SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS !
NEWSLETTER N.159 DEL 17/04/14
NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - [email protected])
INDICE
MANCATO UTILIZZO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALI DA PARTE DI IMPIEGATI, PREPOSTI E DIRIGENTI
1
ILVA: NUOVA MESSA IN MORA DELL’ITALIA NEL QUADRO DELLA PROCEDURA DI INFRAZIONE
5
SCUOLA: STRESS, BURNOUT E IDENTIKIT DELL’INSEGNANTE A RISCHIO
7
IMPARARE DAGLI ERRORI: GLI INCIDENTI ALLA GUIDA DEGLI ESCAVATORI
10
DONNE E LAVORO: STRESS, VIDEOTERMINALI, MOVIMENTAZIONI E CADUTE
13
POLVERI DI LEGNO: SORVEGLIANZA SANITARIA E GESTIONE DEL RISCHIO
15
MANCATO UTILIZZO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALI DA PARTE DI
IMPIEGATI, PREPOSTI E DIRIGENTI
LE CONSULENZE DI SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – N.45
Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!
è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su tematiche
relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che per me è stato mo tivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti del lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un’utile fonte di informazione
per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle persone che mi hanno
chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.
Marco Spezia
QUESITO
Ciao Marco,
ti volevo segnalare una cosa.
Noi lavoriamo in magazzino e dobbiamo essere tutti dotati di dispositivi di sicurezza (scarpe e
giubbotti ad alta visibilità).
Ci sono però impiegati, in primis la Risk Management, che giornalmente frequentano il magazzino con tacchi a spillo, ballerine, sandali e senza giubbotti ad alta visibilità, mettendo a rischio
la loro sicurezza e facendo rischiare noi se dovesse succedergli qualche incidente.
La mia domanda è se lo possono fare. Loro dicono di si, ma a me non risulta.
Grazie anticipatamente e in attesa di tue notizie.
RISPOSTA
Ciao,
quello che tu segnali è un problema che riscontro in molte aziende (il management che impone
ai lavoratori delle regole per la sicurezza e poi è il primo a fregarsene).
A seguire ti trasmetto il mio parere, motivato da quello che dispone la normativa vigente, relativamente alle problematiche che segnali.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Un caro saluto.
Marco Spezia
MANCATO UTILIZZO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALI DA PARTE DI IMPIEGATI,
PREPOSTI E DIRIGENTI
In merito al tuo quesito relativo a personale impiegatizio o dirigenziale che è presente in magazzino senza indossare le scarpe antinfortunistiche e i giubbotti ad alta visibilità, occorre sapere quale sono le disposizioni aziendali in proposito.
E’ infatti il datore di lavoro che deve identificare i rischi che non possono essere evitati in altro
modo e che devono essere ridotti mediante l’utilizzo di Dispositivi di Protezione Individuali
(DPI), quali appunto le scarpe antinfortunistiche o i giubbotti ad alta visibilità.
Il datore di lavoro (e per tale obbligo non può delegare nessun altro) deve infatti eseguire la
valutazione di tutti i rischi a cui sono sottoposti i lavoratori (articolo 17, comma 1, lettera a)
del Decreto).
A seguito di tale valutazione egli deve redigere uno specifico documento di valutazione dei rischi che deve contenere tra l’altro, secondo l’articolo 28, comma 2, lettera b):
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“l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione
individuali adottati”.
Più in particolare gli obblighi a carico del datore di lavoro relativamente ai DPI, sono indicati
dall’articolo 77, comma 1 del Decreto:
“Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI:
a) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;
b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui
alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi
DPI;
c) valuta, sulla base delle informazioni e delle norme d’ uso fornite dal fabbricante a corredo
dei DPI, le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate
alla lettera b);
[...]”.
Una volta individuato per ogni singolo lavoratore i DPI da utilizzare e in quali attività lavorativa
è necessario utilizzarli, il datore di lavoro o i dirigenti devono (articolo 18, comma 1, lettera d)
del Decreto):
“fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente”
e inoltre devono (articolo 18, comma 1, lettera f) del Decreto):
“richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle dispo sizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso [...] dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione”.
L’obbligo di consegna dei DPI ai lavoratori da parte di datore di lavoro e dirigenti è confermato
dall’articolo 77, comma 3:
“Il datore di lavoro [...] fornisce ai lavoratori DPI conformi ai requisiti [disposti dal Decreto]”.
In caso di mancato adempimento rispetto a tutto quanto sopra il datore di lavoro e/o i dirigenti
commettono reato, sanzionabile penalmente.
A loro volta i lavoratori sono obbligati a utilizzare i DPI a loro forniti dall’azienda, alle condizioni
per cui l’azienda ne ha specificato l’uso.
L’articolo 20, comma 2, lettere b) e d) impone infatti che:
“I lavoratori devono:
 osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai
preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
 utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione”
Per lavoratore si intende qualunque “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato” (definizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a) del Decreto), quindi in tale
termine sono compresi anche gli impiegati, i preposti e i dirigenti.
L’obbligo di cui all’articolo 20, comma 2, lettera d) sopra riportato è confermato dall’articolo
78, comma 2, che impone che:
“In ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 20, comma 2, lettera d), i lavoratori utilizzano
i DPI messi a loro disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute e all’addestramento eventualmente organizzato ed espletato”.
Premesso tutto quanto sopra, la situazione che tu descrivi (personale impiegatizio o dirigenziale che recandosi in magazzino non utilizza le scarpe antinfortunistiche e i giubbotti ad alta visibilità), può essere dovuta a due cause, che comportano responsabilità diverse, ma che costituiscono entrambe un mancato adempimento agli obblighi sopra richiamati relativamente ai DPI.
E’ possibile, come prima ipotesi, che sia il datore di lavoro a non avere disposto l’utilizzo delle
scarpe antinfortunistiche e dei giubbotti ad alta visibilità per gli impiegati e i dirigenti durante
la loro presenza in magazzino.
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In tal caso è responsabilità del datore di lavoro avere eseguito una valutazione del rischio errata a causa della mancata valutazione del rischio infortunistico per gli impiegati presenti in magazzino e di conseguenza una errata definizione dei DPI da utilizzare anche da parte degli im piegati stessi.
Si tratta in tal caso di inadempienza (e quindi di un reato) da parte del datore di lavoro.
Tale inadempienza è sanzionata penalmente rispettivamente:
 dall’articolo 55, comma 3 del Decreto, con l’ammenda 2.000 a 4.000 euro, per mancata ottemperanza dell’articolo 29, comma 2, lettera b) (mancata o errata indicazione dei DPI da
utilizzare da parte dei lavoratori);
 dall’articolo 87, comma 2, lettera d) del Decreto, con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro per mancata ottemperanza dell’articolo 77, comma 3 (mancata consegna dei DPI ai lavoratori).
E’ invece possibile poi, come seconda ipotesi, che il datore di lavoro abbia correttamente di sposto l’obbligo anche per gli impiegati e i dirigenti di utilizzo di scarpe antinfortunistiche e di
giubbotti ad alta visibilità in magazzino e abbia fornito loro le scarpe e i giubbotti, ma siano i
lavoratori impiegatizi e dirigenziali a non voler indossare i DPI in magazzino.
In tal caso è responsabilità dei suddetti lavoratori non ottemperare alle disposizioni e procedu re aziendali che prevedono l’utilizzo dei DPI.
Si tratta in tal caso di inadempienza (e quindi di un reato) da parte degli impiegati e dei dirigenti.
Tale inadempienza è sanzionata penalmente, dall’articolo 59, comma 1, lettera a) del Decreto,
con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda da 200 a 600 euro, per mancata ottemperanza
del’articolo 20, comma 2, lettere b) (mancata osservanza delle disposizioni e procedure azien dali) e d) (mancato utilizzo dei DPI).
Inoltre in tal caso i lavoratori possono essere sanzionati secondo quanto stabilito dal contratto
collettivo o particolare per infrazione disciplinare (mancato rispetto delle norme aziendali antinfortunistiche).
Va osservato però che in questo secondo caso, la responsabilità è comunque anche del datore
di lavoro e dei dirigenti stessi per non aver richiesto ai lavoratori il rispetto degli obblighi di
legge e delle disposizioni aziendali.
Anche in questo secondo caso quindi è responsabilità del datore di lavoro o dei dirigenti il mancato controllo dell’operato dei lavoratori.
Pertanto, si tratta, di inadempienza (e quindi di un reato) da parte del datore di lavoro e/o dei
dirigenti.
Tale inadempienza è sanzionata penalmente, dall’articolo 55, comma 5, lettera c) del Decreto,
con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro, per mancata ottemperanza del’articolo 18, comma 1, lettere f) (mancata richiesta ai lavoratori del rispetto
delle disposizioni normative e aziendali).
In ogni caso la presenza di lavoratori impiegatizi o dirigenziali privi degli adeguati e prescritti
DPI (scarpe antinfortunistiche e giubbotti ad alta visibilità) all’interno del magazzino, dove sussiste per chiunque il rischio di infortunio (per urto contro le merci, per caduta delle stesse, per
urto da parte di carrelli elevatori), non è ammissibile secondo la normativa vigente.
Cambiano, come specificato, a seconda delle due ipotesi prospettate, le responsabilità.
CONCLUSIONI
Secondo la vigente normativa di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro:
 il datore di lavoro deve individuare per ogni mansione (compresi gli impiegati, i preposti e i
dirigenti) i DPI necessari a proteggere i lavoratori dai rischi presenti nel corso delle loro attività;
 il datore di lavoro e i dirigenti devono fornire ai lavoratori i DPI individuati e devono richie derne loro l’utilizzo;
 in caso contrario datore di lavoro e dirigenti commettono reato sanzionabile penalmente;
 i lavoratori (compresi impiegati, preposti e dirigenti, visto che, secondo normativa sono lavoratori) devono sempre indossare i DPI come previsto dalle procedure aziendali;
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
in caso contrario i lavoratori (compresi impiegati, preposti e dirigenti) commettono reato
sanzionabile penalmente, nonché infrazione disciplinare sanzionabile secondo quanto disposto dai contratti collettivi e particolari.
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ILVA: NUOVA MESSA IN MORA DELL’ITALIA NEL QUADRO DELLA PROCEDURA DI INFRAZIONE
Da: Peacelink
http://www.peacelink.it
ILVA: NUOVA MESSA IN MORA NEL QUADRO DELLA PROCEDURA DI INFRAZIONE
INTERVIENE LA COMMISSIONE EUROPEA DOPO L’INCONTRO CON UNA DELEGAZIONE DI PEACELINK A BRUXELLES
Il Governo Italiano viene per la seconda volta avvisato che sta violando le Direttive europee
sull’ILVA di Taranto.
Domani conferenza stampa di PeaceLink.
Troppo evidenti le responsabilità dell’ILVA e del Governo italiano.
Dopo la missione di PeaceLink a Bruxelles interviene la Commissione Europea.
Il 10 aprile una delegazione di PeaceLink è andata a parlare con il Commissario all’ambiente
Potocnik portando tutta la documentazione per evidenziare le inadempienze di ILVA e del governo.
Eravamo fiduciosi che l’Europa ci avrebbe ascoltato e avrebbe agito per violazioni delle Direttive europee.
E così è stato. Domani mattina [16 aprile] sarà resa nota la nuova “lettera di messa in mora”.
Sempre domani mattina conferenza stampa di PeaceLink alle ore 12 all’Istituto Righi (secondopiano, aula 208).
A seguire il comunicato ANSA che dà un’anticipazione del nuovo passo in avanti della Commissione Europea.
ILVA: BRUXELLES INCALZA ITALIA, TARANTO FUORILEGGE
ANSA Bruxelles 15 aprile 2014
La Commissione UE incalza l’Italia sullo stabilimento siderurgico di Taranto.
Nel quadro della procedura di infrazione già aperta sull’ILVA, Bruxelles si appresta a inviare a
Roma una nuova lettera di messa in mora per la violazione di alcuni articoli delle Direttive sulle
emissioni industriali e della Direttiva Seveso. Lo si è appreso da fonti europee.
La nuova iniziativa della Commissione nasce dall’analisi dettagliata della risposta inviata a Bruxelles dall’Italia in seguito alla prima lettera di messa in mora risalente al settembre 2013.
Il nuovo documento che sta per essere mandato a Roma, a quanto si è appreso, solleva problemi in merito al mancato rispetto delle condizioni fissate dal permesso di operare e dei vinco li imposti dalla normativa europea per fare sì che le installazioni industriali siano utilizzate in
modo tale che non vi siano fenomeni di inquinamento significativi.
Ma anche perché, in caso di inadempienza, l’operatore è tenuto a prendere immediatamente le
misure necessarie a ripristinare una situazione “legale” nel minor tempo possibile.
In relazione alla Direttiva Seveso, Bruxelles prefigura poi la violazione dell’articolo 5, che pre vede che il rapporto sulla sicurezza sia riesaminato, e se necessario aggiornato periodicamente, almeno ogni cinque anni: un processo avviato nel 2008 ma che non risulta ancora concluso.
15 aprile 2014 - Alessandro Marescotti
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IL COMUNICATO DOPO L’INCONTRO A BRUXELLES CON IL COMMISSARIO EUROPEO ALL’AMBIENTE JANEZ POTOCNIK SULLA QUESTIONE ILVA-TARANTO
Battaglia, Manna e Marescotti a Bruxelles.
Giovedì 10 aprile 2014 abbiamo incontrato il Commissario europeo all’Ambiente Janez Potocnik
sulla questione ILVA di Taranto.
L’incontro, protrattosi per più di un’ora, ha rappresentato un importante momento di discussione e aggiornamento sulla situazione in corso a Taranto.
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Il Commissario, dettagliatamente informato su tutti gli aspetti della questione, in ragione del
lavoro svolto da PeaceLink in questo anno, si è detto estremamente attento alle evoluzioni e
preoccupato per le condizioni nelle quali versa la popolazione.
Abbiamo informato il Commissario e il suo gabinetto sui dati salienti emersi nel recentissimo
convegno scientifico dei vari registri tumori tenutosi a Taranto.
Il Commissario Potocnik è rimasto colpito dagli 8.811 nuovi casi di tumore registrati dalla ASL
di Taranto nel triennio 2006-2008.
Questo dato equivale all’insorgenza di 8 nuovi casi di tumore al giorno a Taranto e provincia.
Abbiamo sottolineato che di fronte a questi dati non si può perdere un solo giorno in più.
E’ stata nostra cura illustrare nuovamente al Commissario l’evoluzione del quadro legislativo
permissivo nel quale opera l’ILVA ed in special modo dopo la Legge 6/14 che consente la produzione anche in presenza di accertate violazioni dell’ AIA da parte dell’ente di controllo, ossia
ISPRA.
È stato sottolineato quanto sia carente il sistema di monitoraggio dell’inquinamento interno all’ILVA che registra valori di IPA cancerogeni dentro la cokeria inferiori rispetto a quelli della città.
Abbiamo provocatoriamente chiesto se esista in Europa un’altra acciaieria che registri al suo
interno valori di IPA inferiori rispetto all’aria ambiente del contesto urbano. Tale domanda ha
creato un comprensibile imbarazzo. Come pure sconcerto ha generato la lettura del verbale
ispettivo dell’ISPRA che annota come il sistema di monitoraggio in continuo (IPA, Btex, polveri)
previsto per le macchine caricatrici della cokeria sia stato posizionato sulla macchina caricatrice
6B che risulta attualmente ferma e che è asservita alle batterie 7-8, notoriamente non in funzione. Quali valori registrerà il monitoraggio se l’impianto in questione è fermo?
In queste condizioni surreali il monitoraggio in continuo di uno dei punti più critici dello stabilimento viene vanificato, rendendo l’AIA priva del riscontro essenziale dell’efficacia degli interventi.
La nostra visita a Bruxelles ha coinciso con l’entrata in vigore in Italia della Direttiva
2010/75/UE i cui effetti si dispiegano a partire dall’11 aprile di quest’anno.
Tale Direttiva conferisce alla Commissione europea un potere di intervento e di controllo maggiore relativo all’inquinamento dovuto alle attività industriali, nel rispetto del principio “chi inquina paga”.
Durante il colloquio abbiamo mostrato al Commissario il video dello spaventoso slopping registrato nella mattinata del 10 aprile alle ore 8 circa, registrato proprio mentre ci recavamo all’aeroporto di Bari.
11 aprile 2014
Per PeaceLink
Antonia Battaglia
Alessandro Marescotti
Luciano Manna
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SCUOLA: STRESS, BURNOUT E IDENTIKIT DELL’INSEGNANTE A RISCHIO
Da: PuntoSicuro
http://www.puntosicuro.it
09 aprile 2014
di Tiziano Menduto
Disponibile in rete un documento che si sofferma sui rischi del personale docente di sviluppare
patologie psichiatriche. L’identikit dell’insegnante a rischio, i sintomi del burnout, i fattori di rischio psicosociale e di rischio stress.
Secondo alcune ricerche la categoria dei docenti nella scuola risulta particolarmente esposta al
rischio di sviluppare patologie psichiatriche.
Di fronte a questi risultati è evidente quanto sia rilevante una idonea valutazione del rischio
stress lavoro correlato e dei rischi psicosociali nella scuola.
Torniamo a parlare di stress nel mondo della scuola in relazione a quanto contenuto in un do cumento, pubblicato sul sito dell’Istituto Commerciale Gravellona Toce, dal titolo “Personale
scolastico, formazione sui temi della sicurezza, rischi psicosociali e stress lavoro-correlato”.
A proposito di patologie psichiatriche e di burnout, il documento riprende alcune indicazioni
tratte dal volume “Scuola di follia” di Lodolo D’Oria che ricordano come in Italia la famiglia
educa sempre meno e delega sempre più la scuola: cioè gli insegnanti. Tuttavia i genitori se riconoscono la difficoltà e la fatica del proprio essere educatori, la negano ai precettori dei propri
figli. E gli stessi insegnanti non si rendono conto che il loro mestiere comporta il logoramento
psicofisico: chi educa e insegna spende, nel bene o nel male, un mare di energie e di conseguenza, a seconda delle risorse personali e delle capacità di gestirle, ciascuno può andare dapprima incontro a situazioni di stress, ed in seguito, passando attraverso il burnout, scivolare
nella psicopatologia.
Nel documento si ricorda che con il termine “rischi psicosociali” si può intendere l’insieme delle
variabili organizzative, gestionali, ambientali e relazionali che possono causare un danno psicologico, sociale o fisico alle persone (Cox e Rial Gonzales, 2002). E tali rischi possono determi nare effetti negativi in termini di efficienza e di immagine a livello organizzativo, economico,
sociale e ambientale (De Carlo, Falco e Siragusa, 2008).
Sono riportati alcuni fattori di rischio psicosociale:
 aspetti ambientali: rumorosità; vibrazioni; variazioni di temperatura, ventilazione, umidità;
carenze nell’igiene ambientale;
 caratteristiche del lavoro: contesto del lavoro (funzione e cultura organizzativa; ruolo nell’organizzazione; sviluppo di carriera; modalità di presa di decisione, stili di gestione e di
controllo; relazioni interpersonali; mobilità e trasferimenti; equilibrio tra lavoro e vita privata); contenuto del lavoro (tipo di compito; carico, ritmi e orari di lavoro).
Il documento si sofferma anche sulla definizione e sulla diffusione dello stress.
Riguardo a quest’ultimo aspetto si riportano i dati di una indagine sulle condizioni di salute e di
lavoro di lavoratori italiani (Fondazione Europea di Dublino, 2006):
 stress: 27%;
 mal di schiena: 24%;
 fatica complessiva: 24%;
 dolori muscolari: 23%;
 mal di testa: 17%.
Sono riportati anche i fattori di rischio riguardo allo stress con riferimento a:
 fattori oggettivi: organizzazione e processi di lavoro (pianificazione dell’orario di lavoro,
grado di autonomia, grado di coincidenza tra esigenze imposte dal lavoro e capacità/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro, ecc.); condizioni e ambiente di lavoro (esposizione
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
ad un comportamento illecito, al rumore, al calore, a sostanze pericolose, ecc.); la comunicazione (incertezza circa le aspettative riguardo al lavoro, prospettive di occupazione, un
futuro cambiamento, ecc.); fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali, sensazione di non
poter far fronte alla situazione, percezione di una mancanza di aiuto, ecc.);
fattori soggettivi: percezione soggettiva di stress (distress psichico); manifestazioni emotive (ansia, tensione, irritabilità, insicurezza, ecc.); manifestazioni cognitive (difficoltà di concentrazione, scarsa memoria, ecc.); comportamenti disfunzionali (abuso di alcol, tabagismo, abuso di farmaci, ecc.); comportamenti sintomatici di stress (aggressività, fuga, isolamento, ecc.).
Infine il documento si sofferma sulle forme “estreme” di disagio negli ambienti di lavoro, con
riferimento al burnout e al mobbing.
Con il burnout siamo di fronte a una forma particolare di stress lavorativo, che fa sentire chi ne
è colpito senza via d’uscita, “bruciato”, “consumato dal proprio lavoro”.
Il burnout colpisce le “professioni d’aiuto”: infermieri, medici, insegnanti, assistenti sociali, poliziotti, operatori di ospedali psichiatrici.
Questi i sintomi del burnout:
 esaurimento emotivo: sensazione di essere svuotato e annullato dal proprio lavoro;
 spersonalizzazione: atteggiamento di allontanamento e di rifiuto nei confronti degli utenti;
 ridotta realizzazione personale: percezione della propria inadeguatezza al lavoro, e sentimento di insuccesso nel proprio lavoro;
 sintomi somatici: senso di stanchezza ed esaurimento, tachicardia, cefalee, nausea, insonnia, ecc.;
 sintomi psicologici: depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento,
rabbia e risentimento, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza, negativismo, isolamento, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento,
cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti.
E’ frequente l’abuso di alcool o di farmaci.
Riportiamo, in merito al rischio di sviluppare patologie psichiatriche, alcuni tratti caratteristici
dell’insegnante a rischio con riferimento ai risultati di uno studio condotto tra gli insegnanti
della provincia di Milano (da cui prende il via il libro di Lodolo D’Oria):
 anzianità di servizio (superiore ai 20 anni, quasi a testimoniare lo stretto legame tra usura
psicofisica e insegnamento);
 aggressività (verso colleghi, studenti, genitori e dirigente);
 mania di persecuzione (effetto di mobbing riflesso);
 trasferimenti frequenti;
 assenze (con frequenza crescente, per numero e quantità, con l’aggravarsi del quadro psicopatologico);
 accanimento verso eventuali studenti disabili.
Generalmente l’insegnate a rischio:
 ha bassa autostima;
 è costantemente preoccupato e si sente incompreso;
 tende ad isolarsi;
 possiede una vita privata povera di stimoli;
 manifesta comportamenti ossessivo-compulsivi, a loro volta dettati da un perfezionismo
esasperato;
 è tipicamente ansioso, nevrotico, impulsivo, litigioso, ambizioso, incapace a mediare, aggressivo, ostile, idealista e con una forte componente onirica, che lo sgancia dalla realtà.
Infine ricordiamo che il documento si sofferma anche sulla valutazione del rischio stress e sul
Benessere Organizzativo.
In particolare il benessere organizzativo è inteso come la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori. Un costrutto multidimensionale, determinato e influenzato da diversi fattori, sia a livello individuale e di gruppo,
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sia organizzativo.
Il documento “Personale scolastico, formazione sui temi della sicurezza, rischi psicosociali e
stress lavoro-correlato”, dell’Istituto Commerciale Gravellona Toce è scaricabile all’indirizzo:
http://www.icgravellonatoce.it/media/files/slides%20formazione%20SLC%20personale%20scolastico.pdf
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IMPARARE DAGLI ERRORI: GLI INCIDENTI ALLA GUIDA DEGLI ESCAVATORI
Da: PuntoSicuro
http://www.puntosicuro.it
10 aprile 2014
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni correlati a errori nella guida e nella manovra degli escavatori idraulici. Incidenti nei cantieri forestali, cantieri edili stradali e nelle attività di scavo. I rischi associati all’uso
e alle lavorazioni con macchine movimento terra.
Qualcuno potrà chiedersi perché “Imparare dagli errori” si stia soffermando da diversi mesi sugli incidenti che avvengono nei luoghi di lavoro nell’utilizzo di escavatori e attrezzature correla te (miniescavatori, escavatori con martellone o con pinza, ecc.).
La spiegazione è semplice e non è solo legata alla grande diffusione dell’escavatore, mezzo che
in qualche pubblicazione è indicato come “re” delle macchine movimento terra.
Per rispondere è sufficiente sfogliare la nostra principale fonte di dinamiche e analisi degli inci denti (INFORMO: strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di
sorveglianza degli infortuni mortali e gravi) e verificare la grande quantità di casi di infortunio
correlati all’uso di questa attrezzatura.
Nella puntata di oggi analizziamo alcuni incidenti che avvengono in relazione a errori nella guida e nella manovra degli escavatori idraulici.
Come sempre, prima di iniziare, ricordiamo che con l’entrata in vigore dell’ accordo della Conferenza Stato-Regioni del 22 febbraio 2012, è richiesta una specifica abilitazione degli operatori
per varie macchine movimento terra: escavatori idraulici, a fune, pale caricatrici frontali, terne.
I CASI
Il primo caso è relativo ad un infortunio nel piazzale di deposito di un cantiere forestale.
Tre operai stanno provvedendo a caricare dei tronchi di legna su un autocarro. Il lavoro è così
organizzato: un operaio manovra un escavatore equipaggiato con pinza che serve per sollevare
i tronchi di legno accatastati a terra e posizionarli all’interno del cassone dell’autocarro. Gli altri
due operai, tra cui l’infortunato, lavorano sul cassone del camion, con i piedi sul carico di legna
che si sta formando, per sistemare i tronchi. I due lavoratori non indossano nessun dispositivo
di protezione individuale.
L’infortunio accade quando il carico di legna è già quasi ultimato: i due lavoratori si trovano a
circa 3,3 metri da terra. Un lavoratore è colpito alla testa dal carico di legna, stretto nella pinza
dell’escavatore, che sorvola la sua zona di lavoro per una manovra errata dell’operaio alla gui da del mezzo. A seguito dell’impatto l’operaio cade a terra. L’operaio perderà la vita a seguito
delle fratture riportate alla testa e alla colonna vertebrale.
I fattori causali dell’incidente:
 manovra scorretta dell’escavatorista che ha colpito l’infortunato con il carico di legna;
 mancanza di misure di sicurezza contro la caduta dall’alto per i due operai impegnati sopra
il carico di legna, ad un’altezza di 3,3 m;
 mancato uso del casco da parte del lavoratore.
Il secondo caso è relativo ad un cantiere edile stradale dove sono in corso opere edili per l’estensione della rete di teleriscaldamento cittadina.
A tali lavori sono addetti due lavoratori incaricati della fornitura e posa in opera della rete di teleriscaldamento, un lavoratore escavatorista, dipendente di un’altra ditta incaricata per lo scavo ed il reinterro e un lavoratore della ditta noleggiatrice dell’ escavatore utilizzato per lo scavo.
Dopo avere provveduto allo scavo uno degli operai addetti alla posa in opera, posizionato insieme al collega sul ciglio dello scavo, si appresta a eseguire la molatura dell’estremità di un tubo
che avrebbe dovuto successivamente posizionare e saldare all’interno dello scavo. Mentre i due
operai eseguono questa operazione, l’operaio escavatorista, alla guida del suo mezzo, movimenta una pesante lastra di metallo che serve per coprire parte dello scavo. Dopo avere posi -
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zionato in posizione verticale la lastra (contro una parete di un cavalcavia posto in prossimità
della postazione di lavoro occupata dai due operai addetti alla posa in opera) esegue una manovra che porta il braccio del mezzo a urtare contro la lastra appena posizionata. La lastra
cade verso lo scavo e investe uno dei due operai che decede sul colpo.
Due i fattori causali individuati da INFORMO:
 escavatorista che ha movimentato, depositato e urtato la lastra di ferro che ha schiacciato
l’infortunato;
 cantiere edile stradale in luogo ristretto.
Infine il terzo caso è relativo ad attività di scavo, da eseguire con escavatore, per portare alla
quota stabilita il terreno per realizzare il piazzale industriale di un edificio in costruzione.
Prima di iniziare l’opera di scavo un lavoratore ripulisce il terreno dal materiale di risulta della
lavorazione del cemento armato con l’utilizzo dell’escavatore. Un secondo lavoratore è a terra
per ripulire e riordinare a mano del materiale nella zona del deposito e si trova nelle immediate
vicinanze alla zona di manovra dell’escavatore non delimitata da alcuna segnaletica.
Riempita la benna con il materiale di scarto, il primo lavoratore per uscire dal piazzale compie
una manovra a retromarcia investendo il collega con il cingolo sinistro dell’escavatore. La manovra di retromarcia viene eseguita per la ristrettezza dello spazio di lavoro rispetto alle di mensioni dell’escavatore: alla sinistra del mezzo c’è una rete metallica di recinzione e alla destra un muro dell’edificio in costruzione e perciò non è possibile azionare la rotazione della torretta di manovra e procedere a marcia in avanti.
Tre i fattori causali individuati dalla scheda:
 guida escavatore in retromarcia senza accertarsi della non presenza di lavoratori;
 area di manovra dell’escavatore senza segnaletica;
 ripulitura a mano del piazzale nella zona di manovra dell’escavatore.
I RISCHI
Questi sono i principali rischi associati all’uso e alle lavorazioni con macchine movimento terra:
 rovesciamento o ribaltamento del mezzo con rischio di schiacciamento dell’operatore o di
altre persone;
 rischio d’investimento o schiacciamento di persone o cose durante la marcia in avanti o indietro del mezzo nell’area di lavoro (ad es. cantiere, galleria ecc.);
 seppellimenti o sprofondamenti dovuti al crollo della parete (fronte) dello scavo o al cedimento del terreno;
 elettrocuzione per contatto con linee elettriche aeree o interrate;
 esplosione o scoppio per contatto con linee elettriche interrate o con tubazioni del gas;
 rischi derivanti dalla proiezione di materiale e dalla caduta di materiale dall’alto;
 scivolamenti e cadute a livello durante la salita e discesa dal mezzo;
 rischi derivanti da urti, colpi, impatti, compressioni, schiacciamenti o cesoiamenti, causati
dal cedimento della struttura durante i lavori di manutenzione o riparazione;
 rischi derivanti da urti, colpi, impatti, compressioni, schiacciamenti o cesoiamenti, causati
dal contatto con organi di lavoro durante lo scavo e la movimentazione del terreno;
 salita e discesa dal mezzo sul/dal carrellone e relativo ribaltamento per mancanza della
specifica attrezzatura (rampe) o per l’utilizzo di strutture di fortuna o per la presenza di
ghiaccio (cingoli, ruote in gomma che scivolano);
 rischi derivanti dal cattivo funzionamento o dal cattivo stato di manutenzione della macchina (vibrazioni, rumore. ecc.);
 rischi dovuti al contatto con oli minerali e derivati (gasolio e liquidi per impianti oleodinamici);
 rischi d’incendio durante il rifornimento;
 rischi derivanti dall’ambiente circostante (polvere ecc.);
 rischi indotti dalle caratteristiche del terreno;
 rischi derivanti dall’ uso improprio del mezzo;
 rischi indotti dall’abbandono del mezzo.
LA PREVENZIONE
Ricordando quanto già indicato, nella puntata dedicata agli errori di manovra con i caricatori
(ad esempio in relazione all’importanza che la circolazione di automezzi e macchine semoventi
avvenga secondo percorsi predisposti in fase di organizzazione del cantiere) riprendiamo brevemente alcune indicazioni generiche sull’uso in sicurezza delle macchine movimento terra
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(terna, pala, escavatore) con riferimento a quanto contenuto nel “Manuale macchine movimento terra: utilizzo e sicurezza” prodotto dalla Scuola Edile Bresciana.
Riguardo all’approccio corretto all’uso delle macchine movimento terra, il manuale sottolinea
che il datore di lavoro, o il preposto ai lavori deve verificare che l’operatore conosca le direttive, ai fini dell’utilizzo in sicurezza della macchina elencate nel libretto d’uso. E’ indispensabile
che il preposto ai lavori o il capocantiere richiami il conducente della macchina che non opera
in condizioni di sicurezza, decidendo di sospendere la lavorazione se la guida non è prudente e
nel caso in cui manovre avventate possano generare situazioni pericolose per lo stesso operatore o per le altre maestranze (articolo 19, comma 1 D.Lgs.81/08).
E per la sicurezza della macchina è bene fare alcune verifiche minime, ad esempio ispezionandola ad inizio del turno per:
 controllare lo stato delle gomme o cingoli;
 controllare lo stato d’usura delle tubazioni;
 controllare l’integrità della struttura;
 controllare i livelli dei liquidi;
 assicurarsi che la cabina sia libera da ostacoli;
 controllare l’efficienza dei segnalatori acustici o luminosi.
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DONNE E LAVORO: STRESS, VIDEOTERMINALI, MOVIMENTAZIONI E CADUTE
Da: PuntoSicuro
http://www.puntosicuro.it
11 aprile 2014
Una pubblicazione affronta le problematiche per le donne lavoratrici correlate all’esposizione a
diversi rischi lavorativi. Focus su stress lavoro-correlato, uso del videoterminale, patologie muscolo-scheletriche, cadute e vibrazioni.
Sono diversi i rischi lavorativi che necessitano una riflessione attenta sulle differenze di genere
per mettere in atto misure efficaci di tutela della salute e sicurezza delle donne lavoratrici. Su
questo tema recentemente l’INAIL ha prodotto diverse pubblicazioni in cui la sicurezza e salute
nei luoghi di lavoro sono analizzate in ottica di genere sia sul piano della prevenzione che della
ricerca.
Una di queste pubblicazioni, dal titolo “La sicurezza sul lavoro viaggia con le donne”, è stata
realizzata dall’INAIL e affronta i principali rischi presenti negli ambiti di vita e di lavoro, i loro
più significativi effetti e, specialmente, le problematiche specifiche per le lavoratrici.
Ci soffermiamo oggi in particolare sul rischio stress lavoro-correlato, sui disturbi correlati all’uso del videoterminale, sulle patologie muscolo-scheletriche e sul rischio delle cadute.
STRESS LAVORO-CORRELATO
Riguardo allo stress lavoro-correlato la pubblicazione ricorda che lo stress nel mondo del lavoro
insieme ad altri rischi psicosociali, quali il burnout, è un problema frequente e molto diffuso.
Dopo aver presentato genericamente fattori di rischio e misure di prevenzione, vengono segnalati in particolare i fattori che per le donne possono assumere maggior peso: la carenza di
soluzioni organizzative atte a garantire un giusto bilanciamento fra i tempi di vita e di lavoro,
una scarsa flessibilità nei ritmi ed orari di lavoro e generali forme di impedimenti allo sviluppo
della carriera; a ciò si aggiungono una maggiore esposizione a molestie sessuali, a comporta menti irrispettosi, a forme di discriminazione operate fra colleghi o da superiori.
DISTURBI DA ATTIVITÀ AL VIDEOTERMINALE
Si sottolinea che, come indicato nel Titolo VII del D.Lgs.81/08, ai fini della specifica tutela, s’intende per lavoratore al videoterminale (VDT) chi utilizza un’attrezzatura munita di videoterminale (postazione al computer, tutte le attrezzature connesse e ambiente circostante), in modo
sistematico o abituale, per almeno 20 ore settimanali, al netto delle interruzioni previste dalla
legge (15 minuti ogni 2 ore di applicazione continuativa al VDT).
Dopo aver presentato, anche in questo caso, fattori di rischio e prevenzione (in relazione a piano di lavoro, sedia, schermo, ecc.), la pubblicazione segnala che l’attività al videoterminale è
normalmente compatibile con lo stato di gravidanza.
Non vi sono cioè rischi per il bambino: in passato vi erano state preoccupazioni in relazione ad
una possibile esposizione a radiazioni ionizzanti (quali i raggi X), ma numerosi studi hanno
escluso la possibilità che vi sia un’emissione di tali radiazioni dai videoterminali, per cui non
sussiste un rischio di danno al nascituro.
Tuttavia in questo periodo particolare della donna l’attività al videoterminale potrebbe comportare problemi di tipo posturale collegati ai cambiamenti cui va incontro il suo corpo (aumento
del volume dell’utero gravidico e spostamento del baricentro verso avanti) che, insieme alla
posizione fissa seduta mantenuta per lunghi periodi di tempo, possono portare alla comparsa
di problemi muscoloscheletrici, tra cui principalmente la lombalgia (mal di schiena).
Dunque nel periodo di gravidanza è consigliabile effettuare pause più frequenti, durante le
quali è bene sgranchire i muscoli possibilmente camminando, e ridurre il tempo di lavoro al videoterminale.
PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE
Abbiamo visto più volte, che nel mondo del lavoro bisogna prestare particolare attenzione alla
salute della colonna vertebrale e dei muscoli e che i principali rischi lavorativi a carico dell’ap -
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parato muscolo-scheletrico sono correlati alla movimentazione manuale dei carichi, ai movimenti ripetuti e alle posture fisse.
Se la capacità di sollevamento e trasporto varia in funzione delle capacità fisiche individuali,
varia anche, in ottica di genere, tra donne e uomini: la differenza tra la capacità di sollevamento di una donna sana è mediamente pari a due terzi rispetto a quella di un uomo. In questo
senso le norme tecniche della serie ISO 11228 (parti 1, 2, 3), relative alle attività di movimentazione manuale (sollevamento, trasporto, traino, spinta, movimentazione di carichi leggeri ad
alta frequenza), prevedono un limite del peso da movimentare per la popolazione lavorativa
adulta pari a 25 Kg che protegge il 95% dei maschi, ma solo il 70% delle femmine. La norma
UNI EN 1005-2 (rivolta ai progettisti di macchine) suggerisce il valore di 15 Kg che protegge il
90% delle donne.
In merito poi ai movimenti ripetuti l’incidenza complessiva delle patologie degli arti superiori è
maggiore nelle donne (54,1% contro 45,9%), con particolare riferimento alla sindrome del
tunnel carpale (65,5% contro 34,5%) ed alle patologie del polso.
SCIVOLONI, CADUTE E VIBRAZIONI
Chiudiamo questa breve presentazione parlando di cadute con riferimento in particolare a pavimenti, scale e protezioni nel lavoro in altezza. Ricordando che le cadute in piano o dall’alto
sono gli infortuni più frequenti e più gravi, non solo nei cantieri e nelle fabbriche, ma anche negli ospedali, negli uffici, nei supermercati.
Guardando al rischio in ottica di genere è bene segnalare che nella donna in gravidanza le ca dute e l’esposizione a colpi, ad esempio forti urti improvvisi contro il corpo o sobbalzi, possono
accrescere il rischio di un aborto spontaneo. Pertanto, situazioni lavorative che comportino l’esposizione a tali rischi, vanno valutate con attenzione; analoga vigilanza va riservata a lavorazioni che espongono a vibrazioni o movimenti.
Infine si sottolinea come la colonna vertebrale sia la struttura che, con maggiore frequenza, risente dei danni delle vibrazioni. La zona lombare del rachide risulta la più frequentemente colpita, seguita dalla regione dorsale e da quella cervicale.
E in particolare nelle donne in gravidanza tali disturbi sono più frequenti a causa delle modifi cazioni fisiologiche, tra cui l’incremento della lordosi lombare, che si verificano durante la gestazione. Dagli studi di letteratura si evidenzia che durante la gravidanza l’esposizione a vibrazioni può accrescere il rischio di parto prematuro o di nascita di neonato sotto peso.
Il documento dell’INAIL “La sicurezza sul lavoro viaggia con le donne”, edizione ottobre 2013 è
scaricabile all’indirizzo:
http://sicurezzasullavoro.inail.it/PortalePrevenzioneWeb/wcm/idc/groups/salastampa/documents/document/ucm_100983.pdf
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POLVERI DI LEGNO: SORVEGLIANZA SANITARIA E GESTIONE DEL RISCHIO
Da: PuntoSicuro
http://www.puntosicuro.it
14 aprile 2014
di Tiziano Menduto
Due seminari affrontano il tema del rischio cancerogeno per le attività comportanti l’esposizione a polvere di legno duro. Gli obblighi dei datori di lavoro, le misure organizzative e le indicazioni e criticità della sorveglianza sanitaria.
Abbiamo più volte segnalato come l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC)
abbia inserito nel Gruppo 1 (cancerogeni per l’uomo) le polveri di legno duro e come diverse
direttive europee classifichino come a rischio cancerogeno proprio il lavoro comportante l’esposizione a polvere di legno duro.
Su questo rischio in questi anni l’INAIL e diverse ASL locali hanno realizzato pubblicazioni, progettato piani di prevenzione e organizzato incontri di approfondimenti per migliorare l’informazione e la prevenzione nei luoghi di lavoro.
Riguardo ai seminari e convegni di approfondimento ne segnaliamo in particolare due organizzati sul tema dall’ ASL 10 di Firenze.
Il primo seminario, dal titolo “Sorveglianza sanitaria in esposti a polveri di legno”, si è tenuto a
Sesto Fiorentino il 15 giugno 2013 e ha avuto l’obiettivo di diffondere i risultati sanitari del progetto della Azienda Sanitaria di Firenze sulla tutela della salute di lavoratori esposti a polvere
di legno e illustrare i percorsi diagnostici per la sorveglianza sanitaria in esposti ed ex-esposti a
polvere di legno.
Anche il secondo seminario, dal titolo “Prevenzione e controllo dell’esposizione a polveri di legno nella ASL 10 di Firenze: la gestione del rischio”, si è tenuto a Sesto Fiorentino, ma qualche
mese dopo, il 28 ottobre 2013.
Questo secondo seminario ha ricordato ancora che la polvere di legno duro è stata classificata
come “Group 1: Carcinogenic to humans” dalla IARC nel 1995 a seguito della sufficiente evidenza del nesso causale con l’insorgenza del tumore dei seni nasali e paranasali. E ha segnalato come l’esposizione prolungata alla polvere di legno avvenga quasi esclusivamente per motivi
di natura professionale.
In particolare la lavorazione di “legni duri” comporta diversi obblighi a carico delle imprese,
quando viene effettuata esclusivamente o in associazione con i “legni dolci”, e nel caso in cui
siano occupati lavoratori subordinati o ad essi equiparati (soci, apprendisti ecc.).
Si è anche ricordato che se il termine “duro” deriva dalla traduzione letterale del termine ingle se “hardwood” (utilizzato per indicare il legno ricavato da alberi del tipo Angiosperme), in linea
generale i legni duri sono rappresentati dalle latifoglie ed i legni dolci o teneri, dalle conifere
Gimnosperme.
Fatte queste premesse i datori di lavoro che effettuano lavorazioni che comportano l’ esposizione a polveri di legno duro dovranno essere in grado di dimostrare:
 di aver messo in atto tutte le misure previste per la riduzione dell’esposizione al valore più
basso tecnicamente possibile (ai sensi dell’articolo 235 del D.Lgs.81/08);
 che l’esposizione all’interno della loro attività è inferiore al valore limite di esposizione pari
a 5 mg/m3 (in caso contrario potranno essere sottoposti a provvedimenti atti a impedire il
protrarsi della situazione di rischio accertata).
Rimandando a futuri articoli di PuntoSicuro la presentazione nel dettaglio degli atti dei semina -
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ri, presentati sul sito dell’ ASL 10 di Firenze, ci soffermiamo brevemente su un intervento al
seminario del 15 giugno 2013, dal titolo “Quale sorveglianza sanitaria?” e a cura della Dr.ssa
Carla Sgarrella (ASL 10 Dipartimento di Prevenzione).
Nell’intervento si fa riferimento in particolare ad una griglia di valutazione della sorveglianza
sanitaria mirata al rischio cancerogeno nel comparto del legno.
Griglia che ha permesso di rilevare:
 che la caratteristica del tessuto produttivo (industria o artigianato) sembra influire sulla
qualità della sorveglianza sanitaria;
 che la qualità della sorveglianza sanitaria va migliorata.
E’ dunque necessario individuare modalità e strumenti più efficaci, anche perché la normativa e
le indicazioni della letteratura ci sono.
In particolare l’intervento fa riferimento alle Linee guida sulla esposizione a polveri di legno redatte dal Coordinamento Tecnico delle Regioni, linee guida che comprendono sia aspetti tecnici
di prevenzione che indicazioni sulla sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti a polveri di legno duro.
Ci soffermiamo su alcuni dei punti critici rilevati dalla relatrice:
 non vi sono evidenze biologiche ed epidemiologiche che consentano di individuare una soglia di esposizione al di sotto della quale la potenzialità di promozione/induzione neoplastica
possa essere pari a “zero”;
 l’esposizione a polveri può indurre malattie respiratorie non neoplastiche soprattutto allergiche anche entro il limite di 1 mg/mc; non vi è un limite al di sotto del quale si può esclu dere un effetto sensibilizzante.
Allora cosa si può fare?
Fondamentale, continua la relatrice, è contenere l’esposizione entro il più basso valore possibi le anche nelle nostre realtà lavorative.
Nell’intervento vengono presentate alcune misure organizzative e procedurali.
Ad esempio:
 si devono vietare le operazioni di pulizia del pezzo lavorato con aria compressa o con la
bocca e devono essere utilizzate invece apposite spazzole aspiranti;
 è bene predisporre programmi di manutenzione degli impianti;
 per la pulizia delle macchine, dei locali e delle attrezzature si deve eliminare l’uso dell’aria
compressa: la pulizia deve essere eseguita con mezzi meccanici dotati di aspirazione;
 nelle attività che non garantiscono sufficiente protezione è importante utilizzare dispositivi
di protezione individuali; ad esempio nei lavori di carteggiatura, levigatura, manutenzione
su sistemi di captazione, nello svuotamento dei contenitori e silos e nella pulizia di impianti
e locali devono essere utilizzati: copricapo, tuta con polsini dotati di elastici, occhiali (da
utilizzarsi in concentrazione elevate di polveri), apparecchi di protezione delle vie respiratorie.
In conclusione la relatrice riporta alcune indicazioni operative:
anche il riferimento al limite di 1 mg/m3 deve essere considerato come un valore che comun que non garantisce in maniera totale la salute del lavoratore; non può essere inteso come un
netto spartiacque fra elevata e bassa esposizione;
i lavoratori con una elevata anzianità lavorativa nel settore pari almeno a 15 anni tuttora esposti, indipendentemente dalla presenza di sintomi e dai pregressi livelli di esposizione, dovrebbero essere sottoposti a visita specialistica ORL con fibrolaringoscopia almeno una volta;
in ambito di sorveglianza sanitaria è corretto indagare i disturbi nasali attraverso l’uso del questionario per tali disturbi.
Gli atti dei seminari organizzati dall’ ASL 10 di Firenze sono scaricabili agli indirizzi sotto riportati.
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Atti del seminario del 28 ottobre 2013
http://www.asf.toscana.it/images/stories/prevenzione/Seminario_28_10_2013.zip
Prima parte degli atti del seminario del 15 giugno 2013
http://www.asf.toscana.it/images/stories/prevenzione/Seminario_legno-15_06_2013_prima
%20_parte.zip
Seconda parte degli atti del seminario del 15 giugno 2013
http://www.asf.toscana.it/images/stories/prevenzione/seminario_legno_15_06_2013_seconda_parte.zip
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