I due si strinsero
in un abbraccio forte. Mario piangeva e premeva la testa della sua amata forte
contro il suo petto.
«Buon compleanno, amore mio!» le sussurrò.
Il volto della ragazza era raggiante per la gioia di rivederlo. Sapeva che Mario
la amava ancora.
«Entra, vieni, non restiamo qua fuori».
Le prese la mano, si sentiva forte, in quel momento avrebbe potuto dominare il
mondo. La guardò con la certezza assoluta di essere ancora innamorato. Ilenia
si turbò. Sembrava non ricambiare quell’amore, era amareggiata, ancora una
volta Mario aveva deluso le sue aspettative.
«Come puoi essere scappato? Perché non ti sei fatto aiutare?»
«Ma avevo bisogno di te! Di vederti, di stringerti!»
Un brivido lungo la schiena attraversò Ilenia. Quelle parole erano quel che si
aspettava ma sentì che Mario non sarebbe cambiato. L’ennesima delusione.
«Mi dispiace… finché non impari ad affrontare la realtà e ad assumerti le tue responsabilità non saprai che significa amare».
Le parole di Ilenia erano come schiaffi. La loro durezza nascondeva un cuore che
Capitolo quarto
35
in realtà lacrimava. Avrebbe voluto che fosse tornato perché guarito, e invece…
lo accompagnò alla porta.
«Solo quando sarai libero potrai amarmi veramente».
Ecco di nuovo quelle sensazioni: nodo alla gola, gambe che tremano, la tremenda impressione di un mondo che crolla dentro e fuori di sé. Mario ritornò indietro verso quelle strade che gli ricordavano i suoi errori. La sua mente era
affollata e confusa. Se sei uomo dimostralo. Mario io ho bisogno di quel fratello
che sei realmente. Solo quando sarai libero potrai amarmi veramente. Scuse,
scuse, sono solo scuse, be a man.
Era tormentato. Non aveva più nulla: fratelli, fidanzata, amici. Passò tutta la notte
su una panchina senza rendersi conto del tempo trascorso. Il rifiuto di Ilenia gli
aveva aperto gli occhi. Cominciò a far giorno. Solo allora si accorse della bellezza dell’alba. Era la prima volta che la vedeva così. Era un nuovo giorno e per
Mario l’inizio di una nuova vita. Stavolta era deciso. Si alzò e si avviò verso la
comunità, consapevole che non sarebbe stato facile ritornare.
36
Una nuova alba
CAPITOLO QUINTO
Il sogno della libertà
Un’altra punizione, l’isolamento, i lavori più pesanti, la pulizia delle stalle e dei pollai.
Ce l’avrebbe fatta? Doveva tenere duro questa volta. Doveva. Non era solo in
gioco la sua vita ma quella delle persone che lo amavano. Ma ci sarebbe riuscito? Poco importava che l’eroina non fosse più in circolo nel suo corpo se nella
parte più profonda rimaneva impregnato di veleno. Un veleno più forte di qualsiasi droga, che lo corrodeva dall’interno. L’alba era sempre stata il momento
preferito della sua giornata. In quella luce incerta, sogni e realtà sembrano incontrarsi. E la natura ricomincia il suo corso, sempre uguale, sempre diverso.
Non voleva deludere più nessuno ma sentiva gli spiragli di luce oscurati dalla sua
infelicità, dalla sua rabbia. Avvertiva chiaramente la presenza di due parti di sé
che lottavano. Quale sarebbe stata la più forte?
Sorrise pensando al professor Kosik.
«Molti grandi uomini hanno vissuto questo dissidio» gli aveva detto durante uno
degli incontri nella biblioteca della comunità; un appuntamento periodico a cui
Mario sceglieva sempre di partecipare. Ormai in pensione da tempo, libero dal
suo incarico all’Università, il vecchio docente riusciva ancora ad appassionare,
con il suo amore per i libri. Una frase di Paulo Coelho, ascoltata il giorno prima,
gli stava prepotentemente tornando nella testa, mentre era quasi arrivato all’ingresso del viale, davanti al cancello: ”Ho compiuto il mio dovere e ho visto la mia
vita trasformarsi in gioia”.Gioia. Cosa avrebbe dato per provare quel sentimento,
per sentirsi libero e pulito, come da bambino, prima che tutte le pressioni, le pretese di chi lo voleva forte e sicuro dopo la morte della madre annientassero tutto
il suo vigore. Quanti rimproveri avrebbe dovuto ascoltare fra poco. Quanto
tempo, più del previsto, sarebbe dovuto rimanere in quel posto maledetto. Di
nuovo una grande voglia di scappare, lontano, per sempre, ma il vento che sof-
38
Il sogno della libertà
fiava era freddo. Meglio cercare il caldo del letto.
Le luci lo accecarono. Il giardino era illuminato a giorno. Stordito da una valanga
di voci si sentì trascinato in un vortice di movimenti impensabili a quell’ora. I suoi
occhi assonnati distinsero due uomini con una barella. Fece appena in tempo a
vedere il profilo di un volto irriconoscibile ma familiare quando a venirgli incontro
fu Anna. Era affannata e sconvolta; si rivolse a lui con un’espressione strana,
fredda, aveva perso ogni fiducia nei suoi confronti.
«Sei stato fortunato, nessuno si è accorto della tua fuga, tranne me e George, ma
non ti tradiremo, stai tranquillo». Mario tentò una risposta, soffocata dalle affannate parole di Anna, con gli occhi pieni di paura.
«Abbiamo vissuto un incubo. Sono entrati all’interno della villa. Erano due con il
volto coperto. Hanno preso qualcosa, forse. Quando è scattato l’allarme hanno
cominciato a sparare. Mohammed ha cercato di fermarli ed è stato ferito gravemente. Pensavamo non ci fosse speranza per lui, ma per fortuna è ancora vivo.
Nella confusione sono riusciti a scappare prima che arrivasse la polizia».
Mario non ascoltava più. Si mise a correre disperatamente verso la scala che
portava alla sua stanza. Nessuno sapeva del suo segreto. Non voleva pensarci
ma i suoi timori diventavano sempre maggiori. Entrò. Con la mente annebbiata,
camminava come un automa. Aprì di scatto la stretta finestra che gli permetteva
di vedere quell’angolo di giardino che accendeva la sua speranza nelle notti insonni. Appariva tutto tranquillo. In ordine. Le aiuole allineate mostravano la cura
e la pazienza che i ragazzi della comunità dedicavano alle piante ornamentali.
Il suo piccolo tesoro era lì, ancora utile a nutrire i suoi sogni, a prefigurare divertimenti, spensieratezza, viaggi per l’Europa promessi a Victor, ad Ilenia. E allora
successe all’improvviso. Non si spiegò come, ma successe: scattò in Mario qualcosa; un’idea, un pensiero... così puri da respingere qualsiasi interferenza da
parte della sua mente che lo voleva docile ed arrendevole. Una crepa immacolata nel muro che si era creato. “Come si diventa degni? In che modo devo agire
per migliorare me stesso?”
Capitolo quinto
39
Forse aveva tutto una sua logica; la fuga gli aveva fatto comprendere che scappando non avrebbe mai ottenuto nulla, che la soluzione al problema c’era sempre stata, ma lui, cieco, non aveva voluto vedere. Poteva fuggire dalla comunità
ma non da se stesso. E ora il pensiero di Mohamed, che rischiava di morire per
difendere ciò a cui si sentiva di appartenere, gli stava aprendo gli occhi completamente. Nessuno l’avrebbe punito per la sua fuga, ma avrebbe confessato
tutto al direttore. Non si sarebbe mai sentito libero se non avesse seguito il richiamo della sua coscienza; la vera libertà è quella interiore e bisogna conquistarsela. Non voleva perdere nemmeno un minuto di tempo.
Eccola di nuovo, intensa e piena di promesse: la luce dell’alba.
Era passato poco più di un anno. La sorpresa di Saligoi per la sua onestà, la fiducia ritrovata, il calore di Anna, il ritorno di Mohammed. Tutto cominciò a scorrere davanti ai suoi occhi. La rinuncia ad ogni contatto con l’esterno gli era
sembrata pesante all’inizio, ma poi, pensando ad Ilenia che lo avrebbe visto finalmente diverso, alla felicità del momento in cui si sarebbero riabbracciati, trovò
la forza dell’attesa. L’emozione gli stringeva il petto. Dalla finestra della sua stanza
assaporava come al solito il sogno della libertà. Questa volta era lì davanti a
lui e stava diventando realtà. Ancora poche ore e sarebbe uscito, pronto ad affrontare ogni difficoltà, ogni prova. Chiudendo gli occhi si sentiva invadere dal
calore del nuovo giorno. “Ogni mattina porta un miracolo, vecchi universi vengono distrutti, nascono nuove stelle”. Il libro di Coelho era sul suo comodino. L’ultimo regalo di Kosik. E poi Ilenia, Victor, un lavoro onesto. Doveva far capire ad
Ilenia che era diventato degno di lei. Il loro incontro doveva essere una sorpresa.
Per la prima volta le avrebbe trasmesso amore, quello vero, e sarebbe stato capace di riceverne. Non cercava più un sostegno, le sarebbe stato vicino come
uomo, non come un fallito in cerca di compassione. Lei non avrebbe più dovuto
lavorare negli alberghi; non sarebbero andati in giro per l’Europa solo per divertirsi. Sarebbero andati a vivere in Italia, come desiderava da tempo, dove
avrebbe potuto frequentare quella scuola di restauro che le piaceva tanto. Lui
40
Il sogno della libertà
avrebbe trovato di che vivere; sapeva fare tante cose, adesso. Stringeva tra le
mani il suo “tesoro”. Era riuscito a salvarlo e a capire quale era il modo migliore
per usarlo. Sua madre sarebbe stata contenta.
E poi c’era Victor. Gli avrebbe dato il fratello che si meritava. «Adesso vivo qui,
vicino a Brno» gli aveva detto, ma da quel giorno non l’aveva più sentito. Né una
lettera, né una visita; niente di niente. Aveva provato a rintracciarlo, ma il suo telefono risultava sempre spento. Gli aveva comunque lasciato un messaggio. Era
l’unico che conosceva l’ora precisa del suo rilascio, l’unico che avrebbe voluto
subito incontrare, trovare davanti al cancello.
«You are a very man, now, good luck!»
Fu l’ultima frase che sentì alle sue spalle. George lo abbracciò commosso. Mario
guardò l’orologio. Non c’era nessuno. Era ancora in tempo per prendere il treno
che l’avrebbe portato da Victor. Seduto sulla panchina della stazione guardava
le vetture ferme, quelle in arrivo. La mente gli ritornò a quando da bambini, nelle
vacanze di Natale, avevano trascorso un intero pomeriggio e tutta la notte a costruire modellini ferroviari, fantasticando. Nessuno poteva interrompere il loro sognare. Questa volta però non si trattava di giocare. Sarebbero riusciti a
ricostruire il loro rapporto, crollato pezzo dopo pezzo soprattutto a causa sua?
Avrebbe portato anche Victor in Italia. Gli avrebbe fatto riprendere gli studi.
I pensieri di Mario si interruppero solo quando si ritrovò davanti a un piccolo
edificio in un quartiere popolare: quella doveva essere la casa dove Victor abitava con suo padre che faceva da sempre l’impiegato in un’azienda di macchine
industriali, spostandosi spesso per lavoro. Se quell’uomo non avesse avuto il vizio
di bere… Mario per molto tempo si era sentito un incapace, come lui.
«Puoi suonare quanto vuoi, non ti aprirà nessuno. Le persone che abitavano in
questa casa si sono trasferite da qualche mese»
Da una finestra del primo piano si affacciò un ragazzo tatuato che lo guardava
incuriosito. Dove era andato Victor? Stava appena riprendendosi quando sentì
squillare il cellulare. Glielo avevano riconsegnato quella mattina. Il numero era
Capitolo quinto
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quello di Victor; lo aveva memorizzato ricopiandolo dal bigliettino che conservava ormai da più di un anno. Ma la voce non era quella del fratello. Gli sembrò
conosciuta. Si sentì gelare.
«Sei libero, finalmente!»
.
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Il sogno della libertà
CAPITOLO SESTO
Il coraggio
Quella voce gli gelò il sangue. Era Tony, suo compagno di disavventure.
«Mariuszek, non ti ricordi dei vecchi amici?»
«Che cosa vuoi da me? Non ci sentiamo da anni, come cavolo ti salta in mente
di telefonarmi e perché stai chiamando con il cellulare di mio fratello?»
«Quante domande Mario, non avere fretta». Il suo tono di voce lasciava trapelare un ghigno provocatorio. «Piuttosto vediamoci domani mattina al bar in
piazza per fare quattro chiacchiere tra amici. Ho qualche lavoretto per te che ti
può fruttare un po’ di soldi così puoi aumentare anche quel tuo prezioso gruzzoletto. Ti aspetto, vieni, mi raccomando: potrai approfittarne per vedere anche il
tuo adorato fratellino».
Un senso di rabbia e di paura gli pervase l’animo. Quella voce gli aveva fatto
mancare il respiro, lo aveva irritato. Per quanto si sforzasse non capiva il motivo
per cui proprio adesso, quando tutto sembrava andare per il verso giusto, riaffiorassero i fantasmi del passato. Ma allo stesso tempo una moltitudine di domande gli affollava la mente. Che cosa ci faceva suo fratello con quell’individuo?
Era in pericolo? E poi come faceva Tony a sapere del suo tesoro, di quei soldi
che lui aveva conservato gelosamente e con orgoglio, perché guadagnati
senza rubare, spaccandosi la schiena a lavorare dalla mattina alla sera quando
non era strafatto? Aveva deciso che quei soldi puliti dovevano restare tali ma
soprattutto dovevano essere il punto di partenza per una nuova vita. Per lui, per
Ilenia e per Victor. Erano stati conservati con amore per tutti quegli anni, un “regalo” di sua madre. Una parte di essi l’aveva infatti ottenuta vendendo alcuni
gioielli che la mamma gli aveva lasciato e lui, nel suo cuore, aveva sempre saputo che quel denaro sarebbe stato speso solo per un motivo buono. Anche per
questo li aveva messi al sicuro, in banca.
44
Il coraggio
Assorto, non si accorse che si era fatto molto tardi. Era notte fonda quando si rese
conto per la prima volta che non sapeva dove dormire. Con quei pochi spiccioli
che si ritrovava in tasca, gli stessi che aveva quando era entrato in comunità, decise di entrare in un piccolo albergo della periferia, poco lontano da lì, per dormire e aspettare la mattina seguente. Non aveva immaginato che la notte
sarebbe passata tra una marea di ricordi, taluni amari, altri dolci e una lunga
serie di rimorsi che lo avrebbero tenuto sveglio. Il pensiero di sua madre e di
quanto aveva fatto per lui riaffiorava sempre più spesso nel suo sonno leggero.
Quante cose aveva sopportato per i suoi figli. Anche quel gesto, così carico
d’affetto: lasciare quei pochi preziosi gioielli ai suoi ragazzi era stato l’ultimo atto
d’amore per garantire loro una minima speranza di futuro. Adesso sapeva che
toccava a lui ringraziarla, ma questa volta non servivano parole scontate o le
solite promesse. Doveva dimostrare con i fatti di essere diventato un uomo, quell’uomo che lei aveva sempre sperato diventasse.
Al mattino ebbe a malapena la forza di farsi la barba e una doccia gelata che
potesse risvegliarlo. Scese al bar dell’albergo, fece colazione, saldò il conto e
si incamminò verso il luogo prestabilito. La città era una rete di vicoli stretti intagliati da lastroni di pietra grigia. Le case basse e colorate erano come abbracciate l’una all’altra. Alcune donne affacciate ai balconi stendevano il bucato
mentre nelle strade era forte l’odore di pane caldo. Si fermò da un fornaio per
mangiarne un po’. Fu l’unica cosa che riuscì ad apprezzare di quella ansiosa passeggiata. Quando giunse in piazza riconobbe la fontana al centro, scintillante
d’acqua e con i piccioni intorno. Poco distante alcuni bambini giocavano con
gli aquiloni. Uno di loro piangeva, il suo giocattolo si era incastrato nei cavi dei
tram che era passato spezzando il filo. Quando alzò gli occhi vide l’insegna e
di colpo si destò. Stazionò fuori al bar a guardare la gente che usciva dai vicoli
per provare a riconoscerlo. Non dovette aspettare molto.
«Ciao Mariuszek, ne è passato di tempo ma devo dire che non sei invecchiato
affatto».
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Capitolo sesto
«Non perdiamo tempo, voglio sapere dov’è Victor, come sta».
Tony gli prese il braccio e lo accompagnò all’interno. I due sedettero ad un tavolino rotondo al cui centro c’era una composizione floreale bellissima, di gardenie e rose. Quando alzò lo sguardo vide Victor fermo sulla soglia del locale.
Non ci fu nemmeno bisogno di parlare; i due si abbracciarono.
«Come mai sei qui, che cosa hai da spartire con questo bastardo?» gli chiese
Mario.
«Assolutamente niente, si è offerto di ospitarmi visto che sto attraversando un periodo non facile. Mi ha detto di essere un tuo carissimo amico. Dei balordi, un
paio giorni fa, mi avevano rubato il cellulare, non sapevo come fare, lui era lì vicino, mi ha soccorso e si è offerto di procuramene uno nuovo, è stato davvero
gentile».
Mario guardò Tony con rabbia per un istante, poi tornò a rivolgersi al fratello.
«Per adesso, ma vedrai che presto dovrai saldare il conto. Vai via e non avere
mai più niente a che fare con lui, da oggi penserò io a te».
Victor non aveva mai sentito il fratello così autoritario e sicuro di sè. Aveva capito da quelle parole che finalmente avrebbe potuto considerarlo quel punto di
riferimento che da piccolo avrebbe voluto avere. Ma non se ne andò. Voleva
stare con lui e capire. Sedette con loro. .
«Cosa c’è?» disse Mario. «Sei ancora invischiato nei soliti affari? Ebbene sappi
che non mi interessano più i tuoi sistemi di guadagno e le tue proposte di lavoro.
Ho cambiato vita, ho smesso con quella robaccia, ormai sono uscito dalla comunità. Posso dirmi finalmente pulito e voglio restarlo per sempre, ho cose più importanti di cui occuparmi adesso».
Lo sguardo e la voce di Tony non sembrarono essere scalfiti:
«Amico mio, chi nasce tondo non può morire quadrato. È un vecchio proverbio
italiano, conosci? E poi, scusami, non sai neanche cosa voglio proporti e già
rifiuti l’offerta. Mi sembra che tu sia più che altro impaurito. Rilassati, è un lavoretto
facile, rapido e soprattutto ben retribuito».
46
Il coraggio
Mario rimase in silenzio. Chiamò il cameriere e ordinò una birra ghiacciata. Fece
cenno a Tony di poter continuare con la sua proposta.
«Si tratta di una cosa molto semplice. Devi soltanto portare un carico di roba
buona oltre il confine. Appena passata la frontiera, troverai delle persone ad
aspettarti, scaricherai il tuo carico nel loro furgone e te ne ritornerai indietro,
leggero e candido come una colombella».
Mario per la prima volta era terrorizzato. Ad inquietarlo non era stato il pensiero
di compiere un’altra azione disonesta, piuttosto aveva pensato alle conseguenze che quel gesto avrebbe avuto, non per sé, ma per Ilenia, per Victor.
Comprese quanto male aveva fatto loro fino a quel momento e non voleva più
tradire la loro fiducia. I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Tony che aggiungeva sorridente il dettaglio finale:
«Ah, quasi dimenticavo. Riceverai trentacinquemila euro».
Victor assisteva incredulo alla scena. Cercava di incrociare lo sguardo di Mario
per capire cosa stesse succedendo. Il fratello però non tradiva nessuna emozione. Era fermo. I muscoli della faccia rigidi, il collo indurito e lo sguardo fisso.
Lo distolse solo per un attimo, quando guardò Victor con complicità. Un intreccio
di sguardi come quelli che avevano da bambini, quando si coprivano a vicenda
per non far scoprire alla mamma i loro piccoli pasticci. Per Victor fu tutto chiaro
fin da subito. Mario attese ancora qualche istante in silenzio. Prese il bicchiere
tra le mani e bevette la birra di un sorso, poi si asciugò le labbra e accese una
sigaretta.
«Hai ragione Tony, la tua proposta potrebbe interessarmi. Ma sai, non posso
prendere una decisione così su due piedi, devo decidere con calma, calcolare
i rischi, conoscere in modo più approfondito i dettagli».
«Certo. Ma se ti dico che è facile, credimi. Avrai a disposizione un camion, apparentemente di prodotti surgelati e dei documenti falsi. Insomma tutto ciò di cui
hai bisogno per farla in barba ai controlli».
«E se mi dovessero fermare ad un posto di blocco?»
47
Capitolo sesto
Una smorfia si stampò sul volto di Tony:
«Non preoccuparti, anche in questo caso non ci sarà alcun problema. Per tutto
il viaggio sarai seguito da un’auto con tre persone fidate a bordo e senza scrupoli: saranno pronte ad aprire il fuoco e fare fuori chiunque avrà la sciagurata
idea di non farsi i fatti suoi. Come vedi, carissimo amico mio, ti ho organizzato
davvero un lavoretto con i fiocchi».
“Già proprio un lavoretto coi fiocchi” pensò Mario.
«Okay Tony, credo proprio che potremo metterci d’accordo, ma voglio cinquantamila euro: sono io a rischiare e voglio che il gioco valga la candela. Mi darai
venticinquemila euro come anticipo, me li verserai su un numero di conto corrente
che ti farò avere, il resto me lo darai in contanti a lavoro terminato. Queste sono
le mie condizioni. Prendere o lasciare».
48
Il coraggio
CAPITOLO SETTIMO
Un uomo vero
Ilenia rimase di sasso quando lo vide alla porta. Prima di tutto perché era l’ultima persona che si sarebbe aspettata di trovare sulla sua soglia; secondo
perché non riusciva proprio a immaginare cosa Mario le avrebbe detto. Ma
quello stupore durò solo un momento. Ilenia si lanciò tra le sue braccia aperte
e dall’emozione iniziò a piangere.
Le accarezzò i capelli dolcemente. Anche il suo cuore batteva a mille. Aveva
sognato questo momento per tanto, troppo tempo. Finalmente Ilenia smise di
piangere, Mario la prese per una mano e la condusse dentro casa, chiudendo
la porta. La fece sedere su una delle poltrone del salone. Ilenia rimase sorpresa
dal suo modo di fare così deciso e dal suo aspetto: le sembrava molto più maturo e sicuro di sé. Le prime parole che le disse confermarono questa sua sensazione:
«Ilenia, sono cambiato. Ho seguito il tuo consiglio e ho capito quello che volevi
dire quando mi hai detto di diventare un uomo. In questo momento mi trovo in
una situazione difficile, ma sono sicuro che con il tuo aiuto posso farcela».
Ilenia lo interruppe:
«Insomma, cos’è successo? Mi stai spaventando con questo tono così serio!»
Mario le prese entrambe le mani, rispose tutto d’un fiato:
«Quando sono uscito dall’istituto ho scoperto che quel bastardo di Tony, il
vecchio spacciatore di droga con cui lavoravo prima, sta cercando di arruolare mio fratello Victor per i suoi loschi traffici».
L’espressione di Ilenia stava diventando sempre più perplessa.
«Non voglio che lui faccia gli stessi errori che ho fatto io. Per la prima volta mi
sento responsabile di quello che gli può succedere e ho capito che devo fare
qualche cosa per aiutarlo. Però ho bisogno del tuo aiuto».
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Un uomo vero
Quelle parole, anche se abbastanza inquietanti, riempirono Ilenia di gioia. Finalmente era tornato l’uomo che amava: Mario era cresciuto. Non esitò un attimo.
«Certo che ti aiuto, dimmi che devo fare».
Mario la guardò, sollevato di poter contare su di lei, come aveva sperato:
«Prima potresti prepararmi due uova, che sto morendo di fame?»
Finito l’ultimo spicchio d’arancia, Mario iniziò ad esporre il suo piano:
«Tony mi ha offerto di portare un grosso carico di droga alla frontiera e io ho finto
di accettare. Per convincerlo della mia determinazione ho perfino negoziato sul
compenso. Si tratta di una cosa abbastanza rischiosa. Ci sarà una macchina armata che seguirà il camion in caso dovesse succedere qualcosa. Quello che
voglio fare è incastrare Tony affinché tutta questa brutta storia diventi solo un ricordo».
Ilenia lo ascoltava con attenzione. Mario abbassò il tono di voce, come per
sfuggire alla possibilità di essere ascoltato.
«Il piano è questo. Telefonare a Tony per confermare i dettagli dell’operazione
e registrare la telefonata. Tu dovrai andare dalla Polizia e far sentire loro il nastro.
Poi dirai che la sera di venerdì, alle otto, io mi fermerò con il camion in una stazione di servizio subito prima del ponte della diga. Ma devono stare molto attenti.
Nella macchina dietro di me ci saranno delinquenti senza scrupoli, armati fino ai
denti. Nel camion troveranno la partita di droga. Victor intanto, che abita adesso
da Tony, quella sera lo tratterrà a casa in modo che gli agenti possano arrestarlo
non appena verrà sequestrato il carico».
Ilenia lo guardò stupefatta. Il piano sembrava quello di uno sceneggiato televisivo. Allo stesso tempo provava una certa ammirazione. La persona seduta davanti a lei non aveva niente a che vedere con il Mario che conosceva prima,
sempre indeciso e sempre vittima delle circostanze. Questo era un vero uomo.
Sparò la prima cosa che le venne in mente:
«Mario, ma... noi non abbiamo un registratore».
Mario sorrise.
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Capitolo settimo
«Non ti preoccupare piccola, ho quello che usavo durante il corso d’inglese in
comunità. Il vero rischio è che la Polizia non mi creda e arresti anche me».
Victor era disteso sul tappeto sdrucito della sua camera, le mani dietro la testa,
a fissare crucciato la macchia d’umidità sul soffitto. Pensava a quanto gli aveva
detto il fratello il giorno prima: l’appuntamento in un vicolo isolato della periferia,
lontano da sguardi indiscreti, e il suo piano spiegato davanti ad un aperitivo.
Erano stati bene.
Come Ilenia, anche Victor era rimasto colpito dal tono di voce di Mario e solo
le mani del fratello strette convulsamente attorno al bicchiere tradivano una
certa tensione. Non poteva biasimarlo. Il piano era pericoloso e lui stesso aveva
paura. Il giorno accordato, lui si sarebbe limitato a rimanere chiuso in casa con
Tony, impedendogli di seguire il camion. Il mafioso era più pericoloso di tutti i suoi
complici insieme e questo Victor lo sapeva bene. Fu molto grato a Tony quando
gli aveva offerto un tetto sotto cui dormire, ma gli era bastato poco per capire
di essere entrato nella tana del lupo. Adesso che Mario aveva ritrovato definitivamente la giusta rotta e si sarebbe trasferito a casa di Ilenia di lì a poco,
Victor si sentiva sempre più solo e fragile. “Proprio come lo era Mario” pensò
“spero solo di non commettere i suoi stessi sbagli”. Ma non sarebbe stato facile.
Provava il disperato bisogno di aiutare Mario, di dimostrargli che anche lui era
un uomo adesso. In quel momento sentì la porta sbattere e un rumore cupo di
passi avvicinarsi lungo il corridoio. Rimase immobile fino a quando Tony non si
affacciò, salutandolo con un sorrisetto presuntuoso. Si alzò e andò a preparagli
la cena, come ogni sera. Sarebbe stata una delle ultime.
Ilenia non era ancora uscita dal commissariato. Impaziente, Mario tirò giù il finestrino per far passare un po’ d’aria nella macchina piena di fumo. Con la coda
dell’occhio percepì un movimento dall’altro lato della strada e voltandosi vide
Ilenia precipitarsi giù per le scale, il viso arrossato. La vide scendere sulla carreggiata, salutandolo con la mano e sorridendo abbassò gli occhi per spegnere
la sigaretta appena accesa. Non vedeva l’ora di abbracciarla di nuovo e chie-
52
Un uomo vero
derle com’era andata. Fu in quel momento che udì la frenata, il suono di un clacson e un botto sordo che gli fece ghiacciare il sangue.
Del furgone che arrivava Ilenia si accorse soltanto quando sentì lo stridore delle
ruote sull’asfalto. Mario restò seduto in macchina col mozzicone della sigaretta
in mano, pietrificato. Non riusciva a scendere. Non voleva vedere cos’era successo. All’improvviso tutti i ricordi della sua vita gli esplosero nella mente. Una
serie di immagini incoerenti gli passavano davanti agli occhi mentre sentiva pulsare il sangue nelle tempie. In questo stato confusionale percepì il suono sempre
più vicino dell’ambulanza e il lampeggiante blu che gli sferzava la faccia. Vide
camici bianchi tra il capannello di gente ferma davanti al camion.
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Capitolo settimo
CAPITOLO OTTAVO
Verso una nuova vita
Era tanta la confusione, ma anche la paura. Impietrito, ancora dentro la macchina, sperava che Ilenia aprisse quello sportello, che l’abbracciasse, ma purtroppo la realtà era dura da affrontare. Passarono pochi minuti. Scese dalla
macchina e si precipitò tra la folla. Ilenia era riversa a terra in una pozza di sangue. Mario si faceva strada con i battiti del cuore a mille e quasi senza saliva gridava: “Fatemi passare, vi prego!”
Giunse a fatica vicino ai medici che cercavano di rianimarla.
« È la mia fidanzata, aiutatela, aiutatela!»
«Presto, fai presto dai, vieni con noi».
La corsa verso l’ospedale fu breve ma gli sembrò lunghissima. Mario tremava e
nella sua mente le sirene spiegate nascondevano ogni pensiero. Era come se
non gli passasse nulla nella testa, fino a quando la barella scomparve dalla sua
vista.
Rimase lì, seduto in quel corridoio, solo e stravolto, davanti a una porta chiusa.
Le ore passavano e da quella porta uscivano ed entravano infermieri e medici.
Mario frastornato dai suoi sensi di colpa ripeteva a se stesso di essere lui il colpevole di tutto ciò. Non avrebbe dovuto coinvolgere Ilenia, doveva recarsi lui
al commissariato e raccontare dell’incontro con Tony e del lavoro propostogli.
Ma come poteva riscattarsi? Come poteva aiutare la sua Ilenia? E se i poliziotti
lo avessero fermato per fare domande su Ilenia, cosa avrebbe detto? E ancora
tante domande a cui non sapeva dare risposta. Pensò che questa volta doveva
essere deciso, lo doveva essere per Ilenia. Così, prima che i poliziotti potessero
venire ad interrogarlo, uscì da una porta secondaria senza che nessuno si accorgesse di lui. Era già buio. Camminò a lungo per raggiungere la macchina. Coni
di luce gialla illuminavano la strada coperta da uno strato di neve ghiacciata,
54
Verso una nuova vita
eppure non aveva freddo. Era di legno, il corpo rigido e una morsa che gli spappolava le tempie. Quando raggiunse la sua auto attese qualche secondo prima
di entrare. Poi piegò la testa sullo sterzo e di colpo le facce impassibili dei medici,
i loro sguardi sfuggenti gli tornarono netti alla mente.
“Le fratture non sono gravi, ma il trauma... ”. Seduto abbracciato al volante sentiva il sapore delle lacrime. Ma non poteva abbandonarsi, doveva farsi coraggio, riuscire ugualmente a fotterli quei bastardi e fargliela pagare. Ma pagare
cosa? E a chi? Non era forse lui il responsabile di quanto era successo? Non era
lui che aveva distrutto la sua vita e ora quella di Ilenia? E Victor? Come allontanarlo da questo mondo di sopraffazione e violenza? Era la seconda volta in
tutta la sua vita che piangeva. Aveva imparato a trasformare il dolore in rabbia
e aggressività e a mandare giù le lacrime. Ora non ci riusciva più. Pianse come
un bambino in punizione, distrutto. Le lacrime non erano ancora asciutte sul suo
volto, quando mise in moto e riprese la strada di casa. La neve continuava sempre più fitta e attutiva ogni rumore. Mario guidava chinato sul volante, quasi a
nascondersi, isolarsi, racchiudersi nel grembo sicuro della piccola autovettura
che scivolava lenta su un asfalto viscido, tra negozi ormai sbarrati e strade deserte. Gli venne il singhiozzo forte. Fu allora che affiorò un ricordo sopito. Strinse
le mani al volante e si fermò in una stazione di servizio dismessa. Quel ricordo era
sempre più nitido.
Non aveva ancora dieci anni, doveva essersi svegliato per un rumore o un brutto
sogno in preda ad un’angoscia febbrile e a un pianto disperato. Suo padre sul
divano del soggiorno dormiva davanti al televisore. Si svegliò di soprassalto urtando una sedia e imprecando. Batté un pugno così forte sul tavolino che le lattine vuote rotolarono per la stanza. Il bambino sentì il passo incerto e pesante
venire verso di lui e si sentì gelare. Avrebbe voluto sparire tra le pieghe del lenzuolo ma non riusciva a frenare i singhiozzi. Era tutto il pomeriggio che il padre
frugava dentro gli stipetti della cucina in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa da
bere, si attaccava a tutte le scolature e finiva per prendere a calci quello che
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Capitolo ottavo
incontrava nel suo minaccioso cammino. Quando beveva sembrava che gli rodesse l’anima e le mani gli prudessero al punto da ferirle, se necessario, contro
ogni ostacolo. Sempre più spesso rientrava dal lavoro barcollante e ubriaco,
dopo aver fatto il giro delle peggiori bettole del quartiere. In una di quelle sere
aveva aggredito la moglie scaricando su lei e il bambino che portava in grembo
tutte le sue furie. Il padre lo raggiunse.
«Che cazzo ti succede, smettila di frignare come una femminuccia, non puoi stare
senza la mammina?» Sbraitò, accompagnando la frase con un una risata catarrosa. Sputò sul pavimento, poi prese Mario per un braccio e lo trascinò.
«Quando imparerai a comportarti da uomo, a non nasconderti ancora sotto le
gonne di tua madre. Hai paura del buio? Non vuoi stare solo? Ora ti insegnerò
io ad essere un combattente».
Lo trascinò giù per la scaletta sgangherata che portava ad uno sgabuzzino
stretto che chiamavano cantina, ma che da anni si era trasformata in un cumulo
di scatole, polvere e ragnatele.
«Ti prego, papà, ti prego, portami dalla mamma, portami in ospedale. Non piango
più, ripeteva trattenendo le lacrime».
Quando anche lo spiraglio di luce che penetrava da sotto la porta si spense,
Mario non urlò più. Si avvolse nel plaid tarlato e puzzolente che copriva una
vecchia cassapanca e scavò la sua tana. E fu il soldato sepolto nella trincea.
Cessò ogni rumore, ogni respiro, ogni pensiero. Non urlò più e imparò a essere coraggioso. Come voleva suo padre.
Non seppe quanto tempo restò così in macchina. Nel suo cervello faceva eco
una parola: coraggio. L’aveva ripetuta anche Ilenia quando l’aveva convinto a
collaborare con la polizia, ma ora si chiedeva se fosse, forse, un infame lui, che
avrebbe svelato i piani e messo a rischio la vita dei suoi compagni, degli amici
che lo avevano aiutato quando ne aveva il bisogno. Si accorse di avere le mani
gelide strette intorno alla fronte sudata. Ripartì frastornato: aveva bisogno di
dormire.
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Verso una nuova vita
Era calmo, determinato. Si era fatta largo nella sua mente una sola idea: quel
pomeriggio Ilenia sarebbe stata operata per rimuovere l’ematoma. “E’ una prova”
si diceva. “Se la supero Ilenia si salva”. Non aveva mai pregato, da bambino
Dio era qualcosa di buono a cui rivolgere un pensiero, una preghiera che, come
una formula magica, avrebbe tenuto lontano il mostro della paure e dell’angoscia. Ora però quel Dio lo metteva alla prova. Alba del venerdì. Mario era già
in macchina, accese una sigaretta e rimase lì seduto a riordinare le idee. Mise in
moto e partì, doveva raggiungere dopo un paio di curve ed un breve rettilineo
un capannone pieno di carcasse di uno sfasciacarrozze. Arrivato davanti a un
cancello chiuso lampeggiò con i fari e subito oltre il cancello dalla penombra
comparve un uomo. Si avvicinò, uscì dalla macchina e insieme superarono il cancello. Percorsi pochi metri si diressero verso quello che a prima vista sembrava un
cimitero di macchine; in mezzo a quelle auto accatastate c’era un camion. L’uomo
gli consegnò un mazzo di chiavi e dopo un cenno di saluto sparì. Mario salì sul
camion e iniziò il suo viaggio, lo seguiva una macchina bianca con quattro uomini
a bordo che facevano da palo, così come stabilito. Aveva da percorrere molta
strada per raggiungere il luogo convenuto. Mentre viaggiava, continuava a vagare con la mente per le vie tortuose che qualcuno aveva deciso di fargli percorrere. I dubbi lo facevano impazzire. “Cosa sto facendo? Faccio bene o
male?”. Come un tarlo, corrodevano la sua mente. ”Forse sono un infame? Ho dimenticato quando Tony mi aiutava e mi faceva guadagnare? Perché sto rischiando così tanto? Se non fossi mai nato… “.
I personaggi che affollavano questa storia , della quale non riusciva a capire l’inizio e a vedere la fine, erano tutti seduti nella macchina. C’erano tutti, Ilenia, Victor, ma anche sua madre e, a malincuore, suo padre. Proseguì dritto ancora per
un poco e andò avanti finché trovò uno spiazzo. Si fermò anche la macchina
che lo seguiva, cercò sulla cartina le indicazioni che lo avrebbero portato in
quel maledetto posto. I dubbi sparirono. Doveva avere coraggio e da uomo
vero affrontare con dignità ciò che a breve sarebbe successo. Proseguì ancora
57
Capitolo ottavo
a tappe e, dopo tanti altri chilometri, vide diversi posti di blocco. Brividi e tremore
erano incontrollabili. Per fortuna subentrò una specie di frenesia che gli impose
di continuare il suo piano. Sicuro di sé, con lo sguardo fisso, con un occhio alla
macchina bianca che lo seguiva e con l’altro ai poliziotti sempre più vicini a lui.
Arrivato alla frontiera Mario si fermò, mostrò la patente e il libretto e lo lasciarono
passare. Dietro c’erano i suoi compagni, non li conosceva, sapeva solo che
erano armati. Vide altri uomini, forse poliziotti in borghese, avvicinarsi alla macchina e bloccare i suoi complici. Non ci fu alcuna sparatoria. Questo lo rese
felice e soprattutto orgoglioso. Proseguì per la sua strada. Non sapeva cosa doveva ancora accadere, poteva solo immaginarlo. La tensione, la paura, cessarono di colpo; nelle sue vene non c’era più adrenalina né un goccio di sangue.
Il suo pensiero andò ad Ilenia che lottava tra la vita e la morte e a Victor ancora
nelle mani di Tony.
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Verso una nuova vita
CAPITOLO NONO
L’ultima prova
Due squilli di telefono prolungati, quasi fossero un’eternità, lo raggelarono. Avvertì
il cuore battere sempre più tumultuosamente, ebbe paura di perdere il controllo.
Alla fine Mario decise di fermare l’auto e frenò bruscamente accostando sul ciglio
della strada. Intravide sul display del cellulare la faccina che indicava la presenza di un messaggio.
«Fermati tra 3 km alla prossima area di servizio; segui la Skoda blu targata
CW019TH».
“Coraggio” si ripeteva, “coraggio“. Quei chilometri sembravano non finire mai,
una incontrollabile voglia di superare quell’ultima prova si era impadronita di lui
che sentiva nello stesso tempo farsi strada l’angoscia. Le mani sudate scivolavano sul volante. Per un attimo la sua vista si annebbiò e gli apparve il volto sofferente della madre. Stava quasi per cedere ma quando arrivò in quell’area di
servizio capì che era giunto ormai il tempo di prendere in mano la sua vita, una
volta per tutte. Quel luogo, avvolto nel buio della notte, aveva un aspetto molto
inquietante, uno scenario perfetto per uno squallido film dell’orrore. Il distributore
di benzina non funzionava e però automobili e soprattutto i camion lentamente
continuavano a ruotare attorno alle pompe di benzina. Vide delle figure che subito riconobbe come strane e bizzarre nell’abbigliamento: allora capì tutto. Si trovava nel bel mezzo di una di quelle arterie stradali, in periferia, popolate da
trans, viados e prostitute. All’improvviso qualcuno bussò al finestrino: sobbalzò.
Non conosceva nessuno in quel luogo e non poteva immaginare chi potesse essere. Abbassò il finestrino e si trovò davanti una donna di mezza età che, in
quell’attimo, gli sembrò una persona conosciuta anche se non ricordava dove
l’avesse vista. Era frastornato, confuso. Ebbe un urlo:
«Anna. Ma sei tu?!»
60
L’ultima prova
Ma sì. Era lei. Come aveva fatto a non riconoscerla subito. Scese subito dall’auto
e la abbracciò, tenendola stretta a sé.
«Che ci fai qui?»
«La stessa domanda potrei farla a te» rispose Anna, che mostrò gli occhi lucidi
di contentezza per aver ritrovato quel ragazzo che rimaneva sempre nei suoi
pensieri.
«Non posso dirti tanto. È forse l’ultima prova della mia vita. La più difficile, la più
straziante. Ma ci devo riuscire. Te l’ho detto, non posso dirti di più. Piuttosto dimmi
di te».
«Non penserai mica che mi prostituisca per racimolare qualche soldo?»
I due risero complici.
«No, è da un po’ di tempo che il mio istinto materno mi spinge verso questa umanità perduta. Ecco, vorrei aiutare qualche ragazza. Vedi, sembrano così invecchiate ma sono delle ragazzine che hanno sciupato tutto. Hanno bruciato la loro
vita. E questo mi mette angoscia. Voglio fare qualcosa per riportarle alla luce
della salvezza».
«Anna, tu riesci a dare speranza a tutti. Ti ho vista, ti ho incontrata e già mi hai
dato qualche ragione in più per quello… »
Non finì la frase. Fu bruscamente distratto dal lampeggiare intermittente di un’ automobile che cercava di comunicargli qualche cosa. Capì subito. Era la Skoda
blu.
«Anna devo andare».
«Lo so, ragazzo mio, ma per favore stai attento».
Salì nuovamente in macchina, mise in moto e si avvicinò per qualche centinaio
di metri. Anna era già lontana quando Mario si fermò a poca distanza da quei
fari intermittenti. Scese e si diresse verso il conducente della Skoda blu. Un gesto
folle, non era armato e sapeva benissimo che erano uomini che non avrebbero
esitato a sparargli a bruciapelo, nel caso in cui la situazione si fosse messa a rischio.
Capitolo nono
61
«Dove mi devi… »
Un violento colpo alla testa lo fece stramazzare a terra, facendogli perdere
conoscenza.
«Svegliati Mario, sono io!»
La voce ansimante di Victor cercava di destarlo. Mario avvertiva una pesantezza alla testa ma non riusciva a muovere le mani, sentiva il sangue scorrergli
sul viso. Aprì gli occhi. Nel buio della stanza non distingueva nessuna forma e
non riusciva a riconoscere quella sagoma. Tuttavia quella voce gli era famigliare.
«Victor?»
«Parla piano, ci potrebbero sentire».
«Ma chi potrebbe sentirci? Dove siamo? Chi è che ci tiene prigionieri?»
«Tony ha scoperto tutto. Moriremo, Mario. Oggi moriremo».
Il terrore si stampò sul suo volto sudato. Stettero fermi qualche secondo, poi
Mario afferrò forte il braccio del fratello e lì, nel buio, cercò con poche parole
di dirgli quello che aveva sempre pensato.
«Mi dispiace Victor. Per tutto. Sono stato un cattivo esempio. Dopo la morte di
nostra madre ero così preoccupato a prendermi cura di te che ho venduto me
stesso. Senza capire che i soldi non ti avrebbero reso felice. Tu volevi soltanto
un fratello e io non sono stato in grado di fare una cosa così semplice: amarti».
Victor attese che al fratello passasse quel respiro affannoso per rispondergli:
«Tu non sei l’unico responsabile. Io non ho capito che avrei dovuto starti vicino
e che la tua decisione di allontanarmi non era solo un modo per proteggermi,
ma soprattutto una richiesta di aiuto. Sai, quando ti ho visto chiuso in quella comunità ero così debole che per Tony non è stato difficile convincermi a entrare
nel suo giro. Io volevo solo che tu fossi fiero di me. Nonostante tutto, rimani mio
fratello».
«Victor, io in ogni caso sarei stato orgoglioso di te, però tu sei meglio di me».
«Anche se può sembrare banale, ti voglio bene».
62
L’ultima prova
«Te ne voglio anch’io».
Di colpo la porta si spalancò, Tony entrò e con lui il suo seguito di sgherri e scagnozzi, ancora più minacciosi e orripilanti. Ormai i loro occhi si erano abituati al
buio e quando il bagliore della luce proruppe nella stanza furono quasi accecati.
«Finalmente i due fratellini si sono riuniti» disse Tony con voce pungente e sarcastica.
«Pensavate davvero di potermi ingannare così facilmente? Sono io che controllo
la città e non c’è niente che mi possa sfuggire. Le mie pedine si muovono indisturbate anche nelle forze dell’ordine e subito dopo che la tua amichetta ha riferito
tutto alla polizia , io ero già a conoscenza del vostro stupido piano. Pensi davvero che quello di Ilenia sia stato un incidente?»
«Bastardo. Lei non c’entra niente. Non dovevi arrivare a tanto»
«Ah, quasi dimenticavo, l’ospedale ha appena chiamato sul tuo telefono».
«Come sta?»
«Entrambi bene».
«Come? Che significa entrambi? Cosa vuoi dire? Forse ti diverti a prendermi in
giro? Ci godi, vero?»
«Non ti prendo affatto in giro. La tua cara Ilenia e il bambino che porta in pancia
sono salvi».
L’espressione di Mario, sconvolta e confusa, era propria di chi si avvia a chiudersi
in un lungo e impenetrabile silenzio.
«Non lo sapevi, vero? Peccato che tuo figlio dovrà crescere senza un padre; ma
non preoccuparti, ci sarò sempre io ad aiutarli».
Il mondo gli crollò addosso, adesso voleva combattere per un lieto fine. Un
quarto uomo entrò preoccupato nella stanza:
«Corri Tony, abbiamo un problema!»
Tony si diresse precipitosamente fuori, seguito dai suoi scagnozzi, sbattendo la
porta alle sue spalle. Mario e Victor capirono che era il momento di agire.
Capitolo nono
63
«Non c’è bisogno che ti dica niente» disse Mario. «Sai già ciò che dobbiamo
fare… ora!»
I due fratelli cercarono di sciogliere le corde che li tenevano legati, muovendosi
schiena contro schiena. Nessuno di loro avrebbe potuto immaginare che dopo
così tanti anni si sarebbero ritrovati in una situazione difficile come questa. Sapevano di lottare contro qualcosa che era più forte di loro. Avevano paura, ma
erano insieme.
«Secondo te cos’è successo?»
«E cosa te ne importa? Pensiamo ad andarcene da qui».
Diedero un ultimo decisivo strattone e furono liberi. Victor si massaggiò i polsi e
la schiena, poi entrambi tirarono un sospiro di sollievo ma sapevano che non era
ancora il momento di cantar vittoria. Mario fece cenno al fratello e si avvicinò
silenziosamente alla porta. Socchiusero l’uscio e sbirciarono fuori. Il pianerottolo
era deserto, evidentemente Tony non aveva considerato necessario lasciare
qualcuno a far loro la guardia. A passo felpato scesero le scale. Una volta arrivati in fondo si guardarono attorno: nessuno nemmeno lì. Col cuore in gola si accostarono al grande portone bianco, la loro unica via di uscita. Mario si affacciò
dalla vetrata lì accanto: la via sembrava libera.
«Sei pronto? Victor, appena apro la porta scappa più lontano che puoi e non
voltarti».
Victor annuì preoccupato. Ci furono alcuni lunghissimi secondi di silenzio durante
i quali a parlare erano solo i loro occhi appena incrociatisi. Quando trovarono
il portone spalancato, ognuno pensò a se stesso. Corsero disperatamente verso
la muraglia di alberi che si estendeva di fronte a loro. Sembrava fatta.
All’improvviso un urlo, poi uno sparo. Mario vide il corpo inerte del fratello crollargli vicino. Ebbe il tempo di voltarsi solo per un istante ma fu sufficiente per
scorgere, accanto all’entrata del caseggiato da cui erano scappati, una sinistra
figura, armata.
64
L’ultima prova
CAPITOLO DECIMO
Cambiare
66
La rabbia e il dolore non gli permettevano di capire ciò che stava accadendo.
Il corpo di Victor giaceva senza vita a pochi passi da lui. Una sensazione di
vuoto si innestò dentro Mario, quasi fosse stato privato dell’anima. Alzò lo
sguardo e di nuovo la vide: occhi gelidi e cuore insensibile sembravano abitare
ora il corpo di Anna. Colei che l’aveva aiutato e protetto, la donna dall’animo
gentile e dall’aspetto rassicurante che in tanti momenti era riuscita a colmare il
grande vuoto lasciato dalla morte della madre, in quel lampo di verità gli si presentò sotto le spoglie di crudo carnefice. Un grido improvviso fece tornare Mario
alla realtà,
«Butta quell’arma!»
L’arrivo della polizia era una cosa buona ma pensò anche che avrebbe dovuto
lasciare Ilenia e il bambino. Certamente lo aspettava il carcere. Avrebbero creduto alla sua innocenza? Questa domanda travagliò in un istante la sua mente.
Ogni riflessione fu interrotta da un rumore assordante; mentre provenivano spari
da ogni direzione, il corpo di Anna si accasciava al suolo, davanti al portone.
L’istinto di fuggire ebbe il sopravvento. Mario diede un ultimo sguardo al corpo
del fratello, poi sparì nella boscaglia. L’adrenalina spingeva le gambe, ma la sua
mente sembrava volesse crollare. Victor era morto e lui non era stato in grado di
fare nulla. Era stato stupido e fragile, aveva permesso ad Anna di conquistare la
sua fiducia ed ora era solo colpa sua, ogni cosa. Il rimorso lo pervadeva come
un virus letale che non lasciava via di scampo. Gli unici pensieri che generavano
forza in lui erano la sua Ilenia e quel bambino del quale sarebbe diventato
padre. Un padre migliore del fratello che era stato. Questa consapevolezza lo
spinse verso la sua unica ragione di vita.
«Ilenia!»
Cambiare
L’urlo soffocato di Mario risuonò per tutto il terzo piano del Palackeho, il principale
ospedale di Praga. Quarta stanza a sinistra, questo gli aveva indicato l’infermiera
all’ingresso. Entrò e subito la vide: avvolta in quella coperta bianca, bella come
non ricordava di averla mai vista. Il sorriso di Ilenia sembrò illuminare l’intero ambiente. Era tornato da lei. Si sciolsero in un abbraccio, uno di quelli veri, che trasmettono la più piccola emozione e fanno trasparire anche il più nascosto dei
sentimenti. Le mani di Mario scivolarono sulla pancia della compagna, come a
voler creare un contatto con il bambino e lei capì.
Improvvisamente lo sguardo di Ilenia cambiò
«Cosa è successo? Dov’è Victor?»
Mario esitò; stette in silenzio per alcuni secondi. Pochi, ma bastarono a fargli passare davanti ogni immagine. Scoppiò in lacrime, come mai aveva fatto prima. Dall’entrata, una voce interruppe quel pianto. Era l’ispettore di Polizia, lo stesso uomo
con il quale Ilenia aveva parlato prima dell’incidente.
«Salve, sono Gustav Dvoøák, lei deve essere Mario Nowak» disse con tono quasi
d’ammirazione.
«Non si preoccupi, so ciò che ha cercato di fare. È stato coraggioso. Grazie a lei,
Antonio Barrese, Tony, è stato arrestato. Ora però, ho bisogno che lei mi racconti
tutto».
Mario parlò. Disse tutto senza tralasciare nulla: la cattura, le parole di Tony, di
Anna e di Victor. Disse tutto d’un fiato, quasi senza respirare. Sembrava che temesse di non riuscire a sopravvivere ad una pausa. Passò la notte in commissariato.
Fu rilasciato la mattina seguente. L’interrogatorio lo aveva sfinito, ma non c’era
stanchezza nei suoi occhi, solo odio e rimpianto. La sua mente continuava a vedere Anna accasciarsi a terra priva di vita e sentiva che quella visione gli procurava piacere.
«Quando un uomo odia qualcuno, odia nella sua immagine qualcosa che è dentro
di sé» gli aveva detto tempo addietro il prete della comunità. Mario si sentiva
colpevole. Non meno di quanto lo fosse stata Anna. Si sentiva colpevole perché
Capitolo decimo
67
aveva abbandonato suo fratello nel momento del pericolo. Victor era morto a
causa dei suoi sbagli. Capì di essere diventato finalmente un uomo, ma ad un
prezzo terribile.
68
“Essere uomo significa saper chiedere aiuto nel momento del bisogno”. Questa
frase era scritta su di una parete della sala d’attesa del dott. Schròedinger. Mario
era agitato, non gli erano mai piaciuti gli psicologi. Nemmeno loro potevano capire ciò che aveva vissuto. Era stata Ilenia a convincerlo, era giusto farlo per lei
e il bambino.
«Signor Nowak, prego si accomodi».
La stanza era ben illuminata, una leggera luce entrava dalla finestra situata dietro
la grande scrivania in legno di quercia. Il colloquio si stava svolgendo serenamente, nonostante Mario fosse nervosissimo. Raccontò gli episodi più significativi
della sua vita, partendo dal difficile rapporto con il padre, che aveva condizionato tutti i suoi legami affettivi. Un peso che lo aveva accompagnato fino alla
morte del fratello. Il grande silenzio che avvolgeva la stanza venne interrotto dalla
voce pacata e tranquilla del dottore che lo rassicurò, promettendogli tutto l’aiuto
necessario.
Il tempo trascorreva con una certa tranquillità. Erano passati otto mesi e la nascita
del bambino era ormai vicina. Cercavano il nome per lui; erano certi che sarebbe
stato un maschio. Nello stesso istante dissero il nome, lo stesso nome: Victor.
«Sì. Victor sarà il nome del nostro bambino».
Mario non poteva permettersi di sbagliare; ancora una volta gli era stata affidata
una vita. Un fallimento poteva significare la morte.
Non ci aveva creduto ma invece l’aiuto dello psicologo fu utile. Grazie alle sedute
Mario era riuscito a mutare il suo dolore in determinazione. Era cambiato. Sentiva
di poter diventare quello che mai era riuscito ad essere. Sentiva di poter dare
alla sua famiglia ciò che fino a quel momento non era riuscito a dare. Chiamare
Victor il bambino aveva attenuato in lui il senso di colpa per non aver saputo
Cambiare
salvare il fratello. Mancava un ultimo tassello: conciliarsi con colui che non aveva
saputo proteggere. Non era mai più stato su quella tomba dal giorno del funerale
ed ora si trovava lì a parlare con il fratello, quasi come se il tempo si fosse fermato.
Quasi.
Iniziava una nuova vita. Ora lavorava come restauratore, un lavoro dignitoso che
gli permetteva di mantenere Ilenia e il suo piccolo Victor, che aveva ormai quasi
un anno.
«Auguri Victor!»
Le voci risuonavano in tutta la casa. Il piccolo era in braccio a Mohammed. Quell’uomo rude e così grande, sul cui volto i segni della fatica e del tempo ancora
erano visibili, con il bambino in braccio diventava tenero e affabile. Si erano ritrovati da poco Mario e Mohammed. Era una fresca giornata d’autunno quando
Mario lo intravide tra la folla ad una fiera floreale. Da allora i due avevano ripreso
a frequentarsi con assiduità, con la proposta per il giovane di far da padrino al
Battesimo del piccolo Victor. Adesso quel bambino guardava con meraviglia la
torta che Ilenia gli aveva preparato. Un dolce profumo di vaniglia e cannella riportò alla mente di Mario il ricordo della madre. La figura materna che, sbagliando, aveva creduto di ritrovare in Anna. Ormai solo un dubbio occupava la
sua mente: perché Anna? Il tempo era passato, ma adesso voleva sapere. E Tony
era l’unico che poteva rispondere alle sue domande. Le ore scorrevano, ma lui
pensava sempre la stessa cosa.
«Barrese hai una visita!» tuonò il secondino.
Lo sguardo di Tony ostentava sicurezza, la vista di Mario lo intimidiva, ma prevalse
l’arroganza.
«Sei venuto per un lavoretto Mariuszek?»
Mario non cedette alla provocazione:
«Mi devi una spiegazione! Perché Anna?»
«Anna chi? Ah... quasi me ne ero dimenticato. Era solo un mezzo per tenerti d’occhio, non contava niente, lei come gli altri. Davvero credevi alle sue parole? Era
Capitolo decimo
69
una drogata, come il figlio. Ti ha raccontato quelle balle solo per poter conquistare la tua fiducia. Sei stato uno stupido».
Mario provò allora una sensazione strana: una miscela di delusione e soddisfazione insieme. Capì che non sempre tutto è come appare.
«Ho creduto alle parole di una persona che credevo sincera, questo non mi rende
stupido, ma uomo. Solo i veri uomini hanno il coraggio di rialzarsi, cambiare e perdonare. Ah, com’era la storia del proverbio italiano?»
Mario rise di gusto: «Ricorda: il perdono prevale sempre sulla vendetta».
Guardando Mario allontanarsi, cadde la maschera di Tony. E per la prima volta
fu lui a rimanere senza parole.
Si incamminò verso casa. Aveva il cuore gonfio. Fece pochi passi e notò sul grande
muro di cinta del carcere un disegno, una scritta di quelle fatte con le bombolette,
ma fatta bene. Doveva avere qualche anno. I colori spenti davano comunque
vita al grigio sporco dell’intonaco. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame
nascono i fiori”. Solo più tardi avrebbe scoperto che quelle parole erano di un
poeta italiano. Già, l’Italia, il Paese dove avrebbe voluto vivere e che avrebbe
visitato di lì a poco per una vacanza. Un viaggio sognato e finalmente in programma grazie alla sua rinascita e a quel regalo lasciatogli dalla madre, il gruzzoletto che mai avrebbe speso male. Sapeva invece che per Ilenia e il piccolo
Victor quei soldi potevano essere presi da quel conto: una cosa giusta, una cosa
bella. Ripensò all’improvviso a quel sasso su cui aveva trovato quell’incisione: “Se
sei uomo, dimostralo”.
Quei giorni, quegli anni, quelle sofferenze: era tutto finito. Tornò per un istante indietro ancora nel tempo e rivide la strada percorsa. Si accorse che quel sasso era
uno dei tanti a cui aveva dato calci per riprendere il cammino. Una strada ora
senza ostacoli. Sorrise e riprese a camminare. Sapendo di non doversi voltare più
indietro, di non dover scalciare ancora quei brutti sassi che gli avevano impedito
di avere una vita normale. Sorrise di nuovo e capì di essere libero.
Libero di essere uomo.
70
Cambiare
APPENDICE
1. Ricomincio da qui
ITCT “Dionigi Panedda” di Olbia – classe IVC Iter
Dirigente Scolastico
Giovanni Maria Mutzu
Docente referente della Staffetta
Raffaella Stelletti
Docente Responsabile dell’Azione Formativa
Raffaella Stelletti
Gli studenti/scrittori della classe IVC ITER
Melania Arbeloa, Andrea Califano, Roberta Careddu, Sara Casu, Alice Dalias,
Luigia Deiana, Imane Et-Thamry, Tiziana Floris, Melania Franzese, Maria Paola
Langiu, Oleksy Lomovskyy, Valeria Loverci, Silvia Lupino, Eleonora Mascia, Elisa
Muzzetto, Alessia Nuvoli, Gioia Paggiolu, Marta Paone, Alessia Pischedda, Roberto Piu
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Quest’anno per la prima volta abbiamo partecipato alla staffetta di scrittura
creativa a cui abbiamo aderito grazie alla nostra prof.ssa d’italiano. E’ stato fantastico! Un’alternativa alla solita lezione! Curiosità, interesse, ma anche un po’
di paura sono le ansie che ci hanno inizialmente assalito, ma… una volta letto
l’incipit è iniziato il dibattito e paure e ansie sono scomparse all’improvviso.
Ognuno di noi ha preso la parola per esprimere le proprie idee e dire la sua in
merito ai temi legati alla legalità. Tutto il lavoro era nelle nostre mani, compresa
la responsabilità di dar vita alle vicende del protagonista del libro. Abbiamo
proceduto alla stesura del primo capitolo lavorando per gruppi, questo tipo di
lavoro ha migliorato la nostra capacità di collaborare e creare. Certo, le nostre
idee erano differenti, ma alla fine siamo riusciti a conciliare le proposte di tutti.
Ci sembra importante dire infine che questo percorso ci ha permesso di uscire
dagli schemi tradizionali; la scuola non è esclusivamente il luogo dove si studia
Dante, ma è anche il posto dove riflettere e discutere sui problemi attuali della
nostra società”.
APPENDICE
2. Uno spiraglio di luce
Liceo “Alfano I” di Salerno – classi IVC/IIIA
Dirigente Scolastico
Antonio Lepre
Docente referente della Staffetta
Mariella Sabino
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Dalida Marmo
Gli studenti/scrittori delle classi
IVC Liceo Socio-psicopedagogico - Ilenia Buoninfante, Ester Cannoniero, Roberta Cartone, Angela Citro, Gessica Ciliberti, Gioconda Contente, Antonietta
De Mai, Giulia Fiorillo, Roberta Genovese, Mariarita Mangino, Raffaella Plaitano,
Mariafatima Pulvani, Floriana Vassallo
IIIA Liceo Scienze Umane - Benedetta Ascione, Desirè Avella, Marika Caporaso,
Adele Carmando, Rita Cipriano, Mariateresa D’Alessandro, Bianca Maria De Focatiis, Marida Giannattasio, Natasha Giannattasio, Melania Noschese, Carmela
Postiglione, Martina Paolantonio, Irma Salviati, Chiara Santoro, Rossella Siano,
Francesca Vernieri, Carmela Vicinanza, Marina Vitolo
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Esperienza formativa costruttiva e coinvolgente. Gratificante l’aspetto legato
alla creatività adeguatamente stimolata; anche il lavoro di gruppo ha consentito
di sviluppare l’interazione del gruppo-classe moderando e modulando gli interventi individuale. Sicuramente la riflessione linguistica ha implementato le competenze morfosintattiche. L’immedesimazione nella vicenda del protagonista ha
provocato una maggiore consapevolezza della dimensione negativa della
droga. Gli alunni hanno condiviso anche esperienze indirette sulla problematica
di cui si sono avvalsi, unitamente all’informazione scientifica sugli effetti di stupefacenti”.
APPENDICE
3. Il peso del ricordo
Istituto Tecnico per il Turismo e Liceo Linguistico “Artemisia Gentileschi” di Milano
- classe IVD Linguistico
Dirigente Scolastico
Agostino Miele
Docente referente della Staffetta
Rossana Marina
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Rossana Marina, Anna Rosa Bolognesi
Gli studenti/scrittori della classe IVD Linguistico
Sara Botti, Luca Campagna, Giulia Campagni, Federica Colombo, Sofia Grace
Fagnani, Giorgia Guarneri, Carolain Gutierrez, Jessica Lovatti, Lyka Marciano,
Aleksandra Kutrakova, Francesca Marro, Martina Maria Moscia, Gaia Papasergio, Rebecca Benedetta Perego, Irene Raschellà, Federica Serra, Aleksandra
Simovic, Federica Squinzi, Beatrice Todaro, Valentini Martina
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Al di là del prodotto finito, cioè del capitolo vero e proprio, è stato interessantissimo e stimolante per tutti, docenti comprese, dedicarsi ad attività di ricerca
e promuovere discussioni e scambi di idee per delineare lo sviluppo della storia.
Gli studenti hanno potuto ricompattare il gruppo classe avendo un obiettivo comune; la scadenza di pubblicazione ha insegnato loro come amministrare il
tempo, sacrificando anche molti pomeriggi in funzione della meta finale; hanno
approfondite le conoscenze sulla società, sul mondo delle tossicodipendenze,
sulla realtà dell’Est europeo; hanno imparato come condurre ricerche consapevoli sul web; si sono confrontati in modo costruttivo con posizioni differenti dalle
proprie. Dopo la consegna e la pubblicazione del capitolo, riprendere l’attività
didattica abituale è stato duro, come essere costretti ad abbandonare un’isola
felice!”
APPENDICE
4. Una nuova alba
Liceo “A. Galizia “ di Nocera Inferiore (SA) – classe IIIBe
Dirigente Scolastico
Maria Giuseppa Vigorito
Docenti referenti della Staffetta
Alessandro Califano, Anna Garofalo
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Gerarda Luciano
Classe che ha composto il capitolo: IIIBe
APPENDICE
5. Il sogno della libertà
Istituto di Istruzione Superiore Liceo Artistico ITA “Tommasi” di Cosenza – classi
II/III/IVB – IV/VA ITA
Dirigente Scolastico
Luigi Reda
Docente referente della Staffetta
Maria Galasso
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Maria Galasso, Sara Perri
Gli studenti/scrittori delle classi
IVB Liceo Artistico - Maria Francesca Bozzo, Rossella Ciciarelli
IIIB Liceo Artistico – Mary Catania
IIB Liceo Artistico – Eleonora Bruno
IVA ITA “Tommasi” – Carmine Buffone ì, Davide Papasso
VA ITA “Tommasi” - Marco Morrone
VA ITA “Tommasi”- Francesca Guido
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Il lavoro per la STAFFETTA creativa è stato un’occasione di incontro e di collaborazione che ha rafforzato il sentimento di appartenenza. È stato bello sentirsi
protagonisti di un progetto comune a cui un gruppo delle due scuole ha aderito
con entusiasmo; ognuno ha dato ciò che ha sentito di dare.
Dall’insieme di molteplici idee e di tanti spunti è nato un disegno narrativo che ci
è sembrato coinvolgente. Le parole sono venute di conseguenza con l’aiuto di
tutti. Grazie per l’opportunità”.
APPENDICE
6. Il coraggio
ITSSE “A. Genovesi” di Salerno – classi IIIB/D/E
Dirigente Scolastico
Salvatore Cicenia
Docente referente della Staffetta
Filippo Ronca
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Filippo Ronca
Gli studenti/scrittori delle classi
IIIB - Luca Camberlingo, Vincenza Citro, Kseniya Chuchupalova, Angelita De
Caro, Roberto Iuzzolino, Maria Sessa
IIID - Giuseppe Iannone, Ernesto Sica, Mirko Voria
IIIE - Adriana Grieco
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Una splendida conferma della bella esperienza dell’anno scorso. Un momento
di condivisione di conoscenze e abilità differenti. Un’occasione per confrontarsi
tra coetanei e riuscire a trovare dei punti in comune tra opinioni e modi di essere
totalmente diversi”.
APPENDICE
7. Un uomo vero
Istituto Italiano Statale Comprensivo di Barcellona – Liceo Scientifico “E. Amaldi”
(SPAGNA) – classe IIIA
Dirigente Scolastico
Cristino Cabria
Docente referente della Staffetta
Velia Cimino
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Andrea Tappi
Classe che ha composto il capitolo: IIIA
APPENDICE
8. Verso una nuova vita
Direzione Didattica Primo Circolo di Enna (Scuola Carceraria) – gruppo misto
Dirigente Scolastico
Maria Belato
Docente referente della Staffetta
Rita Sabatino
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Ida Ardica
Classe che ha composto il capitolo: gruppo misto
APPENDICE
9. L’ultima prova
Liceo “Alfonso Gatto” di Agropoli (SA) – classe IIC
Dirigente Scolastico
Pasquale Monaco
Docente referente della Staffetta
Angelo Mantione
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Angelo Mantione
Gli studenti/scrittori della classe IIC
Filippa Arcidiacono, Lanfranco Chirico, Emanuele Bellezza, Deborah Ciuccio,
Federica Della Sala, Ida Di Filippo, Niccolòdi Celmo, Carmine Di Luccio, Maria
Luisa Di Luccia Ciardi, Noemi Di Marco, Giovanna Fabbrocino, Vienna Giordano,
Martina Gnazzo, Elisabetta Lembo, Sara Mastrogiovanni, Chiara Modica, Alessandra Morinelli, Luigi Pepe, Serena Ponzo, Maria Raddi, Giulia Santangelo
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Per la nostra classe si tratta del secondo appuntamento, dopo la felice performance dello scorso anno. Anche quest’anno, infatti, abbiamo accolto con entusiasmo il progetto sulla scrittura proposto dal nostro insegnante di italiano e
latino, memori dell’esperienza per noi interessante e stimolante fatta un anno fa.
Dobbiamo ammettere che questa volta il nostro contributo alla realizzazione del
racconto finale è stato avvertito come più semplice rispetto all’anno scorso,
quando abbiamo sentito la responsabilità di dar vita a un inizio di un percorso
che non sapevamo come si sarebbe articolato e concluso. Tuttavia, siamo riusciti,
attraverso la lettura intensa e impegnativa dei capitoli elaborati dai nostri colleghi studenti delle altre scuole che compongono la staffetta, a impegnarci a
seguire la linea evolutiva del racconto cercando di proporre qualcosa che potesse diventare accattivante per chi doveva condurre avanti e ultimare il racconto. Grazie a tutti”.
APPENDICE
10. Cambiare
I.T.I. “ Fermo Corni” di Modena (MO) – classi VA/VB/IVA/II A
Dirigente Scolastico
Francesca Romana Giuliani
Docente referente della Staffetta
Michela Salsarulo
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Michela Salsarulo
Gli studenti/scrittori delle classi
V termo - Gabriele Campioli, Fabio Perliti Scorzoni, Matteo Scacchetti
VB meccanica - Edoardo Cavalletti, Gabriele Bertoli
IVA termo - Thomas Cavazza, Simone Vaccari.
IVA mecc - Federico Manicardi, Lorenzo Fornaciari, Luca Magnani
IIIA termo - Riccardo Lanzotti, Davide Sassi
Hanno scritto dell’esperienza:
“…È stata un’attività interessante, abbiamo potuto apprezzare un testo che presto
si è trasformato in esperienza e lezione di vita. La storia che è stata scritta potrebbe
sembrare molto particolare, ma non è difficile conoscere ragazzi con i problemi che
Mario ha incontrato nel corso della sua vita...”
NOTE
NOTE
NOTE
NOTE
INDICE
Incipit di VERONICA TOMASSINI ................................................................pag
14
Cap. 1 Ricomincio da qui ....................................................................................»
16
Cap. 2 Uno spiraglio di luce................................................................................»
22
Cap. 3 Il peso del ricordo ....................................................................................»
26
Cap. 4 Una nuova alba ........................................................................................»
32
Cap. 5 Il sogno della libertà ..............................................................................»
38
Cap. 6 Il coraggio ..................................................................................................»
44
Cap. 7 Un uomo vero ..............................................................................................»
50
Cap. 8 Verso una nuova vita ..............................................................................»
54
Cap. 9 L’ultima prova ..............................................................................................»
60
Cap. 10 Cambiare ..................................................................................................»
66
Appendici ..................................................................................................................»
72
Finito di stampare nel mese di aprile 2013
dalla Tipografia Gutenberg Srl – Fisciano (SA)
ISBN 978-8897890-79-9
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Uomini, scritte sui sassi