35 tra virgolette Il ricordo/1 Quella “Finestra Aperta” sulla società che cambia Il mondo spiegato da una rubrica sull’Eco di Locarno GIO REZZONICO H o conosciuto Piero Bianconi quando ho iniziato a lavorare per l’azienda di famiglia, dopo gli studi a Firenze e a Ginevra e le prime esperienze giornalistiche alla Radio della Svizzera italiana e al Corriere del Ticino. Collaborava con il nostro Eco di Locarno, il giornale della regione, che usciva tre volte la settimana e che in seguito si è fuso con il Dovere per dare vita alla ReL’AUTORE Una delle ultime gione. Sull’Eco, come veniva affettuosamente chiamato, Biancoimmagini ni curava la rubrica “Finestra di Piero Bianconi, morto Aperta”, i cui contributi sono stati in un incidente raccolti più volte in piccole pubblicazioni. Erano articoli di “colostradale re”, come si dice in gergo, cioè su il 5 giugno fatti e argomenti che indicavano i del 1984 cambiamenti sociali in atto. Lo scrittore era il nostro collaboratore più autorevole, più noto, ma anche umanamente e culturalmente il più interessante. Era quindi ovvio che al mio arrivo come giovane neodirettore (succedevo a mio padre, che si sarebbe maggiormente occupato del Festival del cinema) avessi un occhio di riguardo per questo prestigioso anziano signore. Lui aveva 81 anni ed io 31, lui era del 1899, quindi apparteneva a un altro secolo, io del 1949. Avevamo cinquant’anni di differenza. Tra noi nacque ben presto una simpatia e forse anche un’amicizia. Ogni pomeriggio passava in redazione a trovarmi, terminata la visita da me andava alla Tipografia Stazione, dove incontrava Armando Dadò. Quegli incontri sono tra i più bei ricordi della mia carriera giornalistica. Arrivava in corridoio, socchiudeva la porta per allunga- “Quando ci si alza con il piede sbagliato bisognerebbe stare in casa e non andare a trovare gli amici” zione secolare, fatto di povertà ma anche di misura, e quello di un’innovazione improvvisa e radicale nella sua furia distruttrice. Tanto da lasciare sbigottiti, ma non senza parole. Ecco allora Bianconi reagire contro la svendita del territorio e contro l’immagine turistica di un Ticino folclorico che con il vero Paese nulla più aveva a che vedere. Lo fa, nel 1972, con un libro intitolato “Occhi sul Ticino” che è anche il testamento di un moralista tartassato da groppi e da malumori. È uno sguardo malinconico e duro sul Paese che cambia, in anni in cui la voce intellettuale aveva ancora qualche indice d'ascolto. È un grido di dolore contro l’“orrendo strazio” cui il Ticino involgarito dei nuovi ricchi viene sottoposto, contro la “catastrofica decadenza”, contro lo “spirito palancaio ed egoistico”, contro il cattivo gusto e la museificazione del territorio, contro la sua ‘colonizzazione’. È una critica molto aspra, quella del vecchio scrittore, nei confronti dell’alluvione di cemento, della complicità interessata di politici, di avvocati e di banchieri, pronti a fare il gioco delle proprie tasche e di quelle di gente forestiera. Ma è anche una accusa risentita contro la ‘schiena flessibile’ e la ‘mancanza di orgoglio’ dei ticinesi: forse troppo disattenti, forse colpevolmente incapaci di reagire per difendere la loro terra dalla distruzione. Lo sguardo sul Paese che si trasforma; anni in cui gli intellettuali avevano ancora un buon indice d'ascolto Il ricordo/2 I libri Bramantino I maestri del colore Molte le opere di Bianconi come critico d’arte, quali, ad esempio, “Bramantino” edito da Fratelli Fabbri a Milano nel 1965, per la collana i Maestri del colore Albero genealogico Forse l’opera più nota di Bianconi, del 1969 e più volte ristampata; un romanzo storico che narra la storia dei suoi antenati emigranti in Europa e in America Occhi sul Ticino Il suo libro più impegnato, edito per la prima volta nel 1972 da Dadò e tradotto anche in tedesco; osserva con occhi critici il degrado del Paese Ticino ieri e oggi Lo scrittore, grazie anche a una significativa serie di fotografie, denuncia il veloce degrado cui è andato incontro il Ticino, svenduto, tradito e deturpato Armando Dadò racconta la nascita di un successo “Se sono un vero editore è grazie alla sua amicizia” S e sono diventato un editore lo devo amicizia con Giovanni, il fratello di Piero, lui”. Armando Dadò non ha difficoltà che voleva pubblicare un libretto, ‘Artigianell’ accreditare a Piero Bianconi il nati scomparsi’ - ricorda -. Mi lanciai. Era successo della sua iniziativa imprendito- una soddisfazione nuova, non volevo pasriale. Anzi, lo definisce una “grandissima sare la vita a stampare fatture. Scoprii ben risorsa sia sul piano umano che su quello presto che stampare è una cosa, ma seguiprofessionale” visto che per dieci anni, re anche commercialmente un libro è ben tutti i giorni, si sono incontrati immanca- altro. Come tipografo avevo competenza bilmente alle 15.30 per bere un caffè in- tecnica, ma come editore zero. Bianconi, sieme e discutere di un Paese, come il Ti- però, che era già uno scrittore affermato, una delle persone incino, che il grande in- Ti-Press tellettualmente più tellettuale ormai stenstimate della Svizzera tava a riconoscere. italiana, si era incu“Soffriva nel vedere riosito per l’iniziativa”. un cantone abbruttiL’idea era pubblito, la banalità delle care dei testi “sul Ticicostruzioni offendeva no”, che accompail suo gusto che aveva gnassero le immagini profondamente radidel fotografo Alberto cato” racconta Dadò, Flammer. Ne uscì, nel che di libri di Bianco1972, “Occhi sul Ticini ne ha pubblicati no” che ebbe un sucuna decina, incluso cesso sorprendente quel “Ticino ieri e ogper lo stesso editore. gi” che rappresenta “Ottomila copie venuna vera e propria de- ARMANDO DADÒ dute erano qualcosa nuncia della specula- L’editore locarnese, dai di straordinario, e zione edilizia, del ce- primi anni Settanta ha Bianconi le visse con mento che ha fatto pubblicato una decina l’entusiasmo di una scempio della regione di opere di Piero Bianconi seconda giovinezza “Piero aveva una forma mentis più ampia, e in comune aveva- conclude Dadò -. E pensare che, quando mo l’amore per il nostro Paese. Non mi cercavo di convincerlo a pubblicare qualvergogno a dirlo, prima di conoscere lui cosa con me, gli offrii 5’000 franchi. Ma non sapevo distinguere la saggistica dalla lui, probabilmente temendo che quelnarrativa”. L’editore torna coi pensieri a l’esborso finisse per mandarmi a rotoli quegli anni Sessanta, quando da tipogra- l’attività appena iniziata, si mise a ridere. fo decide di “mettersi in proprio”, anche ‘Ma no, è troppo, dammene tremila e va con l’aiuto di alcuni soci e amici come Pli- bene così”. e.r.b. nio Martini. “Del tutto casualmente feci re la testa dentro il mio ufficio e, se non c’era nessuno, entrava. Se doveva aspettare, fischiettava in corridoio. Non poteva concepire che io potessi essere di corsa. E in effetti per lui trovavo sempre il tempo necessario, perché era interessante e piacevole confrontarsi con quel grande vecchio, fine pensatore e ottima penna. Ricordo che dopo un periodo in cui mi vide per giorni affannato per il lavoro e per vicende personali esclamò: “Io fossi in lei mi suiciderei”. Già, perché nonostante fossimo diventati amici, continuavamo a darci del lei. Non ho mai capito se parlasse seriamente o se scherzasse quando lanciava le sue frecciatine guardandoti negli occhi con quel sorrisetto sarcastico, che lasciava anche trapelare affetto. Come non ho mai capito se fosse più attratto da me o da quell’odore di piombo e di inchiostro, tipico delle tipografie di allora, dal quale sembrava non poter rimanere lontano. Quando mi sono sposato, subito mostrò una particolare simpatia per mia moglie Carla, che chiamava affettuosamente “amaretta”, perché il panettiere del suo paese, Vogorno, produceva gli amaretti preferiti dal professore. Il fatto di aver scelto come moglie una verzaschese di origini contadine fece certamente salire le mie quotazioni agli occhi dello scrittore, che forse meglio di chiunque altro aveva saputo raccontare gli stenti degli emigranti e le fatiche dei contadini delle nostre valli, e in particolare della sua valle, la Verzasca, a cui apparteneva il suo paese natale, Mergoscia. Bianconi ha saputo guardare al nostro passato, soprattutto nel suo capolavoro “Albero genealogico”, con sguardo acuto e non nostalgico. Ma quando parlava del presente era infastidito. Lo disturbavano il rumore, lo stress, l’architettura moderna, tutto ciò, insomma, che si discostava brutalmente dalla tradizione. E su questi argomenti dibattevamo animosamente e a volte ci scontravamo. Ricordo che un giorno, durante una di queste discussioni, si spazientì e fu scortese. Il pomeriggio seguente tornò a trovarmi e mi disse: “Quando la mattina ci si alza con il piede sbagliato bisognerebbe rimanere in casa tutto il giorno e non andare a trovare gli amici”. [email protected]