Anno XII - Numero 38 - 30 maggio 2006
L'intervista
Parlano il direttore Renzetti
ed il regista Vizioli
A Pag.
2
La storia dell’opera
Un percorso difficile,
nonostante il grande valore
musicale
A Pag.
6
Analisi musicale
Esempio del miglior Rossini
A Pag.
7
Il gusto
dell’Orientalismo
Rappresentazioni e scene
turchesche nella cultura
italiana
A Pag.
8-9
IL TURCO IN ITALIA
di Gioachino Rossini
Il Turco in Italia
2
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Parlano il direttore Donato Renzetti ed il regista Stefano Vizioli
E
«Opera delicatissima e scoppiettante, con un
Vesuvio in eruzione per l'esplosiva Fiorilla»
rano 23 anni che Il Turco in Italia mancava
dalle scene del Teatro
Costanzi. Un'opera buffa tra
le più curate e rifinite di
Gioacchino Rossini, che tuttavia alla sua prima rappresentazione raccolse tiepidi
consensi. Il titolo aveva tratto in inganno pubblico e critici nel pensare si trattasse di
un rimaneggiamento parodistico de L'Italiana in Algeri.
In realtà le due opere sono
~~
accostabili solo dalla specularità delle situazioni, poiché
sia musicalmente che a livello drammaturgico, Il Turco si
allontana dai clichet farseschi
dell'opera buffa tipici dell'epoca, per avvicinarsi a una
più moderna concezione di
commedia borghese.
Il Turco in Italia era un titolo
che era già stato musicato da
Seydelmann nel 1778 e insieme a La pietra di paragone dello stesso Rossini, si inserisce
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 30 Maggio - 6 Giugno 2006
IL TURCO IN ITALIA
Dramma buffo in due atti - Libretto di Felice Romani
Prima rappresentazione: Milano, Teatro Alla Scala 14 agosto 1814
Musica di Gioachino Rossini
Maestro concertatore
e Direttore
Maestro del Coro
Regia
Scene e Costumi
Disegno Luci
Donato Renzetti
Gea Garatti
Stefano Vizioli
Susanna Rossi Jost
Patrizio Maggi
Personaggi / Interpreti
Selim (B)
Carlo Lepore / Francesco Facini (31/5, 4/6)
Fiorilla (S)
Angeles Blancas Gulin /
Paula Almerares (31/5, 4, 6/6)
Narciso (T)
Gregory Kunde / Mario Zeffiri (31/5, 4/6)
Don Geronio (B)
Paolo Rumetz
Il Poeta
Mario Cassi
Zaida (S)
Nadia Pirazzini / Silvia Pasini (31/5)
Albazar (T)
Davide Cicchetti
Fortepiano
Maurizio Agostini
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo Allestimento
~ ~ La Copertina ~ ~
Jean Leon Gerome
"Bashi Bazouk e il suo cane"
Olio su tela - 1870
Atto I - Scena IV - SELIM
«Bella Italia, alfin ti miro, / Vi saluto amiche sponde; /
L'aria, il suolo, i fiori, e l'onde / Tutto ride e parla al cor.
/ Ah! del cielo, e della terra, / Cara Italia sei l'amor».
Direttore responsabile
Il G iornale dei G randi Eventi
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Ko dak
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pienamente nello spirito delle turqueries, ambientazioni
orientaleggianti in voga nella seconda metà del '700, di
cui Il ratto dal serraglio di Mozart (1782) è esempio dominante.
Sul podio di questo allestimento il maestro Donato
Renzetti, che torna a Roma
dopo aver diretto nel dicembre 2004 un applaudito Pipistrello di Strauss e Madama
Butterfly di Puccini alle Terme di Caracalla nella scorsa
stagione.
Renzetti ha un rapporto
strettissimo con il compositore pesarese e riceverà questa estate il Rossini d'oro, prestigioso premio conferito dal
Rossini Opera Festival di Pesaro per la molte opere rossiniane da lui dirette.
«La prima volta in cui ho sentito parlare di quest'opera è stata
negli anni '70, grazie all'indimenticato direttore Gianandrea
Gavazzeni. Allora suonavo
nell'orchestra della Scala e
spesso ci intrattenevamo con il
Maestro parlando di opere da
riscoprire. Fu lui che mi disse di
aver tratto fuori dal dimenticatoio Il Turco in Italia, che aveva diretto nel 1950 con Maria
Callas. Da allora, il mio rapporto con Rossini è stato intenso e
nella mia carriera ho eseguito
14 opere del Pesarese, tra opere
buffe e opere serie.
La sinfonia del Turco in Italia
è, a parer mio, quella più difficile tra tutte quelle delle opere
rossiniane: delicatissima, scoppiettante, comprende due "soli", per la Prima tromba e per il
Primo corno, che sono veri pezzi di bravura, da concorso…
E' un'opera che fu scritta da
Rossini completamente ex-novo,
senza nessun ricorso all'autoimprestito. Si discosta molto dalla
sua presunta "gemella" L'Italiana in Algeri, e simbolica di questa distanza è la parte di Seli,
che fu scritta per il leggendario
basso Filippo Galli, grande belcantista. Selim è un personaggio
che si discosta per intensità di
carattere e per virtuosismo vocale dal parallelo ruolo di Mustafà
dell'Italiana, ben più farsesco e
macchiettistico.
La mia direzione sarà, in complesso, più leggera possibile; la
partitura sarà eseguita integralmente con appena qualche
taglio sui recitativi. ».
Quest'allestimento dell’opera
ambientata a Napoli, è affidata al regista napoletano Stefano Vizioli con le scene e i costumi di Susanna Rossi Jost.
« Nel Turco non vi sono vincitori e vinti- spiega Vizioli non esiste un'evoluzione "morale" nel corso dell'evoluzione
drammatica. L'assenza di categorie precise del bene e del male, mi ha ispirato una scenografia diversa da un '800 rassicurante. Abbiamo spostato l'ambientazione al 1920, un decennio brillante, aggressivo, i cui
costumi leggeri permettono di
esaltare i corpi, perché in quest'opera il corpo è un sensuale
veicolo di espressione.
I personaggi si muovono continuamente sulla scena con una
Donato Renzetti
gestualità vivace che ha preso
spunto persino dai manierismi
del cinema muto degli anni '20,
come anche alla commedia italiana degli anni '50 - pensiamo
a Totò imperatore di Capri che ha descritto mirabilmente
l'ambiente fatuo e inerte della
società snob partenopea.
Una Napoli ariosa, dipinta, che
lascia spazio all'energia dei personaggi, con le scene che si richiamano anche ad un certo vedutismo ottocentesco, con un
Vesuvio ora in eruzione ora
spento, secondo gli umori dell'esplosiva Fiorilla».
Andrea Cionci
La Stagione 2006
al Teatro Costanzi
Stagione Estiva Terme di Caracalla
24 - 30 Giugno
Direttore
Regia
Interpreti
dal 24 giugno a 9 agosto
LA VESTALE (balletto)
di Ludwig van Beethoven,
Gioachino Rossini, Gaspare Spontini
Marcello Rota
Beppe Menegatti
G. Straccamore, I. Yebra, C. Saso, G. Picone,
A. Tiburzi, L. Comi, M. Marozzi, R. Di Cosmo
8 - 12 Luglio
Direttore
Coreografia
Interpreti
MADAMA BUTTERFLY
di Giacomo Puccini
Donato Renzetti
Hal Yamanouchi
I. Kabatu / M. Tasca-Yamazaki, R. Lamanda,
R. Aronica, / R. Costi, G. Meoni, M. Bolognesi,
D. Malandra, M. Artiaco, G. C. Boldrini
18 - 25 Luglio; 2 - 4 Agosto
AIDA
di Giuseppe Verdi
Direttore
Alain Lombard
Regia
Paolo Miccichè
Interpreti O. Romanko / M. Carola, I. Komlosi / M. Cornetti,
M. Park / C. Cozzari, F. Farina / N. Martinucci,
S. Carroli / S. Zanon, O. Gradus / A. Zanazzo,
A. Guerzoni / A. Caforio, A. Cosentino / A. Casertano
29 Luglio; 1 - 9 Agosto
Direttore
Regia
Interpreti
14 - 22 Novembre
Direttore
Regia
Interpreti
TRISTAN UND ISOLDE
di Richard Wagner
Gianluigi Gelmetti
Henning Brockhause
David Rendall, Janice Baird, Marianne Cornetti
7 - 14 Novembre
Direttore
Interpreti
TURANDOT
di Giacomo Puccini
Alain Lombard
Henning Brockhaus
G.M. Ronge / G. Casolla, M. Giordani / C. Ventre,
A.L. Longo / C. Barbieri, M. Ryssov, F. Bettoschi /
A. Ariostini, M. Bolognesi, A. Orsolini,
M.R. Cosotti, A. Noli
CARMEN
di Georges Bizet
Alain Lombard
Rinat Shaham, Vincenzo La Scola,
Giorgio Surian, Anna Laura Longo
C
Il
Giornale dei Grandi Eventi
ome quinto titolo
della stagione - ed
ultimo della sua prima parte prima della parentesi estiva - il Teatro
dell’Opera di Roma presenta il dramma buffo di
Gioachino Rossini Il Turco
in Italia, un’opera che al
Teatro Costanzi è approdata solo due volte, la prima nella stagione 1968/69
con un allestimento del Festival di Bregenz, la direzione del maestro France-
Il Turco in Italia
sco Cristofoli e la regia di
Carlo Piccinato, la seconda
nel marzo 1983 con la direzione di Marcello Panni e
la regia di Aldo Trionfo.
Un’opera raffinata, anche
se amara e cinica, che per
lunghi anni non ha goduto
del meritato successo. Fin
dalla sua prima rappresentazione il 14 agosto 1814 al
Teatro Alla Scala di Milano fu accolta, difatti, con
estrema freddezza, per la
voce che fosse la riproposi-
zione speculare della fortunata Italiana in Algeri di
un anno prima, mentre
nella realtà non v’era altro
che la spassosa trovata del
rovesciamento di una situazione ed il gusto della
turcheria tipico di quegli
anni. La musica era, invece, nuova ed anzi ne risultò una delle partiture
meglio rifinite e curate,
anche strutturalmente, che
Rossini avesse composto
sino ad allora. Il grande
balzo di diffusione l’opera
lo ebbe nel 1950, dopo una
memorabile edizione al
Teatro Eliseo di Roma con
Maria Callas nei panni di
Donna Fiorilla e la direzione di Gianandea Gavazzeni.
Questo nuovo allestimento, firmato nella regia dal
napoletano Stefano Vizioli, vede una ambientazione spostata al 1920, anni
brillanti, meno paludati,
in una Napoli ariosa con
3
Le Repliche
mercoledì 31 maggio, ore 20,30
giovedì 1 giugno, ore 20,30
sabato 3 giugno, ore 18,00
domenica 4 giugno, ore 17,00
martedì 6 giugno, ore 20,30
un Vesuvio ora in eruzione, ora spento, secondo gli
umori dell’esplosiva Fiorilla. La direzione è del
maestro Donato Renzetti.
La frizzante allegria di un’opera
dimenticata per oltre un secolo
L
a vicenda si svolge nelle vicinanze di Napoli,
in un luogo di villeggiatura ed in casa di Don
Geronio.
La Trama
ATTO I - Il poeta Prosdocino è in cerca di un buon soggetto per
un dramma buffo, quando si imbatte in un gruppo di zingari. Qui
la zingara Zaida, dopo aver letto la mano a Geranio che vuole conoscere quando la sua capricciosa moglie Fiorilla metterà finalmente giudizio, racconta a Prosdocino la sua travagliata storia d’amore con il principe turco Selim Demele e di come sia costretta a
fuggire per la gelosia delle sue compagne. Il poeta la informa dell’imminente arrivo di un principe turco che potrebbe intercedere
per lei.
Mentre entra in scena Fiorilla, che passeggia con un gruppo di amiche, giunge il principe, il quale colpito dalla bellezza di Fiorilla, comincia subito a corteggiarla. Prosdocimo incontra Narciso, cavalier
servente di Fiorilla, che teme pure lui il carattere incostante della
giovane, e quindi un indignato Geronio, che gli comunica che Fiorilla ha invitato il principe – che altri non è se non quel Selim amato da Zaida – a prendere il caffè in casa sua. Prosdocimo è soddisfatto per i possibili sviluppi del suo dramma. La seconda scena
del primo atto si svolge appunto in casa di Geronio: Fiorilla civetta con Selim quando arriva Geronio, che viene costretto a baciare
la veste del principe in segno di omaggio, subendo poi per questo
anche i rimbrotti di Narciso. Selim, prima di lasciare la casa, dà appuntamento a Fiorilla in riva al mare per quella sera stessa. Geronio, dopo aver narrato gli ultimi avvenimenti a un sempre più entusiasta Prosdocimo, ha un duro scontro con la moglie, che proclama orgogliosamente la sua libertà di prendersi tutti gli amanti che
vuole. La scena si sposta quindi in riva al mare, ove Selim, che attende Fiorilla, incontra Zaida: i due si riconoscono e si abbracciano, quando giunge Fiorilla, seguita di nascosto da Narciso e Gero-
nio; la giovane immediatamente si scontra con
Zaida, mentre gli uomini tentano invano di fare da pacieri e Prosdocimo se la ride.
ATTO II - Il secondo atto si apre all’interno di una locanda, ove
Geronio apprende dal poeta che proprio lì sua moglie deve incontrare Selim. Il principe, sopraggiunto, propone a Geronio di vendergli la moglie, secondo le usanze del suo Paese; al netto rifiuto
seguono minacce reciproche. Partito Geronio, tocca a Fiorilla e Zaida scontrarsi con Selim, l’una offesa e l’altra addolorata per le incertezze sentimentali del principe. Prosdocimo, che è venuto a sapere che Selim intende rapire Fiorilla durante una festa mascherata, avvisa Zaida, suggerendole di presentarsi alla festa travestita da
Fiorilla; consiglia poi anche Geronio di partecipare alla festa, in costume da gorilla, per sorvegliare la moglie e impedirne il rapimento. Narciso, che ha udito tutto, decide di travestirsi a sua volta da
turco, per portare via con sé Fiorilla. Tutti questi travestimenti
creano una serie infinita di equivoci durante la festa: Geronio, che
vede due turchi e due Fiorille, reclama a gran voce la moglie e fa la
figura del pazzo; Fiorilla fugge poi con Narciso e Zaida con Selim.
Tornato alla locanda, Prosdocimo, che ha appreso dallo stesso Selim della sua definitiva riconciliazione con Zaida, suggerisce allo
sconsolato Geronio di dare una lezione alla moglie fingendo un divorzio. Fiorilla riceve quindi una lettera di ripudio dal marito, che
le impone di tornare a Sorrento dalla sua famiglia; prepara quindi
le sue cose e, addolorata, abbandona la casa. Tutto è pronto per il
finale lieto: ed è come sempre Prosdocimo, che ha ormai tutti gli
elementi per il suo dramma buffo, a fungere da motore degli avvenimenti. Narra il sincero pentimento di Fiorilla a Geronio, che
dal canto suo non vedeva l’ora di riabbracciarla e di accoglierla di
nuovo con sé; la coppia riconciliata saluta Selim e Zaida, che si imbarcano per far ritorno alla loro terra.
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Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il Turco in Italia
Nadia Pirazzini e Silvia Pasini
D
La zingara Zaida, convinta
innamorata di Selim
5
Carlo Lepore e Francesco Facini
I
Il principe turco Selim,
amante indeciso
l ruolo di Selim è impersonato dai bassi Carlo Lepore (30 magaranno la voce a Zaida le cantanti Nadia Pirazzini (30 maggio e 1,
gio e 1, 3, 6 giugno) e Francesco Facini (31 maggio e 4 giugno).
3, 4, 6 giugno) e Silvia Pasini. Il mezzosoprano Nadia Pirazzini ha
Tra le tantissime interpretazioni di Carlo Lepore ricordiamo
iniziato gli studi musicali all’età di sei anni. Si è diplomata nel 2000
quelle rossiniane del Barbiere di Siviglia
al Conservatorio di Bologna in flauto traverso con la Prof.ssa
(Teatro dell'Opera di Roma, 1992, nel
Morini. Nel 2002-03 nell’ambito della partecipazione al corso
ruolo di Basilio), e quella più recente de Il
“Giuseppe Verdi: cultura e tradizione” della Fondazione Toscaturco in Italia al Teatro Regio di Torino. Di
nini, ha tenuto numerosi concerti con orchestra ed ha debuttato
rilievo le sue partecipazioni al Rossini
a fianco di Leo Nucci in Rigoletto di G. Verdi, diretto da M. K. L.
Opera Festival (tra cui in Bianca e Falliero)
Wilson e con la regia di Vittorio Sgarbi (giugno-luglio 2003).
e quelle, prestigiose, al Teatro alla Scala
Silvia Pasini è nata a Roma, dove nel 1991 ha conseguito il di(Don Magnifico nella Cenerentola, Muploma di canto e proseguito gli studi con C. Vozza. Ha sostestafà nell’Italiana in Algeri). Carlo Lepore
nuto successivamente numerosi corsi di perfezionamento:
si è inoltre dedicato al repertorio barocco,
presso il “Progetto Giovani” del Teatro dell’Opera di Roma,
eseguendo opere di Monteverdi, Peri,
l’Accademia Chigiana di Siena con il M° Gelmetti (La CenerenHändel, Vivaldi e Cavalli.
tola), l’Accademia di Osimo con Mirella Freni, l’Accademia VoFrancesco Facini, nato a Lucca, si è perfeci Verdiane della Fondazione Toscanini di Parma. Ha debutta- Nadia Pirazzini e Carlo Lepore
zionato in canto al Mozarteum di Salito nel 1996 presso il Teatro Lirico di Cagliari con Il Matrimonio
Segreto (Fidalma). Vincitrice del Concorso Battistini di Rieti, ha debuttato sburgo ed a Vienna, debuttando in seguito presso lo Stadttheater di
Lucerna come protagonista ne Le Nozze di Figaro. E’ già stato Selim
nel ruolo di Isabella nell’Italiana in Algeri presso il Teatro di Osimo.
nel Turco in Italia a Gelsenkirchen; alla Finish Opera di Helsinki è
stato Don Profondo nel Viaggio a Reims e Don Magnifico ne La CeAngeles Blancas Gulin e Paula Almerares
nerentola; a Düsseldorf è stato Don Bartolo ne Il Barbiere di Siviglia.
Si è esibito al Teatro dell’Opera di Roma nella prima assoluta di Marie Victoire di Respighi con il ruolo di Cloteau e nella Messa di Gloria di Rossini.
P
La vivace Fiorilla, irrequieta
moglie di Geronio
resteranno la voce a Fiorilla i
soprano Angeles Blancas Gulin (30 maggio, 1 e 3 giugno) e
Paula Almerares (31 maggio, 4 e 6
giugno). Angeles Blancas Gulin,
figlia di cantanti spagnoli, ha iniziato la sua carriera nel 1992, quando è stata scelta per il Galà dei Re e
diretta da Placido Domingo. Da allora è stata protagonista di una brillante carriera che l’ha portata a can- Angeles Blancas Gulin
tare nei più importanti teatri europei ed americani. In Italia ha ottenuto un grande successo con I Pagliacci a Roma, e con il debutto ne Il Turco in Italia a Napoli.
Il soprano italo-argentino Paula Almerares ha debuttato a 19 anni interpretando Antonia ne Les Contes D'Hoffmann accanto ad Alfredo
Kraus. Ha vinto il Concorso Internazionale “Belvedere” e il Concorso
“Traviata 2000” con una giuria presieduta dal Maestro Lorin Maazel.
Dopo il debutto in Italia presso il Teatro La Fenice di Venezia, ha cantato nei teatri italiani ed esteri più prestigiosi, tra cui il Metropolitan
di New York dove ha partecipato a due produzioni de Il barbiere di Siviglia accanto a Juan Diego Florez.
L
Paolo Rumetz
Gregory Kunde e Mario Zeffiri
S
Narciso, innamorato
di Fiorilla
i esibiranno nel ruolo di Narciso i tenore Gregory Kunde (30
maggio e 1, 3, 6 giugno) e Mario Zeffiri (31 maggio, 4 giugno).
Gregory Kunde è nato a Kankakee, Illinois, e ha studiato all’Università dello Stato dell’Illinois canto e direzione di coro. Ha iniziato la sua carriera lirica nel 1978 alla Liric Opera di Chicago dove ha
conosciuto grandi interpreti quali Leinsdorf, Rudel, Pierre Ponelle,
Gobbi, Freni, Kraus, Pavarotti. Noto nei maggiori teatri americani, il
suo debutto in Europa è avvenuto come Nadire ne Les Pecheurs des
perles al Teatro di Nizza. Punto di riferimento nel panorama tenorile del bel canto, Kunde offre un repertorio che spazia dai ruoli mozartiani a Rossini, Bellini, Donizetti fino a Berlioz.
Mario Zeffiri è nato ad Atene. Il suo repertorio rossiniano è particolarmente ricco, e comprende il Barbiere di Siviglia, La Cenerentola,
Elisabetta Regina d’Inghilterra, L’Italiana in Algeri il Comte Ory, il Viaggio a Reims. Recentemente è stato Elvino ne La Sonnambula al Teatro
alla Scala di Milano e all’Opera di Roma; Argirio nel Tancredi a Tolone e all’Opera di Roma; Don Narciso ne Il Turco in Italia allo Staatsoper di Amburgo.
Mario Cassi
Don Geronio, geloso marito
Il poeta Prosdocimo, deus
di Fiorilla
a voce di Don Geronio sarà quella del
ex machina del dramma
basso Paolo Rumetz. Nato a Trieste,
ha iniziato lo studio del canto nel conservatorio della sua città. Il suo repertorio
rossiniano comprende La scala di seta, L’occasione fa il ladro, Il turco in Italia, La pietra del
paragone, La cambiale di matrimonio, L’inganno felice, La Cenerentola, L’italiana in Algeri, Le
comte Ory. Di rilievo le sue recenti interpretazioni di Un giorno di regno e di Madama
Butterfly al Teatro alla Scala e il prestigioso
debutto sul palcoscenico dell’Opernhaus di
Paolo Rumetz
Zurigo nel Turco in Italia.
C
anterà nel ruolo del poeta Prosdocimo il basso Mario Cassi.
Nato ad Arezzo nel 1973, ha studiato canto con Slava Taskova Paoletti e si è perfezionato sotto la guida di Paride Venturi e Bruno De Simone. Ha debuttato nel 1998 come Alcindoro nella
Bohème e nel 1999 come Betto in Gianni Schicchi, entrambi per l’Opera Youth in Europe. Per il Laboratorio Voci in Musica di "Musica per
Roma" ha interpretato il ruolo di Guglielmo (Così fan tutte).
Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto: Corrado M. Falsini
6
N
Il Turco in Italia
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La storia dell’opera
Una vita difficile, nonostante il grande valore musicale
el 1814 il ventiduenne Rossini,
a soli tre anni
dall’inizio della sua carriera di compositore, era
considerato uno dei migliori operisti italiani.
Reduce dal trionfale successo veneziano nel precedente anno del Tancredi e dell’Italiana in Algeri,
il Pesarese aveva visto
crescere enormemente la
propria popolarità, al
punto da offuscare quella dei suoi contemporanei. Il Teatro Alla Scala,
il cui esigentissimo pubblico era il vero e proprio
termometro del successo
dei musicisti in Italia e in
Europa, decise di commissionare a Rossini due
opere, una seria e una
buffa: la prima sarebbe
stata rappresentata per il
Carnevale del 1814 e l’altra avrebbe dovuto aprire la stagione autunnale
di quello stesso anno.
Rossini era già stato introdotto con successo nel
difficile ambiente milanese con La pietra di paragone rappresentata alla
Scala il 26 settembre
1812 ed i milanesi, dunque, si attendevano molto dal nuovo astro nascente italiano. Tuttavia
saranno destinati a rimanere delusi.
Il librettista Romani
Librettista del teatro scaligero in quell’anno era il
ventiquattrenne genovese Felice Romani. Sebbene fosse alle prime esperienze come compositore
di versi per musica ed
avesse debuttato come
librettista solo un anno
prima, il Romani si rivelò immediatamente
uno scrittore e letterato
di gran lunga superiore
ai suoi contemporanei.
Tuttavia il libretto dell’Aureliano in Palmira (12
dicembre 1813), prima
delle due opere commissionate dalla Scala, non
fu in grado di reggere il
confronto con il veneziano Tancredi e l’opera
venne accolta con freddezza. Stessa sorte sarebbe toccata al secondo
Il Teatro Alla Scala di Milano all'inizio dell'800
lavoro realizzato per il
teatro milanese: Il turco
in Italia. Anche questa
volta la stesura del libretto fu affidata a Felice
Romani, che trasse il
soggetto dall’omonimo
libretto di Caterino Mazzolà, messo in musica da
Franz Seydelmann e rappresentato nel 1788 a
Dresda. Questa volta il
Romani offrì a Rossini
un testo di indubbio valore e di estrema modernità, ma il confronto con
la precedente Italiana in
Algeri si risolse ancora a
favore dell’opera composta per Venezia. La
trama presentava in effetti alcune analogie con
quelle dell’Italiana, ma si
trattava soltanto di situazioni di contorno: infatti,
solo ad una lettura superficiale del libretto, il
Turco poteva sembrare
una sorta di rovesciamento delle situazioni
già utilizzate nell’opera
veneziana, una sorta di
“Pot-pourri” come ebbe
dire un commentatore.
In realtà di simile c’era lo
stile, ovviamente quello
rossiniano, il gusto per le
turcherie ed alcuni
aspetti della trama, ma le
due opere erano del tutto autonome e indipendenti. Il Turco in Italia
venne composta tra la
primavera e l’estate del
1814 e fu rappresentata
alla Scala il 14 agosto di
quello stesso anno. Il cast era formato da Filippo
Galli - che a Venezia aveva già rivestito in modo
egregio la parte del Bey
nell’Italiana - nel ruolo
del giovane turco Selim,
il soprano Francesca
Maffei-Festa nei panni di
Donna Fiorilla, il tenore
Giovanni David nel ruolo
di Don Narciso e il buffo
Luigi Pacini in quello di
Don Geronio. Nei ruoli
minori Adelaide Carpano fu la zingara Zaida,
Pietro Vasoli il poeta Prosdocimo ed a Gaetano
Pozzi venne affidato il
ruolo di Albazar.
Una curiosa
interpretazione
Sthandal ci racconta un
curioso e divertente un
aneddoto sulle recite che
seguirono la prima dell’opera. Pare che Pacini
(Don Geronio) eseguisse
ogni sera la sua cavatina
(aria di sortita di ogni
personaggio, ndr.) in maniera diversa: alcune volte era il marito addolorato ed innamorato della
propria moglie, altre era
il marito filosofo che si
burlava delle bizzarrie
dell’agitata mogliettina.
Alla quarta o quinta rappresentazione, egli si mi-
dell’Aureliano in Palmira.
Il corrispondente dell’Allgemeine mus. Zeit. osservò che dopo il primo
atto molti spettatori abbandonarono il teatro e il
Corriere delle Dame del 20
agosto 1814, nel registrare il fiasco della prima
rappresentazione, accusò
Rossini di essersi copiato. L’opera aveva offeso
l’orgoglio dei milanesi e
presto si diffuse la voce
che il Pesarese avesse voluto parafrasare l’Italiana
in Algeri, riciclando del
materiale vecchio. Un simile affronto non era
possibile al primo teatro
del mondo. L’opera fu,
dunque, messa al bando
e solo dopo sette anni fu
riaccolta con successo
dal pubblico milanese.
Nonostante ben presto si
comprese che il Turco in
Italia presentava un valore musicale e drammaturgico di grande interesse, l’opera ebbe molte
difficoltà ad inserirsi nei
cartelloni dei teatri. Solo
a partire dalla metà del
secolo scorso fu “riscoperta”, rivalutata e entrò
definitivamente
nelle
opere di repertorio. Il
merito è senza dubbio da
se ad imitare così perfettamente i gesti e le maniere di un nobile personaggio milanese, di cui
tutta la società conosceva
le disavventure coniugali, che gli spettatori si
sbellicarono dalle risate.
Quando lo sprovveduto
nobile entrò nel palco del
teatro «…il pubblico in
massa si voltò per gioire
meglio della sua
presenza…(..) e
Pacini
sulla
scena cogli occhi fissi su di
lui, mentre cantava la sua cavatina e copiava nel momento
stesso tutti i
suoi gesti e li
esagerava in
modo grottesco.
L’orchestra dimenticava di
accompagnare,
la polizia dimenticava di
far cessare lo
scandalo. For- Maria Callas come Donna Fiorilla
tunatamente
qualche persona saggia enascriversi alla indimentitrò nel palco e riuscì, non
cabile interpretazione di
senza fatica, a tirarne fuori
Maria Callas che, il 19 otil desolatissimo Duca».
tobre 1950 al Teatro Eliseo
Nonostante il cast fosse
di Roma, diretta da Giadi primissimo livello e
nandrea Gavazzeni offrì
gli artisti fossero delle
al pubblico della capitale
vere e proprie celebrità,
una Donna Fiorilla rimal’opera fu accolta dal
sta ancora insuperata.
pubblico scaligero ancoClaudia Capodagli
ra più freddamente
Il
Giornale dei Grandi Eventi
U
Il Turco in Italia
7
Analisi Musicale dell’opera
Esempio dell’intelligenza teatrale del miglior Rossini
diventano il sostegno (quasi come un basso ostinato)
su cui si basa il motivo orchestrale che sostiene la declamazione buffa dei nostri
protagonisti. Rossini, insomma, ancora una volta,
riesce a sorprendere per inventiva e capacità di essere
sempre imprevedibile nelle
sue soluzioni musicali.
In fatto di arie va ricordata
invece quella di Fiorilla nel
secondo atto, parentesi patetica prima del finale lieto.
Ricevuta una lettera di divorzio da parte dell’esasperato marito (ben pronto
a riprendersela subito dopo, naturalmente) la ragazza si abbandona alla tristezza: «Squallida veste e
bruna» canta con eleganza.
n poeta in scena in
cerca di personaggi
per un suo dramma
buffo. Una soluzione rivoluzionaria di “teatro nel
teatro” che sarebbe piaciuta
a Pirandello.
E’ questo il meccanismo comico che sta alla base de Il
Turco in Italia scritto da Rossini con un giovanissimo e
quasi esordiente librettista,
Felice Romani, destinato a
diventare, negli anni successivi, uno dei punti di riferimento essenziali del teatro musicale italiano.
E’ curioso innanzitutto ricordare che quando Il Turco
in Italia esordì nel 1814 alla
Scala di Milano fu sonoramente fischiato. Rossini alle
contestazioni del pubblico
in occasione delle sue “prime” si sarebbe abituato senza problemi: basta segnalare che anche “Barbiere” e Cenerentola ottennero una simile accoglienza.
Nel caso del “Turco” all’origine della disapprovazione
c’era una diceria secondo la
quale Rossini avrebbe preso in giro il pubblico proponendo non un’opera nuova,
ma una parafrasi, a ruoli invertiti, de L’Italiana in Algeri
rappresentata, quella sì con
successo, l’anno prima a
Venezia.
Commedia di costume
Niente di più falso. Il turco
in Italia è opera del tutto originale sul piano musicale
che se non è probabilmente
all’altezza della grande trilogia rossiniana (Italiana,
Barbiere, Cenerentola) riserva
non poche pagine di pregio
e soprattutto una struttura
drammaturgica di fresca inventiva.
Rossini e Romani puntarono sulla “commedia” di costume con un’abile caratterizzazione dei personaggi e
con alcune trovate teatrali
d’indubbio buon gusto.
Due gli atti, dunque.
L’Ouverture è fra le più belle di Rossini. Si apre con un
Adagio la cui melodia, elegante, è affidata al corno.
Poi nel successivo “Allegro
vivo” si ritrova la tipica leggerezza rossiniana ottenuta
con un’orchestrazione di
rara trasparenza. Da notare
il crescendo in cui si rincor-
Il bel finale
del primo atto
Gioacchino Rossini a mezz'età (stampa)
rono temi già sentiti in un
gioco di sovrapposizioni
garbato e piacevole. Ed è interessante rilevare pure che
elementi dell’Ouverture ricorrono in alcuni momenti
dell’opera, ad esempio nel
duetto del primo atto fra
Selim e Fiorilla.
Selim è il turco che nell’apertura dell’opera finisce
sulle coste italiane (capovolgendo, in questo caso sì,
la situazione dell’Italiana
dove era la povera Isabella
a naufragare in Oriente) e
si imbatte nella zingara Zaida e negli altri personaggi
sapientemente mossi dal
poeta Prosdocimo. Donna
Fiorilla (la furba italiana) rivela la sua verve nel divertente duetto con il marito
(«Per piacer alla signora»)
fra le pagine più simpatiche
del primo atto la cui prima
sezione è musicalmente de-
bitrice di un tema tratto da
un duetto del Signor Buschino. Poco prima Fiorilla aveva preso all’amo il turco Selim offrendogli semplicemente, con grazie, una “tazzuriella di caffè”:
Fiorilla - Ecco il caffè
Selim - (Non posso più)
Fiorilla - Prendete
Selim - Che mano delicata
Fiorilla - Il zucchero è bastante?
Selim - Che maniera elegante!/ (Che begli occhi e che foco
in lor scintilla!)
Fiorilla - A che pensate mai?
Selim - Penso a Fiorilla
Fiorilla - (il turco è preso..).”.
In tema di concertati, una
citazione merita il Quintetto del secondo atto («Ah
guardate che accidente! Non
conosco più mia moglie!») che
si sviluppa in un contrappunto a cappella d’indubbio effetto musicale e dram-
maturgico. E’ una ennesima
dimostrazione dell’abilità
creativa di Rossini che, pur
in un contesto leggero, fa ricorso a strutture compositive “alte” con una perizia
notevole.
E, ancora, occorre segnalare il terzetto fra il Poeta,
Geronio e Narciso nel primo atto. «Un marito scimunito» attacca il Poeta e immagina ad alta voce lo sviluppo del suo dramma:
«Atto primo, scena prima/ Il
marito coll’amico/ Moglie…
turco… grida…intrico/ No,
di meglio non si dà». Gli altri
due non gradiscono: Atto
primo, scena prima « Il
poeta per l’intrico/ dal marito e dall’amico/ Bastonate prenderà». La costruzione di questo concertato è
alquanto originale. Quattro
note lunghe vengono prima enunciate da sole e poi
Un discorso a parte va fatto
naturalmente per il finale
del primo atto. Selim, dopo
aver incontrato Zaida e
averla riconosciuta viene
ripreso dall’amore per lei.
Ma giunge Fiorilla velata
(seguita dagli altri personaggi) e il turco riprende a
corteggiarla. Inevitabile la
lite furiosa fra le due donne
che ispira a Rossini una pagina di notevole godibilità.
Va sottolineato il ruolo del
poeta Prosdocimo, ispiratore di ogni azione dell’opera che o partecipa all’azione stessa o la commenta
dall’esterno pregustando
quello che sarà il “risvolto
scenico” della vicenda
quando da lui verrà trasformata in un testo teatrale: «Azzuffatevi, stringetevi
– dice con soddisfazione
alle ragazze – Graffi… morsi… me la godo… Che final!
Che finalone! Oh che chiasso
avrà da far».
Il turco in Italia, insomma,
nonostante la pessima accoglienza iniziale, appartiene
al miglior Rossini e ne evidenzia non solo le ben note
qualità di musicista geniale,
ma anche la sua intelligenza teatrale, la capacità di inventare meccanismi comici
di estrema modernità Non
a caso, ancora oggi, quando
le sue opere sono bene rappresentate, il pubblico ride
apertamente.
Roberto Iovino
8
Il Turco in Italia
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il gusto dell’Orientalismo,
L
Rappresentazioni e scene turchesche
e metafore comunemente adottate
a descrivere in
termini spettacolari gli
eventi che sommuovono le visioni, le filosofie, le interpretazioni
del processo storico,
non potevano che portare all’intensificazione
narrativa teatralizzata
del secolare protagonismo politico dei Turchi
Ottomani. Una vocazione, questa turchesca,
collocata sul teatro del-
la storia, nello scenario
europeo, del quale i
Turchi sono venuti a far
parte.
Già “demone ex machina” nella modalità storiografica di rappresentarne l’apparizione (flagello di Dio, mostruosa
emergenza
tartarica,
parto delle tenebre del
Turan!), il Turco piomba letteralmente in scena, tra l’aspettativa ed i
sussulti: per sciogliere
azioni e assedi, al fine
di castigare l’empietà,
l’infedeltà cristiana.
Un’entrata folgorante,
sulfurea, sul palcoscenico, e nell’esposizione
dei cronisti, mimetica
del dinamismo nomadico che incalza e sconvolge gli ordinamenti
delle società sedentarie,
alimentando le trame,
le cadenze e i tempi del-
le scritture. A conturbare gli scenari europei
sarà dunque un’irruzione a tal punto dirompente, che nelle cronache oserei additare rischiose forzature, non
le fonti ma i palinsesti e
i canovacci articolati
delle turcherie teatrali.
Righe e falsarighe, farcite negli spazi da fantasie e creatività, arabeschi turchesi, avvolti in
una retorica di versioni
e varianti.
Quasi le dispute
intestine e le feroci gelosie tra
potentati cristiani si fossero nascoste tra le
quinte,
nei
drammi, nelle
tragedie della
storia, la quale,
tanto più quando
modellata
sul tragico, contemplerebbe in
sé una catarsi.
Infatti – quell’epistola non fosse stata concepita per un calcolo
oculato, teso alla restaurazione
del dominio spirituale e materiale sul nostro
mondo -, alla stregua di
un disegno di catarsi
potrebbe leggersi la
proposta di convertirsi,
avanzata nel 1461-‘62
da papa Pio II a Maometto II, il Conquistatore di Costantinopoli
(1453), quindi e naturalmente Nuovo Costantino, in una lettera mai
spedita. In cambio di
uno spruzzo d’acqua
battesimale, a quel
Gran Signore mondato
dall’eresia, sarebbe stata riconosciuta l’autorità imperiale sui popoli mediante l’imposizione della corona sul capo
del Sultano, da parte
del Papa. Un quadro ad
effetto.
Una salvazione interessata, con quel logico
dubbio che mena all’ennesima Crociata (1462’63) contro l’ennesima
epifania, ossia
camuffamento,
dei Saraceni,
peccatori
e
maestri di tolleranza nei riguardi
dei
sudditi cristiani, (certo, dopo
le inevitabili, o
gratuite, devastazioni dalle
conquiste).
Si torna a demonizzare, sia
i mussulmani
truculenti, divoratori di feti
umani,
sia
quelli di casa,
ignoranti,
spesso tentati
dalle facili carriere alla corte
sul
Bosforo:
più appaganti
i passaggi di
ruolo, laggiù,
rispetto
alle
frustrazioni,
alle miserie, alle morti di fame nostrane.
Per non dire
dei malintesi,
della morbosa fascinazione esercitata dagli
harem. Demonizzare significherà allora disdoro e decoro, ovvero allestimento scenografico,
con “teste di Turco”
sbalzate in cariatidi fissate agli stipiti di cartone: spalle e parodie alla
Sublime Porta dai battenti imbattibili, imperniati su cardini ben
piantati.
Ma accanto a quella fissazione di rito, si assiste
anche al conio di bassorilievi e medaglioni, nei
quali i tratti dei volti
dei sultani ottomani si
fanno più plastici: il che
sta a segnalare che neppure qui da noi si pensava in modo ottusamente monolitico. Anzitutto, si continuava a
soppesare i vantaggi
garantiti da buoni rapporti diplomatici, si
considerava il commercio, il “trafego”(detto
alla veneziana); di pari
passo, o a intermittenze, si meditava su come
opporsi a quella minaccia, studiando l’antagonista, quell’attore: si
scrutava, si girava intorno a lui, puntando a
sospirate alleanze con
la Persia, per aggirarlo,
Il
Il Turco in Italia
Giornale dei Grandi Eventi
9
tra paure e curiosità
e nella cultura italiana
giacché raggirarlo era
difficile,
agguerrito,
munito quale era di
saggi vizir e di mentori
avveduti, magari di origine cristiana.
Sembrava incontenibile, quell’offensiva, e le
sue tappe - segnate da
Corinto, Negroponte, in
vista di libretti e varianti, “rimasticazioni” delle vivande fornite dal
Maometto II - sono seguite dalla presa di Rodi (1522).
«Solimano, con somma religione e umanità servò la
promessa, né toccò le cose
sacre del Tempio di San
Giovanni, il che forse non
avrebbeno fatto i nostri
soldati. Ho udito dire al
Gran Maestro che nell’entrare che fece Solimano
nella Città con trenta mila
uomini, mai si sentì una
parola, parea fossero tanti
frati dell’osservanza…».
Così Paolo Giovio, comasco vescovo di Nocera, rivolto dalla corte
papale all’Imperatore
Carlo V, nel suo Com-
mentario delle cose dei
Turchi, edito a Roma
nel 1532, che recepiva e
impartiva lezioni sui
Turchi alla Penisola ed
all’Europa intera. Non
lascia indifferenti, questa ieraticità campeggiante di Solimano, il
Magnifico, capace di
riempire la scena. Però,
a quale coro affidare tra gli stridori fanatici
che allora e ancora frastornano il Levante e il
Ponente con i proclamati scontri di civiltà,
non bastassero le guerre!- quelle parole mai
emesse dai “bestioni”
giannizzeri, in fila, in
silenzio rispettoso, a
mo’ di frati, “maggiori”
osservanti?
Sarà la volta di G. A.
Menavino da Genova,
vissuto alla corte di
Bayezid II (1481-1512).
Il Menavino, incline a
credere alla possibilità
di convertire quegli infedeli, nella sua Vita et
Legge Turchesca - apparsa a Firenze nel 1548 e
continuamente
riproposta nella
seconda
metà del Cinquecento
in
Venezia da F.
Sansovino
constatava,
con un candore incredibile
dato il clima,
che i Turchi sono, «quali noi»,
mortali, della
nostra stessa
carne, creature
di Dio, nutriti
delle medesime nostre cose,
per sostentare i
loro
corpi,
umani.
Poi c’è Lepanto, con la sua
portata ingigantita, ma da
circoscriversi
nel monito che
nessuna Armata sarebbe più
stata invincibile. E Cervantes, là ferito,
prigioniero in
Algeri, che lascia illustrare da parte
di Don Chisciotte l’esemplarità della Casata
Ottomana, inaugurata
da un umile capostipite,
e adesso «nella grandezza che la vediamo». In
modo siffatto il turbante, dipanato e riavvolto negli alti e
bassi, nei balletti
di relazioni talora tumultuose,
sovente equilibrate, pacifiche, diventava
un participio,
presente, meditabondo, discosto dal testardo partito
preso.
Fino a giungere,
dopo il sollievo e lo
sdoganamento di Vienna (1683), al riconoscimento di una cultura
ottomana, organica all’ecumene dell’islam e
alle nostre radici tardoantiche. La Letteratura de’ Turchi di G. B.
Donà (1688), e quella
più corposa di G. Tode-
rini (1787), veneziani
raccontano di un incessante lavorio di raccolta
di nozioni e conoscenze
eventualmente positive
sui Turchi, tuttavia filtrate, censurate, trattenute giusto in dogana,
perché non avesse a divulgarsi insidioso un
apprezzamento dei prodotti intellettuali di un
Impero enorme, forte,
confinante e pericoloso,
sia pur retti da sovrani
cristianissimi, cattolicissimi, cesarei, incombenti sulla fragile Laguna.
Rossini e Romani
nel Turco in Italia
E’ vero, l’Orientalismo,
con l’esotismo, avrebbe
investigato, colonizzato
l’Oriente, nella denun-
cia di E. Said. Tuttavia,
qui la falena di Rossini
e Romani è ancora attratta dalla fiamma, fioca, delle suggestioni del
Bosforo, traslato in un
Golfo – quello di Napo-
li - dove il Poeta sviluppa, annuncia l’intreccio
sotto i nostri occhi. Pizzicando trame, sì, ma
non allo scopo furbesco
d’ingannare, bensì a
quello più ingenuo che
guida sul ciglio ai sentieri battuti. Vagheggiando la meta del luogo comune, in cui intendersi: Fiorilla «In Italia
certamente…», Selim «In
Turchia sicuramente…»,
e saremmo, almeno avverbialmente ed unilateralmente, alla pari,
cioè tra di noi. Tal quale
una piastrella che occhieggia qua e là sulla
fodera del muretto nel
partenopeo chiostro di
Santa Chiara. Alludo alla tessera che a ben
guardare raffigura «Un
luogo solitario fuori di
Napoli. Spiaggia di mare.
Colle da un lato, sparso di
casini di campagna che
si vedono in lonta(cfr.
nanza…»,
l’ambientazione
dell’Atto Primo del Turco
in Italia).
Ben venga comunque
a
questa marina la barca di
un simile Selim, gentiluomo che fa brecce
nei cuori tediati
dai gonzi, che canta
di nostalgia, senza indurre ad invocare la
Mamma, atterriti alla
vista di corsari e razziatori, sempre all’opera.
Giampiero Bellingeri
Docente di Lingua e letteratura turca Università
Ca’ Foscari, Venezia
10
Il Turco in Italia
E’
Il compositore
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Gioacchino Rossini, una vita per la musica
nello stesso anno, comla cittadina di
pletò, sotto la guida del
Pesaro che dette
padre Mattei, i suoi studi
i natali nel 1792
nel violoncello, nel piaal celeberrimo musicista
noforte e nel cembalo. Fu
e compositore Gioachino
allora che cominciò a
Rossini.
comporre musica: iniziò,
Il padre, Giuseppe Antoprobabilmente,
con
nio, “pubblico trombetun’aria buffa per soprata” (banditore del comuno dal titolo Se il vuol la
ne di Pesaro) e la madre,
molinara, seguita dalla
Anna Guidarini, cantancantata Il pianto d’Armote, non contribuirono
nia sulla morte d’Orfeo.
molto alla formazione
Sempre nel 1806 scrisse
musicale del piccolo
la sua prima opera: DeRossini, affidato spesso ai parenti in occasione dei frequenti spostamenti dei genitori per motivi
di lavoro.
Fu invece a
Lugo che Rossini cominciò a
trar profitto
dagli insegnamenti di due
buoni maestri,
i fratelli preti
don Giuseppe
e don Luigi
Malerbi, i quali lo avviarono
allo studio del
clavicembalo e
anche del canto, in conside- Giuseppe Rossini, padre di Gioachino
razione della
bella voce rimetrio e Polibio, rapprevelata dal loro allievo.
sentata però soltanto nel
1812.
A Bologna
il perfezionamento
L’esordio teatrale
musicale
Quando la famiglia Rossini si stabilì a Bologna,
dopo il 1804, il giovane
Gioachino poté migliorare la sua formazione nelle discipline musicali e
nelle materie classiche,
grazie agli insegnamenti
di padre Angelo Tesei,
allievo del più celebre
padre Mattei.
Rossini divenne presto
un ottimo suonatore di
viola ed un valente accompagnatore al cembalo, ma la sua aspirazione
era quella di diventare
cantante e, come tale, fu
acclamato all’unanimità
“membro d’onore” dai
componenti dell’Accademia Filarmonica di
Bologna nel 1806.
Al Liceo musicale bolognese, dove si era iscritto
Il 1810 fu l’anno del suo
esordio nel campo teatrale al San Moisé di Venezia, con La cambiale di
matrimonio. A questo lavoro fecero seguito numerose opere buffe e,
più tardi, anche serie e
semiserie, nelle quali
Rossini si rivelò dominatore incontrastato delle
scene del teatro italiano.
L’equivoco stravagante,
L’inganno felice, La pietra
del paragone, L’occasione
fa il ladro, Il signor Bruschino, sono solo alcuni
dei numerosi lavori comici. In questo periodo nel quale compose un’unica opera seria, il Ciro di
Babilonia - le opere buffe
o le farse avevano maggiore spazio e successo
ed era quindi più facile
per l’esordiente compositore ottenere più scritture.
Tema centrale dell’opera
buffa di Rossini è l’inadeguatezza dell’uomo di
fronte agli eventi della
vita o agli inganni, nei
quali l’uomo stesso si
trova, suo malgrado,
coinvolto.
La maturità artistica
La maturità artistica arrivò per Rossini nel 1813,
quando il compositore,
appena ventenne, produsse due capolavori,
uno di genere serio, Tancredi e l’altro
comico L’Italiana in Algeri.
In pochi anni, seguirono
a questi lavori altre tre
opere di grande successo: Il Turco in Italia, Il barbiere di Siviglia e La Cenerentola.
Chiamato dall’impresario Barbaja a dirigere il
San Carlo di Napoli ed
altri teatri, Rossini si dedicò a questo punto alla
produzione di opere serie.
Il periodo napoletano
(1815-1822) iniziò con l’
Elisabetta regina d’Inghilterra, cui seguirono Otello, Armida, Mosè in Egitto, Ricciardo e Zoraide,
Ermione, La donna del lago, Maometto II, Zelmira.
Si è molto parlato di
riforma rossiniana, diretta a fondere le innovazioni del romanticismo (al quale il compositore si adeguò con difficoltà) con lo stile del
bel canto del secolo precedente.
Nel 1823 con il melodramma La gazza ladra e
con l’opera Semiramide,
Rossini concluse il suo
lavoro in Italia, lavoro
che ebbe l’effetto di ristabilire il dominio e il
trionfo del bel canto che
avevano caratterizzato
il Settecento.
Dopo la conclusione del
rapporto con Barbaja e
dopo il matrimonio, nel
1822, con la cantante
Isabella Colbran, iniziò,
per il compositore, fuori
dall’Italia, un rinnovamento totale.
Faticosamente in Francia
Ai soggiorni a Vienna
(1822) e in Inghilterra
(1823-1824), seguì quello
a Parigi, dove rimase per
il resto della sua vita.
Rossini si adattò faticosamente alla situazione
artistica della Francia,
che viveva in pieno romanticismo e dove la
borghesia, attraverso la
stampa e i canali finanziari, poteva guidare la
Gioachino Rossini
vita artistica dei teatri.
Tuttavia l’attesissimo
Guillaume Tell rappresentò l’adeguamento di
Rossini al nuovo; l’opera
in quattro atti si svolge e
si basa su alcuni temi romantici: il tema patriottico, la presenza della natura, la vicenda d’amore
impossibile tra Matilde e
Arnoldo, senza però la
rinuncia, da parte del
compositore, alla concezione classica del teatro.
Questa nuova opera, accolta senza grande entusiasmo, è divenne successivamente un classico
del teatro.
All’apice della gloria e
ancora giovane, Rossini
abbandonò il teatro. La
ragione di questa decisione si può trovare nell’impossibilità del compositore di adeguarsi
completamente alle nuove correnti artistiche. Iniziò in tal modo il cosiddetto “silenzio”, che fu
però un periodo operoso
e fecondo.
Nel 1831 Rossini fu colpito da una forma grave di
esaurimento nervoso e
nel contempo si deteriorarono i suoi rapporti con
la moglie Isabella. Egli
trovò però comprensione
e amore in Olimpie Péllissier, che incontrò nel 1832
e sposò nel 1845 (dopo la
morte della Colbran), la
quale si prese cura di lui e
della sua salute.
Superato
questo periodo, Rossini
scrisse
la
cantata Giovanna d’Arco
e Soirées musicales, entrambe per
voce e pianoforte. Fecero seguito
l’inizio dello
Stabat Mater
(1841) e un
gran numero
di composizioni raccolte
in quattordici fascicoli
con il titolo
di Péchés de
vieillesse: sono pezzi vocali, per pianoforte, per strumenti vari o per coro, non destinati alla pubblicazione, ma
solo all’esecuzione in privato nel salotto parigino
del compositore. Emergono da questi brani vari
passaggi psicologici come
la nostalgia del passato, la
fatica di adeguarsi al presente o la visione negativa del futuro.
Rossini riprese infine e
completò lo Stabat Mater e
diede vita, nel 1863, al suo
ultimo capolavoro: la Petite
messe solennelle, che orchestrò superando il pensiero
del romanticismo, al quale
non si era mai adeguato
completamente ed anzi
anticipando il Novecento
con una nuova concezione
timbrica del suono.
Morì nella villa di Passy,
nei pressi di Parigi, nel
1868 e riposa attualmente
in Santa Croce a Firenze,
dove la salma fu traslata
nel 1887.
Claudia Fagnano
Il
Il Turco in Italia
Giornale dei Grandi Eventi
I
11
Rossini dietro la partitura
Forme e strutture del teatro comico
l Rossini serio e il Rossini comico costituiscono due facce perfettamente complementari l'una dell'altra di un
artista geniale. Il Rossini
più innovativo fu certamente quello del settore
serio, senza sminuire l'eccezionale contributo da
lui dato al settore comico.
Ma va ricordato che questo filone del teatro italiano, sviluppato in modo
considerevole nella seconda metà del Settecento, fu da Rossini portato
ai massimi sviluppi, e,
nello stesso tempo, al suo
esaurimento. Dopo il Pesarese avremo rare, felici
escursioni nel comico:
pensiamo, naturalmente,
citando le più popolari, a
L’elisir d’amore e a Don
Pasquale di Donizetti. Il
repertorio buffo rossiniano, dunque, appare come
un sorprendente monumento, quasi fine a se
stesso. Al contrario, nel
settore serio sarebbe difficile immaginare i capolavori donizettiani e verdiani senza la precedente
esperienza rossiniana.
Il Rossini comico si inserisce in un itinerario già
ampiamente percorso dai
suoi immediati predecessori per quanto concerne
argomenti, tipologia dei
personaggi, situazioni. Il
suo merito sta nell'aver
portato alla perfezione il
genere facendo tesoro
della esperienza altrui.
Struttura e contenuti
Nel teatro comico rossiniano possiamo distinguere fra due generi: la
farsa in un atto e l’opera
comica detta anche melodramma giocoso, dramma giocoso, dramma
buffo, commedia, in due
atti, nella quale, dal punto di vista drammaturgico, il primo atto propone
l’aggrovigliarsi della situazione che esplode nel
concertato finale, momento clou della confusione; il secondo atto, più
o meno rapidamente,
porta allo scioglimento di
ogni intreccio.
L’opera è preceduta da
una Sinfonia e si articola
nelle cosiddette “forme
chiuse” che hanno caratterizzato, pur nella loro
ovvia evoluzione strutturale ed espressiva, tutto il
teatro italiano del Settecento e di gran parte dell’Ottocento. Il primo atto
si apre in genere con una
articolata Introduzione e
si chiude con un ampio e
complesso finale, mentre
il secondo può terminare
con un concertato o con
un rondò o un’aria virtuosistica della primadonna (pensiamo a Cenerentola). Fra inizio e fine
trovano collocazione le
citate forme chiuse: cavatine (ovvero le arie di sortita); arie (bipartite, tripartite o strofiche a mo’
di canzoni); recitativi secchi, raramente accompagnati; interventi corali;
concertati: duetti, terzetti, quartetti, quintetti, sestetti, in genere bipartiti.
L'Ouverture ha la funzione di bloccare il pubblico
sulle poltrone. Al contrario di quanto avevano
fatto in precedenza
Gluck e Mozart, non esiste quasi mai legame con
l'opera. Spesso addirittura Rossini usò la stessa
Sinfonia per più opere:
quella del Barbiere di Siviglia era stata scritta per
l'opera seria Aureliano in
Palmira e poi riciclata in
Elisabetta regina d'Inghilterra.
Formalmente le Sinfonie
rossiniane hanno, per la
maggior parte, la seguente struttura: una breve Introduzione; un primo e
secondo episodio Allegro
(A in genere con prevalenza degli archi; B con un
maggior dominio dei fiati) e un primo “crescendo”; una ripetizione del
tutto; un conclusivo e più
trascinante “crescendo”.
quella seria. Basta pensare all’uso geniale che ne
fece Mozart. In gran parte delle opere comiche, le
situazioni che vengono
generandosi da equivoci,
travestimenti, tentativi di
inganni, sparizioni e
riapparizioni inducono
nei protagonisti due diversi stati d’animo: prima lo sbigottimento, lo
stupore; poi la confusione, la reazione irrazionale. A tali sentimenti corrispondono due diversi tipi di concertati certamente non “inventati” da
Rossini ma che ebbero in
lui un cultore straordinario.
La sorpresa costituisce
una categoria ben presente nel teatro rossiniano con esiti musicali e comici a volte straordinari.
Si pensi al finale del primo atto del “Barbiere”. Di
fronte allo sbigottito Don
Bartolo cantano gli altri
personaggi «Fredda e immobile come una statua
ecc.». E il discorso si
struttura con entrate a canone in un’atmosfera sospesa perché in genere il
concertato di stupore è
una riflessione (la nuvoletta dei fumetti) intima
dei personaggi, non un
dialogo. Un altro esempio, forse il più straordinario è in Cenerentola il
sestetto «Questo è un nodo
avviluppato»
mirabilmemte giocato sull’assurdità delle parole con
una insistenza sul “gr” di
“gruppo”, “sgruppa” e
“raggruppa”.
Nel “concertato di confusione” Rossini gioca invece su autentici scioglilingua, imprimendo al discorso (spesso costruito
con entrate a imitazione
delle varie voci) un’accelerazione ritmica vorticosa: basta ricordare i finali
di primo atto del Barbiere
di Siviglia e de L’Italiana
in Algeri.
I concertati, o pezzi d’insieme, costituiscono uno
dei meccanismi fondamentali nell’opera comica prima ancora che in
Il crescendo è uno degli
aspetti caratteristici della
musica rossiniana. Non è
un'invenzione del Pesarese: già Simone Mayr ne
L’Ouverture
I Concertati
Il crescendo
aveva fatto uso. Ma Rossini lo portò al massimo
sviluppo. Il segreto della
riuscita consiste nella
perfetta strumentazione:
il passaggio progressivo
dal piano al fortissimo
avviene attraverso il dilatare simmetrico “per ottave” dell'orchestra e si
appoggia non tanto sull'aumento generale di intensità sonora di tutto lo
strumentale, quanto sull'entrata graduale degli
strumenti, sul crescere di
volume della scansione
ritmica sino allo scoppio
generale. Il crescendo
trova applicazione non
solo sul piano strumentale, nelle Sinfonie, ma anche in campo vocale, nei
concertati come nelle
arie. L’esempio più interessante è costituito dalla
celebre “aria della calunnia” intonata da Don Basilio nel Barbiere di Siviglia.
La cavatina
o la presentazione dei
personaggi
Se Mozart (ma anche Cimarosa) aveva evitato la
presentazione dei personaggi attraverso un’aria
di sortita preferendo introdurli in più dinamici e
spettacolari duetti e terzetti, Rossini tornò all’antico, gestendo tuttavia le
arie di presentazione con
una verve straordinariamente brillante. Se è dunque vero che sul piano
propriamente drammaturgico si fa un passo indietro per ritrovarsi ad
avere un solo personaggio in scena in una situazione essenzialmente statica; è però altrettanto vero che la dinamicità della
scena è tutta musicale,
sta nel ritmo, nelle acrobazie virtuosistiche, nella
comicità della situazione
che queste arie suggeriscono. Le due più famose
cavatine rossiniane sono
probabilmente quelle del
“Barbiere”, «Largo al factotum» con cui facciamo
la conoscenza di Figaro e
«Una voce poco fa» che ci
presenta invece Rosina.
In quest’ultima pagina,
troviamo una struttura
bipartita (alquanto comune in questo genere di
arie): una parte iniziale
(Una voce poco fa) più
lenta e una seconda parte
(Io sono docile) più brillante nella quale i virtuosismi rendono perfettamente il carattere capriccioso del personaggio. E
qui emerge un altro
aspetto interessante. Rossini fu fra i primi compositori, se non il primo, a
scrivere gli abbellimenti
il che ebbe non poche
conseguenze importanti.
Fino all’epoca di Rossini
gli abbellimenti erano
“terra di conquista” dei
cantanti che ornavano a
loro discrezione sfruttando qualsiasi opportunità
per mettere in mostra la
loro bravura, anche con
scelte “antimusicali”. E’
noto che fra i motivi della crisi dell’opera nel Settecento, al centro di molte dispute e querelles,
c’era proprio la eccessiva
libertà dei divi di allora,
castrati e soprani. Dal
momento però che il belcantismo aveva un proprio punto di forza nel
virtuosismo e nell’edonismo, una reazione in senso limitante da parte dei
compositori (Rossini incluso) era non solo fuori
luogo, ma anche estranea
al gusto dell’epoca. Rossini cominciò, dunque, a
“consigliare” (e per molto tempo molti cantanti si
guardarono bene dal dargli retta) un particolare
utilizzo dell’abbellimento conseguendo, a medio
e lungo termine due
obiettivi fondamentali:
indirizzare le scelte virtuosistiche degli interpreti e fare dell’abbellimento non più un elemento esteriore, ma una
componente espressiva
della stessa scrittura vocale. Ecco, dunque, che i
gorgheggi di Rosina nella
citata cavatina non costituiscono un esibizionismo tecnico fine a se stesso, ma rendono appieno
il carattere volitivo e prepotente del personaggio.
Roberto Iovino
12
Il Turco in Italia
M
Il sarcasmo di un vecchio uomo di mondo
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Le devastanti battute dell’ironico Rossini
usicista brillante, Rossini ebbe
fin da ragazzo
il dono della battuta
pungente. Un giorno un
giovane autore gli fece
ascoltare una sua cantata e gliene chiese un giudizio. La risposta fu fulminante: «Nella vostra
opera c’è del bello e c’è del
nuovo. Peccato che il bello
non sia nuovo e il nuovo
non sia bello».
Ed a proposito del
Lohengrin ascoltato a Parigi, li Pesarese commentò: «Non si può giudicare il Lohengrin al primo ascolto. E certamente
non intendo ascoltarlo una
seconda volta».
Le battute di Rossini
non risparmiavano neppure i grandi cantanti
che dovevano subire e
chinare il capo di fronte
alla grandezza dell’artista.
Nel 1831, al Théâtre Italien, Maria Malibran interpretò La gazza ladra
aggiungendo alcune variazioni non scritte da
Rossini. Dopo la recita il
musicista si complimentò con lei: «Brava!
Bravissima! Di chi è la cavatina che avete cantata?»
«Bella domanda! – rispose la Malibran – non è
musica vostra?». «Io – replicò Rossini – non ricordo di aver composto un simile aborto».
Anche il celebre tenore
Rossini in una caricatura
Enrico Tamberlick incorse nella ironia del
compositore italiano.
Gilbert Duprez, tenore
francese che aveva debuttato nel 1825 nel Barbiere di Siviglia, aveva introdotto un “do di petto” nel «Suivez moi» del
Guglielmo Tell. Così,
Tamberlick, per non essere da meno, nel finale
dell’Otello, decise di inserire un “do diesis” al
posto del “la” scritto da
Rossini. Una sera il domestico di casa Rossini
annunciò al compositore l’arrivo di Tamberlick. «Fatelo entrare – rispose il musicista - ditegli però che lasci il “do diesis” all’attaccapanni. Lo
riprenderà nell’uscire».
L’umorismo rossiniano
è riscontrabile natural-
mente anche nella sua
musica. Non solo nello
straordinario repertorio
di opere comiche, ma
anche nella più contenuta raccolta di musica da
camera. Rossini si considerava un pianista di
quart’ordine, ma ha lasciato pagine di fresca
inventiva, punteggiate
qua e là da didascalie
assurde e divertenti. Così è per Un petit train de
plaisir e per Quatre Mendiants e Quatre hors d’œuvres. Da ricordare ancora il simpatico brano
pianistico dedicato ad
uno jettatore e diteggiato 2 e 5 e, infine il buffo
Duetto dei gatti.
Roberto Iovino
Gastronomia Rossiniana
La grande passione del Maestro
per fegato d'oca e tartufi
S
ebbene afflitto da
diverse malattie
all'apparato digerente, Rossini fu un
appassionato cultore
dell'arte culinaria e
sappiamo che egli era
solito prendere regolarmente lezioni dal
celebre cuoco Carême
di Parigi. In realtà, più
che un inventore di
nuovi aromi e sapori, il
Cigno di Pesaro fu un
eccellente variatore di ricette: la sua
attività preferita
era quella di aggiungere qualche
nuovo elemento a
piatti di base. Elementi fondamentali delle sue "variazioni sul tema"
erano il fegato d'oca apprezzato nei
viaggi a Parigi e il
tartufo, questo rigorosamente
nero
del
Perigord
che preferiva a quello
B i a n c o
d’Alba dal
“riprovevole gusto
agliato”. Di
ricette autenticamente rossiniane rimangono
poche tracce: un'insalata, delle
uova strapazzate
con fettine
di fegato d'oca e tartufo, qualche dolce.
Numerosissime invece
furono le ricette ispirate al compositore, il cui
nome rendeva immediatamente celebre la
pietanza; è il caso dei
bouchées alla Rossini,
bocconcini di carne di
pollo, lingua scarlatta,
prosciutto cotto e parmigiano e dei celebri
tournedos alla Rossini,
medaglioni di filetto di
vitello cotti al burro,
con l'immancabile accoppiata di fegato d'oca e tartufo.
Quello che Rossini conosceva molto bene
era, piuttosto, l'acco-
stamento tra
il vino e i cibi; questa
sua abilità
è testimoniata dai
m o l t i
m e n ù
elaborati da lui
stesso
per
i
s u o i
pranzi.
Nei manoscritti
figurano,
di
solito,
non meno di
una decina di
pietanze e una
lista di almeno sei
vini pregiatissimi tra
cui
l'onnipresente
"Champagne", sempre
di ottima qualità.
Rossini era un enologo
molto
competente,
esperto dei problemi
inerenti la vinificazione e la conservazione
del vino. A proposito
di vino, è ricordato un
episodio legato al barone de Rotschild; questi nel 1864 inviò a
Rossini
dell'uva proveniente dalle sue vigne e il pesarese gli rispose: "Grazie! La vostra uva è eccellente,
ma non mi piace il vino in pillole." Colpito
dallo spiritoso biglietto, il barone spedì al
maestro un barilotto
del suo migliore Château -Lafitte.
A. C.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
«S
Il Turco in Italia
13
Una curiosa richiesta del musicista al Pontefice
Pio IX, Rossini ... e le donne in chiesa
antità, facciamo
cantare le donne
in chiesa... ».
Esce dagli archivi segreti
del Vaticano la lettera
che Gioacchino Rossini,
scrisse nell'aprile del
1866 a Pio IX per chiedere, appunto, che «il gentil
sesso possa portare nel sacro rito quel contributo che
giovi alla divozione del genere umano». La richiesta,
allora respinta, divenne
realtà cento anni dopo:
ma chissà se Rossini sarebbe soddisfatto della
musica che echeggia oggi nelle Basiliche e nelle
chiese. ...
Una sola lettera, molto
lunga, scritta in latino e
donne di cantare nelle
corali che prestavano
servizio nel rito liturgico. «Potrei io mai acconsentire di sentire cantare le
mie povere note da ragazzetti stonatori di prima
classe, piuttosto che da
femmine che, educate ad
hoc?». E così prosegue:
«Se mi fosse dato di abitare
in Vaticano con voi, caro
Liszt, mi getterei ai piedi
dell’adorato Pio IX per intercedere la grazia di una
nuova bolla che permettesse
alle donne di cantare in
chiesa unitamente agli uomini...». Liszt non si meravigliò della lettera di
Rossini: gli rispose di
portare avanti in tutta
trova la musica anche in
Chiesa: « Mi sia dunque
lecito, o benignissimo Padre, di prostrarmi ai gradini dell'Apostolico soglio, e
di ottenere con larghe preghiere, che per azione gloriosa della Santa Vergine
Immacolata e su ispirazione del Paraclito, elargiate al
devoto sesso femminile quel
che giovi alla divozione del
genere umano nella riunione
della
comunità
cristiana».
Nella sua lettera Rossini
sembra anche dare un
giudizio non del tutto
positivo sui cosidetti
“falsettoni” o “evirati”
che «snaturano» le partiture di Palestrina, del
Vittoria, di Marcello, di
Anerio, di Durante».
La risposta del Papa
Gioachino Rossini
in latino firmata «Joachim» Rossini fu inviata
direttamente al Papa,
che volle trattare Rossini
alla stregua di un Sovrano e pertanto rispose,
personalmente, in latino.
Una vicenda singolare
Prima di inviare la missiva a Pio IX, Rossini chiese consiglio al «veneratissimo abate e amico diletto
Franz Liszt». Gli scrisse
per informarlo di avere
musicato una “Messa da
gloria” ma si rammaricava perché non avrebbe
potuto essere eseguita in
chiesa in quanto una bolla pontificia vieta alle
tranquillità la sua iniziativa. Chissà, forse Pio
IX...
Chi legge la straordinaria lettera ha l'impressione di trovarsi di fronte
proprio ad un “crescendo” rossiniano. Nella lettera Rossini esordisce
con i convenevoli e prosegue con una convinta
professione di fede cattolica, prendendosela
anche con gli eretici. Si
congratula poi con il Papa per la proclamazione
del dogma della Immacolata Concezione, riparla ancora dei mali del
mondo e scivola, piano
piano, a trattare della triste condizione in cui si
Pio IX (le cronache dicono che conoscesse ed apprezzasse le opere di
Rossini) rispose, in latino, il 14 maggio 1866,
ringraziando il musicista
come «esimio cultore e
maestro della divina arte».
Il Papa nella lettera si
congratula per l'accenno
da lui fatto al Dogma
della Immacolata Concezione, parla dei tempi
«calamitosissimi» e degli
uomini «empi i quali non
cessano di fare una spaventosissima guerra alla nostra santa religione» e,
quindi, viene al punto.
Pio IX si richiama subito
al Concilio di Trento che
«inculca ai vescovi di tener
lontano dalla Chiesa quelle
musiche nelle quali sia all'organo sia al canto si mescoli qualche cosa di lascivo
o di impuro». E prosegue:
«La musica sacra è stata inventata non per sedurre i
sensi e, per cosi dire, per
riempirli di piacere ed effeminarli con la melodia molle e dolce, ma per spingere
le menti degli ascoltatori
verso la religione, con gravità unita a soavità, ed attirare molti a celebrare riti
divini anche grazie a questo
appagamento
delle
orecchie». Il Papa nel suo
scritto non cita mai la parola “mulieres” e cioè
“donne”, ma dal contesto lascia capire, chiara-
Papa Pio IX
mente, che non è possibile farle cantare in chiesa. Rossini, infatti, capì
subito...l'antifona: il richiamo al Concilio di
Trento e altre spiegazioni dicevano che la sua
richiesta non poteva
avere alcun seguito. E
Liszt, dopo aver incoraggiato Rossini a scrivere la lettera a Pio IX, si
pose su un atteggiamento meno entusiastico e
di piena sottomissione
al Papa. In data 21 giugno Rossini, sconsolato,
scriveva all'amico abate
Ferrucci, il latinista che
aveva redatto in forma
definitiva e tradotto nella lingua della Chiesa la
sua lettera: «Il nostro
Santo Padre in risposta alla nostra magnifica lettera
mi riscontrò; mi offerse benedizioni e cose tenere, ma
la Bolla tanto da me desiderata restò (lo penso) nel
suo cuore. Povera musica
religiosa!!». Doveva passare più di un secolo
perché il desiderio di
Rossini potesse avverar-
si. Anche Pio X, il grande riformatore della disciplina della musica sacra ricondotta ad un livello di preghiera e di
implorazione, sancì che
le donne non potessero
far parte di cantorie miste: se c'era bisogno di
voci “bianche” bisognava ricorrere a quelle di
ragazzi. E Lorenzo Perosi, del quale Pio X, era
stato mecenate, dimostrò chiaramente, con le
sue composizioni per la
Cappella Sistina, della
quale era stato nominato direttore, che le voci
dei “pueri” si addicevano benissimo alla musica sacra. I tempi sono
cambiati: oggi le cantorie miste cantano nelle
Chiese. Una corale di
uomini e donne rende
solenni le cerimonie e i
riti anche in San Giovanni in Laterano, che è
la cattedrale del mondo
cattolico.
Arcangelo Paglialunga
Vaticanista
14
Il Turco in Italia
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Turchia e l’Europa
La grande aspirazione turca
di essere pienamente europea
E
ra il 31 Luglio 1959
quando la Turchia
presentò domanda
di associazione con la allora CEE. Erano appena
passati due anni dalla
creazione “mercato comune” e ciò dimostra come fin da l’inizio la Turchia ebbe aspirazioni europee.
Nel 1995, per l’Europa a
15 paesi membri, entrò
in vigore l’Unione doganale e nel 1997 cominciò
il processo d’adesione di
altri 10 paesi, compreso
Cipro. In questa occasione si riconobbe l’eleggibilità della Turchia. Ven-
tualità, mettendo in luce
come il problema non
fosse mai stato affrontato
in modo accurato.
Si è notato così che la
questione turca, per la
complessità che da sempre caratterizza quel
Paese, andrà ad influire
in maniera importante
sugli attuali equilibri
dell’UE. Questa convinzione scaturisce dal costatare la diversità degli
argomenti affrontati, a
favore o contro, nel momento in cui si discute di
adesione turca: situazione geopolitica, popolazione a carattere musul-
nero effettuati reports
annuali sull’andamento
dei progressi compiuti
nella prospettiva di
un’adesione che si basava sui criteri definiti al
Consiglio Europeo di
Copenhagen del 1993.
Le profonde modifiche
ed i cambiamenti radicali che si osservarono nella società turca in tutti i
suoi aspetti, ebbero come conseguenza che la
Commissione fissasse il
3 ottobre 2005 come
eventuale data per cominciare i negoziati d’adesione.
mano, economia non in
linea con i criteri europei, rispetto dei diritti
fondamentali, la questione kurda e di Cipro, le risorse energetiche e le
tensioni demografiche
interne; ma ancora il peso politico che acquisterebbe la Turchia nel processo decisionale europeo.
Tante incognite che spaventano oggigiorno il
cittadino europeo.
La questione dell’adesione turca si colloca in una
fase storica delicata, e
per certi versi cruciale. I
cittadini europei hanno
il sentimento di un allontanamento delle istituzioni europee, non riuscendo più a riconoscersi
nel loro operato, di questa Unione artificiosa,
varata e gestita in maniera lontana dai cittadini.
Ci troviamo di fronte ad
una situazione nella quale lo “status quo” europeo rischia di smussare
Perplessità diffuse
dell’opinione pubblica
Come si vede, la storia
che lega la Turchia e l’UE
è stata lunga e il processo
d’avvicinamento ha richiesto molto tempo.
Malgrado questo, l’opinione pubblica è stata
sorpresa da questa even-
ogni margine di discussione. Il risultato negativo in Francia e Olanda
del referendum sulla Costituzione (che in Italia,
con buona pace della
democrazia, non è stato
fatto) non era un no all’Europa, ma piuttosto
un no all’Europa a 25; la
questione turca potrebbe essere fraintesa allo
stesso modo e per tanto
vanificata.
Perché la Turchia
nella Unione Europea
Ma quali sono le ragioni
per le quali l’Europa, a
più riprese nel corso del
tempo, si è impegnata ad
aprire le proprie frontiere alla Turchia in un momento di grave crisi dell’istituzione comunitaria? Quali sono le ragioni
che spingono, nonostante
tutto, Bruxelles e Strasbourg a continuare un
processo di adesione che
ai più sembra fallito prima ancora di cominciare?
Per quanto concerne le
credenziali europee del
Paese, la Turchia è uno
Stato eurasiatico, la sua
cultura e la sua storia sono saldamente intrecciate con l’Europa, possiede
un forte orientamento
europeo e una vocazione
europea che per decenni
i governi europei hanno
riconosciuto.
La demografia turca, fino ad oggi caratterizzata
da alti tassi di crescita
della popolazione e attualmente in rapida diminuzione, garantirebbe
all’Europa quel innesto
di lavoratori di cui ha
fondamentale bisogno.
Essa permetterebbe un
riequilibrio del rapporto
tra popolazione attiva e
inattiva alleggerendo la
pressione sul sistema
pensionistico e previdenziale.
La presenza della Turchia nell’UE eliminerebbe di fatto l’idea di “cittadella Cristiana” del
Vecchio Continente ed
agevolerebbe l’integrazione culturale e religio-
sa, integrazione,
che però, nei fatti
non gradita a gran
parte della popolazione europea.
Approfondendo
l’argomento migratorio e rispondendo a chi teme
“invasioni” di immigrati, Nicholas
Hopkinson, fa preMustafa Kemal Ataturk, padre della
sente che l’espe- moderna Turchia
rienza europea dimostra il contrario.
si in un contesto geopoliIn effetti, rievocando le
tico di primo piano. Un
altre adesioni nel corso
nuovo ruolo internaziodella storia della Comunale potrebbe consolidanità Europea, afferma ed
re le dinamiche rivolte
argomenta che queste
alla creazione di una pomigrazioni non si sono
litica europea unita e
mai verificate. Facendo il
coesa.
paragone con gli altri
Forse l’aspetto più signiPaesi che hanno aderito
ficativo è rappresentato
e che avevano una condallo sforzo continuo
dizione economica arrefatto dalle istituzioni turtrata simile a quella turche per allineare il proca, sottolinea come le miprio Paese ai criteri eurograzioni siano avvenute
pei. Va inoltre ricordato
sempre nel periodo preche il processo di adesiocedente all’adesione e
ne turco, cominciato orcome esse abbiano invermai tanto tempo fa, è
tito la tendenza nel molontano dall’essere termento in cui si compiva
minato. I prossimi 10 anl’adesione stessa. Queni saranno decisivi, e solsto, afferma Hopkinson,
tanto nel caso in cui tutti
era dovuto all’aspettatii parametri di converva di crescita interna che
genza, da quello finanaccompagnava i paesi al
ziario a quello dei diritti
momento dell’adesione.
umani, saranno rispettaLe preoccupazioni che
ti, la Turchia farà parte
l’adesione della Turchia
dell’Unione Europea.
suscita a livello demoChiaramente a questi
grafico, sono quindi in
vantaggi devono somparte immotivate in
marsi gli interessi turchi
quanto non è tanto il poderivanti da un integrapolo turco ad emigrare,
zione che sarebbe storiquanto piuttosto le poca e contrapporre i ripolazioni dell’area circoschi e le preoccupazioni
stante che tendono a
che potrebbero generare
transitare in Turchia con
l’adesione turca.. Il riil fine di arrivare in Euschio è quello di far preropa. Rifiutando l’adecipitare la UE in una crisione della Turchia, non
si di credibilità dalla
si
salvaguarderebbe
quale sarebbe difficile
l’Europa da questi flussi
uscire. Ci si rende conto
migratori, in quanto la
di come l’ingresso della
Turchia
stessa
non
Turchia nella UE sia intiavrebbe nessun motivo
mamente legato al futuad ostacolarli.
ro stesso dell’Unione e
Il problema si sposta
di come ci sia bisogno di
dunque, più correttarivedere alcuni aspetti
mente, sulle possibilità
del funzionamento eudi controllo delle frontieropeo al fine di riavvicire turche. Questo intronare opinione pubblica e
duce un nuovo ruolo poistituzioni.
litico e militare che l’UE
acquisterebbe trovando-
Stefano Silvi
Il
Cultura
Giornale dei Grandi Eventi
P
15
Novità in libreria nel 250° anniversario della nascita (2)
Mozart, vita quotidiana di un genio
rosegue la rassegna delle edizioni in mostra
sugli scaffali delle librerie in occasione
del 250° anniversario
della nascita di Mozart. Se nello scorso
numero Il Giornale dei
Grandi Eventi (La leggenda di Sakùntala N°
28/2006) si è dedicato
ai titoli che sembrano
assecondare i gusti
degli spettatori di fiction e reality show,
questa volta lo zapping nel palinsesto
delle novità è alla ricerca dei programmi
di approfondimento.
A
datto alla riduzione per
una prima serata di divulgazione
culturale potrebbe essere il saggio Mondadori Mozart massone e
rivoluzionario, in cui la
musicologa Lidia Bramani spiega come il
compositore, notoriamente legato alle logge viennesi, avesse in
animo la costituzione
di una società segreta
ispirata ai valori massonici.
Da questa accattivante proposta, basata su
una ricchissima documentazione, escono
un complesso ritratto
dell'uomo illuminista, moderno, colto e
progressista che Mozart rappresentò nella
società dell'epoca ed
il contrasto rappre-
sentato da quell'artista che riusciva nello
stesso tempo a presentarsi come libertario anticlericale, ma
anche a trasmettere
una visione sacrale
dell'esistenza attraverso la musica.
Le
considerazioni
dell'Autrice
sono,
inoltre, rivolte all'evolversi delle idee
sull'etica, la politica,
l'esoterismo e l'alchimia che si possono
evincere dalla lettura
della produzione musicale, specialmente
delle ultime opere.
Il volume è completato da un vasto apparato di note e dall'indice dei nomi (L. BRAMANI, Mozart massone e rivoluzionario,
Milano, Paravia Bruno Mondadori Editori, 2005, pp. 480, isbn
88-424-9128-4,
€ 30,00).
U
n documentario di seconda
serata potrebbe essere, invece, l'analisi della maturazione di Mozart nella
società del suo tempo,
che emerge dalla raccolta postuma dei
dattiloscritti di Norbert Elias, tradotta in
italiano da Rossella
Martini, ed ora ristampata per i tipi del
Mulino.
La vicenda esistenziale e la complessa per-
sonalità del genio di
Salisburgo sono spiegate dal sociologo tedesco come un'invocazione di amore,
mentre le leggende
romantiche
fiorite
sulla vita e la morte in
una società disumana
come l'espressione di
un'Europa non ancora civilizzata. Mozart,
dunque, non fu solo
un genio, ma anche
profondamente uomo, il cui destino personale sarebbe stato
assai
condizionato
dalla sua condizione
sociale e le sue contrastanti aspirazioni
influenzate da un'impossibile ricerca della
libertà.
Il libro è preceduto
dall'introduzione di
Giorgio Pestelli e
completato
con
un'appendice sul piano dell'opera ed una
postfazione del curatore (N. E LIAS, Mozart. Sociologia di un
genio, a cura di M.
S CHRÖTER , Bologna,
Il Mulino 2005, pp.
162, isbn 88-15-109595, € 12,00).
A
d
indagare
sull'intrigante
dicotomia fra
l'uomo e l'artista, infine, lo stesso musicista:
scherzoso
e
profondo, triviale ed
intimista, fuori dagli
schemi ma schiavo
delle apparenze. Così si presenta Mozart
in
un
talk
show notturno, ovvero nella scelta dei
Briefe pubblicati in quattro
volumi negli
anni Sessanta,
tradotti in italiano nel 1981
ed ora disponibili nella nuova
edizione
Guanda.
Ne emergono
la figura di un
artista
che,
usando insieme parole crude e tenere,
sembra solo assecondare
il
suo istinto naturale e
la sua indole fanciullesca e sfogare la sua timidezza con l'aggressività, il nervosismo
con l'allegria; una quotidianità delirante che
appare dissociata dalla purezza delle opere
musicali, ma che prende forma, suono e colore proprio attraverso
le vivaci battute del
protagonista; una personalità che trasmette
qualcosa di inquietante, complesso, fortemente umano, capace
di risvegliare nel lettore sensazioni, sentimenti e passione per la
vita.
Il volume raccoglie oltre cento delle 356
missive inviate dal
compositore nel periodo fra il 1769 al 1791,
oltre ad alcuni scritti
dei suoi interlocutori.
Preceduto dalle introduzioni di Enzo Siciliano e della curatrice
Elisa Ranucci, oltre a
garantire una piacevole lettura è dotato di
biografia e buoni indici che permettono di
consultarlo anche per
la ricerca (W.A. MOZART, Lettere, a cura di
E. RANUCCI, Parma,
Ugo Guanda Editore,
2006, pp. 339, isbn 888246-907-7,
€ 16,50).
I
nfine, è paragonabile ad un videoclip la traduzione
curata da Alberto
Bracci Testasecca di
Ma vie avec Mozart
dello scrittore francese
Eric-Emmanuel
Schmitt, pubblicato
dalle Edizioni e/o.
Un breve romanzo
epistolare, in cui un
quindicenne scrive
lettere a Mozart e ne
riceve in cambio brani di musica. Così, interrogandosi su se
stesso, la vita, i grandi sentimenti ed i
massimi sistemi del
mondo, il ragazzo
esce dall'adolescenza
e cresce accompagnato dalla musica di
Mozart. Una sorta di
guida
all'ascolto,
dunque, dotata di un
compact disc che riproduce brani di opere celebri, come Le
Nozze di Figaro, Così
fan tutte, Il Flauto magico, oltre ad estratti
di concerti e musica
religiosa, fra cui il famosissimo mottetto
"Ave verum corpus"
(E.-E. S CHMITT , La
mia storia con Mozart, Roma, Edizioni
e/o, 2005, pp. 123 +
cd, isbn 88-7641-6803, € 19,50,).
E.C.A.
Jack Kerouac
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DOBBIAMO A N D A R E
E NON FERMARCI
F I N C H É N O N S I A M O A R R I VA T I .
DOVE ANDIAMO?
NON LO SO,
MA DOBBIAMO A N D A R E .
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