Un mondo nuovo dove i rapporti tra gli uomini e tra le cose siano più armoniosi: questo è il mio fine ed è sia politico che poetico. (Jean Luc Godard) La scomparsa dei Maiorana Le prospettive e sfide italiane sull’universo della conoscenza La questione del sapere è un tema centrale per comprendere i valori e le prospettive di una società: dal punto di vista dell'individuo, la conoscenza permette di approfondire l'autocoscienza di sé, di elevare il rapporto con gli altri, di aumentare la consapevolezza delle aspirazioni, dei bisogni e degli obiettivi; rispetto alla comunità, il sapere gioca un ruolo assolutamente decisivo, perché costruisce la società e soprattutto con il suo progredire continua a modificarne il funzionamento e i valori. Questi elementi hanno impatti fortissimi nella vita di tutti i giorni, perché procedono dalla realizzazione individuale al progresso collettivo. Si parla oggi di società della conoscenza, e non per nulla l'asset fondamentale per uscire dalla crisi è l'investire in sa- pere e innovazione: altri paesi l'hanno già individuato, l'Italia no. Ma non è sempre stato così, in Italia. Il gruppo dei fisici di Via Panisperna con Ettore Majorana, i chimici con Giulio Natta, sono alcune tra i diversi team o equipe di studiosi che hanno costruito le basi per il salto in avanti dell’economia italiana dopo la seconda guerra mondiale, quel processo che ha portato un paese sconfitto a diventare la settima economia del mondo. Si era affermato allora un circolo virtuoso tra ricerca pubblica e processi di innovazione delle imprese. L’Italia negli anni ‘50 scopriva la chimica industriale e attraverso Fincantieri, Finmeccanica ed Eni esportava prodotti innovativi nel mondo. Quel processo si è rallentato alla fine degli anni ’80 e oggi si è quasi fermato del tutto. Ciò è dovuto soprattutto al blocco di finanziamenti pubblici e privati alla ricerca e all’istruzione. La strategia di Lisbona indicava come, della spesa per ricerca e sviluppo del paese, due terzi dovessero provenire dalle imprese ed un terzo dal settore pubblico: in Italia i già scarsi investimenti sono fifty-fifty. La scelta di mettere la conoscenza al centro dell’organizzazione del lavoro e della circolazione delle merci, a t t u a l m e n t e non è trattata come una priorità dalla gran parte del nostro tessuto produttivo, costituito in prevalenza da piccole e medie imprese che necessitano, per competere su scala globale, di puntare sulla qualità dei prodotti; avrebbero pertanto bisogno di reggersi ad una forte e strutturata rete pubblica di ricerca che le sostenga e le accompagni nell’innovazione tecnologica. Per le politiche della conoscenza, ci sono due opzioni culturali distinte ed antitetiche tra loro: il sapere come possesso individuale, i INDICE La scomparsa dei Maiorana 3 I giovani italiani e il “nuovo esodo” europeo 5 Il sistema di tassazione universitaria 11 I servizi agli studenti 15 La rete universitaria nazionale 20 RUN P A G IN A 4 La scomparsa dei Maiorana - segue cui costi ricadono sul singolo; oppure la natura cooperativa e il valore sociale del lavoro intellettuale, i cui costi sono divisi tra stato e sistema produttivo. Crediamo si debba ripartire dal libro bianco di Jacques Delors, testo straordinario che ha poi influenzato la politica europea per la conoscenza, fino ad arrivare all’incompiuta strategia di Lisbona. La risposta alla globalizzazione per la trasformazione di economie sempre più legate alla conoscenza, deve comprendere la costituzione di uno spazio di apprendimento permanente lifelong learning, atto a creare misure attive e preventive rivolte ai disoccupati e alle persone non attive. L’obiettivo di una politica della conoscenza di scala europea deve essere la costruzione di un grande spazio pubblico dell’istruzione e della ricerca, che consenta di creare, innovare e produrre, includendo nel processo di crescita economica quelle fasce di popolazione escluse dal mercato, dal lavoro e dal sapere. Questa saldatura tra lavoro ed istruzione, per cui si investirà nel primo per creare occupazione stabile, e nella seconda per rafforzare la coesione sociale, avrà come ulteriore effetto quello di creare uno nuovo senso di cittadinanza. La costruzione cioè di un senso comune, un insieme di elementi condivisi, che richiami ad un’appartenenza più alta. Non solo il francese ed il polacco, ma il veneto ed il calabrese. A tale risultato ci sembra guardare con lungimiranza il programma “Erasmus per tutti”, che punta a raddoppiare, a partire dal 2014, gli studenti Erasmus che approfondiscono la loro preparazione universitaria, la loro esperienza di vita e il loro bagaglio culturale in senso lato, in uno dei paesi dell'UE. E' un segnale che il paradigma culturale che negli ultimi vent'anni aveva relegato il sapere ad un costo da contenere e ridurre, e che in Italia era ulteriormente rafforzato dal provincialismo leghista e dall'immaginario berlusconiano del successo fondato sull’effimero - cioè sul nulla - sta cambiando. La mobilità studentesca su scala europea contribuisce a costruire una nuova identità continentale, che permette di superare le antiche appartenenze nazionali, per ritrovare nell'unità del nostro continente le ragioni di una cultura che valorizzi meglio noi stessi. E concorre a sanare uno dei principali limiti dell'università italiana, cioè la scarsa internazionalizzazione dei suoi docenti e dei suoi studenti: dovuta in parte ma non solo alla lingua italiana, poco studiata nel mondo, e principale causa dei voti bassi delle nostre università nei ranking internazionali. L’internazionalizzazione degli atenei è una sfida decisiva per riportare le università ad essere quel luogo di incontro, conoscenza reciproca, tra persone e culture diverse, di scambio e condivisione, di universitas del sapere. L'importanza che ha per il mondo del lavoro, delle imprese e dell'innovazione il sapere non significa escludere o ridurre il ruolo del sapere “umanistico”. L'espressione artistica, la conoscenza storica e letteraria, la speculazione filosofica e l'approfondimento antropologico, sono i cardini della consapevolezza di sé, e quindi della critica e del progresso vero, di una società. E' fondamentale comprendere che anche nell'era della specializzazione del sapere, la vera sfida è continuare a concepire quel campo come profondamente unitario, perché solo se progrediscono insieme i saperi possono davvero continuare a progredire: occorre rivalutare le competenze diverse che diversi percorsi formativi possono offrire; solo con una riscossa del sapere tecnico, pratico e professionalizzante, anche il sapere specialistico e universitario può sviluppare livelli d'eccellenza. La società della conoscenza non deve essere una società con un diverso sistema gerarchico fatto di accumulo di titoli di studio e di anni di esami, ma un nuovo modo di intendere le competenze e la conoscenza, che restituisca valore ai luoghi in cui il sapere si incontra con il saper fare e con la pratica; sapere tecnico e sapere teorico non sono due mondi autonomi ma concorrono entrambi allo sviluppo umano ed al progresso della società. Fare l'università non deve essere la scelta di P A G IN A 5 chi ricerca professioni prestigiose e ben remunerate, bensì una delle possibilità in cui sviluppare le proprie attitudini; il sapere universitario ha un grande valore in sé, che prescinde dalla applicazione pratica dello stesso, ma che al contempo deve garantire reali sbocchi nel mondo del lavoro. Per questo occorre una riforma del mercato del lavoro che permetta una reale connessione tra titolo di studio e mondo lavorativo, che non renda la laurea specialistica un obbligo, ma una scelta, che proprio per questo dia valore alla Laurea triennale e non ma- scheri il 3e2 in un 3+2. Tutto questo induce oggi a chiedere un ritorno della politica e della partecipazione, della democrazia e dei corpi intermedi, degli ideali e delle alternative. Gli studenti in tutto questo vogliono essere protagonisti. In gran parte del mondo la nuova primavera è promossa dalle giovani generazioni e quindi dagli studenti. C'è bisogno di partecipazione, a cominciare dalle prossime elezioni studentesche, che devono confermare la voglia di cambiamento e la voglia di esserci. E c'è bisogno di un altro doppio lavoro: una vera presenza concreta nei propri atenei e un collegamento nazionale e speriamo anche europeo tra gli universitari. La scomparsa di quel clima che attraversava il nostro paese nel novecento, la scomparsa dei Majorana come l’abbiamo chiamata, ha costretto l’Italia nelle condizioni che conosciamo. Il futuro è sempre più lungo del passato, investire finanziamenti pubblici e privati in istruzione significa scommettere sul luogo dove passeremo il resto della nostra vita. I giovani italiani e il “nuovo esodo” europeo 1.1 The more you learn, the more you earn? È passato un anno dalla riforma “epocale” voluta dall’ex ministro Gelmini, riforma che avrebbe dovuto cambiare per sempre l’università italiana. Ed in- fatti è cambiata veramente l’università, ma in peggio. A distanza di un anno si può finalmente dire che la nuova legge ha raggiunto tutti i suoi obiettivi: paralizzare completamente il funzionamento delle università pubbliche, licenziare i precari, ridurre il personale universitario (e il numero dei laureati) a numeri più vicini a quelli del Terzo Mondo, che a quelli di una nazione europea. Secondo un sondaggio Ocse, nel nostro Paese1 il 54% della popolazione ha un titolo di diploma, contro una media nel resto d’Europa pari a 73%: questo significa che l’Italia cresce meno rispetto agli altri paesi d’Europa. Le cifre dell’Ocse sono chiarissime. Solo il 54% degli italiani con NOT E 1. Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. 2. Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale 3. Dati forniti dal coordinamentiprecariuniversitari un’età compresa tra i 25 e i 64 anni ha ottenuto un diploma di scuola media secondaria. La media Ocse è del 73%. Siamo lontanissimi non solo dall’85% della Germania, dall’88% del Canada, dall’89% degli Stati Uniti, ma anche dal 91% della Repubblica Ceca, dall’89% dell’Estonia, dall’88% della Polonia. Secondo le proiezioni del Cedefop2, nel 2020 nel nostro paese il 37% delle forze lavoro avrà un basso livello di qualificazione, contro la media europea che sarà pari al 20%. Alti livelli di qualificazione solo per il 18 % degli italiani, contro una media europea pari al 34% Un paese che non investe sul proprio capitale umano, è un paese destinato ad invecchiare presto. 1.2 Tabella precari nell’Università italiana: numeri da capogiro3 In 2 anni, dal 2008 al 2010, si RUN P AGIN A 6 I giovani italiani e il “nuovo esodo” europeo - segue è realizzata una strage silenziosa di ricercatori e docenti precari: nel 2010 vi erano circa 22mila precari in meno che nel 2008. E per il 2011 la strage silenziosa continua a ritmi ancora più rapidi che in passato. 1.3 I “geni” in fuga: chi sono e perché preferiscono l’estero. Secondo uno studio condotto dall’Istat tra dicembre 2009 e febbraio 2010, su 18 mila dottori di ricerca, quasi 1.300 (il 7%) si sono spostati all’estero. In questa percentuale i maschi sono più delle donne (7,6% contro 5,1%). MI PARE CHE QUESTE PERCENTUALI NON VANNO BENE A prediligere la mobilità inout, gli studenti che hanno conseguito il dottorato in giovane età (meno di 32 anni) e che provengono da famiglie con un elevato livello d’istruzione. Dei 1.300 ricercatori ‘in fuga’, il 41,2% risiedeva nel nord Italia, il 23,3% al Centro e il 24,2% al Sud. Le regioni settentrionali presentano le quote più elevate di spostamenti verso l’estero: si va dal minimo dell’EmiliaRomagna, pari al 6,9% (dei dottori di ricerca residenti prima dell’iscrizione all’università) al massimo del 10,5% della Liguria. L’incidenza della mobilità verso altri Paesi cresce all’aumentare del livello d’istruzione dei genitori. In particolare, il 10% dei dottori di ricerca settentrionali, con almeno uno dei due genitori laureati, viveva all’estero al momento dell’intervista. Gli originari del Centro e del Mezzogiorno pro- La creatività contrattuale i numeri precari* Docenti a contratto 41.349 Collaboratori linguistici 317 Personale impegnato in attività di tutorato 23.996 Borse di studio 6.565 Borse post-doc 747 Assegni di ricerca 17.942 Co.co.co. (di durata superiore ai 30 gg.) 8.096 Ricercatori a tempo determinato 1.240 Formazione specialistica dei medici 24.934 Altro 1.002 Totale 126.188 di ruolo a contratto totale Personale docente 57.748 (58,3%)* 41.349 (41,7%) 99.097 Collaboratori linguistici 1.857 (85,4%) 317 (14,6%) 2.174 Personale ricercatore 57.748 (48,8%)* 60.526 (51,2%)** 118.274 Fonte: MIUR Statistica, dati al 31/12/2010 * docenti di ruolo: professori ordinari e ricercatori a tempo indeterminato. ** la voce comprende i seguenti contratti di ricerca: borse di studio, borse postdoc, assegni di ricerca, co.co.co., ricercatori a tempo determinato, contratti di formazione specialistica dei medici, altro. venienti da famiglie con un elevato livello d’istruzione, hanno scelto di vivere in un altro Paese nel 7,8% e nel 5% dei casi. Nel Mezzogiorno, secondo le ultime analisi condotte dallo Svimez4, il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) nel 2010 era il 31,7 per cento e per le donne non raggiungeva che il 23,3 per cento, dunque potremmo dire che un giovane su tre è disoccupato e nel resto d’Italia la situazione non è certo diversa. In Italia meno di un giovane su tre ha un lavoro, per le donne è ancora peggio: meno di una su quattro. Tralasciamo di soffermarci sulle condizioni di NOT E 4. Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno, il Mulino, Milano, 2011. occupazione, dove emergono dati sempre più preoccupanti: sottopagamento, sottoinquadramento. Ma l’aspetto più allarmante emerso dalle analisi Svimez, è che il dato relativo alla fascia d’età compresa tra i 25 e i 34 anni, rivela due fenomeni che, accentuati al Sud, caratterizzano l’intero Paese e si combinano in un rapporto di causa effetto con le carenze strutturali del nostro sistema economico: una tendenza “patologica” a prolungare la permanenza nel sistema formativo e tempi assai più dilatati di transizione dal mondo della formazione a P A G IN A 7 un’occupazione caratterizzata da un grado accettabile di stabilità e sicurezza economica. Nel 2010, tra i 25 e i 34 anni, risultavano «inattivi» 1.162.000 giovani meridionali, il 41% della popolazione di riferimento (contro il 16,7 per cento del Centro-Nord, comunque più alto delle media Ue): un tasso di inattività che per le giovani donne raggiunge il 54,7 %. Un vero e proprio esercito di giovani donne e uomini che è vittima della marginalità sociale, dell’attività irregolare nell’economia sommersa e della ricerca occasionale di lavori saltuari, attraverso canali informali se non di carattere clientelare. 1.4 Dal Mezzogiorno all’Italia intera: dal brain drain al brain waste Tra il 2004 e il 2010, gli occupati tra 25 e 34 anni, se sono diminuiti nel Mezzogiorno di quasi il 18 per cento, sono calati al Centro-Nord di oltre il 16 per cento. La crisi precedeva “la crisi”, e quest’ultima ha scaricato i suoi effetti sociali sul Sud perché si è sommata a debolezze strutturali. Ma la dinamica del mercato del lavoro giovanile non è stata meno grave nel Centro-Nord (nel 2010, addirittura, gli occupati tra 15 e 24 anni sono calati più nel Centro-Nord che nel Mezzogiorno, del -6,2 per cento contro il -4,4 per cento). Nell’Italia delle molte fratture, delle crescenti disuguaglianze, dei divari che persistono, la condizione delle nuove generazioni è, insomma, la cifra comune di una società in cui le opportunità e le aspettative di benessere individuali e collettive si riducono, in cui tornano ad essere determinanti le “eredità” familiari e geografiche. In questi anni, il divario di op- portunità tra Nord e Sud si poteva raccontare con un frammento di specchio, ancora più piccolo (?), ma che restituiva più nitidamente l’immagine della condizione giovanile: la ripresa dell’emigrazione, in particolare di quella “interna” verso il CentroNord (e, in minor misura, verso l’estero), e in particolare del capitale umano più qualificato (la quota dei laureati nella popolazione migratoria è assai crescente, e riguarda ormai oltre un terzo dei “pendolari di lungo raggio” – quelli più difficili da censire, perché non cambiano residenza). Ora, il peggior andamento dell’occupazione giovanile al Centro-Nord sembra restringere la “valvola di sfogo” della fuoriuscita migratoria e allargare per tutto il Paese le maglie dell’emigrazione verso l’estero. Allo stesso tempo ha reso più “selettiva” l’emigrazione meridionale dei giovani maggiormente qualificati. È particolarmente preoccupante il fatto che a fronte di una crescita della “qualità” dell’emigrazione nel 2009, si sia ridotta significativamente la “qualità” delle occupazioni svolte dagli emigrati stessi. E pensare che la determinante principale dei flussi resta e diventa sempre più la ricerca di un’occupazione all’altezza delle proprie competenze e delle legittime ambizioni maturate in percorsi di studio qualificati. La gravità del fenomeno, nel XXI secolo, non è ovviamente nella mobilità dei giovani meridionali: è che la scelta spesso non è scelta (libera) ma, come un tempo, necessitata soprattutto dalla mancanza di brain exchange. Vi fossero infatti flussi multi direzionali di mobilità verso le aree in ragione delle specializzazioni, chi lamenterebbe il brain drain? Pur troppo i nostri flussi sono monodirezionali: verso il Nord, per le emigr azioni interne; e dall’Italia v e r s o l ’ es t er o , c o m e avviene più o meno con le stesse proporzioni in tutte le aree del Paese. Eppure oggi, più che il brain drain, a raccontare la penalizzazione dei giovani e dunque delle possibilità di ripartenza dell’Italia, è una nuova categoria che siamo chiamati a fronteggiare: il brain waste, lo “spreco di cervelli”, una sottoutilizzazione del capitale umano di dimensioni abnormi. La condizione di Neet (non studio e non lavoro: 1.900 mila giovani meridionali 15-34, secondo la Svimez, nel 2010), generalmente più diffusa tra i meno istruiti è cresciuta, nell’ultimo triennio, più rapidamente per i giovani con elevati livelli di istruzione – soprattutto, tra laureati. Circa il 30 per cento dei laureati meridionali, sotto i 34 anni, non lavora e ritiene (ragionevolmente) inutile continuare a formarsi; nel Nord sono circa due su dieci. 1.5 I “brain drain” chi sono e perché scappano? Ma perché si preferisce “scappare” all’estero. Come si RUN P A G IN A 8 I giovani italiani e il “nuovo esodo” europeo - segue spiega questo paradosso e come è possibile che la tanto criticata università italiana produca figure così qualificate e ricercate nel resto d’Europa e del mondo? Perché accade che dopo essersi formati e dopo aver avuto un’adeguata istruzione, si sceglie di partire per l’estero? Dietro la fuga dei cervelli c’è molta falsa retorica e dietro questo paradigma si cerca di nascondere la realtà delle cose. La risposta è semplice ma non del tutto scontata e la chiave di lettura è da ritrovare nel modo di concepire in Italia la ricerca. Negli ultimi anni nel reclutamento si applicata una falsa meritocrazia, combinata ad uno scarso investimento nel capitale umano e, utilizzando una metafora tratta dall’opera del fisico e storico della scienza Thomas Kuhn che analizzando le trasformazioni del sapere scientifico mise in luce che gran parte dell’attività di ricerca è “scienza normale”, ovvero tutt’altro che rivoluzionaria: lavoro quotidiano e certosino di affinamento e limatura delle conoscenze esistenti. Questa ricerca – per fortuna – non necessita di geni. Infatti è proprio grazie al lavoro di coloro che praticano la scienza “normale” che ingegni straordinari come Darwin o Einstein, sono capaci di uscire dal paradigma esistente per balzare al successivo, è il prezioso lavoro collettivo a produrre un salto di qualità. Ma in Italia non accade tutto questo, salvo rare eccezioni perché a fuggire è proprio quel collettivo che forma “ la scienza normale” e che non riesce a trovare le condizioni per lavorare. Secondo una stima della National Science Foundation americana, il numero di ricercatori nel mondo è cresciuto, tra il 1995 e il 2007, da circa 4 milioni a 5,7 milioni. Limitandosi solo a un sottoinsieme di riviste internazionali peer reviewed, il numero degli articoli pubblicati è passato, negli ultimi due decenni, da circa 460.000 a circa 760.000. Si tratta di dimensioni che non permettono più di confidare, nella sola presenza di “geni” capaci di alimentare la nascita della scienza moderna. I giovani studenti, i giovani ricercatori emigrano all’estero perché altrove la ricerca è un’impresa globale, e gli Stati decidono sempre di più di investire nell’economia della conoscenza, reclutando sempre più un gran numero di affidabili professionisti. Altrove le organizzazioni di ricerca sono efficienti e capaci di valorizzare, appunto, quel “ceto medio” di cui la scienza contemporanea ha bisogno. Ma se l’Europa investe sui gio- vani sin dai primi anni, anche in questo caso in Italia la situazione pare in controtendenza. I dottorandi italiani, ultimo anello della spina dorsale della ricerca italiana, risultano essere i meno tutelati e più precari di questa catena e tra i problemi irrisolti restano le questioni: borse di studio e tasse universitarie. Nel giugno 2008 la neo Ministra Gelmini firmava un provvedimento legislativo a favore dei dottorandi. Il decreto in questione, nato da un’idea di Mussi, Ministro dell’Università e della Ricerca dell’ultimo governo Prodi, portava per la prima volta da 800 a poco più di 1000 euro mensili l’ammontare della borse di dottorato. Ma il beneficio economico, ancora vigente grazie a quella norma, non è rivolto a tutti, infatti la legge attuale prevede che le borse debbano coprire almeno (o solo!) il 50% dei posti messi a disposizione. E dunque rispunta uno dei grandi nodi ancora irrisolti dalla politica universitaria, quello della figura del dottorando senza borsa che fianco a fianco ai "colleghi con borsa" non solo non viene retribuito, ma si trova anche nella posizione di dover pagare le tasse universitarie pari anche a 2000 euro circa annui, contro ad esempio i poco più dei 300 euro francesi. Ad oggi nella bozza ministeriale presentata dall’ex Ministro Gelmini, non vi è alcuna traccia del superamento di questa figura. Per accorgersi che la situazione è ben diversa da quella italiana non bisogna andare oltre oceano. La Svezia, ad esempio che offre le migliori condizioni di lavoro e qualità, stanzia borse di studio pari a 2.500 euro contro i 1.000 euro della borse italiane, comprendendo la partecipazione a tutte le attività di dipartimento, riconosciute e retribuite contro la didattica non riconosciuta e non retribuita dei dipartimenti nostrani. Lo stesso vale per i nostri cugini d’oltralpe. In testa tra le mete predilette dei cervelli in P A G IN A 9 fuga, infatti, c’è la Francia dove le borse assegnate dai contrats doctoraux si aggirano tra i 1600 che diventano 1900 euro se sono previste attività didattiche comunque mai superiori a 96 ore. Senza contare che all’estero tutti i dottorandi vengono stimolati ad un’attività intensa attraverso la realizzazione di paper per riviste di livello internazionale, oltre che a partecipazioni a seminari e convegni. Il caso italiano in tal senso sembrerebbe ancora una volta molto antieuropeo. In Italia infatti si può arrivare alla tesi di dottorato senza alcuna pubblicazione e spesso non si può partecipare a conferenze e seminari per mancanza di fondi da parte dei dipartimenti. Il nostro sistema con questo nuovo regolamento continuerà a concepire attività di ricerca non retribuite, consentendo che uno studente in dottorato possa svolgere attività gratuite pagando tasse esose quando in realtà le sue ricerche prodotte nei laboratori di dipartimento vanno a vantaggio dell'università e producono conoscenza (come le pubblicazioni scientifiche) e ritorno economico (nel caso di brevetti). Nell’ultimo anno abbiamo assistito al taglio di oltre il 30% delle borse di dottorato e la prospettiva futura non sembra cambiar rotta. La famigerata legge 133 del 6 agosto 2008, infatti, quella contro la quale gli studenti si ribellarono nell'autunno dell'Onda, non ha ancora finito di dispiegare le sue conseguenze peggiori. Quel testo, che in pochi ricordano, non si limitava a tagliare l'FFO, cioè la principale fonte di finanziamento degli atenei, ma prevedeva anche nuovi tagli, a scaglioni sempre crescenti, per i 5 anni a venire. E così, nel 2012 arriveranno altri tagli per ben 417 milioni, un assoluto record, chia- ramente destinato ad essere battuto l'anno prossimo, quando i tagli ammonteranno a ben 455 milioni di euro. Nell’ultimo anno abbia assistito anche ad alcuni passi in avanti in tal senso, ma troppo pochi è tardivi e non del tutto risolutivi. Se è vero che al dottorato viene attribuito lo status di early stage researchers, siamo ancora ben lontani dal riconoscere a chi svolge un dottorato lo status di ricercatore in formazione come già avviene nel resto d’Europa. Il tentativo di internazionalizzare l’università con l’istituzione di dottorati in co – tutela con università straniere sembra apprezzabile tuttavia ci si dimentica del tutto dell’importanza di istituire obbligatoriamente corsi di dottorato bilingue e la partecipazione obbligatoria a convegni internazionali. La rappresentanza di questa categoria all’interno dell’università che dovrebbe essere obbligatoria in tutti i collegi di dottorato in modo da stimolare il dibattito nelle singole università sulle scelte che riguardano le condizioni di vita e di lavoro dei singoli dottorandi, non è ancora del tutto sviluppata. In Francia ogni dipar timento e gruppo di ricerca è provvisto di un comité de pilotage con all’interno un rappresentante dei dottorandi che ha voce in capitolo su spese e progetti di dipartimento. L’Italia si allontana sempre di più dagli standard europei anche in termini di servizi e tasse. L’università che si sta delineando per il futuro sembra essere un’università dove prevalgono logiche di classe e di censo. I nostri cugini europei, fatta eccezione degli inglesi, pagano tasse universitarie inferiori rispetto alle nostre. Ma andiamo per ordine. Partiamo dall`Europa del nord. In Svezia gli studenti non pagano tasse fatta eccezione di coloro che lavorano. Gli inglesi sono quelli che, come noi , pagano tasse a volte esorbitanti fino a 1100 sterline . Ma esistono svariati incentivi economici per gli studenti (borse di studio, prestiti, agevolazioni...). Bisogna comunque ricordare che i campus universitari inglesi sono dotati di grandi strutture completamente gestite P A G IN A 1 0 RUN I giovani italiani e il “nuovo esodo” europeo - segue da studenti . La Francia è il paese europeo dove le tasse universitarie sono minori (circa 300 euro) che in Italia, tuttavia la percentuale degli studenti che usufruiscono di borse di studio è più alta e il diritto allo studio è tutelato grazie anche ad un serio impegno da parte dello Stato. La Francia risulta paese avanguardia in termini di servizi per i giovani studenti. Per quanto riguarda i trasporti locali, esistono abbonamenti speciali per gli studenti con meno di 25 anni che ti permettono di spostarti non solo a livello locale ma anche con i treni per tutta la Francia. Un giovane fino a 25 anni ha una serie di vantaggi incredibili e oltre a riduzioni consistenti su qualsiasi mezzo di trasporto, usufruisce di borse e aiuti negli studi. Un esempio? Indipendentemente che tu sia studente o meno puoi usufruire della cosiddetta Caf Caisse d’Allocation Familiale un organismo pubblico che aiuta finanziariamente (contribuendo a seconda dei casi al pagamento del 30 – 40 % dell’affitto) gli studenti e tutti quelli che guadagnano poco. Elemento indispensabile è quello di avere un contratto regolarmente registrato (così anche si fa la battaglia ai contratti a nero!!). Senza considerare che lo stato francese aiuta le giovani famiglie finanziando asili nido e se vuoi trovare il primo lavoro, ti sostiene ti accompagna alla ricerca della tua attività professionale. Ancora una volta l’Italia si dimostra un paese poco moderno e poco europeo. Le università tedesche invece sono finanziate in larghissima parte dallo Stato5, o meglio dai Länder, che hanno competenza sull’amministrazione scola- stica e universitaria. Alle università tedesche, gli studenti pagano un contributo semestrale chiamato Semesterbeitrag, che a seconda delle università può variare circa da 80 a 300 euro. Spesso comprende anche s er vizi impor tanti c ome l’abbonamento semestrale ai mezzi pubblici della città/regione. In più, da qualche anno i Länder sono anche liberi di introdurre tasse universitarie le Studiengebühren per migliorare la qualità della formazione. Ogni Land ha fatto una propria scelta (e la situazione è in continua evoluzione in funzione dei differenti governi che si alternano a livello regionale): alcuni hanno introdotto le tasse; altri hanno deciso di introdurle solo per gli studenti fuoricorso o per coloro che vogliono prendere una seconda laurea; altri ancora, infine, hanno preferito mantenere la completa gratuità del diritto allo studio. In ogni caso, anche laddove presenti, le tasse sono di entità abbastanza contenuta, in quanto si aggirano al massimo sui 500 euro a semestre, dunque mai superiori 1000 euro annui. Tasse più ingenti si hanno ovviamente nelle università private tedesche, con cifre che variano, anche di molto, da un ateneo all’altro e che possono ammontare fino a 20.000 euro annui. In Austria i ragazzi pagano quando hanno un impiego, esiste comunque una tassa fissa a semestre che si aggira intorno ai 365€ . Ma all’ester o, a diff erenza dell’Italia (salvo pochissime e piccole realtà) si pratica anche NOT E 5. DAAD- Deutscher Akademischer Austausch dienst German Academie Exchange Service. la cultura della cittadinanza s t u d e n t e s c a . In Germania numerose università hanno la propria radio, giornali e teatri gestiti dai ragazzi. Per esempio nell' università di Monaco di Baviera , la Ludwig Maximilian Universität , i giovani di SdC hanno a disposizione una radio 24/24h – UniRadio 94 Mhz . Oppure all' università di Tübingen c`è l` Unione degli studenti , Fachschaft , che organizza feste nell`ambito universitario e aiuta le matricole nella formulazione del planning settimanale. Tutto questo grazie agli spazi che l`università mette loro a disposizione. In Inghilterra ci sono grandi aree completamente gestite da ragazzi ; associazioni studentesche, culturali, sociali e politiche, laboratori teatrali. E tutto ciò in strutture concepite per quello scopo . Generalmente giornali o radio gestite da universitari si trovano in tutto il territorio europeo. In Germania per gli universitari l`abbonamento ai mezzi pubblici costa la metà , nei cinema e nei locali sono previste riduzioni. In Polonia i ragazzi hanno uno sconto del 49% sui biglietti ferroviari e del 50% su l`autobus . Inoltre possono praticare attività sportive, come il pattinaggio, a prezzi contenuti. Ma non è mai troppo tardi per invertire le cose, basterebbe “ri”mettere al centro delle priorità dell’università il sapere e gli studenti. Basterebbe guardare aldilà e modernizzare realmente il sistema, non solo in termini di reclutamento, ma in termini di contenuti, di mentalità e prospettive. Basterebbe rendere l’università italiana, europea. P A G IN A 1 1 Il sistema di tassazione universitaria 2.1 L’esempio dell’università di Trento Il sistema di tassazione dell’Università di Trento è stato modificato dalla cosiddetta “riforma Cerea” nell’anno accademico 2008-2009. Questo sistema rappresentava una novità nel quadro nazionale per i meccanismi applicati: la tassazione è stata infatti usata come leva per una redistribuzione di risorse economiche sulla base del merito. Un obiettivo che può apparire pienamente condivisibile ma difficilmente realizzabile, anche sulla base della considerazione che essendo già di per sé difficile avere una definizione condivisa di merito, la sua articolazione concreta diventa quanto mai problematica. 2. 2 Il sistema di tassazione pre-riforma Il modello di tassazione precedente è stato per anni contestato dalla nostra rappresentanza. Prima del 2008 infatti esistevano tre categorie di studenti: gli esentati totali, gli esentati parziali e i non-esentati. Gli esentati totali (circa a un 15% degli studenti). erano i borsisti dell’ente provinciale per il diritto allo studio (di seguito Opera Universitaria) che non pagavano alc una t as s a all’Università. I borsisti erano studenti che facevano richiesta di sostegno all’Opera Universitaria. Per fare ciò dovevano presentarsi ad un Caf entro la data stabilita dal bando e compilare il modello ICEF. Questo è un modello presente solo nella Provincia Autonoma ed è l’equivalente nazionale dell’ISEE. E’ quindi un modello che punta a misurare patrimonio e reddito del nucleo familiare, normalizzandolo a seconda del numero di componenti. Rispetto all’ISEE, l’ICEF è più approfondito visto che prende in considerazione qualsiasi patrimonio sia di natura immobiliare (case, terreni) che finanziario (conto in banca, azioni, assicurazioni sulla vita o titoli di varia natura). Qualora l’ICEF avesse certificato le condizioni economiche richieste del bando, lo studente aveva diritto a tre tipi di benefici: borsa di studio, alloggio pubblico a canone forfettario (o, a scelta dello studente, maggiorazione della borsa di studio) e, per l’appunto, esonero totale dalle tasse universitarie. Dal secondo anno, oltre al criterio della condizione economica, l’erogazione di queste agevolazione veniva vincolata al raggiungimento di un determinato numero di crediti stabiliti dal bando. In aggiunta al superamento di una soglia più alta di cr edit i, ve niva er o gata un’integrazione alla borsa di studio. L’erogazione delle agevolazioni non poteva comunque superare gli anni legali del titolo di studio più sei mesi (quindi tre anni e mezzo per le triennali e due anni e mezzo per le specialistiche). Gli esentati parziali erano gli studenti di poco al di sopra dei criteri del bando Opera: questi pagavano tutte le imposte universitarie e avevano l’unica agevolazione nell’esonero della tassa per il diritto allo studio (T.d.S.) pari a circa 112 € l’anno. La quantità dell’agevolazione (irrisoria) e il numero delle persone che ne usufruivano (bassissimo) ci ha sempre portato ad accorpare questa seconda fascia con la terza, quella dei non-esentati. Questi pagavano, a seconda della facoltà di appartenenza, da poco meno di mille euro a 1200 euro l’anno di tasse. La nostra critica verso questo sistema contestava due iniquità di fondo: la prima era quella che si creava tra un borsista con condizioni economiche appena sufficienti a conquistare le agevolazioni e uno studente che invece, anche solo per poco, sforasse questi criteri (gli interventi creavano uno “scalone troppo alto” tra due condizioni economiche sostanzialmente simili). La seconda iniquità era quella che si creava invece tra uno studente appartenente alla “classe medio bassa” o “media” che si ritrova a pagare la stessa cifra degli appartenenti alle classi più abbienti, creando così, nei fatti, un sistema di tassazione sostanzialmente regressivo. La nostra proposta, portata avanti negli anni, richiedeva - a saldi invariati – una diversa redistribuzione del carico fiscale con l’introduzione, per i nonborsisti, di una tassazione progressiva per fasce. 2. 3 La riforma Cerea Questa riforma ha introdotto un sistema di 13 fasce di reddito a cui corrisponde un importo di tasse. Tutte le fasce sono tenute a pagare delle tasse proporzionali al reddito: anche se dalla prima alla sesta fascia il contributo è figurativo (cioè non si versa, ma è come se lo si fosse pagato: è un dettaglio che verrà utile per quando parleremo del rimborso per merito). La tassa massima (la fascia 13) è sostanzialmente di 2000 euro, la settima fascia è rimasta intorno ai 1000 – 1200 euro. Si è quindi creato un extra-gettito rispetto alla situazione precedente che è stato utilizzato per due interventi: il tutoraggio e i RUN P A G IN A 1 2 Il sistema di tassazione universitaria - segue premi di merito. Il tutoraggio è un servizio offerto per gli studenti del primo anno in cui dottorandi e studenti della specialistica aiutano gli studenti nell’inserimento e nel comprendere i meccanismi universitari. Una sorta di inserimento guidato tra pari. Gli “studenti anziani” vengono scelti tramite bando e vengono remunerati in base al numero di ore svolte. I premi di merito sono il secondo meccanismo finanziato con questo extra-gettito, quello che ha suscitato una maggiore curiosità (in particolare sul sito www.lavoce.info ). Il premio di merito è un riconoscimento in denaro, di importo variabile, dai 500 ai 5.000 €, che viene assegnato indipendentemente dalla condizione economica del laureato, sulla base di quattro criteri: il tempo in cui si è conseguita la laurea, i voti e i crediti conseguiti il primo anno, le esperienze maturate all’estero (doppia laurea o Erasmus), i voti ottenuti in tutto il corso di studi. Le facoltà possono, a loro giudizio, introdurre un ulteriore criterio ritenuto particolarmente rilevante in un dato percorso formativo. Il premio è garantito ad almeno il 50% dei laureati che terminano gli studi entro il tempo massimo prestabilito: l’erogazione del premio non è quindi immediata ma può ritar- dare anche di molto. Allo studente esonerato dal pagamento delle tasse universitarie durante il percorso formativo, viene assegnato un importo pari alla differenza tra il premio spettante e l’importo virtuale delle tasse che avrebbe dovuto versare (meccanismo che non ci ha mai convinto perché sposta risorse dalle fasce basse a quelle alte). Il metodo di calcolo è un metodo molto preciso, conteggiato sulla base di formule matematiche che sono reperibili sul sito d’Ateneo. La trasparenza dei criteri è un punto essenziale della riforma, che intendeva stabilire un “principio contrattualistico” di patto formativo tra lo studente e l’Ateneo. 2. 4 Punti critici della riforma Già nel momento di entrata in vigore di questa riforma avevamo sottolineato alcuni punti critici che, si sono evidenziati chia- ramente nel tempo. Innanzitutto il criterio delle esperienze formative all’estero è, secondo noi, elemento discriminatorio nel momento in cui, per le fasce più basse, gli interventi di sostegno sono estremamente carenti. Avevamo proposto che questo criterio venisse introdotto solo successivamente all’attivazione di interventi più consistenti da parte dell’Opera Universitaria e che potevano essere calibrati al costo della vita del Paese ospitante, oltre che al reddito dello studente. Una battaglia che stiamo continuando, ma che è stata purtroppo bloccata dai tagli al diritto allo studio che anche qui abbiamo sofferto (anche se forse meno di altre realtà grazie ad alcune compensazioni della Provincia Autonoma). In secondo luogo siamo contrari ad un criterio del tempo troppo stringente che va a discapito degli studenti che svolgono attività non riconosciute (nelle associazioni o nella rappresentanza) e degli studentilavoratori. Infine, soprattutto, un premio che dovendo essere assegnato sulla base di una graduatoria, viene erogato anche un anno dopo la laurea e che quindi non agisce come agevolatore di diritto allo studio. In questo caso la nostra proposta prevede di sostituire il premio finale con agevolazioni diffuse, alla fine di ogni anno accademico, che si tramutassero in P A G IN A 1 3 sconti sulle tasse da pagare e integrazioni alla borsa di studio. Sconti uguali per tutti, non percentuali dell’importo, in modo da avvantaggiare le fasce più deboli. Tra poco questo sistema compirà cinque anni e, secondo noi, sarebbe ora di fare un tagliando per mettere in evidenza questi possibili cambiamenti. Su un piano generale è però innegabile che un sistema di redistribuzione delle tasse, può essere un segnale politico di attenzione all’impegno in un Paese che, su questo fronte, ha tanti passi da fare. 2. 5 Per un diritto allo studio europeo: non abbiamo paura delle tasse e delle tariffe Per la nostra esperienza di rappresentanza un argomento che, secondo noi, è importante trattare è quello dell’uso delle tasse e delle tariffe per migliorare i servizi per gli studenti e avvicinare l’equità. Per anni la rappresentanza di Sinistra si è incagliata sull’idea di tasse basse per permettere l’accesso a tutti. Questa si è rivelata nel tempo una illusione: le tasse sono infatti solo una piccola parte dei costi che lo studente deve soste- nere per laurearsi e le tasse sulle classi più elevate possono essere usate come integrazione per rendere possibile l’accesso ai livelli più alti, ai meritevoli anche se privi di mezzi in un periodo in cui di soldi ce ne sono sempre meno, mentre ne servirebbero tanti in tanti campi (interventi sociali contro la precarietà, per lo sviluppo – soprattutto a Sud -, per la messa in sicurezza del territorio dal dissesto idrogeologico, etc.). In cambio bisogna responsabilizzare gli studenti, incentivandoli a laurearsi in tempi ragionevoli ma senza creare una “corsa al credito” che squalifica l’esperienza universitaria. Pensiamo che le tariffe delle mense o degli affitti pubblici debbano essere vicini ai prezzi di mercato e i risparmi vadano usati per borse di studio che coprano le fasce basse e medio-basse della popolazione. Questo per due motivi: uno di privacy dello studente visto che riteniamo le tariffe differenziate un sistema discutibile (il principio è lo stesso della tanto discussa “social card” di Tremonti), ma soprattutto per migliorare il servizio. Nel momento in cui la gestione delle mense viene affidata tramite gara d’appalto, i gestori sono tentati di tagliare sulla qualità, per massimizzare i profitti. Nel momento in cui tutti gli studenti sono liberi di scegliere se mangiare in mensa o nel bar di fronte alla facoltà perché il costo è simile, questa tentazione viene meno. Mantenere una buona qualità diventa così per il gestore l’unico modo per continuare a vedere le mense piene e poterne trarre un giusto profitto. Discorso simile è quello degli alloggi pubblici: lo studente deve essere messo in condizione di scegliere se accettare l’alloggio dell’Ente o se trovare un appartamento sul mercato privato coprendo la differenza con una maggiorazione della borsa. Questo è uno stimolo per l’Ente pubblico a investire sugli appartamenti studenteschi: esperienza ci insegna che se gli appartamenti sono tenuti bene (come è obiettivamente nella nostra realtà) gli Studentati non diventano “posti per i borsisti”, ma appartamenti ambiti dove, anche chi non ha diritto, desidera entrare. Non a caso l’Opera Universitaria assegna camere rimaste libere a non idonei che ne fanno richiesta(numero sempre più in crescita negli ultimi anni). L’Ente ha infatti 1500 posti letto su 15000 iscritti. Considerato che da questi iscritti bisogna scalare i residenti a Trento l’incidenza è più che buona. Ci rendiamo conto che il contesto trentino è particolare ma pensiamo che queste esperienze possano essere delle buone direttrici per realtà mediopiccole, con Università che puntano ad una sempre maggiore vivacità e alla qualità dei servizi per attirare maggiori studenti. 2. 6 Tassazione universitaria: l'esempio torinese Dal 2008 i tre poli universitari torinesi sono stati coinvolti prima nello studio e poi nell'elabora- RUN P A G IN A 1 4 Il sistema di tassazione universitaria - segue zione di un'alternativa al sistema di tassazione vigente. La necessità di un cambiamento è nata dall'esigenza di allineare l'università pubblica al criterio di equità ed al principio di giustizia sociale, per cui chi più ha più deve contribuire. Così nel 2010 si è giunti con successo ad una revisione statutaria che ha introdotto il nuovo sistema di calcolo e imposizione fiscale per gli studenti. I criteri seguiti sono quelli di progressività e proporzionalità in base al reddito familiare, con particolare attenzione a valutare l'incidenza delle tasse sulla vita dello studente e della sua famiglia. Questo sistema ha avuto successo e può essere replicato promuovendo modifiche in tutti gli altri atenei italiani, nell'ottica di maggiore equità sociale e del merito. Nel sistema di tassazione universitario sono compresi due importi, uno fisso ed uno variabile. Il primo comprende le spese di Diritto allo Studio e tassa di immatricolazione. L'importo variabile invece varia in funzione del proprio reddito familiare (Indicatore ISEE). E' stato dimostrato che le fasce di contribuzione basate sull'ISEE non sono realmente progressive. L'incidenza sul reddito familiare è inversamente proporzionale a ciò che si dichiara. Infatti, ad esempio, uno studente con ISEE pari a 5.000 euro può avere un'incidenza del 6%, mentre uno studente con ISEE pari a 80.000 euro può averla del 2%. Quindi diminuisce all'aumentare del reddito, è un sistema iniquo che sfavorisce i ceti meno abbienti. Una soluzione proposta è stata quella di eliminare i livelli di fasciazione fissi e di introdurre un meccanismo di contribuzione basato sul reddito familiare (ISEE). Come? Stabilendo una retta massima ed un reddito massimo oltre il quale non si avrà diritto ad una riduzione delle tasse (esempio: ISEE da euro 0 a euro 80.000; retta da euro 0 a euro 2.000). Utilizzando un coefficiente moltiplicativo (ottenuto dall'importo massimo stabilito della rata diviso l'indicatore ISEE massimo) calcoliamo l'importo variabile a cui va sommato quello fisso ed otteniamo la retta totale da pagare. E' provato che questo sistema produce addirittura un aumento relativo delle entrate dell'ateneo. Un'altra soluzione proposta è introdurre un sistema di fasciazione continua realmente progressivo per incidenza sul reddito familiare, con scatti di fascia ogni 1000 euro e di importo per 25 euro. Entrambi i sistemi sono sostenibili ed efficaci, uno esclude l'altro ma spetta agli organismi universitari valutare quale sia il più adatto alle esigenze della popolazione universitaria. P A G IN A 1 5 I servizi agli studenti Le nostre campagne all’interno degli Atenei 3.1 Assistenza sanitaria per gli studenti fuori sede Gli studenti fuori sede trascorrono lunghi periodi lontano da casa, mantenendo il medico di base nel proprio comune di residenza. Crediamo che gli Atenei, il sistema sanitario nazionale e quello del diritto allo studio, debbano garantire le prestazioni mediche anche nelle città in cui gli studenti risiedono per affrontare il percorso universitario. Tuttavia, l’obbligo di scegliere un medico nella nuova città di studio, potrebbe comportare la perdita dell’assistenza medica di base nel comune di residenza. Proponiamo come soluzione una convenzione fra gli Atenei e le Aziende USL locali: questo permetterebbe di fruire dell’assistenza medica gratuita semplicemente presentando un documento che attesti l’iscrizione all’Università (ad esempio, il libretto o il badge universitario). In questo modo, inoltre, non sarebbe necessario rinunciare al proprio medico di base del periodo pre-universitario. Questa buona pratica è attualmente in uso presso l’Ateneo di Bologna dove, grazie ad una convenzione fra l’Alma Mater Studiorum e l’Az. USL-BO, gli studenti possono ricevere assistenza medica gratuita da oltre 450 medici di base nel solo comune di Bologna. 3.2 Lotta per la trasparenza. La legge 390/91 prevede all' Art. 12 comma 1 lettera d: che le Università promuovano attività culturali, sportive e ricreative, mediante l'istituzione di servizi e strutture collettive, anche in collaborazione con le Regioni e avvalendosi altresì delle associazioni e cooperative studentesche. In virtù di questa legge ci si dovrebbe aspettare che i fondi destinati alla realizzazione di tali attività siano effettivamente destinati a quegli studenti e alle associazioni che presentano progetti di qualità, di impatto sociale o che semplicemente rispondano ai criteri richiesti dalla legge. Cosa che, sfortunatamente, nell'Università degli Studi di Bari non accade. Stanchi di veder utilizzati i fondi pubblici per la creazione di siti che a nulla servono, se non alla pubblicizzazione di serate universitarie, o per la distribuzione di gadgets come penne, raccoglitori, laccetti, braccialetti, accendini e quant'altro, si è cercato di venire a conoscenza di quali siano le modalità di attri- buzione di tali fondi nella nostra Università e per quale motivo migliaia di euro vengano sprecati in attività le quali sostanzialmente di “culturale” non hanno nulla e che, in nessun modo, rispondano ai fini che la legge 390/91 vuole perseguire. Nonostante le richieste pressanti dei nostri militanti rivolte ai responsabili amministrativi di tali risorse, le informazioni, oltre che tardive, sono sempre state poco esaurienti. Nel totale disinteresse, non solo degli organi universitari, ma anche delle associazioni studentesche, i componenti della RUN-Bari hanno proposto una loro modalità di attribuzione dei fondi atti alla realizzazione di tali attività, attribuzione che ha come principio fondamentale quello secondo cui la maggior parte delle risorse economiche destinate a tali scopi debbano andare agli studenti (cosa che già avviene in alcuni atenei) e non alle associazioni studentesche che per mal costume li utilizzano al solo scopo di propaganda politica. La nostra proposta è stata anche oggetto di una petizione che in meno di 3 giorni ha raccolto più di 200 firme, sintomo di come la popolazione studentesca sia ben disposta ad ascoltare e a discutere su tematiche che la riguardano personalmente e che, se opportunamente pubblicizzate, contribuirebbero a rendere davvero fruibili molti dei diritti che già l'Università garantisce agli studenti. Le firme raccolte e la nostra proposta, saranno inviati al Consiglio degli Studenti, al quale sarà RUN P A G IN A 1 6 Le nostre campagne all’interno degli Atenei - segue chiesto di prenderne atto e discuterne per far approvare questa nostra proposta, come parte aggiuntiva all'attuale regolamento per le attività culturali. LA PROPOSTA Modifica delle proporzioni con cui i fondi per le attività autogestite vengono attribuiti: 60% a gruppi di studenti universitari costituitisi per la realizzazione di una specifica iniziativa culturale, composti da almeno cinquanta studenti regolarmente iscritti. bando; -Nomina di relatori i quali non dovranno più essere Docenti (ordinari o associati) della stessa Università; in caso contrario tali docenti non dovrebbero poter ricevere nessuna retribuzione o indennità; -Imporre alle associazioni studentesche di pubblicare sui loro siti e di affiggere fuori dalle aulette le specifiche di ogni singola iniziativa realizzata con i fondi delle attività autogestite, in modo che gli studenti possano valutare, loro stessi, la qualità dell'operato delle singole associazioni; 30% a Liste studentesche che hanno loro rappresentanti sia nel Consiglio degli Studenti, sia in uno degli organi collegiali: Senato Accademico, Consiglio di Amministrazione, Consigli di Facoltà; Liste studentesche presenti nei Consigli di Facoltà ma non rappresentate nel Consiglio degli Studenti; -Presentazione di una documentazione fiscale analitica di tutte le spese sostenute per la realizzazione di una iniziativa, vietando fatturazioni generali di spesa; 10% ad associazioni studentesche universitarie regolarmente costituite con atto notarile, che abbiano come associati almeno 50 studenti regolarmente iscritti; -Possibilità, per determinati servizi,di far riferimento SOLA- -Creazione di un logo che renda immediatamente riconoscibile il bando delle attività autogestite e pubblicazione dello stesso sulla homepage dell'Università così da dare più visibilità al bando e perché tutta la comunità studentesca possa averne una conoscenza minuziosa; -Affissione, nelle bacheche ufficiali di Facoltà, di manifesti riportanti il testo completo del -Pubblicazione di queste ultime sul sito dell'università; MENTE ad aziende convenzionate con l'Università (ad esempio volantini e materiale cartaceo utilizzato per pubblicizzare gli eventi) 3.3 Trasporti Lavorare sul fronte trasporti è già di per sé un impresa ardua, ma lo diventa ulteriormente quando si è residenti nel sud Italia. Preso atto della difficoltà che moltissimi studenti della provincia di Bari, e non solo, hanno nel raggiungere quotidianamente il proprio luogo di studio, tenuto conto inoltre della poca attenzione delle istituzioni verso questa fascia di “studenti nel limbo” - troppo vicini per essere fuori sede ma troppo lontani per vivere comodamente e dignitosamente la propria vita universitaria- i militanti della RUN-Bari hanno chiesto proprio agli studenti pendolari suggerimenti per risolvere i problemi più gravosi. È stato creato un gruppo sul social netwook “Facebook” chiamato “Il forum studenti pendolari” nel quale, oltre a scambiarsi informazioni circa ritardi, soppresioni di corse e altro, è stato chiesto qua- P A G IN A 1 7 le, fosse il problema da risolvere prioritariamente per i loro spostamenti. A differenza di quello che ci si poteva attendere, non è il prezzo del biglietto quello che più interessa agli studenti, ma la riduzione dei tempi di viaggio, oltre che l'aumento della frequenza delle corse. Sono anche stati realizzati video in cui i militanti della RUN-Bari intervistano colleghi ed amici sulla medesima questione. I video hanno dato maggiore visibilità al nostro lavoro, oltre che aumentato la partecipazione spontanea degli studenti a questa nostra iniziativa. Seguirà una assemblea che si terrà presso la sede centrale dell'Università a cui parteciperanno l'assessore regionale ai trasporti, i responsabili di tutte le aziende di trasporto pugliese, l'a.di.s.u e un rappresentante dell'Università degli Studi di Bari oltre che tutti gli studenti a quali sarà data l’opportunità di porre direttamente domande ai responsabili, che avranno così modo di conoscere le reali esigenze degli studenti e potranno intervenire per migliorare il servizio. 3.4 Contratti di locazione Sono circa 800.000 gli studenti fuori sede e di questi solo 46.000 (dati MIUR) vivono presso residenze universitarie gestite dagli enti regionali per il diritto allo studio La restante parte di studenti fuori sede si trovano, quindi, spesso a dover accettare di vivere in appartamenti che in molti casi non possiedono gli standard minimi di sicurezza per non parlare degli elevati canoni di affitto che sono costretti a pagare. Si tratta di una problematica che rischia, in molti casi, di negare ogni possibilità di accedere ai più alti livelli di formazione ad uno studente privo di ri- sorse economiche tali da poter intraprendere gli studi universitari fuori dal proprio comune o dalla propria regione.. Numeri che testimoniano la distanza che intercorre tra il nostro Paese e il resto d’Europa in materia di edilizia universitaria: nel 2010 Francia e Germania hanno assicurato rispettivamente 160.000 e 180.000 posti letto agli studenti borsisti. Il dato nazionale è ancora più preoccupante se analizzato in relazione ai dati di ogni singola Regione poiché solo in 4 Regioni è stata assicurata la copertura del 100% degli alloggi agli studenti idonei fuori sede. E’ chiara, dunque, la necessità di aumentare l’offerta abitativa nazionale da destinare agli studenti borsisti mediante la costruzione di nuove residenze universitarie; un intervento del genere permetterebbe di contrastare in modo efficace la corsa dei prezzi degli affitti di abitazioni per studenti. Secondo dati Sicet, la spesa per l'affitto ha inciso negli anni sempre di più sul reddito delle famiglie. Tra il 1991 e il 2009, se il budget familiare è cresciuto del 18%, il canone di locazione è aumentato del 105%. Accanto all’eccessivo prezzo richiesto per gli affitti ( per una stanza singola, si va dai 180 €/mese di Palermo ai 400 € di Pisa sino a 500€ di Milano, Firenze, Roma) si pone, con eccezionale attualità, il problema di contrastare la piaga del mer- cato degli affitti in nero. Basti pensare che sul territorio nazionale ci sarebbero circa 500.000 case affittate in modo irregolare, su tacito accordo tra proprietario e conduttore. E’ pacifico ritenere come un rilancio delle politiche abitative per studenti permetterebbe di risolvere, almeno per i borsisti, i problemi sopra descritti. L’esperienza della Toscana L’indisponibilità di strutture, che non permette di coprire al 100% le richieste di posto letto in alloggi universitari, potrebbe essere compensata, come avviene in Toscana, con l’erogazione di un contributi affitto da destinare agli studenti borsisti che non possono usufruire dell’alloggio studentesco a causa della mancanza di posti. L’Ardsu Toscana eroga una somma di circa 150 euro al mese a coloro (circa 2500 studenti) che, idonei non beneficia- RUN P A G IN A 1 8 Le nostre campagne all’interno degli Atenei - segue ri del posto alloggio, presentano copia di un regolare contratto di affitto. Per un’efficace lotta contro gli affitti in nero rilanciamo, inoltre, la campagna di sensibilizzazione “Basta col nero”, promossa dai Giovani democratici della Toscana con l’intento di fornire a tutti coloro che hanno un affitto in nero tutte le informazioni e l’assistenza tecnica necessaria per denunciare la loro situazione ed accedere a un contratto regolare di affitto a prezzi bassissimi ( fino al 90% di sconto). Infatti dal 6 giugno 2011, termine ultimo previsto per i proprietari, dal decreto legislativo n. 23/2011, per regolarizzare i contratti al nero, migliaia di giovani (studenti e non ) hanno uno strumento concreto per uscire dall’illegalità e costringere i proprietari di casa a regolarizzare i contratti e a dichiarare i redditi provenienti dalle locazioni, pena pesanti sanzioni amministrative e l’obbligo di stipulare contratti di durata fino a 8 anni a un canone mensile inferiore fino a dieci volte rispetto a quello praticato. LA NOSTRA PROPOSTA Si potrebbero prevedere delle agevolazioni economiche (fissare una percentuale di sconto) nel pagamento delle tasse universitarie per gli studenti fuori sede che dimostrano di prendere in affitto un appartamento a titolo oneroso. Gli studenti in questo modo sarebbero incentivati a richiedere la regolare registrazione del contratto al proprietario dell’appartamento. Le minori entrate per le Università sarebbero in questo caso ampiamente compensate dalle maggiori entrate per lo Stato derivanti dalla registrazione del contrat- to (presso l’Agenzia delle entrate) e dal maggior gettito fiscale proveniente dalle imposte sul reddito pagate dal proprietario che dichiara l’appartamento in locazione. Basterebbe infine destinare il maggiore introito dello Stato alle Università. Con un esempio: - ad uno studente che paga 1000 euro di tasse universitarie, e presenta il contratto di locazione, viene concesso uno sconto del 20% , ovvero, di 200 euro; - dalla registrazione del contratto di locazione lo Stato incassa subito una tassa pari al 2% del canone, e successivamente le imposte che il proprietario pagherà in fase di dichiarazione dei redditi; - se, ad esempio, il contratto per una stanza prevede un canone mensile di 250 euro, per dieci mesi sarebbero 2.500 euro in più di entrate per il proprietario sulle quali sarà applicata un’aliquota di imposta che varia dal 23% al 43% ; - nel caso in cui venga applicata l’aliquota più bassa, del 23%, lo Stato potrebbe incassere 575 euro (2500 * 23 / 100 ). 3.5 Aziende regionali per il diritto allo studio Gli organismi regionali di gestione per il DSU, istituiti con la legge quadro del 1991, hanno assicurato negli anni prestazioni quantitativamente e qualitativamente molto diverse tra loro, a causa dei differenti investimenti effettuati dalle Regioni che hanno dato vita ad una competizione al contrario, in cui lo studente sceglie la sede dei propri studi non in base alla qualità dell’università ma in base alla possibilità in quella Regione di ottenere la borsa e i servizi ad essa connessi. Al fine di assicurare una efficace gestione operativa da parte delle aziende regionali è opportuno un’omogeneità nell’erogazione dei servizi di DSU. Per il raggiungimento di questo fine è necessario creare un coordinamento tra i diversi enti competenti nel settore, che favorisca uniformità di trattamento ed una costante diffusione delle “best practices” realizzate nelle singole esperienze territoriali P A G IN A 1 9 con riferimento ai servizi resi agli studenti. Per questo motivo seguiremo con attenzione il percorso che porterà all’istituzione dell’ Osservatorio Nazionale per il Diritto allo Studio Universitario, previsto nell’ articolo 20 del decreto legislativo emanato in data 14.11.2011 con il compito di monitorare l’attuazione del diritto allo studio e valutare l’azione dei diversi enti regionali. Per conseguire la necessaria uniformità di azione, sarebbe utile perseguire un’omogeneità tra i vari enti anche dal punto di vista strutturale, privilegiando i modelli organizzativi che permettono la razionalizzazione delle spese senza incidere sugli utenti finali , gli studenti, e sulla qualità dei servizi offerti. In Toscana, ad esempio, dal 2009 si è scelto di riservare la gestione dei servizi in materia di DSU ad un’Azienda regionale unica, che ha preso il posto delle tre aziende di Firenze, Pisa e Siena. Ne è scaturito, attraverso un abbattimento delle spese di gestione (un solo consiglio di amministrazione invece di tre, un direttore dove prima ce n’erano tre, un presidente al posto di tre, tre revisori al posto di nove) , un recupero di risorse pari a circa 400 mila euro che son serviti, ad ampliare i servizi per gli studenti. Nella ristrettezza delle risorse in cui le aziende si ritrovano ad agire, è auspicabile l’utilizzo nello svolgimento delle attività amministrative nei propri uffici, anche al fine di fronteggiare la scarsità di risorse in materia di personale ( dovuta al blocco del turn over) e migliorare il rendimento nell’erogazione dei servizi, degli studenti vincitori del bando per i contributi economici relativi ad attività a tempo parziale. In tal modo verrebbe realizzato un diretto coinvolgimento degli studenti nella gestione del sistema di DSU. 3.6 Mense studentesche Anche per quanto riguarda il numero delle mense universitarie il nostro Paese è nettamente indietro rispetto ai numeri di Francia e Germania: 225 (fonte CNSVU) contro 610 e 740. Inoltre riscontriamo differenze, piuttosto marcate, tra le diverse regioni e province con riferimento ai prezzi applicati e alla qualità del servizio. La maggior parte delle mense universitarie esistenti in Italia (192 mense, corrispondente all’85,3% del complesso) è costituito da men- se a gestione indiretta, cioè date in appalto ad aziende di ristorazione collettiva, mentre quelle gestite direttamente dagli Enti per il diritto allo studio sono mediamente di dimensione doppia rispetto a quelle date in appalto. In molte Regioni le aziende si avvalgono per il servizio di ristorazione anche di esercizi convenzionati, ovvero ristoranti e bar dove gli studenti possono utilizzare i buoni pasto, sulla base di accordi tra gli stessi esercizi e le università o Enti per il diritto allo studio, oppure utilizzare la stessa tessera magnetica della mensa e accedere ai menu convenzionati. Tra i sistemi più virtuosi ricordiamo quello dell’ARDSU Toscana che eroga ogni anno attraverso le numerose mense presenti sul territorio circa 3 milioni e 650 mila pasti, per un totale di oltre 80 mila studenti. Il tratto distintivo consiste nell’aver assicurato, nonostante la costante diminuzione delle risorse stanziate, tariffe molto contenute ( 3 euro in media) che si differenziano per tipologia di utente( borsista, non borsista o soggetto non iscritto) e di pasto (intero, ridotto, da asporto). Proprio in Toscana negli ultimi mesi è stata discussa l’ipotesi di un aumento del prezzo della mensa a partire dal 2012 per rimediare alle difficoltà di bilancio. A seguito di incontri con i dirigenti dell’azienda le liste he aderiscono alla Run sono riuscite ad ottenere l’introduzione di una fasciazione che andrà a tutelare gli studenti appartenenti ai ceti medio-bassi e ad incidere sulle fasce di reddito più alte. La nuova fasciazione che lascia naturalmente inalterata la gratuità del servizio per i borsisti, prevede una riduzione di 20 centesimi sul pasto di chi ha un ISEE inferiore a 36.000 € ( il costo del pasto scende quindi a € 2,80) mentre gli studenti che hanno un ISEE compreso fra 36.000 e 75.000 € continueranno a pagare 3€, e solo chi ha un ISEE superiore o chi non ha presentato la certificazione pagherà 4€. Questo sistema è il frutto di una intensa battaglia condotta per tutelare gli studenti attraverso la previsione di una misura di equità sociale che, nonostante i tagli dell’ultimo governo Berlusconi, permetterà all’ARDSU Toscana di garantire le fasce più deboli della popo- P A G IN A 2 0 RUN Le nostre campagne all’interno degli Atenei - segue lazione studentesca. 3.7 Mobilità internazionale: opportunità e integrazione. Discutere di mobilità positiva contrapposta ai tanti esempi che abbiamo di mobilità negativa. E’ questa una delle le sfide che le giovani generazioni oggi devono cogliere. Partire per poi tornare, formarsi per poi formare, viaggiare e poi conoscere. Tutto ciò grazie ai programmi europei per la mobilità internazionale. Reti di associazioni di promozione sociale come Giosef Italy, organizzazioni non governative e associazioni di volontariato da anni sviluppano progetti di scambi culturali, servizio volontario europeo, attività di formazione e apprendimento non formale in tutta Europa. Il progresso economico del nostro paese, in uno contesto così multidimensionale e interconnesso, passa soprattutto dalla formazione delle nuove generazioni a cui devono essere dati gli strumenti utili da adoperare poi per la ricerca di un posto di lavoro, rispettoso delle aspettative personali. Per questo motivo è importante arricchire i percorsi di formazione ordinaria con esperienze extradidattiche, formative e interculturali e incentivare e promuovere la partecipazione a tutte quelle opportunità di mobilità per l’apprendimento che i programmi europei mettono a disposizione. Bandi europei come “Gioventù in Azione”, “Lifelong learning” e “Europa per i cittadini” permettono ogni anno a migliaia di ragazze e ragazzi di tutta Europa di viaggiare, conoscere e arricchire il proprio bagaglio di esperienze. La sfida è quella di allargare le opportunità di scambi e mobilità anche ai giovani precari e ai non studenti cosa che sembrerebbe il nuovo programma “Youth on the move” voglia lanciare con le nuove linee di azione. In questa direzione vanno alcuni degli obiettivi portanti della strategia di Lisbona, dove la mobilità internazionale è vista come il principale mezzo per l’acquisizione di maggiori competenze linguistiche e culturali, ma anche una forma per accrescere il capitale umano e integrare l’educazione formale con quella non formale. La riflessione sul concetto di mobilità positiva in Italia dovrà essere fatta pensando ad una nuova forma di cittadinanza europea che preveda prima di tutto un rinnovato spirito europeo da parte delle istituzioni che dovranno farsi carico, insieme all’impegno di tutte quelle forze politiche e sociali, di dare delle risposte concrete alle grandi sfide future della globalizzazione. La rete universitaria nazionale - RUN Le elezioni del CNSU del maggio 2010 hanno decretato un’importante risultato per il centrosinistra, frutto di anni di impegno delle associazioni universitarie cresciute nel clima del movimento di Genova, Firenze e di contrasto alle politiche che nell’ultimo decennio hanno minato alla base l’università pubblica. L’esperienza delle elezioni , ha fornito un dato concreto dell’impegno impiegato su tutto il territorio nazionale ed ha messo in risalto l’importanza e l’efficacia della messa a sistema, in chiave sinergica, di tutte le esperienze. La lista del centrosinistra ha ottenuto 53 mila voti attestandosi prima lista a livello nazionale. Il composito quadro dell’associazionismo universitario di centro-sinistra ha vissuto una importante esperienza di unità e forza di azione da valorizzare e potenziare in forma organizzata, più orientato a capitalizzare gli sforzi fatti e capace di mettere a sistema il movimento di idee sviluppato in anni di impegno. La nascita della Rete universitaria nazionale con l’assemblea fondativa della Sapienza del 30 ottobre 2010, rappresenta la prima tappa di un percorso che ha messo in rete diverse associazioni già esistenti e radicate negli atenei Italiani e che ha decretato la nascita di nuove associazioni che hanno trovato nel percorso della RUN (Rete U n i v er s i ta r ia N a z i o na l e) un’opportunità di crescita ed impegno fondati sulla centralità dello studente, sull’uguaglianza delle opportunità, sull’istruzione universitaria come mezzo di emancipazione sociale e culturale, sull’autonomia del sapere per un’università libera e democratica, sullo sviluppo della partecipazione diretta e negli organismi di rappresentanza delle università. L’esperienza ha consentito , mediante una elaborazione politica nata dal confronto tra i soggetti afferenti , di superare la frammentazione tematica ed organizzativa, uscire dall’ambito particolare e declinare le questioni dentro un filone unico di interazione tra livelli nazionali e livelli territoriali. Il movimento universitario dell’autunno del 2010 (movimento di contestazione alla legge Gelmini.Legge 240) , P A G IN A 2 1 è stata la prima occasione per mettere in pratica i benefici di un sistema organizzato rispetto alle sue capacità di dare voce a migliaia di studenti che in tutti gli atenei italiani hanno vissuto con preoccupazione l’avvio di una fase difficile per il sistema universitario italiano: riduzione drammatica delle risorse per il diritto allo studio, tagli pesantissimi al fondo per il funzionamento dell’università (fondo di finanziamento ordinario), burocratizzazione dell’università e riduzione indiscriminata degli insegnamenti e del personale accademico. Il movimento dell’autunno del 2010 ha visto la RUN con gli studenti e le associazioni, gli eletti negli organismi di rappresentanza delle università ed al CNSU, sempre in prima linea, per difendere l’università pubblica, il diritto allo studio e l’autonomia del sapere, di fronte ad un palese tentativo di destrutturazione del sistema accademico italiano. Diversi sono stati gli appuntamenti assembleari organizzati negli atenei Italiani e in diverse località del paese: assemblea all’università “La Sapienza” di Roma, all’università di Bologna, A ll’univers ità di Tor ino, all’università di Milano; gli appuntamenti a Torre del Lago e nella città dell’Aquila. L’esperienza organizzativa di quei giorni ha dimostrato la forza che la rete universitaria nazionale può esprimere se si creano le condizioni per una sempre più ampia partecipazione a partire dal lavoro sulle differenti realtà ,fatto,in costante contatto con gli studenti. Abbiamo popolato le piazze , contribuito al dibattito nazionale che si è sviluppato in quei giorni e siamo diventati una realtà riconosciuta nel panora- ma nazionale. Il movimento di contestazione alla legge Gelmini , nonostante la battuta di arresto determinata dalla sua approvazione il 30 dicembre 2010, ha proseguito la sua azione nell’ambito dell’attività più interna agli organismi universitari e ministeriali, in particolare, in relazione alla redazione degli statuti ed all’iter di costruzione ed emanazione dei decreti attuativi. La RUN , in rapporto alla prevista riorganizzazione entro tempi brevi della governance negli atenei, ha elaborato “un manuale di sopravvivenza” per promuovere le sinergie ed il coordinamento tra tutti gli eletti negli organismi centrali delle università (senati accademici e commissioni) che da li a poco sarebbero stati impegnati in una discussione sulla riforma degli statuti . Il documento della RUN prevede un maggiore bilanciamento dei poteri accademici; un controllo sul reclutamento dei membri esterni ai Cda; il rafforzamento della rappresentanza studentesca all’interno degli organismi di governo degli atenei. I nostri rappresentanti degli studenti hanno operato nell’ambito delle diverse realtà, per garantire i giusti equilibri nella governance, a fronte di uno schema proposto dalla 240 che concentra nelle mani dei rettori e dei Cda le principali prerogative e riduce in modo drastico la rappresentanza studentesca. L’esperienza disastrosa del governo Berlusconi ,le difficoltà della ricerca pubblica e del personale universitario, la frammentazione del sindacato e dei lavoratori di fronte al ricatto del referendum negli stabilimenti FIAT , ha inaugurato una nuova fase di movimento e dibattito pubblico in cui è stato posto al centro il tema dei diritti dei lavoratori e del precariato. Le tensioni che hanno accompagnato Il referendum del 22 giugno 2010 nello stabilimento Campano di Pomigliano ed il 13 Gennaio 2011 nello stabilimento di Torino Mirafiori, la vittoria risicata dei “SI”(Torino Mirafiori ) all’accordo proposto da Marchionne, ha mostrato l’insofferenza dei lavoratori ormai piegati dalla necessità di scambiare possibilità occupazionali con la cessione di diritti. La capacità di vivere nel ventre del paese e di elaborare una riflessione sui principali temi del lavoro, accompagnata dallo sforzo di legare la lotta per i diritti, intesa come costruzione di opportunità per le generazioni presenti e future, è stata certamente la chiave per penetrare in un movimento che ha attraversato l’Italia dalla fabbrica all’università. Il precariato e la lotta per il lavoro è l’elemento che ha unito diverse generazioni, classi sociali e gran parte delle categorie lavorative e pervaso di una nuova sostanza il movimento . La capacità di contribuire in modo sostanziale al dipanarsi della nuova fase, è stato affrontato dalla Rete Universitaria Nazionale, promuovendo diverse assemblee all’università ed un importante momento seminariale. RUN P A G IN A 2 2 La rete universitaria nazionale - segue “Primavera non bussa” è l’iniziativa di Chianciano che ha aperto le iniziative della primavera 2011; una assemblea nazionale di RUN ed FDS ( Federazione degli studenti) che ha visto la partecipazione di 300 studenti provenienti da tutta Italia. L’assemblea del 16 e 17 aprile 2011 è stata un’importante occasione di riflessione e dibattito sulla storia del movimento studentesco in Italia dagli anni 70 fino ai giorni nostri e sul futuro del movimento studentesco in relazione alle politiche sul lavoro. Dopo un momento assembleare in cui sono intervenuti tutti i referenti delle associazioni territoriali e gli eletti agli organismi centrali che hanno fatto il punto sulle principali questioni dell’ università e del diritto allo studio, la plenaria si è conclusa con un workshop sulla condizione dei dottorandi. A seguire, Le riflessioni hanno conosciuto un momento di approfondimento nel corso di tre sessioni di lavoro ; una prima sessione per parlare di lavoro con Andrea Ranieri, il prof. Giulio Marcon, il prof Furio Camillo ( consorzio alma laurea); una seconda sessione dedicata ai movimenti con Massimo D’Alema, Adriano Sofri e Francesco Cundari; una terza sessione dedicata alla campagna referendaria con Giuseppe Onufrio (direttore esecutivo di Green Peace). La campagna per il referendum del 12 e 13 giugno 2011 è stato un altro momento di fermento delle attività svolte a diretto contatto con gli studenti, all’interno delle università, tanto in termini di informazione sui quesiti referendari che di sensibilizzazione sui temi affrontati. Abbiamo lavorato sull’accreditamento dei fuori sede per la partecipazio- ne al voto e sono stati in migliaia gli studenti che si sono recati alle urne nelle tante città universitarie italiane. La campagna per votare “SI” ai quattro quesiti, portata avanti in collaborazione con i comitati per il referendum, ha ottenuto un grande successo; si sono recati a votare il 57% degli elettori determinando il raggiungimento del quorum e la vittoria schiacciante delle forze civiche, politiche e delle associazioni studentesche che hanno contribuito all’impresa (campagna per il “SI”), espri- mendo il proprio dissenso sulla privatizzazione dell’acqua, il ripristino del nucleare ed il c.d “legittimo impedimento”. La nuova stagione studentesca e l’apertura dell’anno accademico è stata inaugurata dalla Rete Universitaria Nazionale il 30 settembre ed il 1 ottobre 2011 all’Università “La Sapienza” di Roma, con la seconda assemblea nazionale della RUN dal titolo “espulsi dal sapere lottano i pensieri”. Titolo emblematico che mette in risalto il dissesto determinato dall’applicazione della legge Gelmini e le conseguenze dei tagli sulle risorse per il diritto allo studio e per il funzionamento dell’università. L’elaborazione del “pensiero” e della linea di condotta volta ad arginare gli effetti disastrosi della riforma Gelmini, sono stati sviluppati nel corso di due giorni di assemblea, attraversati dallo svolgimento di tre workshop: “sugli statuti degli Atenei” ; “Diritti e welfare studentesco”; “Università e Lavoro”. All’assemblea hanno partecipato centinaia di studenti, rappresentanti delle istituzioni nazionali e del mondo politico e sindacale, rappresentanti del mondo accademico, dei docenti, dei ricercatori e dei dottorandi. I gruppi di lavoro, coordinati dagli studenti e dai rappresentanti della RUN con l’ausilio di esperti del settore, si sono conclusi con la stesura degli atti conclusivi dei gruppi di lavoro, confluiti in un unico documento, il cui contenuto costituisce la linea e gli obiettivi della Rete Universitaria Nazionale per l’anno accademico in corso. La capacità di aprire un confronto libero e plurale tra i vari soggetti in campo, ci ha consentito di intraprendere un lavoro corroborato dall’ausilio di tutti i principali attori coinvolti nel processo di sviluppo dell’ istruzione e della formazione universitaria, del mondo del lavoro, delle istituzioni e della politica. l’ottica di ricerca delle strade da seguire per elaborare soluzioni concrete a problemi reali, costituisce il contributo che la RUN può dare all’università e al paese in un momento di grave crisi economica e finanziaria. La via maestra è il rilancio delle opportunità per un futuro di sviluppo sociale e culturale per il nostro paese. Un nuovo modello di sviluppo che possa crescere con il contributo del sapere, della cultura, non può far altro che fregiarsi del patrimo- P A G IN A 2 3 nio di conoscenze e del capitale umano che l’università italiana esprime in tutti i campi. A partire dai luoghi della formazione e della ricerca si possono affrontare le questioni cruciali e raccogliere contribuiti ed idee per la crescita. La RUN, nel promuovere iniziative e dibattiti nell’università sui vari temi, deve proporsi come interprete e collante delle diverse forze impegnate nel processo di ricostruzione del paese, fornendo così il proprio contributo attivo all’esercizio di una funzione politica, in grado di sorpassare approcci di tipo corporativo o di mera difesa degli interessi (funzioni meramente sindacali?). La partecipazione al movimento che si è sviluppato nell’autunno del 2011 e che è culminato con la manifestazione internazionale del 15 ottobre, a cui la RUN ha aderito al di là dell’ epilogo disastroso al quale è giunta, non cancella le ragioni di quelle decine di migliaia di studenti e cittadini scesi in piazza per rivendicare lavoro, diritti, dignità ed un ripensamento delle politiche neo liberiste che hanno caratterizzato l’Europa ed il mondo in questi ultimi 20 anni. La discriminante della nostra azione nei movimenti di protesta rimane senza fraintendimenti, il rifiuto di ogni violenza, ma senza dover rinunciare alla partecipazione e al tentativo di intervenire nei processi provando a tracciare sbocchi realistici. Un elemento fondamentale, per restringere “gli spazi insidiosi” e mettere ai margini le frange violente. L’ apertura di luoghi plurali per il confronto con gli studenti e la collaborazione con tutte le forze interessate al confronto democratico, rappresenta la via più sana ed utile per condurre l’intreccio tra il paese reale e le forze politiche e sociali impegnate nella costruzione di un modello di sviluppo alternativo al paradigma attua- le che ha impoverito il paese ed aumentato le divaricazioni sociali. Possiamo affermare di stare vivendo in una “fase periodizzante” dell’economia occidentale e dello sviluppo complessivo, di avere davanti a noi una sfida di portata eccezionale che coinvolgerà tutti i settori della società. L’istruzione, la formazione, la ricerca e l’innovazione avranno la funzione di puntellare il sistema , costruire una base di pensiero forte ed approntare gli strumenti per edificare un nuovo modello sociale rispettoso della dignità umana, dei diritti e della sostenibilità ambientale. L’attività svolta dalla rete universitaria nazionale nei luoghi del sapere deve essere impiegata in una ottica capace di guardare ad un orizzonte sempre più ampio che dal miglioramento delle condizione di vita e dalle opportunità di ogni singolo studente, sia in grado di relazionarsi con la società e con il mondo, inteso come il luogo in cui si dovranno realizzare le aspirazioni e le capacità maturate nel proprio processo di crescita e di formazione . Le dimissioni di Berlusconi e del suo governo il 12 novembre del 2011, ha segnato la fine di una fase durata un quindicennio, caratterizzato da una destra conservatrice e populistica che ha attaccato dalle fondamenta il sistema pubblico italiano, colpendo tutti i settori; l’università ha subito interventi e progetti di riforma che hanno impoverito culturalmente e burocratizzato il sistema dell’istruzione e della formazione pubblica ed hanno minato profondamente il diritto allo studio con la drammatica riduzione dei fondi destinati al welfare studentesco. L’università che abbiamo ereditato presenta delle profonde defezioni i cui effetti stanno prendendo forma con l’applicazione della riforma: riduzione drastica degli insegnamenti e dell’offerta formativa, facoltà sotto organico e nell’impossibilità di compiere nuove assunzioni(oneri del tourn over), riduzione dei canali di insegnamento e “classi pollaio”, accentramento dei poteri nelle mani dei rettori (in rapporto all’ateneo) dei presidi e/o dei direttori di dipartimento (in rapporto alle facoltà), gli organismi assembleari (Senati accademici e consigli di facoltà) vengono esautorati ed i poteri vengono esercitati nell’ambito di orgasmi ristretti (giunte di presidenza o affini) in cui spesso non viene prevista la rappresentanza studentesca; strutture ed aule fatiscenti, dipartimenti senza attrezzature, biblioteche senza fondi per acquistare libri e riviste scientifiche. Le università per far fronte alle spese per il funzionamento sono state costrette ad aumentare le tasse universitaria, in alcuni casi, fino a sforare il tetto massimo consentito( il gettito derivante dalle tasse non può superare il 20% di quanto l’università percepisce in termini di FFO), colpendo in questo modo gli studenti e le famiglie. La riduzione drammatica dei fondi destinati al welfare studentesco, nell’anno 2011, ha fatto registrare un aumento degli “idonei non vincitori” di borsa di studio(45 mila studenti) e notevoli ritardi nell’assegnazione dei contanti per gli studenti beneficiari. Nell’ultimo anno si è registrato un calo vertiginoso delle iscrizioni nell’università pubblica e contestualmente, si è registrato un aumento degli iscritti negli atenei privati, sintomo che gli studenti e le famiglie perdono fiducia nei confronti delle opportunità offerte dal settore dell’istruzione pubblica. L’esigenza di sostanziare il diritto allo studio deve essere il principale obiettivo da raggiungere, insieme all’esigenza di [email protected] Via Palermo, 12 - 00187 ROMA www.runonline.it restituire qualità ai nostri atenei, restituendo loro risorse e sperimentando “forme evolute” di autonomia. Bisogna riconsegnare all’università pubblica gli strumenti per reggere la competizione con il sistema delle private; adeguare le strutture fondamentali per la ricerca e la formazione e promuovere, insieme agli studenti, percorsi didattici e di studio in grado di offrire le qualità e le competenze necessarie per affacciarsi nel mondo del lavoro. In questo, l’attività svolta dai rappresentanti della RUN al CNSU, al CUN e all’ANVUR, possono fornire un ausilio costante. Con la nascita del nuovo governo si sta aprendo una nuova fase per il paese. La Rete Universitaria Nazionale già dalle ore successive all’insediamento del nuovo governo(16 novembre 2011), ha chiesto al nuovo ministro di fornire dei segnali chiari di discontinuità e di incontrare gli studenti per discutere del futuro dei decreti attuativi e delle risorse per il diritto allo studio. Il ministro Profumo ha mostrato disponibilità al dialogo con gli studenti e dato segni di discontinuità con il passato già a partire dalla nomina dei sottosegretari. l’intenzione di completare l’iter di attuazione della legge 240/10 da parte del ministro, diventa inevi- tabile, una volta che la legge è stata approvata ed il processo ha preso avvio,tuttavia, per il momento sono stati emanati soltanto 17 decreti e serviranno molti altri provvedimenti d’attuazione. Perciò, molto ancora si può compiere per limare gli effetti della riforma, già a partire dal decreto con cui si dovranno stabilire i requisiti in termini di ISEE (reddito familiare) e di CFU necessari (crediti formativi universitari) per avere diritto alla borsa di studio. Va assolutamente evitato che si stabiliscano criteri restrittivi volti a ridurre ulteriormente il numero degli studenti idonei, come era intenzione dell’ ex-ministro Gelmini. Saranno diverse le occasioni in cui il nuovo ministro, potrà dare prova di voler inaugurare una fase diversa per l’università italiana , il compito della RUN sarà quello di vigilare ed intervenire su tutti i livelli in cui è presente, dalle aule di facoltà fino al CNSU, nel momento in cui si riterrà compiersi un danno all’università pubblica o una violazione del diritto allo studio. Tra la primavera e l’autunno prossimo, quasi tutti gli atenei italiani andranno al voto e gli studenti saranno chiamati ad eleggere i rappresentanti degli studenti in tutti gli organismi. Gli effetti della riforma hanno determinato una riorganizzazione complessiva degli atenei e degli organismi di rappresentanza, perciò, ci troveremo ad affrontare le elezioni in un contesto del tutto nuovo rispetto al passato. Molte facoltà sono state smembrate e dalla fusione di dipartimenti che in passato afferivano a realtà diverse,ne sono nate di nuove. Bisognerà adeguarsi al nuovo quadro organizzativo e laddove il processo di nascita delle nuove facoltà si sta compiendo o si è già compiuto, assicurarsi la presenza della rappresentanza studentesca nei consigli di dipartimento, a cui verranno attribuiti sempre maggiori poteri e all’interno dei quali, già da subito, inizieranno a determinarsi le scelte più importanti. La riduzione della rappresentanza studentesca nei CDA, agevolerà la semplificazione del quadro politico interno agli atenei, bisognerà costruire delle liste larghe cercando di rispettare al massimo l’omogeneità delle liste in relazione alle idee ed alla politica, per tutelare l’efficacia dell’azione ed il rispetto della funzione che le associazioni e i rappresentanti della RUN devono compiere: tutelare gli studenti, l’università pubblica ed il diritto allo studio.