Anno XII - Numero 38 - 30 maggio 2006 L'intervista Parlano il direttore Renzetti ed il regista Vizioli A Pag. 2 La storia dell’opera Un percorso difficile, nonostante il grande valore musicale A Pag. 6 Analisi musicale Esempio del miglior Rossini A Pag. 7 Il gusto dell’Orientalismo Rappresentazioni e scene turchesche nella cultura italiana A Pag. 8-9 IL TURCO IN ITALIA di Gioachino Rossini Il Turco in Italia 2 Il Giornale dei Grandi Eventi Parlano il direttore Donato Renzetti ed il regista Stefano Vizioli E «Opera delicatissima e scoppiettante, con un Vesuvio in eruzione per l'esplosiva Fiorilla» rano 23 anni che Il Turco in Italia mancava dalle scene del Teatro Costanzi. Un'opera buffa tra le più curate e rifinite di Gioacchino Rossini, che tuttavia alla sua prima rappresentazione raccolse tiepidi consensi. Il titolo aveva tratto in inganno pubblico e critici nel pensare si trattasse di un rimaneggiamento parodistico de L'Italiana in Algeri. In realtà le due opere sono ~~ accostabili solo dalla specularità delle situazioni, poiché sia musicalmente che a livello drammaturgico, Il Turco si allontana dai clichet farseschi dell'opera buffa tipici dell'epoca, per avvicinarsi a una più moderna concezione di commedia borghese. Il Turco in Italia era un titolo che era già stato musicato da Seydelmann nel 1778 e insieme a La pietra di paragone dello stesso Rossini, si inserisce La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 30 Maggio - 6 Giugno 2006 IL TURCO IN ITALIA Dramma buffo in due atti - Libretto di Felice Romani Prima rappresentazione: Milano, Teatro Alla Scala 14 agosto 1814 Musica di Gioachino Rossini Maestro concertatore e Direttore Maestro del Coro Regia Scene e Costumi Disegno Luci Donato Renzetti Gea Garatti Stefano Vizioli Susanna Rossi Jost Patrizio Maggi Personaggi / Interpreti Selim (B) Carlo Lepore / Francesco Facini (31/5, 4/6) Fiorilla (S) Angeles Blancas Gulin / Paula Almerares (31/5, 4, 6/6) Narciso (T) Gregory Kunde / Mario Zeffiri (31/5, 4/6) Don Geronio (B) Paolo Rumetz Il Poeta Mario Cassi Zaida (S) Nadia Pirazzini / Silvia Pasini (31/5) Albazar (T) Davide Cicchetti Fortepiano Maurizio Agostini ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo Allestimento ~ ~ La Copertina ~ ~ Jean Leon Gerome "Bashi Bazouk e il suo cane" Olio su tela - 1870 Atto I - Scena IV - SELIM «Bella Italia, alfin ti miro, / Vi saluto amiche sponde; / L'aria, il suolo, i fiori, e l'onde / Tutto ride e parla al cor. / Ah! del cielo, e della terra, / Cara Italia sei l'amor». Direttore responsabile Il G iornale dei G randi Eventi Andrea Marini Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Direzione Redazione ed Amministrazione Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Ko dak Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak DC290 pienamente nello spirito delle turqueries, ambientazioni orientaleggianti in voga nella seconda metà del '700, di cui Il ratto dal serraglio di Mozart (1782) è esempio dominante. Sul podio di questo allestimento il maestro Donato Renzetti, che torna a Roma dopo aver diretto nel dicembre 2004 un applaudito Pipistrello di Strauss e Madama Butterfly di Puccini alle Terme di Caracalla nella scorsa stagione. Renzetti ha un rapporto strettissimo con il compositore pesarese e riceverà questa estate il Rossini d'oro, prestigioso premio conferito dal Rossini Opera Festival di Pesaro per la molte opere rossiniane da lui dirette. «La prima volta in cui ho sentito parlare di quest'opera è stata negli anni '70, grazie all'indimenticato direttore Gianandrea Gavazzeni. Allora suonavo nell'orchestra della Scala e spesso ci intrattenevamo con il Maestro parlando di opere da riscoprire. Fu lui che mi disse di aver tratto fuori dal dimenticatoio Il Turco in Italia, che aveva diretto nel 1950 con Maria Callas. Da allora, il mio rapporto con Rossini è stato intenso e nella mia carriera ho eseguito 14 opere del Pesarese, tra opere buffe e opere serie. La sinfonia del Turco in Italia è, a parer mio, quella più difficile tra tutte quelle delle opere rossiniane: delicatissima, scoppiettante, comprende due "soli", per la Prima tromba e per il Primo corno, che sono veri pezzi di bravura, da concorso… E' un'opera che fu scritta da Rossini completamente ex-novo, senza nessun ricorso all'autoimprestito. Si discosta molto dalla sua presunta "gemella" L'Italiana in Algeri, e simbolica di questa distanza è la parte di Seli, che fu scritta per il leggendario basso Filippo Galli, grande belcantista. Selim è un personaggio che si discosta per intensità di carattere e per virtuosismo vocale dal parallelo ruolo di Mustafà dell'Italiana, ben più farsesco e macchiettistico. La mia direzione sarà, in complesso, più leggera possibile; la partitura sarà eseguita integralmente con appena qualche taglio sui recitativi. ». Quest'allestimento dell’opera ambientata a Napoli, è affidata al regista napoletano Stefano Vizioli con le scene e i costumi di Susanna Rossi Jost. « Nel Turco non vi sono vincitori e vinti- spiega Vizioli non esiste un'evoluzione "morale" nel corso dell'evoluzione drammatica. L'assenza di categorie precise del bene e del male, mi ha ispirato una scenografia diversa da un '800 rassicurante. Abbiamo spostato l'ambientazione al 1920, un decennio brillante, aggressivo, i cui costumi leggeri permettono di esaltare i corpi, perché in quest'opera il corpo è un sensuale veicolo di espressione. I personaggi si muovono continuamente sulla scena con una Donato Renzetti gestualità vivace che ha preso spunto persino dai manierismi del cinema muto degli anni '20, come anche alla commedia italiana degli anni '50 - pensiamo a Totò imperatore di Capri che ha descritto mirabilmente l'ambiente fatuo e inerte della società snob partenopea. Una Napoli ariosa, dipinta, che lascia spazio all'energia dei personaggi, con le scene che si richiamano anche ad un certo vedutismo ottocentesco, con un Vesuvio ora in eruzione ora spento, secondo gli umori dell'esplosiva Fiorilla». Andrea Cionci La Stagione 2006 al Teatro Costanzi Stagione Estiva Terme di Caracalla 24 - 30 Giugno Direttore Regia Interpreti dal 24 giugno a 9 agosto LA VESTALE (balletto) di Ludwig van Beethoven, Gioachino Rossini, Gaspare Spontini Marcello Rota Beppe Menegatti G. Straccamore, I. Yebra, C. Saso, G. Picone, A. Tiburzi, L. Comi, M. Marozzi, R. Di Cosmo 8 - 12 Luglio Direttore Coreografia Interpreti MADAMA BUTTERFLY di Giacomo Puccini Donato Renzetti Hal Yamanouchi I. Kabatu / M. Tasca-Yamazaki, R. Lamanda, R. Aronica, / R. Costi, G. Meoni, M. Bolognesi, D. Malandra, M. Artiaco, G. C. Boldrini 18 - 25 Luglio; 2 - 4 Agosto AIDA di Giuseppe Verdi Direttore Alain Lombard Regia Paolo Miccichè Interpreti O. Romanko / M. Carola, I. Komlosi / M. Cornetti, M. Park / C. Cozzari, F. Farina / N. Martinucci, S. Carroli / S. Zanon, O. Gradus / A. Zanazzo, A. Guerzoni / A. Caforio, A. Cosentino / A. Casertano 29 Luglio; 1 - 9 Agosto Direttore Regia Interpreti 14 - 22 Novembre Direttore Regia Interpreti TRISTAN UND ISOLDE di Richard Wagner Gianluigi Gelmetti Henning Brockhause David Rendall, Janice Baird, Marianne Cornetti 7 - 14 Novembre Direttore Interpreti TURANDOT di Giacomo Puccini Alain Lombard Henning Brockhaus G.M. Ronge / G. Casolla, M. Giordani / C. Ventre, A.L. Longo / C. Barbieri, M. Ryssov, F. Bettoschi / A. Ariostini, M. Bolognesi, A. Orsolini, M.R. Cosotti, A. Noli CARMEN di Georges Bizet Alain Lombard Rinat Shaham, Vincenzo La Scola, Giorgio Surian, Anna Laura Longo C Il Giornale dei Grandi Eventi ome quinto titolo della stagione - ed ultimo della sua prima parte prima della parentesi estiva - il Teatro dell’Opera di Roma presenta il dramma buffo di Gioachino Rossini Il Turco in Italia, un’opera che al Teatro Costanzi è approdata solo due volte, la prima nella stagione 1968/69 con un allestimento del Festival di Bregenz, la direzione del maestro France- Il Turco in Italia sco Cristofoli e la regia di Carlo Piccinato, la seconda nel marzo 1983 con la direzione di Marcello Panni e la regia di Aldo Trionfo. Un’opera raffinata, anche se amara e cinica, che per lunghi anni non ha goduto del meritato successo. Fin dalla sua prima rappresentazione il 14 agosto 1814 al Teatro Alla Scala di Milano fu accolta, difatti, con estrema freddezza, per la voce che fosse la riproposi- zione speculare della fortunata Italiana in Algeri di un anno prima, mentre nella realtà non v’era altro che la spassosa trovata del rovesciamento di una situazione ed il gusto della turcheria tipico di quegli anni. La musica era, invece, nuova ed anzi ne risultò una delle partiture meglio rifinite e curate, anche strutturalmente, che Rossini avesse composto sino ad allora. Il grande balzo di diffusione l’opera lo ebbe nel 1950, dopo una memorabile edizione al Teatro Eliseo di Roma con Maria Callas nei panni di Donna Fiorilla e la direzione di Gianandea Gavazzeni. Questo nuovo allestimento, firmato nella regia dal napoletano Stefano Vizioli, vede una ambientazione spostata al 1920, anni brillanti, meno paludati, in una Napoli ariosa con 3 Le Repliche mercoledì 31 maggio, ore 20,30 giovedì 1 giugno, ore 20,30 sabato 3 giugno, ore 18,00 domenica 4 giugno, ore 17,00 martedì 6 giugno, ore 20,30 un Vesuvio ora in eruzione, ora spento, secondo gli umori dell’esplosiva Fiorilla. La direzione è del maestro Donato Renzetti. La frizzante allegria di un’opera dimenticata per oltre un secolo L a vicenda si svolge nelle vicinanze di Napoli, in un luogo di villeggiatura ed in casa di Don Geronio. La Trama ATTO I - Il poeta Prosdocino è in cerca di un buon soggetto per un dramma buffo, quando si imbatte in un gruppo di zingari. Qui la zingara Zaida, dopo aver letto la mano a Geranio che vuole conoscere quando la sua capricciosa moglie Fiorilla metterà finalmente giudizio, racconta a Prosdocino la sua travagliata storia d’amore con il principe turco Selim Demele e di come sia costretta a fuggire per la gelosia delle sue compagne. Il poeta la informa dell’imminente arrivo di un principe turco che potrebbe intercedere per lei. Mentre entra in scena Fiorilla, che passeggia con un gruppo di amiche, giunge il principe, il quale colpito dalla bellezza di Fiorilla, comincia subito a corteggiarla. Prosdocimo incontra Narciso, cavalier servente di Fiorilla, che teme pure lui il carattere incostante della giovane, e quindi un indignato Geronio, che gli comunica che Fiorilla ha invitato il principe – che altri non è se non quel Selim amato da Zaida – a prendere il caffè in casa sua. Prosdocimo è soddisfatto per i possibili sviluppi del suo dramma. La seconda scena del primo atto si svolge appunto in casa di Geronio: Fiorilla civetta con Selim quando arriva Geronio, che viene costretto a baciare la veste del principe in segno di omaggio, subendo poi per questo anche i rimbrotti di Narciso. Selim, prima di lasciare la casa, dà appuntamento a Fiorilla in riva al mare per quella sera stessa. Geronio, dopo aver narrato gli ultimi avvenimenti a un sempre più entusiasta Prosdocimo, ha un duro scontro con la moglie, che proclama orgogliosamente la sua libertà di prendersi tutti gli amanti che vuole. La scena si sposta quindi in riva al mare, ove Selim, che attende Fiorilla, incontra Zaida: i due si riconoscono e si abbracciano, quando giunge Fiorilla, seguita di nascosto da Narciso e Gero- nio; la giovane immediatamente si scontra con Zaida, mentre gli uomini tentano invano di fare da pacieri e Prosdocimo se la ride. ATTO II - Il secondo atto si apre all’interno di una locanda, ove Geronio apprende dal poeta che proprio lì sua moglie deve incontrare Selim. Il principe, sopraggiunto, propone a Geronio di vendergli la moglie, secondo le usanze del suo Paese; al netto rifiuto seguono minacce reciproche. Partito Geronio, tocca a Fiorilla e Zaida scontrarsi con Selim, l’una offesa e l’altra addolorata per le incertezze sentimentali del principe. Prosdocimo, che è venuto a sapere che Selim intende rapire Fiorilla durante una festa mascherata, avvisa Zaida, suggerendole di presentarsi alla festa travestita da Fiorilla; consiglia poi anche Geronio di partecipare alla festa, in costume da gorilla, per sorvegliare la moglie e impedirne il rapimento. Narciso, che ha udito tutto, decide di travestirsi a sua volta da turco, per portare via con sé Fiorilla. Tutti questi travestimenti creano una serie infinita di equivoci durante la festa: Geronio, che vede due turchi e due Fiorille, reclama a gran voce la moglie e fa la figura del pazzo; Fiorilla fugge poi con Narciso e Zaida con Selim. Tornato alla locanda, Prosdocimo, che ha appreso dallo stesso Selim della sua definitiva riconciliazione con Zaida, suggerisce allo sconsolato Geronio di dare una lezione alla moglie fingendo un divorzio. Fiorilla riceve quindi una lettera di ripudio dal marito, che le impone di tornare a Sorrento dalla sua famiglia; prepara quindi le sue cose e, addolorata, abbandona la casa. Tutto è pronto per il finale lieto: ed è come sempre Prosdocimo, che ha ormai tutti gli elementi per il suo dramma buffo, a fungere da motore degli avvenimenti. Narra il sincero pentimento di Fiorilla a Geronio, che dal canto suo non vedeva l’ora di riabbracciarla e di accoglierla di nuovo con sé; la coppia riconciliata saluta Selim e Zaida, che si imbarcano per far ritorno alla loro terra. Paccocelere Internazionale. Il nuovo Corriere Espresso di Poste Italiane. Arriva ovunque. Anche a New York. Chiedi nel tuo Ufficio Postale. Raggiunge 190 paesi e 5 miliardi di persone. Veloce, sicuro, conveniente. Il Giornale dei Grandi Eventi Il Turco in Italia Nadia Pirazzini e Silvia Pasini D La zingara Zaida, convinta innamorata di Selim 5 Carlo Lepore e Francesco Facini I Il principe turco Selim, amante indeciso l ruolo di Selim è impersonato dai bassi Carlo Lepore (30 magaranno la voce a Zaida le cantanti Nadia Pirazzini (30 maggio e 1, gio e 1, 3, 6 giugno) e Francesco Facini (31 maggio e 4 giugno). 3, 4, 6 giugno) e Silvia Pasini. Il mezzosoprano Nadia Pirazzini ha Tra le tantissime interpretazioni di Carlo Lepore ricordiamo iniziato gli studi musicali all’età di sei anni. Si è diplomata nel 2000 quelle rossiniane del Barbiere di Siviglia al Conservatorio di Bologna in flauto traverso con la Prof.ssa (Teatro dell'Opera di Roma, 1992, nel Morini. Nel 2002-03 nell’ambito della partecipazione al corso ruolo di Basilio), e quella più recente de Il “Giuseppe Verdi: cultura e tradizione” della Fondazione Toscaturco in Italia al Teatro Regio di Torino. Di nini, ha tenuto numerosi concerti con orchestra ed ha debuttato rilievo le sue partecipazioni al Rossini a fianco di Leo Nucci in Rigoletto di G. Verdi, diretto da M. K. L. Opera Festival (tra cui in Bianca e Falliero) Wilson e con la regia di Vittorio Sgarbi (giugno-luglio 2003). e quelle, prestigiose, al Teatro alla Scala Silvia Pasini è nata a Roma, dove nel 1991 ha conseguito il di(Don Magnifico nella Cenerentola, Muploma di canto e proseguito gli studi con C. Vozza. Ha sostestafà nell’Italiana in Algeri). Carlo Lepore nuto successivamente numerosi corsi di perfezionamento: si è inoltre dedicato al repertorio barocco, presso il “Progetto Giovani” del Teatro dell’Opera di Roma, eseguendo opere di Monteverdi, Peri, l’Accademia Chigiana di Siena con il M° Gelmetti (La CenerenHändel, Vivaldi e Cavalli. tola), l’Accademia di Osimo con Mirella Freni, l’Accademia VoFrancesco Facini, nato a Lucca, si è perfeci Verdiane della Fondazione Toscanini di Parma. Ha debutta- Nadia Pirazzini e Carlo Lepore zionato in canto al Mozarteum di Salito nel 1996 presso il Teatro Lirico di Cagliari con Il Matrimonio Segreto (Fidalma). Vincitrice del Concorso Battistini di Rieti, ha debuttato sburgo ed a Vienna, debuttando in seguito presso lo Stadttheater di Lucerna come protagonista ne Le Nozze di Figaro. E’ già stato Selim nel ruolo di Isabella nell’Italiana in Algeri presso il Teatro di Osimo. nel Turco in Italia a Gelsenkirchen; alla Finish Opera di Helsinki è stato Don Profondo nel Viaggio a Reims e Don Magnifico ne La CeAngeles Blancas Gulin e Paula Almerares nerentola; a Düsseldorf è stato Don Bartolo ne Il Barbiere di Siviglia. Si è esibito al Teatro dell’Opera di Roma nella prima assoluta di Marie Victoire di Respighi con il ruolo di Cloteau e nella Messa di Gloria di Rossini. P La vivace Fiorilla, irrequieta moglie di Geronio resteranno la voce a Fiorilla i soprano Angeles Blancas Gulin (30 maggio, 1 e 3 giugno) e Paula Almerares (31 maggio, 4 e 6 giugno). Angeles Blancas Gulin, figlia di cantanti spagnoli, ha iniziato la sua carriera nel 1992, quando è stata scelta per il Galà dei Re e diretta da Placido Domingo. Da allora è stata protagonista di una brillante carriera che l’ha portata a can- Angeles Blancas Gulin tare nei più importanti teatri europei ed americani. In Italia ha ottenuto un grande successo con I Pagliacci a Roma, e con il debutto ne Il Turco in Italia a Napoli. Il soprano italo-argentino Paula Almerares ha debuttato a 19 anni interpretando Antonia ne Les Contes D'Hoffmann accanto ad Alfredo Kraus. Ha vinto il Concorso Internazionale “Belvedere” e il Concorso “Traviata 2000” con una giuria presieduta dal Maestro Lorin Maazel. Dopo il debutto in Italia presso il Teatro La Fenice di Venezia, ha cantato nei teatri italiani ed esteri più prestigiosi, tra cui il Metropolitan di New York dove ha partecipato a due produzioni de Il barbiere di Siviglia accanto a Juan Diego Florez. L Paolo Rumetz Gregory Kunde e Mario Zeffiri S Narciso, innamorato di Fiorilla i esibiranno nel ruolo di Narciso i tenore Gregory Kunde (30 maggio e 1, 3, 6 giugno) e Mario Zeffiri (31 maggio, 4 giugno). Gregory Kunde è nato a Kankakee, Illinois, e ha studiato all’Università dello Stato dell’Illinois canto e direzione di coro. Ha iniziato la sua carriera lirica nel 1978 alla Liric Opera di Chicago dove ha conosciuto grandi interpreti quali Leinsdorf, Rudel, Pierre Ponelle, Gobbi, Freni, Kraus, Pavarotti. Noto nei maggiori teatri americani, il suo debutto in Europa è avvenuto come Nadire ne Les Pecheurs des perles al Teatro di Nizza. Punto di riferimento nel panorama tenorile del bel canto, Kunde offre un repertorio che spazia dai ruoli mozartiani a Rossini, Bellini, Donizetti fino a Berlioz. Mario Zeffiri è nato ad Atene. Il suo repertorio rossiniano è particolarmente ricco, e comprende il Barbiere di Siviglia, La Cenerentola, Elisabetta Regina d’Inghilterra, L’Italiana in Algeri il Comte Ory, il Viaggio a Reims. Recentemente è stato Elvino ne La Sonnambula al Teatro alla Scala di Milano e all’Opera di Roma; Argirio nel Tancredi a Tolone e all’Opera di Roma; Don Narciso ne Il Turco in Italia allo Staatsoper di Amburgo. Mario Cassi Don Geronio, geloso marito Il poeta Prosdocimo, deus di Fiorilla a voce di Don Geronio sarà quella del ex machina del dramma basso Paolo Rumetz. Nato a Trieste, ha iniziato lo studio del canto nel conservatorio della sua città. Il suo repertorio rossiniano comprende La scala di seta, L’occasione fa il ladro, Il turco in Italia, La pietra del paragone, La cambiale di matrimonio, L’inganno felice, La Cenerentola, L’italiana in Algeri, Le comte Ory. Di rilievo le sue recenti interpretazioni di Un giorno di regno e di Madama Butterfly al Teatro alla Scala e il prestigioso debutto sul palcoscenico dell’Opernhaus di Paolo Rumetz Zurigo nel Turco in Italia. C anterà nel ruolo del poeta Prosdocimo il basso Mario Cassi. Nato ad Arezzo nel 1973, ha studiato canto con Slava Taskova Paoletti e si è perfezionato sotto la guida di Paride Venturi e Bruno De Simone. Ha debuttato nel 1998 come Alcindoro nella Bohème e nel 1999 come Betto in Gianni Schicchi, entrambi per l’Opera Youth in Europe. Per il Laboratorio Voci in Musica di "Musica per Roma" ha interpretato il ruolo di Guglielmo (Così fan tutte). Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto: Corrado M. Falsini 6 N Il Turco in Italia Il Giornale dei Grandi Eventi La storia dell’opera Una vita difficile, nonostante il grande valore musicale el 1814 il ventiduenne Rossini, a soli tre anni dall’inizio della sua carriera di compositore, era considerato uno dei migliori operisti italiani. Reduce dal trionfale successo veneziano nel precedente anno del Tancredi e dell’Italiana in Algeri, il Pesarese aveva visto crescere enormemente la propria popolarità, al punto da offuscare quella dei suoi contemporanei. Il Teatro Alla Scala, il cui esigentissimo pubblico era il vero e proprio termometro del successo dei musicisti in Italia e in Europa, decise di commissionare a Rossini due opere, una seria e una buffa: la prima sarebbe stata rappresentata per il Carnevale del 1814 e l’altra avrebbe dovuto aprire la stagione autunnale di quello stesso anno. Rossini era già stato introdotto con successo nel difficile ambiente milanese con La pietra di paragone rappresentata alla Scala il 26 settembre 1812 ed i milanesi, dunque, si attendevano molto dal nuovo astro nascente italiano. Tuttavia saranno destinati a rimanere delusi. Il librettista Romani Librettista del teatro scaligero in quell’anno era il ventiquattrenne genovese Felice Romani. Sebbene fosse alle prime esperienze come compositore di versi per musica ed avesse debuttato come librettista solo un anno prima, il Romani si rivelò immediatamente uno scrittore e letterato di gran lunga superiore ai suoi contemporanei. Tuttavia il libretto dell’Aureliano in Palmira (12 dicembre 1813), prima delle due opere commissionate dalla Scala, non fu in grado di reggere il confronto con il veneziano Tancredi e l’opera venne accolta con freddezza. Stessa sorte sarebbe toccata al secondo Il Teatro Alla Scala di Milano all'inizio dell'800 lavoro realizzato per il teatro milanese: Il turco in Italia. Anche questa volta la stesura del libretto fu affidata a Felice Romani, che trasse il soggetto dall’omonimo libretto di Caterino Mazzolà, messo in musica da Franz Seydelmann e rappresentato nel 1788 a Dresda. Questa volta il Romani offrì a Rossini un testo di indubbio valore e di estrema modernità, ma il confronto con la precedente Italiana in Algeri si risolse ancora a favore dell’opera composta per Venezia. La trama presentava in effetti alcune analogie con quelle dell’Italiana, ma si trattava soltanto di situazioni di contorno: infatti, solo ad una lettura superficiale del libretto, il Turco poteva sembrare una sorta di rovesciamento delle situazioni già utilizzate nell’opera veneziana, una sorta di “Pot-pourri” come ebbe dire un commentatore. In realtà di simile c’era lo stile, ovviamente quello rossiniano, il gusto per le turcherie ed alcuni aspetti della trama, ma le due opere erano del tutto autonome e indipendenti. Il Turco in Italia venne composta tra la primavera e l’estate del 1814 e fu rappresentata alla Scala il 14 agosto di quello stesso anno. Il cast era formato da Filippo Galli - che a Venezia aveva già rivestito in modo egregio la parte del Bey nell’Italiana - nel ruolo del giovane turco Selim, il soprano Francesca Maffei-Festa nei panni di Donna Fiorilla, il tenore Giovanni David nel ruolo di Don Narciso e il buffo Luigi Pacini in quello di Don Geronio. Nei ruoli minori Adelaide Carpano fu la zingara Zaida, Pietro Vasoli il poeta Prosdocimo ed a Gaetano Pozzi venne affidato il ruolo di Albazar. Una curiosa interpretazione Sthandal ci racconta un curioso e divertente un aneddoto sulle recite che seguirono la prima dell’opera. Pare che Pacini (Don Geronio) eseguisse ogni sera la sua cavatina (aria di sortita di ogni personaggio, ndr.) in maniera diversa: alcune volte era il marito addolorato ed innamorato della propria moglie, altre era il marito filosofo che si burlava delle bizzarrie dell’agitata mogliettina. Alla quarta o quinta rappresentazione, egli si mi- dell’Aureliano in Palmira. Il corrispondente dell’Allgemeine mus. Zeit. osservò che dopo il primo atto molti spettatori abbandonarono il teatro e il Corriere delle Dame del 20 agosto 1814, nel registrare il fiasco della prima rappresentazione, accusò Rossini di essersi copiato. L’opera aveva offeso l’orgoglio dei milanesi e presto si diffuse la voce che il Pesarese avesse voluto parafrasare l’Italiana in Algeri, riciclando del materiale vecchio. Un simile affronto non era possibile al primo teatro del mondo. L’opera fu, dunque, messa al bando e solo dopo sette anni fu riaccolta con successo dal pubblico milanese. Nonostante ben presto si comprese che il Turco in Italia presentava un valore musicale e drammaturgico di grande interesse, l’opera ebbe molte difficoltà ad inserirsi nei cartelloni dei teatri. Solo a partire dalla metà del secolo scorso fu “riscoperta”, rivalutata e entrò definitivamente nelle opere di repertorio. Il merito è senza dubbio da se ad imitare così perfettamente i gesti e le maniere di un nobile personaggio milanese, di cui tutta la società conosceva le disavventure coniugali, che gli spettatori si sbellicarono dalle risate. Quando lo sprovveduto nobile entrò nel palco del teatro «…il pubblico in massa si voltò per gioire meglio della sua presenza…(..) e Pacini sulla scena cogli occhi fissi su di lui, mentre cantava la sua cavatina e copiava nel momento stesso tutti i suoi gesti e li esagerava in modo grottesco. L’orchestra dimenticava di accompagnare, la polizia dimenticava di far cessare lo scandalo. For- Maria Callas come Donna Fiorilla tunatamente qualche persona saggia enascriversi alla indimentitrò nel palco e riuscì, non cabile interpretazione di senza fatica, a tirarne fuori Maria Callas che, il 19 otil desolatissimo Duca». tobre 1950 al Teatro Eliseo Nonostante il cast fosse di Roma, diretta da Giadi primissimo livello e nandrea Gavazzeni offrì gli artisti fossero delle al pubblico della capitale vere e proprie celebrità, una Donna Fiorilla rimal’opera fu accolta dal sta ancora insuperata. pubblico scaligero ancoClaudia Capodagli ra più freddamente Il Giornale dei Grandi Eventi U Il Turco in Italia 7 Analisi Musicale dell’opera Esempio dell’intelligenza teatrale del miglior Rossini diventano il sostegno (quasi come un basso ostinato) su cui si basa il motivo orchestrale che sostiene la declamazione buffa dei nostri protagonisti. Rossini, insomma, ancora una volta, riesce a sorprendere per inventiva e capacità di essere sempre imprevedibile nelle sue soluzioni musicali. In fatto di arie va ricordata invece quella di Fiorilla nel secondo atto, parentesi patetica prima del finale lieto. Ricevuta una lettera di divorzio da parte dell’esasperato marito (ben pronto a riprendersela subito dopo, naturalmente) la ragazza si abbandona alla tristezza: «Squallida veste e bruna» canta con eleganza. n poeta in scena in cerca di personaggi per un suo dramma buffo. Una soluzione rivoluzionaria di “teatro nel teatro” che sarebbe piaciuta a Pirandello. E’ questo il meccanismo comico che sta alla base de Il Turco in Italia scritto da Rossini con un giovanissimo e quasi esordiente librettista, Felice Romani, destinato a diventare, negli anni successivi, uno dei punti di riferimento essenziali del teatro musicale italiano. E’ curioso innanzitutto ricordare che quando Il Turco in Italia esordì nel 1814 alla Scala di Milano fu sonoramente fischiato. Rossini alle contestazioni del pubblico in occasione delle sue “prime” si sarebbe abituato senza problemi: basta segnalare che anche “Barbiere” e Cenerentola ottennero una simile accoglienza. Nel caso del “Turco” all’origine della disapprovazione c’era una diceria secondo la quale Rossini avrebbe preso in giro il pubblico proponendo non un’opera nuova, ma una parafrasi, a ruoli invertiti, de L’Italiana in Algeri rappresentata, quella sì con successo, l’anno prima a Venezia. Commedia di costume Niente di più falso. Il turco in Italia è opera del tutto originale sul piano musicale che se non è probabilmente all’altezza della grande trilogia rossiniana (Italiana, Barbiere, Cenerentola) riserva non poche pagine di pregio e soprattutto una struttura drammaturgica di fresca inventiva. Rossini e Romani puntarono sulla “commedia” di costume con un’abile caratterizzazione dei personaggi e con alcune trovate teatrali d’indubbio buon gusto. Due gli atti, dunque. L’Ouverture è fra le più belle di Rossini. Si apre con un Adagio la cui melodia, elegante, è affidata al corno. Poi nel successivo “Allegro vivo” si ritrova la tipica leggerezza rossiniana ottenuta con un’orchestrazione di rara trasparenza. Da notare il crescendo in cui si rincor- Il bel finale del primo atto Gioacchino Rossini a mezz'età (stampa) rono temi già sentiti in un gioco di sovrapposizioni garbato e piacevole. Ed è interessante rilevare pure che elementi dell’Ouverture ricorrono in alcuni momenti dell’opera, ad esempio nel duetto del primo atto fra Selim e Fiorilla. Selim è il turco che nell’apertura dell’opera finisce sulle coste italiane (capovolgendo, in questo caso sì, la situazione dell’Italiana dove era la povera Isabella a naufragare in Oriente) e si imbatte nella zingara Zaida e negli altri personaggi sapientemente mossi dal poeta Prosdocimo. Donna Fiorilla (la furba italiana) rivela la sua verve nel divertente duetto con il marito («Per piacer alla signora») fra le pagine più simpatiche del primo atto la cui prima sezione è musicalmente de- bitrice di un tema tratto da un duetto del Signor Buschino. Poco prima Fiorilla aveva preso all’amo il turco Selim offrendogli semplicemente, con grazie, una “tazzuriella di caffè”: Fiorilla - Ecco il caffè Selim - (Non posso più) Fiorilla - Prendete Selim - Che mano delicata Fiorilla - Il zucchero è bastante? Selim - Che maniera elegante!/ (Che begli occhi e che foco in lor scintilla!) Fiorilla - A che pensate mai? Selim - Penso a Fiorilla Fiorilla - (il turco è preso..).”. In tema di concertati, una citazione merita il Quintetto del secondo atto («Ah guardate che accidente! Non conosco più mia moglie!») che si sviluppa in un contrappunto a cappella d’indubbio effetto musicale e dram- maturgico. E’ una ennesima dimostrazione dell’abilità creativa di Rossini che, pur in un contesto leggero, fa ricorso a strutture compositive “alte” con una perizia notevole. E, ancora, occorre segnalare il terzetto fra il Poeta, Geronio e Narciso nel primo atto. «Un marito scimunito» attacca il Poeta e immagina ad alta voce lo sviluppo del suo dramma: «Atto primo, scena prima/ Il marito coll’amico/ Moglie… turco… grida…intrico/ No, di meglio non si dà». Gli altri due non gradiscono: Atto primo, scena prima « Il poeta per l’intrico/ dal marito e dall’amico/ Bastonate prenderà». La costruzione di questo concertato è alquanto originale. Quattro note lunghe vengono prima enunciate da sole e poi Un discorso a parte va fatto naturalmente per il finale del primo atto. Selim, dopo aver incontrato Zaida e averla riconosciuta viene ripreso dall’amore per lei. Ma giunge Fiorilla velata (seguita dagli altri personaggi) e il turco riprende a corteggiarla. Inevitabile la lite furiosa fra le due donne che ispira a Rossini una pagina di notevole godibilità. Va sottolineato il ruolo del poeta Prosdocimo, ispiratore di ogni azione dell’opera che o partecipa all’azione stessa o la commenta dall’esterno pregustando quello che sarà il “risvolto scenico” della vicenda quando da lui verrà trasformata in un testo teatrale: «Azzuffatevi, stringetevi – dice con soddisfazione alle ragazze – Graffi… morsi… me la godo… Che final! Che finalone! Oh che chiasso avrà da far». Il turco in Italia, insomma, nonostante la pessima accoglienza iniziale, appartiene al miglior Rossini e ne evidenzia non solo le ben note qualità di musicista geniale, ma anche la sua intelligenza teatrale, la capacità di inventare meccanismi comici di estrema modernità Non a caso, ancora oggi, quando le sue opere sono bene rappresentate, il pubblico ride apertamente. Roberto Iovino 8 Il Turco in Italia Il Giornale dei Grandi Eventi Il gusto dell’Orientalismo, L Rappresentazioni e scene turchesche e metafore comunemente adottate a descrivere in termini spettacolari gli eventi che sommuovono le visioni, le filosofie, le interpretazioni del processo storico, non potevano che portare all’intensificazione narrativa teatralizzata del secolare protagonismo politico dei Turchi Ottomani. Una vocazione, questa turchesca, collocata sul teatro del- la storia, nello scenario europeo, del quale i Turchi sono venuti a far parte. Già “demone ex machina” nella modalità storiografica di rappresentarne l’apparizione (flagello di Dio, mostruosa emergenza tartarica, parto delle tenebre del Turan!), il Turco piomba letteralmente in scena, tra l’aspettativa ed i sussulti: per sciogliere azioni e assedi, al fine di castigare l’empietà, l’infedeltà cristiana. Un’entrata folgorante, sulfurea, sul palcoscenico, e nell’esposizione dei cronisti, mimetica del dinamismo nomadico che incalza e sconvolge gli ordinamenti delle società sedentarie, alimentando le trame, le cadenze e i tempi del- le scritture. A conturbare gli scenari europei sarà dunque un’irruzione a tal punto dirompente, che nelle cronache oserei additare rischiose forzature, non le fonti ma i palinsesti e i canovacci articolati delle turcherie teatrali. Righe e falsarighe, farcite negli spazi da fantasie e creatività, arabeschi turchesi, avvolti in una retorica di versioni e varianti. Quasi le dispute intestine e le feroci gelosie tra potentati cristiani si fossero nascoste tra le quinte, nei drammi, nelle tragedie della storia, la quale, tanto più quando modellata sul tragico, contemplerebbe in sé una catarsi. Infatti – quell’epistola non fosse stata concepita per un calcolo oculato, teso alla restaurazione del dominio spirituale e materiale sul nostro mondo -, alla stregua di un disegno di catarsi potrebbe leggersi la proposta di convertirsi, avanzata nel 1461-‘62 da papa Pio II a Maometto II, il Conquistatore di Costantinopoli (1453), quindi e naturalmente Nuovo Costantino, in una lettera mai spedita. In cambio di uno spruzzo d’acqua battesimale, a quel Gran Signore mondato dall’eresia, sarebbe stata riconosciuta l’autorità imperiale sui popoli mediante l’imposizione della corona sul capo del Sultano, da parte del Papa. Un quadro ad effetto. Una salvazione interessata, con quel logico dubbio che mena all’ennesima Crociata (1462’63) contro l’ennesima epifania, ossia camuffamento, dei Saraceni, peccatori e maestri di tolleranza nei riguardi dei sudditi cristiani, (certo, dopo le inevitabili, o gratuite, devastazioni dalle conquiste). Si torna a demonizzare, sia i mussulmani truculenti, divoratori di feti umani, sia quelli di casa, ignoranti, spesso tentati dalle facili carriere alla corte sul Bosforo: più appaganti i passaggi di ruolo, laggiù, rispetto alle frustrazioni, alle miserie, alle morti di fame nostrane. Per non dire dei malintesi, della morbosa fascinazione esercitata dagli harem. Demonizzare significherà allora disdoro e decoro, ovvero allestimento scenografico, con “teste di Turco” sbalzate in cariatidi fissate agli stipiti di cartone: spalle e parodie alla Sublime Porta dai battenti imbattibili, imperniati su cardini ben piantati. Ma accanto a quella fissazione di rito, si assiste anche al conio di bassorilievi e medaglioni, nei quali i tratti dei volti dei sultani ottomani si fanno più plastici: il che sta a segnalare che neppure qui da noi si pensava in modo ottusamente monolitico. Anzitutto, si continuava a soppesare i vantaggi garantiti da buoni rapporti diplomatici, si considerava il commercio, il “trafego”(detto alla veneziana); di pari passo, o a intermittenze, si meditava su come opporsi a quella minaccia, studiando l’antagonista, quell’attore: si scrutava, si girava intorno a lui, puntando a sospirate alleanze con la Persia, per aggirarlo, Il Il Turco in Italia Giornale dei Grandi Eventi 9 tra paure e curiosità e nella cultura italiana giacché raggirarlo era difficile, agguerrito, munito quale era di saggi vizir e di mentori avveduti, magari di origine cristiana. Sembrava incontenibile, quell’offensiva, e le sue tappe - segnate da Corinto, Negroponte, in vista di libretti e varianti, “rimasticazioni” delle vivande fornite dal Maometto II - sono seguite dalla presa di Rodi (1522). «Solimano, con somma religione e umanità servò la promessa, né toccò le cose sacre del Tempio di San Giovanni, il che forse non avrebbeno fatto i nostri soldati. Ho udito dire al Gran Maestro che nell’entrare che fece Solimano nella Città con trenta mila uomini, mai si sentì una parola, parea fossero tanti frati dell’osservanza…». Così Paolo Giovio, comasco vescovo di Nocera, rivolto dalla corte papale all’Imperatore Carlo V, nel suo Com- mentario delle cose dei Turchi, edito a Roma nel 1532, che recepiva e impartiva lezioni sui Turchi alla Penisola ed all’Europa intera. Non lascia indifferenti, questa ieraticità campeggiante di Solimano, il Magnifico, capace di riempire la scena. Però, a quale coro affidare tra gli stridori fanatici che allora e ancora frastornano il Levante e il Ponente con i proclamati scontri di civiltà, non bastassero le guerre!- quelle parole mai emesse dai “bestioni” giannizzeri, in fila, in silenzio rispettoso, a mo’ di frati, “maggiori” osservanti? Sarà la volta di G. A. Menavino da Genova, vissuto alla corte di Bayezid II (1481-1512). Il Menavino, incline a credere alla possibilità di convertire quegli infedeli, nella sua Vita et Legge Turchesca - apparsa a Firenze nel 1548 e continuamente riproposta nella seconda metà del Cinquecento in Venezia da F. Sansovino constatava, con un candore incredibile dato il clima, che i Turchi sono, «quali noi», mortali, della nostra stessa carne, creature di Dio, nutriti delle medesime nostre cose, per sostentare i loro corpi, umani. Poi c’è Lepanto, con la sua portata ingigantita, ma da circoscriversi nel monito che nessuna Armata sarebbe più stata invincibile. E Cervantes, là ferito, prigioniero in Algeri, che lascia illustrare da parte di Don Chisciotte l’esemplarità della Casata Ottomana, inaugurata da un umile capostipite, e adesso «nella grandezza che la vediamo». In modo siffatto il turbante, dipanato e riavvolto negli alti e bassi, nei balletti di relazioni talora tumultuose, sovente equilibrate, pacifiche, diventava un participio, presente, meditabondo, discosto dal testardo partito preso. Fino a giungere, dopo il sollievo e lo sdoganamento di Vienna (1683), al riconoscimento di una cultura ottomana, organica all’ecumene dell’islam e alle nostre radici tardoantiche. La Letteratura de’ Turchi di G. B. Donà (1688), e quella più corposa di G. Tode- rini (1787), veneziani raccontano di un incessante lavorio di raccolta di nozioni e conoscenze eventualmente positive sui Turchi, tuttavia filtrate, censurate, trattenute giusto in dogana, perché non avesse a divulgarsi insidioso un apprezzamento dei prodotti intellettuali di un Impero enorme, forte, confinante e pericoloso, sia pur retti da sovrani cristianissimi, cattolicissimi, cesarei, incombenti sulla fragile Laguna. Rossini e Romani nel Turco in Italia E’ vero, l’Orientalismo, con l’esotismo, avrebbe investigato, colonizzato l’Oriente, nella denun- cia di E. Said. Tuttavia, qui la falena di Rossini e Romani è ancora attratta dalla fiamma, fioca, delle suggestioni del Bosforo, traslato in un Golfo – quello di Napo- li - dove il Poeta sviluppa, annuncia l’intreccio sotto i nostri occhi. Pizzicando trame, sì, ma non allo scopo furbesco d’ingannare, bensì a quello più ingenuo che guida sul ciglio ai sentieri battuti. Vagheggiando la meta del luogo comune, in cui intendersi: Fiorilla «In Italia certamente…», Selim «In Turchia sicuramente…», e saremmo, almeno avverbialmente ed unilateralmente, alla pari, cioè tra di noi. Tal quale una piastrella che occhieggia qua e là sulla fodera del muretto nel partenopeo chiostro di Santa Chiara. Alludo alla tessera che a ben guardare raffigura «Un luogo solitario fuori di Napoli. Spiaggia di mare. Colle da un lato, sparso di casini di campagna che si vedono in lonta(cfr. nanza…», l’ambientazione dell’Atto Primo del Turco in Italia). Ben venga comunque a questa marina la barca di un simile Selim, gentiluomo che fa brecce nei cuori tediati dai gonzi, che canta di nostalgia, senza indurre ad invocare la Mamma, atterriti alla vista di corsari e razziatori, sempre all’opera. Giampiero Bellingeri Docente di Lingua e letteratura turca Università Ca’ Foscari, Venezia 10 Il Turco in Italia E’ Il compositore Il Giornale dei Grandi Eventi Gioacchino Rossini, una vita per la musica nello stesso anno, comla cittadina di pletò, sotto la guida del Pesaro che dette padre Mattei, i suoi studi i natali nel 1792 nel violoncello, nel piaal celeberrimo musicista noforte e nel cembalo. Fu e compositore Gioachino allora che cominciò a Rossini. comporre musica: iniziò, Il padre, Giuseppe Antoprobabilmente, con nio, “pubblico trombetun’aria buffa per soprata” (banditore del comuno dal titolo Se il vuol la ne di Pesaro) e la madre, molinara, seguita dalla Anna Guidarini, cantancantata Il pianto d’Armote, non contribuirono nia sulla morte d’Orfeo. molto alla formazione Sempre nel 1806 scrisse musicale del piccolo la sua prima opera: DeRossini, affidato spesso ai parenti in occasione dei frequenti spostamenti dei genitori per motivi di lavoro. Fu invece a Lugo che Rossini cominciò a trar profitto dagli insegnamenti di due buoni maestri, i fratelli preti don Giuseppe e don Luigi Malerbi, i quali lo avviarono allo studio del clavicembalo e anche del canto, in conside- Giuseppe Rossini, padre di Gioachino razione della bella voce rimetrio e Polibio, rapprevelata dal loro allievo. sentata però soltanto nel 1812. A Bologna il perfezionamento L’esordio teatrale musicale Quando la famiglia Rossini si stabilì a Bologna, dopo il 1804, il giovane Gioachino poté migliorare la sua formazione nelle discipline musicali e nelle materie classiche, grazie agli insegnamenti di padre Angelo Tesei, allievo del più celebre padre Mattei. Rossini divenne presto un ottimo suonatore di viola ed un valente accompagnatore al cembalo, ma la sua aspirazione era quella di diventare cantante e, come tale, fu acclamato all’unanimità “membro d’onore” dai componenti dell’Accademia Filarmonica di Bologna nel 1806. Al Liceo musicale bolognese, dove si era iscritto Il 1810 fu l’anno del suo esordio nel campo teatrale al San Moisé di Venezia, con La cambiale di matrimonio. A questo lavoro fecero seguito numerose opere buffe e, più tardi, anche serie e semiserie, nelle quali Rossini si rivelò dominatore incontrastato delle scene del teatro italiano. L’equivoco stravagante, L’inganno felice, La pietra del paragone, L’occasione fa il ladro, Il signor Bruschino, sono solo alcuni dei numerosi lavori comici. In questo periodo nel quale compose un’unica opera seria, il Ciro di Babilonia - le opere buffe o le farse avevano maggiore spazio e successo ed era quindi più facile per l’esordiente compositore ottenere più scritture. Tema centrale dell’opera buffa di Rossini è l’inadeguatezza dell’uomo di fronte agli eventi della vita o agli inganni, nei quali l’uomo stesso si trova, suo malgrado, coinvolto. La maturità artistica La maturità artistica arrivò per Rossini nel 1813, quando il compositore, appena ventenne, produsse due capolavori, uno di genere serio, Tancredi e l’altro comico L’Italiana in Algeri. In pochi anni, seguirono a questi lavori altre tre opere di grande successo: Il Turco in Italia, Il barbiere di Siviglia e La Cenerentola. Chiamato dall’impresario Barbaja a dirigere il San Carlo di Napoli ed altri teatri, Rossini si dedicò a questo punto alla produzione di opere serie. Il periodo napoletano (1815-1822) iniziò con l’ Elisabetta regina d’Inghilterra, cui seguirono Otello, Armida, Mosè in Egitto, Ricciardo e Zoraide, Ermione, La donna del lago, Maometto II, Zelmira. Si è molto parlato di riforma rossiniana, diretta a fondere le innovazioni del romanticismo (al quale il compositore si adeguò con difficoltà) con lo stile del bel canto del secolo precedente. Nel 1823 con il melodramma La gazza ladra e con l’opera Semiramide, Rossini concluse il suo lavoro in Italia, lavoro che ebbe l’effetto di ristabilire il dominio e il trionfo del bel canto che avevano caratterizzato il Settecento. Dopo la conclusione del rapporto con Barbaja e dopo il matrimonio, nel 1822, con la cantante Isabella Colbran, iniziò, per il compositore, fuori dall’Italia, un rinnovamento totale. Faticosamente in Francia Ai soggiorni a Vienna (1822) e in Inghilterra (1823-1824), seguì quello a Parigi, dove rimase per il resto della sua vita. Rossini si adattò faticosamente alla situazione artistica della Francia, che viveva in pieno romanticismo e dove la borghesia, attraverso la stampa e i canali finanziari, poteva guidare la Gioachino Rossini vita artistica dei teatri. Tuttavia l’attesissimo Guillaume Tell rappresentò l’adeguamento di Rossini al nuovo; l’opera in quattro atti si svolge e si basa su alcuni temi romantici: il tema patriottico, la presenza della natura, la vicenda d’amore impossibile tra Matilde e Arnoldo, senza però la rinuncia, da parte del compositore, alla concezione classica del teatro. Questa nuova opera, accolta senza grande entusiasmo, è divenne successivamente un classico del teatro. All’apice della gloria e ancora giovane, Rossini abbandonò il teatro. La ragione di questa decisione si può trovare nell’impossibilità del compositore di adeguarsi completamente alle nuove correnti artistiche. Iniziò in tal modo il cosiddetto “silenzio”, che fu però un periodo operoso e fecondo. Nel 1831 Rossini fu colpito da una forma grave di esaurimento nervoso e nel contempo si deteriorarono i suoi rapporti con la moglie Isabella. Egli trovò però comprensione e amore in Olimpie Péllissier, che incontrò nel 1832 e sposò nel 1845 (dopo la morte della Colbran), la quale si prese cura di lui e della sua salute. Superato questo periodo, Rossini scrisse la cantata Giovanna d’Arco e Soirées musicales, entrambe per voce e pianoforte. Fecero seguito l’inizio dello Stabat Mater (1841) e un gran numero di composizioni raccolte in quattordici fascicoli con il titolo di Péchés de vieillesse: sono pezzi vocali, per pianoforte, per strumenti vari o per coro, non destinati alla pubblicazione, ma solo all’esecuzione in privato nel salotto parigino del compositore. Emergono da questi brani vari passaggi psicologici come la nostalgia del passato, la fatica di adeguarsi al presente o la visione negativa del futuro. Rossini riprese infine e completò lo Stabat Mater e diede vita, nel 1863, al suo ultimo capolavoro: la Petite messe solennelle, che orchestrò superando il pensiero del romanticismo, al quale non si era mai adeguato completamente ed anzi anticipando il Novecento con una nuova concezione timbrica del suono. Morì nella villa di Passy, nei pressi di Parigi, nel 1868 e riposa attualmente in Santa Croce a Firenze, dove la salma fu traslata nel 1887. Claudia Fagnano Il Il Turco in Italia Giornale dei Grandi Eventi I 11 Rossini dietro la partitura Forme e strutture del teatro comico l Rossini serio e il Rossini comico costituiscono due facce perfettamente complementari l'una dell'altra di un artista geniale. Il Rossini più innovativo fu certamente quello del settore serio, senza sminuire l'eccezionale contributo da lui dato al settore comico. Ma va ricordato che questo filone del teatro italiano, sviluppato in modo considerevole nella seconda metà del Settecento, fu da Rossini portato ai massimi sviluppi, e, nello stesso tempo, al suo esaurimento. Dopo il Pesarese avremo rare, felici escursioni nel comico: pensiamo, naturalmente, citando le più popolari, a L’elisir d’amore e a Don Pasquale di Donizetti. Il repertorio buffo rossiniano, dunque, appare come un sorprendente monumento, quasi fine a se stesso. Al contrario, nel settore serio sarebbe difficile immaginare i capolavori donizettiani e verdiani senza la precedente esperienza rossiniana. Il Rossini comico si inserisce in un itinerario già ampiamente percorso dai suoi immediati predecessori per quanto concerne argomenti, tipologia dei personaggi, situazioni. Il suo merito sta nell'aver portato alla perfezione il genere facendo tesoro della esperienza altrui. Struttura e contenuti Nel teatro comico rossiniano possiamo distinguere fra due generi: la farsa in un atto e l’opera comica detta anche melodramma giocoso, dramma giocoso, dramma buffo, commedia, in due atti, nella quale, dal punto di vista drammaturgico, il primo atto propone l’aggrovigliarsi della situazione che esplode nel concertato finale, momento clou della confusione; il secondo atto, più o meno rapidamente, porta allo scioglimento di ogni intreccio. L’opera è preceduta da una Sinfonia e si articola nelle cosiddette “forme chiuse” che hanno caratterizzato, pur nella loro ovvia evoluzione strutturale ed espressiva, tutto il teatro italiano del Settecento e di gran parte dell’Ottocento. Il primo atto si apre in genere con una articolata Introduzione e si chiude con un ampio e complesso finale, mentre il secondo può terminare con un concertato o con un rondò o un’aria virtuosistica della primadonna (pensiamo a Cenerentola). Fra inizio e fine trovano collocazione le citate forme chiuse: cavatine (ovvero le arie di sortita); arie (bipartite, tripartite o strofiche a mo’ di canzoni); recitativi secchi, raramente accompagnati; interventi corali; concertati: duetti, terzetti, quartetti, quintetti, sestetti, in genere bipartiti. L'Ouverture ha la funzione di bloccare il pubblico sulle poltrone. Al contrario di quanto avevano fatto in precedenza Gluck e Mozart, non esiste quasi mai legame con l'opera. Spesso addirittura Rossini usò la stessa Sinfonia per più opere: quella del Barbiere di Siviglia era stata scritta per l'opera seria Aureliano in Palmira e poi riciclata in Elisabetta regina d'Inghilterra. Formalmente le Sinfonie rossiniane hanno, per la maggior parte, la seguente struttura: una breve Introduzione; un primo e secondo episodio Allegro (A in genere con prevalenza degli archi; B con un maggior dominio dei fiati) e un primo “crescendo”; una ripetizione del tutto; un conclusivo e più trascinante “crescendo”. quella seria. Basta pensare all’uso geniale che ne fece Mozart. In gran parte delle opere comiche, le situazioni che vengono generandosi da equivoci, travestimenti, tentativi di inganni, sparizioni e riapparizioni inducono nei protagonisti due diversi stati d’animo: prima lo sbigottimento, lo stupore; poi la confusione, la reazione irrazionale. A tali sentimenti corrispondono due diversi tipi di concertati certamente non “inventati” da Rossini ma che ebbero in lui un cultore straordinario. La sorpresa costituisce una categoria ben presente nel teatro rossiniano con esiti musicali e comici a volte straordinari. Si pensi al finale del primo atto del “Barbiere”. Di fronte allo sbigottito Don Bartolo cantano gli altri personaggi «Fredda e immobile come una statua ecc.». E il discorso si struttura con entrate a canone in un’atmosfera sospesa perché in genere il concertato di stupore è una riflessione (la nuvoletta dei fumetti) intima dei personaggi, non un dialogo. Un altro esempio, forse il più straordinario è in Cenerentola il sestetto «Questo è un nodo avviluppato» mirabilmemte giocato sull’assurdità delle parole con una insistenza sul “gr” di “gruppo”, “sgruppa” e “raggruppa”. Nel “concertato di confusione” Rossini gioca invece su autentici scioglilingua, imprimendo al discorso (spesso costruito con entrate a imitazione delle varie voci) un’accelerazione ritmica vorticosa: basta ricordare i finali di primo atto del Barbiere di Siviglia e de L’Italiana in Algeri. I concertati, o pezzi d’insieme, costituiscono uno dei meccanismi fondamentali nell’opera comica prima ancora che in Il crescendo è uno degli aspetti caratteristici della musica rossiniana. Non è un'invenzione del Pesarese: già Simone Mayr ne L’Ouverture I Concertati Il crescendo aveva fatto uso. Ma Rossini lo portò al massimo sviluppo. Il segreto della riuscita consiste nella perfetta strumentazione: il passaggio progressivo dal piano al fortissimo avviene attraverso il dilatare simmetrico “per ottave” dell'orchestra e si appoggia non tanto sull'aumento generale di intensità sonora di tutto lo strumentale, quanto sull'entrata graduale degli strumenti, sul crescere di volume della scansione ritmica sino allo scoppio generale. Il crescendo trova applicazione non solo sul piano strumentale, nelle Sinfonie, ma anche in campo vocale, nei concertati come nelle arie. L’esempio più interessante è costituito dalla celebre “aria della calunnia” intonata da Don Basilio nel Barbiere di Siviglia. La cavatina o la presentazione dei personaggi Se Mozart (ma anche Cimarosa) aveva evitato la presentazione dei personaggi attraverso un’aria di sortita preferendo introdurli in più dinamici e spettacolari duetti e terzetti, Rossini tornò all’antico, gestendo tuttavia le arie di presentazione con una verve straordinariamente brillante. Se è dunque vero che sul piano propriamente drammaturgico si fa un passo indietro per ritrovarsi ad avere un solo personaggio in scena in una situazione essenzialmente statica; è però altrettanto vero che la dinamicità della scena è tutta musicale, sta nel ritmo, nelle acrobazie virtuosistiche, nella comicità della situazione che queste arie suggeriscono. Le due più famose cavatine rossiniane sono probabilmente quelle del “Barbiere”, «Largo al factotum» con cui facciamo la conoscenza di Figaro e «Una voce poco fa» che ci presenta invece Rosina. In quest’ultima pagina, troviamo una struttura bipartita (alquanto comune in questo genere di arie): una parte iniziale (Una voce poco fa) più lenta e una seconda parte (Io sono docile) più brillante nella quale i virtuosismi rendono perfettamente il carattere capriccioso del personaggio. E qui emerge un altro aspetto interessante. Rossini fu fra i primi compositori, se non il primo, a scrivere gli abbellimenti il che ebbe non poche conseguenze importanti. Fino all’epoca di Rossini gli abbellimenti erano “terra di conquista” dei cantanti che ornavano a loro discrezione sfruttando qualsiasi opportunità per mettere in mostra la loro bravura, anche con scelte “antimusicali”. E’ noto che fra i motivi della crisi dell’opera nel Settecento, al centro di molte dispute e querelles, c’era proprio la eccessiva libertà dei divi di allora, castrati e soprani. Dal momento però che il belcantismo aveva un proprio punto di forza nel virtuosismo e nell’edonismo, una reazione in senso limitante da parte dei compositori (Rossini incluso) era non solo fuori luogo, ma anche estranea al gusto dell’epoca. Rossini cominciò, dunque, a “consigliare” (e per molto tempo molti cantanti si guardarono bene dal dargli retta) un particolare utilizzo dell’abbellimento conseguendo, a medio e lungo termine due obiettivi fondamentali: indirizzare le scelte virtuosistiche degli interpreti e fare dell’abbellimento non più un elemento esteriore, ma una componente espressiva della stessa scrittura vocale. Ecco, dunque, che i gorgheggi di Rosina nella citata cavatina non costituiscono un esibizionismo tecnico fine a se stesso, ma rendono appieno il carattere volitivo e prepotente del personaggio. Roberto Iovino 12 Il Turco in Italia M Il sarcasmo di un vecchio uomo di mondo Il Giornale dei Grandi Eventi Le devastanti battute dell’ironico Rossini usicista brillante, Rossini ebbe fin da ragazzo il dono della battuta pungente. Un giorno un giovane autore gli fece ascoltare una sua cantata e gliene chiese un giudizio. La risposta fu fulminante: «Nella vostra opera c’è del bello e c’è del nuovo. Peccato che il bello non sia nuovo e il nuovo non sia bello». Ed a proposito del Lohengrin ascoltato a Parigi, li Pesarese commentò: «Non si può giudicare il Lohengrin al primo ascolto. E certamente non intendo ascoltarlo una seconda volta». Le battute di Rossini non risparmiavano neppure i grandi cantanti che dovevano subire e chinare il capo di fronte alla grandezza dell’artista. Nel 1831, al Théâtre Italien, Maria Malibran interpretò La gazza ladra aggiungendo alcune variazioni non scritte da Rossini. Dopo la recita il musicista si complimentò con lei: «Brava! Bravissima! Di chi è la cavatina che avete cantata?» «Bella domanda! – rispose la Malibran – non è musica vostra?». «Io – replicò Rossini – non ricordo di aver composto un simile aborto». Anche il celebre tenore Rossini in una caricatura Enrico Tamberlick incorse nella ironia del compositore italiano. Gilbert Duprez, tenore francese che aveva debuttato nel 1825 nel Barbiere di Siviglia, aveva introdotto un “do di petto” nel «Suivez moi» del Guglielmo Tell. Così, Tamberlick, per non essere da meno, nel finale dell’Otello, decise di inserire un “do diesis” al posto del “la” scritto da Rossini. Una sera il domestico di casa Rossini annunciò al compositore l’arrivo di Tamberlick. «Fatelo entrare – rispose il musicista - ditegli però che lasci il “do diesis” all’attaccapanni. Lo riprenderà nell’uscire». L’umorismo rossiniano è riscontrabile natural- mente anche nella sua musica. Non solo nello straordinario repertorio di opere comiche, ma anche nella più contenuta raccolta di musica da camera. Rossini si considerava un pianista di quart’ordine, ma ha lasciato pagine di fresca inventiva, punteggiate qua e là da didascalie assurde e divertenti. Così è per Un petit train de plaisir e per Quatre Mendiants e Quatre hors d’œuvres. Da ricordare ancora il simpatico brano pianistico dedicato ad uno jettatore e diteggiato 2 e 5 e, infine il buffo Duetto dei gatti. Roberto Iovino Gastronomia Rossiniana La grande passione del Maestro per fegato d'oca e tartufi S ebbene afflitto da diverse malattie all'apparato digerente, Rossini fu un appassionato cultore dell'arte culinaria e sappiamo che egli era solito prendere regolarmente lezioni dal celebre cuoco Carême di Parigi. In realtà, più che un inventore di nuovi aromi e sapori, il Cigno di Pesaro fu un eccellente variatore di ricette: la sua attività preferita era quella di aggiungere qualche nuovo elemento a piatti di base. Elementi fondamentali delle sue "variazioni sul tema" erano il fegato d'oca apprezzato nei viaggi a Parigi e il tartufo, questo rigorosamente nero del Perigord che preferiva a quello B i a n c o d’Alba dal “riprovevole gusto agliato”. Di ricette autenticamente rossiniane rimangono poche tracce: un'insalata, delle uova strapazzate con fettine di fegato d'oca e tartufo, qualche dolce. Numerosissime invece furono le ricette ispirate al compositore, il cui nome rendeva immediatamente celebre la pietanza; è il caso dei bouchées alla Rossini, bocconcini di carne di pollo, lingua scarlatta, prosciutto cotto e parmigiano e dei celebri tournedos alla Rossini, medaglioni di filetto di vitello cotti al burro, con l'immancabile accoppiata di fegato d'oca e tartufo. Quello che Rossini conosceva molto bene era, piuttosto, l'acco- stamento tra il vino e i cibi; questa sua abilità è testimoniata dai m o l t i m e n ù elaborati da lui stesso per i s u o i pranzi. Nei manoscritti figurano, di solito, non meno di una decina di pietanze e una lista di almeno sei vini pregiatissimi tra cui l'onnipresente "Champagne", sempre di ottima qualità. Rossini era un enologo molto competente, esperto dei problemi inerenti la vinificazione e la conservazione del vino. A proposito di vino, è ricordato un episodio legato al barone de Rotschild; questi nel 1864 inviò a Rossini dell'uva proveniente dalle sue vigne e il pesarese gli rispose: "Grazie! La vostra uva è eccellente, ma non mi piace il vino in pillole." Colpito dallo spiritoso biglietto, il barone spedì al maestro un barilotto del suo migliore Château -Lafitte. A. C. Il Giornale dei Grandi Eventi «S Il Turco in Italia 13 Una curiosa richiesta del musicista al Pontefice Pio IX, Rossini ... e le donne in chiesa antità, facciamo cantare le donne in chiesa... ». Esce dagli archivi segreti del Vaticano la lettera che Gioacchino Rossini, scrisse nell'aprile del 1866 a Pio IX per chiedere, appunto, che «il gentil sesso possa portare nel sacro rito quel contributo che giovi alla divozione del genere umano». La richiesta, allora respinta, divenne realtà cento anni dopo: ma chissà se Rossini sarebbe soddisfatto della musica che echeggia oggi nelle Basiliche e nelle chiese. ... Una sola lettera, molto lunga, scritta in latino e donne di cantare nelle corali che prestavano servizio nel rito liturgico. «Potrei io mai acconsentire di sentire cantare le mie povere note da ragazzetti stonatori di prima classe, piuttosto che da femmine che, educate ad hoc?». E così prosegue: «Se mi fosse dato di abitare in Vaticano con voi, caro Liszt, mi getterei ai piedi dell’adorato Pio IX per intercedere la grazia di una nuova bolla che permettesse alle donne di cantare in chiesa unitamente agli uomini...». Liszt non si meravigliò della lettera di Rossini: gli rispose di portare avanti in tutta trova la musica anche in Chiesa: « Mi sia dunque lecito, o benignissimo Padre, di prostrarmi ai gradini dell'Apostolico soglio, e di ottenere con larghe preghiere, che per azione gloriosa della Santa Vergine Immacolata e su ispirazione del Paraclito, elargiate al devoto sesso femminile quel che giovi alla divozione del genere umano nella riunione della comunità cristiana». Nella sua lettera Rossini sembra anche dare un giudizio non del tutto positivo sui cosidetti “falsettoni” o “evirati” che «snaturano» le partiture di Palestrina, del Vittoria, di Marcello, di Anerio, di Durante». La risposta del Papa Gioachino Rossini in latino firmata «Joachim» Rossini fu inviata direttamente al Papa, che volle trattare Rossini alla stregua di un Sovrano e pertanto rispose, personalmente, in latino. Una vicenda singolare Prima di inviare la missiva a Pio IX, Rossini chiese consiglio al «veneratissimo abate e amico diletto Franz Liszt». Gli scrisse per informarlo di avere musicato una “Messa da gloria” ma si rammaricava perché non avrebbe potuto essere eseguita in chiesa in quanto una bolla pontificia vieta alle tranquillità la sua iniziativa. Chissà, forse Pio IX... Chi legge la straordinaria lettera ha l'impressione di trovarsi di fronte proprio ad un “crescendo” rossiniano. Nella lettera Rossini esordisce con i convenevoli e prosegue con una convinta professione di fede cattolica, prendendosela anche con gli eretici. Si congratula poi con il Papa per la proclamazione del dogma della Immacolata Concezione, riparla ancora dei mali del mondo e scivola, piano piano, a trattare della triste condizione in cui si Pio IX (le cronache dicono che conoscesse ed apprezzasse le opere di Rossini) rispose, in latino, il 14 maggio 1866, ringraziando il musicista come «esimio cultore e maestro della divina arte». Il Papa nella lettera si congratula per l'accenno da lui fatto al Dogma della Immacolata Concezione, parla dei tempi «calamitosissimi» e degli uomini «empi i quali non cessano di fare una spaventosissima guerra alla nostra santa religione» e, quindi, viene al punto. Pio IX si richiama subito al Concilio di Trento che «inculca ai vescovi di tener lontano dalla Chiesa quelle musiche nelle quali sia all'organo sia al canto si mescoli qualche cosa di lascivo o di impuro». E prosegue: «La musica sacra è stata inventata non per sedurre i sensi e, per cosi dire, per riempirli di piacere ed effeminarli con la melodia molle e dolce, ma per spingere le menti degli ascoltatori verso la religione, con gravità unita a soavità, ed attirare molti a celebrare riti divini anche grazie a questo appagamento delle orecchie». Il Papa nel suo scritto non cita mai la parola “mulieres” e cioè “donne”, ma dal contesto lascia capire, chiara- Papa Pio IX mente, che non è possibile farle cantare in chiesa. Rossini, infatti, capì subito...l'antifona: il richiamo al Concilio di Trento e altre spiegazioni dicevano che la sua richiesta non poteva avere alcun seguito. E Liszt, dopo aver incoraggiato Rossini a scrivere la lettera a Pio IX, si pose su un atteggiamento meno entusiastico e di piena sottomissione al Papa. In data 21 giugno Rossini, sconsolato, scriveva all'amico abate Ferrucci, il latinista che aveva redatto in forma definitiva e tradotto nella lingua della Chiesa la sua lettera: «Il nostro Santo Padre in risposta alla nostra magnifica lettera mi riscontrò; mi offerse benedizioni e cose tenere, ma la Bolla tanto da me desiderata restò (lo penso) nel suo cuore. Povera musica religiosa!!». Doveva passare più di un secolo perché il desiderio di Rossini potesse avverar- si. Anche Pio X, il grande riformatore della disciplina della musica sacra ricondotta ad un livello di preghiera e di implorazione, sancì che le donne non potessero far parte di cantorie miste: se c'era bisogno di voci “bianche” bisognava ricorrere a quelle di ragazzi. E Lorenzo Perosi, del quale Pio X, era stato mecenate, dimostrò chiaramente, con le sue composizioni per la Cappella Sistina, della quale era stato nominato direttore, che le voci dei “pueri” si addicevano benissimo alla musica sacra. I tempi sono cambiati: oggi le cantorie miste cantano nelle Chiese. Una corale di uomini e donne rende solenni le cerimonie e i riti anche in San Giovanni in Laterano, che è la cattedrale del mondo cattolico. Arcangelo Paglialunga Vaticanista 14 Il Turco in Italia Il Giornale dei Grandi Eventi La Turchia e l’Europa La grande aspirazione turca di essere pienamente europea E ra il 31 Luglio 1959 quando la Turchia presentò domanda di associazione con la allora CEE. Erano appena passati due anni dalla creazione “mercato comune” e ciò dimostra come fin da l’inizio la Turchia ebbe aspirazioni europee. Nel 1995, per l’Europa a 15 paesi membri, entrò in vigore l’Unione doganale e nel 1997 cominciò il processo d’adesione di altri 10 paesi, compreso Cipro. In questa occasione si riconobbe l’eleggibilità della Turchia. Ven- tualità, mettendo in luce come il problema non fosse mai stato affrontato in modo accurato. Si è notato così che la questione turca, per la complessità che da sempre caratterizza quel Paese, andrà ad influire in maniera importante sugli attuali equilibri dell’UE. Questa convinzione scaturisce dal costatare la diversità degli argomenti affrontati, a favore o contro, nel momento in cui si discute di adesione turca: situazione geopolitica, popolazione a carattere musul- nero effettuati reports annuali sull’andamento dei progressi compiuti nella prospettiva di un’adesione che si basava sui criteri definiti al Consiglio Europeo di Copenhagen del 1993. Le profonde modifiche ed i cambiamenti radicali che si osservarono nella società turca in tutti i suoi aspetti, ebbero come conseguenza che la Commissione fissasse il 3 ottobre 2005 come eventuale data per cominciare i negoziati d’adesione. mano, economia non in linea con i criteri europei, rispetto dei diritti fondamentali, la questione kurda e di Cipro, le risorse energetiche e le tensioni demografiche interne; ma ancora il peso politico che acquisterebbe la Turchia nel processo decisionale europeo. Tante incognite che spaventano oggigiorno il cittadino europeo. La questione dell’adesione turca si colloca in una fase storica delicata, e per certi versi cruciale. I cittadini europei hanno il sentimento di un allontanamento delle istituzioni europee, non riuscendo più a riconoscersi nel loro operato, di questa Unione artificiosa, varata e gestita in maniera lontana dai cittadini. Ci troviamo di fronte ad una situazione nella quale lo “status quo” europeo rischia di smussare Perplessità diffuse dell’opinione pubblica Come si vede, la storia che lega la Turchia e l’UE è stata lunga e il processo d’avvicinamento ha richiesto molto tempo. Malgrado questo, l’opinione pubblica è stata sorpresa da questa even- ogni margine di discussione. Il risultato negativo in Francia e Olanda del referendum sulla Costituzione (che in Italia, con buona pace della democrazia, non è stato fatto) non era un no all’Europa, ma piuttosto un no all’Europa a 25; la questione turca potrebbe essere fraintesa allo stesso modo e per tanto vanificata. Perché la Turchia nella Unione Europea Ma quali sono le ragioni per le quali l’Europa, a più riprese nel corso del tempo, si è impegnata ad aprire le proprie frontiere alla Turchia in un momento di grave crisi dell’istituzione comunitaria? Quali sono le ragioni che spingono, nonostante tutto, Bruxelles e Strasbourg a continuare un processo di adesione che ai più sembra fallito prima ancora di cominciare? Per quanto concerne le credenziali europee del Paese, la Turchia è uno Stato eurasiatico, la sua cultura e la sua storia sono saldamente intrecciate con l’Europa, possiede un forte orientamento europeo e una vocazione europea che per decenni i governi europei hanno riconosciuto. La demografia turca, fino ad oggi caratterizzata da alti tassi di crescita della popolazione e attualmente in rapida diminuzione, garantirebbe all’Europa quel innesto di lavoratori di cui ha fondamentale bisogno. Essa permetterebbe un riequilibrio del rapporto tra popolazione attiva e inattiva alleggerendo la pressione sul sistema pensionistico e previdenziale. La presenza della Turchia nell’UE eliminerebbe di fatto l’idea di “cittadella Cristiana” del Vecchio Continente ed agevolerebbe l’integrazione culturale e religio- sa, integrazione, che però, nei fatti non gradita a gran parte della popolazione europea. Approfondendo l’argomento migratorio e rispondendo a chi teme “invasioni” di immigrati, Nicholas Hopkinson, fa preMustafa Kemal Ataturk, padre della sente che l’espe- moderna Turchia rienza europea dimostra il contrario. si in un contesto geopoliIn effetti, rievocando le tico di primo piano. Un altre adesioni nel corso nuovo ruolo internaziodella storia della Comunale potrebbe consolidanità Europea, afferma ed re le dinamiche rivolte argomenta che queste alla creazione di una pomigrazioni non si sono litica europea unita e mai verificate. Facendo il coesa. paragone con gli altri Forse l’aspetto più signiPaesi che hanno aderito ficativo è rappresentato e che avevano una condallo sforzo continuo dizione economica arrefatto dalle istituzioni turtrata simile a quella turche per allineare il proca, sottolinea come le miprio Paese ai criteri eurograzioni siano avvenute pei. Va inoltre ricordato sempre nel periodo preche il processo di adesiocedente all’adesione e ne turco, cominciato orcome esse abbiano invermai tanto tempo fa, è tito la tendenza nel molontano dall’essere termento in cui si compiva minato. I prossimi 10 anl’adesione stessa. Queni saranno decisivi, e solsto, afferma Hopkinson, tanto nel caso in cui tutti era dovuto all’aspettatii parametri di converva di crescita interna che genza, da quello finanaccompagnava i paesi al ziario a quello dei diritti momento dell’adesione. umani, saranno rispettaLe preoccupazioni che ti, la Turchia farà parte l’adesione della Turchia dell’Unione Europea. suscita a livello demoChiaramente a questi grafico, sono quindi in vantaggi devono somparte immotivate in marsi gli interessi turchi quanto non è tanto il poderivanti da un integrapolo turco ad emigrare, zione che sarebbe storiquanto piuttosto le poca e contrapporre i ripolazioni dell’area circoschi e le preoccupazioni stante che tendono a che potrebbero generare transitare in Turchia con l’adesione turca.. Il riil fine di arrivare in Euschio è quello di far preropa. Rifiutando l’adecipitare la UE in una crisione della Turchia, non si di credibilità dalla si salvaguarderebbe quale sarebbe difficile l’Europa da questi flussi uscire. Ci si rende conto migratori, in quanto la di come l’ingresso della Turchia stessa non Turchia nella UE sia intiavrebbe nessun motivo mamente legato al futuad ostacolarli. ro stesso dell’Unione e Il problema si sposta di come ci sia bisogno di dunque, più correttarivedere alcuni aspetti mente, sulle possibilità del funzionamento eudi controllo delle frontieropeo al fine di riavvicire turche. Questo intronare opinione pubblica e duce un nuovo ruolo poistituzioni. litico e militare che l’UE acquisterebbe trovando- Stefano Silvi Il Cultura Giornale dei Grandi Eventi P 15 Novità in libreria nel 250° anniversario della nascita (2) Mozart, vita quotidiana di un genio rosegue la rassegna delle edizioni in mostra sugli scaffali delle librerie in occasione del 250° anniversario della nascita di Mozart. Se nello scorso numero Il Giornale dei Grandi Eventi (La leggenda di Sakùntala N° 28/2006) si è dedicato ai titoli che sembrano assecondare i gusti degli spettatori di fiction e reality show, questa volta lo zapping nel palinsesto delle novità è alla ricerca dei programmi di approfondimento. A datto alla riduzione per una prima serata di divulgazione culturale potrebbe essere il saggio Mondadori Mozart massone e rivoluzionario, in cui la musicologa Lidia Bramani spiega come il compositore, notoriamente legato alle logge viennesi, avesse in animo la costituzione di una società segreta ispirata ai valori massonici. Da questa accattivante proposta, basata su una ricchissima documentazione, escono un complesso ritratto dell'uomo illuminista, moderno, colto e progressista che Mozart rappresentò nella società dell'epoca ed il contrasto rappre- sentato da quell'artista che riusciva nello stesso tempo a presentarsi come libertario anticlericale, ma anche a trasmettere una visione sacrale dell'esistenza attraverso la musica. Le considerazioni dell'Autrice sono, inoltre, rivolte all'evolversi delle idee sull'etica, la politica, l'esoterismo e l'alchimia che si possono evincere dalla lettura della produzione musicale, specialmente delle ultime opere. Il volume è completato da un vasto apparato di note e dall'indice dei nomi (L. BRAMANI, Mozart massone e rivoluzionario, Milano, Paravia Bruno Mondadori Editori, 2005, pp. 480, isbn 88-424-9128-4, € 30,00). U n documentario di seconda serata potrebbe essere, invece, l'analisi della maturazione di Mozart nella società del suo tempo, che emerge dalla raccolta postuma dei dattiloscritti di Norbert Elias, tradotta in italiano da Rossella Martini, ed ora ristampata per i tipi del Mulino. La vicenda esistenziale e la complessa per- sonalità del genio di Salisburgo sono spiegate dal sociologo tedesco come un'invocazione di amore, mentre le leggende romantiche fiorite sulla vita e la morte in una società disumana come l'espressione di un'Europa non ancora civilizzata. Mozart, dunque, non fu solo un genio, ma anche profondamente uomo, il cui destino personale sarebbe stato assai condizionato dalla sua condizione sociale e le sue contrastanti aspirazioni influenzate da un'impossibile ricerca della libertà. Il libro è preceduto dall'introduzione di Giorgio Pestelli e completato con un'appendice sul piano dell'opera ed una postfazione del curatore (N. E LIAS, Mozart. Sociologia di un genio, a cura di M. S CHRÖTER , Bologna, Il Mulino 2005, pp. 162, isbn 88-15-109595, € 12,00). A d indagare sull'intrigante dicotomia fra l'uomo e l'artista, infine, lo stesso musicista: scherzoso e profondo, triviale ed intimista, fuori dagli schemi ma schiavo delle apparenze. Così si presenta Mozart in un talk show notturno, ovvero nella scelta dei Briefe pubblicati in quattro volumi negli anni Sessanta, tradotti in italiano nel 1981 ed ora disponibili nella nuova edizione Guanda. Ne emergono la figura di un artista che, usando insieme parole crude e tenere, sembra solo assecondare il suo istinto naturale e la sua indole fanciullesca e sfogare la sua timidezza con l'aggressività, il nervosismo con l'allegria; una quotidianità delirante che appare dissociata dalla purezza delle opere musicali, ma che prende forma, suono e colore proprio attraverso le vivaci battute del protagonista; una personalità che trasmette qualcosa di inquietante, complesso, fortemente umano, capace di risvegliare nel lettore sensazioni, sentimenti e passione per la vita. Il volume raccoglie oltre cento delle 356 missive inviate dal compositore nel periodo fra il 1769 al 1791, oltre ad alcuni scritti dei suoi interlocutori. Preceduto dalle introduzioni di Enzo Siciliano e della curatrice Elisa Ranucci, oltre a garantire una piacevole lettura è dotato di biografia e buoni indici che permettono di consultarlo anche per la ricerca (W.A. MOZART, Lettere, a cura di E. RANUCCI, Parma, Ugo Guanda Editore, 2006, pp. 339, isbn 888246-907-7, € 16,50). I nfine, è paragonabile ad un videoclip la traduzione curata da Alberto Bracci Testasecca di Ma vie avec Mozart dello scrittore francese Eric-Emmanuel Schmitt, pubblicato dalle Edizioni e/o. Un breve romanzo epistolare, in cui un quindicenne scrive lettere a Mozart e ne riceve in cambio brani di musica. Così, interrogandosi su se stesso, la vita, i grandi sentimenti ed i massimi sistemi del mondo, il ragazzo esce dall'adolescenza e cresce accompagnato dalla musica di Mozart. Una sorta di guida all'ascolto, dunque, dotata di un compact disc che riproduce brani di opere celebri, come Le Nozze di Figaro, Così fan tutte, Il Flauto magico, oltre ad estratti di concerti e musica religiosa, fra cui il famosissimo mottetto "Ave verum corpus" (E.-E. S CHMITT , La mia storia con Mozart, Roma, Edizioni e/o, 2005, pp. 123 + cd, isbn 88-7641-6803, € 19,50,). E.C.A. Jack Kerouac C ROM A . U N G R A N D E V I A G G I O. Scopri il suo spazio interno, il più grande della categoria, affidati alla sua sicurezza certificata 5 stelle EuroNCAP, ascolta i motori Multijet da 200, 150 e 120 CV tutti con filtro AntiParticolato. www.fiat.it Perché con Croma non è importante solo dove vai, ma come ci arrivi. Tratto da Sulla strada di Jack Kerouac, Arnoldo Mondadori Editore Consumi: da 6,1 a 9,7 l/100 km (ciclo combinato). Emissioni: CO2 da 160 a 229 g/km. DOBBIAMO A N D A R E E NON FERMARCI F I N C H É N O N S I A M O A R R I VA T I . DOVE ANDIAMO? NON LO SO, MA DOBBIAMO A N D A R E .