Torino
Auditorium
Giovanni Agnelli
Lingotto
Martedì 23.IX.08
ore 21
Maria Malibran
La rivoluzione romantica
Cecilia Bartoli mezzosoprano
Orchestra La Scintilla
dell’Opera di Zurigo
Ada Pesch direttore
Maria Malibran
La rivoluzione romantica
Manuel del Pópulo Vicente García
(1775-1832)
Ouverture da La figlia dell’aria (1826)
E non lo vedo… Son regina
recitativo e aria di Semiramide da La figlia dell’aria
Libretto di Gaetano Rossi
Revisione a cura di Martin Heimgartner
Giuseppe Persiani
(1799-1869)
Cari giorni
introduzione e romanza di Ines da Ines de Castro (1835)
Libretto di Salvatore Cammarano
Revisione a cura di Martin Heimgartner
Daniel Pezzotti, violoncello
Julie Palloc, arpa
Felix Mendelssohn-Bartholdy
(1809-1847)
Scherzo in sol minore dall’Ottetto op. 20
(versione orchestrale del compositore)
Infelice
scena e aria per voce, violino solo e orchestra
versione di Londra (1834)
Testo di Pietro Metastasio
Revisione a cura di Martin Heimgartner
Ada Pesch, violino
Gioacchino Rossini
(1792-1868)
Scena della tempesta dal Barbiere di Siviglia
Nacqui all’affanno… non più mesta
scena e rondò di Angelina da Cenerentola (1817)
***
Videoimpaginazione e stampa • la fotocomposizione - Torino
Gaetano Donizetti
(1797-1848)
Andante sostenuto dal Concertino per clarinetto in si bemolle
Robert Pickup, clarinetto
Gioacchino Rossini
Bel raggio lusinghier… Dolce pensiero
cavatina di Semiramide da Semiramide (1823)
Libretto di Gaetano Rossi
Ouverture dal Signor Bruschino (1813)
Assisa al piè d’un salice – Deh, calma
canzone e preghiera di Desdemona da Otello (1816)
Julie Palloc, arpa
Charles-Auguste de Bériot
(1802-1870)
Andante tranquillo dal Concerto in sol maggiore per violino n. 7 op. 73 (1851)
Ada Pesch, violino
Michael William Balfe
(1808-1870)
Yon moon o’er the mountains,
ballata di Isoline da The Maid of Artois (1836)
Libretto di Alfred Bunn
Revisione a cura di Martin Heimgartner
Johann Nepomuk Hummel
(1778-1837)
Air à la tirolienne avec variations (1830)
Pubblicazione: Vienna/Parigi/Londra, 1830, con l’indicazione “chanté pour la 1ère
fois par Mme Malibran-García à Londres, composé et dédié à elle” (cantata per la
prima volta dalla Signora Malibran-García a Londra, composta e dedicata a lei)
Testo di anonimo
Revisione a cura di Martin Heimgartner
Maria Malibran
(1808-1836)
Rataplan
canzonetta (orchestrazione anonima, Dresda 1840,
per il vaudeville Testament eines Schauspielers)
pubblicato come n. 6 nell’Album lyrique
Testo di anonimo
Revisione a cura di Martin Heimgartner
Cecilia Bartoli, mezzosoprano
Orchestra La Scintilla
dell’Opera di Zurigo
Ada Pesch, direttore
In occasione dei 200 anni dalla nascita di Maria Malibran
In collaborazione con
Fondazione Teatro Regio
Se desiderate commentare questo concerto, potete collegarvi al
calendario presente sul sito www.mitosettembremusica.it dove è
attivo uno spazio destinato ai commenti degli spettatori
E non lo vedo… Son regina
E non lo vedo e invan lo cerco. L’ora fatal s’appressa.
Pochi istanti ancora e poi... misera me! Di quel tiranno io fra le braccia,
oh dio, e il mio Mennon!
Poss’io e perderlo, e scordarlo! Io che l’adoro or più che mai.
Come farò nel seno d’un mondo senza lui, che giorni – oh dei! –
disperati e crudel saranno i miei?
Quai meste voci! Il nome del mio Mennon fra quei lamenti!...
Oh tradimento! O mio tormento!
Quai voci si destano in me? Forza e coraggio!
Qual poderoso istinto alla gloria m’invita, all’armi, al trono!
E mi rammento qual fui, qual esser deggio e qual io sono:
Son regina e sono amante,
di furor col braccio armato,
al tiranno debellato
io la morte apporterò.
E sopra i popoli
cari al mio core
scettro d’amore
io stringerò.
Morte al tiranno e libertà!
Cari giorni
Cari giorni a me sereni
d’innocenza e di virtù,
foste brevi, siete spenti,
né a brillar tornate più.
Nel dolor è scorsa intera
la prim’ora dell’età,
mia giornata innanzi sera
nel dolor tramonterà.
Infelice
Infelice! Già dal mio sguardo si dileguò…
Partì. La mia presenza l’iniquo non sostenne.
Rammenta al fine i falli, i torti suoi.
Risveglia la tua virtù, scordati l’empio traditor!
Amante sventurata! E l’amo pure…
Così fallace amore, le tue promesse attendi?
Tu non mai rendi la rapita quiete?
Queste son le speranze e l’ore liete?
Ah ritorna, età dell’oro
alla terra abbandonata,
se non fosti immaginata
nel sognar felicità.
Fu il mondo allor felice
che un tenero arboscello,
un limpido ruscello
le genti alimentò.
Ah ritorna, bell’età.
D’amor nel regno
non v’è contento
che del tormento
non sia minor.
Si scorge appena
felice speme
che nuova pena
la turba ancor.
Ah ritorna, bell’età.
Nacqui all’affanno e al pianto
Nacqui all’affanno e al pianto,
soffrì tacendo il core;
ma per soave incanto
dell’età mia nel fiore,
come un baleno rapido
la sorte mia cangiò.
No, no, tergete il ciglio,
perché tremar, perché?
A questo sen volate:
figlia, sorella, amica,
tutto trovate in me.
Non più mesta accanto al fuoco
starò sola a gorgheggiar.
Ah, fu un lampo, un sogno, un giuoco
il mio lungo palpitar.
Bel raggio lusinghier
Bel raggio lusinghier
di speme e di piacer
alfin per me brillò:
Arsace ritornò,
ah, sì! a me verrà.
Quest’alma che sinor
gemé, tremò, languì,
ah! come respirò!
Ogni mio duol sparì,
dal cor, dal mio pensier
si dileguò il terror.
Sì, bel raggio lusinghier
di speme e di piacer
alfin per me brillò.
La calma a questo cor
Arsace renderà.
Arsace ritornò,
ah, sì! a me verrà.
Dolce pensiero
di quell’istante,
a te sorride
l’amante cor, sì.
Come più caro
dopo il tormento
è il bel momento
di gioia e amor!
Assisa a piè d’un salice
Assisa a piè d’un salice,
immersa nel dolore,
giacea trafitta Isaura
dal più crudele amore;
l’aura fra i rami
flebile ne ripetea il suon.
I ruscelletti limpidi
da caldi suoi sospiri
il mormorio mescevano
de’ lor diversi giri.
L’aura fra i rami
flebile ne ripetea il suon.
Salce d’amor delizia
ombra pietosa appresta
di mie sciagure immemore
all’urna mia funesta,
né più ripeta l’aura
de’ miei lamenti il suon.
Ma stanca alfin di spargere
mesti sospiri e pianto,
morì l’afflitta vergine
ah! di quel salce accanto.
Ma stanca alfin di piangere,
morì l’afflitta vergine,
morì, che il duol, l’ingrato...
Ahimè! che il pianto proseguir non mi fa!
Deh, calma, o ciel, nel sonno
per poco le mie pene;
fa che l’amato bene
mi venga a consolar.
Se poi son vani i prieghi
di mia fredd’urna in seno
di pianto venga almeno
il cenere a bagnar.
Yon moon o’er the mountains
Yon moon o’er the mountains
wanes heavily still,
her light o’er the fountains
falls pallid and chill,
the dews of the morning
are melting away,
in the sunlight adorning,
the blushes of day.
La luna nuova, sopra le montagne,
scompare lentamente,
mentre la sua luce, sulle fontane,
cade pallida e fredda,
la rugiada della mattina
si scioglie ed evapora
alla luce del sole, adornando
i rossori dell’alba.
My warm tear in falling
weeps o’er this proud shrine,
in remembrance recalling
the scenes that were mine!
Oh, I wish I were roaming
along the green plain
with the heart I loved,
loving my fond heart again.
La mia calda lacrima, cadendo,
piange su questo orgoglioso altare,
nell’evocare il ricordo
di scene passate!
Oh, vorrei vagare
nella verde pianura
con il cuore che ho amato,
mentre il mio tenero cuore ama ancora.
Air à la tirolienne avec variations
Carina, senti un poco
come batte questo core,
deh senti pietà
del mio dolor:
un tenero sguardo
tu volgi a me!
Diri doi di….
Valse
Jo lei o lei o…
Rataplan
Rataplan, tambour habile,
rataplan, pataplan, pataplan,
rataplan, matin et soir,
rataplan, plan par la ville,
rataplan, plan plan, plan plan,
je vais toujours
tambour battant,
Rrrrrrrrrrran plan plan
pataplan pataplan…
Rataplan, abile tamburo,
rataplan, pataplan, pataplan,
rataplan, mattina e sera,
rataplan, plan per la città,
rataplan, plan plan, plan plan,
io vado sempre
battendo sul mio tamburo,
Rrrrrrrrrrran plan plan
pataplan pataplan…
Aux plaines des pyramides
j’ai mené tambour battant,
ranpataplan pataplan pataplan,
les français de gloire avides
à la victoire en chantant,
mais au sort toujours docile
me voilà dans mes foyers,
devenu tambour de ville,
de tambour de grenadiers.
Nelle piane delle piramidi
ho condotto, battendo sul tamburo
ranpataplan pataplan pataplan,
i francesi avidi di gloria
che cantano alla vittoria,
ma sempre docile alla sorte
eccomi ora a casa,
tamburo di città,
tamburo dei granatieri.
Et quand de quitter la terre
enfin ce sera mon tour,
ranpataplan pataplan pataplan,
je désire qu’on m’enterre
à côté de mon tambour;
quand des anges les trompettes
sonneront le jugement,
je pourrai de mes baguettes
faire un accompagnement,
plan plan plan plan.
E quando sarà il mio turno
di lasciare questa terra,
ranpataplan pataplan pataplan,
voglio essere seppellito
vicino al mio tamburo;
quando le trombe degli angeli
suoneranno il giudizio
potrò con le mie bacchette
fare l’accompagnamento,
plan plan plan plan.
Genialità, scandalo e morte: Maria, cantante e diva
Chi era, in realtà, Maria Malibran, figlia della celeberrima famiglia García? L’archetipo della donna romantica: estremamente geniale, dotata di talenti numerosi
quanto eccelsi, generosa, emotiva, la sua vita segnata da una vena tragica; una
donna ardente, fervida, passionale, indomabile, spensierata; al tempo stesso sincera, emancipata, indipendente, diciamo pure moderna. Era anche orgogliosa, testarda e temeraria, il suo carattere stravagante la costringeva ad assoggettare tutto alla
sua irremovibile volontà e alle esigenze di quella che considerava la sua libertà personale.
Dovunque si presentava, la giovane spagnola dalla figura snella, dai grandi occhi e
dai lunghi capelli scuri scatenava manifestazioni di stati d’animo ed emozioni che
trasportavano i membri della società colta, in Europa quanto in America, in uno
stato di esaltazione come a nessuno era mai riuscito fino ad allora. Con il suo canto
commovente, il suo modo di pensare indipendente, il suo comportamento libero, il
suo modo di vivere che rifiutava ogni forma di convenzione, questa giovane “zingara”, figlia di un musicista andaluso assai famoso e prototipo dell’artista del
Romanticismo, capovolse non solo l’estetica dell’arte canora e della rappresentazione scenica, ma anche l’atteggiamento della società nei confronti degli artisti in
generale: per la prima volta una donna, per di più una musicista, lasciò profondi
segni in campo artistico, nella vita quotidiana nonché nella mentalità dei contemporanei, con incalcolabili conseguenze per le generazioni successive. Fu la prima
diva della storia del teatro e la prima “dea” del Romanticismo.
Tuttavia, qualsiasi tentativo di condurre un’indagine su questa donna eccezionale e
sul suo lascito artistico deve essere basato su uno studio dettagliato della sua epoca
e, soprattutto (in quanto ella fu in primo luogo una cantante senza pari), su una
analisi approfondita della sua vocalità, nonché degli organici strumentali e della
sonorità dei primi decenni dell’Ottocento.
Maria Felicia García nasce il 24 marzo 1808 a Parigi da una famiglia di grande
talento musicale. Il padre, di origine andalusa, è il tenore, compositore e pedagogo
vocale Manuel del Pópulo Vicente García, la madre è il soprano Joaquina Sitches
Briones. Il fratello maggiore di Maria, Manuel, svolge l’attività di baritono ed è noto
ancora oggi per la sua scuola di canto, mentre la sorella minore, Pauline ViardotGarcía diventerà anch’essa cantante, compositrice e mecenate.
In qualità di tenore ricercatissimo, García si sposta in continuazione da un centro
musicale all’altro insieme alla moglie e ai figli. Ha inizio così per la piccola Maria,
già all’età di quattro anni, una vita itinerante che la condurrà attraverso la Francia,
l’Italia e l’Inghilterra e che determinerà anche il resto della sua vita. A Napoli Maria
sale per la prima volta alla ribalta operistica all’età di otto anni, accanto al padre,
nell’Agnese di Paër. Nello stesso anno, 1816, accompagna il padre a Roma in occasione della première del Barbiere di Siviglia di Rossini, quando García impersona il
primo Almaviva. Dopo l’insuccesso della serata, la bambina consola il compositore
con le parole «Non siate triste; aspettate, quando sarò grande canterò il Barbiere
dappertutto, ma (battendo il piede per terra) mai a Roma, anche se il Papa me lo
chiedesse in ginocchio», come racconterà Rossini anni dopo.
L’incontro con Rossini e con la sua musica ha conseguenze fatidiche per la vita di
Maria e di suo padre: Rosina, Cenerentola, Tancredi e Ninetta (La gazza ladra),
Semiramide e Arsace, ma soprattutto la Desdemona dell’Otello contribuiranno ad
accelerare la carriera stellare della cantante. Anche sul piano personale, il grande
compositore verrà sempre incontro ai membri della famiglia García con grande premura e aprirà loro diverse porte.
L’11 giugno 1825 è considerata la data del debutto ufficiale, quando Maria viene
chiamata a sostituire per breve tempo Giuditta Pasta e diventa l’argomento principale del giorno. Tuttavia l’avventuroso padre non tarda a levare le tende per l’ennesima volta: in questo caso, anziché tentare la sua fortuna in un’altra città europea, risolve su due piedi di portare una compagnia operistica in America. La troupe, composta principalmente dai membri della famiglia García, si esibisce al Park
Theatre di New York, con Maria che interpreta i principali ruoli femminili. Ancora
una volta Maria, che nel frattempo è cresciuta diventando una giovane donna, parteciperà a un evento di grande importanza nella storia musicale: con l’appoggio di
Lorenzo da Ponte, all’epoca residente a New York, i García metteranno in scena la
prima rappresentazione americana del Don Giovanni di Mozart, in cui Maria interpreterà un’incantevole Zerlina. “The Signorina” non tarderà a fare sensazione anche in diversi drammi e in due opere composte espressamente per lei da García,
conquistandosi rapidamente la fama di prima “star” dell’ancora giovane vita musicale americana.
Il suo rapporto con il padre è tutt’altro che sereno. Al contrario: esistono numerosi aneddoti sugli scontri, che sfiorano il limite della violenza, tra Maria e il padre
dal carattere impetuoso (che è anche il suo severo insegnante di canto e un partner
collerico sulla scena). Ma già dopo circa sei mesi la diciassettenne si sposa, contro
la volontà dei genitori, con un uomo più anziano di lei di ventotto anni, Eugène
Malibran, un francese di origine spagnola. Maria si ritira addirittura per qualche
tempo dalla ribalta. A prescindere dal fatto che si tratti di una fuga o di un matrimonio per amore, sin dall’inizio è certo che il rapporto tra Maria ed Eugène rimane teso. Inoltre, gli affari di Eugène non vanno affatto a gonfie vele; al contrario,
egli sta per dichiarare il fallimento e tale circostanza influisce sul loro rapporto in
misura non trascurabile. Ben presto ella torna a cantare e organizza concerti a Philadelphia e a New York. Per risolvere i problemi finanziari e, nel contempo, come
via di fuga dalla complessa situazione privata, non le resta che tornare in Europa.
Ma senza il marito il quale, di fatto, resterà per così dire agli arresti domiciliari: alla
fine del 1827 Maria, ormai matura, una giovane donna emancipata e sicura di sé,
torna in Francia per continuare una carriera senza precedenti.
Con straordinaria rapidità – e ancora una volta sotto lo sguardo benevolo di Rossini – la Malibran diventa a Parigi una stella ambita e corteggiata da tutti. I sovrintendenti dei teatri d’opera la attirano costantemente con offerte interessanti; nella
stampa si scatena la guerra tra i suoi sostenitori e i suoi nemici; nel frattempo viene
coccolata dall’alta società, i cui membri fanno a gara per invitarla a serate lussuose; in campo letterario viene immortalata da artisti quali George Sand, Lamartine
e Musset. Appena ventenne, incoraggia Thalberg, Moscheles e Paganini a svolgere
una divertente gara virtuosistica e riesce ad assicurarsi la paterna amicizia e il
sostegno del leggendario generale americano Lafayette, eroe della guerra d’indipendenza. I rapporti con il marito Eugène Malibran si sono raffreddati ormai da
tempo quando Maria incontra, nella capitale francese, l’attraente violinista belga
Charles de Bériot e inizia apertamente con lui una relazione d’amore. In un’epoca
in cui le artiste sono accettate dalla società soltanto a determinate condizioni, Maria
e Charles dividono in due Parigi: per l’entusiastica gioventù francese, Maria diventa una vera e propria icona del Romanticismo, mentre l’alta società, scandalizzata,
la punisce con il suo disprezzo. Anche se è rispettata e acclamata dai sostenitori, la
cantante si ritrova improvvisamente in una situazione imbarazzante e sceglie di
sottrarsi alla pressione esercitata dalla società lasciando la Francia. Dal 1832 fino
alla sua morte non si esibirà più pubblicamente a Parigi: nella capitale francese
verrà riabilitata dai posteri soltanto dopo la sua precoce e inattesa morte, trasfigurata da una forma di esaltazione dalle tinte tragiche.
Ma nonostante la fuga dalla Francia, la “febbre Malibran” non smette di dilagare
in Europa, espandendosi come un’epidemia in Italia, in Belgio e in Inghilterra. In
Italia Maria conquista i centri musicali più importanti: Roma, Napoli, Bologna,
Milano e Venezia, ma anche numerose città meno grandi sono tutte ai suoi piedi.
In Italia canta per la prima volta i ruoli di Vincenzo Bellini, che a differenza di tutti
gli altri del suo repertorio sembrano in perfetta simmetria con la sua natura e con
la sua voce: il pubblico italiano va in delirio soprattutto per la sua Sonnambula, ma
anche per la sua Norma e per il suo Romeo.
Se in Francia era stata esaltata come romantica diva, gli italiani la accolgono come
se fosse una di loro. Durante i suoi viaggi attraverso il paese viene riconosciuta e
fermata ovunque e la gente non le consente di continuare il viaggio se prima non
ha cantato una serenata all’aria aperta. A Napoli Maria si oppone coraggiosamente
al re, rifiutandosi di comparire davanti al sovrano finché egli manterrà in vigore il
divieto di applauso al Teatro San Carlo; a Milano si scontra con le autorità in seguito alla sua rappresentazione incensurata della protagonista nella Maria Stuarda di
Donizetti. Nella pianura padana, controllata dagli austriaci, e a Bologna viene
innalzata a simbolo del movimento di liberazione, mentre a Venezia, tramite una
generosa iniziativa di beneficenza, salva dalla chiusura un teatro che da allora porterà il suo nome: Teatro Malibran.
Maria ha tutte le carte in regola per diventare quella che oggi potremmo definire
una “superstar”. È la prima donna a portare avanti il lascito dei celebri eroi dell’opera del Seicento e del Settecento, i castrati, con la differenza che la sua fama si
sparse per la prima volta in più continenti. L’euforia che la circonda acquista forme
sempre più fanatiche. I suoi cachet raggiungono livelli astronomici, la società e la
stampa si interessano vivamente alla sua attività artistica e alla sua vita privata.
Numerosi compositori scrivono opere espressamente per lei. Maria diventa una
fonte di ispirazione per pittori e poeti, i quali grazie a lei raggiungono altissime
vette di creatività. La sua vitalità espressiva drammatica e musicale, la sua figura
snella e delicata, il suo modo di recitare con intensa emozione, la sua vita turbolenta e la sua salute cagionevole (svenimenti e indisposizioni sono all’ordine del
giorno) fanno credere al mondo intero di trovarsi di fronte all’archetipo della
romantica figura femminile. Che dietro ai cliché si nasconda invece una donna volitiva, indipendente e persino moderna, dal carattere difficile, sola, spesso disperata,
fisicamente esausta e ammalata, è un aspetto che viene frequentemente ignorato.
Nel 1836 la sua carriera sembra aver raggiunto l’apogeo e la sua vita privata è perfettamente armoniosa: dopo anni di prove di forza e grazie all’energico aiuto di
Lafayette, nella primavera del 1836 Maria ottiene infatti l’annullamento del suo
matrimonio con Eugène Malibran, e poco dopo sposerà il suo Charles. Tuttavia, già
nell’autunno dello stesso 1836 la sua vita travolgente termina bruscamente: Maria
de Bériot muore, incinta, all’età di appena ventotto anni a Manchester per le conseguenze di un grave incidente di equitazione verificatosi qualche mese prima a
Londra.
Una voce leggendaria ricreata dalle partiture
I dati più affidabili sulla straordinaria voce di Maria Malibran si ottengono esaminando i brani composti per lei: la tessitura della parte vocale si estende per quasi
tre ottave, dal mi2 al do5. Pare, inoltre, che le regioni estreme presentassero un’individualità più marcata rispetto al registro medio. Le onnipresenti colorature virtuosistiche e i vistosi salti nella melodia testimoniano una flessibilità fuori della
norma e una perfetta padronanza della tecnica di respirazione.
Per farci un’idea del timbro, sebbene approssimativa, possiamo soltanto basarci sui
numerosissimi resoconti contemporanei (recensioni della stampa, testimonianze e
così via), secondo i quali il colore sarebbe stato uniforme lungo l’intera estensione
della voce, fin su nel registro più acuto, e i pareri sono in genere concordi nel
descrivere la qualità della voce come vellutata, scura e pastosa. In effetti, nei casi
in cui gli elenchi delle compagnie teatrali non fanno riferimento a Maria come
“prima donna”, essa viene definita come “contralto”, ma mai come “soprano”. Oggi
una voce con tali caratteristiche verrebbe indubbiamente classificata come mezzosoprano.
Nel corso di una breve carriera, durata poco più di un decennio, le risorse vocali
pressoché illimitate di Maria Malibran consentirono all’artista di interpretare un
repertorio eccezionalmente vasto, dal Barocco a Mozart fino a Rossini e, negli ultimi anni della carriera, anche le opere del contemporaneo Donizetti e, soprattutto,
di Bellini. Numerose nuove opere vennero composte espressamente per la Malibran
e furono da lei tenute a battesimo, anche se praticamente nessuna è riuscita a
sopravvivere fino ai nostri tempi.
In questo concerto a Cecilia Bartoli interessa soprattutto il tentativo di ricostruire la
sonorità di quell’epoca, nel frattempo andata perduta. Per realizzare questa impresa
sono di importanza fondamentale il tipo di voce e il modo in cui essa viene controllata, l’esame accurato del testo originale, nonché una conoscenza approfondita
degli organici strumentali dell’epoca e, non ultima, l’intonazione usata allora, che
secondo le informazioni tramandate era basata su un la da 430 Hertz.
© Decca
Da oltre due decenni Cecilia Bartoli è indiscutibilmente una delle artiste più
importanti nel campo della musica classica. I suoi ruoli operistici, i suoi programmi concertistici e i suoi progetti discografici sono sempre attesi con grande entusiasmo e curiosità nel mondo intero.
Non sorprende che tra i primi direttori in assoluto con i quali la Bartoli ha lavorato figurino i nomi di Herbert von Karajan, Daniel Barenboim e Nikolaus Harnoncourt. Questi maestri si sono accorti del suo talento in una fase molto precoce,
quando la giovanissima cantante aveva a malapena completato gli studi vocali con
i suoi genitori nella città natale di Roma. Da allora, l’artista si è esibita con molti
altri direttori e pianisti di chiara fama e con le orchestre più importanti del mondo.
Negli ultimi anni ha iniziato una collaborazione con le principali orchestre specializzate in esecuzioni su strumenti d’epoca (Akademie für Alte Musik, Les Arts Florissants, Concentus Musicus Wien, Freiburger Barockorchester, Il Giardino Armonico, Kammerorchester Basel, Les Musiciens du Louvre, Orchestra of the Age of
Enlightenment). I progetti sviluppati con orchestre (per i quali Cecilia Bartoli ha
avuto la piena responsabilità artistica) hanno assunto per lei un’importanza sempre
maggiore e hanno raggiunto un punto culminante con i programmi ideati ed eseguiti con l’Orchestra Filarmonica di Vienna.
Cecilia Bartoli canta regolarmente nelle più grandi sale da concerto d’Europa, Stati
Uniti e Giappone e nei più prestigiosi teatri d’opera e festival quali, ad esempio,
Metropolitan di New York, Covent Garden di Londra, Scala di Milano, Opera di
Stato di Monaco, Festival di Salisburgo e Opera di Zurigo, dove ha presentato molti
dei suoi ruoli operistici per la prima volta. In tempi recenti, ha interpretato Fiorilla nel Turco in Italia di Rossini al Covent Garden e due eroine händeliane, Cleopatra
(nel Giulio Cesare con Marc Minkowski) e Semele (con William Christie) a Zurigo.
Nella stagione 2007/2008 si è dedicata al primo Ottocento – l’era del Romanticismo e del belcanto italiano – e in particolare alla Malibran: il 24 marzo 2008 (giorno del duecentesimo anniversario) la Bartoli ha cantato in tre concerti a Parigi alla
Salle Pleyel con Lang Lang, Repin, Fisher e Chung, momenti centrali di una Maratona Malibran, mentre in contemporanea veniva trasmesso il video del suo recital
di Barcellona su un megaschermo davanti al Municipio.
Cecilia Bartoli è Cavaliere della Repubblica italiana e Accademico effettivo dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma; inoltre le è stato conferito il titolo francese di
Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres e la Royal Academy of Music di Londra
le ha concesso il titolo di Honorary Member.
L’interpretazione storica è diventata una tradizione dell’Opera di Zurigo a partire
dal ciclo su Monteverdi degli anni Settanta, seguito da una serie di opere di Mozart
con la direzione di Harnoncourt e la regia di Ponnelle: da allora il lavoro di riscoperta non si è più fermato, e i musicisti hanno adattato la loro tecnica e il loro
modo di suonare ai criteri più aggiornati dell’interpretazione filologica.
Nel 1996 dall’Orchestra dell’Opera nacque un ensemble indipendente, formato da
musicisti di rango, che si conquistò rapidamente una reputazione di eccellenza. La
scintilla della fascinazione per la “nuova musica antica” diede il nome all’ensemble: La Scintilla. La presenza di personalità musicali come Nikolaus Harnoncourt
(Lucio Silla, Il ritorno d’Ulisse in Patria, L’incoronazione di Poppea), William Christie (Orfeo ed Euridice, Ifigenia in Tauride, Les Indes Galantes, Radamisto), Marc
Minkowski (Les Boréades, Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, Giulio Cesare),
Reinhard Goebel e Giuliano Carmignola favorì un tale successo che l’opera di Zurigo decise di far eseguire tutte le opere barocche e classiche dalla Scintilla, esperienza che continua tuttora. La Scintilla accompagna anche solisti di prestigio, strumentisti e cantanti, e sotto la direzione di Ada Pesch si esibisce regolarmente nelle
maggiori sale europee, come Royal Festival Hall di Londra, Concertgebouw di
Amsterdam, Filarmonica di Berlino e KKL di Lucerna. Con Cecilia Bartoli ha iniziato un intenso lavoro coronato da innumerevoli successi, che prosegue con una
serie di progetti che vanno dalle trasmissioni televisive alle tournée, concretizzatosi in un cd e un dvd pubblicati nel 2007.
Ada Pesch è primo violino dell’Orchestra dell’Opera di Zurigo dal 1990. Nata a
Cleveland, Ohio, inizia a suonare il violino all’età di sei anni e in seguito si reca
all’Università dell’Indiana per studiare con il famoso pedagogo Josef Gingold. Durante questo periodo segue masterclass tenute da Arthur Grumiaux e György Sebök.
Nel 1984 si trasferisce in Europa, diventando primo violino della Hof Symphony
Orchestra e dal 1990 lavora con direttori come Chailly, von Dohnányi, Gardiner e
Welser-Möst.
È membro fondatore e primo violino dell’Orchestra La Scintilla, l’ensemble strumentale dell’Opera di Zurigo con cui si esibisce, e incide regolarmente dischi sotto
la guida di Harnoncourt, Christie e Minkowski. Nel 2005 ha diretto La Scintilla in
un’importante tournée europea e americana con Cecilia Bartoli.
Ada Pesch è stata primo violino ospite di prestigiosi ensemble, come Les Arts Florissants diretto da William Christie e Les Musiciens du Louvre diretto da Marc
Minkowski, per concerti, registrazioni ed esecuzioni radiofoniche. Le sue collaborazioni con diversi gruppi di musica da camera includono progetti con la Bartoli nei
Festival di Lucerna e Salisburgo. È inoltre direttore del Festival di Musica Barocca
di Ernen, in Svizzera, che ha fondato nel 2004. Ha diretto l’Orchestra La Scintilla
per l’incisione dell’ultimo disco di Cecilia Bartoli.
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