42 Spettacoli Teatro & Musica 7 giorni sul palco Di Claudia Provvedini ROBERT WILSON The Temptation of St. Anthony Un musical da Flaubert, regia e scene di Bob Wilson, musiche e libretto Bernice J. Reagon. E voci blues straordinarie di Helga Davis (foto) e Carl H. Rux (Dall’11, Arcimboldi di Milano) DANZA Fuoristrada Dopo Gallotta e Sieni, rassegna di giovani coreografi italiani: Daniele Albanese, Martina La Ragione, Francesca Proia, Teodora e Agata Castellucci, Ambra Senatore, Simona Bertozzi (Il 10, Comunale di Ferrara) MUSICAL Jesus Christ Superstar Dall’originale anni 70 di Lloyd Webber, con musiche di Tim Rice la versione italiana (foto), con la regia e le coreografie di Fabrizio Angelini e 20 interpreti (Fino al 16, Brancaccio di Roma) MOBY DICK Albertazzi È il capitano Achab, diretto da Latella appena applaudito all’Odéon di Parigi per «La cena de le ceneri» di Giordano Bruno (Fino al 16, Argentina di Roma) SCARLATTI La Dirindina Ensemble strumenti antichi di Schifani, clavicembalo, con Guagliardo-Don Carissimo, Veronica Lima-Dirindina e Paolo Lopez-Liscione, castrato. (17, Palazzo Steri di Palermo) BOTHO STRAUSS L’una e l’altra Di Botho Strauss il dramma di due donne che si strappano tutto, tra ombre di incesto. Regia di Lievi, con Mannoni e Modugno (Fino al 16, Politeama Rossetti di Trieste) AUTORI Occidente Di Rémi de Vos, regia di Sylvie Busnel con Cinzia Spanò e Nicola Stravalaci. Il dialogo-litigio sul nulla tra coniugi apre «Face à Face» tra Italia e Francia (Fino al 16, Filodrammatici di Milano) VÁCLAV HAVEL L’udienza Colloquio di lavoro, ironia e angoscia tirannie e miserie dell’ex sistema comunista praghese. Di Václav Havel, con Roberto Abbati e Pietro Bontempo (Fino al 16, TeatroDue di Parma) Domenica 9 Dicembre 2007 Corriere della Sera In libreria STASERA JAZZ di Arrigo Polillo (Polillo editore, ristampa, € 20) TUTTI PAZZI PER PER NERI MARCORÈ di Neri Marcorè (libro+dvd, BUR, € 19.50) FABRIZIO DE ANDRÈ Una goccia di splendore a cura di Guido Harari (Rizzoli € 45) IL MIO POSTO NEL MONDO - Luigi Tenco di de Angelis, Deregibus e Sacchi (BUR, € 12) Fragments Il regista mette in scena piccoli testi di Beckett. Attori fenomenali Macbeth Circuito lombardo Perfezione, umiltà di Brook Una tomba-trono e tre belle streghe valorizzano Verdi di FRANCO CORDELLI G li spettacoli di Peter Brook di questi ultimi anni sono tutti uguali: discreti, mai uno strappo nel tessuto stilistico, brevi, perfetti. Penso anche agli autori da lui messi in scena: a parte gli africani, Dostoevskij, Cechov, Beckett. Sono i classici moderni, i classici della modernità. A queste caratteristiche non si può non aggiungerne un’altra. Lasciano tutti una medesima impressione di ineffettualità. Lo spettatore, anche quello che ride (come nel caso di Fragments, cinque testi brevi di Beckett), difficilmente può superare la soglia dell’ammirazione. Si ammira Peter Brook per la sua precisione, per la sua eleganza, per il suo senso della misura. Ma poi? A questa obiezione si può opporre una sola contro-obiezione. I suoi spettacoli della vecchiaia sono esempi di concentrazione e di umiltà. Esprimono, sottaciuto, implicito, il desiderio di passare il testimone di una civiltà della traduzione: traduzione di una traccia scritta in una materia viva, in movimento, in stato di vibrazione permanente, ovvero di pericolo e di risposta al pericolo. In altri termini, Peter Brook non ha mai smesso di ricordarci che cosa veramente è il teatro. Il teatro è ciò che è, ma nel- Magda Poli Enrico Girardi Fragments di Beckett/Brook Piccolo Teatro Studio di Milano dall’11 Il laureato Un nudo quasi integrale della brava De Sio. Non convince la regia Torna Mrs Robinson, ma senza spessore L a seduttiva Mrs. Robinson e il giovane Ben, protagonisti del film del 1967 Il laureato, divennero icone della cultura alternativa americana del tempo. La commedia di Terry Johnson, nata dalla sceneggiatura del film e dall’originario romanzo di Charles Webb, ha fatto nel 2000 parlare di sé a Londra per i nudi della protagonista e per gli «esauriti». Ora approda in Italia nella versione Brancati-Bellomo con la regia di Teodoro Cassano, protagonista una temperamentosa Giuliana De Sio e il giovane Giulio Forges Davanzati. La storia dell’avvenente matura signora che seduce un giovanotto cattura ancora il pubblico. Ma in questo spettacolo, con la scenografia duttile ma poco affascinante di Carmelo Giammello, è la regia a non convincere. Tutti i temi che percorrono il testo sono Giulio Forges Davanzati e Giuliana De Sio appiattiti e spuntati: dalla voglia di ribellione che porterà di lì a poco gli studenti a contestare nei campus universitari, alla critica del vuoto conformismo di una società borghese ipocrita e priva di valori se non quello del danaro e della carriera. Nello spettacolo tutto si riduce, in una sorta di soap opera senza spes- D sore, alla storia di una seduzione tra una signora, donna disillusa, cinica, annoiata che la brava De Sio, lanciandosi anche in un malizioso nudo quasi integrale, ben fa vivere in perenne stato di impudenza da alterazione alcoolica, (penosa la scena di ubriachezza di madre e figlia) e un giovanotto, viziato, vacuo, egoista, interpretato con freschezza da Forges Davanzati, che alla fine si innamorerà della figlia un po’ scialba della sua amante, Alessia Cardella. Creando un fastidioso stacco stilistico con la recitazione «naturale» dei protagonisti, gli altri personaggi, resi secondo il disegno registico da Monica Guazzini, Pietro de Silva, Giuseppe Antignani, virano, impoverendosi, verso la macchietta. co degli attori. Soli in scena, in una scena nuda: in essa, quella panchina o quella sedia o quei due sacchi gli attori se li portano dietro e da sé se li portano via quando cambia la storia che il duo autore-regista ci vuole raccontare-rappresentare. Nel primo pezzo, Frammento di teatro, due tipici personaggi beckettiani discutono animatamente su niente, ovvero sui massimi sistemi: «Fate la carità a un povero vecchio, fate la carità». È il pezzo più lungo, quasi venti minuti, impossibile non ridere quando i due mendicanti, ovvero i due buffoni, si abbandonano ai loro deliri. «Sono di MAGDA POLI di ENRICO GIRARDI ue idee forti, e ben realizzate, sorreggono l'edizione di Macbeth confezionata dal Circuito Lirico Lombardo, rappresentata a Cremona e Brescia, attualmente a Pavia e presto a Como. L'una è che l'elemento scenografico dominante è una tomba/trono che suggerisce un significato simbolico decisamente eloquente, indiscutibile; l'altra è che del coro di streghe facciano parte tre fanciulle in candida veste bianca, per un verso immagine di innocenza perduta e ricercata ma per l'altro, causa l'ironico sorriso che esse portano stampato sul volto, memento di un destino che di «candido» non ha davvero nulla. Se a ciò poi si aggiunge una recitazione accettabile, ovvero abbastanza accurata, la cupezza sinistra delle luci, la bella morfologia dei costumi (d'epoca), ecco il quadro di uno spettacolo — regia di Andrea De Rosa, scene e costumi di Alessandro Ciammarughi, luci di Cesare Accetta — senz' altro convincente. A capo dell'orchestra dei Pomeriggi Musicali vi è Antonio Pirolli, direttore preparato e molto affidabile. Onirica, visionaria, l'opera ha elementi di «follia» anche nella redazione musicale: La coppia Claudio Sgura e Susan Neves un Verdi diverso dagli altri, spigoloso, modernissimo. Pirolli semplifica, smussa gli angoli. Offre una lettura olimpica, senza particolari scarti espressivi, ma lucida e coerente. Nulla esclude che la scelta sia dettata anche dalla geografia di un cast non granché omogeneo, che ha dunque molto bisogno di essere guidato. Lui, Claudio Sgura, è un Macbeth possente nel fisico ma un po' accademico nella vocalità; fa quel che deve, ma senza dire granché circa l'ambiguità del personaggio (ci è o ci fa?). Lei, Susan Neves, ancorché imbrigliata in un corpo che ne limita assai l'agilità gestuale, ha intenzioni interpretative interessanti, che cozzano però con una difficoltà di fraseggio che deriva da un'emissione faticosa ogni qual volta la parte richieda il minimo slittamento di registro, a causa anche di un eccessivo vibrato. Niente male le altre voci virili: Roberto Tagliavini (Banco), Boiko Szetanov (Macduff), Paolo Cauteruccio (Malcolm) e particolarmente affascinante la dama Nadiya Petrenko. Ma con un punto in più di coesione stilistica, lo spettacolo avrebbe decollato verso più alti traguardi. Un successo franco ha arriso a questo Macbeth, ultimo titolo della stagione lirica lombarda, che nel complesso si è rivelata di buon livello. In scena Un momento dello spettacolo diretto da Peter Brook lo stesso tempo è ciò che diviene. Dicevo di Fragments, produzione delle Bouffes du Nord di Parigi e dello Young Vic Theatre di Londra. I tre fenomenali attori sono Jos Huben di nazionalità non dichiarata, Katryn Hunter, americana di New York, e Marcello Magni, nato a Bergamo e studente al Dams di Bologna (la presenza di Magni tra gli attori del regista inglese mi ricorda Vittorio Mezzogiorno, lo splendore che egli attinse come protagonista del Mahabharata). I 5 testi di Beckett sono, così sembra (questa è l’arte suprema di Peter Brook) tutta farina del sac- sempre stato così, accovacciato nel buio», dice uno. «Non sono abbastanza disgraziato. È sempre stata la mia disgrazia, disgraziato, ma non abbastanza», dice l’altro. Uno è cieco, l’altro è zoppo. Uno suona il violino, l’altro viaggia su una sedia a rotelle. Neither è un frammento inedito, tradotto da Maria Sestito (le altre traduzioni sono quelle della Pléiade-Einaudi). Impossibile riferirne, è un balbettio senile, un pianto a ciglio asciutto, sull’orlo della prossima risata. Ne è interprete la Hunter. La stessa Hunter è la solitaria interprete del pezzo più bello dei cinque, il lancinante, stupendo Dondolo. Anche in questo caso, come riassumere, che cosa dirne? Per Mel Gussov, uno dei maggiori interpreti dell’opera del drammaturgo irlandese, la protagonista di Dondolo «è una donna che si dondola dentro il ricordo. Il ricordo è vita e quando il fiume del subconscio si prosciuga gli occhi si chiudono, la sedia si ferma e la donna muore». Vi è, in questo poemetto, la stessa nostalgia, impossibile da confessare, de L’ultimo nastro di Krapp: oggi, un indimenticabile ricordo del Novecento. Il laureato di Terry Johnson Teatro Manzoni di Milano Macbeth di Giuseppe Verdi, direttore Antonio Pirolli Teatro Grande di Brescia Dischi POP ONE MAN BAND JAZZ CANDY ROCK L’ECLISSI SACRA SOLOMON James Taylor, riscoprirlo dopo 40 anni di carriera Lee Morgan a soli 19 anni: una tromba che fece epoca Subsonica, ancora elettronica con Saviano e Wu Ming L’Oratorio di Händel in tutta la sua maestà One Man Band non è un live in cui James Taylor suona da solo con la chitarra i suoi classici. Lo affianca una band, primo fra tutti il tastierista Larry Goldings al quale si concedono assolo e libertà negli arrangiamenti. Non per fan occasionali, perfetto per chi conosce il repertorio del cantautore di Boston. Retrospettiva — suonata con delicatezza, eleganza e strumentazione acustica — di una carriera quarantennale, l’esecuzione, confidenziale e intercalata da brevi spiegazioni sulla genesi dei brani, rinnova l’ascolto di canzoni come Something in the Way, Carolina in My Mind, Fire and Rain e You’ve Got a Friend (di Carole King). L’appetibilità del progetto rimane la riscoperta di canzoni come Chili Dog (dall’album One Man Dog del ’72) e la melodia James Taylor eterna di Sweet Baby James. Ma One Man Band ancora di più il dvd accluso. Il jazz, si sa, è una musica di sottovalutati: a centinaia i suoi interpreti meritano di essere «scoperti» dagli amanti della buona musica. Questo è particolarmente vero per il trombettista Lee Morgan morto per un colpo di pistola nel ’72 neppure 34enne ma protagonista di un’ampia discografia perché già dal 1956 si era messo splendidamente in luce (lo volle in orchestra, a 18 anni, Dizzy Gillespie, e fu poi a lungo con Art Blakey). Candy è uno dei più compiuti fra i suoi primi album, diversi dei quali sono stati appena ristampati nell’ampia serie rimasterizzata dal «magico» tecnico d’incisione Rudy Van Gelder. Morgan a 19 anni e mezzo azzarda un album in cui è l’unico fiato, impressionando per precisione e luminosa varietà espressiva; si sarebbe dovuto aspettare Wynton Lee Morgan Marsalis per conoscere un altro Candy fenomeno del genere. I Subsonica sono tornati a casa. Per questo quinto album, la band torinese ha rispolverato la propria inclinazione elettronica messa un po’ in secondo piano nell’ultimo Terrestre. Quale sia la direzione (ri)presa da Max, Samuel, Boosta, Vicio e Ninja lo si capisce dai primi secondi: l’attacco di Veleno ha una base e un basso «velenoso» che lasciano entrare le chitarre solo in un secondo momento. L’ultima risposta è una botta da club tutta da ballare, con un ritornello pop orecchiabile. Il centro della fiamma corre per più di 6 minuti e nelle parti strumentali sembra che Torino sia Manchester. Testi ispirati dalla new wave della letteratura italiana: ci sono Roberto Saviano (Piombo), Wu Ming (Alta voracità) e Giuseppe Genna (Canenero). Delude La glaciazione, più che un singolo Subsonica una b side e la durata dell’album, L’eclissi un’ora e 5 minuti, esagerata. Eseguito per la prima volta nel 1749, e dunque tra gli ultimi cimenti del compositore, Solomon è Oratorio tra i più ampi e maestosi di Händel, come se la statura di rettitudine del personaggio biblico dovesse riflettersi in un’ampiezza di disegno e di stile. Il che compensa, con gli interessi, la mancanza di uno sviluppo narrativo. Ogni atto racconta infatti diversi episodi della vita del sovrano. D’altra parte, è difficile trovare un Oratorio di così ampio respiro e con un impianto corale altrettanto elaborato (talora anche a 8 parti reali). E la presente incisione, estranea al «respiro corto» della fraseologia filologica, è di valore proprio in quanto rende giustizia al tratto maestoso dell’opera. Un plauso dunque a Daniel Reuss, all’Akademie für Alte Musik Berlin, al Rias Kammerchor e Georg F. Händel a un cast che vanta la voce di Sarah Solomon Connolly come punto di forza. Mario Luzzatto Fegiz Claudio Sessa Andrea Laffranchi E. Gir. (Universal) (Blue Note) (Virgin/ EMI) (Harmonia Mundi)