CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
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RASSEGNA STAMPA
17 dicembre 2007
Titoli dei quotidiani
Italia Oggi
Obbligati alla delazione
Sull'antiriciclaggio bastone e carota per gli adempimenti dei professionisti
Un terremoto per le fiduciarie
Professionisti, stretta sulle sanzioni
Minimi, rischio accertamento
Risvolti a catena per il contribuente
Studi di settore, impatto sui ricavi
GIURISPRUDENZA
Il Sole 24 Ore
L’ “invito” non si impugna
Mobilità: La scelta degli addetti deve essere motivata
Licenziamento: la altre azioni vanno sollecitate
Disciplinare: sanzioni al dipendente proporzionate
Diritto di famiglia: condizioni rigide di separazione
Nulla la vecchia bancarotta
Fallimento: revocatorie, c’è tempo per il de profundis
Italia Oggi
Sulla prescrizione tributi non si va davanti al gdp
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Antiriciclaggio
Obbligati alla delazione
Il denaro sporco è certamente uno dei nemici più insidiosi di una società libera e
democratica. Un cancro che insidia le fondamenta dell'economia distorcendo la
concorrenza e introducendo elementi di violenza e di omertà. Si stima che il denaro
riciclato oggi in Italia sia pari a 3,3 miliardi di euro, il 2,5% del pil. Oltretutto questo fiume di
denaro contribuisce a rafforzare le organizzazioni malavitose più disparate, dalla mafia al
terrorismo internazionale. Per contrastare in modo più efficace questo pericolo il governo
italiano ha approvato il decreto legislativo 231/2007 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del
14 dicembre) recependo, in largo anticipo rispetto alla gran parte dei paesi europei, la
terza direttiva antiriciclaggio. Si tratta di una riforma della precedente legislazione in
materia che ha l'obiettivo dichiarato di incidere in modo più concreto nella lotta al denaro
sporco. Si introducono principi quali quello della collaborazione attiva, della tracciabilità,
della due diligence. In sostanza, si scaricano sulle spalle dei professionisti e degli
intermediari finanziari gli oneri più pesanti, esponendoli a rischi elevatissimi (qui si ha a
che fare, spesso, con la criminalità organizzata, non con bulli di quartiere). I professionisti,
in particolare, sono obbligati alla delazione, ed è loro vietato comunicare al cliente che è
stata effettuata la segnalazione. Una norma in contrasto stridente con la natura di rapporto
fiduciario che lega il consulente e il suo assistito. In pratica, l'avvocato o il commercialista,
mentre svolgono la loro normale attività professionale dovrebbero imparare a domandarsi
in automatico: si tratterà di denaro pulito o sporco? Una sorta di retropensiero con il quale
valutare i diversi segnali lanciati dal proprio cliente ai fini di un'eventuale segnalazione agli
organi competenti. Ben sapendo che, se la segnalazione dovesse rivelarsi efficace, prima
o poi l'assistito saprà chi ringraziare. Gli si chiede, in poche parole, di essere pronti al
tradimento. E ad affrontare eventuali ritorsioni della criminalità organizzata. Se vi sembra
poco.
Marino Longoni, Italia Oggi pag. 1
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Sull'antiriciclaggio
professionisti
bastone
e
carota
per
gli
adempimenti
dei
Professionisti: meno forma e più sostanza dalla nuova normativa antiriciclaggio. Ad essi,
infatti, da un lato viene chiesto di provvedere ad una verifica del reale rischio di operazioni
di riciclaggio e finanziamento del terrorismo internazionale da parte della loro clientela,
dall'altro viene concesso, a chi opterà per il registro cartaceo, di trascrivere in esso i soli
dati della identificazione provvedendo a conservare l'altra documentazione nell'ambito di
appositi fascicoli. Alcuni obblighi, seppur molto semplificati, vengono poi introdotti per i
promotori finanziari e gli agenti di assicurazione, mentre semplificazioni rilevanti
riguardano coloro che producono o commerciano beni di ingenti valore (orefici, mercanti di
oggetti preziosi, ecc.). Fra le società, infine, ad un nuovo adempimento si vedranno
costrette le fiduciarie, le quali, nei rapporti con gli istituti di credito dovranno indicare il
nome del beneficiario per conto del quale effettuano le operazioni. Sono alcune riflessioni
tradibili da una prima lettura del decreto legislativo n. 231/07 pubblicato in Gazzetta
Ufficiale lo scorso 14 dicembre, che apporta per tutte le categorie professionali (e anche
ad altri operatori) l'obbligo di provvedere ad una adeguata verifica della clientela. Si
passera, quindi, da un approccio generalizzato fondato sulla identificazione di tutti i clienti
dello studio ad un'analisi mirata della clientela differenziata in relazione al concreto rischio
di riciclaggio e finanziamento al terrorismo presente in capo ai diversi clienti e alle
operazioni da essi compiute. Tale obbligo non riguarda alcune tipologie di attività. Da
rilevare, da ultimo, che la verifica della clientela potrà essere effettuata in modo ordinario,
semplificato o rafforzato. La tipologia di verifica, più o meno incisiva, dipenderà
evidentemente dalla rischiosità relativa al cliente o della operazione sottoposta a verifica.
Tali incombenze potranno anche essere delegate a terzi. La fase successiva sarà quella di
archiviazione delle informazioni (diverse se la prestazione è occasionale o continuativa), in
archivi informatici o registri cartacei obbligo dal quale peraltro, sono state escluse alcune
categorie fino a oggi obbligate a tale incombenze. Tutti i soggetti destinatari del decreto
restano peraltro obbligati alla segnalazione delle operazioni sospette. Lavori in corso per
la nuova disciplina. Operazione drafting tra vecchia e nuova disciplina antiriciclaggio. La
nozione di professionista diventa omnicomprensiva, perdendo la qualifica di libero. Mentre
si considerano superate tutta una serie di adempimenti per gli intermediari finanziari. Dopo
la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 14/12/2007 del decreto legislativo n. 231/07, il
cantiere sulla lotta al crimine finanziario è tutt'altro che chiuso. In arrivo infatti la prima
circolare esplicativa del ministero dell'economia sul transito da vecchie a nuove regole.
Sotto la scure dei tecnici di via venti settembre, secondo quanto ItaliaOggi Sette è in grado
di anticipare, i tre provvedimenti del 2006, i decreti ministeriali 141, 142, 143 che
contenevano la disciplina attuativa per professionisti, intermediari finanziari e no.
Il professionista è a tutto tondo. Nel decreto ministeriale 141 la definizione contenuta
nell'articolo 1 identificava infatti il «libero professionista» come il soggetto iscritto ai relativi
collegi, ordini, albi ed elenchi come individuato all'articolo 2, comma 1, lettere s) e t) del
decreto legislativo n. 56 del 20 febbraio 2004, anche quando svolge l'attività professionale
in forma societaria o associativa. La nuova definizione del decreto legislativo, ora, manda
in soffitta la distinzione e l'aggettivo libero. Si considera, ai fini antiriciclaggio, come
professionista l'elencazione dell'articolo 12 del dlgs. Nella stessa direzione si considera
superato il dettato dell'articolo 2 del decreto ministeriale. Stesso discorso vale per la
nozione di obbligo di segnalazione. Le disposizioni del provvedimento attuativo del 2006 si
intendono superate dalle disposizioni dell'articolo 12 del dlgs. Soddisfazione per la
conclusione dell'iter normativo è espressa da Mario Lettieri, sottosegretario del ministero
dell'economia con delega alla materia, «si è compiuto il percorso di recepimento della
direttiva e l'Italia è in perfetta linea con gli altri paesi europei nella lotta al terrorismo e del
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denaro sporco per evitare di inquinare l'economia sana». E mentre si attende fine anno
per la partenza delle nuove regole, la commissione testo unico continua il suo lavoro per
realizzare un unico corpus di norme. Ma prima del sigillo della G.U., bisognerà attendere
quello della Accademia della Crusca. Nelle intenzioni di Pierluigi Vigna, presidente della
commissione infatti ci sarebbe quella di far fare un controllo linguistico dell'insieme ai
custodi della lingua italiana per avere un testo linguisticamente corretto ed evitare il
«burocratese».
Cristina Bartelli, Luciano De Angelis, Italia Oggi pag. 3
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Un terremoto per le fiduciarie
Con la pubblicazione del decreto legislativo 231, del 21 novembre 2007, le norme
contenute diventano operative. In particolare la novella oltre a rivoluzionare l'intero assetto
normativo che attualmente disciplina il comparto delle società fiduciarie opera una netta
distinzione tra società fiduciarie statiche e società dinamiche. Le fiduciarie dinamiche sono
di fatto assimilate alle sim in virtù dell'iscrizione nell'elenco speciale tenuto dalla Consob e
continuano ad essere destinatarie delle disposizioni antiriciclaggio in quanto ricomprese
nella categoria «società di intermediazione mobiliare» di cui all'articolo 11 comma 1 lettera
d) del decreto di recepimento (non sono peraltro espressamente richiamate nell'elenco in
questione). Mentre invece le società fiduciarie statiche di cui alla legge n. 1966 del 23
novembre 1939 continuano a essere tenute ad adempiere gli obblighi antiriciclaggio,
tuttavia però sono state disciplinare nel secondo comma dell'art. 11 fra i cosiddetti
intermediari di secondo livello (unitamente ai confidi e ai cambiavalute). La distinzione di
cui sopra non è da considerarsi di poco conto atteso che le società fiduciarie dinamiche e
statiche, operata all'interno dell'articolo 11 del testo del decreto di recepimento, è
funzionale ad una diversa valutazione della clientela Naturalmente articolando gli obblighi
di Customer due diligence (Cdd) e dei controlli. Si sottolinea che le norme che
regolamentano il customer due diligence si applicano in via paritetica sia alle fiduciarie
dinamiche sia alle fiduciarie statiche, nello specifico, naturalmente, le fiduciarie statiche
italiane non possono usufruire con riferimento alle disposizioni dell'esenzione dall'obbligo
di adeguata verifica quando operano in contropartita ad altri soggetti tenuti agli obblighi di
Cdd (articolo 25 comma 1). In altre parole, la società fiduciaria statica italiana dovrà
sempre essere identificata e sottoposta a verifica periodica quando compie operazioni o
instaura rapporti con altri destinatari delle disposizioni, in quanto è considerata al pari di un
cliente privato. Al contrario comparando il sistema italiano che disciplina le fiduciarie a
quello europeo in assenza di ulteriori disposizioni, sembrerebbe invece che una fiduciaria
statica europea, in quanto ricompresa nella nozione di ente finanziario, possa fruire
dell'esenzione in parola. Il decreto 231 in rapporto a quanto appena detto disciplina tali
profili agli articoli 15, 16 e 17 del decreto antiriciclaggio che riprende l'articolo 7 della
Direttiva 2005-60-Ue ed esplicitano i casi in cui debbono essere applicati gli obblighi di
adeguata verifica della clientela da parte degli intermediari finanziari. In linea generale, gli
obblighi di adeguata verifica della clientela si applicano nell'ipotesi di: a) instaurazione di
nuovo rapporto continuativo o di conferimento di incarico professionale; b) esecuzione di
operazioni o prestazioni professionali occasionali, che comportino la trasmissione o la
movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15 mila euro; c)
sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da deroghe,
esenzioni o soglie; d) dubbi sulla veridicità o sull'adeguatezza dei dati identificativi
precedentemente ottenuti. Mentre l'articolo 18 riprende l'articolo otto punto uno della terza
direttiva puntualizzando quali attività si concretizzano gli obblighi di adeguata verifica della
clientela per un quadro compiuto, tali obblighi di adeguata verifica consistono nelle
seguenti attività: a. identificare il cliente e verificarne l'identità sulla base di documenti, dati
o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente; b. identificare l'eventuale
titolare effettivo e verificarne l'identità; c. ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura
prevista del rapporto continuativo o della prestazione professionale; d. svolgere un
controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale. In
relazione a quanto illustrato, appare chiaro che il dlgs 231 ha voluto disciplinare l'intero
comparto normativo delle società fiduciarie tenendo in particolar modo fede ai principi
contenuti nella terza direttiva 2005-60 Ue con particolare riguardo alle disposizioni che
regolamentano l'obbligo di adeguata verifica della clientela da estendere appunto alle
società fiduciarie sia esse dinamiche che statiche. Emanuele Fisicaro, Italia Oggi pag, 3
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Professionisti, stretta sulle sanzioni
Incremento delle tipologie di situazioni sanzionabili in ambito antiriciclaggio, con otto nuovi
reati penalmente rilevanti e quattordici nuovi illeciti puniti con sanzioni amministrative,
depenalizzata, invece, l'omessa istituzione del registro clientela o archivio informatico. È
questo il quadro in tema di sanzioni, contenuto nel decreto legislativo n. 231/2007,
pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 14/12/2007 ed in vigore dal 29/12/07 che andiamo ad
esaminare. Di rilievo, nelle nuove norme la depenalizzazione dell'omessa istituzione del
registro della clientela o dell'archivio informatico che è punita con la sanzione
amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 Euro. Altra novità è collegata all'obbligo di
comunicare alla banca o alle Poste Italiane Spa, i dati identificativi del cessionario e la
data del trasferimento di libretti di deposito bancari o postali al portatore, da parte del
cedente (entro trenta giorni) al fine di individuare i soggetti a cui tali titoli sono stati
consegnati. Tale omissione è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 10 al
20% dell'importo del saldo del libretto stesso. Viene introdotta (ed è questa una novità
assoluta), in tema di obblighi di adeguata verifica della clientela, una specifica sanzione
penale di tipo contravvenzionale in capo all'esecutore dell'operazione che non fornisca
informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo o della
prestazione professionale o le fornisca false. In questi casi, il cliente reticente o mendace
rischia l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da 5.000 a 50.000 Euro. Ovviamente il
professionista che dimostri l'errore (ovvero la mancata segnalazione dell'operazione
sospetta) determinato dall'altrui inganno non soggiacerà ad alcuna conseguenza. Ciò
anche in relazione alle specifiche disposizioni dell'art. 48 c.p. Tre, le specifiche sanzioni
previste in capo al professionista, due di carattere amministrativo ed una di tipo penale. La
novità concerne l'omessa segnalazione di operazioni sospette che è punita, salvo che il
fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 1 al 40% del valore
dell'operazione (nelle precedenti norme la sanzione andava, invece da un minimo del 5 ad
un massimo del 50% del valore dell'operazione). Di livello penale, resta la sanzione per il
mancato rispetto degli obblighi di riservatezza della segnalazione (arresto da sei mesi ad
un anno o ammenda da 5.000 a 50.000 euro). Unico adempimento che appare
attualmente sprovvisto di esplicita sanzione, infine, concerne l'obbligo di adeguata
formazione sul tema antiriciclaggio per il personale ed i collaboratori degli studi
professionali.
Christina Ferriozzi, Italia Oggi pag. 4
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Fisco
Minimi, rischio accertamento
Nuovo regime dei minimi a rischio accertamento. L'uscita dal regime esplica effetti su tutti i
componenti reddituali. Incognita studi di settore sui ricavi di riferimento per l'ammissione.
Anche gli accertamenti bancari possono causare la perdita dell'agevolazione. Questi
alcuni degli interrogativi che devono porsi i contribuenti interessati al nuovo regime per i
minimi e marginali, previsto nell'art. 4, commi 1-21, del ddl Finanziaria 2008 in corso di
approvazione. Questioni che in parte possono trovare risposta nel dm attuativo, in parte
rappresentano un'incognita per eventuali spiacevoli risvolti futuri.
L'accertamento definitivo. Il regime dei minimi, come ampiamente anticipato, è
agevolativo per quei contribuenti persone fisiche che svolgono attività di impresa o
professionale e non risultano altamente strutturati, essendo caratterizzati, tra l'altro, da una
soglia di ricavi o compensi molto contenuta, pari al massimo a 30 mila euro annui. Senza
pretesa di esaustività, le principali agevolazioni consistono in uno snellimento degli
adempimenti contabili, nell'esenzione da Irpef, Irap e studi di settore, nelle semplificazioni
Iva e nell'applicazione di un'imposta sostitutiva del 20% al reddito determinato,
sostanzialmente, mediante la differenza tra i ricavi/compensi e i costi sostenuti nel periodo
d'imposta, ossia in base a un rigido criterio di cassa. Ciò detto, ai fini che qui interessano,
è fondamentale porre attenzione alle problematiche connesse a un eventuale
accertamento di maggiori ricavi o compensi che ai sensi del comma 18 comporta la
fuoriuscita dal regime agevolativo e soprattutto valutare: - da quando si determina l'uscita
e come bisogna comportarsi in riferimento agli anni di cessazione del regime; - quali sono
le conseguenze in termini di concorrenza al reddito ordinario di alcuni componenti negativi
e positivi. In ordine al primo problema, delle incertezze derivano dalla formulazione
normativa. Infatti, il comma 18 testualmente recita: «Il regime dei contribuenti minimi cessa
di avere applicazione dall'anno successivo a quello in cui, a seguito di accertamento
divenuto definitivo, viene meno una delle condizioni di cui al comma 1 ovvero si verifica
una delle fattispecie indicate al comma 4. Il regime cessa di avere applicazione dall'anno
stesso in cui l'accertamento è divenuto definitivo, nel caso in cui i ricavi o i compensi
definitivamente accertati superino il limite di cui al comma 1, lettera a), numero 1), di oltre
il 50%. In tale ultimo caso operano le disposizioni di cui al terzo periodo del comma 15»,
ossia lo scorporo dell'Iva ai sensi dell'art. 27 del dpr 633/72. La condizione principale da
prendere in considerazione è ovviamente il superamento della soglia di ricavi o compensi,
vale a dire 30 mila euro. Preliminarmente va evidenziato che alcuna conseguenza
negativa in termini di uscita dal regime segue la contestazione di costi indeducibili, che di
fatto conduce al recupero dell'imposta sostitutiva. La disposizione di cui sopra, infatti, è
riferita esclusivamente ai ricavi/compensi ed evidenzia che in caso di superamento del
limite di 30 mila euro a seguito di accertamento divenuto definitivo, il regime cessa di
avere applicazione dall'anno successivo. Ciò implica, dunque, che se un soggetto
aderisce al regime per l'anno 2008 e nel 2011 diviene definitivo un accertamento che
innalza i ricavi di detto anno 2008 oltre il limite di 30 mila euro, la perdita dell'agevolazione
si realizza a partire dal 2009. Al riguardo sarà necessario comprendere: - come bisogna
comportarsi in riferimento all'anno 2009 ai fini Iva e imposte dirette. Per quanto concerne
gli adempimenti Iva, a leggere l'ultimo periodo del citato comma 18, non si deve procedere
allo scorporo dell'Iva, che scatta invece sono nel caso in cui l'accertamento comporti il
superamento di oltre il 50% della soglia di ricavi/compensi. Per quanto riguarda, invece, le
imposte dirette, la fuoriuscita dal sistema determina la necessità di procedere alla
riliquidazione ordinaria dell'Irpef, relative addizionali e Irap. Ciò appare senza dubbio più
complesso, soprattutto in termini sanzionatori e in special modo se sono decorsi i termini
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per la presentazione della dichiarazione integrativa a sfavore. Inoltre, in caso di «inerzia»
del contribuente, dovrebbe stabilirsi la possibilità dell'amministrazione finanziaria di
procedere ad accertamento parziale (prendendo come riferimento il reddito dichiarato ai
fini del regime agevolato), o comunque di recuperare le somme dovute, mediante una
liquidazione automatica delle maggiori imposte, ferma restando l'ovvia possibilità di
procedere a specifici controlli anche sull'anno 2009; - che cosa accade in riferimento ad
accertamenti che sfociano in contenzioso e dunque non sono definitivi fino al passaggio in
giudicato della sentenza. Infatti, per accertamento definitivo si intende l'accertamento
divenuto tale a seguito di adesione o mancata impugnazione. Un eventuale ricorso e
relativo contenzioso, invece, potrebbe generare il trascorso di molto tempo in attesa di una
sentenza definitiva, date le lungaggini del processo tributario, con la probabilità che alcuni
anni potrebbero essere divenuti non più accertabili. Si immagini che il contenzioso relativo
all'accertamento del 2011 per l'anno 2008 si definisca solo nel 2016. A questo punto,
l'anno 2009 non rientra più tra quelli accertabili e dunque il problema di fuoriuscita dal
sistema si pone solo per gli anni successivi ancora accertabili, ammesso che in tali anni il
regime minimo sia fruito. In tal senso, il rischio potrebbe essere un effetto «a cascata»
degli accertamenti su tutti gli anni in regime dei minimi, poiché una volta ritenute non
veritiere le dichiarazioni di parte l'ufficio potrebbe decidere, a scanso di equivoci, di
accertare la presenza dei requisiti anche per le annualità successive. Ulteriori
complicazioni poi si pongono in riferimento all'accertamento che attesta ricavi o compensi
superiori al 50% di quelli dichiarati. La norma recita: «Il regime cessa di avere applicazione
dall'anno stesso in cui l'accertamento è divenuto definitivo». Sembrerebbe che la
situazione concreta dovrebbe essere: divenuto definitivo l'accertamento per il 2008
nell'anno 2011, è dall'anno 2011 che si fuoriesce dal regime fiscale. Una simile
interpretazione appare priva di fondamento, perché sembra strano un simile effetto
ritardato, senza considerare che non c'è certezza sull'applicabilità dei minimi nel 2011.
Probabilmente si tratta di un poco felice passaggio normativo, ma nel leggere il
precedente periodo del comma 18 e facendo riferimento al comma 15 è lecito presumere
che il legislatore volesse intendere che, al superamento di più del 50% della soglia dei
ricavi/compensi mediante accertamento definitivo, sin dall'anno accertato, ossia il 2008, si
è fuori dal regime dei minimi. In tal caso, si rammenta che ai fini Iva scatta l'obbligo di
rendere l'imposta sul valore aggiunto relativa ai corrispettivi delle operazioni imponibili
effettuate nell'intero anno solare, determinata mediante scorporo ai sensi dell'ultimo
comma dell'articolo 27 del dpr 633/72, salvo il diritto alla detrazione dell'imposta sugli
acquisti relativi al medesimo periodo.
Maurizio Tozzi, Italia Oggi pag. 7
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Risvolti a catena per il contribuente
Il regime in argomento prevede, tra l'altro, due importanti semplificazioni:
- la determinazione del reddito mediante un'immediata differenza tra ricavi/compensi e
costi, secondo un principio di cassa; - l'esonero dalla tenuta della contabilità, fermo
restando l'obbligo di conservazione dei documenti ricevuti ed emessi. Se ciò è vero, è
altrettanto vero che la fuoriuscita dal regime, che come detto può riguardare anche
direttamente l'anno accertato, automaticamente pone il contribuente all'interno dei regimi
ordinari, magari anche semplificato, ma comunque con il ritorno in auge sia della
contabilità, sia delle specifiche regole di determinazione del reddito di categoria (impresa o
autonomo). Le conseguenze di un simile assunto sono di non poco conto. In base al
tenore letterale del comma 9, che fissa la determinazione del reddito da sottoporre ad
aliquota sostitutiva, il criterio di cassa appare assoluto e totalmente svincolato dalla
specifica disciplina che alcuni costi hanno nell'ambito del reddito d'impresa o di lavoro
autonomo. Si pensi alle spese alberghiere per i professionisti o alla durata minima dei
contratti di leasing. In sostanza, aderendo al regime dei minimi i costi avrebbero rilevanza
per intero senza considerare le regole tipiche delle relative categorie reddituali. Ma se
l'accertamento comporta «il ritorno» al regime ordinario e dunque alla specifica categoria
reddituale, deriva che dovranno essere diversamente trattati tali componenti negativi, in
quanto tornerebbero applicabili in pieno le specifiche disposizioni del Tuir (per esempio,
spese alberghiere dedotte nel rispetto del 2% dei compensi dichiarati). Ciò, è evidente,
determina anche un recupero di costi divenuti indeducibili con conseguente aumento del
reddito da sottoporre a tassazione ordinaria. L'accertamento, poi, impatta anche sulla
speciale disciplina recata dal comma 11 secondo cui i componenti positivi (per esempio,
plusvalenze rateizzate) e negativi (per esempio, spese di rappresentanza riportate in più
esercizi) di reddito riferiti a esercizi precedenti a quello da cui ha «effetto» il regime in
questione, la cui tassazione o deduzione è stata rinviata in conformità alle disposizioni del
Tuir, partecipano per le quote residue alla formazione del reddito dell'esercizio precedente
a quello di efficacia del regime stesso, in alternativa: - solo per l'importo della somma
algebrica delle predette quote eccedente l'ammontare di 5.000 euro; - per un valore pari a
zero, in caso di importo non eccedente il predetto ammontare di 5.000 euro; - per l'esatto
importo negativo risultante dalla somma algebrica. La norma, dunque, è di favore al
contribuente che porta a tassazione solo gli importi eccedenti il saldo positivo di 5.000
euro e di contro deduce integralmente il saldo negativo. Orbene, tale disposizione non
appare «attaccabile» se il regime trova applicazione e ha «effetto» almeno in un periodo,
ma se, come nel caso di accertamento oltre il limite del 50% della soglia di
ricavi/compensi, non si realizza l'ingresso nel regime dei minimi e lo stesso non ha
«effetto», viene meno la condizione richiesta dal comma 11 e dunque si decade dalla
facoltà di computare nel modo evidenziato i componenti pluriennali, con conseguente
possibilità per il fisco di effettuare i dovuti recuperi.
Maurizio Tozzi, Italia Oggi pag. 7
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Studi di settore
Studi di settore, impatto sui ricavi
Un elemento particolare è rappresentato dal possibile, o meno, impatto degli studi di
settore ai fini del riscontro della soglia dei ricavi/compensi. La norma chiaramente
sancisce che tale soglia deve essere osservata in riferimento al periodo precedente. Il
punto controverso è se detto limite risenta o meno delle risultanze degli studi di settore
(nonché dei parametri). Se così fosse, e in tal senso spingono alcune prese di posizione
dell'amministrazione finanziaria con riferimento alla disciplina della trasparenza fiscale
(circolare n. 10 del 2005) o della thin cap, dove è stato chiarito che il superamento del
limite di applicazione di detti istituti andava riscontrato anche in funzione
dell'adeguamento, spontaneo o meno, al valore di congruità, si verifica il seguente
paradosso per l'accesso al regime dell'anno 2008: - i ricavi o compensi da controllare sono
quelli del 2007; - l'esatto ammontare di tali ricavi/compensi potrà aversi solo dopo aver
elaborato gli studi di settore per il 2007, disponibili presumibilmente da aprile 2008 in poi. Il
rischio concreto dunque è di accedere al regime e uscirne subito dopo, con tutte le
implicazioni del caso. Per risolvere tale empasse, pertanto, o si statuisce la non rilevanza
dell'adeguamento agli studi di settore ai fini della verifica del limite di 30 mila euro o si
effettua un rinvio ai risultati conseguiti al secondo anno antecedente quello di ingresso al
regime (per il 2008, il riferimento potrebbe essere il 2006). Si ipotizzi, per esempio, che lo
studio di settore, sviluppato a giugno 2008, conduca a un ammontare di ricavi/compensi
superiore a 30 mila euro. Escludere la rilevanza degli studi di settore può condurre alle
seguenti soluzioni: - il contribuente si adegua in dichiarazione, supera spontaneamente il
limite di 30 mila euro, ma pur di fatto ammettendo implicitamente di non avere più le
condizioni richieste dal comma 1, resta comunque nel regime dei minimi; - il contribuente
non si adegua e nel caso di successivo invito al contraddittorio e accertamento, nonché
eventuale definizione per un importo superiore a 30 mila euro, si realizzano i presupposti
del comma 18 (accertamento definitivo per un importo maggiore di 30 mila euro) e si
fuoriesce dal regime. In ordine agli studi di settore, infine, si pone un ulteriore problema
strettamente connesso all'accertamento definitivo. Si è visto, in precedenza, che in simili
ipotesi torna applicabile il regime ordinario dal periodo successivo all'accertato o da subito
se i maggiori ricavi/compensi superano del 50% la soglia dei 30 mila euro. Ebbene, se
torna applicabile il regime ordinario, si pone anche un problema di applicabilità degli studi
di settore. L'esempio concreto potrebbe essere la contestazione, a seguito di una verifica
nei confronti di un soggetto «minimo», di mancate fatturazioni di vendita che comportano il
superamento del 50% dei ricavi. In simili situazioni, soprattutto se la contestazione dei
maggiori ricavi avviene in maniera analitica e non mediante presunzioni, si ritiene che i
verificatori possano altresì considerare tutta la documentazione attiva e passiva del
contribuente e demandare all'ufficio accertatore, se del caso, anche lo sviluppo dello
studio di settore di categoria, non trattandosi di un caso di «presunzione su presunzione».
L'accertamento finanziario: Nell'ambito dell'accertamento che può causare l'uscita dal
regime dei minimi, infine, un ruolo oltremodo delicato è rappresentato dall'accertamento
finanziario, notevolmente potenziato da ultimo con l'entrata in funzione della banca dati
sezionale. Ma in generale, i problemi per i contribuenti minimi possono venire da tutte le
informazioni disponibili all'amministrazione finanziaria. Si consideri, per esempio, il caso di
un presunto contribuente minimo che è segnalato nelle nuove liste selettive ai fini del
redditometro. Orbene, se è da escludere che il maggior reddito attribuito da tale
accertamento sintetico possa essere interpretato come maggiori ricavi/compensi tali da
determinare l'uscita dal regime dei minimi, va da sé che la segnalazione della potenziale
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capacità reddituale, oltre a rendere accertabile con il redditometro il contribuente, mette in
allerta il fisco che presumibilmente deciderà di svolgere ulteriori indagini in ordine allo
svolgimento dell'attività. E in tale ottica fondamentale diventa l'accertamento finanziario,
con il connesso dirompente effetto dell'inversione dell'onere della prova in riferimento ai
versamenti e ai prelevamenti sospetti. Bisogna comunque ricordarsi delle importanti
precisazioni della circolare n. 32 del 2006 in ordine alla rilevanza dei costi occulti in
funzione della tipologia di accertamento utilizzata dall'ufficio. Secondo l'Agenzia delle
entrate, infatti, per quanto concerne l'accertamento dei redditi di impresa determinati sulla
base delle scritture contabili ai sensi dell'art. 39 del dpr n. 600 del 1973, è necessario fare
riferimento all'art. 109, comma 4, lettera b), ultimo periodo, del Tuir (applicabile anche alle
imprese minori ex art. 66, comma 3, Tuir), il quale prevede che «le spese e gli oneri
specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto
economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura
in cui risultano da elementi certi e precisi». Partendo da tale riferimento normativo,
l'Agenzia delle entrate afferma nella circolare n. 32 del 2006 che in caso di accertamento
fondato: - sul metodo analitico o sul metodo analitico-induttivo, nessun margine si offre
all'ufficio procedente ai fini di un possibile riconoscimento di componenti negative di cui
non è stata fornita da parte del contribuente prova certa, salvo che il contribuente sia in
grado di giustificare nel corso del contraddittorio le movimentazioni finanziarie effettuate,
indicando a fronte di un prelevamento come beneficiario un fornitore di cui non ha
provveduto a rilevare nei registri contabili le relative operazioni di acquisto, ma di cui
fornisce successivamente, in via extracontabile, documentazione probante; - sul metodo
induttivo (o extracontabile), l'ufficio non può non tenere conto, a esclusione del comparto
Iva, di un'incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati. Ciò
in virtù della tipologia di tale metodo accertativo, che presuppone per la determinazione
del reddito da parte dell'impresa l'imprescindibile esistenza di un costo a cui corrisponde
l'investimento che ha generato il ricavo. Pertanto, anche in riferimento ai contribuenti
minimi i costi occulti seguiranno le regole dianzi rammentate. Infatti, anche se l'ammontare
dei ricavi dovesse superare la soglia di applicazione del regime dei minimi, ciò non toglie
che, soprattutto in caso di accertamento extracontabile, il contribuente potrà comunque
richiedere il riconoscimento di una percentuale di costi occulti da poter essere considerato
in deduzione. In pratica, l'ufficio accertatore dovrà calcolare la percentuale di ricarico
praticata sui costi, determinare l'ammontare dei ricavi o compensi e dedurre da tale
importo il totale dei costi occulti.
Italia Oggi pag. 8
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GIURISPRUDENZA
Cassazione
L’ “invito” non si impugna
In materia tributaria è preclusa l’azione di accertamento negativo e, pertanto, qualora il
giudice verifiche che un determinato atto manchi dei necessari elementi per poter
validamente esprimere una pretesa tributaria dell’amministrazione, non sarà possibile
procedere alla valutazione della sussistenza del debito fiscale. Tale principio si rende
applicabile anche nell’ambito delle controversie tributarie doganali proposte innanzi al
giudice ordinario, prima delle modifiche apportate in materia di contenzioso tributario. E’
quanto stabilito dalle Sezioni unite civili della Corte di cassazione con sentenza n. 24011
del 20 novembre 2007. La sentenza: “La riferita esperienza giurisprudenziale che vede
collocata l’azione di accertamento negativo nel giudizio di opposizione ad ingiunzione
fiscale evidenzia che la proponibilità della predetta azione di accertamento presuppone un
valido ed efficace esercizio, da parte dell’amministrazione, della pretesa erariale la cui
inesistenza il contribuente intenda far accertare: sicchè qualora non emerga, mediante un
atto concreto (e giuridicamente efficace) di esercizio della pretesa tributaria, la volontà
impositiva dell’amministrazione nei confronti di un determinato soggetto di imposta, deve
ritenersi improponibile l’azione di accertamento negativo. Quest’ultima infatti, non può che
rapportarsi (trovandovi fondamento) ad una specifica (e concretamente esigibile) pretesa
erariale che giustifichi l’interesse ad agire del contribuente: con la conseguenza che in
materia tributaria, anche di fronte al giudice ordinario, un’azione di accertamento negativo
in via preventiva della pretesa erariale – senza cioè che sussista un effettivo esercizio
della pretesa stessa – è improponibile”.
Maria Grazia Strazzulla, Il Sole 24 Ore pag. 35
Mobilità: La scelta degli addetti deve essere motivata
Nella comunicazione preventiva con cui si dà inizio alla procedura di mobilità il datore di
lavoro deve dare puntuale indicazione dei criteri di scelta e delle modalità operative; anche
quando il criterio prescelto sia unico, il datore di lavoro deve specificare le sue modalità
applicative, in modo che raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado l
lavoratore di percepire perché lui, e non altri dipendenti, sia stato destinato al
collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente
contestare l’illegittimità della misura espulsiva, sostenendo che sulla base del comunicato
criterio di selezione, altri lavoratori e non lui avrebbero dovuto essere collocati in mobilità o
licenziati. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 25668 del 7 dicembre 2007.
Remo Bresciani, Il Sole 24 ore pag. 36
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Licenziamento: la altre azioni vanno sollecitate
Ai fini della sussistenza del giustificato motivo obiettivo di licenziamento, l’onere della
dimostrazione dell’impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni
analoghe a quelle svolte in precedenza, pur non potendo essere posto a carico del
lavoratore implica comunque un primo onere di deduzione e allegazione tra gli elementi
posti a fondamento dell’azione della sua domanda, sicchè, ove il lavoratore non prospetti
nel ricorso tale possibilità, neppure insorge l’onere per il datore di lavoro convenuto di
offrire la prova della concreta insussistenza di tale possibilità di diverso e conveniente
utilizzo del dipendente licenziato. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 25270
del 4 dicembre 2007
Remo Bresciani, Il Sole 24 ore pag. 36
Disciplinare: sanzioni al dipendente proporzionate
In tema di licenziamento disciplinare, per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta
causa di licenziamento occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al
lavoratore,in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze
nelle quali sono state commessi e all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la
proporzionalità tra i fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la dimensione dell’elemento
fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da
giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. Lo ha affermato la Cassazione con
la sentenza n. 25222 del 3 dicembre 2007
Remo Bresciani, Il Sole 24 ore pag. 36
Diritto di famiglia: condizioni rigide di separazione
La convenzione siglata dai coniugi in sede di separazione consensuale, con la quale si
stabilisce la futura vendita dell’immobile di proprietà comune, adibito a casa coniugale e
inizialmente assegnato alla madre quale affidataria della figlia minorenne, non può formare
oggetto di revisione, ed è pertanto immodificabile, seconda la procedura prevista dagli
articoli 710 e 711 del Codice di procedura civile Se peraltro un simile accordo fosse
considerato frutti di una manifestazione di volontà viziata da circostanze capaci di incidere
sulla formazione del consenso prestato dalle parti, lo strumento a ciò deputato sarebbe
costituito unicamente dall’annullamento del negozio giuridico, e non da quello della
modifica delle condizioni di separazione. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la
sentenza n. 24321/07. La sentenza: “ Appare palese come la clausola della separazione
istitutiva dell’impegno futuro di vendita dell’immobile adibito a casa coniugale, in quanto
tale assegnata alla ricorrente nella veste di affidataria della figlia minore, lungi dal risultare
“inscindibile” rispetto a quest’ultima pattuizione (relativa all’assegnazione dell’abitazione
familiare) siccome capaci di determinare il venir meno o la durata, si configuri, piuttosto,
come del tutto “autonoma” rispetto al regolamento concordato dai coniugi in ordine alla
stessa assegnazione, così da riguardare un profilo sicuramente compatibile con siffatta
assegnazione in quanto sostanzialmente non lesivo della sua rispondenza all’interesse
(della minore) tutelato attraverso detto istituto e da soggiacere, quindi, alla regola
dell’immodificabilità”.
Paolo Russo, Il Sole 24 Ore pag. 39
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Nulla la vecchia bancarotta
Non va condannato per bancarotta il piccolo imprenditore. Neppure quando il processo
penale è iniziato quando era in vigore la disciplina precedente alla riforma del diritto
fallimentare. Così, a chi sta al di sotto delle soglie di fallibilità non può essere imputato il
più classico dei reati fallimentari: la bancarotta fraudolenta per distrazione. Di più: anche
chi ha avuto una condanna già passata in giudicato, ma aveva le carte in regola per
essere considerato piccolo imprenditore, potrebbe adesso farsi cancellare la pronuncia dal
casellario, facendo tornare immacolata la propria fedina penale. A fissare il principio è
un’importante sentenza della Cassazione (la n. 43076 della Quinta sezione penale,
depositata il 21 novembre) che, smentendo l’unico precedente risalente al maggio scorso,
sposa la linea più favorevole agli imprenditori. La nuova legge fallimentare non ripete le
rigidità della vecchia e all’articolo 1 prevede che devono essere considerati piccolo
imprenditori e pertanto esclusi dal fallimento, tutti i soggetti che hanno effettuato
investimenti in azienda per un capitale superore a 300mila euro oppure hanno realizzato
ricavi lordi, negli ultimi tre anni, per un complessivo annuo inferiore a 200mila euro. Il nodo
da sciogliere diventa la successione nel tempo di leggi penali e in particolare di quelle
norme, anche extrapenali, richiamate in maniera esplicita a integrazione della fattispecie
incriminatrice. Occorre cioè accertare, sottolinea la Corte, se la successione normativa
comporta “rispetto al “fatto”, quella reale novità legislativa che sostituisce la ratio
giustificatrice del principio di retroattività della legge più favorevole”. A tutto questo si
aggiunge poi il fatto che la riforma fallimentare prevede esplicitamente che le procedure
aperte alla data di entrata in vigore delle novità sono disciplinate dalla vecchia normativa.
Una tesi che aveva spossato la stessa Cassazione della sentenza 19297 del 2007 e che
ora viene rimessa in discussione visto che la sentenza 43076/07 mete in evidenza come il
cambiamento normativo sulla fallibilità dell’imputato si rifletta sull’esistenza del reato e
come il legislatore possa disciplinare in maniera più libera la fase transitoria dal vecchio al
nuovo nel settore civili rispetto al penale. In questo settore, infatti, bisogna tener conto
dell’articolo 2 che prevede l’applicazione della norma più favorevole. Principio che può
essere trasgredito ma solo in maniera esplicita. Cosa che non sembra fare la disciplina
della fase transitoria introdotta dalla riforma. A conclusione, così, la Cassazione osserva
che “è di tuta evidenza che il novum legislativo non ha affatto apportato a un’abrogazione
di norma penale,,a semplicemente, alla ridefinizione della qualifica di soggetto attivo” del
reato. Tocca al giudice verificare così l’eventuale conflitto tra la vecchia fattispecie penale
e la nuova per sancire l’eventuale conferme della punibilità. Che però deve essere esclusa
se, come sembra (ma la decisione finale toccherà al giudice di rinvio) l’imprenditore in
questione poteva essere considerato “piccolo”.
Giovanni Negri, il Sole 24 Ore pag. 39
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Fallimento: revocatorie, c’è tempo per il de profundis
In materia di revocatorie fallimentari la Corte di cassazione con la sentenza n. 23393/07,
pur riferendosi al sistema previdente alla riforma del diritto fallimentare, ha consolidato il
principio in base al quale ogni versamento sul conto scoperto deve presumersi pagamento
di debito liquido ed esigibile, salva la prova della ricorrenza di una delle plurime ipotesi che
inducono a sottrarre la rimessa dal regime revocatorio: storni, insoluti, partite bilanciate,
erogazioni di finanziamento o altro. La decisione si iscrive in un orientamento già acquisito
dalla giurisprudenza di legittimità, fondato sull’immediata e reciproca esigibilità del saldo
del conto corrente bancario (articoli 1852 e seguenti del Codice civile) e induce a
rimeditare criticamente quelle prime letture del nuovo dettato normativo per le quali
nell’ordinamento vigente non sarebbe possibile procedere alla revocatoria delle rimesse
se non nel limite fissato dalla teoria del massimo scoperto e vale a fare giustizia della tesi
secondo la quale l’attuale assetto sarebbe addirittura il frutto dell’introduzione di
disposizioni d’interpretazione autentica e perciò retroattive. In questo scenario si colgono
gli spiragli per una controtendenza rispetto alle recenti (e inquietanti) notizie sulla
sostanziale scomparsa dell’azione revocatoria fallimentare dai nostri Tribunali.
Niccolò Ariani, Leonardo Quagliotti, Il Sole 24 Ore pag. 39
Sulla prescrizione tributi non si va davanti al gdp
La sentenza: Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza del 19 novembre 2007, n.
23832. Il caso: Si può ricorrere al giudice di pace per contestare la prescrizione di un
tributo? La decisione:La Cassazione risponde negativamente. Una società in nome
collettivo ha impugnato con ricorso al giudice di pace due solleciti di pagamento inviati da
una società concessionaria per la riscossione dei tributi, riferiti a tre cartelle esattoriali
relative a tasse automobilistiche, eccependo la prescrizione del credito tributario. La
società di riscossione dei tributi si è difesa, oltre che contestando la pretesa prescrizione,
sostenendo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. A decidere la causa, secondo la
concessionaria di riscossione, sarebbe dovuto essere il giudice tributario e non il giudice
ordinario (e tanto meno il giudice di pace). Il giudice di pace ha, invece, deciso la causa.
Secondo il magistrato onorario il giudice tributario ha giurisdizione in caso di contestazione
del merito del tributo; mentre se si deduce l'intervenuta prescrizione del credito, la materia
del contendere esula da quella esclusiva giurisdizione e può essere esaminata e decisa
del giudice ordinario. Il giudice di pace ha, poi, dato ragione, condannando anche la
società concessionaria convenuta al pagamento del credito prescritto a favore dell'ente
impositore. La società concessionaria per la riscossione ha proposto ricorso in
Cassazione, riproponendo specificamente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in
favore del giudice tributario. Secondo la società concessionaria, alla luce del dlgs n. 546
del 1992 (disposizioni sul procedimento tributario), tutte le controversie che abbiano a
oggetto i tributi di ogni genere e specie sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del
giudice tributario (compresa la tassa automobilistica). Innanzi al giudice tributario
dovrebbe, altresì, farsi valere l'eventuale eccezione di prescrizione del diritto
dell'amministrazione di esigere il tributo. La Cassazione ha dato ragione alla società
concessionaria. Innanzi tutto le tasse automobilistiche hanno natura tributaria, e il relativo
contenzioso è devoluto alla giurisdizione del giudice tributario. Inoltre la Cassazione ha
dato risposta negativa al quesito se la limitazione della materia del contendere alla
prescrizione del credito può determinare la sottrazione della controversia alla giurisdizione
del giudice Tributario, legittimandone la cognizione da parte del giudice ordinario.
Mediante l'eccezione di prescrizione, infatti si fa valere un fatto estintivo dell'obbligazione
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tributaria, e quindi a conoscere della causa spetta al giudice che abbia giurisdizione in
merito a tale obbligazione. La questione sulla prescrizione non è estranea al merito della
pretesa tributaria dell'ente impositore. Non essendo estranea al merito della pretesa
tributaria non ha ragione giuridica la distinzione fatta dal giudice di primo grado. Peraltro
bisogna anche tenere conto del fatto che la prescrizione è sopravvenuta alla formazione
del titolo esecutivo (la cartella esattoriale), e che alla esclusiva giurisdizione del giudice
tributario sono sottratte «le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata
tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento. Il sollecito di pagamento
inviato al contribuente, però, non può classificarsi tra gli atti della esecuzione forzata
tributaria sui quali difetta la giurisdizione del giudice tributario. Il «sollecito di pagamento»
ricevuto dal contribuente precede l'esecuzione, simile all'avviso di mora, impugnabili
innanzi alle commissioni tributarie. Gli effetti pratici: Sono inclusi tra gli atti
autonomamente impugnabili, innanzi al giudice tributario, tutti quegli atti che, pur essendo
«atipici» in relazione ad una diversa denominazione ad essi attribuita dall'amministrazione
finanziaria (come i solleciti di pagamento), abbiano, comunque, la stessa sostanza e
svolgano la medesima funzione degli atti tipizzati nell'elenco del decreto legislativo
546/1992. Alle commissioni tributarie spetta la cognizione di tutte le controversie aventi ad
oggetto i tributi di ogni genere e specie”, incluse, quindi, quelle in materia di tasse
automobilistiche. Il giudice tributario si arresta unicamente di fronte agli atti della
esecuzione tributaria. Deve essere quindi dichiarata la giurisdizione del giudizio tributario
in materia di solleciti di pagamento relativo a tasse automobilistiche. La giurisdizione del
giudice di Pace è comunque esclusa, senza che questo implichi problemi di legittimità
costituzionale, neppure per i contributi di entità modesta. Invece rientra nella giurisdizione
del giudice ordinario la domanda con la quale, nell'opporsi all'azione esecutiva intrapresa
dalla società concessionaria del servizio di riscossione tributi si sostiene la carenza di
presupposti formali e sostanziali necessari a che il titolo possa legittimare l'ente
concessionario ad intraprendere esecuzione forzata.
Antonio Ciccia, Italia Oggi pag. 35
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FLASH
Italia Oggi (15/12/07) pag. 4-5-40-42
Un errore che vale 100 processi
Quel pasticciaccio brutto sul decreto legge sicurezza si è trasformato in una bomba dagli
effetti dirompenti. Il passaggio che intendeva colpire duramente i comportamenti omofobi,
a causa del riferimento del tutto sbagliato al Trattato di Amsterdam, minaccia di realizzare
un autentico colpo di spugna su tutti i processi in corso per razzismo. Di più, minaccia di
cancellare in un solo colpo anche le sentenze già passate in giudicato. Il motivo è che
viene abrogata la legge Mancino. Ma quanti sono i procedimenti a rischio? Ieri è già partito
il balletto delle cifre. Il numero più alto, 100, è stato sparato da Federico Palomba,
responsabile giustizia dell'Idv. Più sobria, naturalmente, la previsione del ministero della
giustizia, secondo il quale i processi a rischio sarebbero non più di una ventina, di cui 5 o 6
a Milano, 10 a Roma e qualcuno a Verona intentato contro esponenti leghisti.
Si tenta il bis del comma Fuda
Non è proprio tecnicamente un precedente. Ma una soluzione a cui ispirarsi, questo sì.
Tocca fare anche questo al famigerato, e disconosciuto, comma Fuda della finanziaria
2007. Quella norma entrata di soppiatto nel ddl che riduceva e di molto i tempi di
prescrizione dei reati contabili introducendo di fatto un amnistia, un colpo di spugna. Il
governo non poteva cambiare la finanziaria visto che si era a ridosso del primo gennaio e
dunque fu costretto a fare un decreto legge per abrogare quel comma. Ci mise una pezza,
insomma, confidando nei tempi rispettivi di vacatio legis. Ed è su questo meccanismo, più
o meno, che potrebbe giocare il governo per correre ai ripari sulla norma anti-omofobia
contenuta nel decreto legge sicurezza all'esame della camera. Quella disposizione, che
innalza le pene per la istigazione e la violenza per discriminazione razziale o sessuale, è
inapplicabile perché contiene un riferimento sbagliato al trattato di Amsterdam. Ma,
nonostante sia inapplicabile, per le regole del diritto, abroga anche la fattispecie originaria.
Con l'effetto perverso di fare saltare processi e giudicati. Ed è quello che il governo vuole
evitare. Il ministro per i rapporti con il parlamento, Vannino Chiti, ha annunciato che la
correzione si farà con un decreto di fine anno, magari il mille proroghe. Ma giuridicamente
parlando, la strada è ardita. Tutto si dovrà giocare sui tempi di entrata in vigore delle leggi.
Quella di conversione del decreto legge entra in vigore, come recita essa stessa, il giorno
successivo a quello della pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Per evitare che la norma
sbagliata produca alcun effetto amnistia, il decreto legge correttivo, che entra in vigore il
giorno stesso della sua pubblicazione, dovrebbe essere pubblicato nella stessa gazzetta
ufficiale
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Avvocati, varate nuove regole sulle astensioni dalle udienze
Le astensioni degli avvocati dall'attività giudiziaria andranno comunicate almeno 10 giorni
prima. E non potranno protrarsi oltre gli otto giorni consecutivi. La commissione di
garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali ha
valutato positivamente il codice di autoregolamentazione elaborato dall`organismo unitario
dell`avvocatura italiana (Oua), dall`associazione nazionale giovani avvocati (Aiga),
dall`associazione nazionale forense (Anf), dall`unione camere civili (Uncc) e dall`unione
camere penali italiane (Uncpi). Il codice, che sostituisce la regolamentazione provvisoria in
vigore dal 4 febbraio 2002 e che adesso aspetta solo la pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale, mira a contenere al minimo i possibili disagi per i cittadini. E, fra le altre cose,
affida agli ordini provinciali degli avvocati la vigilanza sul rispetto individuale delle regole.
Grande soddisfazione da parte dell'Oua, l'organismo presieduto da Michelina Grillo, per
essere arrivati «ad un codice di autoregolamentazione redatto dagli stessi interessati e
che al tempo stesso garantisce la tutela dei diritti costituzionali». Nel penale, nel civile,
nell'amministrativo e nel tributario, infatti, si elencano una serie di prestazioni ritenute
indispensabili per la salvaguardia dei diritti soggettivi dei cittadini. Proprio gli utenti finali
dell'assistenza legale dovranno essere messi al corrente dello stato di agitazione della
categoria. Con la proclamazione dell'astensione andranno indicati, infatti, la specifica
motivazione e la sua durata. La comunicazione va indirizzata al presidente della Corte
d'Appello e ai dirigenti degli uffici giudiziari civili, penali amministrativi e tributari interessati,
nonché al ministro della giustizia o ad altro ministro interessato, alla commissione di
garanzia e al consiglio nazionale forense. All'organismo proclamante l'obbligo della
diffusione della notizia. L'astensione non potrà superare gli otto giorni consecutivi, esclusi
domenica e festivi. In ogni caso tra il termine finale di un'astensione e l'inizio di quella
successiva dovrà intercorrere un intervallo di almeno quindici giorni. Nel processo civile,
penale, amministrativo e tributario la mancata comparizione dell'avvocato all'udienza o
all'atto dell'indagine preliminare o a qualsiasi atto o adempimento, in occasione di uno
stato di agitazione della categoria in regola con il codice in commento, è considerata
legittimo impedimento del difensore. Tale situazione deve essere dichiarata
personalmente, o tramite sostituto del legale titolare della difesa o del mandato, all'inizio
dell'udienza o dell'atto di indagine preliminare. Oppure comunicata con atto scritto
trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico
ministero almeno due giorni prima della data stabilita.
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Il mondo dei legali è in ebollizione
Si chiude un anno di grandi movimenti per gli studi legali. Tra nuovi acquisti, spin off,
alleanze e firm che hanno appena tagliato il nastro di partenza, il mercato dei legali italiani
del 2007 non ha avuto tregua. È fresca di poche ore l'indiscrezione che vede Alessandro
Munari, name partner dello studio d'Urso Munari Gatti, nella top ten delle firm per fatturato,
in fase di divorzio da Francesco Gatti e Carlo d'Urso. Ma vediamo più nel dettaglio che
cosa è successo nel corso di un 2007 che ha visto consumarsi altre separazioni eccellenti,
come in casa di Gianni e di Bonelli. E che nel 2008 non tarderanno a farsi sentire
nell'economia dei servizi legali. ItaliaOggi ha ripercorso i 12 mesi di passione delle
principali law firm italiane e internazionali. Con l'occhio puntato verso il nuovo anno.
I più: Sicuramente, a parte lo studio Legance che è stato appena varato dai 90
professionisti usciti da Gianni Origoni Grippo, chi è uscito più rafforzato dal 2007 è lo
studio internazionale Latham & Watkins. Che ha messo a segno un vero e proprio colpo di
mercato, ancora da ufficializzare, acquistando i cinque soci usciti da Bonelli Erede
Pappalardo. Ma è stato un anno prolifico anche per Dla Piper, che ha chiuso il 2007
raggiungendo quota 100 professionisti. Con 44 ingressi, dei quali sei partner e 17
associate, e otto uscite. Il settore che ne è uscito più rafforzato, e sul quale probabilmente
lo studio punterà nel 2008, è il corporate-m&a, con nove ingressi. A seguire il labour con
sei e il real estate, settore di punta della firm, con cinque. La strada che sta
intraprendendo il managing partner, Federico Sutti, sembra proprio quella di allargare gli
orizzonti dei servizi offerti. Scandagliando poi le nuove entrate dello studio Tonucci &
partner emerge che Mario Tonucci sta puntando molto sulla crescita della sede di Roma,
con 11 ingressi su 13 in Italia, dei quali un partner. E dei dipartimenti di lavoro e
amministrativo, ma soprattutto del fiscale, con l'arrivo di quattro commercialisti. Si sta
rafforzando anche Agnoli Bernardi e associati, che ha chiuso il 2007 con sette nuovi
ingressi, dei quali due partner e due senior associate. Sono tre, invece, i nuovi partner
entrati in Nctm. I meno: Chiudono in passivo, in quanto a partner in entrata e uscita, due
big firm come Gianni Origoni Grippo e Bonelli Erede Pappalardo. Per quanto riguarda
Gianni, è stato suo malgrado protagonista, all'inizio di novembre, di uno dei più eclatanti
spin off che la storia del mercato legale ricordi. Situazione molto diversa per Bonelli, che
però ha perso cinque soci in un colpo solo. Per il resto, lo studio ha rinnovato il consiglio
degli associati e sta puntando sulla crescita interna, avendo appena promosso a soci
cinque professionisti. Ma anche sulle collaborazioni, avendone avviate due e acquistato
altri due of counsel. Anche Freshfields, nonostante abbia chiuso il 2007 con una crescita
di una quindicina di unità, dei quali la maggior parte associate, e la promozione di un
partner interno, ha perso per strada pezzi importanti: cinque partner. Gli stabili: Tra gli
studi stabili ItaliaOggi ha inserito quelli che, seppur abbiano registrato una crescita
numerica nel 2007, non hanno acquistato nuovi partner. Segno spesso di una strategia di
crescita interna. O di normale avvicendamento, come nel caso di Allen & Overy, dove
sono entrati sì due partner, dei quali uno proveniente dalla sede di Londra, ma per
bilanciare le partenze, e quindi restare forti, nel settore banking. Per il resto, sono entrati
due of counsel e nominati due senior counsel. Punta decisamente sulla crescita interna
Chiomenti, che nel 2007 ha nominato cinque nuovi soci. Proprio oggi, tra l'altro,
l'assemblea dei soci delibererà le nuove nomine con decorrenza 1° gennaio 2008. Anche
per Pavia e Ansaldo nessun nuovo partner, ma 18 nuovi ingressi in Italia, di cui sette
associati e tre consulenti, con una perdita di soli tre associati. In Baker & McKenzie è
arrivata, nel 2007, una pioggia di associati, ben 20, a rafforzare soprattutto le aree
corporate m&a e dispute resolution. Una decina di associate sono entrati anche in Norton
Rose, cresciuta soprattutto nel corporate. Mentre per Simmons & Simmons i nuovi entrati,
al netto delle uscite, sono 15.
( a cura di Daniele Memola )
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- via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 -
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