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LIVE RECORDING
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ATTILA
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LIVE RECORDIN G
ATTILA
Giuseppe Verdi
(Busseto, 1813 - Milan, 1901)
Dramma lirico in one prologue and three acts
Libretto by Temistocle Solera
ATTILA: Orlin Anastasov
ODABELLA: Radostina Nikolaeva
EZIO: Ventseslav Anastasov
FORESTO: Daniel Damyanov
ULDINO: Plamen Papazikov
LEONE: Dimitar Stanchev
ORCHESTRA AND CHORUS
OF THE SOFIA NATIONAL OPERA
CONDUCTOR: Alessandro Sangiorgi
DIRECTOR: Plamen Kartaloff
SET DESIGNERS: Plamen Kartaloff, Boris Stoynov
COSTUME DESIGNER: Lyubomir Yordanov
ASSISTANT DIRECTOR: Vera Petrova
CHORUS MASTER: Violeta Dimitrova
FILMED BY: TV1
VIDEO DIRECTOR: Plamen Kartaloff
SOFIA NATIONAL OPERA
BULGARIA
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ITALIANO
N el catalogo delle opere verdiane,
Attila,
rappresentato per la prima volta al Teatro la
Fenice di Venezia nel 1846, occupa, cronologicamente, il nono posto, collocandosi tra
l’Alzira (Napoli, San Carlo, 12 agosto 1845)
e il Macbeth (Firenze, Teatro alla Pergola, 14
marzo 1847). Alla F enice Verdi aveva trionfato, appena due anni prima, nel marzo del
1844, con l’Ernani, su libretto (primo di una
lunga serie a venire) di Francesco Maria
Piave, a quel tempo giovane e ancora abbastanza inesperto “poeta” stabile del teatro
lagunare: la commissione di una nuova
opera per la stagione 1845/6 era stata la
naturale conseguenza di quel successo.
Per il soggetto della nuova opera, V erdi si
orientò sul dramma di un autore tedesco,
l’Attila, König der Hunner (Attila, re degli
Unni) di Zacharias Werner (1808), nel quale
“aveva trovato quel genere di romanticismo
pittoresco, un po’ d’accatto nei motivi
medievaleggianti, corruschi e ricchi di atteggiamenti plateali, che correvano nel sottobosco teatrale tedesco e che parevano fatti
apposta per diventare libretti d’opera. Al
solito, l’originale offriva una sceneggiatura
già pronta, da sfrondare e da verseggiare
secondo gli schemi rituali del melodramma”
(Claudio Casini). Il soggetto era semplice e
di un’efficacia e grandiosità quasi primitive,
adattissime dunque alle corde del giovane
Verdi. Forse fu per questo motivo che il
compositore, dopo aver comunicato le idee
del nuovo soggetto a Francesco Maria
Piave, decise improvvisamente di cambiare
librettista e di affidarsi al più esperto
Temistocle Solera, l’autore di
Oberto,
Nabucco, I Lombardi alla prima crociata e
Giovanna d’Arco. Fu una scelta infelicissima
perché Solera, dopo aver steso la trama del
libretto e verseggiato il prologo e i primi due
atti, nell’agosto del 1845 se ne fuggì in
Spagna. Qui si diede per qualche tempo
all’attività di impresario teatrale al seguito
della moglie, il soprano Teresa Rosmini,
lasciando Verdi nelle peste, ma autorizzandolo a rivolgersi, se lo riteneva necessario, a
Francesco Maria Piave. Da quell’uomo
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modesto e devoto al compositore che era,
Piave si sobbarcò serenamente il compito di
portare a termine l’ultimo atto del libretto,
ma, su suggerimento di Verdi, sostituì il finale corale previsto da Solera con uno scontro
tra i protagonisti.
N onostante le difficoltà che ne avevano
visto la nascita, il libretto trovò alla fine la
piena approvazione di Verdi, che in una lettera a Léon Escudier, suo editore francese,
non riuscì a trattenere il suo entusiasmo per
il nuovo lavoro che si accingeva a compiere: “A giorni comincerò l’ Attila per Venezia,
che è un soggetto stupendo… Come sarebbe bello l’Attila pel Grand Opéra di Parigi! Vi
sarebbero soltanto da aggiungere poche
cose, e tutto il resto andrebbe bene”.
Analoghe considerazioni furono espresse in
quei giorni anche al librettista romano
Jacopo Ferretti: “Sono occupatissimo per
l’Attila! Oh, il bel soggetto! Ed i critici potran
dire quel che vorranno, ma io dirò: Oh il bel
libretto musicabile!”.
Il “bel soggetto”, così come Solera era venuto rielaborandolo, costituiva senza dubbio un
completo stravolgimento della tragedia di
Werner, che Julian Budden ha giustamente
definito “un’incredibile farragine teutonica”.
Solera, patriota convinto, aveva capito che il
vento stava ormai tirando dalla sua parte, e si
era dunque adoperato per far sì che nell’opera comparissero impliciti ma chiarissimi
appelli all’irredentismo italiano. Occorre ricordare, infatti, che nel 1846, anno in cui Attila fu
dato a V enezia, i cittadini veneziani erano
ancora sudditi dell’Impero austro – ungarico,
verso il quale – nonostante gli odierni ridicoli
tentativi di riscrittura della storia – non
mostrarono mai alcuna simpatia. Solera
modificò liberamente l’ordine delle scene e
per compiacere i veneziani fece terminare il
Prologo, che si apre sulla piazza di Aquileia
conquistata e distrutta dai barbari, con la
scena della fondazione di Venezia, città destinata a diventare ancora più bella e importante della distrutta Aquileia. Inoltre la frase che
il generale Ezio rivolge ad Attila, “ Avrai tu l’universo, resti l’Italia a me”, che nel libretto
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altro non significa che una pura e semplice
proposta di accomodamento tra il soldato
romano rotto agli intrighi e il re barbaro, fu
interpretata erroneamente dal pubblico come
un riferimento implicito alla condizione politica italiana, e accolta sempre da grande entusiasmo. In effetti, ciò che V erdi cercava nel
libretto, col consueto infallibile intuito, era un
tono magniloquente, capace di suscitare un
entusiasmo civile e patriottico, e Solera
seppe adeguatamente accontentarlo.
Dal punto di vista musicale, l’opera è stata
giustamente definita “scultorea”, nel senso
che, se la psicologia dei personaggi – a differenza di quanto accadrà di lì a un anno nel
Macbeth – è descritta sommariamente e
non ha alcun rilievo nello sviluppo della
vicenda, l’impeto eroico e drammatico dell’invenzione teatrale è addirittura travolgente. Senza dubbio significativo è il fatto che
accanto al re barbaro e al soldato romano,
anche l’unico personaggio femminile, quello di Odabella, presenti caratteri eroici e
guerreschi; la giovane, infatti, intende vendicare la morte del padre, ucciso da Attila, e
riuscirà a realizzare il suo scopo alla fine dell’opera quando, con Foresto e Ezio, parteciperà all’uccisione del re barbaro, pugnalandolo personalmente al cuore.
Alla prima esecuzione dell’Attila, il 17 marzo
1846, nei ruoli principali cantarono il basso
Ignazio Marini (Attila), il baritorno N atale
Costantini (Ezio), il soprano Sofia Loewe
(Odabella) e il tenore Carlo Guasco (Foresto).
La prima rappresentazione ebbe un successo
contrastato, anche per colpa della modesta
forma dei cantanti e di uno di quegli incidenti
che sono così caratteristici della storia del teatro. Pare infatti che le candele che illuminavano la festa di Attila nell’atto secondo fossero
state fatte con un sego di qualità scadente,
che puzzava in modo molto fastidioso dopo
che queste erano state spente, con grande
fastidio degli spettatori. Il successo, tuttavia,
crebbe di recita in recita, e l’opera si affermò
ben presto trionfalmente in tutta Italia. Come
scrisse Benjamin Lumley nelle sue memorie,
forse nessuna delle opere di V erdi aveva
suscitato più entusiasmo in Italia o coronato il
compositore di più numerosi allori dell’ Attila.
Dopo il 1861 e la proclamazione del Regno
d’Italia, il clima di acceso patriottismo che
aveva portato al successo questa ed altre
opere verdiane si affievolì notevolmente, e la
fortuna di Attila cominciò a decrescere, pur
senza venire mai meno.
Danilo Prefumo
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PROLOGO
La città di Aquileia è stata semidistrutta dalla
invasione degli Unni al comando del feroce
Attila. Un gran numero di Unni, Eruli ed
Ostrogoti rende omaggio al condottiero.
Uldino, un giovane bretone schiavo di Attila,
presenta al vincitore un gruppo di vergini di
Aquileia scampate al massacro dopo aver
valorosamente combattuto al fianco dei loro
padri e fratelli: fra esse è Odabella, che ha
visto perire il proprio padre e crede perduto
anche Foresto, l ‘uomo che amava. Attila, colpito dalla bellezza e dalle fiere parole della
fanciulla, se ne innamora e le fa dono della
sua spada, ordinando che assieme alle altre
vergini, Odabella sia condotta al campo e
faccia parte della sua corte. Odabella cinge la
spada di Attila, fingendo di sottomettersi all
‘invasore, ma meditando la vendetta.
Allontanate le donne, viene introdotto Ezio,
valoroso generale romano che, in odio al
giovane imperatore V alentiniano, viene ad
offrire ad Attila il suo aiuto per le future conquiste, pur di avere in cambio l’Italia. Ma
Attila rifiuta sdegnosamente ogni compromesso: egli vuole conquistare Roma e le
città italiche con la forza. Colpito, Ezio ribatte che se Attila non lo vuole alleato, lo avrà,
come nel passato, valoroso nemico sul
campo di battaglia.
A Rio Alto, nelle lagune adriatiche, gli
Eremiti che vivono nelle capanne costruite
su palafitte accolgono gioiosamente le
donne e gli uomini di Aquileia, che sarà presto ricostruita più forte e più bella. La nuova
città sarà, anzi, edificata sulle palafitte su cui
sorgono ora le misere capanne degli
Eremiti. I profughi ringraziano Iddio e gli
Eremiti per l’aiuto. Solo Foresto è inconsolabile, perché la sua Odabella è caduta in
mano al barbaro guerriero. P oi si esalta
nella visione profetica di una patria risorta.
ATTO I
Un bosco presso il campo di Attila. E ‘notte:
Odabella piange il padre e l’amato F oresto,
quando sopraggiunge quest ‘ultimo, che è
riuscito a raggiungerla sfidando mille perico-
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li. Il giovane, credendo che Odabella lo abbia
tradito, investe aspramente la fanciulla, ma
ella si difende disperatamente dalle accuse:
ella sarà come Giuditta che salvò Israele
uccidendo Oloferne. Per questo ha accettato
di seguire Attila ed ha cinto la sua spada: con
questa spada ella vendicherà la patria, uccidendo l’invasore. Pentito, Foresto abbraccia
Odabella, rinnovandole il suo amore.
La tenda di Attila. Il condottiero dorme, vegliato dallo schiavo Uldino. Improvvisamente si
sveglia in preda al terrore: gli è apparso in
sogno un vegliardo, che, venendogli incontro,
gli vietava l’ingresso a Roma, terra di Numi e
non di comuni mortali. Ripresosi e convocati i
suoi duci, Attila ordina che squillino le trombe
per muovere contro Roma, ma si ode un coro
mistico che si fa sempre più vicino. Dalla collina avanza un lungo corteo di vergini e di fanciulli romani. Alla loro testa è P apa Leone, il
vegliardo che Attila ha sognato, che gli ripete
le fatali parole. Tutti restano sorpresi e smarriti, e più degli altri Attila che, sopraffatto da
invincibile terrore, si prostra dinanzi a Leone,
rinunciando alla conquista di Roma.
ATTO II
Il campo di Ezio in prossimità di Roma. Il
generale romano legge con ira una lettera
dell’imperatore Valentiniano, che gli annuncia la tregua con gli Unni e gli ordina di ritornare a Roma. Egli sogna di riportare la città
agli antichi splendori, sottraendola al comando di un imbelle giovinetto. Giungono degli
ambasciatori di Attila ad invitare Ezio al
campo. Fra essi, travestito, è F oresto che,
rimasto solo con Ezio, gli rivela che Attila sarà
ucciso in quello stesso giorno: le schiere
romane siano pronte ad un suo cenno.
Quando vedranno un fuoco divampare dalla
collina, si gettino sugli Unni che, privi del loro
capo, saranno in breve sconfitti.
Il campo di Attila. N ella notte rischiarata
dalle torce si prepara un solenne convito.
Attila, con il suo seguito, riceve Ezio e lo
invita a suggellare la tregua. Foresto avverte
nascostamente Odabella che nella tazza
che fra poco Attila porterà alle labbra Uldino
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ENGLISH
ha versato un potente veleno. Ma proprio
mentre Attila sta per bere, Odabella, che
vuole il nemico ucciso di mano sua e non
per il tradimento di uno dei suoi fidi, avverte
il condottiero, salvandolo. Foresto si proclama colpevole ed ha salva la vita solo perché
Odabella lo chiede ad Attila in cambio della
sua rivelazione. Mentre Attila annuncia per
l’indomani le sue nozze con Odabella, ora
ben degna di essere sua sposa, e il suo proponimento di riprendere la lotta contro
Roma, Foresto maledice Odabella per quello che egli crede un atroce tradimento. E
invano la fanciulla lo supplica di fuggire,
assicurandolo che fra poco ella potrà avere
intero il suo perdono.
ATTO III
N el bosco che divide il campo di Attila da
quello di Ezio. Foresto attende che Uldino
gli rechi notizie delle nozze di Attila con
Odabella. Uldino annuncia che il corteo sta
accompagnando la sposa alla tenda del
condottiero. Le schiere romane stanno in
armi al di là del bosco, e F
oresto invia
Uldino a dar loro il segnale dell’attacco.
Mentre il giovane ancora impreca per il tradimento di Odabella, la fanciulla giunge correndo, fuggita dal campo barbaro; la segue,
fuori di sé, Attila, che viene investito da tre
nemici: Odabella gli ricorda la morte del
padre, Foresto, la patria ed il suo amore
distrutti, Ezio, tutti i suoi delitti e la distruzione che ha portato nel mondo. Mentre si ode
il clamore dell’assalto romano al campo di
Attila, Foresto si slancia a trafiggere il barbaro, ma è prevenuto da Odabella, che con
la spada donatele dal condottiero compie
finalmente la sua vendetta.
In Verdi’s catalogue Attila, which was first
performed at Venice’s La Fenice in 1846, is
chronologically listed as his ninth work,
coming between Alzira (N aples, San Carlo
theatre, 12th August 1845) and
Macbeth
(Florence, Alla Pergola theatre, 14th March
1847). In V enice, Verdi had triumphed two
years previously (March 1844) with Ernani,
on a libretto – the first of many to come – by
Francesco Maria Piave, the then young and
still relatively inexperienced “poet” of the
Venetian theatre; it was in the wake of that
success that V erdi was commissioned to
write a new opera for the 1845/46 season.
As subject for his new work Verdi chose the
tragedy Attila, König der Hunner (Attila, King
of the Huns ), by the German playwright
Zacharias Werner (1808), where “he had
found that kind of picturesque Romanticism,
somewhat clichéd in its flashy and gaudy
Medieval themes, which snaked in the
German theatrical underwood and seemed
perfect for an opera libretto. As usual, the
original work provided a ready -made script,
only needing to be edited and versified
according to the standard rituals of melodrama” (Claudio Casini). The subject was
simple, effective and grandiose almost in a
rough way, thus perfectly in tune with the
young Verdi’s sensitivity. After having told
Francesco Maria Piave of the new project,
suddenly the composer had second
thoughts about that librettist and turned to
the more expert Temistocle Solera, the
author of Oberto, Nabucco, I Lombardi alla
Prima Crociata and Giovanna d’Arco. The
move turned out to be a bad one, for Solera,
after drawing up the plot and versifying the
prologue and first two acts, in August 1845
flew to Spain. There he worked for some
time as an impresario in the retinue of his
wife, the soprano T eresa Rosmini, leaving
Verdi in trouble but authorising him, if need
be, to turn to Francesco Maria Piave. Piave,
who was a mild man, devoted to the composer, serenely accepted the task of writing
the libretto’s last act, replacing, on V erdi’s
suggestion, Solera’s would-be choral finale
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with a clash between the main characters.
Despite its laborious birth, Attila’s libretto
finally obtained the full approval of V erdi
who, in a letter to Léon Escudier, his French
editor, expressed all his enthusiasm for the
new project: “In a few days I am going to
begin the Attila for Venice, a wonderful subject… How great it would be to stage Attila
at the Grand Opéra in P aris! We would only
need to make a few additions, and it would
work just fine”. Similar thoughts were also
expressed to the Roman librettist Jacopo
Ferretti: “I am extremely busy with Attila!
What a fine subject! And let critics say what
they want, for I will say: what a fine libretto to
put to music!”.
As a matter of fact, Solera had re-worked the
“fine subject” and altogether transformed
Werner’s tragedy, which Julian Budden had
rightfully defined “an incredible T eutonic
jumble”. Solera was a staunch patriot who
had understood that Italian irredentism had
the wind in its sails; he had therefore made
sure to include in the opera implicit but very
clear patriotic messages. It ought to be
remembered that in 1846, the year of Attila’s
Venice première, Venetians were still subjects of the Austro-Hungarian Empire, for
which, despite some ridiculous modern
attempt to show otherwise, they felt no special love. Solera modified ad lib the order of
the scenes and, to please Venetians, ended
the Prologue, which opens in the wrecked
main square of an Aquileia conquered by
Attila’s hordes, with the scene of the foundation of Venice, a city destined to become
even more beautiful and important.
Moreover, the Roman general Ezio’s words
to Attila, “You may have the universe, but let
Italy be mine”, which is none other than a
wily proposition of settlement, were erroneously interpreted by the audience as
implicitly referring to the Italian political situation, invariably arousing great enthusiasm.
Indeed what V erdi, with his customary
insight, sought was rhetoric capable of stirring civil and patriotic fervour , and Solera
knew how to please him.
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From a musical point of view Attila has been
defined a “sculptural” work; and if the characters’ psychology – unlike in
Macbeth,
which would come a year later – has no
great insight and little relevance in the
unrolling of events, the epic and dramatic
impact is overwhelming. Significant, to this
end, is undoubtedly the fact that belligerent
and heroic traits can be found not only in the
Roman soldier and the Barbarian king but
also in Odabella, the only female character:
the young woman wants to avenge the
death of her father, killed by Attila, and
achieves her goal at the end of the opera
when, with F oresto and Ezio, she takes
active part in the king’s assassination, stabbing him of her own hand.
In the first performance of Attila, on 17th
March 1846, the main roles were interpreted
by the bass Ignazio Marini (Attila), the baritone N atale Costantini (Ezio), the soprano
Sofia Loewe (Odabella) and the tenor Carlo
Guasco (Foresto). It was no great success,
partly because the singers were not in top
form and partly , perhaps, due to one of
those incidents that are so characteristic in
the history of the theatre: apparently the
candles lit for Attila’s feast in Act Two were of
poor quality and once put out produced an
awful smell, causing great annoyance in the
audience. Each following performance,
however, met with increasing success, and
the opera would soon be triumphant all over
Italy. As Benjamin Lumley wrote in his memoirs, perhaps no other opera by V erdi was
received more enthusiastically or won the
composer more laurels than Attila. After
1861 and the proclamation of the Kingdom
of Italy, the feelings of ardent patriotism that
had contributed to the success of this and
other Verdian operas gradually decreased.
So did the fortunes of Attila, though they
never really diminished completely.
Danilo Prefumo
(Translated by Daniela Pilarz)
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PROLOGUE
The city of Aquileia has been badly ravaged
by the invasion of the Huns, led by the fierce
Attila. A great number of Huns, Heruli and
Ostrogoths pay homage to their leader
.
Uldino, a young Breton slave of Attila’s,
introduces a group of virgins from Aquileia
spared from the massacre after having
fought courageously beside their fathers
and brothers: among them is Odabella, who
has lost both her father , killed before her
eyes, and the man she loves, F
oresto,
whom she also believes dead. Attila, struck
by her beauty and proud words, falls in love
with her and gives her his sword, ordering
that she be taken together with the other virgins to the camp, to become part of his
court. Odabella belts on Attila’s sword, pretending to submit to the invader’s will but
planning her revenge. As the women are
taken away, Ezio, a valiant Roman general,
is brought forward. He hates the young
emperor Valentiniano, and comes to offer
his help to Attila for his future campaigns, in
exchange for the command over Italy . Attila
refuses indignantly any co mpromise: he
plans to conquer Rome and the rest of Italy
through force. Troubled, Ezio answers that if
Attila will not have him as an ally , he will
have him, like in the past, as a brave enemy
on the field of battle.
At Rio Alto, in the Adriatic lagoons, the
Hermits live in huts built on piles. They joyously take in the survivors from Aquileia,
making plans to rebuild a stronger and
more beautiful city. It shall also be built on
piles, where the Hermits’ simple huts now
stand. The refugees thank god and the
Hermits for their help. Only Foresto is inconsolable, because his Odabella is in Attila’s
hands. Then he is roused by the prophetic
vision of his resurrected homeland.
ACT ONE
The woods near Attila’s camp. It is night;
Odabella is mourning her father and
her
beloved Foresto when the latter arrives, having managed to come to her despite the
great danger. The man thinks that Odabella
has been unfaithful and attacks her bitterly ,
but she desperately defends herself against
his accusations: she will be like Judith, who
saved Israel by killing Holofernes. Only for
this reason has she agreed to follow Attila
and is wearing his sword. W ith this sword
she will avenge their homeland, killing the
invader. Foresto embraces Odabella, pledging his love to her.
Attila’s tent. The commander sleeps, guarded by Uldino. Suddenly, he awakes in terror:
he has dreamt that an old man, coming
toward him, barred his entrance to Rome,
land of the gods, not of common mortals.
Having recovered, Attila calls his captains
and orders the trumpets to sound for the
march on Rome, but a mystic chorus is
heard approaching. A long column of
Roman virgins and young men are seen on
the hills, and at their head is P ope Leo, the
very old man Attila dreamt of , who repeats
the fatal words. All present are shocked and
terrified, Attila more than anyone else. He
prostrates himself before the P ope, giving
up his plan to conquer Rome.
ACT TWO
Ezio’s camp near Rome. The Roman general angrily reads a letter from the emperor
Valentiniano, announcing a truce with the
Huns and ordering him to return to Rome.
He dreams of rebuilding Rome to its ancient
splendour, taking the command away from
the weak youth. A Hun delegation arrives,
inviting Ezio to Attila’s camp. Among these
is Foresto in disguise. When alone with Ezio,
Foresto tells him that Attila will be killed that
very day: the Roman troops should be
ready. When they see a signal fire on the hill,
they should fall on the Huns who, without
their leader, will be overwhelmed in no time.
Attila’s camp. In the night illuminated by
torches a solemn banquet is being prepared. Attila, with his followers, receives
Ezio and invites him to sign a truce. A sudden gust of wind extinguishes most of the
torches: hidden, F oresto informs Odabella
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that in the cup from which Attila will soon
drink Uldino has put a potent poison. B ut
just as Attila raises the cup to his lips,
Odabella, who wants her enemy killed by her
own hand and not by the betrayal of one of his
own, forewarns him. Foresto declares his guilt,
and his life is spared only through Odabella’s
intercession. While Attila announces her marriage, the next day, with Odabella, now worthy
of him, and his intention to resume his fight
against Rome, F oresto curses Odabella for
what he believes a hideous betrayal. The
young woman implores him to escape, assuring him that in a short time he will have good
reason to fully pardon her.
ACT THREE
In the woods that separate Ezio’s camp
from Attila’s, F oresto waits for Uldino to
bring him news of the marriage of Attila and
Odabella. Uldino announces that the procession is accompanying the bride to the
commander’s tent. The Roman troops are
ready just beyond the woods, and F oresto
tells Uldino to give them the signal to attack.
While the young man continues to curse
Odabella’s betrayal, she herself arrives in a
hurry, having escaped from the Huns’ camp.
A furious Attila follows her close behind, but
he is blocked by three enemies: Odabella,
seeking revenge for her dead father;
Foresto, for his fatherland and love
destroyed; and Ezio, for all the crimes and
destruction he has caused all over the
world. As echoes of the Roman assault on
Attila’s camp reach them, F oresto lunges
forward, but is preceded by Odabella who,
with the sword given her by Attila, finally
manages to take out her revenge.
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LUISA MILLER
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LIVE RECORDIN G
LUISA MILLER
Giuseppe Verdi
(Busseto, 1813 - Milan, 1901)
Melodramma tragico in three acts
Libretto by Salvatore Cammarano
Luisa - Darina Takova
Rodolfo - Giuseppe Sabbatini
Il Conte di Walter - Alexander Vinogradov
Miller - Damiano Salerno
Federica - Ursula Ferri
Wurm - Arutjun Kotchinian
Laura - Elisabetta Martorana
Un contadino - Luca Favaron
Orchestra and chorus of the Teatro La Fenice di Venezia
Conductor: Maurizio Benini
Chorus master: Emanuela Di Pietro
Director: Arnaud Bernard
Set designer: Alessandro Camera
Video director: Tiziano Mancini
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ITALIANO
Gli eventi che portarono Verdi alla creazione
di Luisa Miller furono piuttosto travagliati; il
motivo principale è da ricercare nel fatto che
il compositore doveva, per contratto, scrivere una seconda opera per il San Carlo di
N apoli, dopo lo sfortunato esito dell’ Alzira
nel 1845. Aggiungiamoci pure che non correva buon sangue tra Verdi e l’impresa che
gestiva il teatro partenopeo.
Tuttavia il teatro è anche fatto di questo, di
intoppi, di imprevisti, di impegni presi malvolentieri che spesso possono tramutarsi in
occasioni per fare arte autentica. E così fu
per Luisa Miller: dopo una serrata trattativa
sul compenso, sulla venuta di Verdi a Napoli
(richiesta a lui poco gradita ma alla quale
dovette infine assentire) e dopo diversi differimenti dovuti alle precarie condizioni finanziarie impresariali, finalmente si arrivò a un
accordo tra le parti.
I contatti tra V erdi e il librettista Salvatore
Cammarano per la stesura della nuova
opera risalgono già al 1846, cioè in pratica
agli inizi delle vicende che sono state brevemente riassunte. Tra i soggetti in lizza per
essere musicati compare, fin dall’inizio,
Kabale und Liebe di Friedrich Schiller, “un
magnifico dramma di grand’effetto in teatro”
a detta dello stesso V erdi. Ma prima che la
scelta definitiva cadesse sull’opera di
Schiller, i due passarono in rassegna anche
altre possibilità: la loro attenzione si concentrò in particolare su L’Assedio di Firenze
(titolo poi cambiato in Maria Ricci), argomento tratto dall’omonimo romanzo dello
scrittore
risorgimentale F
rancesco
Domenico Guerrazzi. Su questa iniziativa
calò però implacabile la scure della censura
borbonica; fu Cammarano stesso a comunicare a Verdi la ferale notizia e proporgli di
ritornare al progetto iniziale di ispirazione
schilleriana.
Quest’ultimo fatto è degno di nota poiché ci
mostra come Verdi e Cammarano discutano
ad armi pari. Salvatore Cammarano (18011852) era un librettista assai famoso e aveva
fornito i testi a molti grandi compositori del
primo Ottocento italiano (Donizetti, P acini,
Mercadante). Il dialogo sulla Luisa Miller fu
quindi tra artisti già affermati e Verdi ebbe
per Cammarano attenzioni ben diverse da
2
quelle che dedicò a Piave; addirittura accettò in svariati punti le indicazioni del poeta. Il
compositore si mostrerà invece più coriaceo
quando verrà il momento di lavorare al
Trovatore.
L’opera andò finalmente in scena la sera
dell’8 dicembre 1849. Interpeti principali
della prima furono Marietta Gazzaniga
(Luisa), Settimio Malvezzi (Rodolfo), Achille
De Bassini (Miller), Antonio Selva (già Silva
in Ernani alla Fenice nel 1844, Conte di
Walter), Marco Arati (W urm) e Teresa Della
Calandri (Federica). Il successo fu pieno e si
consolidò sempre più nelle repliche successive; tuttavia quest’opera stentò a imporsi,
soprattutto a causa di cast non pienamente
adeguati all’arduo compito.
In effetti Luisa Miller richiede ai quattro protagonisti grandi doti tecniche e grande
estensione. Il ruolo della protagonista copre
oltre due ottave (come anche quello del
Conte di Walter) e necessita di sicurezza in
acuto, tipica dei soprani lirico-leggeri, e di
pienezza nella regione medio-grave, tipica
dei soprani lirico-drammatici. Luisa è pennellata con tratti ora delicati ora forti, in una
maniera che anticipa l’intensità delle grandi
eroine della trilogia popolare. Non mancano
momenti convenzionali ma le pagine di più
forte impatto drammatico sono sue.
La parte di Rodolfo ha una tessitura medioacuta di grande difficoltà e nella sua grande
aria è messa a dura prova la gestione della
zona di passaggio della voce. Alla classica
baldanza del tenore, si affiancano con franchezza accenti elegiaci prima poco presenti nei personaggi tenorili ideati da Verdi.
Il Conte di W alter è il classico basso cantabile verdiano, di tessitura medio-alta, con
sfoghi in acuto e sporadici affondi nella
regione grave. È un personaggio decisamente poco amabile e che ipocritamente
desidera l’affetto del figlio. Questa profonda
contraddizione è molto ben resa nella celebre aria Il mio sangue, la vita darei .
In Miller, il padre di Luisa, V erdi ha voluto
sfruttare al massimo le capacità della voce
baritonale nella regione acuta. Gli eventi e la
sua collocazione sociale lo rendono impotente, uno dei pochi padri-baritoni del teatro
verdiano che non ha modo di essere giusti-
2 Luisa Miller_DVD booklet colore 33616.qxd 05/09/2013 12.13 Pagina 3
TRAMA
ziere o tiranno.
Non esenti da difficoltà anche i due comprimari “di lusso”, W urm e Federica: il primo,
un “cattivo” par excellence, è scritto in tessitura per basso pieno e ha un bel duetto col
Conte, la seconda è uno dei pochi ruoli prettamente contraltili scritti da Verdi. Il coro non
ha qui grandi pagine né grande rilevanza,
ma è abbastanza ovvio, vista la tematica intimista che caratterizza Luisa Miller.
Anche se non può essere annoverata tra i
capolavori assoluti, Luisa Miller è comunque un’opera ricca di momenti musicali
splendidi e ricopre un ruolo centrale nell’evoluzione della drammaturgia verdiana, di
transizione tra il teatro dei grandi conflitti e
quello più intimo e psicologico. È indubbio
che per V erdi l’opera sia prima di tutto un
fatto teatrale e dove in Luisa Miller può forse
mancare un flusso continuo di ispirazione,
al di sotto di esso troviamo il solido alveo
costruito da un grande uomo di teatro quale
Verdi fu e quale egli stesso desiderava essere definito. In Luisa Miller trovano inusitato
spazio gli accenti elegiaci di ispirazione più
belcantista (si pensi al ruolo di Luisa o agli
splendidi cantabili di Walter e Rodolfo), certamente favoriti dalla tematica intimista del
soggetto. Il vertice di questa nuova dimensione del canto verdiano è probabilmente la
grande aria del tenore, Quando le sere al
placido, un brano di assoluta bellezza,
sognante, forse davvero scritto più per
incantare l’ascoltatore che per aderire,
diciamo verdianamente, al testo.
Stefano Olcese
Atto Primo
In un villaggio tirolese, nella prima metà del
1600, si festeggia il compleanno di Luisa,
figlia del vecchio soldato in ritiro Miller . La
ragazza attende trepidante l’arrivo di Carlo,
lo straniero della quale si è innamorata. Al
primo incontro col giovane Miller prova tristi
presentimenti. Mentre si avviano alla chiesa
per una funzione, Wurm, cortigiano presso il
castello del conte di W alter, chiede a Miller
spiegazioni: un anno prima gli aveva chiesto
la mano della figlia, ed ora ella si appresta a
sposare un altro? Miller obietta che mai
costringerebbe la figlia ad un’unione che
non desidera; W urm allora gli svela che
Carlo altri non è che il figlio di W
alter,
Rodolfo.
Al castello, Wurm ora svela al conte che suo
figlio intende sposare Luisa, mandando così
a soqquadro il matrimonio con F ederica,
duchessa di Ostheim. Walter manda a chiamare Rodolfo e lo forza a chiedere la mano
della sopraggiungente duchessa. Ma
Rodolfo confessa a Federica di amare un’altra, destandone lo sdegno. N el frattempo
Miller svela a Luisa la vera identità dell’amato e giura vendetta per l’inganno subito.
Rodolfo sopraggiunge e rassicura Luisa,
giurandole eterna fedeltà. Sopraggiunge
anche Walter, che accusa Luisa di essere
una volgare seduttrice. Miller sguaina la
spada e lo minaccia, e Walter replica ordinando di imprigionare padre e figlia. Ma
Rodolfo ottiene la libertà dell’amata minacciando di svelare a tutti come il padre sia
diventato conte di Walter. Miller è portato via
e Luisa sviene.
Atto Secondo
Per salvare il padre da morte, Luisa è
costretta da Wurm a dichiarare per iscritto di
non amare Rodolfo ma W urm stesso. A
castello, Walter e W urm riconoscono di
essere esposti ad un alto rischio per la
minaccia di Rodolfo, che sa dell’assassinio
del cugino del conte, voluto da W alter e
attuato da Wurm. Entra Federica, e Walter la
rassicura: l’amore di Rodolfo per Luisa sarà
presto spento. Luisa, accomp agnata da
Wurm, dichiara davanti alla duchessa, sotto
la minaccia dell’uccisione del padre, di
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2 Luisa Miller_DVD booklet colore 33616.qxd 05/09/2013 12.13 Pagina 4
ENGLISH
amare Wurm. Rodolfo intanto ha letto la lettera scritta dall’amata e ne è sconvolto, pensando che Luisa l’abbia tradito. Convocato
Wurm, lo sfida a duello e questi per salvarsi
spara in aria; accorre gente da ogni parte,
fra cui Walter, che propone al figlio la più
amara vendetta: sposare F ederica. Rodolfo
acconsente.
Atto Terzo
Luisa ha deciso di lasciarsi morire. Miller ,
rilasciato da prigione, la trova mentre sta
scrivendo all’amato. Luisa affida al padre la
lettera, nel quale dà appuntamento a
Rodolfo nell’altra vita; la disperazione del
padre però la fa desistere dai suoi propositi,
e la giovane propone al padre di abbandonare il paese per una vita raminga e povera
ma lontana da gente tanto malvagia.
Dall’esterno proviene il suono dell’organo in
chiesa: si sta per celebrare il matrimonio tra
Rodolfo e F ederica. Rodolfo si presenta
improvvisamente, chiedendo spiegazioni
della lettera. V ersa di nascosto del veleno
nella brocca dell’acqua. Quando Luisa gli
conferma di averla scritta di proprio pugno,
beve; poi dà da bere anche a lei. Quindi
rivela il contenuto della coppa. Prima di
morire,
Luisa spiega la verità.
Sopraggiungono Walter, Wurm e alcuni contadini. Colle ultime sue forze Rodolfo riesce
a trafiggere con la spada l’odiato W urm.
4
The events that led V erdi to create Luisa
Miller were rather tormented; the main reason was the fact that the composer
was
obliged by contract to write a second opera
for the San Carlo in Naples, after the failure
of Alzira in 1845. W e might also add that
relations between V erdi and the management of the N aples theatre were rather
strained.
Theatre, however, is made of this too, of
snags, unforeseen events, tasks taken on
unwillingly that could often turn out to be
occasions for the creation of real art. And this
is what happened with Luisa Miller: after
tough negotiations over his fee, over the fact
that Verdi would have to go to N aples (a
request that he found irksome but which he
had to accept in the end) and after a series of
postponements due to the precarious financial situation of the impresario, agreement
was finally reached between the two parties.
Contacts between Verdi and the librettist
Salvatore Cammarano for the drafting of the
new opera date back to 1846, when the
events we have referred to were just beginning. The subjects taken into consideration
included from the very beginning a drama
by Friedrich Schiller, Kabale und Liebe , “a
magnificent drama of great theatrical effect”
as Verdi himself said. But before Schiller’s
work was definitively chosen, the two men
looked at other candidates: their attention
focused especially on L’Assedio di Firenze
(whose title was then changed to
Maria
Ricci), based on the novel of the same
name by the Risorgimento writer Francesco
Domenico Guerrazzi. The implacable axe of
the Bourbon censors fell on this idea;
Cammarano himself gave V erdi the grim
news and suggested they went back to the
initial Schiller-based inspiration.
This fact is not without significance for it
shows us that Verdi and Cammarano worked
as equal partners. Salvatore Cammarano
(1801-1852) was a librettist of some fame and
had provided texts for many great composers in the first half of the nineteenth century in Italy (Donizetti, P acini, Mercadente).
The dialogue about Luisa Miller was thus one
between two respected artists, and V erdi
treated Cammarano with a degree of respect
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that he did not show for Piave; indeed, in several points he accepted the poet’s
indications. The composer was to be much more
inflexible, however, when the time came to
work on Il Trovatore.
The opera was finally staged on the evening
of 8th December 1849. The leading singers
at the première were Marietta Gazzaniga
(Luisa), Settimio Malvezzi (Rodolfo), Achille
De Bassini (Miller), Antonio Selva (who had
been Silva in Ernani at the F enice in 1844,
Conte di W alter), Marco Arati (W urm) and
Teresa Della Calandri (F ederica). The performance was a resounding success and
the opera continued to affirm itself in further
performances; yet this opera struggled to
establish itself, especially because of a cast
that was not wholly equal to its great
demands.
In fact Luisa Miller requires great technical
gifts and vocal extension of its four leading
roles. The title role covers over two octaves
(as does Conte di W alter) and calls for the
sureness in the upper range of a light-lyrical
soprano together with the full voice in the
mid-low region of the dramatic-lyrical soprano. Luisa is portrayed now with delicate
touches now with bold strokes, in a manner
that anticipates the great heroines of the
popular trilogy. Conventional moments are
not lacking but the pages with the strongest
dramatic impact are hers.
Rodolfo’s part has a very difficult mid-high
tessitura and his great aria severely tests
the singer’s ability to deal with the passage
zone. The classical boldness of the tenor is
accompanied by openly elegiac accents
that had rarely before been heard in the
tenor roles created by Verdi.
The Conte di W alter is the classical,
cantabile Verdi bass, with mid-high tessitura
bursting into acutes and sporadically plumbing the low register. This is a highly unlovable
character who hypocritically desires his
son’s affection. This profound contradiction
is very well rendered in his famous aria Il mio
sangue, la vita darei.
In Miller, Luisa’s father, Verdi sought to
exploit fully the capacity of the baritone
voice in the upper region. Events and his
social position make Miller powerless, one
of the few baritone-fathers in V erdi opera
who is unable to be an executer or a tyrant.
The two “luxury” co-starring roles, W urm
and Federica, are again not lacking in difficulties: Wurm, a “bad guy” par excellence,
is scored in a full bass tessitura and has a
fine duet with the Count, while F ederica is
one of the few purely contralto roles written
by Verdi. The chorus here does not have
any great pages or any great relevance, but
this is hardly surprising given the intimist
theme that characterises Luisa Miller.
Though it cannot be counted among
absolute masterpieces, Luisa Miller is an
opera that abounds in splendid moments of
music and one that occupies a central role
in the evolution of Verdi’s dramaturgy, a role
of transition between the theatre of great
conflicts and intimate, psychological drama.
Undoubtedly opera for Verdi is first and foremost a theatrical question, and while Luisa
Miller may be lacking in a continuous
stream of inspiration, the work is underpinned by the solid riverbed constructed by
a great man of the theatre as Verdi was and
as he, indeed, liked to be defined. In Luisa
Miller unwonted space is found for the elegiac accents of more belcanto inspiration
(think about the role of Luisa or the splendid
cantabile passages for Walter and Rodolfo),
certainly favoured by the subject’s intimate
theme. The pinnacle of this new dimension
of Verdi singing is probably the great tenor
aria, Quando le sere al placido, a passage of
absolute, dreamlike beauty, written perhaps
more with the intention of enchanting the listener than of adhering to the text, as V erdi
would say.
Stefano Olcese
(Translated by Timothy Alan Shaw)
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PLOT
Act One
A village in T yrol, during the early 1600s.
The villagers are celebrating the birthday of
Luisa, daughter of Miller, an elderly soldier in
retirement. The girl is anxiously awaiting the
arrival of Carlo, the foreigner with whom she
has fallen in love. When he meets the young
man for the first time, Miller is overcome with
a sense of foreboding. As they are walking
to church to attend a service, Wurm, a
courtier at W alter’s castle, asks him for
explanations: a year before he had asked
for Luisa’s hand in marriage, and now the
girl is about to marry another? Miller
remarks that he would never force his
daughter into a marriage she does not want;
Wurm then reveals Carlo’s true identity: he
is Rodolfo, Walter’s son.
At the castle, W urm now tells the count
about his son’s intentions: he wants to
marry Luisa, upsetting Walter’s plans of a
union with F ederica, duchess of Ostheim.
Walter summons Rodolfo and forces him to
propose to Federica, who is about to arrive.
But Rodolfo instead reveals to her that he
loves another, arousing her indignation.
Meanwhile, Miller informs Luisa of the true
identity of her beloved and swears revenge.
But Rodolfo arrives and reassures Luisa,
promising her eternal love. N ow W alter too
arrives; he accuses Luisa of being a vulgar
seductress. Miller draws his sword and
threatens the count, and W alter orders the
arrest of both father and daughter . Rodolfo,
however, manages to have Luisa released,
threatening to reveal to the world how he
really became count of W alter. Miller is
dragged away and Luisa faints.
Act Two
In order to save her father from death, Luisa
is forced by Wurm to write a letter in which
she declares that she does not love Rodolfo
but Wurm himself. At the castle, W urm and
Walter realise they are running a serious
risk, because Rodolfo knows of the assassination of the Count’s cousin, carried out by
Wurm on the Count’s orders. Enter
Federica, and W alter reassures her:
Rodolfo’s love for Luisa will soon die. W ith
her father’s life still on the line, Luisa
6
declares before the Duchess that she
indeed loves W urm. Rodolfo, in the meantime, has read Luisa’s letter and is distraught, believing Luisa has betrayed him.
He summons Wurm and challenges him to
a duel; to save himself this fires his pistol in
the air, causing people to come running in
from all over . Among them is W alter, who
suggests to his son a very bitter revenge: to
marry Federica. Rodolfo accepts.
Act Three
Luisa has decided to die. Miller , who has
been released from prison, finds her as she
is writing a letter to her beloved. Luisa gives
the letter to her father; in it she promises
Rodolfo to meet him in the afterlife. Her
father’s distress, however , makes her
change her mind, and she proposes him to
flee the country for a simple life as wanderers, far from such evil enemies. F rom outside one can hear the sound of the church
organ: the marriage between Rodolfo and
Federica is about to be celebrated.
Suddenly Rodolfo bursts in, asking for
explanations. Without her knowing; he
pours poison into the decanter on the table;
when Luisa confirms that she wrote the letter herself, he drinks. Then he offers her
some water, and after she drinks too he
reveals what was in the cup. Before she dies
Luisa manages to explain the truth. W alter,
Wurm and some villagers arrive. W ith the
last of his strength, Rodolfo runs the much
loathed Wurm through with his sword.
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IL TROVATORE
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37668
LIVE RECORDIN G
Il Trovatore
Giuseppe Verdi
(Busseto, 1813 - Milan, 1901)
Opera in four parts
Libretto by Salvatore Cammarano, Leone Emanuele Bardare
Manrico - Fabio Armiliato
Leonora - Daniela Dessì
Il Conte di Luna - Giovanni Meoni
Azucena - Ann McMahon Quintero
Ferrando - Luciano Montanaro
Ines - Ninon Dann
Ruiz - Xavier Petithan
Un messo - Raffaele Lancellotti
Un vecchio zingaro - Edwin Radermacher
Orchestra of the ORW
and Chorus of the Opéra de Namur
Conductor: Paolo Arrivabeni
Chorus master: Marcel Seminara
Director: Stefano Vizioli
Assistant to the director: Lorenzo Nencini
Set and costume designer: Alessandro Ciammarughi
Light designer: Franco Marri
Video Director: Jacky Croisier
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Trama
Parte I - Il duello
Il palazzo dell’Aliaferia di Saragozza, Spagna
Ferrando, capitano delle guardie, ordina ai
suoi armigeri di fare buona guardia, mentre
il Conte Di Luna si aggira sotto le finestre di
Leonora, damigella della Principessa. Di
Luna ama Leonora ed è geloso del suo rivale, il trovatore Manrico. Per passare il tempo,
Ferrando racconta agli armigeri la vicenda
vecchio Conte: molti anni prima, una zingara era stata accusata di aver gettato il maleficio sul fratello minore dell’attuale Conte di
Luna; il bambino si era ammalato e la zingara era stata arsa viva , nonostante le sue
proteste di innocenza. Prima di morire,
aveva ordinato a sua figlia Azucena di vendicarla, e questa aveva rapito il bambino. I
resti bruciati di un infante erano stati trovati
tra le ceneri di una pira, ma il vecchio Conte
non si era rassegnato alla perdita del figlio,
e sul letto di morte aveva incaricato il primogenito, l’attuale Conte di Luna, di cercare
Azucena.
Giardino del palazzo della principessa
Leonora mette a parte la sua confidente
Ines dell’amore che prova per Manrico. Si
ode una voce, e il Conte di Luna la riconosce come quella del suo rivale.
Nell’oscurità, Leonora esce scambia il conte
per Manrico e corre fra le sue braccia. Il
Conte riconosce in Manrico il suo nemico,
condannato a morte per motivi di affiliazioni
politiche, e lo sfida a duello. Leonora cerca
di frapporsi, ma non vi riesce.
Parte II - La gitana
Accampamento di zingari
Azucena racconta a Manrico, suo figlio, che
molti anni prima vide morire sul rogo la
madre accusata di stregoneria dal vecchio
Conte di Luna. P er vendicarsi, rapì il figlio
del Conte ancora in fasce e, accecata dalla
disperazione, decise di gettarlo nel fuoco;
per una tragica fatalità, tuttavia, confuse il
proprio figlio col bambino che aveva rapito.
2
Manrico capisce così di non essere il vero
figlio di Azucena e le chiede di conoscere la
propria identità, ma per Azucena l’unica
cosa importante è che lei l’abbia sempre
amato come un figlio, protetto e curato proprio come quando tornò all’accampamento
ferito dopo il duello col Conte. Manrico confida alla madre di esser stato sul punto di
uccidere il Conte, durante quel duello, ma di
esser stato frenato da una voce misteriosa.
Un messaggero avverte Manrico che
Leonora, credendolo morto, sta per entrare
in convento. Nonostante Azucena cerchi di
fermarlo, perché ancora debole per le ferite
ricevute, Manrico parte per fermarla.
Davanti al convento
Il Conte Di Luna tenta di rapire Leonora che
sta per ritirarsi al convento, ma Manrico
sventa il rapimento e porta in salvo l’amata.
Parte III - Il figlio della zingara
Campo di Di Luna
Di Luna ed i suoi attaccano la fortezza dove
Manrico si è rifugiato con Leonora. Azucena
è catturata da F errando e condotta dal
Conte di Luna. Costretta dalla tortura e dalle
minacce, confessa di essere la madre di
Manrico. Il Conte di Luna esulta doppiamente per la cattura. Uccidendo la zingara
otterrà doppia vendetta: per il fratello ucciso
e su Manrico che gli ha rubato l’amore di
Leonora. Ordina che si prepari una pira.
Sala nel castello
Manrico e Leonora stanno per sposarsi in
segreto e si giurano eterno amore. Ruiz
sopraggiunge ad annunciare che Azucena è
stata catturata e di lì a poco sarà arsa viva
come strega. Manrico si precipita in soccorso della madre.
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Plot
Parte IV - Il supplizio
Act 1: The Duel
Vicino alle prigioni
Il tentativo di liberare Azucena fallisce e
Manrico viene imprigionato assieme alla
madre. Leonora implora il Conte di lasciare
libero Manrico: in cambio è disposta a
diventare sua sposa. In realtà non ha alcuna
intenzione di farlo e segretamente ingerisce
del veleno da un anello.
The Palace of Aljaferia, Zaragoza, Spain
Ferrando, the captain of the guards, orders
his men to keep watch while Count di Luna
wanders restlessly beneath the windows of
Leonora, lady-in-waiting to the Princess. Di
Luna loves Leonora, and is jealous of his
successful rival, the troubadour Manrico. In
order to keep the guards awake, F errando
narrates the history of the count to the
guards: many years before a gypsy
was
wrongfully accused of having bewitched the
youngest of the Di Luna children; the child
had fallen sick and for this the gypsy had
been burnt alive as a witch, over her
protests of innocence. Dying, she had commanded her daughter Azucena to avenge
her, which she did by abducting the baby .
Although the burnt bones of a child were
found in the ashes of the pyre, the father
refused to believe in his son’s death; dying,
he commanded his firstborn, the new Count
Di Luna, to seek Azucena.
Nella prigione
Manrico e Azucena sono in attesa della loro
esecuzione. Manrico cerca di calmare la
madre, terrorizzata. Alla fine, la donna si
addormenta sfinita. Giunge Leonora ad
annunciare la libertà a Manrico e ad implorarlo di scappare. Ma quando egli scopre
che lei, la donna che ama, non lo seguirà, si
rifiuta di fuggire. È convinto che per ottenere la sua libertà Leonora l’abbia tradito, ma
lei, nell’agonia della morte, gli confessa di
essersi avvelenata per restargli fedele. Il
Conte, entrato a sua volta nella prigione,
ascolta di nascosto la conversazione e capisce d’esser stato ingannato da Leonora,
che muore fra le braccia di Manrico. Ordina
di giustiziare il trovatore. Quando Azucena
rinviene, egli le indica Manrico morente, ma
pur nella disperazione la donna trova la
forza di rivelare al Conte la tragica verità:
«Egli era tuo fratello» e mentre viene tratta a
morte può finalmente gridare: «Sei vendicata, o madre!».
Garden in the palace of the princess
Leonora confesses her love for Manrico to
her confidante, Ines. When they have gone,
Count Di Luna hears the voice of his rival,
Manrico, in the distance. While Leonora in
the darkness mistakes the count for her
lover, Manrico himself enters the garden,
and she rushes to his arms. The count
recognises Manrico as his enemy , who has
been condemned to death due to his political affiliations, and challenges him to a duel
over their common love. Leonora tries to
intervene, but cannot stop them from fighting.
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Act 2: The Gypsy Woman
The gypsies’ camp
Azucena, the daughter of the Gypsy burnt
by the count, is still haunted by her duty to
avenge her mother . The Gypsies break
camp while Azucena confesses to Manrico
that after stealing the Di Luna baby she had
intended to burn the count’s little son along
with her mother , but overwhelmed by the
screams and the gruesome scene of her
mother’s execution, she became confused
and threw her own child into the flames.
Manrico realises that he is not the son of
Azucena, but loves her as if she were indeed
his mother, as she has always been faithful
and loving to him. Manrico tells Azucena
that he defeated Di Luna in their duel, but
was held back from killing him by a mysterious power. A messenger arrives and reports
that Leonora, who believes Manrico dead, is
about to enter a convent and take the veil
that night. Although Azucena tries to prevent
him from leaving in his weak state, Manrico
rushes away to prevent her from carrying
out this intent.
In front of the convent
Di Luna and his attendants intend to abduct
Leonora, and the Count sings of his love for
her. Leonora and the nuns appear in procession, but Manrico prevents Di Luna from
carrying out his plans, and instead takes
Leonora away with him.
Act 3: The Son of the Gypsy W oman
Di Luna’s camp
Di Luna and his army are attacking the
fortress where Manrico has taken refuge
with Leonora. F errando drags in Azucena,
who has been captured wandering near the
camp. When she hears Di Luna’s name,
Azucena’s reactions arouse suspicion, and
Ferrando recognizes her as the murderer of
the count’s brother. Azucena cries out to her
son Manrico to rescue her and the count
realizes that he has the means to flush his
4
enemy out of the fortress. He orders his men
to build a pyre and burn Azucena before the
walls.
A chamber in the castle
Inside the castle, Manrico and Leonora are
preparing to be married. She is frightened;
the battle with Di Luna is imminent and
Manrico’s forces are outnumbered. He
assures her of his love, even in the face of
death. When news of Azucena’s capture
reaches him, he summons his men and desperately prepares to attack. Leonora faints.
Act 4: The Punishment
Before the dungeon keep
Manrico has failed to free Azucena and has
been imprisoned himself. Leonora attempts
to free him by begging Di Luna for mercy
and offers herself in place of her lover . She
promises to give herself to the count, but
secretly swallows poison from her ring in
order to die before Di Luna can possess her.
In the dungeon
Manrico and Azucena are awaiting their execution. Manrico attempts to soothe
Azucena, whose mind wanders to happier
days in the mountains. At last the gypsy
slumbers. Leonora comes to Manrico and
tells him that he is saved, begging him to
escape. When he discovers she cannot
accompany him, he refuses to leave his
prison. He believes Leonora has betrayed
him until he realizes that she has taken poison to remain true to him. As she dies in
agony in Manrico’s arms, she confesses
that she prefers to die with him than to marry
another. The count has heard Leonora’s last
words and orders Manrico’s execution.
Azucena awakes but is unable to stop Di
Luna. In anguish and anger , she cries out:
“He was your brother ... You are avenged,
mother!”.
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LA TRAVIATA
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33462
LIVE RECORDIN G
Giuseppe Verdi
(Busseto, 1813 - Milan, 1901)
La traviata
Opera in three acts
Libretto by Francesco Maria Piave from “La Dame aux camélias” by Alexandre Dumas fils
New production of the Opéra Royal de W allonie - Liège
Violetta Valéry: Cinzia Forte
Flora Bervoix: Tineke Van Ingelgem
Annina: Federica Carnevale
Alfredo Germont: Saimir Pirgu
Giorgio Germont: Giovanni Meoni
Gastone di Letorières: Cristiano Cremonini
Barone Douphol: Chris De Moor
Dottor Grenvil: Lorenzo Muzzi
Marchese d’Obigny: Patrick Delcour
Giuseppe: Marcel Arpots
Un commissionario: Marc Tissons
Un domestico di Flora: Youri Lel
Orchestra and Chorus: ORW
Conductor: Paolo Arrivabeni
Chorus master: Marcel Seminara
Director: Stefano Mazzonis di Pralafera
Set designer: Edoardo Sanchi
Costume designer: Kaat Tilley
Light designer: Franco Marri
Video director: Matteo Ricchetti
Recorded at the Opéra Royal de Wallonie - Liège, on 17th March 2009
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Italiano
“Una figura elegante, giovane, e che canti
con passione”
Dopo il successo trionfale del Rigoletto, nel
1851, Giuseppe V erdi si trovava in un
momento particolarmente felice. A soli 38
anni era ormai il più popolare e rispettato
operista italiano; le sue opere erano rappresentate con crescente successo in tutta
Europa, e le preoccupazioni e le difficoltà
degli esordi erano ormai solo un ricordo. Gli
“anni di galera”, contrassegnati da alti ritmi
produttivi e da scelte non sempre fortunate
in materia di libretti e di soggetti da musicare, erano dunque finiti. Il 1853 fu l’ultimo
anno in cui V erdi mise in scena, a distanza
di un mese e mezzo circa, due opere. Il trovatore, infatti, fu rappresentato con grande
successo a Roma il 19 gennaio 1853. La traviata, scritta per il T eatro La F enice di
Venezia, andò in scena per la prima volta il
6 marzo e cadde clamorosamente.
Verdi stava ancora lavorando al Trovatore
quando accettò l’offerta avanzatagli dall’impresa della Fenice per una nuova opera da
rappresentare nella stagione di carnevale
del 1853. Nel febbraio del 1852, a P arigi, il
compositore assistette ad una recita del
dramma La dame aux camélias (La signora
delle camelie) di Alexandre Dumas figlio
(1824–1895), che veniva allora rappresentata per la prima volta, con un tipico succès
de scandale. Verdi ne rimase colpito, ma
occorse diverso tempo prima che si orientasse definitivamente per un adattamento
operistico della vicenda di Marguerite
Gautier. Ancora nell’estate del 1852 la scelta del soggetto non era stata fatta. Soltanto
in ottobre, dopo reiterati solleciti da parte
dell’impresa, Verdi sciolse i suoi dubbi e,
messo da parte un altro libretto a cui
Francesco Maria Piave stava da tempo lavorando, optò definitivamente per il dramma di
Dumas. Il tempo a disposizione era pochissimo, ma V erdi e Piave lavorarono con
impressionante rapidità. La tollerante censura veneziana, d’altro canto, non pose
ostacoli di rilievo: solo chiese ed ottenne
che il titolo escogitato inizialmente da Piave,
Amore e morte , fosse sostituito. L’impresa
veneziana si adoperò in ogni modo perché
l’epoca dell’azione fosse spostata in un altro
secolo. Verdi si oppose, ma alla fine dovette
cedere e l’opera fu messa in scena con
costumi del diciottesimo secolo.
Verdi si mostrò subito preoccupato per la
scelta del soprano che avrebbe dovuto
interpretare la parte della protagonista.
Desiderava infatti “una figura elegante, giovane, e che canti con passione”, mentre il
soprano scritturato dal teatro, F anny Salvini
Donatelli, presentava caratteristiche fisiche
ed interpretative esattamente contrarie.
Anche in questo caso V erdi si impuntò,
minacciò di andarsene, ma finì per accettare le cose come stavano; e questo alla fine
si rivelò fatale, perché l’implausibilità scenica del personaggio, unita a condizioni vocali tutt’altro che perfette, ebbe effetti deleteri
sulle reazioni del pubblico. La traviata andò
così in scena il 6 marzo 1853 e, come scrisse Verdi al direttore d’orchestra Angelo
Mariani, fece “fiascone”. Il pubblico non la
gradì e anche la critica veneziana, per quanto con un certo garbo, mise in luce chiaramente che l’opera non era piaciuta. V erdi,
tuttavia, non si mostrò troppo turbato dall’insuccesso. Sempre nella stessa lettera al
Giuseppe Verdi
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Mariani aggiungeva infatti: “Ho torto io o
hanno torto loro. P er me credo che l’ultima
parola sulla Traviata non sia quella d’ieri
sera”. Verdi aveva visto giusto: con qualche
opportuno cambiamento, La traviata risollevò le proprie sorti un anno dopo, il 6 maggio
1854, sempre a Venezia, ma questa volta al
Teatro San Benedetto, grazie anche alla
bella prova di un giovane soprano dotato
delle caratteristiche fisiche e vocali che
Verdi desiderava, Maria Spezia. Da quel
momento in poi, il suo successo crebbe
continuamente e oggi può essere considerata, almeno in Italia, come l’opera verdiana
di gran lunga più popolare.
Com’è noto, il dramma La dame aux camélias di Dumas figlio era a sua volta ricavato
dall’omonimo romanzo che il giovane scrittore aveva pubblicato, con enorme successo, nel 1848. N el tratteggiare l’eroina del
suo romanzo, Marguerite Gautier, Dumas si
era ispirato a Marie Duplessis, celebre démimondaine parigina di cui era stato per qualche tempo amante, morta di tisi nel 1847, a
soli 23 anni. Vista la buon accoglienza ottenuta dal romanzo, l’anno dopo Dumas decise di trarne un lavoro teatrale. La messa in
scena del dramma fu però ritardata di quasi
tre anni a causa dell’opposizione della censura. Soltanto al principio del 1852, grazie
anche all’intervento di Dumas padre, che
godeva all’epoca di un immenso prestigio e
di importanti appoggi nelle alte sfere, il
dramma poté essere rappresentato al
Théâtre du V audeville, dove replicò il successo del romanzo. Il passaggio dal romanzo alla pièce teatrale – che da un punto di
vista letterario risulta assai meno interessante e originale – comportò qualche piccola
modifica, soprattutto nel senso di una meno
accentuata crudezza realistica delle situazioni e di una maggiore idealizzazione della
figura della protagonista.
Il libretto di F rancesco Maria Piave segue
sostanzialmente lo svolgimento del dramma. Nell’adattamento librettistico è però del
tutto omesso il secondo atto del lavoro di
4
Dumas, quello in cui il complesso carattere
della cortigiana risulta chiaramente delineato anche nei suoi aspetti più venali. L’opera
verdiana, al contrario, accentua notevolmente gli aspetti più nobili e disinteressati
della protagonista, Violetta V aléry, facendone più una vittima della società che una figura di dubbia moralità, ancorché di buon
cuore. La soppressione del secondo atto
della pièce dumasiana derivava dunque,
oltre che dalla consueta esigenza di stringatezza e rapidità dell’azione, che era tipica di
Verdi, anche da una precisa scelta di caratterizzazione psicologica del personaggio.
Quanto a stringatezza, ad ogni buon conto,
La traviata ha pochi rivali: la sua durata si
aggira infatti sulle due ore, che possono
anche scendere ove si pratichino i consueti
tagli di tradizione.
Verdi, come già s’è detto, desiderava che
l’opera mantenesse l’ambientazione contemporanea che le aveva dato Dumas; per
questo protestò con forza quando l’impresa
veneziana, temendo possibili obiezioni da
parte della censura, volle a tutti i costi che
l’opera fosse ambientata in un altro secolo.
La vicenda traeva infatti gran parte del suo
interesse e del suo impatto emotivo sul pubblico dal fatto che gli eventi narrati erano
“vita vissuta”, attualità. Fino quasi alla fine
dell’Ottocento, tuttavia, La traviata fu rappresentata in costumi settecenteschi, e anche
le edizioni dello spartito coeve collocavano
la vicenda a P arigi e nelle sue vicinanze
intorno al 1700. Col tempo, tuttavia, si è definitivamente affermata l’abitudine di rappresentare l’opera così come Verdi l’aveva concepita, rispettando l’originale ambientazione
parigina di metà Ottocento.
Danilo Prefumo
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Trama
ATTO PRIMO
Un’affiatata compagnia di gaudenti aristocratici e compiacenti damigelle si è riunita
per trascorrere l’ennesima notte di piaceri.
Un po’ disorientato fra tanto vortice di parole e di musica, è Alfredo Germont, che si è
fatto introdurre dall’amico Gastone col proposito di conoscere personalmente la
padrona di casa, oggetto di segreta passione. Violetta si burla di tante attenzioni, e propone un brindisi collettivo. La festa prosegue nel salone contiguo con le danze; gli
invitati accorrono, ma un accesso di tosse
frena Violetta, che si trattiene assistita da
Alfredo. I due rimangono soli. Alle profferte
amorose dell’uno si mescolano le ricuse
divertite dell’altra, che a un uomo non può
promettere altro che amicizia. Catturati nuovamente dal turbinio della festa, che sta per
volgere al termine, i due si danno appuntamento per il giorno seguente. È ormai l’alba
e Violetta, rimasta sola, medita turbata sull’effetto sortito in lei dalle parole di Alfredo:
che sia forse giunto il giorno del suo primo
vero amore? N o di certo. Il destino di
Violetta è ben altro: continuare nella sua
condizione di gaudente indipendenza
sociale.
ATTO SECONDO
Il riaprirsi della tela, su una casa di campagna presso P arigi, ci rivela contro ogni
aspettativa un Alfredo perfettamente inserito
in un tranquillo ménage di coppia con la
donna. La serenità conquistata ha tuttavia
vita breve. La servetta Annina, rivela di essere stata inviata dalla padrona a P arigi per
alienare i beni restanti e finanziare così la
nuova esistenza. Alfredo, aperti finalmente
gli occhi dopo tre mesi di estasi beata, corre
egli stesso in città per cercare una soluzione. Rientra Violetta; sorride di un invito che
le giunge dai vecchi amici per la sera stessa: non è più vita per lei! Ed ecco piombare
inatteso il padre d’Alfredo che chiede alla
donna una netta recisione della convivenza
peccaminosa: il futuro genero, venuto a
conoscenza dell’onta che grava sulla famiglia Germont, minaccia di abbandonare la
sorella di Alfredo. Violetta oppone tutto il
suo autentico e disinteressato amore per
Alfredo, ma il vecchio Germont cinicamente
le consiglia, finché è giovane, di tornare alla
vita gaudente di prima; l’uomo è volubile e
quando la bellezza sarà svanita anche
Alfredo si rivolgerà altrove. La donna cede.
Abbandonerà Alfredo a patto che, quando il
dolore avrà sopraffatto la sua ormai cagionevole salute, gli venga rivelata la verità.
Rimasta sola, Violetta si appresta a scrivere
ad Alfredo quando questi rientra inaspettatamente. La scena che ne segue culmina in
una straziante richiesta d’amore da parte di
Violetta; poi questa fugge verso P arigi. La
lettera viene recapitata all’amato pochi
minuti dopo: questi l’apre, la legge e cade
disperato fra le braccia del padre, rimasto
per consolare e riconquistare il figlio.
Alfredo si stacca a dirato dall’abbraccio
paterno, intento a scoprire chi possa essere
la causa dell’improvviso voltafaccia di
Violetta (forse il barone Douphol?); il suo
sguardo si posa su un foglio abbandonato
sul tavolo: l’invito per la sera stessa al solito
festino; è lì che l’offesa verrà vendicata. Con
un repentino cambio di scena, siamo al centro di un ballo mascherato. A poche ore dal
fatto, la notizia della separazione fra i due
amanti circola già in società. Ecco giungere
Violetta, accompagnata dal barone
Douphol. Alfredo sbanca tutti al tavolo da
gioco, anche il rivale, in una sfida a carte
che assume inevitabilmente connotazioni
ben più personali. La tensione viene interrotta dall’invito alla cena: i convitati si allontanano, tranne Violetta, che in un disperato
tentativo di evitare il peggio ha fatto chiamare Alfredo. Il dialogo è impossibile: lei si
vede costretta ad ammettere di amare
Douphol, pur di non svelare il vero, e lui,
chiamati i presenti a raccolta, con ira crescente ne denuncia pubblicamente la con-
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dotta, gettandole ai piedi una borsa di danaro in pagamento per il periodo trascorso
insieme. La situazione precipita nel concertato finale, aperto dall’ingresso inatteso di
Germont padre che rimprovera il figlio per il
suo comportamento indecoroso. Si accodano le espressioni di rimorso di Alfredo, le
dolenti rimostranze di Violetta, e i moti compassionevoli di tutti gli astanti.
ATTO TERZO
Il preludio si apre con le identiche note dell’inizio, ma senza più deviare verso i toni
della passione e della frivolezza: il presente
è solo dolore – fisico, oltre che morale ed
affettivo, in quanto la tisi ha ormai condotto
l’eroina sul letto di morte. Al capezzale l’assistono ancora la fedele Annina e le cure
pietose del medico. La sofferenza e l’indigenza di Violetta contrastano con l’opulenza
del carnevale parigino, che fa giungere dalla
strada i suoi canti festosi. Unica consolazione in tanta solitudine è una lettera che la
donna ha ricevuto da Germont padre: l’informa del duello, in cui il barone è rimasto
ferito, e della partenza di Alfredo dalla
Francia. Ragguagliato finalmente dal padre
sulla verità degli eventi, sta ora facendo rapido ritorno per farsi perdonare dall’amata.
Purtroppo è ormai tardi: le forze abbandonano Violetta giorno dopo giorno. Ma ecco
Annina entrare tutta eccitata nella stanza:
Alfredo è arrivato, e corre fra le braccia di
Violetta. Alla rappacificazione immediata
seguono i più ottimistici progetti per il futuro; Violetta vorrebbe uscire, correre in chiesa per ringraziare Iddio della nuova gioia,
ma le forze non la reggono più. Si chiami
pure il medico, ma se non riesce a salvarla
il tanto sospirato ritorno di Alfredo, nessun
altro lo potrà in terra. Anche Giorgio
Germont sopraggiunge per l’ultimo conforto: le voci si uniscono nel concertato finale
avviato dalla protagonista che, dopo pochi
istanti di apparente vigore, cade esanime.
Saimir Pirgu (Alfredo Germont) - Cinzia Forte (Violetta Valéry)
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English
“An elegant, young figure, and one who
sings with passion”
After the triumph of Rigoletto, in 1851,
Giuseppe Verdi found himself in a particularly felicitous moment. Only 38 years old,
he was now the most popular and highly
respected operatic composer in Italy; his
operas were being staged with growing success all over Europe, and the worries and
hardships of his early years were now only
memories. The “galley years”, characterised
by high production rhythms and choices of
librettos and subjects to set that were not
always fortunate, were now over . 1853 was
the last year when Verdi staged two operas,
at a distance of about one and a half
months. Il Trovatore, in fact, was successfully staged in Rome on 19th January 1853. La
Traviata, written for the F enice Theatre in
Venice, was presented on 6 th March and
was a clamorous flop.
Verdi was still working on Il Trovatore when
he accepted the request made by the impresario of the Fenice Theatre for a new opera
to be performed in the 1853 carnival season. In February 1852 in Paris, the composer was present at a performance of the play
La Dame aux Camélias (The Lady of the
Camellias) by Alexandre Dumas fils (18241895), which was being performed for the
first time with a typical succès de scandale.
Verdi was impressed, but it was some time
before he finally decided on an operatic
adaptation of Marguerite Gautier’s story .
The summer of 1852 arrived and still no subject had been chosen. It was not until
October, after the repeated promptings of
the impresario, that V erdi finally overcame
his doubts and, setting aside another libretto by F rancesco Maria Piave that he had
been working on for some time, opted definitively for the Dumas drama. There was very
little time available, but V erdi and Piave
worked with astonishing rapidity . The tolerant censor of V enice, furthermore, did not
create any significant obstacles: he merely
asked for and obtained a change of the title
that Piave had originally thought up, Amore
e morte. The Venice theatre did its utmost to
have the action moved to another century .
Verdi opposed this but in the end had to
yield and the opera was staged in 18 th-century costumes.
Verdi was immediately preoccupied with the
choice of the soprano for the title role. What
he wanted was “an elegant, young figure
and one who sings with passion”, whilst the
soprano engaged by the theatre, F
anny
Salvini Donatelli, presented physical and
performing characteristics that were quite
the opposite. Here again Verdi dug his heels
in, threatened to leave but finally accepted
things as they were. In the end this was to
prove fatal, for the stage implausibility of the
singer, linked to vocal conditions that were
far from perfect, had a deleterious effect on
the public. La Traviata thus went on stage on
6th March 1853 and, as V erdi wrote to the
conductor Angelo Mariani, was a “great fiasco”. The public did not like it and even the
critics of V enice, albeit with a certain elegance, clearly stated that they had not
appreciated the opera. V erdi, however, did
not appear to be unduly upset by its failure.
In the same letter to Mariani he added:
“Either I am wrong or they are wrong. I
believe that last night’s is not the last word
on Traviata.” Verdi was right: with a few welljudged changes, La Traviata was a success
one year later, on 6 th May 1854, again in
Venice but this time at the San Benedetto
theatre, thanks in part to the fine performance of a young soprano blessed with the
physical and vocal characteristics that Verdi
wanted, Maria Spezia. F rom that moment
on, its success grew continually and today it
may be considered, in Italy at least, as by far
the most popular of Verdi’s operas.
As we know , the drama La dame aux
camélias by Dumas fils was, in turn, based
on the novel of the same name that the
young writer had published, with great success, in 1848. In depicting the heroine of his
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novel, Marguerite Gautier , he had drawn
inspiration from Marie Duplessis, the
famous Parisian démi-mondaine whose
lover he had been for some time, and who
died of consumption in 1847 at the age of
just 23 years. Given the good reception of
the novel, one year later Dumas decided to
create a theatrical work from it. The staging
of the play, however, was delayed for nearly
three years by the censor’s opposition. It
was only in early 1852, thanks to the intervention of Dumas père, who enjoyed
immense prestige and had friends in high
places at the time, that the play was performed at the Théâtre du Vaudeville and was
as successful as the novel. The move
across from novel to theatrical pièce – which
in literary terms is much less interesting and
original – involved some minor changes,
especially a less strongly marked realistic
crudeness in the situations and greater idealisation of the figure of the protagonist.
Francesco Maria Piave’s libretto mainly follows the events of the play. In adapting it as
a libretto, however, he completely removed
Dumas’s second act, the part in which the
complex character of the courtesan is more
clearly delineated in her most venal aspects.
The Verdi opera gives remarkable emphasis
to the nobler, more disinterested aspects of
the leading lady, Violetta Valéry, making her
a victim of society rather than a figure of
dubious morality, though of good heart. The
suppression of the second act of Dumas’s
pièce was thus the product not only of
Verdi’s typical demand for concision and
rapid action but also of a deliberate choice
of psychological characterisation for the
role. As for concision, indeed, La Traviata
has few rivals: it lasts about two hours, or
even less if the traditional cuts are made.
Verdi, as we have said, wished the opera to
keep the contemporary setting that Dumas
had given it; he protested vigorously when
the Venice theatre direction, fearing possible objections by the censor, sought to have
the opera set in another century . The plot
Saimir Pirgu (Alfredo Germont)
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found much of its interest and its emotive
impact on the public in the fact that the
events it related were “real life” of the day .
Until nearly the end of the nineteenth century, however, La Traviata was performed in
eighteenth-century costume, and even the
coeval editions of the score set the story in
and near Paris about 1700. W ith time, however, the habit has been consolidated of
staging the opera as V erdi conceived it,
respecting its original Parisian mid-nineteenth-century setting.
Danilo Prefumo
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Plot
ACT ONE
A merry group of aristocratic friends and
flighty girls have gathered to pass another
night of pleasure. Alfredo Germont, a little
disoriented by the whirl of talk and music,
has been introduced by his friend Gastone;
Alfredo wishes to meet the mistress of the
house, object of his secret passion. Violetta
mocks all his attentions and proposes a collective toast. The party continues with dancing in the adjoining room; the guests rush
in, but Violetta is held back by an attack of
coughing and stays behind, assisted by
Alfredo. The two are left alone. She replies
with laughing refusals to his offer of love,
telling him she can promise no more than
friendship to a man. Caught up again in the
bustle of the party which is now drawing to
an end, the two agree to meet again the following day. It is dawn now and Violetta,
alone, is disturbed by the effect that
Alfredo’s words have had on her: is this perhaps the day of her first real love? Certainly
not. Violetta’s destiny is quite different: to
continue in her condition of carefree social
independence.
ACT TWO
The curtain rises on a country house outside
Paris where, contrary to all expectations, we
find Alfredo perfectly inserted in a peaceful
life with Violetta. Y et the serenity they have
achieved is not to last. The maid Annina
reveals that her mistress has sent her to
Paris to sell off the last of her property and
thus finance their new existence. Alfredo,
finally opening his eyes after three months
of ecstatic happiness, rushes off to Paris to
look for a solution. Violetta enters; she
smiles at an invitation for that very evening
from her old friends: that is not her life any
longer! Then suddenly Alfredo’s father
appears, asking the girl to put an immediate
end to this sinful life with his son: his future
son-in-law, who has come to know of the
dishonour that has struck the Germont family, threatens to break off his engagement to
Alfredo’s sister. Violetta defends herself ,
speaking of her genuine, disinterested love
for Alfredo, but old Germont cynically advises her to go back to her former life of pleasure while she is still young; men are inconstant and when her beauty fades, Alfredo
too will turn his attentions elsewhere. The
woman yields. She will abandon Alfredo on
condition that, when her pain has got the
better of her already failing health, he be
told the truth. Left alone, Violetta is writing a
letter to Alfredo when he himself returns
unexpectedly. The following scene culminates in a heart-breaking request for love
from Violetta; then she flees to Paris. The letter is delivered to Alfredo just a few minutes
later, he reads it and falls in desperation into
the arms of his father, who has stayed to
console and win back his son. Alfredo pushes his father away angrily , intent on discovering who could have brought about this
sudden change in Violetta (baron Douphol
perhaps?); his eyes fall on the sheet of
paper left on the table: the invitation to the
usual party that same evening; that is where
the insult will be avenged. A rapid scene
change finds us at a masked ball. Onlya few
hours after the event, news of the separation
of the two lovers is already the talk of the
town. N ow Violetta appears, accompanied
by baron Douphol. Alfredo beats everyone
at the card table, even his rival in a card-duel
that inevitably takes on far more personal
connotations. The tension is interrupted by
the invitation to dinner: all the guests move
into the dining room, except for Violetta,
who in a desperate attempt to avoid the
worst has had Alfredo called. Dialogue is
impossible: she finds herself obliged to
admit that she loves Douphol, so as not to
reveal the truth, and he, calling all the others
to his side, angrily denounces her behaviour
in public, and throws a bag of money at her
feet in payment for the time they have spent
together. The situation precipitates in the
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concertato finale, opened by the unexpected entrance of Germont father, who rebukes
his son for his indecorous behaviour. The act
closes with Alfredo’s expressions of remorse,
Violetta’s sorrowful remonstrations and gestures of sympathy from all the others.
ACT THREE
The prelude opens on the same notes as
the beginning, but without deviating towards
tones of passion and frivolity: the present is
only pain – physical, as well as moral and
emotive, for consumption has now brought
the heroine to her deathbed. She is assisted
by her faithful maid Annina and the compassionate care of the doctor. Violetta’s suffering and poverty contrast with the opulence of the Parisian carnival, whose festive
songs drift up from the street below . The
only consolation she has in all this solitude
is a letter that she has received from old
Germont: he tells her of the duel in which
the baron was wounded and of Alfredo’s
departure from F rance. Finally informed of
the truth of the situation by his father, Alfredo
is now hurrying back to beg pardon of his
beloved. Sadly it is late now: Violetta’s
strength is abandoning her day by day . But
now Annina enters excited: Alfredo has
arrived, and he runs to Violetta’s arms. They
immediately make peace and then optimistic plans for the future. Violetta would like
to go out, rush to church to thank god for
this new joy, but she is not strong enough.
The doctor is called, but if Alfredo’s longedfor return cannot save her then no one else
on earth can. Giorgio Germont also arrives
to offer final comfort: the voices blend in the
concertato finale opened by Violetta who,
after a few moments of apparent vigour, falls
lifeless.
From left to right, forefront: S. Pirgu (Alfredo Germont)- C. De Moor (Barone Douphol)
C. Forte (Violetta Valéry) - T. Van Ingelgem (Flora Bervoix)
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Deutsch
“Eine elegante, junge Person, die mit
Leidenschaft singen soll”
N ach dem triumphalen Erfolg mit
„Rigoletto“ 1851 erlebte Giuseppe Verdi
einen besonders glücklichen Moment. Mit
erst 38 Jahren war er schon der populärste
und angesehenste italienische Opernk omponist; seine Opern wurden mit steigendem Erfolg in ganz Europa gespielt, und die
Sorgen und Schwierigkeiten seiner Anfänge
waren nur mehr eine Erinnerung. Die von
großer Geschwindigkeit beim Sc hreiben
und nicht immer glückliche Entscheidungen
hinsichtlich zu vertonender Sujets und
Libretti gekennzeichneten „Galeerenjahre“
waren also vorbei. 1853 war das letzte Jahr,
in dem Verdi in einem Abstand von ungefähr
eineinhalb Monaten zwei Opern auf die
Bühne brachte, denn „Il T rovatore“ wurde
am 19. Januar 1853 mit großem Erfolg in
Rom uraufgeführt, während „La T raviata“
am 6. März erstmals im T eatro La Fenice in
Venedig gegeben wurde und durchfiel.
Verdi arbeitete noch am „T rovatore“, als er
das Angebot des Fenice für eine neue Oper
annahm, die in der Karnevalssaison 1853
gespielt werden sollte. Im F ebruar 1852
besuchte der K omponist in P aris eine
Aufführung des Dramas „La dame aux
camélias“ (Die Kameliendame) von Alexandre Dumas fils (1824-1895), das damals
erstmals gegeben wurde und einen typischen succès de scandale hatte. Verdi war
beeindruckt, doch brauchte es einige Zeit,
bevor er sich endgültig für eine Opernfassung der Geschichte von Marg-uerite
Gautier entschied. N och im Sommer 1852
war die Wahl des Sujets noch nicht erfolgt.
Erst im Oktober gab V erdi nach wiederholten Mahnungen des Theaterunter -nehmens
seine Zweifel auf und entschied sich endgültig für Dumas’ Drama, nachdem er ein
anderes Libretto, an dem F rancesco Maria
Piave schon längere Zeit arbeitete, zur Seite
geschoben hatte. Es stand nur sehr wenig
Zeit zur V erfügung, doch V erdi und Piave
arbeiteten
mit beeindruckender
Geschwindigkeit. Auf der anderen Seite
machte die tolerante Zensur Venedigs keine
großen Schwierigkeiten und verlangte nur ,
daß der von Piave anfänglich erdachte T itel
„Amore e morte“ (Liebe und T od) geändert
würde. Das venezianische Opernhaus setzte sich aber dafür ein, daß die Zeit der
Handlung in ein anderes Jahrhundert verlegt würde. V erdi widersetzte sich, mußte
aber schließlich nachgeben, und die Oper
wurde in K ostümen des achtzehnten
Jahrhunderts inszeniert.
Der Komponist zeigte sich sofort wegen der
Wahl der Sängerin, welche die Titelrolle singen sollte, besorgt, denn er wollte „eine elegante, junge P erson, die mit Leidenschaft
singen soll“, während die vom Opernhaus
verpflichtete Sopranistin F anny Salvini
Donatelli in ihren körperlichen und interpretatorischen Merkmalen genau das Gegenteil
davon war. Auch in diesem Fall sträubte sich
Verdi und drohte an, zu gehen, aber schließlich akzeptierte er die Dinge so, wie sie
lagen. Dies erwies sich schlußendlich als
fatal, weil die szenische Unglaubwürdigkeit
der Figur zusammen mit einem alles andere
als vollkommenen stimmlichen Zustand verderbliche Auswirkungen auf die P ublikumsreaktionen hatte. So ging „La T raviata“ am
6. März 1853 über die Bühne und war ein
„Riesenfiasko“, wie Verdi an den Dirigenten
Angelo Mariani schrieb. Dem P ublikum
gefiel sie nicht, und auch die venezianische
Kritik machte – wenn auch mit einer gewissen Liebenswürdigkeit – deutlich, daß die
Oper nicht gefallen hatte. Dennoch zeigte
sich Verdi von dem Mißerfolg nicht sehr
beunruhigt, denn in dem Brief an Mariani
schrieb er auch: „Ich habe Unrecht oder sie
haben Unrecht. Meinerseits glaube ich, daß
das letzte Wort über die „Traviata“ nicht das
von gestern Abend war“. Der K omponist
hatte richtig gesehen, denn mit ein paar kleinen Änderungen war die Oper ein Jahr später, am 6. Mai 1854, erfolgreich – wieder in
Venedig, aber diesmal am T eatro San
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Benedetto, was auch der guten Leistung
des jungen Soprans Maria Spezia zu verdanken war, welche die körperlichen und
stimmlichen Eigenschaften besaß, die Verdi
wünschte. Seit damals stieg der Erfolg des
Werkes ständig, das heute – zumindest in
Italien – als die bei weitem populärste Oper
Verdis angesehen werden kann.
Bekanntlich war das Drama „La dame aux
camélias“ von Dumas fils seinerseits aus
dem gleichnamigen Roman entstanden,
den der junge Schriftsteller 1848 mit
Riesenerfolg veröffentlicht hatte. Bei der
Zeichnung der Heldin seines Romans
Marguerite Gautier hatte sich Dumas an
Marie Duplessis inspiriert, einer berühmten
Pariser Halbweltdame, die 1847 erst dreiundzwanzigjährig an Schwindsucht gestorben und deren Liebhaber er eine Zeitlang
gewesen war. Angesichts der guten
Aufnahme des Romans beschloß Dumas
ein Jahr darauf , ein Drama daraus zu
machen. Dessen Inszenierung verschob
sich aber wegen des W iderstands der
Zensur um fast drei Jahre. Erst Anfang 1852
konnte es im Théâtre de V audeville gegeben werden, wo es den Erfolg des Romans
wiederholte. Dies war auch der Intervention
von Dumas père zu verdanken, der damals
ungeheuer angesehen war und in hohen
Kreisen bedeutende Unterstützung fand.
Der Übergang vom Roman zum Theat
erstück (das vom literarischen Standpunkt
aus sehr viel weniger interessant und originell ist) brachte ein paar kleine Änderungen
mit sich, vor allem im Sinne einer weniger
starken realistischen Härte der Situationen
und einer größeren Idealisierung der
Hauptfigur.
Das Libretto von Francesco Maria Piave
folgt im wesentlichen dem Verlauf des
Dramas. In der Bearbeitung für das Libretto
fiel aber der zweite Akt von Dumas’ W erk
völlig weg, in welchem der komplexe
Charakter der Kurtisane auch in seinen läßlichsten Aspekten umrissen wird. Im
Gegensatz dazu unterstreicht V erdis Oper
12
die edelsten und uneigennützigsten Seiten
seiner Protagonistin Violetta V aléry und
macht aus ihr eher ein Opfer der Gesellschaft denn eine zwar gutherzige Figur von
zweifelhafter Moral. Daß der zweite Akt von
Dumas’ Stück gestrichen wurde, ist also
nicht nur auf die übliche Notwendigkeit von
Verknappung und rasch ablaufender Handlung zurückzuführen, wie sie für V
erdi
typisch war, sondern auch auf eine genaue
Entscheidung hinsichtlich der psychologischen Charakterisierung der Figur
.
Bezüglich der Knappheit hat „La Traviata“
jedenfalls wenige Rivalen, denn sie dauert
ungefähr zwei Stunden oder noch weniger,
wenn die üblichen traditionellen Striche vorgenommen werden.
Wie bereits erwähnt, wünschte V erdi, daß
die Oper das von Dumas verliehene zeitgenössische Milieu beibehalten sollte. Deshalb
protestierte er heftig, als das venezianische
Theaterunternehmen um jeden Preis wollte,
daß das W erk in einem anderen Jahrhundert spielen sollte, weil Einwendun-gen der
Zensur befürchtet wurden. Die Geschichte
zog nämlich einen Großteil ihres Interesses
und ihrer emotionalen W irkung auf das
Publikum aus der Tatsache, daß die erzählten Ereignisse „gelebtes Leben“ und von
Aktualität waren. Dennoch wurde „La
Traviata“ fast bis Ende des 19. Jahrhunderts
in Kostümen des 18. gespielt, und auch die
zeitgenössischen Ausgaben der Partitur siedelten die Handlung in P aris und Umgebung um 1700 an. Mit der Zeit setzte sich
dennoch endgültig die Gewohnheit durch,
die Oper so zu spielen, wie V erdi sie entworfen hatte und die ursprüngliche
Ansiedelung im P aris zur Hälfte des 19.
Jahrhunderts einzuhalten.
Danilo Prefumo
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Die Handlung
ERSTER AKT
Eine vertraute Gesellschaft genießerischer
Adeliger und entgegenkommender junger
Damen hat sich versammelt, um eine weitere vergnügliche N acht zu verbringen. Ein
wenig desorientiert in diesem Strudel von
Worten und Musik steht Alfredo Germont,
der sich von seinem F reund Gastone einführen ließ, mit dem V orhaben, die
Hausherrin, die Gegenstand seiner geheimen Leidenschaft ist, persönlich kennenzulernen. Violetta lacht über so viel Aufmerk samkeit und schlägt ein gemeinsames
Trinklied vor. Das Fest wird im Salon nebenan mit Tänzen fortgesetzt. Die Gäste strömen hin, doch Violetta wird von einem
Hustenanfall aufgehalten, und sie bleibt mit
Alfredo allein zurück. Mit dem amourösen
Anerbieten des jungen Mannes mischt sich
ihre belustigte Zurückweisung, denn sie
kann einem Mann nichts anderes als
Freundschaft bieten. N euerlich im T rubel
des Festes, das im Begriff ist, zu Ende zu
gehen, verabreden sich die beiden für den
nächsten Tag.
In der angebrochenen Morgendämmerung
denkt die allein gebliebene Violetta beunruhigt über die in ihr hervorgerufene W irkung
von Alfredos W orten nach. Sollte vielleicht
der Tag ihrer ersten echten Liebe gekommen sein? Sicherlich nicht.
Violettas Schicksal ist ein ganz anderes,
nämlich ihre genußfreudige gesellschaftliche Unabhän-gigkeit fortzusetzen.
ZWEITER AKT
Bei Aufgehen des V orhangs über einem
Landhaus in der N ähe von P aris sehen wir
gegen jede Erwartung einen Alfredo, der mit
Violetta das ruhige Leben eines P
aares
führt. Die erlangte Heiterkeit ist jedoch von
kurzer Dauer. Die Zofe Annina entdeckt
Alfredo, daß die Herrin sie nach Paris zur
Veräußerung ihres verbli ebenen Besitzes
geschickt hat, um so ihre neue Existenz zu
finanzieren. Alfredo, dem nach drei Monaten
seliger Ekstase endlich die Augen aufgehen, eilt auf der Suche nach einer Lösung
seinerseits in die Stadt. Violetta kehrt
zurück. Sie lächelt über eine Einladung der
alten Freunde für den selben Abend, denn
das ist nicht mehr ihr Leben. Nun erscheint
unerwartet Alfredos V ater, der von Violetta
den Abbruch ihres sündhaften Zusammenlebens verlangt, denn sein künftiger Schwiegersohn droht, nachdem er von der
Schande erfahren hat, die über der F amilie
Germont schwebt, Alfredos Schwester zu
verlassen. Violetta setzt dem ihre ganze
echte, uneigennützige Liebe zu Alfredo entgegen, doch der alte Germont rät ihr
zynisch, in ihr voriges Genußleben zurückzukehren, solange sie noch jung ist. Der
Mann ist unbeständig, und sobald ihre
Schönheit verschwunden ist, wird sich auch
Alfredo anderswo hinwenden. Violetta gibt
nach. Sie wird Alfredo unter der Bedingung
verlassen, daß ihm die W ahrheit entdeckt
wird, sobald der Schmerz ihre bereits
schwache Gesundheit zunichte gemacht
hat. Allein geblieben, beginnt sie an Alfredo
zu schreiben, als dieser unerwartet zurückkehrt. Die sich daraus ergebende Szene hat
ihren Höhepunkt in einer herzzerreißenden
Bitte Violettas um Liebe; dann flieht sie nach
Paris. Der Brief wird dem Geliebten wenige
Minuten später gebracht; er öffnet und liest
ihn und fällt verzweifelt in die Arme seines
Vaters, der geblieben ist, um seinen Sohn
zu trösten und zurückzuerobern. Alfredo
entwindet sich zornig der väterlichen
Umarmung mit der Absicht, zu erfahren, wer
der Grund für Violettas plötzlichen Gesinnungswandel ist (vielleicht Baron Douphol?).
Sein Blick fällt auf ein auf dem T isch liegendes Blatt P apier – es ist die Einladung für
den selben Abend zum üblichen F est; dort
wird er die Beleidigung rächen.
Der umgehende Szenenwechsel führt uns
mitten in einen Maskenball. W
enige
Stunden nach dem Ereignis ist die
N achricht von der T rennung der beiden
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Liebenden schon im Besitz der Gesellschaft. N un kommt Violetta in Begleitung
von Baron Douphol. Alfredo gewinnt allen,
auch seinem Rivalen, das ganze Geld bei
einem Kartenspiel ab, das unvermeidlicherweise sehr viel persönlichere Züge
annimmt. Die Spannung wird durch die
Aufforderung zum Abendessen unterbrochen. Die Gäste entfernen sich mit
Ausnahme von Violetta, die in dem verzweifelten Versuch, das Schlimmste zu verhindern, Alfredo rufen ließ. Es kommt zu einem
unmöglichen Dialog, in dem sie sich, um die
Wahrheit verborgen zu halten, zu der
Behauptung gezwungen sie ht, sie liebe
Douphol, während er , nachdem er die
Anwesenden herbeigerufen hat, in steigendem Zorn öffentlich ihr Verhalten anprangert
und ihr als Bezahlung der gemeinsam verbrachten Zeit Geld vor die Füße wirft. Die
Lage überstürzt sich im Schlußensemble,
das mit dem unerwarteten Erscheinen von
Germont père beginnt, der seinem Sohn
wegen seines unziemlichen Betragens
Vorwürfe macht. Es folgen der Ausdruck der
Gewissensbisse Alfredos, die schmerzlichen Vorhaltungen Violettas und die mitleidigen Worte aller Umstehenden.
DRITTER AKT
Das Vorspiel beginnt mit den gleichen
Noten des Beginns, ohne aber dann in die
Töne der Leidenschaft und Leichtfertigkeit
überzugehen, denn die Gegenwart besteht
nur aus Schmerz. N eben seiner moralischen und emotionalen F orm gibt es ihn
auch körperlich, weil die Schwindsucht die
Heldin bereits an den Rand des T
odes
geführt hat. Am Krankenbett ist noch die
getreue Annina, unterstützt von der mitleidsvollen Behandlung des Arztes. Violettas
Schmerzen und ihre Armut stehen im
Gegensatz zur Opulenz des P
ariser
Karnevals, dessen festliches Singen von der
Straße hereindringt. Der einzige Trost in dieser Einsamkeit ist ein Brief, den Violetta von
G. Meoni (Giorgio Germont) - C. Forte (Violetta Valéry)
14
Germont père erhalten hat. Er informiert sie
über das Duell, in dem der Baron verwundet
wurde, und darüber, daß Alfredo Frankreich
verlassen hat. V om Vater endlich über die
wahren Ereignisse unterrichtet, ist er nun
rasch auf dem W eg zu der Geliebten, um
ihre Vergebung zu erlangen. Es ist leider
sehr spät, denn Tag für Tag werden Violettas
Kräfte weniger. Doch nun betritt Annina
ganz aufgeregt das Zimmer, denn Alfredo ist
eingetroffen und wirft sich in Violettas Arme.
Der sofortigen Versöhnung folgen die optimistischsten Pläne für die Zukunft, und
Violetta möchte in die Kirche eilen, um Gott
für die neue F reude zu danken, aber ihre
Kraft hält sie nicht mehr aufrecht. Man möge
ja den Arzt rufen, aber wenn die so ersehnte Rückkehr Alfredos sie nicht retten kann,
so kann es niemand auf dieser W elt. Auch
Giorgio Germont kommt für einen letzten
Trost hinzu; die Stimmen vereinen sich im
Schlußensemble, das von der Protagonistin
angeführt wird, die nach wenigen Augenblicken scheinbarer Energie entseelt zu
Boden stürzt.
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Francais
« Une figure élégante, jeune, et qui chante avec passion »
Après le succès triomphal de Rigoletto en
1851, Giuseppe Verdi traverse une période
de sa vie particulièrement heureuse. A 38
ans, il est déjà le compositeur d’opéra italien le plus populaire et le plus respecté.
Ses ouvrages connaissent un succès grandissant partout en Europe, et les soucis et
les difficultés de ses débuts ne sont plus
qu’un souvenir. Les « années de galère »,
marquées par un rythme de production
élevé et des choix parfois malheureux quant
aux livrets et aux sujets à mettre en
musique, sont désormais derrière lui.
L’année 1853 est la dernière où V erdi compose deux ouvrages en moins de deux
mois. En effet, Le Trouvère est donné avec
beaucoup de succès à Rome le 19 janvier
1853, et la première représentation de La
Traviata, écrite pour le Théâtre La F enice de
Venise, a lieu le 6 mars. Elle connait en
revanche un échec retentissant.
Verdi travaille encore au Trouvère quand il
accepte l’offre de La Fenice pour un nouvel
opéra à composer à l’occasion du Carnaval
de 1853. En février 1852, le compositeur
assiste à la représentation d’une nouvelle
pièce de théâtre d’Alexandre Dumas fils
(1824–1895), La dame aux camélias, qui est
frappée par une série de scandales. V erdi
est marqué par cette pièce mais il s’écoulera encore un certain temps avant qu’il ne
s’oriente définitivement vers une adaptation
de l'histoire de Marguerite Gautier pour l'opéra. A l’été 1852, le choix du sujet n’est
toujours pas arrêté. Ce n’est qu’en octobre,
après de nombreuses relances de la part du
théâtre, que les doutes de V erdi se dissipent. Il écarte un autre livret auquel
Francesco Maria Piave travaille depuis un
certain temps et opte définitivement pour le
drame de Dumas. Il ne reste plus beaucoup
de temps mais Verdi et Piave travaillent avec
une impressionnante rapidité. La censure
vénitienne, plutôt tolérante, ne soulève pas
d’obstacles majeurs, exigeant seulement
que le titre initialement choisi par Piave,
Amour et mort, soit remplacé. De son côté,
le théâtre vénitien fait pression pour que l’époque de l’action soit déplacée dans un
autre siècle. Verdi s’y oppose mais doit finalement s’incliner, et l’ouvrage est mis en
scène avec des costumes du dix -huitième
siècle.
Verdi se montre immédiatement inquiet
quant au choix de la soprano qui doit interpréter le rôle de la protagoniste. En effet, il
souhaite « une figure élégante, jeune, et qui
chante avec passion » alors que la soprano
engagée par le théâtre, F anny Salvini
Donatelli présente un caractère d'interprète
totalement opposé. Là aussi, V erdi s’entête
et menace de tout abandonner , mais il finit
par accepter les choses telles quelles ; au
final, cette décision sera fatale car l'invraisemblance scénique du personnage, ajoutée à des conditions vocales loin d’être parfaites, auront des effets désastreux sur les
réactions du public. La Traviata est donc
présentée le 6 mars 1853 et est un véritable
fiasco, comme l’écrit V erdi au chef d’orchestre Angelo Mariani. Le public ne l’aime
pas et la critique vénitienne souligne, quoiqu’avec une certaine discrétion, que l’ouvrage n’a pas plu. Cependant, V erdi ne
paraît pas très troublé par cet échec. Dans
la même lettre adressée à Mariani, il ajoute
en effet : « c’est moi qui ai tort, ou ce sont
eux. Quant à moi, je pense que le dernier
mot sur la Traviata n’a pas été dit hier soir »
Verdi a vu juste. Il y a apporté quelques
modifications bien choisies et La T raviata
ressuscite un an plus tard, le 6 mai 1854 –
toujours à Venise, mais cette fois au théâtre
San Benedetto – grâce aussi à la belle performance de Maria Spezia, une jeune soprano dotée des qualités physiques et vocales
souhaitées par Verdi. A partir de ce
moment, son succès grandit constamment
et La Traviata peut être aujourd’hui considérée, du moins en Italie, comme l’opéra le
plus populaire de Verdi.
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Comme on le sait, le drame La dame aux
camélias de Dumas fils est tiré du roman
éponyme publié avec un grand succès par
le jeune écrivain en 1848. P our dépeindre
son héroïne, Marguerite Gautier, Dumas s’était inspiré de Marie Duplessis, célèbre
demi-mondaine parisienne morte de phtisie
à 23 ans en 1847, et qui avait été pendant
quelques temps sa maîtresse. Les lecteurs
ayant fait un bon accueil à son roman,
Dumas décide un an plus tard d’en tirer une
pièce de théâtre. Mais sa mise en scène est
retardée de trois ans en raison de l’opposition de la censure. Ce n’est que début 1852
– et grâce à l’intervention de Dumas père,
qui jouit à l’époque d’un immense prestige
et d'appuis haut placés – que le drame peut
être présenté au Théâtre du Vaudeville, où il
reçoit un succès comparable à celui du
roman. La transposition du roman en pièce
de théâtre – moins intéressante et originale
d’un point de vue littéraire – entraîna
quelques modifications, notamment pour
diminuer la crudité réaliste des situations et
accentuer l’idéalisation du personnage principal. Le livret de F rancesco Maria Piave
épouse en partie le déroulement du drame
mais en éliminant entièrement le second
acte de l’ouvrage de Dumas, où le caractère complexe de la courtisane apparaît clairement dans tous ses aspects, y compris le
plus vénal. En revanche, l’ouvrage de V erdi
met l’accent sur la noblesse et le désintéressement de la protagoniste, Violetta
Valéry, faisant d’elle une victime de la société plutôt qu’un personnage à la moralité
douteuse, quoique généreux.
La suppression du second acte de la pièce
dérive donc non seulement de l’exigence
habituelle de concision et de rapidité de
l’action qui distingue Verdi, mais aussi d’un
choix précis de caractérisation psychologique du personnage. En ce qui concerne la
concision, La Traviata a peu d'égal : sa
durée est d’environ deux heures mais peut
être réduite lorsqu’on effectue les coupures
traditionnelles.
Cinzia Forte (Violetta Valéry)
16
Verdi souhaitait donc que son ouvrage se
situe au dix -neuvième siècle, comme
Dumas l’avait imaginé. C’est pourquoi il protesta vigoureusement quand le théâtre vénitien, craignant de possibles objections de la
censure, voulut absolument déplacer
l’œuvre dans un autre siècle. L’histoire
devait en effet une grande partie de son
succès et de son impact émotionnel auprès
du public au fait que les événements mis en
scène étaient d’actualité en ces années-là.
N éanmoins, jusqu’à la fin du dix -neuvième
siècle La Traviata fut présentée en costumes
du dix-huitième, et les éditions contemporaines de la partition situaient elles aussi l’histoire à P aris aux environs des années 1700.
Avec le temps, cependant, il est courant de
représenter l’ouvrage de V erdi au milieu du
dix-neuvième siècle, comme il l’avait imaginé.
Danilo Prefumo
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Intrigue
ACTE PREMIER
Une jo yeuse compagnie d’aristocrates
jouisseurs et de jeunes filles complaisantes
s’est réunie pour passer encore une fois
une nuit de plaisirs. Un peu désorienté par
autant d'agitation, Alfredo Germont, qui s'est
fait accompagner par son ami Gaston, désire faire la connaissance de la maîtresse de
maison dont il est secrètement épris.
Violetta se moque de ses attentions et propose un toast collectif . La fête se poursuit
dans le salon voisin où les invités accourent.
Violetta quant à elle est en compagnie
d'Alfredo. Il lui déclare son amour mais elle
se moque en riant et affirme qu’elle ne peut
offrir que son amitié à un homme. Emportés
par le tourbillon de la fête qui va bientôt se
terminer, tous deux se donnent rendez-vous
le lendemain. L’aube pointe déjà et Violetta,
demeurée seule, est troublée par l’effet
qu’ont eu sur elle les paroles d’Alfredo :
serait-ce pour elle le véritable premier
amour ? Certes non. Le destin de Violetta
est tout autre : elle doit poursuivre sa vie,
une vie de plaisirs.
ACTE DEUXIÈME
Le rideau se lève sur une maison de campagne près de P aris où Alfredo et Violetta
vivent tranquillement. Mais la sérénité
conquise sera brève. La servante Annina
annonce que sa maîtresse l’a envoyée à
Paris pour vendre les biens qu’il lui reste afin
de financer leur nouvelle existence. Ouvrant
les yeux après trois mois d’une extase
béate, Alfredo se rend à Paris pour y trouver
une solution. Violetta entre : elle sourit car
elle vient de recevoir une invitation pour le
soir même envoyée par de vieux amis, mais
cette ancienne vie lui semble absurde.
Survient le père d’Alfredo qui lui demande
de renoncer à sa liaison immorale avec son
fils. Une rumeur de scandale plane sur la
famille Germont: son futur gendre menace
de rompre avec la soeur d'Alfredo. Violetta
lui explique qu’elle aime son fils d’un amour
véritable et désintéressé, mais Germont lui
conseille avec cynisme de revenir à sa vie
de plaisirs tant qu’elle est jeune : l’homme
est volage et Alfredo ira voir ailleurs quand
sa beauté sera fanée. La jeune femme cède.
Elle abandonnera Alfredo à condition que la
vérité lui soit révélée quand sa santé désormais délicate vacillera. Demeurée seule, elle
s’apprête à écrire à Alfredo quand celui-ci
revient à l’improviste. La scène qui suit culmine dans la poignante déclaration d’amour
de Violetta, qui s’enfuit à Paris. Alfredo reçoit
sa lettre q uelques minutes plus tard, la lit et
s’effondre désespéré dans les bras de son
père, venu le consoler mais aussi le raisonner.
Plein de ressentiment, Alfredo s’arrache des
bras de son père, se demandant qui peut
avoir provoqué la volte-face de Violetta (peut être le baron Douphol ?) ; son regard s’égare
sur une feuille abandonnée sur la table : l’invitation pour la fête qui doit avoir lieu le soir
même ; c’est là qu’il se vengera.
Nous sommes maintenant dans un bal masqué. Quelques heures après la fuite de
Violetta, la nouvelle de la séparation entre
les deux amants circule déjà. Survient
Violetta, accompagnée du baron Douphol.
Assis à une table de jeu, Alfredo défie les
autres joueurs aux cartes, y compris son
rival, et gagne. La tension se calme quand
on annonce le souper ; les convives s’éloignent, sauf Violetta qui, dans une tentative
désespérée d’éviter le pire, a demandé à
Alfredo de rester près d’elle. Le dialogue est
impossible : pour cacher la vérité, elle doit
admettre qu’elle aime Douphol ; Alfredo,
dans un accès de rage, appelle les convives
et blâme publiquement la conduite de la
jeune femme avant de jeter à ses pieds une
bourse d’argent pour la dédommager de
ses frais d’entretien pendant leur vie commune. La situation se précipite au final, qui
débute avec l’entrée soudaine de Germont
père reprochant à son fils sa conduite indécente.
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Alfredo exprime quelques remords, Violette
de douloureux reproches et les convives
des paroles de compassion.
ACTE TROISIÈME
Le prélude s’ouvre sur le même thème
qu’au début, mais sans plus dévier vers le
thème de la passion et de la frivolité : le présent n’est que douleur – physique, mais
aussi morale et affective car la phtisie a désormais conduit l’héroïne sur son lit de mort.
Elle est entourée de sa fidèle Annina et d’un
médecin qui lui prodigue ses soins. La souffrance et l’indigence de Violetta contrastent
avec l’opulence du carnaval parisien, dont
la musique joyeuse monte de la rue. La
seule consolation de la mourante dans sa
solitude est la lecture d'une lettre de
Germont père qui l’informe du duel, au
cours duquel le baron a été blessé, et du
départ de France d’Alfredo. Ayant été informé par son père de la vérité sur leur séparation, celui-ci s’apprête à rentrer pour
demander pardon à sa bien-aimée. Mais il
est déjà trop tard car Violetta faiblit de jour
en jour. Annina entre dans la chambre, toute
excitée : Alfredo est là et il vient se jeter
dans les bras de Violetta. La réconciliation
est suivie de projets d’avenir optimistes ;
Violetta voudrait sortir, courir à l’église pour
remercier Dieu de cette nouvelle joie, mais
ses forces l’abandonnent. Inutile d’appeler
le médecin, car si le retour tant désiré
d’Alfredo ne peut la sauver, rien ni personne
ne pourra la guérir. Germont père survient
alors pour lui offrir un ultime réconfort : les
voix s’unissent en un concertato final entamé
par l’héroïne qui expire au bout de quelques
instants après une vaine résurrection.
18
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SIMON
BOCCANEGRA
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33650
LIVE RECORDIN G
SIMON BOCCANEGRA
Giuseppe Verdi
(Busseto, 1813 - Milan, 1901)
Melodramma in one prologue and three acts
Libretto by Francesco Maria Piave
Simon Boccanegra - Roberto Frontali
Maria Boccanegra - Amarilli Nizza
Jacopo Fiesco - Ferruccio Furlanetto
Gabriele Adorno - Walter Fraccaro
Paolo Albiani - Gezim Myshketa
Pietro - Paolo Battaglia
Un’ancella di Amelia - Donatella Gugliuzza
Orchestra and Chorus of the Teatro Massimo di Palermo
Conductor: Philippe Auguin
Chorus master: Andrea Faidutti
Director: Giorgio Gallione
Set and costume designer: Guido Fiorato
Video director: Matteo Ricchetti
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ITALIANO
N ella sua prima versione, il
Simon
Boccanegra di Giuseppe Verdi andò per la
prima volta in scena al T eatro La Fenice di
Venezia il 12 marzo 1857. Alla base del
libretto, scritto da F rancesco Maria Piave,
c’è il dramma Simón Bocanegra dello spagnolo Antonio Garcia Gutiérrez, un autore
che aveva già fornito a V erdi il soggetto per
un’opera di qualche anno precedente,
Il
Trovatore. Verdi terminò la stesura della
nuova opera in un tempo relativamente
breve, come gli era abituale, e dedicò molta
attenzione alle prescrizioni per l’allestimento
scenico. L’esito delle rappresentazioni
veneziane, tuttavia, fu molto al di sotto di
quanto Verdi si aspettava. Le ragioni del fiasco, o, forse più correttamente, del semplice insuccesso di stima – che per V erdi, a
quel punto della sua carriera, equivaleva ad
un fiasco – non riguardavano né l’esecuzione, che era stata in complesso soddisfacente, né l’allestimento scenico, assolutamente
in linea con la media del tempo. Il critico
della Gazzetta Privilegiata di V enezia che
recensì lo spettacolo subito dopo la prima
comprese le ragioni dell’insuccesso con
un’acutezza che merita di essere segnalata:
“La musica del Boccanegra è di quelle che
non fanno subito colpo […] Ella è assai elaborata, condotta col più squisito artifizio e si
vuole studiarla nei suoi particolari. Da ciò
nacque che la prima sera ella non fu in tutti
compresa, e se ne precipitò da alcuni il giudizio. Dopo aver circolato per i teatri italiani
con scarsa fortuna fino al 1871, il
Simon
Boccanegra “prima versione” uscì completamente di repertorio. Verdi, tuttavia, non
smise mai di pensare al modo di riportare
l’opera sulle scene, apportandovi le necessarie modifiche. L’occasione propizia si presentò solamente sul finire del 1880, allorché
il compositore, fatta definitivamente pace
con Arrigo Boito (che molti anni prima aveva
intonato una irridente Ode saffica col bicchiere in mano “All’arte italiana” per la quale
Verdi si era sentito offeso), iniziò a lavorare
col letterato e musicista padovano al progetto dell’Otello. Fu Giulio Ricordi a sugge-
2
rire a Verdi di iniziare a saggiare le possibilità di una collaborazione con Boito iniziando
proprio dal rimaneggiamento del Simon
Boccanegra, che Ricordi avrebbe provveduto a far inserire nel cartellone della Scala per
l’anno 1880/81: se il lavoro fosse andato a
buon fine e i due uomini si fossero trovati in
sintonia su un progetto di modeste dimensioni, più facile sarebbe stata la loro collaborazione sul progetto maggiore, quello
dell’Otello. Tutto fu realizzato in tempi brevissimi. Ricordi spedì la sua proposta a
Verdi a metà di novembre del 1880; il 20 di
quello stesso mese il compositore gli rispose affermando che il Prologo poteva rimanere tale e quale (in realtà poi operò diversi
e importanti cambiamenti), mentre il secondo e il terzo atto necessitavano di aggiustamenti marginali. Ciò che non funzionava
era, a suo giudizio, soprattutto il primo atto.
Verdi, però, aveva già individuato una possibile soluzione, con una scena interamente
nuova: e cioè quella scena del Gran
Consiglio, che sostituisce il vecchio finale
del primo atto – una festa popolare in piazza per celebrare i venticinque anni di dogato del Boccanegra – e che rappresenta uno
dei maggiori punti di forza della versione
definitiva dell’opera. In poco meno di sei
settimane, il lavoro di revisione e riscrittura
del Simon Boccanegra fu ultimato. Il risultato, ove si confrontino le due versioni, può
essere definito in un solo modo: stupefacente. Stupefacente non solo perché la
scena ex-novo del Gran Consiglio – “uno dei
più nobili edifici di tutto il dramma musicale”
secondo l’autorevole opinione di Julian
Budden – è un capolavoro che anticipa con
tutta evidenza gli esiti supremi dell’ Otello;
ma, forse ancor più, perché gli interventi di
riscrittura delle parti preesistenti ne definiscono una visione musicale completamente
nuova, che in genere non mostra significativi punti di scollamento col linguaggio “anni
Ottanta” della scena del Gran Consiglio.
Verdi, del resto, aveva chiaramente espresso il suo pensiero a Boito nella sua lettera
dell’otto gennaio 1881: “Io vorrei fare tutto di
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TRAMA
seguito come se si trattasse di un’opera
nuova”. N on è purtroppo possibile dare
minutamente conto di tutti i cambiamenti
apportati da V erdi nella seconda versione
della partitura. Occorre però ribadire che in
nessun altro caso di revisione di una propria
composizione Verdi fu altrettanto radicale e
altrettanto felice. Al Simon Boccanegra del
1857 potrebbe invece ben adattarsi la definizione di “opera non interamente riuscita”
che Massimo Mila ha ingiustamente assegnato alla versione del 1881. Là il desiderio
di battere strade nuove si esprimeva infatti
in un linguaggio che, per quanto ormai lontano dai moduli e dalle formule correnti, si
avvaleva di una sintassi, soprattutto nell’uso
del recitativo, che era ancora, largamente,
quella tradizionale. Ed in effetti se c’è un
problema nel Simon Boccanegra – ed è ciò
che lo ha fatto definire “un capolavoro quasi
perfetto”, e non “perfetto” tout court – esso
sta proprio nella sutura non sempre felice e
spesso facilmente avvertibile tra le parti
“riformate”, e le meno riuscite e più rétro tra
le parti originali. Così riveduto e corretto,
Simon Boccanegra tornò sulle scene alla
Scala di Milano il 24 marzo 1881, diretto da
Franco Faccio, e con una serie di interpreti
d’eccezione che ne assicurarono il successo: Simon Boccanegra fu Victor Maurel, che
sei anni dopo sarebbe stato il primo Jago;
Gabriele Adorno fu F rancesco Tamagno,
futuro primo Otello; Anna d’Angeri fu
Amelia/Maria, Edouard De Reszke fu Fiesco
e Federico Salvati, Paolo Albiani. Per l’opera
iniziava una seconda vita, che l’avrebbe lentamente condotta alla definitiva riabilitazione
e al pieno accoglimento nel repertorio dei
principali teatri nella seconda metà del ventesimo secolo.
Danilo Prefumo
Prologo
Prima metà del secolo XIV , in una piazza di
Genova sulla quale si affaccia il palazzo dei
Fieschi. È sera, e l’artigiano P aolo Albiani, il
suo amico Pietro, marinai e popolani parteggiano per l’elezione a doge di un prode
corsaro al servizio della Repubblica: Simon
Boccanegra. Egli accetta la candidatura per
amore di Maria Fiesco, che il nobile padre
gli negò come sposa benché dai loro amori
fosse nata una bimba: quando egli sarà
doge, il Fiesco non gli potrà più ricusare
Maria che, gravemente inferma, vive segregata nel palazzo. Esce Fiesco piangente
perché la figlia è morta; respinge duramente Simone e si dichiara disposto alla pace
con lui se gli restituirà l’innocente bimba
messa al mondo da Maria. Ma Simone non
può; anch’egli ha perduto ogni traccia della
piccina, che era stata affidata a una donna e
che è poi stata misteriosamente rapita.
Mentre Boccanegra invoca disperatamente
il nome di Maria, la folla lo acclama doge.
Primo atto
Giardino del palazzo Grimaldi presso
Genova, venticinque anni dopo . Una giovane rievoca il suo passato di orfanella cresciuta in un convento insieme a una piccola
Amelia Grimaldi, poi morta. I Grimaldi, proscritti, per evitare che i loro beni passassero
ai dogi, sostituirono l’orfana alla sorella. Ora
tutti credono che la giovane sia Amelia. La
raggiunge il gentiluomo Gabriele Adorno,
suo fidanzato, e poco dopo giunge il doge
Boccanegra, venuto a chiedere la mano di
Amelia per il suo favorito P aolo. Rimasto
solo con la giovane, le annuncia di aver fatto
grazia ai Grimaldi, ma la fanciulla gli rivela di
non essere una Grimaldi. Boccanegra ritrova in lei la figlia perduta, e si abbracciano
teneramente. Ora Simone rifiuta a P aolo la
sua mano. Lui lo taccia di ingrato, e insieme
a Pietro decide che la giovane venga portata via con la forza.
L’inimicizia fra nobili e popolo si aggrava.
Fiesco, che ha preso il nome di Andrea, partecipa ad una congiura dei guelfi contro il
3
5 Simon Boccanegra_DVD booklet colore 33616.qxd 04/09/2013 14.53 Pagina 4
doge. La rivalità si fa sentire anche nel
palazzo degli Abiati, dove Boccanegra presiede un’adunanza del Consiglio della
Repubblica, presenti fra i popolani anche
Paolo e Pietro. Egli si adopera per calmare
gli animi, quando dalla piazza in tumulto
irrompono popolani che inseguono a morte
Gabriele, reo di avere ucciso uno sgherro
rapitore di Amelia. Il ratto sarebbe stato ordito per conto di un alto personaggio che si
vuole sia lo stesso doge. Ma la liberata
Amelia, senza farne il nome, indica P aolo al
padre. Le opposte fazioni stanno per azzuffarsi ma Boccanegra, con una nobile invocazione alla pace, riesce a impedirlo; quindi
costringe lo stesso P aolo a maledire colui
che ha disposto il rapimento.
Secondo atto
Stanza del doge nel P alazzo Ducale. Prima
di tentare la fuga P aolo vuole vendicarsi e
versa un velenoso sonnifero nella tazza del
doge. Incita inoltre Gabriele ad ucciderlo,
facendogli credere che Amelia è oggetto
d’impuri desideri da parte del doge stesso.
S’incontrano Amelia e Gabriele; la prima,
che in realtà si chiama Maria come la madre
ma di cui nessuno conosce la vera identità,
proclama la purezza dei sentimenti fra lei e
il doge. Gabriele figura nella lista dei nemici
di Boccanegra, dal quale invano Amelia
invoca perdono per lui. Il doge beve l’acqua
avvelenata e si assopisce; Gabriele si
avventa col pugnale contro di lui, ma Amelia
riesce a fermarlo. Riavutosi, il doge sacrifica
all’amore per la figlia la sua causa e rivela a
Gabriele di essere il padre di Amelia/Maria,
imponendogli di correre fra i guelfi insorgenti e placarli in nome della patria comune;
premio, se vi riuscirà, la mano di Amelia.
Terzo atto
Salone del Palazzo Ducale. Domata la rivolta, Genova è in festa per le nozze di Amelia
e Gabriele. I1 congiurato P aolo andrà al
supplizio, ma prima trova modo di confidare
a Fiesco che un veleno da lui propinato
mina la vita del doge. Sentendosi già vicino
4
alla morte, Boccanegra si affaccia a contemplare il mare, rimpiangendo di non avervi trovato la tomba. Entra Fiesco, ma il doge
rivolge al vecchio nobile espressioni di amicizia: sappia che l’orfanella che ritenne perduta è stata trovata, ed è Amelia. I due riconciliati si abbracciano, e prima di spirare
Simone Boccanegra può benedire Amelia e
Gabriele sopraggiunti, trasmettendo a
Gabriele il potere. Fiesco annuncia ai genovesi che Boccanegra è morto e li invita ad
acclamare il nuovo doge.
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ENGLISH
The first version of Giuseppe Verdi’s Simon
Boccanegra was premiered at V enice’s La
Fenice theatre on 12th March 1857. The
libretto, by F rancesco Maria Piave, was
based on Simón Bocanegra by the Spaniard
Antonio Garcia Gutiérrez, who had already
given Verdi the subject for Il Trovatore, a few
years earlier. As was his custom, Verdi completed the new opera in a relatively short
time, paying great attention to the staging
directions. The opera, however, did not reap
the success V erdi had expected. The reasons for the fiasco – or , rather, for the lukewarm reception, which for V erdi, at that
stage in his career, was akin to a fiasco –
had nothing to do with the performance,
more than satisfactory, or the staging, in line
with the average of the day. The critic who
reviewed the première in the
Gazzetta
Privilegiata di Venezia pinpointed the causes
with such insight that he deserves to be
quoted: “The music of Boccanegra is not an
immediate hit […] It is very elaborate, developed with great mastery, and requires to be
studied in detail. Hence, the first night, it was
not understood by all, and many gave of it a
spur-of-the-moment assessment.”
After being performed in Italian theatres to
little success until 1871, Simon Boccanegra
“first version” went out of the repertoire.
Verdi, however, never stopped thinking of
how to bring it back, after the necessary
modifications. The right occasion presented
itself towards the end of 1880, when the
composer, having reconciled himself with
Arrigo Boito (who, several years earlier had
composed a sarcastic Ode saffica col bicchiere in mano “ All’arte italiana” which had
offended Verdi), began to work with the
scholar and musician from Padua on Otello.
It had been Giulio Ricordi who had suggested to Verdi that he should investigate a possible collaboration with Boito, and also suggested that he should begin, indeed, with a
new version of Simon Boccanegra; he
would then have the opera added to the La
Scala programme for the season 1880/81; if
that task was successful and the two
worked well together, they could think of a
bigger project, such as Otello. All was
accomplished in a very short time. Ricordi
sent Verdi his proposal in the middle of
November 1880; on the 20th the composer
replied, stating that the Prologue could
remain untouched (actually he ended up
making quite a few and important changes
to it), while the second and third acts needed some minor adjustments. What, in his
opinion, really did not work, was the first act,
but he had already thought of a possible
solution: an entirely new scene, that of the
Great Council, to replace the old Act One
finale. This scene, a gathering to celebrate
Boccanegra’s twenty-fifth anniversary as a
Doge, is one of the strengths of the final version of the opera. In less than six weeks, the
revision of Simon Boccanegra was completed. The result, when we compare the two
versions, is stunning. Not only because the
new scene – which according to the authoritative opinion of Julian Budden is “one of
the most noble structures of the entire
drama” – is a masterpiece that foreshadows
the superlative achievements of Otello, but
perhaps even more so because V
erdi’s
adjustments define a completely new musical perspective, generally coherent with the
language “of the Eighties” of the new scene.
Verdi, in any case, had told Boito very clearly, in a letter dated 8th January 1881: “I
would like to treat this as a new opera”. It is
not possible here to list all the changes the
composer made; but one thing is certain: in
no other work of revision was V erdi as radical and effective as in Simon Boccanegra.
Massimo Mila defined it “not entirely successful”, but this assessment applies rather
more to the 1857 version, where the desire
to explore new paths resulted in a language
that, though far from the contemporary
modules and formulas, was still largely traditional, especially in the recitatives. And
indeed, if there is a fault in
Simon
Boccanegra – and this is why it was
described as an “ almost perfect masterpiece” – it is in the not always seamless
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5 Simon Boccanegra_DVD booklet colore 33616.qxd 04/09/2013 14.53 Pagina 6
PLOT
junctures between the revised parts and
those, more old-fashioned, that have been
left untouched.
The revised version of Simon Boccanegra
was staged at Milan’s La Scala on 24th
March 1881, with F ranco Faccio on the
podium and a cast of stars that secured its
success: Victor Maurel in the title role (six
years later he would be the first Jago);
Francesco Tamagno as Gabriele Adorno
(the future first Otello); Anna d’Angeri as
Amelia/Maria, Edouard De Reszke as Fiesco
and Federico Salvati as Paolo Albiani. That
performance marked a new beginning for
the opera, which would gradually gain
recognition and, in the second half of the
20th century, would enter the repertoire of
the most important theatres.
Danilo Prefumo
(Translated by Daniela Pilarz)
Prologue
First half of the 14th century; a square in
Genoa with the palace of the Fieschi family .
It is evening and the artisan Paolo Albiani, his
friend Pietro, seamen and people hope that
the valiant corsair Simon Boccanegra, in the
service of the Genoa Republic, will be elected Doge. Boccanegra has accepted to run
for the position because of his love for the
noble Maria Fiesco, whom he was stopped
from marrying, despite the birth of a daughter, because of his plebeian origins: if he
becomes the Doge, her father Fiesco will not
be able to refuse him Maria, who is unwell
and lives locked in the palace like a prisoner.
A distraught Fiesco comes out of the palace:
his daughter has died; when he sees
Simone, he harshly rejects him, saying that
there will be no peace between them unless
Simone brings him the daughter that was
born to Maria. Simone, however , cannot do
that: he has lost all traces of the girl, who had
been entrusted to a woman and who has
mysteriously vanished. While Boccanegra
weeps over Maria’s death, the people hail
him as the new Doge.
Act One
Gardens of the Grimaldi P
alace, near
Genoa, twenty-five years later.
A young woman remembers her past: an
orphan, she was raised in a convent together with the girl Amelia Grimaldi, who later
died. The Grimaldis, exiled, to avoid having
their properties confiscated by the Doges,
took her in as their daughter. Everyone now
believes her to be Amelia. She is joined by
Gabriele Adorno, her fiancé; shortly after ,
also Boccanegra arrives: he is there to ask
her to marry Paolo, his councilor. Left alone
with her, Boccanegra discovers that she is
not a Grimaldi, but a foundling. He slowly
realizes that she is his long-lost daughter ,
and they are overwhelmed with joy . The
marriage with Paolo is off, and this, furious,
plots with Pietro to abduct the girl.
The Council Chamber
The animosity between nobles and ple-
6
5 Simon Boccanegra_DVD booklet colore 33616.qxd 04/09/2013 14.53 Pagina 7
beians is degenerating. Fiesco, who disguises himself under the name of Andrea
Grimaldi, takes part in a conspiracy against
the Doge. While Boccanegra is in the Council
Chamber encouraging his Councilors to
make peace with Venice, a crowd rushes in,
chasing Gabriele Adorno, who has killed a
man who had abducted Amelia. The misdeed would have been ordered by a righranking official, and suspicions immediately
fall on Boccanegra. Amelia, arrives; she
describes her misadventure and silently
points to P aolo. Fighting is about to break
out, but Boccanegra, in a noble appeal, manages to restore the order; then he forces
Paolo to curse the man – himself – who has
plotted the abduction.
Act Two
The Doge’s apartment.
Paolo has imprisoned Fiesco. Determined to
kill Boccanegra, he pours poison in his cup.
He then urges Gabriele to kill him, making
him believe that the Doge is in love with
Amelia. Amelia and Gabriele meet. She tries
to reassure him that the feelings between her
and Boccanegra are chaste. She claims only
to love him, but cannot reveal her secret –
that Boccanegra is her father – as Adorno’s
family was killed by the Doge. Adorno hides
as Boccanegra is heard approaching. Amelia
confesses to Boccanegra that she is in love
with his enemy Adorno. Boccanegra is angry,
but tells his daughter that if the young nobleman changes his ways, he may pardon him.
He asks Amelia to leave, then drinks the poisoned water, which Paolo has placed on the
table, and falls asleep. Adorno emerges and
is about to kill Boccanegra, when Amelia
returns in time to stop him. Boccanegra
wakes and reveals to Adorno that Amelia is
his daughter. Adorno begs for Amelia’s forgiveness. N oises of fighting are heard –
Paolo has stirred up a revolution against the
Doge. Adorno promises to fight for
Boccanegra, who vows that Adorno shall
marry Amelia if he can crush the rebels.
Act Three
Inside the Doge’s Palace.
The uprising against the Doge has been put
down. Paolo has been condemned to death
for fighting with the rebels against the Doge.
Fiesco is released from prison by the
Doge’s men. On his way to the scaffold,
Paolo boasts to Fiesco that he has poisoned
Boccanegra. Fiesco is deeply shocked. He
confronts Boccanegra, who is now dying
from Paolo’s poison. Boccanegra recognizes his old enemy and tells Fiesco that
Amelia is his granddaughter . Fiesco feels
great remorse and tells Boccanegra about
the poison. Adorno and Amelia, newly married, arrive to find the two men reconciled.
Boccanegra tells Amelia that Fiesco is her
grandfather and, before he dies, names
Adorno his successor. The crowd mourn the
death of the Doge.
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FALSTAFF
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33649
LIVE RECORDIN G
Giuseppe Verdi
(Busseto, 1813 - Milan, 1901)
Falstaff
Commedia lirica in three acts, Libretto by Arrigo Boito,
from The Merry Wives of Windsor by William Shakespeare
New production by Opéra Royal de W allonie
Sir John Falstaff (Baritone): Ruggero Raimondi
Ford (Baritone): Luca Salsi
Mrs Alice Ford (Soprano): Virginia Tola
Nannetta (Soprano): Sabina Puértolas
Mrs Quickly (Mezzo): Cinzia De Mola
Mrs Meg Page (Mezzo): Liliana Mattei
Fenton (Tenor): Tiberius Simu
Dott. Cajus (Tenor): Gregory Bonfatti
Bardolfo (Tenor): Pietro Picone
Pistola (Bass): Luciano Montanaro
Orchestra and Chorus: Opéra Royal de Wallonie
Conductor: Paolo Arrivabeni
Chorus Master: Marcel Seminara
Concertmaster: Jean-Gabriel Raelet
Director, Set/Costume/Light Designer: Stefano Poda
Video Director: Matteo Ricchetti
A Dynamic/Rai Trade coproduction
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Italiano
el 1887, alla rispettabile età di settantaquattro anni, Giuseppe Verdi fece
rappresentare alla Scala di Milano
un’opera che il pubblico musicale di tutta
Europa attendeva ormai, si può dire, da sedici anni: l’Otello. Sedici anni erano infatti dovuti trascorrere perché, dopo il successo
dell’Aida (1871), il grande vecchio del melodramma italiano tornasse nuovamente sulle
scene con una nuova creazione; ed erano in
molti a giurare che, con l’Otello, la carriera di
Giuseppe Verdi fosse giunta alla sua trionfale
ultima tappa. Il librettista dell’Otello, il compositore e drammaturgo Arrigo Boito, era però
convinto che quest’opera non dovesse costituire necessariamente il canto del cigno del
compositore, e fin dall’estate del 1887 (cioè
pochi mesi dopo la trionfale prima di Otello)
iniziò un paziente lavoro diplomatico per convincere Verdi a cimentarsi con un nuovo soggetto scespiriano, che Boito si sarebbe naturalmente incaricato di ridurre a libretto: quello
del Falstaff, desunto dalle Allegre comari di
Windsor del drammaturgo britannico.
Verdi, dapprincipio, si mostrò perplesso; ma,
in realtà, il desiderio di musicare un’opera di
carattere comico era in lui troppo vivo e pungente perché la proposta di Boito lo potesse
lasciare indifferente. Prima di allora, Verdi si
era cimentato una sola volta con un’opera
buffa; lo aveva fatto quasi cinquant’anni
prima, nel 1840, con la sua seconda opera,
Un giorno di regno (Il finto Stanislao), il fiasco
più clamoroso di tutta la sua carriera: l’opera,
infatti, era stata ritirata dopo una sola rappresentazione, e mai più messa in scena.
Negli anni della maturità, il comico era però
venuto a mescolarsi al tragico in due importanti opere verdiane, Un ballo in maschera
(1859) e La forza del destino (1862); e ora
Verdi si vedeva proporre un soggetto desunto dall’opera dell’autore venerato, quello stesso Shakespeare da lui definito un giorno “la
massima autorità nella conoscenza del cuore
umano”. Dopo molti tentennamenti e dinieghi,
tanto risoluti quanto intimamente poco convinti, alla fine Verdi accettò la proposta di
Boito. Era il luglio del 1889: Boito aveva quindi impiegato più di due anni per vincere le
resistenze del compositore.
Il libretto fu ultimato in breve tempo, e al prin-
N
cipio di marzo del 1890 Verdi poté incominciare a comporre la musica. Il lavoro, inizialmente, procedette spedito, e il primo atto fu
scritto in poche settimane; in seguito, però, il
musicista attraversò un lungo periodo di crisi,
causato dalla morte di alcuni amici carissimi,
tra cui Emanuele Muzio, l’unico allievo che
Verdi avesse mai avuto. Soltanto verso la fine
del 1891 Verdi ritornò con nuova lena al lavoro, che fu consegnato all’editore Ricordi, nella
sua veste pressoché definitiva, nell’autunno
dell’anno successivo. La prima esecuzione
del Falstaff, salutata dal prevedibile grande
successo, ebbe luogo alla Scala di Milano il 9
febbraio del 1893. Il quasi ottantenne Verdi,
come era suo costume, aveva seguito le
prove con l’entusiasmo e la determinazione di
sempre.
Il libretto boitiano del Falstaff è desunto prevalentemente dalla commedia The Merry
Wives of Windsor (Le allegre comari di
Windsor), rappresentata probabilmente nel
1600 (o 1601), e pubblicata nel 1602. Questa
commedia, tra le più farsesche e ridanciane
che Shakespeare abbia mai scritto, è a sua
volta in larga parte basata su un racconto tratto da una raccolta di novelle di un autore rinascimentale italiano, Il pecorone di Ser
Giovanni Fiorentino. Nella versione scespiriana, la commedia si incentra sulla figura di Sir
John Falstaff, personaggio che era già comparso in un precedente lavoro del drammaturgo britannico, l’Enrico IV (rappresentato
intorno al 1597/8), e che godeva di larga
popolarità sulle scene teatrali inglesi. Boito
riuscì abilmente a conservare i caratteri originali della commedia scespiriana, concentrandoli in un libretto agile, conciso e fantasioso.
Il suo Falstaff non è una figura esclusivamente comica, ma un personaggio complesso
che esprime una visione amaramente disincantata della vita, nella convinzione, enunciata nella parte conclusiva dell’opera, che “tutto
nel mondo è burla”, e la vita non è che un
gioco senza senso, che spetta all’uomo volgere in commedia anziché in tragedia. Boito,
d’altro canto, non si limitò a riprendere in modo
più o meno fedele la vicenda delle Allegre
comari di Windsor, ma l’arricchì anche, intelligentemente, con inserti desunti dall’Enrico IV.
Il monologo di Falstaff sull’onore, nel primo
3
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Trama
atto dell’opera (L’onore…ladri!), è derivato ad
esempio dal monologo pronunciato da
Falstaff prima della battaglia di Shrewsbury,
nella prima parte dell’Enrico IV. Anche il
Quand’ero paggio, che Falstaff canta nel
secondo atto, è la rielaborazione di due differenti passi del dramma storico. Da quel colto
letterato che era, inoltre, Boito arricchì il suo
libretto di citazioni desunte dalla letteratura
italiana classica. I deliziosi versi di Fenton,
Bocca baciata non perde ventura / Anzi rinnova come fa la luna, sono desunti ad esempio
da una novella del Decamerone di Giovanni
Boccaccio.
Opera conclusiva della lunga carriera musicale verdiana, posta al termine di un’attività
creativa prolungatasi per quasi cinquantaquattro anni, il Falstaff è la più perfetta e sfingea delle creazioni del compositore bussetano. Lo stesso Verdi ebbe più volte a dichiarare di averla composta esclusivamente per il
proprio piacere, senza pensare né a teatri né
a cantanti. Certo è che in questo suo Falstaff,
che ha ben pochi punti di contatto con la tradizione dell’opera comica italiana del
Settecento e della prima metà dell’Ottocento,
Verdi ha fatto ricorso ad un’orchestra di concezione spesso cameristica, estremamente
leggera e duttile. Il taglio rapidissimo delle
scene, i frequenti tratti autoparodistici, l’uso
raffinatissimo e allusivo dell’orchestra, lo stupefacente magistero compositivo ma, al
tempo stesso, la quasi completa assenza di
numeri chiusi e di spunti lirici di facile memorizzazione, hanno peraltro fatto sì che quest’opera fosse per lungo tempo più ammirata
che amata. Falstaff, in effetti, rivela tutti i suoi
incanti solo dopo ascolti ripetuti; la sua grandezza è quella dei capolavori posti in quel
momento particolare della vita in cui i grandi
musicisti si possono permettere il lusso di
scrivere soltanto per se stessi, senza più
doversi preoccupare di quelle che saranno le
reazioni del pubblico e dei critici.
Danilo Prefumo
4
Atto 1
L’anziano e corpulento Sir John Falstaff progetta di conquistare due belle e ricche dame:
Alice Ford e Meg Page. A questo scopo invia
alle due comari lettere d’amore perfettamente
identiche. Il fatto scatena lo sdegno e l’ilarità
delle donne, che con Mrs. Quickly e Nannetta
(figlia di Alice) progettano una burla ai danni
del cavaliere, tale da togliergli la voglia di atteggiarsi ad ardente seduttore. Rassicurano inoltre Nannetta che non sposerà il Dott. Cajus,
come vorrebbe Mr. Ford, ma il giovane Fenton,
che le fa la corte e di cui lei è innamorata.
Atto 2
Mrs. Quickly reca a Falstaff un messaggio di
Alice Ford: la donna lo attende a casa “dalle
due alle tre”. Avvertito dai servi di Falstaff, Mr.
Ford irrompe in casa propria per sorprendere
gli adulteri. Ma le donne fanno a tempo a
nascondere Falstaff dentro la cesta del bucato e a gettarlo nel fossato sottostante tra le
risa di tutti i presenti.
Atto 3
Alice rivela al marito la verità e tutti - uomini e
donne - si coalizzano per giocare a Falstaff
un’altra spettacolare burla: Mrs. Quickly lo convince a recarsi ad un secondo appuntamento
con Alice e Meg, a mezzanotte, nel parco di
Windsor, travestito da Cacciatore Nero.
L’incontro galante si trasforma in “tregenda”:
mascherati da creature fantastiche, tutti gli
abitanti di Windsor circondano il panciuto
seduttore ed i bambini, travestiti da folletti, lo
tormentano costringendolo a confessare i
suoi peccati. Quando Falstaff riconosce il
servo Bardolfo comprende di essere stato,
ancora una volta, gabbato. Ma non è il solo:
aiutati dalle maschere, “la regina delle fate”
(Nannetta) sposa il giovane Fenton, che Mr.
Ford crede essere il Dott. Cajus. Ritrovata
l’antica baldanza, Falstaff detta la morale
della storia: “Tutto nel mondo è burla”.
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English
n 1887, at the venerable age of seventyfour, Giuseppe Verdi had a new opera premièred at Milan’s La Scala: Otello.
Audiences throughout Europe had been
eagerly awaiting a new work from him for sixteen years, for indeed that much time had
elapsed since his previous opera, Aida. No
doubt many must have thought that with
Otello Verdi’s career had come to its triumphant last leg; not, though, Arrigo Boito.
The librettist of Otello refused to consider this
the composer’s swan song and, from the
summer of 1887 – a few months after Otello’s
successful première –, he patiently began to
try and convince Verdi to compose to another
subject from Shakespeare, which he himself,
naturally, would turn into a libretto: Falstaff,
from the English dramatist’s play The Merry
Wives of Windsor.
Initially Verdi was sceptical; but to work on a
comic subject must have provided quite a
strong temptation. In his career the composer
had only scored one opera buffa: Un giorno di
regno (Il finto Stanislao), his second work.
Composed in 1840, almost fifty years before
Otello, Un giorno di regno had been a fiasco:
the opera had been withdrawn after only one
performance, never to be staged again. Later,
in Verdi’s maturity, comic elements would
creep into two of his tragic operas: Un ballo in
maschera (1859) and La forza del destino
(1862). Now, though, he was being given the
opportunity to work on a subject taken from
his favourite author, that same Shakespeare
whom he had once defined “the greatest
authority in the knowledge of the human
heart”. After much hesitation, as resolute in
form as it was weak in substance, Verdi
accepted Boito’s proposal. It was July 1889:
the librettist had taken more than two years to
win over the composer’s reluctance.
The libretto was completed in a short time: by
the beginning of March 1890 Verdi was able
to set to work. The first act went swiftly and
was finished in the space of a few weeks; but
then the musician went through a trying period, caused by the death of some close
friends – among them Emanuele Muzio, his
only pupil. It would be the end of 1891 before
Verdi was up to speed again. By the fall of the
following year the opera was ready for the
I
publisher Ricordi. Falstaff debuted at La Scala
on the 9th of February 1893, and was
received with predictable enthusiasm. The
nearly eighty-year-old composer had followed
rehearsals with his customary zeal and
strength of character.
Falstaff’s libretto is based on the play The
Merry Wives of Windsor, staged in 1600 (or
1601) and published in 1602. One of the more
grotesque and comical of Shakespeare’s
plays, it was taken, in turn, from Il pecorone, a
collection of short stories by the Italian
Renaissance author Ser Giovanni Fiorentino.
Shakespeare’s play revolves around the figure of Sir John Falstaff, a character that had
already made an appearance in his Henry IV
(1597/98) and enjoyed great popularity on
English theatre stages. Boito skilfully preserved the original traits of Shakespeare’s
comedy, converging them into a libretto that is
agile, concise and imaginative. His Falstaff is
not a solely comical figure; he is a complex
character with a cynical outlook on life. As he
sings in the finale, “everything in the world’s a
jest”, life is a meaningless game which man
can turn from tragedy into comedy. Boito not
only re-traced, more or less faithfully, the plot
of The Merry Wives of Windsor: he enriched it,
quite cleverly, with passages taken from
Henry IV. Falstaff’s Act One monologue on
honour (L’onore… ladri!), for example, is
taken from a monologue the same character
declaims in the first part of Henry IV, before
the battle of Shrewsbury. And the aria
Quand’ero paggio, sung by Falstaff in Act
Two, is the re-elaboration of two different passages from the same historical play. As the
cultivated man of letters he was, Boito, moreover, embellished his libretto with quotes
taken from the Italian classical literature. For
example, Fenton’s delightful verses Bocca
baciata non perde ventura / Anzi rinnova come
fa la luna, are from Giovanni Boccaccio’s
Decameron.
Verdi’s last opera, which crowned nearly fiftyfour years of creative activity, is the most perfect and enigmatic work ever composed by
the musician from Busseto. The composer
himself repeatedly declared that he wrote it
exclusively for his own pleasure, with no specific theatre or singer in mind. Indeed, once
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The plot
he went as far as saying that the opera should
have been premièred at the little theatre of
Sant’Agata, instead of Milan’s La Scala. This
opera has little in common with the 18th-century and early 19th-century Italian opera buffa
tradition: Verdi’s orchestral writing is often
chamber-like, very light and flexible. This
opera’s fast pace, its frequent self-derisive
passages, the refined and allusive use of the
orchestra, and its high artistic quality but
almost complete absence of closed numbers
and easy melodies, made it, for a long time,
more admired than loved. Indeed Falstaff
reveals all of its marvels only after many listenings. Its greatness lies perhaps in the fact
that it was composed in that particular stage
of an artist’s life – wonderful and bitter at once
– when one can afford to work only for one’s
own pleasure and not worry about the audiences’ response; the stage when glory is
assured but nothing is left, regrettably, for the
conquering.
Act One
The old and portly Sir John Falstaff plans to
conquer two fair and wealthy ladies: Alice
Ford and Meg Page. To do this, he sends
them identical love letters. Outraged but also
amused, the women, with Mrs. Quickly and
Nannetta (Alice’s daughter), devise a prank
that will forever discourage Falstaff to play the
seducer. The also reassure Nannetta that she
won’t be made to marry Dr. Cajus, as his
father would want, but the young Fenton,
whom she loves.
Act Two
Mrs. Quickly brings Falstaff a note from Alice
Ford: the woman will be alone at home
“between two and three”. Warned by
Falstaff’s servants, Mr. Ford bursts into the
house to catch the adulterous couple. But the
women manage to hide Falstaff in the laundry
basket and throw him through the window into
the ditch, where he must endure the jeers of
the crowd.
Act Three
Alice tells her husband the truth, and all - men
and women - join to play Falstaff another
spectacular prank: Mrs. Quickly convinces
him to meet Alice and Meg again, at midnight,
at Herne’s oak in Windsor Park, dressed as
the Black Huntsman.
The would-be romantic meeting turns into a
“Sabbath”: disguised as fantastic creatures,
the inhabitants of Windsor surround the
paunchy seducer, and a number children
dressed as sprites torment him till he confesses his sins. When Falstaff recognises
Bardolph, he understands that he has been
made, once again, a fool of. He is not the only
one, though: with the help of the masquerade,
the “queen of the Fairies” (Nannetta in disguise) finally marries Fenton, to the dismay of
her father who thought he was marrying her to
Dr. Cajus. Having found his former self-assurance, Falstaff states the moral of the story: “All
the world’s a jest”.
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Deutsch
iuseppe Verdi brachte 1887 im
ansehnlichen Alter von vierundsiebzig
Jahren an der Mailänder Scala ein
Werk heraus, auf das die Opernliebhaber
ganz Europas seit nunmehr sechzehn Jahren
warteten, wie gesagt werden kann – Otello.
Sechzehn Jahre hatten ja vergehen müssen,
bis nach dem Erfolg von Aida (1871) der große
Alte der italienischen Oper mit einer
Neuschöpfung auf die Bühne zurückkehrte.
Viele hatten dann darauf geschworen, daß
Giuseppe Verdis Laufbahn mit Otello ihren triumphalen letzten Abschnitt erreicht hatte. Der
Komponist und Autor Arrigo Boito, Librettist von
Otello, war aber überzeugt, daß diese Oper
nicht notwendigerweise den Schwanengesang
des Komponisten bilden mußte und begann ab
Sommer 1887 (also wenige Monate nach der
triumphalen Uraufführung von Otello) mit einer
geduldigen diplomatischen Mission, um Verdi
zu überreden, sich neuerlich mit einem Sujet
von Shakespeare zu befassen, das er, Boito,
natürlich für das Textbuch bearbeiten würde. Es
ging um Falstaff nach Die lustigen Weiber von
Windsor des britischen Barden.
Verdi zeigte sich anfangs unschlüssig, aber in
Wirklichkeit war in ihm der Wunsch, eine Oper
komischer Natur zu schreiben, zu lebendig
und intensiv, als daß ihn Boitos Vorschlag
gleichgültig hätte lassen können. Zuvor hatte
sich Verdi ein einziges Mal an einer komischen
Oper versucht – das war 1840, fast fünfzig
Jahre früher, mit seiner zweiten Oper Un giorno di regno (Il finto Stanislao), die ihm das
größte Fiasko seiner ganzen Laufbahn einbrachte. Das Werk war denn auch nach einer
einzigen Vorstellung abgesetzt und nie wieder
inszeniert worden.
In den Jahren der künstlerischen Reife hatte
sich aber das heitere mit dem tragischen Genre
in zwei bedeutenden Verdiopern vermengt, in
Un ballo in maschera (1859) und in La forza del
destino (1862). Nun sah sich Verdi einem Sujet
gegenüber, das einem Werk des verehrten
Dichters entsprang, jenes Shakespeare, den er
eines Tages als „die höchste Autorität in der
Kenntnis des menschlichen Herzens“ bezeichnet hatte. Nach vielem Zögern und Verweigern,
das so entschieden wie in seinem Inneren
wenig überzeugt war, akzeptierte Verdi schließlich Boitos Vorschlag. Man schrieb Juni 1889 –
G
Boito hatte also über zwei Jahre gebraucht, um
den Widerstand des Meisters zu brechen. Das
Libretto wurde in kurzer Zeit verwirklicht, und
Anfang März 1890 konnte Verdi mit der
Komposition beginnen. Anfänglich ging die
Arbeit rasch vonstatten, und der erste Akt entstand in wenigen Wochen. Dann kam es aber
zu einer langen Krise, die durch den Tod einiger
sehr lieber Freunde bewirkt wurde, darunter
Emanuele Muzio, der einzige Schüler, den Verdi
je hatte. Erst gegen Ende 1891 kehrte der
Komponist mit frischen Kräften zu der Arbeit
zurück, die dem Verleger Ricordi im Herbst des
darauffolgenden Jahres in ihrer fast endgültigen Gestalt übergeben wurde. Die mit erwartbar
großem
Erfolg
aufgenommene
Uraufführung von Falstaff fand am 9. Februar
1893 an der Mailänder Scala statt. Der fast
achtzigjährige Verdi hatte, wie es seine
Gewohnheit war, die Proben mit der alten
Begeisterung und Entschiedenheit verfolgt.
Boitos Libretto zu Falstaff leitet sich über-wiegend von der Komödie The Merry Wives of
Windsor her, die wahrscheinlich 1600 (oder
1601) uraufgeführt und 1602 veröffentlicht
wurde. Dieses Stück gehört zu den spaßigsten
und schwankhaftesten, die Shakespeare je
geschrieben hat und beruht seinerseits auf der
Erzählung Il pecorone aus einer Novellensammlung des italienischen Renaissanceschriftstellers Ser Giovanni Fiorentino. In
Shakespeares Fassung ist Sir John Falstaff der
Mittelpunkt der Komödie, eine Figur, die bereits
in einer früheren Arbeit von ihm erschienen war,
in Heinrich IV. (gespielt um 1597/8), und die auf
den englischen Bühnen sehr populär war. Boito
gelang es geschickt, die originalen Charaktere
von Shakespeares Komödie beizubehalten und
in einem gewandten, prägnanten und phantasievollen Libretto zusammenzufassen. Sein
Falstaff ist keine ausschließlich komische Figur,
sondern eine komplexe Persönlichkeit, die eine
bitterlich ernüchterte Sicht auf das Leben zum
Ausdruck bringt, in der am Schluß der Oper
ausgesprochenen Überzeugung, daß „alles
Spaß auf Erden ist (Tutto nel mondo è burla)“,
und das Leben nichts als ein sinnloses Spiel,
das der Mensch in eine Komödie anstatt in eine
Tragödie verwandeln sollte. Andererseits
beschränkte sich Boito nicht darauf, die
Handlung der Lustigen Weiber von Windsor
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Die Handlung
mehr oder minder getreulich wiederzugeben,
sondern er bereicherte sie auf intelligente Weise
auch um Einschübe aus Heinrich IV. Falstaffs
Monolog über die Ehre im ersten Akt der Oper
(L’onore... ladri! = Die Ehre... Diebe!) ist beispielsweise von dem Monolog abgeleitet, den
Falstaff vor der Schlacht von Shrewsbury im
ersten Teil von Heinrich IV. hält. Auch Quand’ero
paggio (Als ich Page war), von Falstaff im zweiten Akt gesungen, ist die Bearbeitung zweier
verschiedener Stellen des Historiendramas.
Außerdem bereicherte Boito als gebildeter
Literat, der er war, sein Libretto um Zitate aus
der klassischen italienischen Literatur. Fentons
entzückende Verse Geküßter Mund geht nicht
verloren / Geht immer neu auf wie der Mond
stammen beispielsweise aus einer Novelle von
Giovanni Bocaccios Decamerone. Das letzte
Werk der langen musikalischen Laufbahn
Verdis steht am Ende einer fast vierundfünfzig
Jahre langen schöpferischen Tätigkeit. Falstaff
ist die vollkommenste und rätselhafteste der
Schöp-fungen des Komponisten aus Busseto.
Verdi selbst erklärte wiederholt, sie ausschließlich zu seinem eigenen Vergnügen geschrieben
zu haben, ohne an Bühnen oder Sänger zu
denken. Fakt ist, daß er sich in diesem seinen
Falstaff, der sehr wenige Berührungspunkte mit
der italienischen komischen Oper des 18. und
der ersten Hälfte des 19. Jahrhunderts hat,
eines oft kammermusikalisch angelegten,
äußerst leichten und geschmeidigen Orchesters bedient. Der schnelle Zuschnitt der
Szenen, die häufigen autoparodistischen Züge,
die äußerst raffinierte Orchesterbehandlung voller Anspielungen, die erstaunliche komposit-orische Meisterschaft, aber gleichzeitig das fast
völlige Fehlen geschlossener Nummern und
leicht merkbarer melodischer Einfälle bewirkten
jedoch, daß diese Oper lange Zeit mehr
bewundert als geliebt wurde. Falstaff entdeckt
uns denn auch seinen ganzen Zauber erst nach
wiederholtem Hören. Seine Größe ist die der
Meisterwerke, die sich in jenem besonderen
Moment des Lebens einstellen, in dem sich die
großen Komponisten den Luxus erlauben können, nur für sich selbst zu schreiben, ohne sich
noch darum sorgen zu müssen, wie Publikum
und Kritik reagieren werden.
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1. Akt
Der alte, dicke Sir John Falstaff plant die
Eroberung zweier schöner, reicher Damen –
Alice Ford und Meg Page. Zu diesem Zweck
schickt er den beiden vollkommen gleich-lautende Liebesbriefe. Das löst bei den Frauen
sowohl Heiterkeit als auch Empörung aus, und
sie hecken zusammen mit Mrs. Quickly und
Nannetta, Alices Tochter, einen Schabernack
zulasten des Ritters aus, um ihm die Lust, sich
als glühender Verführer zu geben, zu nehmen.
Außerdem beruhigen sie Nannetta, daß sie
nicht Dr. Cajus heiraten wird, wie Mr. Ford es
möchte, sondern den jungen Fenton, der ihr
den Hof macht, und in den sie verliebt ist.
2. Akt
Mrs. Quickly bringt Falstaff eine Botschaft von
Alice Ford, die ihn „von zwei bis drei Uhr“ bei
sich daheim erwartet. Mr. Ford, den Falstaffs
Bediente informiert hatten, stürzt herein, um die
Ehebrecher zu überraschen. Den Frauen
gelingt es aber, Falstaff rechtzeitig im
Wäschekorb zu verstecken und ihn unter dem
Gelächter der Anwesenden in den unten gelegenen Wassergraben zu werfen.
3. Akt
Alice entdeckt ihrem Gatten die Wahrheit, und
alle, Frauen wie Männer, schließen sich zusammen, um Falstaff einen weiteren spektakulären
Streich zu spielen. Mrs. Quickly überredet ihn,
sich zu einem zweiten Rendezvous mit Alice
und Meg zu begeben, und zwar um Mitternacht
im Park von Windsor, verkleidet als Schwarzer
Jäger.
Das galante Treffen verwandelt sich in einen
Hexensabbat, denn als phantastische Geschöpfe maskiert, umringen alle Einwohner
Windsors den dickbäuchigen Verführer, und die
als Kobolde verkleideten Kinder peinigen und
zwingen ihn, seine Sünden zu beichten. Als
Falstaff seinen Diener Bardolfo erkennt, wird
ihm klar, daß er neuerlich genarrt wurde. Doch
nicht nur er, denn mit Hilfe der Verkleidungen
heiratet die „Feenkönigin“ (Nannetta) den jungen Fenton, den Mr. Ford für Dr. Cajus hält.
Nachdem Falstaff seine frühere Selbst-sicherheit zurückgewonnen hat, spricht er die Moral
der Geschichte aus: „Alles auf der Welt ist
Spaß“.
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Français
n 1887, à l’âge respectable de soixante-quatorze ans, Giuseppe Verdi fit
représenter à la Scala de Milan un
opéra que les mélomanes de l’Europe toute
entière attendaient désormais depuis seize
ans, j’ai cité Otello. De fait, seize années s’étaient écoulées entre le succès d’Aida en
1871 et le retour au théâtre du ténor du mélodrame italien avec une nouvelle création ; et
nombreux étaient ceux qui étaient prêts à
jurer qu’avec cet Otello, Giuseppe Verdi avait
entamé l’ultime étape triomphale de sa carrière. Le librettiste d’Otello, le compositeur et
dramaturge Arrigo Boito, était quant à lui
convaincu que cet ouvrage n’était pas nécessairement le chant du cygne du compositeur ;
dès l’été 1887 (c’est-à-dire à peine quelques
mois après la première triomphale d’Otello), il
commença donc une longue négociation pour
convaincre Verdi d’affronter un nouveau sujet
tiré de Shakespeare, que Boito aurait naturellement transformé en livret : il s’agissait bien sûr
de Falstaff, inspiré des Joyeuses Commères de
Windsor du dramaturge anglais.
De prime abord, Verdi se montra perplexe.
Mais en réalité, le désir de mettre en musique
un ouvrage comique était trop vif et aigu pour
que la proposition de Boito le laisse indifférent. Verdi ne s’était jusqu’alors essayé qu’une seule fois à l’opéra comique, cinquante
ans plus tôt, en 1840, avec son second
opéra : Un jour de règne (Le faux Stanislas)
demeurait le plus grand fiasco de sa carrière
et avait définitivement disparu de l’affiche
après la première.
Dans les années de la maturité, cependant, le
comique s’était mélangé à deux reprises au
tragique dans deux importants ouvrages de
Verdi, Un bal masqué (1859) et La force du
destin (1862) ; et Verdi se voyait maintenant
proposer un sujet d’un auteur qu’il vénérait,
ce Shakespeare dont il avait dit un jour qu’il
était « le maître de la connaissance du cœur
humain ». Après moult hésitations et refus,
aussi déterminés que fondamentalement peu
assurés, Verdi finit par accepter en juillet 1889
la proposition de Boito, à qui il avait donc fallu
près de deux années pour vaincre les résistances du compositeur.
Le livret ayant été achevé en peu de temps,
Verdi put commencer à composer la musique
E
en mars 1890. Travaillant d’abord rapidement,
il acheva le premier acte en quelques semaines. Mais il traversa ensuite une longue période de crise due à la mort de quelques amis
très chers, parmi lesquels Emanuele Muzio, le
seul élève que Verdi ait jamais eu. Ce n’est
que vers la fin 1891 que le compositeur
retourna à son travail avec une nouvelle
ardeur. A l’automne de l’année suivante, il
remit à l’éditeur Ricordi sa partition dans sa
version quasi définitive. La première exécution de Falstaff, accueillie avec le grand succès habituel, eut lieu à la Scala de Milan le 9
février 1893. Comme à son habitude, Verdi –
déjà âgé de près de quatre-vingt ans – avait
suivi les répétitions avec l’enthousiasme et la
détermination qui l’avaient toujours distingué.
Pour son livret de Falstaff, Boito s’était principalement inspiré de la comédie Les Joyeuses
Commères de Windsor, une œuvre sans
doute représentée vers 1600 (ou 1601) et
publiée en 1602. Cette comédie, l’une des
plus plaisantes et drôles de Shakespeare, est
à son tour tirée en grande partie d’une des
nouvelles d’un auteur italien de la
Renaissance, Il pecorone de Ser Giovanni
Fiorentino. La comédie de Shakespeare est
centrée sur le personnage de Sir John
Falstaff, déjà présent dans un de ses ouvrages précédents, Henri IV (représenté aux
alentours de 1597/98), un personnage très
populaire sur les scènes anglaises. Boito parvint habilement à conserver les caractères originaux de la comédie de Shakespeare dans
un livret agile, concis et plein de fantaisie. Son
Falstaff n’est pas un personnage exclusivement comique, c’est aussi une figure complexe qui exprime une vision amère et désenchantée de la vie, convaincu que, comme il le
dit à la fin, « le monde entier n’est qu’une
farce » et que la vie n’est qu’un jeu insensé
que l’homme doit jouer comiquement et non
pas tragiquement. Boito ne se borna pas à
reprendre plus ou moins fidèlement l’histoire
des Joyeuses Commères de Windsor, il enrichit également très intelligemment son livret
de passages tirés d’Henri IV. Le monologue
de Falstaff sur l’honneur, au premier acte
(L’onore…ladri!), dérive par exemple du
monologue de Falstaff avant la bataille de
Shrewsbury, dans la première partie d’Henri
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Intrigue
IV. L’air que chante Falstaff au second acte,
Quand’ero paggio, est lui aussi une réécriture
de deux différents passages du drame historique. En fin lettré qu’il était, Boito truffa également son livret de citations puisées dans la
littérature italienne classique. Les beaux vers
de Fenton, Bocca baciata non perde ventura /
Anzi rinnova come fa la luna, sont tirés par
exemple d’une nouvelle du Décameron de
Boccace.
Œuvre ultime d’une longue carrière qui s’étend sur près de cinquante-quatre ans,
Falstaff est aussi la création la plus parfaite et
énigmatique du compositeur italien. Verdi luimême déclara à plusieurs reprises qu’il l’avait
composée exclusivement pour son plaisir,
sans penser aux théâtres ni aux chanteurs. Il
ne fait aucun doute que Verdi a fait appel à un
orchestre extrêmement souple et léger, souvent proche des formations de chambre,
dans son Falstaff qui a bien peu de choses à
voir avec l’opéra comique italien traditionnel
du dix-huitième et de la première moitié du
dix-neuvième siècles. En raison du rythme
rapide des scènes, des nombreux traits autoparodiques, de l’utilisation raffinée et allusive
de l’orchestre, de la maîtrise compositionnelle stupéfiante et en même temps de l’absence quasiment totale de numeri chiusi et de
motifs lyriques faciles à mémoriser, cet ouvrage a été pendant longtemps plus admiré
qu’aimé. En effet, Falstaff ne dévoile tous ses
charmes qu’après l’avoir entendu maintes
fois ; sa grandeur est celle des chefs-d’œuvre composés à un moment particulier de la
vie où les grands musiciens peuvent se permettre le luxe d’écrire pour eux-mêmes, sans
avoir à craindre les réactions du public et de
la critique.
12
Acte premier
Sir John Falstaff, un homme corpulent et déjà
âgé, a l’intention de conquérir deux dames belles et riches : Alice Ford et Meg Page. Il envoie
donc aux deux dames des billets doux identiques. Lorsqu’elles le découvrent, les deux
femmes laissent éclater leur indignation et leur
hilarité. Aidées de Mrs. Quickly et de Nannette
(fille d’Alice), elles imaginent de se moquer du
chevalier et de lui donner une leçon qui lui
ôtera l’envie de jouer au séducteur assidu.
Elles rassurent également Nanette, qui n’épousera pas le docteur Cajus, comme le souhaite
Mr. Ford, mais le jeune Fenton, qui lui fait la
cour et dont elle est éprise.
Acte deuxième
Mrs. Quickly apporte à Falstaff un message
d’Alice Ford : la jeune femme l’attend chez
elle « de deux à trois heures ». Averti par les
serviteurs de Falstaff, Mr. Ford rentre chez lui
à l’improviste afin de surprendre les deux
amants. Mais les femmes parviennent à
cacher Falstaff dans le panier à linge et à le
jeter dans le fossé, faisant ainsi la joie des
personnes présentes.
Acte troisième
Alice révèle la vérité à son époux et tous –
hommes et femmes – se coalisent pour jouer
à Falstaff un autre bon tour : Mrs. Quickly le
convainc de se rendre à minuit dans le parc
de Windsor, déguisé en Chasseur Noir, pour y
rencontrer Alice et Meg.
Le rendez-vous galant se transforme en cauchemar : déguisés en créatures fantastiques,
tous les habitants de Windsor encerclent le
séducteur pansu et les enfants, habillés en
feux-follets, le tourmentent jusqu’à ce qu’il
confesse ses péchés. Quand Falstaff reconnaît son serviteur Bardolfo, il comprend qu’on
s’est encore moqué de lui. Mais il n’est pas le
seul, car les masques aident la « reine des
fées » (Nanette) et le jeune Fenton à se marier,
à la grande joie de Mr. Ford qui prend le jeune
homme pour le docteur Cajus, dont il a pris
l’apparence. Ayant retrouvé son assurance,
Falstaff annonce la morale de cette histoire :
« le monde entier n’est qu’une farce ».
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