SICUREZZA DEGLI IMPIANTI INDUSTRIALI
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Cattedra di Sicurezza degli Impianti Industriali
Appunti del Corso di
Sicurezza degli Impianti Industriali
Dispensa 6
L’AMBIENTE TERMICO
Lorenzo Fedele
Autori:
L. Fedele
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SICUREZZA DEGLI IMPIANTI INDUSTRIALI
INDICE
1.
INTRODUZIONE: L’EQUAZIONE DI BILANCIO ENERGETICO DELL’ORGANISMO
2.
GLI AMBIENTI TERMICI MODERATI
3.
GLI AMBIENTI CALDI
4.
INTERVENTI IN AMBIENTI TERMICAMENTE DIFFICILI
5.
QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CIVILI
6.
INQUINAMENTO CHIMICO AERODISPERSO IN AMBIENTI INDUSTRIALI
7.
GLI IMPIANTI TERMICI
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1.
INTRODUZIONE: L’EQUAZIONE DI BILANCIO ENERGETICO DELL’ORGANISMO
L’ambiente termico è l’ambiente di lavoro del personale, con particolare riferimento alla
condizione termica dell’organismo e quindi ai flussi termici ed alle grandezze termiche che
interessano il corpo (sensazione di caldo o di freddo). L’uomo viene considerato come un sistema
energetico separato dall’ambiente, soggetto a flussi di energia entranti ed uscenti e capace di
trasformare energia in conseguenza di reazioni chimiche esoergoniche1 legate al metabolismo.
Prima di definire l’equazione di bilancio energetico dell’organismo, occorre introdurre la
simbologia appropriata e fare alcune considerazioni.
Sia:
M,
W,
C,
I,
K,
Cres,
Eres,
E,
S,
dispendio energetico di origine metabolica (cioè dovuto alle funzioni vitali
dell’organismo umano)
lavoro meccanico prodotto sull’esterno
il calore scambiato per convezione
il calore scambiato per irraggiamento
il calore scambiato per conduzione
il calore sensibile ceduto per mezzo della respirazione
il calore latente2 ceduto a causa delle respirazione,
l’energia perduta per l’evaporazione del sudore presente sulla superficie corporea
(traspirazione/sudorazione)
un termine di accumulo energetico.
Si formulano, inoltre, le seguenti due considerazioni:
relativamente al sistema organismo, vengono considerati, positivi i flussi energetici
entranti, negativi quelli uscenti;
i flussi, infine, vengono definiti per unità di tempo e di superficie corporea (W/m2).
1.
2.
L’equazione di bilancio energetico dell’organismo, dunque, è la seguente:
M + W + C + I + K + Cres + Eres + E = S
(6.1)
In base all’equazione (6.1), si determinano condizioni di equilibrio termico quando la sommatoria
del primo membro risulta nulla; quando, al contrario, risulti positiva o negativa si registrerà un
accumulo positivo o negativo di calore con conseguente aumento o diminuzione di temperatura del
nucleo corporeo. L’organismo, inoltre, è dotato di un meccanismo interno di termoregolazione, che
tende a modificare le singole grandezze espresse dai termini dell’equazione in modo tale da opporsi
al verificarsi di un valore non nullo di S. In sostanza, l’organismo reagisce sempre in modo tale da
1
Che liberano energia, cioè.
2
Si tratta dell’energia occorrente a fare avvenire le trasformazioni di stato del vapore acqueo presente nell’aria; tale
energia viene scambiata a temperatura costante, dunque non produce un effetto sensibile ed è detta latente.
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tendere a ristabilire - per quanto possibile - le condizioni di equilibrio termico espresse da una
situazione in cui si abbia S = 0.
La (6.1) è funzione di sette parametri, quattro di carattere ambientale e tre di carattere personale.
I fattori di carattere ambientale sono i seguenti:
1. La temperatura dell’aria Ta, calcolata in prossimità della superficie del soggetto, in
corrispondenza di altezze diverse così da definire un valore medio.
2. La temperatura media radiante Tr, che riconduce la valutazione dello scambio alla
valutazione di una sola grandezza, tale da riassumere l’effetto complessivo dell’ambiente sul
soggetto, e funzione della differenza di temperatura e dei fattori di forma, cioè della geometria
dell’interazione uomo - ambiente. Tale grandezza è definita considerando l’ambiente come
ideale, nel quale, cioè, tutte le pareti hanno la stessa temperatura ed emissività3 pari ad uno
(pareti nere). La temperatura media radiante di un ambiente reale è pari a quella dell’ambiente
virtuale tale che lo scambio per irraggiamento risulti uguale nei due casi; in sostanza, è la
temperatura delle pareti di un ambiente virtuale in cui lo scambio per irraggiamento a carico
del soggetto considerato risulti equivalente a quello che si verifica nell’ambiente reale.
L’irraggiamento I può esprimersi per mezzo della seguente (6.2):
I = h ⋅ (Tr-Ts)
(6.2)
in cui (Tr-Ts) è la differenza tra la temperatura media radiante e la temperatura cutanea ed h è
un opportuno coefficiente di scambio. Esiste uno strumento in grado di semplificare la
procedura, il cosiddetto globo nero, costituito da un bulbo la cui temperatura è agevolmente
correlabile alla temperatura media radiante Tr, quando si siano raggiunte condizioni di regime.
Il terzo parametro ambientale da prendere in considerazione è l’umidità dell’aria r. Tale
parametro condiziona l’evaporazione dell’acqua presente negli alveoli polmonari o sotto forma
di sudore a livello cutaneo.
Infine, occorre considerare la velocità relativa dell’aria v, che influenza gli scambi energetici
fra l’uomo e l’ambiente.
3.
4.
Si hanno, poi, i tre fattori di carattere personale cui si accennava in precedenza. Essi sono:
1. Il dispendio metabolico M, che è correlato all’attività fisica. Esso può valutarsi ricorrendo alle
tabelle esistenti che danno il valore del dispendio metabolico per le diverse attività fisiche.
Viene normalmente valutato con una particolare unità di misura, il MET equivalente a 58,2
W/m2 (1 MET = 58,2 W/m2 corrisponde al metabolismo di un soggetto seduto in condizione di
riposo). La tabella presentata nel seguito illustra il valore del dispendio metabolico M per
diverse attività (Tabella 6.1).
3
Tale grandezza influenza lo scambio energetico di un materiale con l’ambiente per irraggiamento e, a parità di
radiazione, coincide con il potere assorbente. L’emittanza, altresì, rappresenta l’energia scambiata per irraggiamento.
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Dispendio Metabolico
Attività
W/m2
MET
riposo
46
0,8
seduto
58
1
in piedi
70
1,2
lavoro d’ufficio
70
1,2
lavoro leggero in piedi
93
1,6
attività moderata
116
2
attività pesante
165
2,8
Tabella 6.1 - Dispendio metabolico per diverse attività
2.
L’isolamento termico del vestiario Iv, prevalentemente funzione dello strato d’aria
intrappolato stabilmente tra le fibre e tra il vestiario indossato e lo strato superficiale corporeo.
Viene utilizzata una specifica unità di misura, il CLO, che è pari a 0,155 m2°C/W (1 CLO =
0,155 m2°C/W), all’incirca pari all’isolamento di un abito invernale da interno. La Tabella 6.2
illustra alcuni tipici valori per la resistenza termica offerta dall’abbigliamento.
Isolamento termico
Abbigliamento
m2°C/W
CLO
pantaloncini
0,015
0,1
pantaloncini, camicia a
maniche corte, calzini leggeri
e sandali
0,045
0,3
abbigliamento leggero estivo
0,08
0.5
abbigliamento da lavoro
leggero
0,11
0,7
abbigliamento invernale
0,16
1
abbigliamento pesante
0,23
1,5
Tabella 6.2 - Isolamento termico per alcune tipologie di abbigliamento
3.
Il terzo ed ultimo parametro da prendere in considerazione è il rendimento meccanico
dell’attività svolta, η:
η=
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W
M
(6.3)
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Tale valore risulta non facilmente valutabile sul campo. Viene solitamente valutato facendo
riferimento a tabelle; comunque, in generale, risulta essere minore a 0,1. Ciò significa che per
produrre 1 unità di lavoro sull’ambiente esterno, l’organismo necessita di 10 unità energetiche.
Altri parametri da prendere in considerazione, di carattere fisiologico, sono la temperatura cutanea
media tsk e la frazione di superficie corporea bagnata dal sudore, che risultano importanti al fine di
valutare il rapporto ambiente-sensazione termica. Il sistema di termoregolazione dell’uomo è
estremamente efficace; spesso è possibile garantire l’omeotermia ma, occorre aggiungere, non è
detto che ciò sia compatibile con la tutela della salute o del benessere.
La considerazione delle condizioni di benessere e di salute per l’organismo umano, sotto il profilo
termico, induce ad introdurre una semplice schematizzazione, valida in generale, fra gli effetti
dell’agente calore cui l’uomo può trovarsi ad essere soggetto e le conseguenze di questa
esposizione. Il calore scambiato fra l’uomo e l’ambiente circostante, infatti, può essere considerato
alla stregua di un agente inquinante vero e proprio.
Sia, dunque, a(t) la quantità di inquinante assorbita all’istante t; si definisce dose, D, di inquinante
assorbita la somma di tutte le quantità a(t), riferite ad istanti successivi, in un prefissato intervallo
di tempo, da un istante iniziale t = 0 ad un istante t. La dose di inquinante assorbita, dunque, può
esprimersi per mezzo della seguente equazione:
t
D = ∫ a ( t ) dt
(6.4)
0
Alla luce delle osservazioni precedenti, è anche possibile individuare un diagramma ove siano
evidenziate le diverse conseguenze dell’esposizione all’agente a(t) per un certo intervallo di tempo
Δt (Figura 6.1).
Se l’esposizione risulta limitata nel tempo (zona 1 del diagramma di Figura 6.1), la dose di agente
assorbita risulta limitata e gli effetti sono trascurabili: si può ragionevolmente affermare che
l’ambiente in cui si trova a dover soggiornare il soggetto è confortevole. Se l’esposizione è
superiore, la dose accumulata determina nell’organismo umano conseguenze spiacevoli ma,
comunque, reversibili. L’ultimo caso è quello di un’esposizione particolarmente prolungata con
assorbimento di dosi massicce di inquinante che conducono ad effetti irreversibili nel corpo
umano. E’ evidente che tali considerazioni sono relative al tipo di inquinante preso in
considerazione, nel senso che gli intervalli di tempo si dilatano o restringono a seconda della
pericolosità dell’agente considerato.
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a(t)
effetti acuti
conseguenze irreversibili
effetti tangibili
affaticamento reversibile
effetti trascurabili
ambiente confortevole
t
Fig. 6.1 - Diagramma di esposizione ad un agente inquinante
Convivere con un certo livello di inquinamento, d’altronde, in particolare modo negli ambienti di
lavoro, sembra essere una condizione ineliminabile per l’attuale livello di industrializzazione; la
schematizzazione precedente, dunque, risulta efficace in generale come anticipato.
L’analisi di un ambiente termico può anche essere effettuata per mezzo di indici microclimatici
relativi a diversi tipi di ambiente che, in generale, vengono classificati come caldi, moderati, o
freddi. Tali definizioni discendono dal modo in cui il sistema di termoregolazione dell’organismo
umano viene sollecitato, possono essere di benessere o di stress. I primi hanno come fine la tutela
del benessere i secondi la tutela della salute. Gli indici possono essere razionali, se discendono
dall’applicazione dell’equazione di bilancio termico dell’individuo, o empirici, se sono basati su
grandezze che possono essere considerate ben rappresentative della situazione di esposizione.
2.
Gli ambienti termici moderati
Si considerino i requisiti essenziali per un indice razionale di tutela del benessere in ambienti
moderati, oggetto della norma ISO 7730. Esistono tre condizioni fisiologiche fondamentali per il
benessere in un ambiente termico moderato:
• S = 0, cioè a dire il termine di accumulo dell’equazione 6.1 di bilancio energetico deve essere
nullo;
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•
modeste variazioni della temperatura media cutanea, comunque contenute nell’intorno del
valore individuato per mezzo della successiva equazione ed espresso in °C
tsk = 35,7 - 0,028 ⋅ M ⋅ (1 − η)
•
scambio termico per sudorazione compreso in un intorno ristretto del valore espresso per
mezzo della
Es = 0,42 ⋅ [ M ⋅ (1 − η) − 58]
Un individuo per trovarsi in condizioni di benessere in un ambiente termicamente moderato,
dunque, deve essere in condizioni di equilibrio (S = 0) ed avere la temperatura cutanea media e lo
scambio per sudorazione contenuti e legati al dispendio metabolico dell’organismo.
La valutazione della sensazione termica in un ambiente moderato può essere effettuata sulla base
della scala seguente:
- molto caldo
- caldo
- leggermente caldo
- neutro
- fresco
- freddo
- molto freddo.
Per individuare un legame fra la sensazione termica e l’ambiente in cui si soggiorna, si definisce il
carico termico (CT) come la differenza tra la potenza termica che un generico soggetto - in
condizioni di omeotermia - cede all’ambiente per rimanere in tali condizioni e la potenza termica
che cederebbe nello stesso ambiente se fosse in condizioni di benessere termico.
La potenza netta che l’operatore deve cedere per mantenersi omeotermo è valutata in base alla
seguente
b = M (1-η) = M - W
(6.5)
che esprime la differenza fra il dispendio metabolico occorrente a realizzare un certo lavoro W
sull’ambiente esterno e questo lavoro, appunto (si rammenta che, in generale, è η < 0,1)
La potenza termica che verrebbe ceduta in condizioni di benessere termico è data dalla:
a = C + I + E + Cres + Eres
(6.6)
Tali grandezze sono negative quando indicano un flusso energetico uscente dall’organismo. Il
valore del carico termico, dunque, è dato dalla seguente equazione:
CT= a + b
(6.7)
e risulta essere:
sensazione di caldo
se è CT > 0
sensazione di freddo se se è CT < 0
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sensazione neutra
se è CT=0.
Mediante un’equazione ricavata da Fanger sulla base di una esperienza sperimentale, è possibile
passare dal CT al cosiddetto predicted mean vote (“voto medio prevedibile”, in italiano) PMV,
cioè a dire il voto medio che un’ampia popolazione di individui esprimerebbe per la situazione
microclimatica in cui si trova:
PMV = CT ⋅ (0,303 ⋅ e( −0,036⋅M ) + 0.028)
(6.8)
La Tabella 6.3 mostra la votazione prevista dal Fanger per la sua esperienza.
Sensazione termica
molto freddo
freddo
fresco
sensazione neutra
leggermente caldo
caldo
molto caldo
Voto
-3
-2
-1
0
+1
+2
+3
Tabella 6. 3 - Sensazione termica e PMV
Il PMV, però, spesso non è sufficiente a dare una previsione accurata del livello di soddisfazione
della popolazione in un certo ambiente. Si rende necessario, quindi, introdurre un altro indice, il
cosiddetto Predicted Percentage of Dissatisfied (PPD), il quale esprime la percentuale
prevedibile degli insoddisfatti per un assegnato valore di PMV. Il diagramma della Figura 6.2
mostra il legame esistente fra il PMV ed il PPD.
I valori del PMV e del PPD possono essere considerati come parametri di progetto, richiedendo
che un qualsivoglia impianto, sia di condizionamento sia di riscaldamento, realizzi a centro
ambiente un PMV pari a zero. Normalmente il modo più corretto è quello di implementare tale
criterio al calcolatore.
Le grandezze appena viste trovano applicazione, tra l’altro, in alcuni diagrammi, che consentono
di individuare rapidamente le condizioni di benessere. Una volta fissati il dispendio metabolico e
l’isolamento termico del vestiario, tali diagrammi mostrano la temperatura operativa ottimale,
considerata per ipotesi la media aritmetica tra la temperatura dell’aria e la temperatura media
radiante. Nel caso di ambienti dove le sorgenti radianti sono poco importanti la temperatura
operativa coincide - praticamente - con la temperatura dell’aria. Nel suddetto diagramma, sono
evidenziati anche gli scostamenti dalla temperatura di comfort; questi equivalgono a scostamenti
dal valore zero del PMV circa pari a ± 0,5.
PPD
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100 %
50 %
10 %
-3
-2
-1
0
+1
+2
+3
Altri diagrammi fanno riferimento ad ambienti in cui non ci siano sorgenti radianti
significative,nei quali, cioè, la temperatura media radiante e la temperatura dell’aria coincidono.
Le curve in essi rappresentate sono ad umidità relativa costante ed hanno come parametro la
velocità dell’aria relativa al soggetto, facendo riferimento ad un certo livello di attività e ad un
prefissato isolamento termico del vestiario. Altri diagrammi ancora fanno riferimento ad ambienti
in cui la temperatura media dell’aria e la temperatura radiante sono diverse.
E’ stato dimostrato che, nel caso di ambienti moderati, l’umidità dell’aria è poco rilevante ai fini
della valutazione delle condizioni di benessere. Ampie oscillazioni del suo valore influiscono poco
sul benessere, infatti. E’ sconsigliabile, d’altra parte, scendere al di sotto del 30% di umidità
relativa, valori in corrispondenza dei quali potrebbero infatti insorgere disturbi che, normalmente,
si manifestano con problemi di secchezza delle fauci o bruciore agli occhi e potrebbero, infine,
aumentare i rischi di scariche elettrostatiche negli ambienti con moquette. Al fine di non rendere
malsano l’ambiente, inoltre, è anche sconsigliabile superare un valore di umidità relativa superiore
al 70%, che potrebbe favorire il manifestarsi di altri inconvenienti, come la formazione di muffe,
etc.
Le esperienze condotte dal Fanger, e quindi l’introduzione dei parametri PMV e PPD, hanno
consentito di modellizzare appropriatamente gli ambienti termici moderati. Prima di concludere la
trattazione di questi, però, è opportuno sottolineare che esiste quasi sempre uno scostamento fra il
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PPD teorico e quello reale. Generalmente, la differenza riscontrabile tra valori reali, riscontrati ad
esempio con interviste, e quelli del PPD teorico è giustificabile in considerazione di due diversi
gruppi di fattori:
• fattori di carattere psicologico ed organizzativo; possono essere dovuti a traslochi,
ristrutturazioni, cambiamenti dell’organizzazione aziendale, installazione di
videoterminali all’interno di ambienti non idonei, etc.
• fattori di carattere termico; i quali, ad esempio, condizionano fortemente la sensazione
ma non vengono considerati nel criterio menzionato, che ha come riferimento principale
quello del bilancio termico complessivo.
Esistono, infine, fenomeni come le correnti d’aria, che, se influenzano solo marginalmente il
bilancio complessivo dell’organismo, in realtà condizionano fortemente la sensazione termica. Per
questo motivo oltre al PMV ed al PPD occorre, negli ambienti moderati, considerare sempre le
cause ulteriori di disagio.
3.
GLI AMBIENTI CALDI
Un ambiente viene considerato caldo quando tende a far aumentare la temperatura del nucleo
corporeo sollecitando il sistema di termoregolazione con un conseguente aumento della
circolazione sanguigna a livello della cute e successiva emissione del sudore che evapora.
L’insieme di questi eventi determina un aumento della frequenza cardiaca, provocando un
conseguente aumento del carico del sistema cardiocircolatorio. Qualora le misure ambientali non
risultassero sufficienti a valutare un ambiente caldo, vengono rilevate misure di carattere
fisiologico tra cui quella della frequenza cardiaca e dell’emissione di sudore.
Se la quantità di acqua e, quindi, di sali emessi risultasse eccessiva potrebbero determinarsi anche
scompensi a carico dell’apparato digestivo. Se la portata di sudore richiesta dall’organismo per fare
fronte all’eccessivo caldo fosse eccessiva, l’organismo potrebbe non essere in grado di realizzarla e
la temperatura del nucleo corporeo potrebbe aumentare con conseguente deterioramento delle
cellule. Il cosiddetto colpo di caldo è un classico esempio di aumento non controllato della
temperatura del nucleo corporeo.
Le principali indicazioni normative tendono ad impedire che la temperatura del nucleo corporeo
aumenti oltre un grado centigrado rispetto al valore ottimale.
Gli ambienti caldi sono, solitamente, ambienti industriali nei quali si verificano tipiche condizioni
quali:
•
elevate temperature;
•
elevata umidità;
•
sorgenti radianti molto intense.
Frequentemente, in questi ambienti si generano - tra l’altro - correnti d’aria.
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Il criterio adottato per questo tipo di ambienti è quello relativo alla norma ISO 7243, basato sul
cosiddetto indice WBGT, Wet Bulb Globe Temperature. La WBGT è una temperatura media tra
le due temperature, del bulbo umido a ventilazione naturale (tbu) e del globo nero (tg)4.
L’indice WGBT può essere espresso per mezzo di due relazioni, utilizzabili in condizioni
differenti:
•
in assenza di radiazioni solari, prevalentemente per ambienti esterni, risulta essere
(6.9)
WBGT = 0,7 ⋅ tbu + 0,3 ⋅ tg
•
in presenza di radiazione solare, e ancora in ambienti esterni è
WBGT = 0,7 ⋅ tbu + 0,2 ⋅ tg + 0,1 ⋅ ta
(6.10)
ove ta è la temperatura ambiente.
L’indice WBGT è stato messo a punto all’inizio del secolo con riferimento alle esposizioni dei
soldati americani nel deserto, avendo l’obiettivo di ridurre il numero di colpi di calore cui erano
soggetti durante le marce.
La tbu è la temperatura misurata per mezzo di un opportuno sensore, il termometro a bulbo umido
a ventilazione naturale, costituito da un bulbo termometrico rivestito di una guaina di materiale
idrofilo, tenuta immersa in una vaschetta contenente acqua distillata. Esso scambia calore con l’aria
ambiente per irraggiamento, per convezione e per evaporazione dell’acqua che imbeve la guaina
idrofila. In conseguenza di questi scambi, a regime, il bulbo raggiunge una certa temperatura
proprio in dipendenza delle condizioni di temperatura, di ventilazione, di umidità e di
irraggiamento termico in quel punto dell’ambiente.
Il globo nero è l’altro sensore occorrente a valutare il parametro WBGT. Esso consiste di una sfera
cava, dello spessore di pochi decimi di millimetro, di materiale metallico, riempita d’aria e
sigillata, dipinta di nero così da conferirgli un’elevata emissività. All’interno del globo è
posizionato un bulbo termometrico che misura la temperatura dell’aria contenuta all’interno del
globo, in definitiva la temperatura del globo nero. Il globo in questione scambia calore con
l’ambiente solamnete per radiazione e per convezione. Il coefficiente di scambio termico
convettivo dipende da una parte dalla velocità dell’aria, e dall’altra dal diametro del bulbo
termometrico. Pertanto, bulbi con diametri diversi assumono temperature diverse a parità di
condizioni microclimatiche. L’indice WGBT in uno stesso punto, dunque, assumerebbe valori
diversi. Si è ritenuto, pertanto, opportuno usare un bulbo di dimensioni standard che approssimi al
meglio il corpo umano, in relazione al rapporto tra scambi radiativi e convettivi; il valore del
diametro ottimale è stato stimato essere pari a 15 cm.
Questo indice, in definitiva, risulta esser sufficientemente attendibile. Esso non considera le
grandezza personali come l’isolamento termico del vestiario ed il dispendio metabolico e la norma
4
Della temperatura del globo nero si è parlato a proposito della temperatura media radiante; la temperatura di bulbo
umdo è la temperatura che può essere valutata per mezzo di uno psicometro, uno strumento occorrente a misurare
l’umidità dell’aria.
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ISO specifica che i valori limite forniti possono essere usati solo per un individuo vestito in modo
leggero, 6 CLO. Il dispendio metabolico viene preso in considerazione attraverso valori limite
dell’indice WBGT espressi in gradi centigradi. Un individuo è considerato acclimatato quando
risulta esposto all’ambiente caldo da almeno sette giorni.
Gli ambienti industriali sono normalmente ventilati ed i valori della WBGT da assumere sono più
elevati. E’ molto difficile in questo tipo di ambienti, inoltre, poter ritenere costante il dispendio
metabolico o il valore WBGT. L’operatore, infatti, risulta spesso in moto ed occupato in attività
diverse. Normalmente, allora, si prende in considerazione valori medi della WGBT.
Ambienti freddi
Gli ambienti freddi possono essere di vario tipo ma, innanzi tutto occorre distinguere tra gli
ambienti di lavoro freddi dei paesi nordici dagli ambienti freddi, ma più moderati, cui farà
riferimento la nostra analisi.
Si considerano ambienti freddi quelli nei quali le temperature possono essere dell’ordine di qualche
decina di gradi inferiori allo zero, cioè -25 °C, -30°C, -40°C. In questi ambienti si può registrare
una moderata e lenta ipotermia (tendenza generale del corpo a diminuire la propria temperatura
media), cui è normalmente associata una perdita di destrezza manuale.
Verranno presi in considerazione ambienti di lavoro freddi che soddisfano le seguenti condizioni:
• temperatura operativa top = - 30 ± + 10 °C
• velocità dell’aria
va = 0 ± 0, 5 m/s.
Non esiste, di solito, un unico intervento risolutivo per consentire di fare fronte a condizioni
ambientali così severe e stringenti. E’ necessario, quindi, muoversi verso più direzioni:
Vestiario
I meccanismi di termoregolazione fisiologici hanno una potenzialità limitata, è invece molto
importante indossare un idoneo vestiario. Infatti, piccole variazioni nell’ambito delle scelte degli
indumenti hanno grandissima influenza nel campo del benessere termico.
Climatizzazione locale
Se l’ambiente è freddo per esigenze tecnologiche, esso, evidentemente, deve rimanere freddo. In
questi casi, è possibile riscaldare creando condizioni climatiche locali che permettano all’operatore
di raggiungere una condizione accettabile, nonostante l’ambiente.
Provvedimenti diversi
Si dovrà prestare particolare cura ed attenzione al raffreddamento delle mani e dei piedi; a tale
scopo esistono diversi mezzi che consentono di ovviare a tali inconvenienti.
Come si è detto, relativamente agli ambienti freddi, il meccanismo principale di termoregolazione è
funzione del vestiario. Il criterio si basa sull’equazione di bilancio termico con riferimento
all’equilibrio termico (equazione 6.1) e determina quei valori del livello di isolamento relativi al
vestiario che annullano il primo membro dell’equazione nello specifico ambiente:
E(Iv) + M + W + C(Iv) + I(Iv) + Cres + Eres =0
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In questa equazione, come si può constatare, il vestiario interviene sia nello scambio per
convezione ed evaporazione del sudore, sia nello scambio per irraggiamento. L’equazione può
essere risolta assumendo come incognita proprio l’isolamento termico del vestiario: il valore che si
ottiene è quello richiesto. La (6.11) può anche essere risolta con due condizioni al contorno:
1. Considerando un individuo in condizioni di neutralità termica, il valore di isolamento
determinato è quello necessario a determinare neutralità termica ed omeotermia. L’isolamento è
detto, allora, ottimale. Analiticamente la suddetta condizione viene realizzata inserendo
nell’equazione di bilancio termico una temperatura cutanea espressa per mezze della seguente:
tsk = 35,7 - 0,027 ⋅ M
(6.12)
Relativamente allo scambio termico per sudorazione, si assume una frazione di area bagnata pari
al 25% del corpo.
2. Considerando un individuo avente una moderata sensazione di freddo, si determina un
isolamento definito minimo. La temperatura cutanea è assunta pari a: tsk = 30 °C, in condizioni
di assenza di sudorazione con W=0,06.
Questo metodo, in definitiva, consente di pervenire a due valori adottabili, uno massimo ed uno
minimo. Il valore dell’isolamento del vestiario determinato potrà essere adottabile, se possibile si
adotta quello ottimale o, almeno, quello minimo, o sarà necessario limitare l’esposizione. Il tempo
limite di esposizione verrà valutato considerando una diminuzione della temperatura corporea
compatibile con le esigenze del fisico. Nel caso in cui l’isolamento termico del vestiario reale sia
inferiore all’isolamento minimo si tollera una diminuzione del contenuto termico del corpo Q fino a
40 Wh/m2 che corrisponde ad una variazione di temperatura del corpo di circa 0,6 ± 0,7 °C. La
durata limite dell’esposizione si valuta, allora, considerando il rapporto fra il valore limite Q
individuato ed il termine di accumulo S desunto dall’equazione di bilancio termico dell’organismo:
D=
Q
S
(6.13)
con Q = - 40 Wh/m2.
Dopo aver superato il tempo limite di esposizione, l’operatore dovrà essere allontanato
dall’ambiente in cui opera per essere inserito in un ambiente ben climatizzato per poter recuperare.
4.
INTERVENTI IN AMBIENTI TERMICAMENTE DIFFICILI
La situazione termica di un ambiente caldo o freddo, dunque, può essere modificata variando il
dispendio metabolico o il vestiario.
Sul primo è possibile intervenire riducendo i valori medi di dispendio metabolico, ad esempio
introducendo alcune pause o effettuando opportune rotazioni degli operatori addetti, o
automatizzando alcune operazioni, o spostando le attività particolarmente pesanti a momenti più
favorevoli dal punto di vista climatico. Questi interventi, però, sono di limitata applicabilità, come
è facile comprendere.
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Relativamente al vestiario, è necessario valutare le abitudini, i desideri e le preferenze degli addetti
ai lavori. Le correnti d’aria, ad esempio, causano molti fastidi agli addetti ai lavori; pertanto, è
consigliabile una copertura delle parti del corpo più soggette, quali le caviglie ed il collo. Gli
indumenti devono essere il più possibile permeabili al vapore d’acqua, al fine di impedire
l’accumulo di sudore all’interno. Si cerca di favorire il raffreddamento dell’organismo
dell’individuo diminuendo il livello di isolamento termico del vestiario. Si possono generare alcuni
inconvenienti in un ambiente con aria calda, ad esempio, diminuendo il livello del vestiario si
favorisce la cessione di calore dall’aria ambiente all’organismo per convezione. In un ambiente
caldo, ma sufficientemente secco, la riduzione del vestiario favorisce l’evaporazione del sudore e
rappresenta quindi un intervento favorevole. La riduzione del livello di vestiario negli ambienti
industriali si scontra, però, con l’esigenza di protezione degli operatori e, quindi, non sempre è un
intervento attuabile. Si pensi ad eventuali schizzi di materiale liquido, proiezione di particelle,
polveri, senza poi menzionare la necessità di proteggere l’operatore da tutte le eventuali sostanze
cutanee inquinanti.
In un ambiente caldo, più che l’isolamento è necessaria la permeabilità all’acqua al fine di garantire
la permeabilità al sudore. In presenza di forti sorgenti radianti, è opportuno indossare indumenti
riflettenti dotati di una parte metallica in grado di riflettere le radiazioni.
In ambienti freddi si possono adottare mezzi di protezione atti a salvaguardare parti del corpo
soggette a raffreddamento, quali mani, dita, piedi, padiglioni auricolari, e naso, tutti caratterizzati
da un elevato rapporto tra superficie disperdente e volume. E’ possibile poi eseguire interventi di
carattere più generale:
Interventi sulle sorgenti
Su macchine o parti d’impianto, sorgenti di caldo o di freddo. Due sono gli interventi possibili, e
cioè la coibentazione o la riduzione di emissività delle superfici. Si effettua, talvolta, una
schermatura o una captazione localizzata dell’aria.
Individuazione di zone nelle quali possono sostare gli operatori.
Negli ambienti freddi, un intervento utile ed importante è quello di riscaldare localmente
l’operatore. Negli ambienti caldi si può pensare di aumentare la velocità dell’aria tramite ventilatori
con l’adozione di adeguati sistemi di raffreddamento dell’aria. Tali interventi, pur non realizzando
condizioni di benessere per l’operatore, possono creare una condizione più tollerabile, peraltro
conservando i tipici inconvenienti delle correnti d’aria.
Climatizzazione generale
Il clima interno è determinato anche dalle energie endogene, prodotte dalle macchine e dalle
persone che lavorano nell’ambiente. E’ necessario tenere nella giusta considerazione queste ultime,
ai fini di un corretto dimensionamento dell’impianto. Assai spesso l’esigenza di avere consumi di
energia ridotti porta a realizzare sistemi di climatizzazione insufficienti, con la necessità di
successive ed onerose modifiche dell’impianto.
5.
QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CIVILI
ambienti relativi al terziario
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Il concetto di qualità dell’aria è relativo all’idoneità dell’aria ed alla sua utilizzazione in ambienti
umani; oltre a caratteristiche di idoneità essa deve avere caratteristiche di “piacevolezza”. Le
sorgenti inquinanti possono essere di natura artificiale (umana), o naturale (ad es. vulcanica). Il
concetto di aria pura non coincide con quello di aria naturale. L’aria pura è definita come aria
non inquinata da alcun tipo di sorgente, né artificiale né naturale.
L’aria secca è definita in base alla seguente composizione:
4/5 N2 + 1/5 O2 + Argon +CO2 + altre sostanze
in cui si ha, in volume,
azoto
ossigeno
argon
anidride carbonica
78 %
21 %
1%
0,033 %.
La qualità dell’aria ambiente è riferita allo standard ASHRAE n°62 (1989). Due sono le
metodologie di controllo della qualità dell’aria: una indiretta, l’altra diretta.
La prima, più antica, più utilizzata, assicura adeguate portate d’aria di rinnovo. Il controllo avviene
in modo indiretto nel senso che non vengono rilevate le concentrazioni di inquinante e si presume
che, assicurando un’adeguata portata di aria pura, automaticamente le concentrazioni che si
vengono a realizzare nell’ambiente siano adatte.
La seconda metodologia di controllo prevede una misura diretta o addirittura un monitoraggio degli
ambienti.
Nel caso della prima metodologia, più utilizzata, lo schema di riferimento è quello del bilancio di
massa per un inquinante in un ambiente.
Schematizzato l’ambiente come un sistema interessato da una emissione di inquinante al suo
interno, ed indicata con q la potenzialità delle sorgenti inquinanti presenti nell’ambiente espressa in
Kg/h, sia, ancora:
Q,
Ce,
Cu,
Ci,
la portata d’aria di rinnovo immessa nell’ambiente espressa in m3/h;
la concentrazione di inquinante presente nell’aria entrante in kg/m3;
la concentrazione di inquinante nell’aria uscente in kg/m3;
la concentrazione di inquinante nell’ambiente oggetto del monitoraggio in kg/m3.
L’ambiente, dunque, è interessato dall’ingresso di aria in portata pari a Q, anche tale aria potrà
portare al suo interno una certa quantità di inquinante, proprio quello di cui si sta valutando la
presenza nell’ambiente, ad esempio anidride carbonica. La concentrazione di inquinante nell’aria
esterna è indicata con Ce. Il flusso di aria uscente dall’ambiente ha una portata ancora pari a Q, ma
la concentrazione di inquinante è maggiore, in generale, di quella dell’aria entrante ed è indicata
con Cu.
Si fa l’ipotesi di considerare un ambiente ben miscelato, nel quale, cioè, in tutti i punti la
concentrazione di inquinante considerato è la medesima. La concentrazione Ci è anche quella
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dell’aria uscente dall’ambiente; per cui si può a ragione porre Cu = Ci e, ammesso che l’ambiente
sia stazionario, si può scrivere l’equazione di bilancio in massa per l’inquinante considerato:
Q ⋅ Ce + q= Q ⋅ Cu = Q ⋅ Ci
(6.14)
La portata di aria di rinnovo che si deve poter assicurare per mantenere una concentrazione di
inquinante determinata è ricavabile dal bilancio di massa appena visto e vale:
Q=
q
q
=
Cu − Ce Ci − Ce
(6.15)
La precedente può essere applicata ai diversi tipi di inquinanti con cui ci si può trovare a dover a
che fare. Si tenga conto, a tale proposito, che la concentrazione limite di anidride carbonica (CO2)
tollerabile in un ambiente civile è Ci = 0,25 % in volume dell’ambiente considerato, pari a Ci =
4,6 ⋅ 10-3 Kg/m3.
I valori concretamente assunti sono sensibilmente maggiori, in quanto si è ipotizzato che
l’ambiente sia in condizioni di stazionarietà e di completa miscelazione.
Relativamente agli ambienti civili si assumono portate reali pari a 3 o 4 volte i valori minimi; per
gli ambienti industriali si assume un coefficiente di sicurezza più elevato, giungendo a considerare
portate 10 volte superiori al valore minimo.
All’anidride carbonica è attribuita una particolare importanza nella pratica tecnica, poiché essa è
assunta come grandezza indice del livello di inquinamento provocato dalle persone nell’ambiente.
E’ anche necessario tenere nella dovuta considerazione il percorso dell’aria di rinnovo; si dovrà,
infatti, cercare di fare in modo che l’aria espulsa asporti effettivamente l’inquinante. A tale scopo,
occorre cercare di ottenere un effetto di lavaggio dell’ambiente ad opera dell’aria fresca immessa.
Questa, poi, deve diventare aria espulsa dall’ambiente e occorre scongiurare il pericolo di un
eventuale corto circuito, cioè di aria che entra ed esce immediatamente senza effettuare il dovuto
lavaggio dell’ambiente.
L’aria, peraltro, tende a seguire un percorso lasciando delle zone di ristagno. Anche di questo
occorrerà tenere conto al momento della progettazione, relativamente al posizionamento delle
bocchette di ingresso ed alle superfici di uscita. Le zone stratificate in alto, che pure si realizzano,
in genere non interessano, perchè queste zone non sono, evidentemente, occupate da operatori.
Qualora si aumentasse la velocità dell’aria in uscita si renderebbe più turbolento ed ampio il
movimento dell’aria presente nell’ambiente: ciò porterebbe ad effetti negativi (ad esempio, correnti
e rumorosità). Occorre cercare di realizzare, dunque, compromessi ragionevoli. Il principio
generale da seguire è quello di evitare il più possibile il ristagno senza generare gli inconvenienti
menzionati. E’ necessario, poi, sempre fare attenzione nel caso si preveda una sezione di
immissione dell’aria in ambiente in prossimità di una sezione di espulsione perché l’aria immessa
verrebbe rapidamente espulsa, non interessando l’ambiente (corto circuito).
Adottando lo schema descritto precedentemente, si possono controllare l’anidride carbonica, gli
odori e la quantità di acqua presente sotto forma di vapore nell’ambiente.
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Un controllo meno accurato viene effettuato sul fumo di tabacco e sulle polveri. Il primo perché
non legato al dispendio metabolico e quindi all’immissione di anidride carbonica, mentre dipende
fortemente dalle abitudini e dal numero di fumatori presenti nell’ambiente considerato; il secondo
perché dipendente non solo dalle persone e dalle attività, ma anche da altri fattori non sempre
facilmente prevedibili.
Il controllo delle concentrazioni viene compreso nei coefficienti di sicurezza. Le caratteristiche
dell’aria esterna sono definite in relazione agli inquinanti significativi, quali l’anidride solforosa
(H2S) , l’ossido di azoto (NO), l’ozono (O3) ed il monossido di carbonio (CO).
Le concentrazioni sono espresse in termini di media oraria qualora abbiano un effetto quasi
immediato; in termini di media oraria calcolata su periodi di otto ore o su base annua per quelli che
non hanno un effetto aggressivo immediato e si rende necessario valutare l’assorbimento
relativamente a periodi di tempo medio lunghi.
La regolamentazione relativa alle problematiche della qualità dell’aria è effettuata per mezzo del
DPCM del 28 marzo 1983: si prescrive che l’aria di rinnovo deve essere priva di odori, di quantità
significative di piombo ed altri inquinanti. Lo standard ASHRAE n. 62/1989 prescrive che l’aria
di rinnovo non deve contenere quantità pericolose di sostanze tossiche e deve essere adeguata
anche sul piano della gradevolezza. In Italia, la situazione rispetto a queste indicazioni è critica
soprattutto nelle grandi città. L’ASHRAE, ove si disponga di aria di rinnovo fresca, suggerisce le
portate minime da assicurare in funzione della tipologia dell’ambiente considerato (Tabella 6.4).
persone/100 m2
10 ± 30
10
50
7
Ambiente
lavanderia
garage
camera da letto
lavorazione della carne
classe scolastica
uffici
m3/h persona
29 ± 65
27
54
29
29
36
Tabella 6.4 - Indicazioni ASHRAE per le portate d’aria di rinnovo
Riguardi ai possibili interventi locali, occorrerà prestare attenzione che le prese di aria di rinnovo
non vengano disposte sotto la grigliatura dei marciapiedi e neppure sulle pareti di un cortile in cui
stazionano permanentemente veicoli con motore acceso. Le griglie di presa, ancora, non vanno
messe nelle vicinanze di quelle di espulsione dell’aria relative all’impianto di ventilazione
dell’edificio vicino.
6.
INQUINAMENTO CHIMICO AERODISPERSO IN AMBIENTI INDUSTRIALI
Numerosi ambienti di lavoro di tipo industriale presentano livelli di inquinanti tossici
aerodispersi. In tali casi, occorre prestare particolare attenzione a:
• determinare accuratamente le tipologie di inquinanti tenendo nel debito conto le modalità
di svolgimento del processo produttivo;
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•
•
confrontare le concentrazioni di riferimento con i valori limite di esposizione ammessi;
effettuare il controllo tecnico delle concentrazioni, che deve essere realizzato
esclusivamente alla sorgente.
In linea generale, gli inquinanti costituiscono miscele gassose o aerosol, cioè sospensioni nell’aria
di particelle solide o liquide, di massa e dimensioni tali da rimanere in sospensione per un tempo
osservabile. Propriamente, si distinguono le seguenti tipologie di sostanze:
• gas, cioè sostanze che nelle condizioni di riferimento (temperatura pari a 25°C pressione
atmosferica pari a 1 atm.) risultano allo stato gassoso;
• vapori, cioè sostanze in fase gassosa che, nelle condizioni di riferimento, sono liquide;
• polveri o particolati, cioè particelle solide il cui diametro è compreso indicativamente
fra 1 e 25 μm5;
• fumi e nebbie, particelle solide o liquide che originano aerosol per condensazione di
sostanze precedentemente presenti nell’aria in forma di gas; le particelle sono spesso
dell’ordine dei decimi di μm;
Gli inquinanti tossici possono penetrare nell’organismo, in linea generale, tramite:
1.
l’apparato respiratorio;
2.
la superficie corporea;
3.
per via orale.
Gli effetti dell’assunzione di tossici possono essere ricondotti a:
1. forme di depressione;
2. distruzione di tessuti.
Questi effetti, inoltre, possono essere immediati, protratti nel tempo, posticipati. I valori limite
vengono definiti in relazione a:
1. proprietà delle sostanze presenti nell’ambiente;
2. risultati di prove tossicologiche;
3. dati epidemiologici.
Un riferimento importante è quello delle tabelle pubblicate e periodicamente aggiornate
dall’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH). Le concentrazioni
vengono espresse di norma in milligrammi di inquinante per metro cubo di aria (mg/m3), oppure in
parti per milione in volume (p.p.m.).
Le modalità di indicazione delle concentrazione limite, o valori di soglia TLV (dall’inglese
threshold limit value) sono tre:
• TLV - TWA (media ponderata nel tempo), valore medio ponderato nel tempo, relativo ad una
esposizione pari ad 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana;
• TLV - C (limite sul valore massimo), utilizzato per sostanze con effetto sostanzialmente
immediato; esprime un valore massimo di concentrazione che non deve essere mai superato;
• TLV - STEL (limite per esposizione breve), è un valore massimo di concentrazione
dell’inquinamento; esso viene rilevato 4 volte al giorno, con un’ora di intervallo tra due
5
1 μm equivale ad un milionesimo di metro.
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esposizione successive e, successivamente per esposizioni continuate mai superiori a 15
minuti.
Si possono adottare le seguenti indicazioni, in relazione alle diverse situazioni con cui si può avere
a che fare:
- se il limite TVL - STEL è individuato, questo valore non deve essere mai superato dalle
escursioni di concentrazione;
- se non esiste il TVL-STEL non devono essere comunque mai superati:
• il limite TVL - TWA nell’arco delle 8 ore
• 3 volte il valore TWA per più di trenta minuti/giorno
• in nessuna occasione il valore del parametro TWA.
I limiti TVL riportati nelle tabelle ACGIH si riferiscono all’assorbimento del tossico
esclusivamente attraverso le vie respiratorie. Ove compaia l’indicazione “skin ” (cute) a fianco del
nome di una sostanza, si dovrà considerare la possibilità di assorbimento dell’inquinante per via
cutanea.
Nel caso di sostanze con effetto indipedente (le quali, cioè, producono un effetto differente,
oppure agiscono su differenti parti del corpo) si deve verificare - per ciascuna di esse - la
condizione
Ci
<1
TLVi
(6.16)
ove Ci è la concentrazione della sostanza generica.
Nel caso di sostanze con effetto additivo si deve verificare la seguente condizione:
∑i
Ci
<1
TLVi
(6.17)
Nel caso di sostanze con effetto singolo, infine, si rende necessario effettuare opportuni
approfondimenti specifici.
Gli asfissianti non hanno un valore limite prefissato per ogni tipologia, in quanto il vero fattore
limitante è costituito dalla concentrazione di ossigeno nell’aria, che dovrebbe essere in ogni caso
superiore al 18% in volume normale alla pressione atmosferica.
Esistono, infine, alcune categorie particolari di sostanze, sulle quali vale la pena di soffermarsi
singolarmente:
1.
particolati fastidiosi ma non fibrogenici (silice amorfa non cristallina); se la percentuale
di quarzo è inferiore all’1% non generano danni gravi;
2.
particolati fibrogenici (quarzo), i quali provocano la degenerazione del tessuto degli
alveoli polmonari, che diventa progressivamente impermeabile;
3.
silicati (asbesto), costituisce un componente fondamentale dell’amianto;
4.
asfissianti semplici (ad esempio il metano - CH4 - e l’anidride carbonica - CO2);
5.
sostanze a composizione variabile, quali vapori di benzina e fumi di saldatura, che
richiedono analisi specifiche;
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6.
sostanze cancerogene.
I rilievi sperimentali per la determinazione della concentrazione di un inquinante in un ambiente
richiedono la disponibilità di una strumentazione appropriata.
Essa, generalmente, è costituita da un aspiratore, da un dispositivo di cattura dell’inquinante e da
un misuratore del volume di aria aspirata. A causa delle basse concentrazioni in gioco, come è
facile intuire, si rende necessario elaborare consistenti volumi d’aria.
Le metodologie di analisi utilizzate ricorrono a diversi e svariati principi. Ad esempio, è possibile
far reagire i volumi d’aria pggetto dell’analisi con alcune sostanze che cambiano - in modo
prevedibile - la colorazione (fialette Draeger). Occorre una specifica fialetta di sostanza per ogni
tipo di inquinante.
Qualora non sia stato possibile intervenire a monte del processo per l’eliminazione dell’inquinante
aerodisperso, si può pensare di intervenire secondo due diverse modalità:
•
prelievo ed espulsione dell’aria inquinata, e immissione in ambiente di aria pulita
opportunamente trattata dal punto di vista termoigrometrico;
•
riciclaggio dell’aria ambiente, mediante una sequenza di prelievo, depurazione e
successiva reimmissione. Questo secondo metodo presenta seri limiti d’impiego, in quanto
presuppone un costante controllo del corretto funzionamento dell’impianto di depurazione.
Il riciclaggio dell’aria ambiente, ad esempio, non è utilizzabile in presenza di inquinanti tossici,
mentre può essere utilizzato nel caso di fumo di sigaretta, odori corporei etc.
Il primo tipo di approccio può essere attuato secondo due diverse modalità:
- ventilazione generale, consistente nella diluizione degli inquinanti, creando uno scambio d’aria
con l’esterno;
- aspirazione localizzata, consistente nella cattura mediante opportune cappe collocate in
prossimità di sorgenti gli inquinanti prima che si disperdano nell’aria. I parametri caratteristici
delle cappe sono:
- il volume di controllo, cioè lo spazio in cui la cappa esercita un’azione utile;
- la velocità di controllo, cioè la velocità dell’aria realizzata dal sistema di aspirazione; tale
velocità deve essere superiore alla velocità di fuga dell’inquinante.
Nell’impiego delle cappe, infine, è necessario adottare alcuni accorgimenti:
1. collocare la cappa il più vicino possibile alla sorgente dell’inquinante, così da ridurre la
portata a pari velocità di cattura;
2. direzionare la cappa in modo da favorire la cattura dell’inquinante;
3. proteggere l’operatore;
4. usare flange direzionali.
Relativamente al problema della determinazione della velocità con cui deve muoversi l’aria nei
canali, si tenga conto che le perdite di carico, cioè gli attriti che l’aria medesima incontra
muovendosi luongo i canali sono proporzionali a
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v2
, per cui, al crescere della velocità,
2⋅g
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aumentano le perdite di carico e la rumorosità. Di norma, ci si orienta su velocità dell’ordine di
15÷25m/s.
7.
GLI IMPIANTI TERMICI
Ogni anno in Italia per riscaldare gli ambienti vengono consumati circa 15 miliardi di metri cubi di
gas naturale, più di 8 miliardi di chilogrammi di gasolio, oltre ad altri combustibili solidi, quali il
carbone e la legna. E’ facile comprendere, allora, quale importanza possa rivestire una corretta
gestione del servizio di condizionamento e di climatizzazione termica degli ambienti abitati, ai fini
del bilancio economico nonché della tutela del patrimonio ecologico.
Il risparmio dell’energia, infatti, è ottenuto con una corretta progettazione e realizzazione
dell’impianto, ed un responsabile comportamento dell’utente nella gestione di esso. Nel seguito si
daranno chiarimenti relativamente alla nuova norma attinente alla progettazione, installazione,
esercizio e manutenzione degli impianti termici degli edifici, il D.P.R. 412/93.
Si forniranno, dunque, le indicazioni utili al fine di assicurare un corretto esercizio, una buona
manutenzione ed il miglioramento delle prestazioni degli impianti di climatizzazione. Appare
evidente, la stretta attinenza fra aspetti energetici ed antinfortunistici, nonché ambientali. Ottenere
buone prestazioni energetiche da una caldaia, infatti, richiede interventi che implicano, allo stesso
tempo, un minore impatto ambientale e, soprattutto, una maggiore sicurezza di funzionamento.
La norma di legge che disciplina la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione
degli impianti di riscaldamento è la legge n. 9 del 9 gennaio 1991. Essa dedica particolare
attenzione al contenimento del consumo di energia negli edifici, fissando criteri generali relativi
alla progettazione ed alla realizzazione del sistema energetico, edificio-impianto termico. Il D.P.R.
412 del 26 agosto 1993, emesso in attuazione del comma 4 dell’art.4 della legge 10, costituisce, in
pratica, il regolamento per l’attuazione delle misure previste nella Legge 10. Oltre a disciplinare la
progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai
fini del contenimento dei consumi di energia, tale Decreto ha introdotto:
• metodologie di progettazione più avanzate (ai fini dell’adeguamento alla normativa europea);
• prestazioni più severe per l’impianto ed i suoi componenti al fine di contenerne emissioni e
consumi;
• vincoli più stretti per quanto attiene alla manutenzione dell’impianto.
La nuova normativa, quindi, interessa diversi soggetti quali i proprietari degli stabili, gli
installatori, gli amministratori, i progettisti, i manutentori, etc. La legge fissa i criteri per un
corretto funzionamento e una puntuale ed oculata manutenzione degli impianti termici, quale
condizione essenziale per l’uso razionale dell’energia. Il proprietario, o colui che fruisce
dell’impianto, è responsabile, per legge, della conduzione, del controllo, nonché della
manutenzione.
Conduzione dell’impianto
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Con il termine conduzione si intende il complesso di operazioni che vanno dalla prima accensione
invernale sino all’ultima stagionale. Di norma, la conduzione di un impianto di climatizzazione
consiste di:
• avviamento e spegnimento dell’impianto;
• predisposizione del valore della temperatura ambiente desiderata;
• predisposizione del periodo annuale di accensione e della durata di accensione giornaliera
dell’impianto.
La normativa prevede la temperatura massima dell’aria ambiente da non superare durante il
periodo di funzionamento dell’impianto:
• 20 °C per gli edifici adibiti ad abitazione e
• 18°C per quelli adibiti ad attività industriali.
La legge, e più esattamente il D.P.R. 412/93, fissa, per gli impianti termici al servizio di edifici, i
limiti massimi relativi al periodo annuale di esercizio e alla durata giornaliera di attivazione
dell’impianto. Tale attribuzione è fatta identificando l’appartenenza dell’impianto a una zona
climatica, definita sulla base di un altro parametro il grado giorno. Stabilita la zona geografica
oggetto di interesse, si individua la relativa fascia climatica e, mediante un’apposita tabella, si
determina il periodo e il numero di ore di accensione consentiti.
L’utente ha facoltà di suddividere il totale di ore in due o più frazioni. Le ore giornaliere possono
essere superate per alcuni edifici adibiti ad usi particolari, come le scuole materne, gli alberghi, le
piscine etc., o nel caso di impianti termici con riscaldamento incassato nelle opere murarie, o con
generatore di calore che presenti un rendimento di combustione almeno uguale a quello previsto
dalla legge e dotati di cronotermostato che consenta di programmare la regolazione della
temperatura e lo spegnimento della caldaia su richiesta. Ogni utente in situazioni climatiche
particolari limitatamente ad un numero di ore pari alla metà di quelle previste a regime può
accendere l’impianto in qualsiasi periodo dell’anno. E’ facoltà delle autorità locali modificare i
periodi di esercizio e le durate di attivazione degli impianti termici per situazioni climatiche
straordinarie, oppure stabilire, per giustificati motivi, l’appartenenza di determinate frazioni ad una
fascia climatica diversa da quella cui realmente appartiene l’edificio.
Controllo dell’impianto
Il controllo dell’impianto consiste in una serie di verifiche, visive e strumentali, da effettuare
almeno una volta ogni due anni; alcune sono stabilite sul libretto di conduzione dell’impianto. Le
principali sono:
• stato ed efficienza dei componenti dell’impianto e della caldaia;
• corretto funzionamento del termostato di sicurezza caldaia e della valvola di
sovrapressione;
• stato della coibentazione e della canna fumaria;
• dispositivi di regolazione e controllo;
• sistema di areazione del locale in cui è installata la caldaia;
• rilevamento di temperatura e composizione fumi;
• rendimento di combustione della caldaia.
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L. Fedele
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Manutenzione ordinaria dell’impianto
Si tratta del complesso di operazioni previsto nel libretto d’uso e manutenzione degli apparecchi e
componenti dell’impianto. Le operazioni vanno effettuate almeno una volta l’anno; tra queste:
• controllo e pulizia del bruciatore;
• controllo della regolarità di accensione e di funzionamento della caldaia ed eventuale
regolazione della combustione;
• lubrificazione delle parti rotanti;
• controllo di stato ed efficienza del sistema di scarico dei fumi con prova di tiraggio;
• prova di tenuta e prova dei dispositivi di sicurezza;
• pulizia dello scambiatore di calore.
Manutenzione straordinaria dell’impianto
Si tratta di quegli interventi che si possono rendere necessari per ricondurre il funzionamento
dell’impianto alle condizioni e caratteristiche previste dal progetto e dalla normativa vigente,
mediante riparazioni, ricambi, revisioni o sostituzioni di componenti. Ad esempio, la sostituzione
della caldaia, gli interventi sul circuito del gas, la sostituzione o la bonifica della canna fumaria,
etc.; per molti di questi interventi è necessario che il manutentore rilasci la dichiarazione di
conformità, ai sensi della Legge 46/90.
Il responsabile dell’impianto è una nuova figura introdotta dalla Legge 10/91. Egli si assume la
responsabilità dell’esercizio, nonché della manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto. In
sostanza, il proprietario dell’impianto o l’utente, dovrà ottemperare agli obblighi introdotti dalla
normativa:
• delegando completamente a una persona o ad un’impresa qualificata ed abilitata la
responsabilità delle operazioni di controllo e di manutenzione ordinaria e straordinaria, oppure
• affidando il controllo e la manutenzione ad una impresa abilitata, mantenendo per se l’impegno
della conduzione e della firma del libretto d’impianto e quindi della responsabilità di legge.
Qualora abbia le competenze tecniche richieste, il proprietario o utente può mantenere la
responsabilità completa dell’impianto in ordine al controllo, alla manutenzione ordinaria e
straordinaria, alla compilazione ed alla firma del libretto.
Il proprietario ovvero l’occupante dell’alloggio che, a qualsiasi titolo, abbia affidato ad un terzo la
responsabilità del controllo e della manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto è
comunque responsabile della conduzione ovvero del rispetto di periodi ed orari di accensione e del
mantenimento della temperatura di legge.
Per ogni tipo di impianto di potenza superiore ai 35 kW, la legge richiede che sia compilato il
cosiddetto libretto di centrale, mentre per potenze inferiori prevede che sia corredato un libretto
d’impianto redatto secondo il modello allegato al D.P.R. 412. Quest’ultimo serve a dare evidenza
e a registrare, ai fini dei controlli previsti dall’art. 31 della Legge 10/91 da parte dei comuni, i
seguenti dati, operazioni e verifiche:
• indicazione del responsabile di esercizio e manutenzione;
• componenti dell’impianto: situazione alla prima installazione o alla ristrutturazione;
• le operazioni eseguite ai fini dei controlli previsti dalle norme UNI e dalle norme CEI;
• descrizione dell’eventuale sostituzione di componenti;
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• risultati delle rilevazioni del rendimento di combustione;
• descrizione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Firmando il libretto, il responsabile dell’esercizio e della manutenzione si impegna ad osservare le
disposizioni di legge in materia, divenendo passibile, in caso di inosservanza, delle sanzioni
previste dall’art. 34 della Legge 10/91. A partire dal 1 agosto 1994 tutti gli impianti termici devono
essere muniti del libretto d’impianto, siano essi stati realizzati prima o dopo l’entrata in vigore del
regolamento. Il libretto deve essere costantemente aggiornato e tenuto in ordine dal responsabile
dell’esercizio e della manutenzione.
Su di esso devono essere annotate tutte le operazioni e gli interventi che vengono fatti sull’impianto
termico, nonché le operazioni di controllo previste dalla normativa vigente già descritte. In caso di
sostituzione del generatore di calore il libretto va sostituito.
Le operazioni di manutenzione e verifica devono essere effettuate secondo le norme UNI e CEI
vigenti. Anche gli impianti che utilizzano macchine diverse dai generatori di calore, quali le pompe
di calore, i sistemi cogenerativi6, gli scambiatori di calori alimentati da impianti di
teleriscaldamento7 devono essere muniti di idoneo libretto di impianto, predisposto dall’installatore
o dal responsabile dell’esercizio ed aggiornato dal manutentore. Il libretto deve sempre contenere la
descrizione dell’impianto, l’elenco degli elementi da sottoporre a verifica, i limiti di accettabilità in
conformità alle leggi vigenti, la periodicità delle verifiche e l’annotazione degli interventi di
manutenzione straordinaria.
Il rendimento delle caldaie di nuova installazione è fissato dall’attuale legislazione e certificato dal
costruttore stesso. Esso è funzione della potenza nominale del generatore di calore riportata sulla
targhetta presente sull’involucro della caldaia. Nel regolamento il rendimento di combustione è
considerato come un parametro di confronto per accertare la bontà di una caldaia. Nel caso in cui
il rendimento di combustione di un generatore di calore non sia conforme e non riconducibile ai
valori limite con operazioni di manutenzione, a seconda che l’installazione sia avvenuta prima o
dopo l’entrata in vigore del regolamento (1 agosto 1994), sono state previste le seguenti
indicazioni:
• installazione antecedente al 1 agosto 1994, sostituzione entro l’anno 1996 secondo la potenza
e la fascia climatica di appartenenza;
• installazione posteriore al 1 agosto 1994, entro 300 giorni dalla data di verifica e con
l’immediata esclusione della conduzione in regime continuo se applicato.
Il regolamento, inoltre, dispone che le verifiche da eseguire e riportare sul libretto per generatori
con potenza nominale inferiore a 35 kW sono le seguenti:
• operazioni di manutenzione da effettuare almeno una volta l’anno;
• operazioni di controllo della funzionalità dell’impianto da effettuare almeno due volte l’anno;
• operazioni di controllo del rendimento di combustione da effettuare almeno una volta ogni due
anni.
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Macchine in grado ri fornire, contemporaneamente, energia elettrica e termica utile.
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Impianti centralizzati per la produzione di acqua calda.
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Qualora la potenza nominale dell’impianto risulti superiore a 35 kW, le verifiche appena
richiamate vanno effettuate ogni anno. Ogni due anni, i comuni (se con popolazione superiore ai
40.000 abitanti) o le province, con onere a carico degli utenti, devono effettuare su tutti gli impianti
i controlli atti all’accertamento dell’effettivo stato di manutenzione e di corretto esercizio
dell’impianto termico, compresa la verifica del rendimento di combustione.
Per le nuove realizzazioni e le ristrutturazioni, il servizio del comune provvede:
• alla verifica del progetto e della realizzazione tecnica che lo accompagna;
• ad effettuare i controlli e le verifiche di rispondenza dell’impianto realizzato al progetto
approdato; questi controlli possono essere effettuati in corso d’opera, oppure entro cinque anni
dalla data di fine lavori.
Per tale attività gli Enti locali si possono avvalere di proprie strutture o di organismi esterni aventi
specifica competenza. Nel caso in cui i Comuni e le province non potessero dotarsi di personale
competente, per i primi anni della fase transitoria di attuazione del regolamento l’attività di
controllo è stata regolamentata in modo da agevolare tutte le operazioni. Il responsabile
dell’esercizio e manutenzione dell’impianto termico, invia all’autorità locale un’apposita
dichiarazione autenticata da lui sottoscritta in cui attesta di avere effettuato i controlli periodici
secondo la normativa vigente, assumendo la responsabilità per quanto dichiarato. Per gli impianti
autonomi al servizio di una singola unità immobiliare, la durata di questa fase transitoria è pari a sei
anni. Durante la fase transitoria, sono previsti controlli a campione da parte dell’ente locale per
verificare la veridicità delle dichiarazioni.
Si ritiene opportuno richiamare l’attenzione sulle prescrizioni più importanti relative alla
progettazione ed all’esercizio degli impianti termici. Tutti i generatori di calore di qualsiasi tipo e
potenza, nuovi o di installazione antecedente all’entrata in vigore della nuova normativa, impiegati
per la climatizzazione e la produzione di acqua calda sanitaria, devono avere un punto di prelievo
dei gas della combustione per l’inserzione di sonde da utilizzare per la determinazione del
rendimento di combustione.
Tutti gli impianti termici in edifici multipiano e plurifamiliari, centralizzati od autonomi, devono
avere, per lo scarico dei fumi prodotti dalla combustione, un condotto di evacuazione con sbocco
sopra il colmo del tetto, secondo le indicazioni stabilite dalle norme UNI, nei seguenti casi:
• nuove installazioni in edifici nuovi o esistenti;
• ristrutturazione della totalità degli impianti individuali appartenenti allo stesso edificio;
• trasformazioni da impianto centralizzato a impianto individuale;
• impianto realizzati per distacco da quello centralizzato.
Il condotto di evacuazione può essere indicato come camino, canna fumaria, condotto fumi, sistema
di scarico fumi a seconda della specificità del generatore di calore collegato. Per semplicità, si
indicherà il sistema di evacuazione fumi con il termine camino. Il camino può essere singolo,
multiplo o costituito da una canna collettiva di scarico ramificata al servizio delle utenze dei vari
piani. Il corretto funzionamento del sistema collettivo di scarico sarà garantito da una adeguata
progettazione ed il suo funzionamento deve essere verificato mediante collaudo. L’obbligo non si
applica nel caso di ristrutturazione di impianti individuali già esistenti. L’obbligo in questione non
si applica, inoltre, agli apparecchi non considerati impianti termici, quali stufe, caminetti, radiatori
individuali e scaldacqua unifamiliari, a meno che il Comune, per motivi di igiene ambientale, non
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decida diversamente, obbligando in ogni caso ad effettuare lo scarico dei fumi sopra il colmo del
tetto.
Nel caso di nuova installazione o ristrutturazione dell’impianto termico con installazione di
generatori di calore individuali, è prescritto l’impiego di generatori isolati rispetto all’ambiente
abitato ovvero:
• se la caldaia viene installata in casa, deve essere di tipo stagno dove il prelievo dell’aria
comburente e lo scarico dei fumi avviene esternamente all’alloggio;
• se la caldaia viene installata all’esterno, o in locali tecnici adeguati, la caldaia può essere di
tipo qualsiasi, quindi a fiamma libera; nel caso di impianti già esistenti, poi, le caldaie a
fiamma libera possono rimanere nell’abitazione, purché l’aerazione del locale sia
adeguatamente assicurata, valutata da un esperto, verificata per collaudo ed il locale abbia la
giusta volumetria.
Nei casi di nuove installazioni o ristrutturazioni, la rete di distribuzione del calore dovrà essere
progettata in modo da assicurare il rispetto del rendimento globale medio stagionale. In ogni caso,
le tubazioni devono essere coibentate secondo le modalità dettate dal regolamento che fissa, ad
esempio, lo spessore dell’isolante in funzione dei materiali e dei dati di progetto, considerando
separatamente il caso di quelle di mandata da quelle di ritorno.
L’isolamento può avere:
• se posto all’esterno, uno spessore da 13 a 30 mm secondo il materiale isolante utilizzato;
• se posto all’interno, uno spessore da 4 a 10 mm.
Anche gli impianti adibiti alla climatizzazione di singoli appartamenti devono essere dotati di una
centralina pilotata da una o più sonde di misura della temperatura ambiente, che comandi
l’accensione e lo spegnimento della caldaia sulla base: degli orari impostati e della temperatura
ambiente impostata su due valori nell’arco delle 24 ore. La centralina prende il nome di
cronotermostato.
La progettazione di un impianto termico deve essere affidata ad un tecnico abilitato, che sia a
conoscenza delle prescrizioni di legge, e in particolare della legge 10/91 e del D.P.R. 412/93.
Infatti, la relazione tecnica prevista dall’art.28 della legge 10/91, che deve accompagnare il
progetto dell’impianto e la restante documentazione prevista dall’iter di approvazione della licenza
edilizia, deve dare evidenza della corretta progettazione dell’impianto termico dell’unità abitativa.
Essa, inoltre, deve in particolare dimostrare il rispetto delle prescrizioni per quanto attiene a:
• rendimento globale medio stagionale dell’impianto, definito come il rapporto tra il
fabbisogno di energia termica utile per la climatizzazione invernale e l’energia primaria
richiesta per la sua realizzazione (si tratta, in pratica, del combustibile bruciato in caldaia che
produce il riscaldamento utile, avuto riguardo alle perdite associate ai fumi, alle dispersioni
sulla rete di tubazioni dell’acqua, all’efficienza dei radiatori e del sistema di regolazione;
• rendimento di produzione medio stagionale, da considerare in luogo di quello globale nel
caso di sostituzione del solo generatore di calore; esso è definito come il rapporto tra l’energia
termica utile generata, trasferita all’acqua, e l’energia contenuta nelle fonti energetiche (il
progettista deve procedere al calcolo dell’uno o dell’altro dei due parametri energetici
richiamati, tenendo conto nel calcolo del bilancio energetico del sistema edificio - impianto);
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•
fabbisogno energetico convenzionale, cioè la quantità di energia primaria richiesta, in un
anno, per mantenere la temperatura ambiente al valore pari a 20°C con un adeguato ricambio
d’aria;
fabbisogno energetico normalizzato (FEN) è il fabbisogno convenzionale per unità di
volume dell’ambiente riscaldato e per grado giorno della località in kJ/m3gg8; si tratta, in
pratica, della quantità di energia primaria per unità di volume e per grado giorno, necessaria a
mantenere la temperatura interna di un alloggio al valore costante di 20°C per tutto il periodo
di riscaldamento; in sostanza, è un indicatore dell’efficienza energetica di un edificio: più è
basso il FEN, minore è il consumo di energia.
•
Si possono verificare casi e situazioni diverse per ciascuno dei quali è prescritto un tipo diverso di
relazione tecnica, i cui modelli possono essere trovati nel Decreto Ministeriale del 13 dicembre
1993. La relazione deve essere redatta e firmata da un professionista abilitato e competente; i casi
che si possono verificare sono i seguenti:
• nuovo impianto con potenzialità inferiore a 35 kW in edificio di nuova realizzazione:
bisognerà presentare all’approvazione la relazione tecnica redatta secondo il modello A di cui
al DM del 13 dicembre 1993;
• nuovo impianto con potenzialità inferiore a 35 kW in edificio esistente che ne era sprovvisto:
relazione tecnica secondo il modello B;
• sostituzione della caldaia in impianti esistenti; se la potenzialità è maggiore di 35 kW, occorre
presentare una relazione conforme al modello C; se è minore di 35 kW, è facoltà dei Comuni
richiederla.
Si fa osservare che in tutti i casi di installazione di un nuovo generatore di calore la ditta
installatrice abilitata deve allegare alla dichiarazione di conformità dell’impianto, obbligatoria per
legge, anche una dichiarazione rilasciata dalla casa costruttrice attestante che la caldaia installata
presenta rendimenti, al 100 % ed al 30 % della sua potenza nominale, nei limiti previsti dal
regolamento. L’installazione e ristrutturazione dell’impianto termico infine, come le operazioni di
controllo e manutenzione, devono essere affidati a soggetti in possesso dei requisiti indicati dalla
Legge n. 46 del 5 marzo 1990; gli elenchi delle imprese abilitate sono consultabili presso le Camere
di Commercio.
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La notazione gg sta per “grado giorno”.
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l`ambiente termico