STRIKE rassegna universitaria OTTOBRE 2005 UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO ANNO IV NUMERO 1 Il grande salto Un nuovo inizio. Non c’è niente di più bello: il primo giorno te lo ricordi sempre. E’ il momento in cui più intensi emergono la curiosità, il desiderio, le attese. Magari capita che a volte ci sia un po’ di paura, anche se in realtà quella viene dopo: all’inizio domina lo slancio. Proprio come l’uomo nella foto di Henrie CartierBresson, che da una vecchia scala si lancia verso qualcosa, colto nell’istante in cui il suo piede sta per toccare la superficie dell’acqua. Cosa lo aspetta? Cosa accadrà? Un po’ come passare il portone di Largo Gemelli 1: la prima volta per le matricole, l’ennesima per noi un po’ più arrugginiti, ma la questione è la stessa. Cosa ci aspettiamo da questo nuovo inizio? Cosa chiediamo a questi anni, a questa nuova vita che si spalanca? Cosa cerchiamo? E’ come se Cartier-Bresson con la sua foto ci facesse una domanda: cosa siamo disposti a rischiare? Perché quel salto si può trasformare all’istante in un tonfo in una pozzanghera. Allo stesso modo la vita in università, dopo i primi entusiasmi degli inizi, può tramutarsi in men che non si dica nel grigiore del solito tran tran, lo stesso grigiore della stazione di St. Lazare ritratta dalla foto. Ma quel salto, quello slancio, può essere altro. Nello sfondo, sull’angolo del muro, quasi invisibile ad una prima occhiata, c’è una ballerina che salta da un vecchio manifesto. Viene in mente la meraviglia del circo con le sue luci, i suoi suoni e i suoi colori, ma allo stesso tempo è evidente il legame con l’uomo in primo piano. E’ lo stesso balzo, ma in un respiro nuovo. “Bisogna che il quotidiano diventi eroico e l’eroico diventi quotidiano” diceva Giovanni Paolo II. Bisogna che qualcosa di eccezionale entri nella nostra vita, così abituata ad adagiarsi e scivolare nella banalità. E serve il coraggio, una volta che questo eccezionale sia stato anche solo intravisto, di seguirlo e cercarlo in tutto. Per afforntare questa battaglia è necessaria una condizione, la stessa che seguì Dante quando, salendo su una scala piena di angeli, si lanciò verso “il gran mare dell’essere”: non essere da soli. Noi vogliamo rispondere a questa sfida. Per questo ci interessa ancora quello che studiamo ormai da anni, ci interessa il rapporto con i professori, ci interessa quello che succede nel mondo. Siamo pronti a iniziare nuovamente, insieme a chiunque sia interessato a rischiare con noi. La redazione Università I Docenti, le associazioni: vita di ateneo pagg. 2, 3, 4 Pacs Non una questione religiosa, ma un fatto civile pag. 5 New Orleans Nel dramma, condividere il bisogno pag. 6 STRIKE - OTTOBRE 2005 pag. 2 Iniziare di nuovo, da docenti Il prof. Santamaria: non assopite i vostri interessi Quali sono le sue aspettative relative all’anno accademico appena iniziato? Che giudizio ha sulla reale possibilità di crescita educativa ed intellettuale dello studente in questa università, teatro della riforma e della controriforma? Le aspettative su questo nuovo anno accademico e in modo particolare sulle possibilità di crescita dello studente in questa riforma sono dal mio punto di vista piuttosto flebili. Osservando la situazione attuale ci troviamo di fronte ad un’università dove la fretta nel laurearsi ha preso il posto dell’effettivo apprendimento. Questo ha causato in certi casi una consistente riduzione dei programmi o l’anticipazione di alcune materie del 2° o 3° anno al 1°. Ormai insegnare, nel vero senso della parola, è molto difficile, soprattutto perché un tempo vi erano 40 o 50 studenti, oggi invece ci troviamo di fronte ad un fiume in piena che ogni anno è più difficile da gestire. Non possiamo pretendere che un ragazzo dia 27 esami in tre anni: è necessario ridurre gli esami e non i programmi, affinché l’offerta formativa abbia un’utilità anche per la laurea triennale e, soprattutto, per evitare un intasamento nelle specialistiche. Occorre snellire i canoni di questa riforma applicandoli dove è possibile. Non si crea una classe dirigente capace di lavorare e insegnare in base al numero degli esami sul libretto, né con l’apertura diffusa di poli universitari in ogni parte del suolo italiano. In questo scenario lo studente può ancora sperare in un rapporto con il docente, per cercare, lavorando insieme, di migliorare questa situazione? I progressi, da questo punto di vista, sono già presenti. Il consiglio di facoltà è fra tutte le possibilità quella più efficace e, fino ad ora, quella che ha generato maggiori frutti. Il problema resta la reale formazione degli studenti che non hanno la capacità di poter scegliere in modo adeguato il proprio percorso, vista la miriade di corsi specialistici. Essi seppur validi da un punto di vista didattico disorientano i ragazzi, che usano come metro di scelta quello del corso più gettonato, seguendo la massa e non i propri interessi, che restano in questo modo assopiti. Si genera così una sfiducia da parte delle aziende che puntano alla formazione interna del per- sonale, preferendo in alcuni casi il diploma di laurea, magari più incompleto, ad una specializzazione più difficile da gestire nell’ambito lavorativo e molto più rigida da un lato formativo. Lo studente deve puntare all’accrescimento delle proprie capacità sia intellettuali che lavorative partendo da un approccio personale, facendo tesoro dei consigli dati dai docenti e vedendo l’università non come un luogo dove si fabbricano titoli di studio, ma come un luogo dove crescere anche umanamente. Solo così si può portare via qualcosa di buono, altrimenti ci avvieremo sempre di più verso un declino sia economico che culturale, fenomeno che appare ormai come inesorabile, ma che si può ancora fermare. A cura di Simone Cantarini Il prof Luigi Santamaria è docente straordinario di Statistica economica presso l’Università Cattolica La prof.ssa Colombo: la competenza non può essere puro efficientismo nalmente nella scuola ho vissuto, ciò che ho imparato riguardo al lavoro dell’insegnante. Cerco di motivare gli studenti ad approfondire quanto stanno studiando perché sono convinta che la preAnche quest’anno si troverà parazione alla riflessione sicuradi fronte a molte nuove mente andrà a sostenere quanto matricole…come si pone di nella scuola sarà loro richiesto. Ritengo che la competenza che fronte a loro? Nella relazione con gli studenti credo sia fondamentale riconoscere che prima di tutto mi trovo di fronte a delle persone, poi a degli studenti. E’ quindi essenziale rispondere primariamente alle persone, con tutte le aspettative che portano con sé, perciò entrare in rapporto con esse significa scoprire dei mondi, trovarsi di fronte a degli uomini con una propria storia. Nel rapporto con loro sono interessata a dare un significato e un senso a quello che si sta facendo, cercando di sollecitare e stimolare l’essere autentici e il dire quello che si desidera emerga nel corso delle attività che si vanno facendo. Nel suo ruolo di supervisore di tirocinio, come si declina concretamente questa visione del rapporto con gli studenti? Ho cercato di individuare i bisogni e le aspettative emergenti sia dagli studenti che dal mondo scolastico, per poi metterli a confronto al fine di aiutare a comprendere cosa significhi essere un insegnante oggi e quali siano le effettive difficoltà, presentando un quadro il più possibile reale. Cerco di trasmettere quello che io perso- E’ a ancora possibile, con i ritmi frenetici imposti dalla riforma, che uno studente studiando non trascuri ciò che veramente gli sta a cuore? Nel lavoro che svolgo con gli studenti, in un ambito che lega forte- ha svolto un particolare percorso, sia personale sia come professionista, all’interno della scuola e proprio per questo può porsi come guida rispetto agli studenti che si trova di fronte. E’ una persona consapevole di avere davanti a sé individui che hanno molte attese che l’insegnante è chiamato a non deludere. Gli studenti arrivano con un potenziale di capacità, di energia e di desideri che è veramente grande, su cui puntare nel fare la propria proposta di insegnamento. Bisogna avere fiducia nelle potenzialità degli alunni che si hanno di fronte, perché dal prenderli sul serio scatta il desiderio di studiare, l’energia per conoscere e approfondire ciò che viene loro proposto. A cura di Sara Rampa Emanuela Colombo deve essere acquisita non sia quella di un puro efficientismo, ma sia un lavoro a livello personale su cosa significhi incontrare i bambini a cui si andrà ad insegnare, quali siano i bisogni e le necessità a cui si dovrà rispondere e in quale modo. La prof. Emanuela Colombo è dal 2002 supervisore di tirocinio del corso di Scienze della formazione primaria presso l’università Cattolica; insegna in una scuola elementare dal 1983 a Mimssaglia mente l’università con il mondo del lavoro, la domanda di senso non può essere evitata, perché all’interno di questo percorso lo studente deve capire cosa andrà a fare in futuro e se veramente quello che ha scelto gli corrisponde. Il mio compito è aiutare a trovare il senso di ciò che stiamo facendo, per permettere di capire se il percorso scelto è quello che veramente interessa per la propria vita. Come descriverebbe la figura dell’insegnante oggi? L’insegnante è una persona in mezzo ad altre persone, che però REDAZIONE DIRETTORE: Stefano Nembrini VICEDIRETTORE: Daniele Boscolo REDAZIONE: Alice Broserà, Simone Cantarini, Andrea Cassina, Federico Dessi, Mattia Ferraresi, Luca Gabriel, Leone Grotti, Carlo Marnati, Daniele Meneghini, Marco Pedersini, Sara Rampa, Elisabetta Realini, Amir Tewfik, Daniele Valerin. HANNO COLLABORATO: Emanuele Massagli, Luca Pezzi GRAFICA: Tommaso Teggia EDITORE: Codit Stampa Digitale, via dei Fontanili 13, 20141 Milano DISPONIBILE IN AULA STUDENT POINT [email protected] STRIKE - OTTOBRE 2005 pag. 3 Università, la contro-riforma I cambiamenti che stanno per investire il nostro ateneo Il prof. Adriano De Maio me In questi ultimi anni le università italiane hanno dovuto superare la prova del tre più due, ad eccezione della facoltà di medicina. La riforma universitaria ha costituito un punto di svolta dal quale non si può tornare indietro; del resto mai come in questo momento l’università italiana aveva bisogno di una riforma: dal ’68 in poi la scuola secondaria subisce un pesante tracollo nella formazione professionale degli studenti e in ambito universitario si afferma l’idea del “tutto per tutti”. L’università perdeva così la sua vocazione elitaria senza però una riforma adeguata. La nuova formula del 3+2, che intendeva far recuperare nei primi tre anni le lacune delle scuole superiori e nei due anni successivi la formazione d’eccezione, non ha raggiunto del tutto i suoi obiettivi. Si tratta però di una riforma già riformata: è stata ormai varata la riforma “ad Y” o cosidetta De Maio, dal nome del suo ideatore, che prevede un anno di base e poi due possibili percorsi: da una parte i due anni (1+2) dall’altra due anni in preparazione di altri due anni di specializzazione (1+2+2), tra i quali la possi- bilità di scegliere il biennio abilitante all’insegnamento. Per l’attuazione di questa riforma il ministero ha lasciato libera iniziativa alle università: le sperimentazioni inizieranno probabilmente dal prossimo anno. L’Università Cattolica ha fatto molta fatica ad adattarsi alla riforma del +2, in particolare per le facoltà di Economia e Lettere, mentre facoltà come Psicologia si sono adattate più rapidamente. Per quanto riguarda la riforma ad Y se ne parlerà tra almeno un paio d’anni. Nel frattempo la riforma ha fatto emergere almeno due problemi: la selezione alle lauree scpecialistiche, ovvero il necessario calcolo dei numeri di accesso, onde evitare di “lasciare a casa” studenti in corso; in secondo luogo i problemi didattici legati alla conversione dei programmi nel passaggio dal corso tradizionale a quello riformato: da una parte si rischia il mantenimento di pro- grammi complessi e difficili a fronte del minor tempo concesso, dall’altra si verifica il rischio di eccessivi tagli e semplificazioni. Di certo non manca la volontà di collaborazione: le facoltà al proprio interno stanno lavorando per questo. Una cosa, almeno a noi studenti, è chiara: nella maggior parte dei casi è assolutamente controproducente fermarsi alla laurea triennale, precludendosi un livello si specializzazione che, per livello di approfondimento delle materie e per possibilità di lavoro con i docenti, si sta rivelando essere l’occasione di vivere l’università in quanto tale, cosa non così semplice in un triennio sempre più licealizzato; da questo punto di vista siamo d’accordo con quanto affermato in un manifesto firmato da numerosi docenti universitari (maggiori informazioni presso il sito web dell’associazione Universitas University) per i quali “l’universi- tà non può e non deve perdere il suo senso originario di luogo dove si trasmette e si elabora la cultura. Il luogo cioè dove la nostra società acquista conoscenza e consapevolezza della sua storia, dei suoi valori, della situazione della nostra epoca, e cerca su questa base, nella necessaria molteplicità dei punti di vista, di costruire pensieri e paradigmi intellettuali e prospettive di azione in grado di accrescere e perfezionare la sua sostanza spirituale e umana. Se viene meno questa trama di fondo anche la formazione delle competenze professionali si disarticola e si riduce a ben poca cosa. Senza la sua radice culturale e umanistica, senza il carattere che è stato originariamente suo di libera comunità di studio e di saperi, l’università non solo perde se stessa, ma anche ogni vera funzione sociale.” Carlo Maria Marnati Università per tutti? Forse no Il “progetto di vita” alternativo per chi è diversamente abile Da qualche anno ci siamo interessati al problema della presenza dei disabili nella nostra università. La gestione dei servizi ai disabili si è complicata dopo la fine della leva obbligatoria, fatto per cui sono venuti a mancare gli obiettori di coscienza che svolgevano queste attività. In seguito, a Roma, è stato bocciato un progetto della Cattolica per l’utilizzo dei giovani del servizio civile volontario come supporto ai ragazzi non indipendenti. La Cattolica non può avvalersi di forti finanziamenti statali come avviene nelle università pubbliche, anche se il suo nome e la sua impostazione educativa dovrebbero garantire un’attenzione particolare a questo tipo di problematica. Durante lo scorso anno, anche sotto nostra sollecitazione, sono nati vari progetti e, se pur con grandi difficoltà, la situazione sembra migliorare. Ma ciò che ci ha davvero sconcertati parlando con il professor D’Alonzo, delegato del Rettore per “l’integrazione degli studenti disabili di tutte le sedi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore”, non sono tanto le difficoltà legate all’assenza di fondi, quanto la concezione dell’uomo e dello studente che sta alla base dell’agire nei confronti di questo scuole per disabili, centri specializzati. Un altro problema, ha sostenuto sempre D’Alonzo, è dato dalle famiglie, che talvolta scelgono l’università come luogo di parcheggio dei loro figli, pretendendo anche un servizio completo. I suoi studi e la sua esperienza dimostrano che per questi ragazzi è impossibile vivere l’Università dalle 9:00 alle 18:00 (come noi di Ateneo Studenti stiamo proponendo in questi giorni a tutte le matricole all’ingresso dell’Università) ed è anche impossibile che l’università sia per loro un momento di crescita scientifica e umana, come è per tutti. Eppure da più di un anno un gruppo di nostri amici sta aiutando nello studio un ragazzo tetraplegico che frequenta la Facoltà di Lettere e Filosofia (un ragazzo che probabilmente appartiene a quel 5%). Questo aiuto ci è stato espliproblema. D’Alonzo, docente di mettono a chi ne è portatore di citamente rimproverato, perché “Pedagogia dell’intervento specia- affrontare con successo gli studi. incoraggerebbe la pretesa della le” e di “Problematiche educative La formazione universitaria mira famiglia di fargli frequentare speciali”, ci ha spiegato che il suo all’inserimento nel “mondo socia- l’università, pur non avendone le ufficio ha un “progetto di vita” su lizzato” a cui questi ragazzi reste- capacità. Ma i ragazzi che stanno ogni ragazzo disabile che frequen- rebbero sempre estranei. Perciò con Fabio non hanno nessun ta la Cattolica. Tramite un grafico bisognerebbe, con le “buone” o “progetto di vita” su di lui, lo aiuimprovvisato, ci ha illustrato con le “cattive”, far capire alle tano come studente, lo aiutano come vi siano delle forme di han- famiglie interessate che non può perché è diventato loro amico. dicap (alle quali appartiene alme- essere questo il percorso adatto al Non è pietismo, non è pedagogia, no un 5% dei ragazzi che frequen- proprio figlio, al quale andrebbe- è la semplice condivisione del tano la nostra sede) che non per- ro proposte strade alternative: bisogno più comune in università: lo studio, e chi sta con lui si è accorto, in questi anni, di una sua crescita sia a livello scientifico che umano. Perché Fabio non può fare l’università? I “progetti di vita” li lasciamo agli “educatori”, ma ci permettiamo di suggerire un metodo: la Cattolica faccia di tutto per accertare se il ragazzo disabile è capace di trattenere le nozioni studiate, se all’interrogazione riesce a dimostrare effettivo impegno e comprensione, seppur parziale, della materia. Per fare questo utilizzi qualsiasi mezzo possibile: tutor, computer, traduttori, libri appositi… Il criterio, a quel punto, sarebbe oggettivo: se il ragazzo capisce è incontestabilmente idoneo a frequentare l’università. Questa conclusione è frutto della realtà, non di un disegno ideologico o a priori; noi siamo pronti anche ad impegnarci pubblicamente per difendere questo diritto che è di qualsiasi studente. Cosa se ne farà della laurea, lui che nel “mondo socializzato” non entrerà mai? Questo sarà la vita, e non un progetto, a deciderlo. Emmanuele Massagli, responsabile di Ateneo Studenti STRIKE - OTTOBRE 2005 pag. 4 Centocanti: e la Commedia rivive Storia di un’associazione nata per riconsegnare Dante al popolo Viene in mente “Fahrenheit 451”, il romanzo in cui Ray Bradbury immagina un’epoca dove i libri sono illegali e vengono dati alle fiamme, e dove un pugno di uomini lottano per preservarne il ricordo imparandoli a memoria. Ci auguriamo che il futuro non riservi questo destino al nostro Dante, ma forse è meglio cautelarsi: è iniziata così, quasi per scherzo, l’avventura dell’ associazione dantesca Centocanti, fondata da un gruppo di studenti dell’università Cattolica. O, più profondamente, dalla convinzione che valga ancora la pena conoscere Dante, e che non ci sia miglior modo di incontrarlo che attraverso l’apprendimento a memoria: come lui stesso suggerisce in Paradiso V, “ché non fa scienza, sanza lo ritenere, l’avere inteso”, non è conoscenza l’aver ascoltato una cosa se non la si fa propria. E’ stata questa la scintilla iniziale: trovare almeno cento persone che imparassero un canto a memoria della Commedia e costituire così una Divina Commedia vivente. Due sole le condizioni: avere meno di 35 anni (“Nel mezzo del cammin di nostra vita”), perché coloro che più rischiano di dimenticare Dante sono proprio i giovani, annoiati da un autore sempre più ingabbiato in ambiti accademici e specialistici. E poi fare di tutto per conoscere e far conoscere l’opera di Dante, ovunque; è così partito il primo progetto dell’associazione, il Progetto Centocanti appunto, cui stanno aderendo ragazzi da tutta Italia e non solo: in arrivo le prime adesione da Olanda, Spagna e America. Una delle prime è stata proprio una ragazza di Seattle, Allison, a cui è stato assegnato il canto XIII dell’Inferno: trascorso il mese concesso dall’associazione per imparare il canto, lo ha recitato, nonostante la patina di slang, Il cinghiale collassato Non si finisce mai di imparare. Come quando prendi in mano il Cinghiale Corazzato, il giornalino del Movimento Universitario Padano , e scopri … ...una novità sorprendente: dal 2001 siamo in guerra e “si muore un po’ ovunque”. ...che ci siamo sentiti fare più volte la domanda “Colpiranno in Padania o in Italia?”. ...evidenti casi di priapismo (c’è chi firma l’editoriale con “Duri per durare”). ...le avvincenti vicende del campo nomadi a Verona. ...che a Verona gli zingari sono mente più coordinata di Flavia apostrofati con il gentile vezzeg- Vento”. giativo “sengali”. ...la direzione di gara dell’arbitro Moreno agli ultimi mondiali è ...che, sulla pena di morte, Davide stata “impeccabile” . Alemanni la pensa diversamente da Piergiorgio Seveso. ...che se per caso vi trovate vicino ad Albaredo, località Scoccia, non ...che Gianfranco Fini è un bel- potete non assaggiare il leggendal’uomo anche con la kippah. rio formaggio del pastorello Eriù (curioso nome affibbiatogli da ...che, in un giornale che si rispet- “un cacciatore che veniva da lonti, ci si può firmare “Ci-enne e tano e pronunciava solo due paroEffe-Effe”. le, Eriù e Bittu”). ...che è bello occupare quattro facciate con foto curiose di indubbia utilità . ...un’interessante profilo di Afef che scopriamo essere “neuronica- ...che la pittoresca Végia Giosa “ben prima della nascita di Gesù Bambino vegliava sulle genti” che popolano le valli del Bitto. ... “Parlato semplice: IL CANNI- BALE”, un’interessante disquisizione mai banale sulla società del progresso in cui potrete trovare evergreen del calibro di: “ieri come oggi, ci si fa la guerra l’uno con l’altro per sopravvivere” o “vivi e lascia vivere”. ...che “uno del MUP, che di tolleranza ne ha molto poca”, sa bene cosa sia “la tolleranza, quella vera”. ...che i gufi, nel loro piccolo, sono molto educati. Al prossimo numero... La Redazione senza sbagliare un accento. E se gli chiedete perché la fatica di imparare un testo così lungo in una lingua straniera, vi risponde: “Ne vale la pena, perché la lingua di Dante è la mia lingua; non la sento come straniera, è una lingua universale, perché è la lingua della verità. E la verità è ciò che più corrisponde alla mia vita”. Almeno una volta all’anno tutti gli aderenti al progetto si riuniranno in declamazione no-stop dell’intera Commedia, presso luoghi significativi come la tomba di Dante a Ravenna…e non è finita qui: da questo spunto iniziale è nata poi l’idea di cominciare a leggere Dante in scuole e università o in occasione di convegni e incontri pubblici, mossi dall’impeto di comunicare a tutti quello che di interessante scaturisce dall’incontro con il poeta fiorentino. Ed il successo delle prime uscite pubbliche non è dovuto a particolari approfondimenti critici quanto al tentativo di leggere la Commedia lasciandosi provocare da ciò che l’uomo Dante ha da dire a noi, uomini del XXI secolo. Inoltre stanno nascendo importanti rapporti di collaborazione con enti ed istituzioni dantesche, quale il Centro di studi Dantesco di Ravenna…insomma, si tratta di un esempio di come quello che si studia in università, che sia Dante, economia, o il diritto privato, possa essere lo spunto per prendere sul serio ciò che più appassiona. E’ un inizio possibile per tutti: da questi anni di università non ci aspettiamo niente di meno. Stefano Nembrini Per ulteriori informazioni: Fax: 1782755719 segreteria@centocanti www.centocanti.com Ogni anno Ateneo Studenti organizza per le matricole gruppetti di aiuto allo studio per gli esami più importanti. Inizieranno da ottobre presso lo Student Point gruppetti di: ECONOMIA: matematica generale, economia aziendale, economia politica I (Emanuele Massagli 328-2591722). SCIENZE POLITICHE: Scienza politica, economia politica (Chiara Colombini 340-3486829). LETTERE E FILOSOFIA: letteratura italiana I, lingua latina e greca (Andrea Sansonetti 3339014259). GIURISPRUDENZA: diritto privato (Giovanna Camilli 340-8249583). LINGUE: lingua inglese, spagnola, tedesca e russa. (Giovanni Beachi 348-3622845). MAGISTERO: filosofia morale (Elisa Ferrari 347-4918799). STRIKE - OTTOBRE 2005 pag. 5 Pacs, non si scende a patti Non una questione religiosa, ma di responsabilità civica Dopo un’annoiata parentesi estiva, è ripreso con violenza il dibattito attorno alla problematica dei Pacs. In seguito alle dichiarazioni della Cei, infatti, i giornali e le televisioni del bel Paese si sono affollati di paladini della modernità e della giustizia sociale che hanno dato libero sfogo al loro astio nei confronti di quell’inguaribile retrogrado del cardinal Ruini, contro il quale, affermano, è legittimo anche fischiare, com’è avvenuto a Siena. Sembra a questi che la Chiesa, passate di moda le streghe, per far fronte alla noia abbia deciso di ricominciare a divertirsi, dirigendo le sue intenzioni più bellicose verso il gaio mondo degli omosessuali e delle coppie di fatto, veri e propri avamposti della modernità. Perdonerete se, per orientarci in questa problematica fin troppo caotica, dovremo prima tentare di delineare per sommi capi cosa siano questi fantomatici “Patti Civili di Solidarietà”che tanto turbano il nostro dibattito politico. Invenzione parigina (legge dello stato francese dal 15 novembre 1999), altro non sono che contratti bilaterali di natura squisitamente economica, tanto che non modificano lo stato civile delle parti, ma permettono di subentrare nell’affitto della casa, ottenere la pensione di reversibilità, lasciare eredità al partner ed esse- re interpellati da parte dei medici in caso di malattia del convivente. Così configurati, altro non sono che un semplice vincolo patrimoniale, tanto è vero che per la firma del contratto non è prevista alcuna cerimonia, nemmeno la più civile e composta, ma si viene banalmente iscritti in un apposito registro. Per quanto si legga con attenzione non si troverà una parola su fedeltà, eventuali figli, soccorso reciproco: non è contemplato alcun dovere che non sia di natura economica. Detto questo, ci resta da capire quale colossale mostruosità abbia affermato il cardinal Ruini per esser oggetto di una così furiosa lapidazione mediatica. Basta leggere distrattamente l’infelice discorso per notare come, in realtà, non sia tutta farina del suo sacco: ha citato e sviluppato una parte della prolusione del 22 settembre, quando papa Benedetto XVI affermava che “matrimonio e famiglia non sono una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui.[…] Il matrimonio come istituzione non è quindi un’indebita ingerenza della socie- Locandina di propaganda dei sostenitori dei Pacs tà o dell’autorità, l’imposizione dal di fuori sulla realtà più privata della vita; è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale e della profondità della persona umana.[…]Le varie forme di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il “matrimonio di prova”, fino allo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso, sono invece espressione di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell’uomo”. Insomma, per la Chiesa non è proprio tollerabile che basti dormire con i cuscini vicini per vedere legittimata la propria unione da diritti non troppo lontani da quelli di una coppia sposata, per giunta senza contrarre le respon- sabilità derivanti ad esempio da un laicissimo matrimonio civile. Una sorta di condono morale, quindi, un’unione senza troppi vincoli per alleggerire le responsabilità di molti. La reazione non si è fatta attendere: si sono infiammate le critiche e hanno infuriato i fischi da parte del mondo “laico” contro la possibilità di esprimere la propria opinione, esercizio del tutto inopportuno per un cardinale. Tra i vari critici troviamo anche personalità del calibro di Massimo D’Alema, che si distingue lamentando che “la società non può non farsi carico del fatto che in questo Paese ci sono 500mila coppie di fatto eterosessuali o omosessuali”. L’amore per i grandi numeri, però, tradisce l’onorevole: infatti, la calcolatrice testimonia inflessibile che tale cifra non rappresenta nemmeno lo 0.9% degli italiani. Curioso che, come la quasi totalità del mondo politico, D’Alema non spenda una parola riguardo all’urgenza di una nuova politica per la famiglia, istituzione che interessa invece ben 43.250.000 italiani (fonte Istat). Si dirà che le minoranze vanno tutelate, e questo è sacrosanto (Chiesa esclusa, sembra). Ma se è vero, come ci insegna la pubblicità, che la vita è fatta di priorità, non si vede perché la politica debba fare eccezione. A ben vedere, l’unica vera colpa della Cei è stata forse la scomoda denuncia del fatto che i Pacs non sono che un “fenomeno assai marginale anche rispetto alla sua effettiva rilevanza sociologica, a fronte invece della grave mancanza di politiche a sostegno della famiglia”. Infatti, l’entusiasmo con cui buona parte del mondo politico ha sposato la causa dei Pacs non convince, è uno spaventapasseri talmente bello da apparire palesemente finto. Nella scomoda veste di passeri, chiediamo invece una politica seria e coraggiosa nei confronti della famiglia, per cui si è fatto poco e si propone ancora meno, preferendo rifugiarsi in problemi più confortevoli, ma artificiali. Marco Pedersini Di cosa davvero si discute al Sinodo Dal Papa a Sodano: stralci dagli interventi dei vescovi a Roma “Quando celebrano l’Eucaristia, “i fedeli possono rivivere in qualche modo l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: “Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24, 31). Per questo Giovanni Paolo II afferma che l’azione eucaristica suscita stupore. Lo stupore è la risposta immediata dell’uomo alla realtà che lo interpella. Esprime il riconoscimento che la realtà gli è amica, è un positivo che incontra le sue attese costitutive. (…) Incertezza e timore, invece, possono subentrare in un secondo tempo nell’esperienza dell’uomo, quando, a causa della finitudine e del male, in lui si fa strada la paura che la positività della realtà non permanga. Così, da una parte, l’azione eucaristica, come del resto l’intero cristianesimo in quanto sorgente di stupore, si inscrive nell’esperienza umana come tale. Tuttavia, dall’altra, Essa si manifesta come un avvenimento inatteso e del tutto gratuito. (…) Come i due di Emmaus, dono della libertà, nell’incontro con Dio l’uomo trova se stesso, il senso della sua esistenza e la meta del suo destino eterno, che consiste nella visione beatifica. Nell’Eucaristia avviene pertanto l’incontro tra Dio e l’uomo.” (Relazione di S.E.R. Mons. Nikola Eterovic, 2 ottobre 2005) rigenerati dallo stupore eucaristico, ripresero il proprio cammino (cfr. Lc 24, 32-33) così, il popolo di Dio, abbandonandosi alla forza del sacramento, è sospinto a condividere la storia di tutti gli uomini.” (Relazione di S.E.R Cardinale Angelo Scola, 2 ottobre 2005) “Nell’Eucaristia, pertanto, si manifesta un cammino in duplice direzione. Nel Gesù Cristo, morto e risorto, Dio stesso viene incon- tro all’uomo redento, lo purifica dai suoi peccati, lo nutre con il pane vero, quello che dà la vita al mondo (cfr. Gv 6, 33), accompagnandolo durante il pellegrinaggio terrestre verso la patria celeste. A tale percorso discendente del Signore Gesù, corrisponde quello ascendente dell’uomo che nel profondo anela ad incontrare Dio, in quanto creato a sua immagine (cfr. Gen 1, 27). Nonostante vari tentennamenti e possibili sbandamenti, connessi con il “Il primo imperativo è molto frequente nelle Lettere di San Paolo, anzi si potrebbe dire è quasi il «cantus firmus» del suo pensiero: «gaudete». In una vita così tormentata come era la sua, una vita piena di persecuzioni, di fame, di sofferenze di tutti i tipi, tuttavia una parola chiave rimane sempre presente: «gaudete». Nasce qui la domanda: è possibile quasi comandare la gioia? La gioia, vorremmo dire, viene o non viene, ma non può essere imposta come un dovere. E qui ci aiuta pensare al testo più conosciuto sulla gioia delle Lettere paoline, quello della «Domenica Gaudete», nel cuore della Liturgia dell’Avvento: «gaudete, iterum dico gaudete quia Dominus propest». Qui sentiamo il motivo del perché Paolo in tutte le sofferenze, in tutte le tribolazioni, poteva non solo dire agli altri «gaudete», lo poteva dire perché in lui stesso la gioia era presente: «gaudete, Dominus enim prope est». Se l’amato, l’amore, il più grande dono della mia vita, mi è vicino, se posso essere convinto che colui che mi ama è vicino a me, anche in situazioni di tribolazione, rimane nel fondo del cuore la gioia che è più grande di tutte le sofferenze. L’apostolo può dire «gaudete» perché il Signore è vicino ad ognuno di noi. E così questo imperativo in realtà è un invito ad accorgersi della presenza del Signore vicino a noi.” (Papa Benedetto XVI, prima congregazione generale, lunedì 3 ottobre 2005). A cura di Luca Pezzi STRIKE - OTTOBRE 2005 pag. 6 Nella tragedia, una speranza Reportage dalla catastrofe: quali i bisogni più urgenti Tramite l’ufficio stampa AVSI (Associazione Volontari per il Servizio Internazionale), abbiamo intervistato Ezio Castelli, presidente di AVSI-USA che vive negli Stati Uniti dal 2001 e che è stato nei luoghi colpiti dall’uragano Katrina nei giorni immediatamente successivi al disastro. abbiamo potuto vedere le zone allagate di New Orleans, tratti di autostrade completamente divelti, zone della costa di Biloxi. Sembrava una storia ripetuta, la “fotocopia” di Banda Aceh colpita dallo tsunami, con barconi adibiti a bar e casinò, una volta galleggianti, trasportati da vortici alti fino a sei metri e ora adagiati ben dentro la terra ferma. Ho potuto Com’era la situazione nelle incontrare famiglie e anziani rifuzone colpite dall’uragano e giati nello stadio coperto da che cosa ti ha maggiormente 20.000 posti di Baton Rouge e la impressionato? solidarietà vissuta dalla comunità vietnamita della città verso i “fraDal 10 al 14 settembre scorsi ho telli” (circa 40.000 ormai dopo i avuto il privilegio di accompagna- primi arrivi degli emigrati dopo la re S.E. Mons. Cordes mentre si caduta di Saigon del 1975) di New recava a New Orleans e Baton Orleans. E ho sentito i racconti di Rouge per esprimere la vicinanza una ostetrica dell’Ospedale e la solidarietà del Papa alle vitti- “Nostra Signora del Lago”, una me: dal portellone dell’enorme istituzione non-profit, con 700 CH 53 Sikorsky della marina Usa letti, che riferiva di infermiere e personale che da New Orleans La Fondazione AVSI hanno trasferito sulle loro vetture (Associazione Volontari per il private malati e bambini, perfino Servizio Internazionale) è una prematura di poco più di un un’organizzazione non goverchilo che è stata rimessa nell’innativa senza scopo di lucro cubatrice dopo 70 km di strada. nata nel 1972 e impegnata in Oppure la testimonianza di una progetti internazionali di coosuora di un ospizio per anziani, perazione allo sviluppo. Ad che raccontava come nel giro di oggi è presente in Africa, due giorni sono riusciti a trasferiAmerica, Medio Oriente ed Est re più di 300 persone non-autoEuropeo. sufficienti in quattro ospizi diversi sparsi nella Louisiana. Ovviamente il numero dei morti è difficile da dimenticare. Come anche i racconti dei vari trasferimenti in fretta e furia che hanno separato i bambini dalle proprie mamme, verso destinazioni lontane, soprattutto per chi non aveva parenti o amici cui appoggiarsi nelle zone limitrofe o semplicemente mezzi privati per fuggire. I sopravvissuti vogliono rientrare, tornare a casa. Anche quelli che hanno perso tutto di quel poco che avevano. Quello che mi ha maggiormente colpito è stata la conferma, guardando i volti delle persone cui mons. Cordes si rivolgeva, che ciò di cui tutti hanno smisuratamente bisogno e che più corrisponde alle condizioni di ciascuno, facili o difficili che siano, è la carità: il dono di sé commosso per un ideale intravisto vero. I pallets di alimenti o l’organizzazione per la distribuzione e il soccorso ci vogliono eccome, ma solo l’essere guardati ed abbracciati nel proprio destino fa veramente la differenza. Le polemiche riguardanti il ritardo nei soccorsi e la cattiva organizzazione della protezione civile americana sono fondate? Il dibattito, le accuse sui ritardi nell’intervento, sulla complementarità e le competenze tra gli enti statali e federali, sul disinteresse verso le fasce marginali c’è stato, c’è. Qui in America, però, sembra relegato a tema per gli articoli dei giornali o ai circoli governativi. È come se in realtà non c’entri con la vita di ogni giorno; non ha fermato e non ferma l’iniziativa della “società civile”. Più che la poderosa ed esuberante macchina civile e militare che si è messa in moto e più che gli stanziamenti finanziari, mi impressiona vedere in azione l’indomita volontà di riprendere, di ricostruire, di intraprendere, di rischiare, di non risparmiarsi. trasferiti ad AVSI-USA a sostegno del suo programma di interventi. Più che a fornire generi di prima necessità, per evitare sovrapposizioni, AVSI-USA sta impiegando i fondi raccolti per aiutare gli sfollati ad avere un’adeguata sistemazione abitativa, principalmente a Baton Rouge e Laplace, dove si sono rifugiati da New Orleans, e a Houston e Plano in Texas. L’iniziativa sostiene anche le famiglie che hanno accolto in casa gli sfollati, aiutando questi ultimi a trovare un lavoro e, soprattutto, permettendo ai giovani di continuare a studiare presso nuove scuole. In sintesi, un’iniziativa sul medio periodo che vuole aiutare le persone colpite dalla furia dell’uragano Katrina a ricostruire Come AVSI ha intenzione di una vita “normale”. muoversi per contribuire Daniele Valerin alle opere di assistenza alla Conto corrente per le donazioni: popolazione colpita? Credito Artigiano Sede Milano Stelline Di fronte a questa catastrofe la Conto corrente n° 000000005000 Fondazione AVSI, facendo prointestato AVSI prio l’appello del Papa e risponABI: 03512- CAB 01614 - CIN Z dendo alla disponibilità di tanti Causale: “Emergenza uragano suoi sostenitori, ha lanciato una Katrina” raccolta fondi anche in Italia. IBAN IT 68 Tale campagna si affianca a quelZ0351201614000000005000 la che AVSI-USA ha avviato negli BIC (Swift code) ARTIITM2 Stati Uniti nei giorni immediatamente successivi alla catastrofe. I Donazioni possibili anche tramite il sito www.avsi.org fondi raccolti in Italia verranno STRIKE - OTTOBRE 2005 pag. 7 Gaza e il dilemma di Abu Mazen Le priorità della palestina all’indomani del ritiro di Israele Nessuno ci avrebbe scommesso. E invece è accaduto. Eravamo stati abituati a considerare la questione come una malattia cronica che, per quante cure si fossero adottate, non sarebbe mai migliorata. E invece abbiamo assistito ad una rigenerante boccata d’ossigeno. È accaduto che le colonie ebraiche sono state sgomberate dalla striscia di Gaza trent’anni dopo la vittoria sull’Egitto: un evento di portata storica, perché costituisce un passo decisivo verso la risoluzione di un conflitto, quello israelo-palestinese, che ha insanguinato, e tutt’ora insanguina, il Medio Oriente da oltre mezzo secolo. Disinnescando una delle ragioni del terrorismo islamico - l’occupazione ebraica in territorio palestinese - il governo israeliano ha mostrato segni concreti della sua volontà di porre fine alla guerra. Ora la mossa decisiva tocca all’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen, che si trova in difficoltà a gestire una “tregua” attuata per esclusivi meriti del governo di Tel-Aviv. Il primo compito è quello di controllare gli estremisti di Hamas (che ha promesso che ciò che accaduto è il primo passo verso la cacciata degli ebrei dalla Palestina), sempre più irrequieti e insofferenti ai richiami all’ordine. Insomma, il problema cruciale or a per i palestinesi è vincere la sfida della pace. Sfortunatamente in questi ultimi tempi parecchi segnali ci indicano che questa importante sfida potrebbe essere perduta. Il primo segnale è l’incendio delle sinagoghe presenti nella Striscia da parte degli arabo-palestinesi. Gli ebrei hanno distrutto le loro case ma non rivelata tale. L’incendio delle sinagoghe dimostra come il problema territoriale sia soltanto uno specchietto per le allodole (europee), e di come la componente religiosa sia sempre più se in qualcosa che ricorda molto da vicino lo stile di Al-Qaida: il rapimento di un israeliano e la sua esecuzione mostrati in un video (il confronto con quanto avviene in Iraq è inevitabile), che sta diventando sempre più un problema interno palestinese piuttosto che israeliano e che quindi sia compito di Abu Mazen esercitare quella forma di controllo e prevenzione atta a contrastare il sorgere di progetti terroristici che avrebbero il solo scopo di far ritornare i tanks israeliani nei Territori. Non bisogna dimenticare che anche Hamas è una delle formazioni che concorrono alla prossima spartizione di potere all’interno dell’ANP e per questo agisce anche in termini di ricerca del consenso, prova ne è che mentre nella Striscia sono diminuiti gli attacchi, in Cisgiordania Hamas ha aumentato la sua presenza, costringendo Israele a maxiretate e raid aerei mirati. Quanto sta avvenendo, pur con i suoi risvolti drammatici e violenti, testimonia comunque che qualcosa sta cambiando in meglio. S e non si è ancora giunti alla pace, lo situazione attuale è sicuramente preferibile a quello stato di cronica rassegnazione cui eravamo abituati. La speranza è che questo cambiamento sia progressivo e duraturo. Daniele Meneghini Bambini giocano vicino al “Muro” potevano distruggere i simboli del loro culto e della loro identità. Dopo averle svuotate dei loro preziosi e dei loro oggetti sacri, le hanno lasciate alla clemenza del “nemico”, clemenza che non si è protagonista all’interno del conflitto. Un ulteriore segnale “premonitore” è la ripresa degli attentati suicidi, con conseguenti risposte israeliane, e una trasformazione del terrorismo palestine- avvenuti a fine settembre, ne mostrano la rapida evoluzione. Quanto sta avvenendo rende evidente il fatto che questo conflitto, dal punto di vista di Tel-Aviv, si sta “esternalizzando”, nel senso Prove di democrazia in Egitto Lo scontato trionfo di Mubarak e la vittoria morale di Ayman “Per la prima volta nella loro plurimillenaria storia gli egiziani sceglieranno il loro faraone”: così scriveva Magdi Allam sul Corriere della Sera il giorno prima delle storiche elezioni in Egitto del 7 settembre 2005. Storiche perché per la prima volta gli egiziani sono stati chiamati alle urne non più per esprimere un sì o un no (le rielezioni di Hosni Mubarak, 77 anni e da 24 presidente, si sono sempre svolte in precedenza nella forma del referendum, dal momento che non era ammessa la competizione nelle elezioni presidenziali), ma per scegliere tra dieci candidati il proprio presidente. Il vento democratico che soffia in Medio Oriente, dal Libano all’Anp, dall’Afghanistan all’Iraq, ma soprattutto le sollecitazioni americane ad intraprendere riforme democratiche, hanno spinto il Hosni Mubarak vecchio presidente a mettersi in gioco, formulando per la prima volta un programma ed esponendosi alle critiche. Lo ha fatto secondo le proprie regole che fanno storcere il naso a chi è abituato a feroci polemiche sul minutaggio in televisione dei politici. In particolare ha impedito agli osservatori internazionali di vigilare sulla correttezza dei conteggi (eppure i propri osservatori li aveva mandati in Palestina, in occasione delle elezioni presidenziali palestinesi), ha messo a disposizione autobus nelle campagne (dove il consenso per lui è molto forte e non si conoscono gli altri candidati) per portare la gente ai seggi e altri numerosi brogli denunciati da oppositori e Ong. Il 7 settembre dei 32 milioni di egiziani aventi il diritto di votare si sono recati ai seggi solo il 23%, un’affluenza bassa anche per chi in questi mesi ha parlato di sete democratica nel mondo arabo. Nessuna sorpresa, il popolarissi- mo Mubarak ha ottenuto l’88% dei voti. Sconfitto alle elezioni ma vincitore morale è Ayman Nour, avvocato 41enne, presidente del neonato partito liberale Al Ghad (Il domani) e forte oppositore di Mubarak, che ha ottenuto poco meno del 10% dei consensi. I giorni antecedenti al voto aveva dichiarato che, senza brogli, sarebbe andato al ballottaggio con Mubarak: in realtà è già stato un buon risultato superare il terzo candidato Noaman Gomaa, 70 anni, del Wafd, il più antico partito egiziano (protagonista della lotta anticoloniale nella prima metà del secolo scorso). Se le presidenziali non davano certo dubbi sul proprio esito, la battaglia per gli oppositori di Mubarak è rimandata a novembre quando si terranno le elezioni per i rappresentanti all’Assemblea Nazionale nelle quali si prospetta, grazie a questo assaggio di democrazia, una rappresentanza dell’opposizione molto più significativa dell’attuale (il partito al governo detiene il 95% dei seggi). Intanto Mubarak, che nei manifesti che continuano a tappezzare Il Cairo appare sempre molto più giovane di quanto sia in realtà (qui forse sta la più grande somiglianza con la democrazia italiana), ha prestato giuramento ed ha poi fatto ritorno alla residenza presidenziale, per esserne illustre inquilino ancora per altri 6 anni, ad Allah piacendo. Amir Tewfik