IL ROMANZO
Il primo episodio della saga della Terra di Niquam
Nediel è un ragazzo di tredici anni, un giovane abitante della Terra di Niquam, una
splendida regione circondata dai meravigliosi Monti Sorgente e da una profonda
lingua di mare ancora inesplorata. Un giorno, mentre accompagna la carovana del
padre, il suo villaggio viene attaccato dai Primitivi, entità mostruose che si nutrono
della forza vitale degli esseri umani. Durante lo scontro, Nediel assiste al prodigio: un
uomo, incurante del pericolo, riesce ad assorbire quelle creature terrificanti grazie
all’utilizzo di una pietra luminosa. Il ragazzo viene così tratto in salvo e il misterioso
condottiero decide di portarlo con sé per tenerlo al sicuro da eventuali incontri con le
forze demoniache. L’uomo, di nome Yanagar, si presenta come un Custode della
Pietra Celeste e rivela al giovane che, ormai, su di lui grava un indelebile marchio di
sangue che lo condannerà ad essere inseguito dai Primitivi fino alla morte.
L’AUTRICE
Antonia Serranò è nata a Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, dove
vive col marito e le due figlie. Insegnante, ha iniziato a scrivere fantasy per spiegare
in maniera più accattivante ai suoi studenti le strutture narrative e non si è più
ferm ata. L’Undicesimo Maestro è il primo episodio della saga epica dedicata alla
‘Terra di Niquam’.
L’Undicesimo Maestro
di
Antonia Serranò
© 2014 Libromania S.r.l.
Via Giovanni da Verrazzano 15, 28100 Novara (NO)
www.libromania.net
ISBN 9788898562367
Prima edizione eBook marzo 2014
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Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale e indipendente dalla
volontà dell’autore.
L’Undicesimo Maestro
Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale e indipendente dalla
volontà dell’autore.
1
L’attacco
Correva veloce e silenzioso lungo la strada desolata che conduceva alla Valle
Bianca dove giganteggiava la Conca del Sale.
L’uomo, mentre le ombre degli alberi si intrecciavano con quelle delle sue lunghe
gambe, stava ormai finendo di attraversare la serie di piccole colline che attorniava
la Valle su tre lati e che gli impediva di vedere la sua meta. Indossava un mantello di
morbida pelle nera che si accostava ritmicamente al corpo seguendone l’andatura.
L’alto bavero copriva parte dei bei lineamenti del giovane viso, la cui espressione non
tradiva nessun pensiero, mentre i vigili occhi blu, poiché erano puntati in direzione
della fine delle colline alla ricerca di un qualche segnale, non guardavano mai la
strada.
Non esistevano corsi d’acqua visibili, ma l’immensa catena dei piovosi Monti
Sorgente, non molto distante da lì, aveva creato un vasto reticolo di acque sotterranee
che avevano consentito agli uomini di quella regione di scavare dei pozzi sia per la
coltivazione dei campi che per dissetare se stessi e i propri animali. Queste acque poi
risalivano in superficie, dividendosi nei molti fiumi che culminavano al centro della
Terra di Niquam in un numero indefinito di laghi di varia portata e importanza.
Nei pressi della vasta Conca si trovavano due villaggi in cui vivevano gli estrattori
del sale e i loro familiari. Il primo, se l’uomo avesse mantenuto quella velocità
innaturale, distava circa un paio d’ore. Era un centro piccolo, poiché il sale da quel
lato della Conca era quasi esaurito e il rimanente non era facile da estrarre. Quindi, la
zona era popolata da poco più di duecento persone che si dedicavano anche alla
coltura dei pochi terreni pianeggianti presenti. Il secondo villaggio era decisamente
più grande, costruito di recente sul lato opposto ancora ricco di sale. Era una struttura
fiorente in quanto godeva di buoni collegamenti con le ricchissime e potenti città dei
laghi in cui si utilizzava il sale per raffinare il ghos, perno della loro economia. Per
raggiungerlo, all’uomo sarebbero stati necessari almeno otto buoni giorni di
cammino, sempre escludendo la follia di attraversare l’arida Conca a piedi.
Mentre la meta s’avvicinava, un tardo e caldo sole accompagnava l’uomo. Questi
passò la mano su un piccolo sacchetto, realizzato con la stessa pelle del mantello e
chiuso da un sottile legaccio di cuoio, annodato in modo da aderire al fianco sinistro e
restare coperto da una lunga maglia verde scuro.
Rallentò quando vide spuntare da dietro l’ultima curva disegnata dalle colline una
carovana composta da una decina di carri carichi di sale. Quattro buoi per ogni carro
trainavano a fatica quel peso e la strada poco curata non aiutava il loro lavoro. Gli
uomini, due per ogni carro, erano scesi a terra per dare sollievo alle povere bestie.
Sudore e fatica erano impressi in quei volti dove traspariva anche la speranza di un
buon guadagno alla fine del cammino.
L’uomo si allontanò rapidamente dalla strada per non intralciare il loro percorso.
Gli estrattori, pur non avendo visto la velocità innaturale di cui era capace, lo
guardarono con curiosità perché era raro ormai che qualcuno si spingesse sino a quel
lato della Conca: il poco sale rimasto aveva già i suoi acquirenti e non erano presenti
altre attrattive da quelle parti nemmeno per gli avventurieri. Alcuni girarono la testa
per guardarlo meglio, visto che non si era nemmeno fermato a chiedere informazioni
o a salutare: persone così non erano gradite a chi faceva parte di una piccola ma
affettuosa comunità. Videro che portava con sé solo un pugnale lungo e sottile, ma
non sembrava un uomo che andasse in cerca di fortuna. Non poteva che essere uno
stregone da strapazzo in cerca di qualche cliente credulone a cui rifilare la sua ultima
formula magica per una pronta guarigione. Non avrebbe venduto niente: al villaggio i
soldi erano troppo pochi per spenderli in simili fesserie. Inoltre, c’era già un guaritore,
stravagante ma bravo. Avrebbero chiesto alle loro mogli informazioni sul viandante,
sempre se si fosse fermato al villaggio. Per il momento avevano altro a cui pensare e
lo dimenticarono.
Superata la carovana, l’uomo cominciò a correre ancora più velocemente di
prima, approfittando della strada che ora scorreva dritta, puntando all’imboccatura
della Conca: in meno di un’ora sarebbe giunto al villaggio. Le sue falcate erano
talmente veloci che i piedi quasi non toccavano il terreno.
In prossimità dei campi coltivati, disseminati da piccoli pozzi scavati faticosamente
nel terreno sassoso e del bestiame, la strada migliorò. Il villaggio doveva trovarsi lì,
ma non era possibile vedere nulla oltre le mura di cinta perché era coperto da strane
e dense nubi nere, mentre una di poco più chiara si alzava verso il cielo terso dove
stazionò fino a quando non fu raggiunta dalle altre. Tutte assieme sembravano fumo
e, come fumo portato via dal vento, svanirono.
Si fermò immediatamente, lasciandosi avvolgere dalla nuvola di polvere che
aveva sollevato. “Dannazione!” disse. “È stato tutto inutile!” La sua corsa non aveva
più senso. Restò immobile per pochi secondi, valutando quello che avrebbe potuto
fare e chiedendosi come mai quella nuvola fosse diventata più chiara delle altre.
Prese una decisione. Si voltò verso la strada appena percorsa. “Forse sono ancora in
tempo,” disse riflettendo ad alta voce, “la carovana non è lontanissima.”
Riprese la sua folle corsa, ma questa volta nella direzione opposta. Ecco di nuovo i
campi coltivati, la fine della strada lastricata e la polvere mista a sale calpestata
innumerevoli volte da uomini, bestie e carri. Ecco profilarsi all’orizzonte la più chiara
di quelle strane e dense nubi che si avvicinava alla carovana ignara di quel pericolo
che le incombeva sulla testa.
Decelerò e si avvicinò con circospezione, nascondendosi dietro un paio di alberi
spogli e a un grosso cespuglio spinoso. In quel rifugio precario sciolse il laccio di
cuoio del sacchetto e ne estrasse un diamante grande quanto il suo pugno. La luce del
sole rese evidenti delle macchie nere che si muovevano dentro la pietra, oscurandone
un po’ la lucentezza, ma non la bellezza.
Guardò in direzione della nube scura che nel frattempo, come il cappello di una
medusa mentre cerca la spinta propulsiva nell’acqua, si era dilatata sino a coprire
tutta quanta la carovana con il suo essere fuligginoso e sfilacciato: le povere bestie si
agitavano spasmodicamente, tentando invano di liberarsi dal giogo dei carri, e
muggivano follemente per la paura e il dolore. Dai volti degli uomini erano sparite
fatica e speranza, le bocche aperte in un grido muto, mentre quella presenza
incombeva su di loro e sugli animali, privandoli di ogni anelito di vita.
Il diamante sfrecciò nell’aria in direzione di quell’ombra e s’immerse nelle sue
fitte tenebre con un guizzo di luce.
L’ombra si mosse, si contorse e cominciò a rimpicciolirsi, mentre il dolore e la
sofferenza degli uomini e degli animali sembravano centuplicati. I buoi
stramazzarono al suolo, i carri si piegarono mentre il legno con cui erano stati costruiti
si disintegrava e il sale svaniva. Anche gli uomini caddero a terra e si dissolsero. Tutto
quello che era sangue, ossa, materia e forma divenne cenere in un attimo. Anche
l’ombra svanì.
Sotto il sole prossimo al tramonto, rimase solo il diamante a splendere debolmente
sopra un cumulo di cenere.
L’uomo si alzò dal suo nascondiglio e si diresse verso il diamante, lo raccolse,
soffiò via la cenere e lo ripose nel morbido sacchetto di pelle. Incurvò appena le
spalle e fissò a lungo la cenere.
Distolse lo sguardo solo quando sentì il rumore di due cavalli che si avvicinavano.
Era rimasto talmente assorto nei suoi pensieri da non essersi accorto di nulla. Si girò e
vide un ragazzino magro e tremante che proveniva da una collina vicina e che
stringeva le redini di due destrieri grigi, uno sellato e l’altro no, uguali in tutto a
eccezione di una piccola macchia bianca sulla fronte di quello senza sella. Entrambe
le bestie, robuste e curate, avevano gli occhi dilatati per lo spavento e cercavano di
allontanarsi da quel luogo maledetto.
Il ragazzino piangeva, afferrando le redini come se fossero l’unica cosa a cui
aggrapparsi in quella devastazione. Dimostrava tra i dodici e i tredici anni: il suo volto
conservava ancora molti aspetti infantili. Dei grandi occhi scuri, pieni di dolore e
d’interrogativi, spiccavano sotto una massa indomita di capelli corvini. Poiché i
cavalli sembravano aver capito che il pericolo era passato, si lasciarono condurre dal
ragazzo che si avvicinò timoroso all’uomo rimasto immobile.
“Che cos’erano quelle ombre?”
“I Primitivi...” rispose freddamente l’uomo.
Il ragazzo ripeté quel nome a fior di labbra, ma non ricordò di averlo sentito. I
cantastorie erranti, depositari di racconti che si perdevano nella notte dei tempi, gli
anziani del villaggio e gli uomini che avevano viaggiato in lungo e in largo per la
Terra di Niquam non avevano mai dato quel nome agli esseri immondi che
popolavano le loro storie. Eppure li aveva appena visti in azione e una simile piaga
non poteva essere rimasta sconosciuta a così tante persone. Quell’uomo, però,
sembrava conoscerli bene e sapeva catturarli.
“Cosa sono i Primitivi?” La voce del ragazzo era deformata dal pianto che cercava
di trattenere.
“Tu chi sei e cosa fai qui?” gli chiese l’altro, ignorando la sua domanda e
cambiando discorso.
Il ragazzo, tanto era stravolto da ciò a cui aveva appena assistito, non si accorse
nemmeno di essere stato ignorato e rispose: “Sono Nediel e abito nel villaggio qui
vicino, poco dopo la fine di queste colline. Mi ero allontanato questa mattina molto
presto per andare a prendere Leo.” Indicò con un cenno della testa il cavallo con la
macchia bianca. “Era fuggito dal suo recinto come al solito perché voleva
raggiungere la carovana. Ho perso tutta la mattinata per cercarlo tra le colline a nord.
Quando stavo rientrando, ho visto nei pressi dell’imboccatura della Conca quelle
ombre scure che svanivano come fumo e il villaggio ridotto a un cumulo di macerie.
E tu correvi in direzione della carovana, più veloce di Luppolo,” continuò facendo un
cenno verso l’altro cavallo. “Ho cercato di seguirti, ma i cavalli erano indomabili, non
ne volevano sapere di obbedire al mio ordine di raggiungere la colonna di carri
perché avevano fiutato il pericolo e ne erano spaventati. Cos’è successo ai
carovanieri? Chi sei? Chi o cosa sono questi Primitivi? Perché hanno attaccato? Come
sei riuscito a catturare quello più chiaro nel diamante?”
“Mi chiamo Yanagar e sui Primitivi non c’è nulla che tu debba sapere se non che,
probabilmente, presto saranno sulle tue tracce.”
“Cercano me?” Il ragazzo era rimasto talmente stupefatto da quella notizia da
sembrare stolido. Abbandonò le redini e si sedette, oberato dal peso degli avvenimenti
e da quella rivelazione, mentre i cavalli, ormai calmi e sicuri, pascolavano nelle
vicinanze. Con il filo di voce rimastogli chiese: “Perché?”
“Per il motivo che li ha condotti sino alla carovana: il desiderio di cibarsi della loro
preda preferita, gli esseri umani. Poiché hanno attaccato il tuo villaggio cercheranno
la forza vitale simile a quella di cui si sono già nutriti. La tua scia li ha portati dal
villaggio alla carovana e dalla carovana, quando avranno nuovamente appetito, li
guiderà sino a te.”
L’uomo guardò il cielo: era ormai arrivata la sera. “È meglio che ci accampiamo
qui per questa notte: devi riprenderti e riposare. Domani mattina presto, se vorrai, mi
accompagnerai al villaggio perché devo verificare alcuni elementi.”
Nediel aveva un’espressione timorosa mentre si rivolgeva al potente sconosciuto:
“Non puoi prima far uscire dal diamante i carovanieri e gli altri?”
Yanagar lasciò passare qualche istante prima di trovare le parole più adatte per
mettere il ragazzo di fronte alla realtà che non voleva vedere. “Ragazzo, quello che i
Primitivi prendono nella loro caccia non torna indietro. Catturandoli, mi sono solo
assicurato che non facciano più del male. Rassegnati perché al villaggio troveremo
solo cenere come quella che hai davanti: è inutile andare adesso.” Lo guardò
incassare il colpo e aggiunse: “Mi dispiace”.
Guidò Nediel sino a quello che era stato il suo nascondiglio e lo fece sedere. Il
ragazzo era troppo stanco e affranto per opporre una qualsiasi resistenza e così lo
seguì passivamente.
Una volta lasciato lì, l’uomo legò le redini dei cavalli a un tronco, raccolse della
legna e prese dalle bisacce di Luppolo la pietra focaia, il pane e la frutta che Nediel si
era portato dietro. Si sedette, incrociando le gambe, e accese il fuoco.
“Vuoi mangiare?” chiese Yanagar. Il ragazzo fece cenno di no con la testa. Allora
l’uomo si alzò, prese una mela e del pane, si allontanò un po’ dal fuoco per sedersi
nuovamente, appoggiando la schiena al tronco a cui aveva assicurato i cavalli.
Mentre la legna ardeva silenziosa, Nediel avvertiva la testa come un enorme
masso ciondolante. Cercava di osservare con attenzione la strana persona che aveva
incontrato: era l’unico modo per non pensare che suo padre era morto come gli altri
carovanieri e poi non aveva ancora deciso se fidarsi di lui oppure no.
Era più alto della media, sembrava molto forte e sicuro di sé. Il suo viso era
impenetrabile: aveva vissuto da vicino la distruzione e la morte della carovana che lo
avevano ridotto quasi a una larva, ma non ne sembrava scosso, come se fosse
abituato così tanto a simili scene da non esserne toccato. L’aveva visto sedersi poche
ore prima dietro al cespuglio, estrarre quel grosso diamante e scagliarlo contro
l’entità malvagia, il Primitivo. Scagliarlo? No, non ricordava il lancio del diamante,
ma solo di averlo visto sfrecciare verso il Primitivo, assorbendolo come una spugna
fa con l’acqua. Come era stato possibile? Yanagar era un mago o uno stregone?
Diversamente, come avrebbe potuto annientare un essere così terrificante? E se
avesse catturato quella terribile entità solo per farne un potentissimo schiavo al suo
servizio? Anche le potenti città dei laghi con il loro esercito imbattibile si sarebbero
arrese davanti a una simile minaccia. Cosa ne avrebbe fatto di lui che, in confronto a
tutto quello che era in gioco, era una nullità? Cos’avrebbe fatto ora che era solo?
Si addormentò, cullato da una brezza di vento insolita da quelle parti che
sembravano essere state dimenticate dagli elementi naturali e abbandonate al sole
cocente in tutti i mesi dell’anno, lasciando che per tutta la notte le domande che si era
posto e altri pensieri vagassero senza sosta e senza risposta tra i suoi incubi sino alle
prime luci del mattino, quando si svegliò angosciato al ricordo dalla sorte che era
toccata a suo padre e al villaggio, incredulo per essere rimasto vivo: aveva sognato i
Primitivi che la stavano cercando per completare il loro sterminio.
2
Ritorno al villaggio
Quando Nediel guardò verso l’altro giaciglio vide che Yanagar era sveglio e lo
guardava con attenzione. Pensò che doveva aver parlato o urlato nel sonno e un po’ si
vergognò, ma cercò di fare finta di nulla.
La giornata si prefigurava limpida, serena e senza vento come quella precedente:
era il clima tipico della Valle Bianca. Sembrava che sotto quel cielo terso non fosse
accaduto nulla, mentre tutta la sua vita era cambiata e un villaggio intero era stato
sterminato, eppure il tempo scorreva indifferente nella Terra di Niquam.
“Buongiorno Nediel, mangia un po’ e preparati per accompagnarmi al villaggio.”
Il ragazzo si stiracchiò e andò a bere dell’acqua: ne era rimasta poca. Si rimproverò
di non aver riempito la borraccia, ma quando l’aveva fatto non aveva messo in conto
di stare via a lungo. Nonostante il digiuno della sera precedente, non aveva per niente
fame, ma mangiò ugualmente perché non voleva rischiare di svenire davanti a
Yanagar.
Una volta fatta colazione, si diresse verso Leo poiché dubitava che il suo
compagno di viaggio sapesse cavalcare a pelo: un uomo così ricco da possedere quel
diamante enorme doveva essere abituato a vivere agiatamente, inoltre gli aveva
salvato la vita e così gli sembrava doveroso cedergli la sella di Luppolo per quanto
non fosse comoda e nuova. Invece, Yanagar fu più svelto di lui e si issò con molta
facilità su Leo. Era talmente alto da far sembrare un po’ più piccolo il cavallo.
“Nediel, non ho un cavallo perché non sarebbe veloce quanto me, ma questo non
significa che non sappia cavalcare senza sella. Appena possibile ne comprerò una.”
Significava che avrebbero viaggiato assieme o che si sarebbe tenuto Leo? Meglio
essere vaghi per non dare l’impressione di volersi autoinvitare... pensò il ragazzo.
“Al villaggio c’è la sua” replicò ad alta voce Nediel.
“Credevo avessi ormai capito che i Primitivi assorbono l’energia di tutto quello che
si trasforma nel tempo e al suo posto lasciano solo cenere. Al villaggio troveremo,
sebbene consunti, solo gli oggetti costruiti con materiale più resistente come ferro o
pietra.”
Aveva visto e sapeva, ma sentirlo così era un pugno nello stomaco. Era
consapevole del fatto che non avrebbe più rivisto suo padre, che non avrebbe avuto
un luogo in cui piangerlo e che le loro ultime parole sarebbero state soltanto il saluto
frettoloso prima di partire alla ricerca del cavallo fuggiasco. Che senso aveva andare
al villaggio?
Si voltò a guardare i resti della carovana e si meravigliò quando vide al suo posto
un cumulo di terra scura perché smossa da poco: Yanagar doveva aver scavato per
tutta la notte con gli utensili di ferro scampati all’attacco per dare una degna sepoltura
a quelle povere spoglie. Forse avrebbe potuto fidarsi di lui, forse non era solo freddo e
letale come sembrava.
“Andiamo?” La sua voce lo scosse da quei nuovi pensieri, montò a cavallo e
partirono in silenzio alla volta del villaggio.
Nel tragitto il ragazzo pensò che sarebbe stato giusto dare una sepoltura anche agli
altri resti, ma si domandò in che modo avrebbero potuto seppellire l’immensa
quantità di cenere che li aspettava e in cui non sarebbe stato possibile distinguere
uomini, animali e oggetti. Ricoprire la carovana doveva essere stato arduo, fare la
stessa cosa per il villaggio impossibile. Comprese che doveva rassegnarsi all’idea di
non poter dare una degna sepoltura al padre e a tutti coloro con cui aveva trascorso
buona parte della sua vita sino al giorno prima.
“Avevate un mago o un guaritore al villaggio?”
La domanda improvvisa lo riportò alla realtà del momento: “Sì, Ly os era
entrambe le cose. Si era stabilito al villaggio prima ancora che arrivassimo mio padre
e io. Perché lo vuoi sapere?”
“Non sei del villaggio.” La voce di Yanagar risuonò di una nota di curiosità con
quell’affermazione.
“Perché continui a non rispondere alle mie domande? Peggio ancora: spesso me
ne poni tu e pretendi una risposta?” Lo sguardo del giovane era infastidito da
quell’evidente disparità di ruoli tra loro.
“Non avevi altri parenti oltre tuo padre?” Insistette Yanagar, seguendo il filo dei
suoi pensieri e senza dar retta alle sue proteste.
Nediel sbuffò davanti all’impossibilità di comunicare alla pari con quell’uomo.
“No.” Non si disturbò nemmeno a chiedere il motivo di tutta quella curiosità nei
confronti della sua famiglia.
“Da dove arrivava Ly os?”
“Non ci ha mai detto niente e noi non abbiamo chiesto: era una persona buona, non
importava altro.”
Yanagar sembrò soddisfatto delle risposte che aveva avuto e pose fine al suo
interrogatorio.
Passarono alcuni minuti mentre i cavalli trottavano appaiati.
“Forse non sei condannato: se il Primitivo che ha attaccato tuo padre è quello che
ho catturato, gli altri non ti daranno la caccia poiché non avvertiranno la presenza del
sangue di cui si sono già nutriti, anche se il loro stretto legame potrebbe renderti una
preda più prelibata rispetto ad altre, motivo per cui non sarai mai al pari degli esseri
umani che quel gruppo non ha ancora incontrato. Tutto sommato credo ci sia ancora
qualche speranza per te.”
Nediel ricordò l’incubo che aveva avuto la notte precedente, pensò alla sorte
orribile che attendeva le vittime dei Primitivi, all’angoscia che l’aveva colto quando
aveva saputo che erano sulle sue tracce e si sentì rincuorato da quella flebile speranza
perché sapeva che non avrebbe avuto nessuna possibilità di sopravvivere a quegli
esseri se li avesse incontrati da solo.
Si avvicinarono a quel che era rimasto del villaggio, entrarono dall’ingresso che
aveva ospitato una grande porta di legno e che ora era un varco scomposto. Il ragazzo
fu costretto a vedere con i suoi occhi che aveva ragione Yanagar: ogni cosa destinata
a dissolversi nel tempo era diventata cenere.
Nediel smontò da Luppolo e affondò il viso e le mani sul suo collo per piangere
liberamente. Pianse a lungo tutti i suoi affetti distrutti. Quelle poche mura anonime e
consunte non davano l’idea di quello che aveva perso. Si accorse che Yanagar stava
smontando. Sollevò lo sguardo e lo vide dirigersi verso il grande pozzo di pietra che si
trovava al centro del villaggio. Da dietro le lacrime notò che stava aggirando i cumuli
di cenere di diversa grandezza e sparsi in maniera disordinata per non calpestarli.
Fermatosi vicino al pozzo, tolse il pesante coperchio di ferro che era stato posto lì da
due robusti estrattori per evitare la caduta accidentale di qualche bambino troppo
vivace e lo posò di lato. Dopo aver guardato sul fondo disse ad alta voce che era
asciutto. Nediel annuì: sapeva che l’acqua lì era sempre stata poca e il passaggio di
quegli esseri doveva aver fatto il resto.
Yanagar si sedette, addossando le spalle alla parete in ombra del pozzo, e chiuse gli
occhi, sfiorando appena il sacchetto che conteneva il diamante. In pochi secondi si
formarono dei piccoli vortici sul terreno posizionati sopra ogni cumulo di cenere che
risucchiarono al loro interno, crescendo e unendosi in modo tale da creare un vortice
talmente vasto da oscurare la lucentezza del sole. Nediel si aggrappò a Luppolo,
pronto a saltare in sella se quel vortice gli si fosse avvicinato. Si diresse, invece, verso
Yanagar e, come se avesse esaurito la sua forza, scaricò nel pozzo tutta la cenere che
un tempo era stata il villaggio.
L’uomo si alzò e riposizionò il coperchio; il suo volto era triste e stanco quando si
rivolse al ragazzo: “Non potevo fare di meglio”.
Nediel pensò e provò molte cose contemporaneamente: ora poteva fidarsi di
quell’uomo perché aveva visto con i suoi occhi di quanta compassione fosse capace,
ma era altresì consapevole di trovarsi in compagnia di una persona a dir poco
formidabile. Comprese anche che era stato lui a provocare il vento della notte
precedente.
Era il momento di ottenere le risposte alle tante domande cadute nel vuoto e ad
altre che gli si affollavano in testa.
Si avvicinò al pozzo, camminando sul terreno libero; in quel momento Yanagar
estrasse con mossa fulminea il diamante dalla sua custodia. D’istinto il ragazzo si gettò
a terra, cercando di capire dove fossero i Primitivi che stavano sicuramente
attaccando, mentre puro terrore gli scorreva nelle vene.
“Non aver paura, non è quello che pensi: non sono qui.”
Nediel si alzò immediatamente, vergognandosi di essere stato così codardo, ma
sentendosi molto meglio adesso che era al sicuro. “Allora perché hai il diamante in
mano?” Non avendo ottenuto risposta, osservò ogni sua mossa: Yanagar avvicinava il
diamante a dei frammenti di cristallo nero. La pietra risucchiò la parte scura e
Nediel, in un brivido d’intuizione, comprese cosa fosse.
“Il guaritore sapeva quello che faceva, peccato che non avesse un diamante per
completare l’opera e salvare almeno la carovana, ma ha indebolito uno di quegli
esseri immondi” considerò Yanagar.
“Tutto quello che ho visto è magia? Come riesci a fare queste cose? Vuoi deciderti
a spiegare tutto?” La voce del ragazzo tradiva una punta d’isteria dovuta alla
frustrazione dell’ignoranza.
Yanagar gli si avvicinò e gli pose una mano sulla fronte: era fresca e forte, unico
tocco di umanità in tutta quella desolazione.
A Nediel vennero le lacrime agli occhi, ma non desistette dal suo intento:
“Allora?”
Yanagar lo guardò, chiuse la mano con cui l’aveva appena toccato, la rilassò e
scelse di raccontare a Nediel verità che mai avrebbe detto ad altri in condizioni
normali, ma tutto in quel momento era particolare e si stava evolvendo in modo poco
prevedibile. Lasciarlo all’oscuro non era consigliabile: non gli serviva un ragazzino
spaventato e isterico. Un Primitivo impiegava anche due anni per tornare ad
attaccare umani, ma questi erano in gruppo, spaventosamente famelici e lui era
diverso dagli altri sopravvissuti.
Si augurò che, essendo consapevole, si sarebbe fatto guidare docilmente sino a
dove sarebbe stato al sicuro o che non sarebbe stato d’intralcio nelle situazioni
pericolose che avrebbero potuto presentarsi nel lungo viaggio che li aspettava.
Si accollò il pesante fardello della verità, una verità parziale, ma comunque ignota
alla gente comune della Terra di Niquam. Sapeva che svelare quei segreti a un
ragazzino avrebbe potuto costargli una punizione severa se non la vita stessa, ma non
poteva agire diversamente. L’unica alternativa sarebbe stata ucciderlo per essere
sicuro che non parlasse, ma né la sua natura, né gli insegnamenti che aveva ricevuto
contemplavano una simile barbarie, seconda solo ad abbandonarlo al suo triste
destino.
“È giusto. Domandami quello che vuoi.”
Il ragazzo restò spiazzato perché si era preparato a combattere per ottenere una
spiegazione.
Da dove cominciare? pensò.
“Come sei riuscito a creare quei vortici? Si tratta di magia o cosa?”
“Chiamala magia, se ti aiuta a comprendere meglio e ad accettare come
avverabile quello che riesco a fare. Il Maestro che mi ha insegnato questa pratica
parlava del giusto utilizzo delle capacità mentali che ognuno di noi, in varia misura,
possiede per riuscire a diventare una cosa sola con ciò che lo circonda. Una volta
divenuto parte di ogni cosa, sempre mantenendo il dominio di te stesso, diventa
possibile creare un canale di collegamento tra la tua volontà e il mondo esterno per
trasformarlo o modificarlo in base alla necessità. Creare e mantenere questo
collegamento non è facile né comune e per farlo è necessario possedere un diamante
come il mio, una certa predisposizione, tanta concentrazione e un allenamento
continuo.”
“Concentrazione e allenamento?” Il ragazzo non riusciva a comprendere e
accettare tutte quelle cose nuove in una volta sola.
Yanagar sorrise benevolmente davanti alla sua confusione: “Torna con la mente a
quello che è successo prima e capirai”.
Vedendo che scuoteva ancora la testa, trasse un profondo respiro mentre sfiorava
la custodia di cuoio. Piccoli cumuli si formarono sul terreno. Da questi vennero fuori i
miseri risparmi e i pochi gioielli appartenuti agli abitanti del villaggio. Rimanendo
immobile, Yanagar raccolse con le mani a coppa tutti i beni, quasi fossero spinti da
una forza invisibile. “È necessario prima di tutto che l’utilizzo del diamante sia sempre
strettamente collegato alla cattura dei Primitivi o a superare degli ostacoli che vi si
frappongono, poi decidere cosa fare per ottenere quello che ti serve, in ultimo
concentrarsi e agire senza perdere di vista il risultato finale, il proprio essere e il
legame profondo con il mondo che ti circonda. Se dovesse venire a mancare uno di
questi elementi, l’impegno speso nell’azione comporterebbe gravi conseguenze,
addirittura la morte, per chi non ha saputo condurlo a termine.”
Nediel era sbalordito e sospettoso: “Cosa hanno in comune la cattura dei Primitivi
e i soldi del villaggio?”
“Come pensi che sia possibile attraversare la Terra di Niquam per evitare che il
Primitivo ti attacchi senza questi? Serve una sella, servirà cibo e anche altro. Io non
ho più nulla perché, quando ho avvertito la loro presenza, sono partito, lasciando tutto
quello che possedevo in un posto fuori dalla rotta che hanno preso gli eventi.”
Rassicurato sulle sue intenzioni, si concentrò su altro: “Dove posso comprare un
diamante come il tuo? Potrei imparare anch’io a fare queste cose?”
L’uomo aveva un’espressione dubbiosa dipinta sul volto che faceva presagire
quella che sarebbe stata la sua risposta.
“Quando ti ho toccato la fronte, mi sono accertato anche delle tue facoltà mentali:
non sono moltissime per cui non credo che potresti mai arrivare a questo.” Gli fece
vedere gli oggetti. “Però posso sempre sbagliarmi” continuò.
Il ragazzo rimase deluso perché già fantasticava di potersi vendicare
personalmente di quegli esseri.
Con un tuffo al cuore, notò tra le mani di Yanagar gli anelli che i suoi genitori si
erano scambiati nel giorno più bello della loro vita. C’era quello più grande, segnato
dal tempo e dall’usura, che era appartenuto a suo padre e quello più sottile e
sfortunatamente poco vissuto di sua madre, morta prima che lui fosse in grado di
ricordarla. Suo padre aveva deciso di portarlo in quello sperduto villaggio della Valle
Bianca solo perché non riusciva più a vivere nella città dei laghi in cui erano stati
felici assieme.
“Riconosci qualcosa?”
Annuì, prendendo gli anelli in silenzio, mentre Yanagar restituiva gli altri gioielli ai
legittimi proprietari, lanciandoli nel pozzo da una piccola fessura che aveva creato
spostando un po’ la pesante chiusura.
Gli affidò, invece, i pochi soldi del villaggio: “Conservali perché ci serviranno per
il viaggio”.
“Quale viaggio?”
“Non posso certo lasciarti tutto solo e sperare che non ti accada nulla! Sei un
sopravvissuto e con molta probabilità hai il marchio di sangue dei Primitivi, è mio
dovere avere cura di te e condurti in un luogo in cui sarai protetto.”
Il ragazzo sentì che forse per lui non era tutto finito, che non era destinato a
trascorrere il resto dei suoi giorni abbandonato in un mondo di devastazioni.
“Cioè dove? Chi potrebbe proteggermi meglio di te? Vuoi dire forse che ci sono
altri come te? Esistono anche altri sopravvissuti? Dove sono?”
“Basta con le domande adesso: non è ancora arrivato il momento per tutte le
risposte. Mettiamoci in cammino perché ci aspetta un lungo tragitto. Prima di un paio
d’ore, percorrendo la strada che costeggia questo versante della Conca sino all’altro
villaggio, troveremo una grossa roccia. Partendo da lì e puntando verso sud in
direzione delle città dei laghi, incontreremo prima di sera un’oasi creata da una
piccola sorgente. Una volta che ci saremo accampati, risponderò alle tue domande in
modo che tu possa iniziare a riflettere con attenzione su quello che vorrai fare in
futuro. Andiamo.” Montò a cavallo e non si girò nemmeno a vedere se Nediel lo
stesse seguendo, lasciandogli così il tempo necessario per riflettere sulla situazione.
Il ragazzo ripensò a quello che gli era accaduto nelle ultime concitate ore e si
chiese cos’altro avrebbe potuto fare se non seguire quell’uomo. Per lui ogni posto era
sconosciuto e potenzialmente ostile. Non voleva proseguire la sua esistenza
continuando a guardarsi le spalle e tremando in attesa di un attacco che sarebbe
arrivato improvviso e letale: non era un coniglio!
L’uomo era l’unica alternativa valida a quella di restare lì, destinato a morire in
solitudine per inedia o per mano dei Primitivi.
Comprese che era finita la sicurezza della vita al villaggio e che avrebbe dovuto
abbandonare la Conca per riuscire a sfuggire a quegli esseri immondi. Sapere che
esisteva un luogo in cui sarebbe stato al sicuro lo rincuorava.
Avrebbe seguito Yanagar, ascoltato tutto quello che voleva sapere da lui, provato
se sarebbe stato davvero protetto dove l’uomo intendeva condurlo e poi avrebbe
deciso. Ripose gli anelli e i soldi nella tasca interna della giacca che aveva indossato
solo perché costretto dalla premura di suo padre. Guardò un’ultima volta il suo mondo
svanito, montò in sella, spronò il cavallo e raggiunse l’uomo che gli aveva salvato la
vita.
3
Partenza
Quando Nediel lo raggiunse, Yanagar era fermo a osservare pensoso i campi
coltivati oltre le mura in rovina. L’uomo, considerando quello che era rimasto, le
necessità del ragazzo e il tempo che avrebbero impiegato per giungere a destinazione,
disse: “Abbiamo lasciato del lavoro incompiuto. Ci sono delle esigenze cui non avevo
pensato, stimando di viaggiare da solo. Andiamo a prendere il cibo necessario per
almeno una settimana: non troveremo quasi nulla per strada. Libereremo anche gli
animali perché, nonostante non siano abituati a vivere liberi, non possiamo
condannarli a morire di fame e sete nei recinti o nelle gabbie. È giusto dar loro la
possibilità di sopravvivere anche se non sono abituati a vivere senza l’aiuto degli
uomini. Forse si abitueranno a non vivere più in cattività”.
Il ragazzo annuì e, mentre tornavano indietro, gli disse: “Ci sono solo capre, galline
e conigli che forse sapranno adattarsi alla vita libera. Cavalli, mucche e muli erano
purtroppo ricoverati al villaggio, mentre tutti i buoi sono stati utilizzati per allestire la
carovana.” Addebitò le vite di quelle povere creature alla lunga lista di atti odiosi e
malvagi di cui si macchiavano i Primitivi.
Quando arrivarono presso i campi, dopo aver costeggiato le rovine del villaggio
senza guardarle ulteriormente per evitare l’arrivo di nuove ondate di dolore, Nediel si
era preparato un piano per fare colpo sull’uomo e per perdere meno tempo possibile
in quell’operazione che doveva essere solo di rifornimento. Inoltre, voleva rimediare
a quella che considerava una grave dimenticanza: quello che Yanagar aveva
proposto doveva essere una sua preoccupazione perché lui apparteneva al villaggio e
doveva aver a cuore la salute degli animali che con tanta fatica erano stati allevati.
Quanto alle diverse necessità rispetto al suo compagno di viaggio, era un discorso che
non aveva ben inteso.
Corse all’essiccatoio e mise la carne in un grosso zaino, lasciato lì per caso o per
dimenticanza, che avrebbe usato per trasportarla. Aprì il pollaio e, mentre le galline
scappavano spaventate, prese le uova e le avvolse nel fieno, le pose sopra la carne e
chiuse lo zaino. Sapeva che avrebbe trovato tutte le stoviglie necessarie nel capanno
degli attrezzi dove si stava dirigendo. Cercò di selezionare solo quello che riteneva
indispensabile per non viaggiare troppo carichi e lo conservò con ordine in una delle
grandi sacche laterali sotto la sella di Luppolo. Yanagar non era rimasto indietro:
aveva già riempito l’altra di frutta e liberato capre e conigli.
“Ragazzo, non abbiamo altro da fare ed è ora di muoverci se non vogliamo che il
buio ci colga mentre siamo ancora a cavallo nel bel mezzo di questo territorio così
arido. Sarebbe veramente scomodo trovare l’oasi, sistemarsi e allestire un
accampamento nel cuore della notte.”
“Non rischiamo di essere attaccati con maggiore facilità da quegli esseri
tenebrosi? Forse sarebbe il caso di istituire dei turni di guardia.”
“No. Non credere che amino le tenebre per via del loro aspetto: non sempre il
male agisce al buio anche se è bello o conviene illudersi che sia così per non
affrontare l’incertezza della quotidianità. I Primitivi sono attratti dall’attività umana e
di notte questa è molto ridotta, motivo per cui non provano gusto a cibarsi del loro
pasto preferito se questo non è al meglio delle sue condizioni: sveglio, vigile e attivo.
La notte raramente si trovano uomini in azione e conto che tu dorma profondamente
perché il viaggio sarà lungo e devi riposare il più possibile. Non devi preoccuparti di
quelle creature e di come agiscano: è compito mio difenderti da loro perché è quello
per cui sono stato addestrato.”
Da quello che aveva vissuto, dedusse che Yanagar aveva ragione e così fece un
cenno d’assenso. Partirono mentre il sole era già alto sulle loro teste, abbandonando il
villaggio e i suoi dintorni.
L’uomo non disse più nulla sino a quando non arrivarono presso la roccia che
aveva indicato. “Giriamo” e si chiuse nel suo silenzio.
Incurante del suo compagno di viaggio taciturno, Nediel osservava il paesaggio
oltre la Conca perché era troppo piccolo quando era arrivato al villaggio per
ricordare la strada percorsa. Da allora non si era mai più spinto verso sud, poiché suo
padre non era mai voluto tornare nel loro luogo d’origine nemmeno per una breve
visita, mentre era impossibile andare a nord: dopo il loro villaggio vi era una distesa
piena di sassi, impraticabile per i cavalli, e poi una piccola catena di colline come
quella che aveva superato Yanagar il giorno prima. Subito dopo questa, iniziava un
territorio tormentato da piogge e vento d’estate e nebbia e neve d’inverno, che
conduceva agli invalicabili Monti Sorgente.
Dal lato dove si trovavano ora, la Conca vista dalla strada era davvero smisurata:
torreggiava nella Valle quasi desertica, mentre le colline che da est a ovest
impedivano di scorgerla direttamente sembravano a confronto delle piccole
sporgenze sul terreno. Era l’unico rilievo, a parte sporadiche rocce, all’interno della
Valle ed era situato nella parte più a nord.
Il ragazzo non poteva saperlo, ma la Valle Bianca aveva ospitato un grande lago
salato che si era prosciugato, lasciando il contenuto della Conca come unica
testimonianza. La forma particolare di quest’ultima, concava ma rivestita di una
parete di marmo bianco impermeabile all’acqua che tutto trascina e porta con sé,
aveva consentito che il sale si raccogliesse nel corso dei secoli.
Per percorrere tutta la Valle da un lato all’altro, costeggiando la Conca nella sua
estremità a nord, erano necessari otto o dieci giorni almeno. Tuttavia, la presenza
ingombrante della Conca stessa ‒ che non poteva essere attraversata dall’interno a
causa del sale che accecava e riempiva d’arsura le gole ‒ sembrava rimpicciolirla.
Suo padre gli aveva detto che, proseguendo in direzione sud, si trovava un lungo e
vasto altopiano che separava la Valle dall’immensa pianura in cui si trovavano le
prospere città dei laghi.
L’inizio dell’altopiano era troppo ripido per essere attraversato dai carri carichi e
così i due villaggi di estrattori avevano dovuto cercare strade alternative e non in
concorrenza tra di loro per raggiungere i loro compratori.
Nell’altopiano e oltre un reticolo composto da tanti fiumi si diramava all’interno di
un territorio verdissimo, ma sino ad allora, un po’ come succedeva per i campi
coltivati nei pressi del villaggio, avrebbero visto solo sporadiche sorgenti, frutto di
qualche corso d’acqua sotterraneo proveniente dai Monti Sorgente che abbracciavano
tutta la Terra di Niquam sino al mare e che alimentavano delle piccole oasi verdi.
Per il resto del tempo, i due viaggiatori si sarebbero trovati immersi in una natura
ostile a qualsiasi tipo d’insediamento, umano a animale che fosse.
Il silenzio costante di Yanagar lo obbligò a riflettere sulle sue risorse. Si rese conto
di conoscere ben poco del mondo oltre la Conca poiché nessuno al villaggio aveva
pensato che fosse necessario fornire un minimo d’istruzione a lui o agli altri pochi
bambini presenti. Semplicemente non esistevano insegnanti alla Conca perché non
serviva la scuola per imparare a estrarre il sale o a coltivare i campi e non aveva
voluto essere l’apprendista di Ly os: meglio godersi la libertà che stare col naso sulle
erbe medicinali. Aveva imparato a leggere e a scrivere il suo nome e poche altre
parole, il valore dei soldi, dello scambio e a dare un giusto prezzo a tutte le cose che
conosceva, ma si sarebbe perso in tutto il resto ed era quello cui stava andando
incontro. Il dolore e la consapevolezza dei suoi limiti lo fecero sentire ancora più
desolato di quella vasta pianura. Si rese conto che l’unico legame con il mondo era
quella figura silenziosa che gli cavalcava vicino senza guardarlo.
Nediel invece si sforzava di osservarlo nel tentativo di scoprire dell’altro sul suo
conto.
Si accorse che sembrava non provasse nessun fastidio a non avere la sella e questo
gli ricordò che assomigliava a quegli esseri superiori rispetto agli uomini che, secondo
i racconti superstiziosi degli anziani del villaggio, guidavano ogni elemento. Aveva
mani grandi e lunghe dita affusolate. Non aveva calli che testimoniassero la fatica del
lavoro manuale. Per Nediel era molto strano perché tutti quelli che lo circondavano li
avevano, ma non era una differenza importante.
Aveva capito che poteva fidarsi di lui perché non era cattivo, ma era molto
potente, almeno quanto i Primitivi; una presenza che lo intimoriva.
Alla fine del lungo e caldo pomeriggio, si profilò all’orizzonte la loro meta,
costituita da un gruppo di folti alberi, un paio di grandi rocce, addossate l’una all’altra,
e un piccolo specchio d’acqua. Nel raggio di una ventina di metri dalla sorgente era
tutto verde e le frondose chiome degli alberi preannunciavano ombra, fresco e
riposo. Non molto lontano iniziava l’altopiano.
Chissà quando mangeremo: ho messo solo un po’ di frutta nello stomaco e anche
malvolentieri. Inoltre, è da questa mattina che non ci fermiamo e già mi sembra di
stare a cavallo da un’intera settimana! Al pensiero del cibo lo stomaco di Nediel
brontolò furiosamente, così tanto da fargli pensare che Yanagar, nonostante il rumore
prodotto dagli zoccoli dei cavalli sul terreno, potesse udirlo.
Quando smontarono da cavallo, si sentì come se fosse ancora in sella e
camminava a gambe larghe: non era abituato a percorrere distanze così lunghe. Si
sedette sotto il primo albero, temendo che il tremore delle gambe lo tradisse,
facendolo rovinare al suolo nel completo imbarazzo. Si vergognò per quell’evidente
debolezza e ancor di più per la goffaggine che aveva dimostrato nel cavalcare.
Yanagar era già a terra, ben saldo e dritto sulle sue gambe, e conduceva Leo e
Luppolo a dissetarsi alla fresca sorgente. Sembrava non aver sofferto per il lungo
tragitto.
Chissà quanto è lontana la meta: sono sicuro di non poter sopportare a lungo questi
spostamenti. Non c’è niente di bello o di emozionante nel cavalcare sotto il sole
cocente, tentando di schivare tutti gli insetti che inesorabilmente puntano contro il suo
viso! Eppure quando cavalcavo per poche ore o quando osservavo gli altri sembrava
meraviglioso. Anche i racconti dei bardi mi hanno tratto in inganno. Meglio un carro
scricchiolante su cui si può stare seduti su un cuscino. Nediel si voltò verso Yanagar,
pensando che per lui fosse giunto il momento di mantenere la promessa fattagli di
rispondere alle sue domande e di spiegargli come avrebbe potuto trovarsi al sicuro
nel luogo in cui erano diretti, ma capì che avrebbe dovuto aspettare: stava
raccogliendo dei rami secchi per accendere il fuoco e dei funghi che lavò alla fonte,
pulì e infilò su due lunghi rami secchi per cucinarli una volta che la legna
scoppiettava allegramente.
Forse aspettare ancora un po’ non sarebbe stato così spiacevole se la contropartita
era una buona cena.
A quel pensiero la fame di Nediel tornò a farsi sentire tanto da costringerlo a
cercare con gli occhi qualcosa di già pronto per essere mangiato senza attingere alle
provviste. C’erano un paio di cespugli carichi di invitanti bacche color vinaccio, ma
dovevano essere velenose: diversamente gli uccelli che avevano nidificato nei pressi
non le avrebbero lasciate a marcire sui rami. Si rassegnò all’attesa, ma il suo stomaco
brontolò ancora. Questa volta sarebbe stato impossibile non sentirlo!
Yanagar si girò e lo guardò divertito: non era abituato ad avere un compagno di
viaggio con così tante necessità. “Fame?”
Nediel annuì senza parlare perché si rese conto di avere la gola secca e piena della
polvere del viaggio. Andò alla sorgente e bevve per un lungo minuto, sgranchendosi
le gambe intorpidite, ma di nuovo ben salde e dritte sul terreno.
Com’è fresca l’acqua e com’è bello potersi muovere di nuovo con le proprie
gambe dopo un viaggio così lungo! La sensazione dell’erba fresca sotto i piedi è
veramente magnifica. Quella piccola oasi di verde costituiva quasi un miraggio agli
occhi di Nediel, abituato all’arido bianco uniforme della Conca.
Intanto Yanagar prese una pietra lunga e liscia e la posizionò sulle braci, ruppe
quattro uova e le lasciò a sfrigolare sulla pietra ormai calda.
In pochi minuti era tutto pronto: i funghi erano molto carnosi e il sale e la fame li
avevano resi più saporiti di quanto Nediel non ricordasse.
Nediel spazzolò con voracità la sua porzione e andò a lavare le stoviglie per
ricambiare l’impegno del suo compagno di viaggio.
Mentre lavava i piatti, sperò che Yanagar non gli negasse le risposte promesse.
Preparò una serie di frasi da opporre ai suoi eventuali dinieghi. Quando si sentì
pronto, si sollevò e si avviò all’accampamento con le braccia cariche.
Tornato vicino al fuoco, notò che Yanagar se ne era ritratto.
Con il volto perso nell’oscurità aspettò che il ragazzo si sedesse e cominciò il suo
racconto: “È molto difficile rivelarti quello che riguarda i Primitivi anche perché
temo che tu non sia ancora pronto per capire, ma solo per odiare quegli esseri ancora
di più. Comunque è giusto che tu arrivi preparato alla nostra meta: Zawari, la città
della Pietra Celeste, in quanto i sopravvissuti come te sono tra i pochi a poter
conoscere quello che sto per raccontarti. Normalmente è consuetudine che accada
all’interno della Città e a opera di altre persone, ma gli eventi mi costringono a non
seguire questa prassi”.
“Perché?”
“Perché tu sei diverso dagli altri sopravvissuti, mi correggo: sono diversi i Primitivi
che hanno il tuo marchio di sangue. Normalmente ti condurrei a Zawari senza dirti
nulla perché non ci sarebbe il rischio di un nuovo attacco in quanto i Primitivi che
viaggiano da soli si nutrono di uomini ogni paio d’anni e anche di più. Quelli che hai
incontrato nel tuo cammino, invece, sono molto più famelici e si muovono in gruppo.
Non posso permettere che ignori quello che ti attende fino a Zawari: potrebbe essere
controproducente per entrambi perché c’è il concreto rischio che avvenga un attacco
a breve. Stai tranquillo: ti proteggerò al meglio delle mie capacità e, una volta che le
porte di Zawari si saranno chiuse alle tue spalle, ti potrai considerare veramente al
sicuro.”
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