Il secolo d’oro della pittura spagnola di Alfonso E. Pérez Sánchez Storia dell’arte Einaudi 1 Edizione di riferimento: in La pittura in Europa. La pittura spagnola, vol. II, Electa, Milano 1995 Storia dell’arte Einaudi 2 Indice Il primo naturalismo Toledo Valencia Siviglia 11 17 21 24 La generazione dei grandi maestri Ribera Francisco de Zurbarán Alonso Cano Velázquez I pittori madrileni della generazione di Velázquez Il resto della Spagna 29 31 36 43 47 I pittori del pieno barocco La «scuola madrilena» La pittura sivigliana Nel resto della Spagna 68 72 81 88 55 63 Storia dell’arte Einaudi 3 Il secolo d’oro della pittura spagnola Il XVII secolo è senz’ombra di dubbio il Siglo de Oro della pittura spagnola. Con il fenomeno dell’isolamento culturale della Spagna dal resto d’Europa, con l’identificazione quasi eccessiva della nazione nella religione e con lo sviluppo del naturalismo prima e del barocco poi quali linguaggi dell’espressione plastica, la pittura spagnola raggiunge il suo apice in quanto a personalità e indipendenza, assimilando, interpretando e personalizzando in modo inconfondibile i modelli e le tendenze che, come sempre, provengono dall’Italia e dalle Fiandre. L’immagine ampiamente diffusa della «scuola spagnola», con i suoi limiti e le sue grandezze, risponde a questo panorama di cui fanno parte i grandi nomi che la Spagna ha dato alla storia universale dell’arte. È naturale sottolineare il carattere fondamentalmente religioso della pittura spagnola del Seicento. La chiesa, ma soprattutto gli ordini religiosi, sono i committenti quasi esclusivi degli artisti; la nobiltà invece dimostra un maggior interesse per i pittori italiani e fiamminghi piuttosto che per quelli spagnoli. L’ambasciata a Roma, i governi delle Fiandre, il ducato di Milano e il viceregno di Napoli, che in seguito ostenteranno buona parte dei «grandi» di Spagna, amano la pittura proveniente dai due paesi ai cui pittori commissionavano le opere importanti che donavano tono e prestigio moderno ai loro palazzi. Si conosce soltanto un importante nobile spagnolo che dedicò la propria attenzione ai pittori della sua Storia dell’arte Einaudi 4 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola terra: il grande ammiraglio di Castiglia don Juan Gaspar Enríquez de Cábrera che, come ricordano le fonti, aveva predisposto un salone del suo palazzo per esporre opere degli «eminenti spagnoli». Era prassi che la pittura profana per decorare i palazzi venisse commissionata nelle Fiandre o in Italia, mentre ai pittori spagnoli si rivolgevano le fondazioni pie, cosa indirettamente molto utile alla loro formazione perché, avendo rare occasioni di viaggiare, potevano venire a conoscenza, grazie a queste nobili collezioni, delle realizzazioni e delle evoluzioni della pittura europea, almeno per quegli aspetti di loro interesse. La situazione sociale spagnola si riflette nell’opera e nello status dei pittori, riuniti in corporazioni a carattere artigianale, con botteghe familiari a struttura quasi medievale e tra i quali non è difficile trovare ottimi artisti analfabeti. La clientela borghese istruita è quasi inesistente, ma soprattutto è raro riscontrare tra i possibili mecenati o tra i pittori il gusto per le lettere, la familiarità con la mitologia appresa da fonti classiche che, al di fuori della Spagna, rendeva possibile lo sviluppo delle «poesie» del mondo carracciesco, romano-bolognese o del classicismo di Poussin. Soltanto nei circoli molto vicini al centro della monarchia e all’ambiente degli artisti di corte si riscontra l’uso della mitologia, sempre utilizzata in programmi iconografici fortemente allegorico-moralizzanti dettati da un teologo. A lungo andare questi limiti si ripercuotono sulle abitudini e sui modi dei pittori spagnoli, soprattutto quando, in alcuni casi eccezionali, costoro sono obbligati ad affrontare argomenti mitologici o eroici, cosí diversi dai soliti temi religiosi, e si sentono fuori dal proprio ambiente, non riuscendo a trovare i toni adatti. Tranne nel caso dell’eccezionale figura di Velázquez, nella pittura spagnola sono scarsi i temi pagani e i paesaggi, un genere indipendente, ampiamente utilizzato Storia dell’arte Einaudi 5 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola nello stesso periodo in tutta Europa, ma raro in Spagna; i pochi esistenti mancano di personalità e sono legati per la maggior parte a modelli italiani e fiamminghi. Contrariamente a quanto si può a volte credere osservando i magistrali esempi, sempre eccezioni, del giovane Velázquez o dell’anziano Murillo, in Spagna non furono neppure coltivate le composizioni di genere e, quindi, non esistendo una clientela borghese, soddisfatta e d’accordo con la realtà rappresentata, non era concepibile uno sviluppo simile a quello avvenuto in Olanda, nelle Fiandre o in alcune regioni francesi. Il tanto ripetuto naturalismo spagnolo è in realtà piú un mezzo che un fine. La realtà quotidiana, i personaggi di strada, la rappresentazione dei lavori e dei giorni non sono per il pittore spagnolo elementi che meritino di essere rappresentati in quanto tali, bensí prestano la loro immagine, immediata e viva, ai racconti evangelici o agiografici. Come Lope de Vega, che quando parla di san Isidro ci descrive la vita quotidiana di Madrid con una vivacità senza paragoni, cosí i pittori di Valencia, Siviglia o Madrid iscrivono in una cornice di naturalismo ambientale la narrazione che la pia volontà dei committenti impone loro. Cosí facendo, riflettono la realtà spagnola, anche se in un modo molto diverso dalla pittura di genere concepita da alcuni allievi di Caravaggio, dai bamboccianti italiani, dal mondo olandese o anche da alcuni settori della società fiamminga rappresentata dai Teniers. Come ha sottolineato Julián Gállego, molti elementi di apparente realismo erano impregnati di un senso allegorico o emblematico che sfugge ai nostri occhi moderni, ma che era di facile lettura agli uomini del XVII secolo. Tra i generi profani, solo la natura morta ha avuto ampio sviluppo in Spagna, arrivando a costituire un capitolo importante nel panorama globale della pittura secentesca europea. I bodegónes (nature morte), come di Storia dell’arte Einaudi 6 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola solito venivano definite le opere con oggetti inanimati (fiori, frutta, utensili di cucina, animali morti) accompagnati o meno da persone, hanno una personalità molto particolare e rispondono a un concetto diverso da quello italiano, fiammingo, olandese o francese contemporanei. Una sensibilità umile e seria, profonda e impregnata di un sentimento religioso che ordina gli oggetti in base a un valore trascendentale è ciò che si può definire nuovo e personale negli artisti spagnoli di questo genere, la cui arte, spesso, soprattutto all’inizio del secolo, assume un carattere quasi religioso che a noi, meno adusi al genere dei loro contemporanei asceti come fra Luis de Granada o Teresa del Gesú, sfugge frequentemente. Non è un caso che alcune serie di nature morte provengano da conventi di clausura o da sagrestie di cattedrali, dove ancora oggi sono custodite. Anche il ritratto raggiunge in Spagna un notevole sviluppo, con aspetti un poco diversi da quelli di altre scuole europee. Se nell’ambiente di corte la tradizione del severo ritratto fiammingo del XVI secolo, fusa con i superbi modelli veneziani e con la presenza di eccezionali esemplari di Rubens e Van Dyck, porta alla sintesi del serio e sobrio ritratto di Velázquez che Mazo, Carreño e altri coltivano, arricchendolo, fino al sopravvento, nel Settecento, del ritratto «alla francese», in altri ambienti minori o provinciali si sviluppa un genere di ritratto con un’oggettività intensa e un severo garbo che prolunga fino al secolo avanzato quel tono di grave contegno e alterigia un poco rigida che definiva, agli occhi europei, il talento spagnolo. Se negli ambienti francesi non era raro l’utilizzo nel ritratto, soprattutto in quello femminile, di attributi mitologici per far trasparire, con delicatezza, le virtú della persona ritratta, in Spagna è molto frequente il ritratto in foggia «divina», dove il personaggio effigiato ha gli attributi del suo santo protettore. Storia dell’arte Einaudi 7 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Gli artisti spagnoli si espressero al meglio, anche nelle epoche precedenti, nella pittura sacra. La quasi totalità della produzione dei pittori spagnoli, sia a Madrid, dove sono relativamente pochi gli artisti che ottengono incarichi a palazzo, sia nel resto della penisola è composta da quadri da altare (sia negli scomparti dei retablo dell’inizio del secolo, che presentano ancora l’austera struttura ereditata dall’Escorial, sia nelle grandi tele da altare della seconda metà del secolo, in cui si giunge al culmine della scenografia barocca), cieli monastici, che rivestono con un vivace senso narrativo le pareti dei chiostri dei conventi, o piccoli quadri di devozione che adornano sale e saloni. La religiosità spagnola, appassionata e sincera, che sfugge l’effusione sentimentale italiana, il freddo dogmatismo teologico francese e la magniloquente teatralità fiamminga, riesce, fondandosi su un profondo amore per la concretezza, a cristallizzare un tono tra il grezzo e il profondo, semplicemente realista e a volte profondamente visionario, che è la caratteristica piú emozionante e notevole dell’arte spagnola. Non si tratta soltanto, sebbene sia stata cosí riportata da una critica letteraria e ripetitiva nata durante il Romanticismo, di un’arte composta da sofferenza e crudeltà, bensí è basata sull’immediatezza derivante dalla realtà circostante che dona all’interpretazione del tema religioso, secondo la Controriforma, un abito quotidiano di rigore e dolore, di austerità e sacrificio che non fugge, quando serve, dalla serena tenerezza e dall’ottimismo gioioso della fede. In generale si può percepire un’evidente differenza tra la pittura spagnola della prima metà del XVII secolo, a carattere fortemente realista, con tratti provenienti in buona parte dal naturalismo tenebrista italiano, dalle forme e dai colori severi, e quella della seconda metà, quando la vasta diffusione dei modelli fiamminghi Storia dell’arte Einaudi 8 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola rubensiani, grazie alla stampa e all’enorme quantità di quadri che dai paesi fiamminghi giungevano nelle collezioni spagnole, dà un nuovo senso all’opulenza barocca, dinamica e colorista, a ciò che si realizza in Spagna, anche quando la realtà economica e politica non è proprio trionfale come invece potrebbero indurre a pensare le opere luminose degli ultimi anni del secolo. In quest’ultimo periodo si diffonde inoltre il gusto per le grandi decorazioni ad affresco, rare in genere nella prima metà del secolo e concepite adesso con un tono unitario, scenografico e musicale completamente nuovo. La presenza di artisti italiani specializzati in questo genere di decorazione murale è decisiva per l’arte spagnola del periodo. Per quanto riguarda i centri artistici, la Spagna del XVII secolo presenta tre nuclei ben definiti: la corte, Valencia e l’Andalusia. La corte, stabilitasi a Madrid dai tempi di Filippo II, diviene il principale centro e comprende una vicina scuola locale, quella di Toledo, che vive un effimero momento di splendore nei primissini anni del secolo. Il breve periodo in cui la corte si trasferisce a Valladolid non è sufficiente a creare un circolo di persone e di qualità; le opere di una certa importanza ivi realizzate sono in genere frutto di artisti giunti da Madrid. Madrid, oltre alle esigenze di palazzo, costituisce di per sé un ampio mercato, poiché per tutto il secolo vi si costruiscono e si decorano moltissimi conventi e fondazioni pie nobiliari; risponde inoltre all’ampia richiesta proveniente dalle due Castiglie, riceve ed educa, integrandoli nella grandissima «scuola madrilena», artisti di diverse provenienze, da Burgos e dalle Asturie, fino ai confini della Sierra Morena. Valencia, che era già un centro artistico di particolare importanza nel XVI secolo, mantiene la sua egemonia e include nella propria orbita la Catalogna, che in Storia dell’arte Einaudi 9 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola questo secolo aveva una scarsa personalità, e Murcia. Diventa anche il centro della Bassa Aragona (Teruel) e delle Baleari e la sua influenza si estende fino a Saragozza, che ha una modesta attività indipendente. L’Andalusia presenta un panorama un poco piú disperso, sebbene non vi siano dubbi che il centro irradiante sia Siviglia, lo scenario delle realizzazioni con maggior trascendenza e la culla degli artisti piú importanti. Granada, Cordoba e, in grado inferiore, Malaga e Jaén svolgono un ruolo altrettanto significativo. Logicamente, l’area andalusa si estende un po’ a sud dell’Estremadura e si proietta in modo notevole verso l’America grazie all’attivissimo commercio con le Indie, monopolio di Siviglia. Le altre aree della penisola (la Galizia, il nord cantabrico-asturiano, i Paesi baschi-navarri ecc.) non offrono alcun interesse o personalità locali e ricorrono all’ambito di corte quando si tratta di opere di una certa importanza. Il Portogallo, che fino al 1640 era unito alla Corona spagnola, presenta un panorama ancora piú modesto, che inoltre non è stato finora studiato approfonditamente. Sembra distinguersi l’attività di alcuni ritrattisti che mantengono la tradizione del ritratto della fine del XVI secolo. La pittura religiosa è di scarsa qualità ed è significativo che, per incarichi di una certa importanza, si ricorra a pittori della corte madrilena (Carducho a Santo Domingo de Benfica). Storia dell’arte Einaudi 10 Il primo naturalismo Il XVII secolo ha inizio quasi contemporaneamente al regno di Filippo III (1598); quasi tutti gli artisti che lavoravano in quel periodo si legano in qualche modo all’Escorial, il grande monastero dove Filippo II aveva tentato di dare forma a un’arte che servisse la Controriforma cattolica con un fervore e un rigore esemplari. Perfettamente cosciente di ciò che quest’arte, dogmatica e pedagogica, doveva essere in confronto alle estasi «capricciose», intellettualizzate o arbitrarie del Manierismo (di cui è una chiara espressione il rifiuto ad accettare El Greco in questo programma), Filippo II riuní, nelle due ultime decadi del Cinquecento, un insieme di pittori spagnoli e italiani che, adempiendo fedelmente ai severi programmi della verosimiglianza, compostezza, decoro e approssimazione alla realtà propugnati dalla Controriforma, danno vita a uno stile di misurata realtà e freddo equilibrio che, non appena si libera dalle rigidità ufficiali ed entra in contatto con la devozione popolare, produce il primo naturalismo tipico degli artisti del Seicento. Vale la pena insistere sul significato, in quanto precedente di questo naturalismo, dell’opera di Navarrete el Mudo (morto nel 1579), con il suo interesse per gli effetti notturni visti nell’opera dei Bassano, i suoi modelli di umanità diretta, trattati con tecnica veneziana, o la sua propensione a introdurre elementi aneddo- Storia dell’arte Einaudi 11 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola tici nelle composizioni sacre che sembrano annunciare il tono di intimità domestica che troveremo poi nella pittura secentesca da Zurbarán a Murillo. Sebbene abbia goduto di minor prestigio, è ugualmente importante l’apporto di alcuni artisti italiani giunti in un secondo tempo all’Escorial: Federico Zuccari, con la sua severa compostezza e i dettagli di viva realtà, e Luca Cambiaso, con la luce dei notturni e la sua intima semplicità ottenuta con una grande economia di mezzi e un gusto severo per i volumi puri; anche alcuni espedienti retorici di Tibaldi verranno sfruttati e assimilati dagli artisti delle generazioni successive. Non va neppure dimenticato che all’Escorial venivano raccolte numerose tele fiamminghe e italiane, soprattutto veneziane (Tiziano, i Bassano, i Campi), che offrivano sufficienti elementi per costruire quella rinnovata pittura che si reclamava. L’ultima generazione di artisti dell’Escorial, quella di Miguel Barroso (morto nel 1590), Juan Gómez (morto nel 1597) e Luis de Carvajal (morto nel 1607), ha attinto molto da questa lezione. Soprattutto Carvajal offre alcune figure di santi di forza immediata, con un diretto legame alla realtà, che permettono di comprendere meglio ciò che l’Escorial ha significato per la generazione di artisti nati tra il 1565 e il 1580. Verso il 1600 (tralasciando El Greco che, per formazione, sensibilità e geniale isolamento, corrisponde a un altro mondo concettuale, quello di un idealismo manierista piú esaltato, già in regresso), la pittura spagnola piú intensa mostra un tono di misurata verità, un gusto per la concretezza negli accessori e in alcune tipologie umane, nonché un interesse per gli intensi contrasti di luce e ombra che costituiscono un incipiente tenebrismo e che, in quegli anni, possono in qualche modo essere attribuiti all’influenza caravaggesca, ma ancor di piú alla familiarità, favorita dall’Escorial, con lo stile Storia dell’arte Einaudi 12 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola veneziano dei Bassano, con la rustica immediatezza dei Campi e la spoglia intimità di Cambiaso. Soltanto verso il 1612-15 si inizia ad avere notizia della presenza in Spagna di opere di Caravaggio o dei suoi piú vicini seguaci che, logicamente, lasciano il segno nell’attenta osservazione della realtà e della ricerca del «rilievo» ottenuto con i piú accentuati contrasti di luce e ombra. A partire da questo momento, gli ingredienti dello stile piú propriamente «spagnolo» sono già completamente maturi. Nell’ambiente di corte, erede diretto dello sfarzo dell’Escorial, gli artisti figli o fratelli dei pittori che avevano lavorato al monastero, molti di discendenza italiana, incarnano questo primo naturalismo. I fratelli Carducho, Bartolomé (1560 ca. - 1608) e Vicente (1578 ca. -1638), entrambi fiorentini, sono forse i piú famosi. Il primo, discepolo di Federico Zuccari, giunse all’Escorial nel 1585 con il suo maestro e , quando questi se ne andò, rimase in Spagna; il suo stile, che risente molto dell’influenza delle opere dei suoi contemporanei e amici toscani, dei quali fu anche agente per le vendite in Spagna, assimilò la severità di Zuccari e incorporò elementi della tradizione veneziana con un’evidente propensione alla concretezza, fatto eccezionale per l’epoca (Morte di San Francesco, 1593, Museo di Lisbona). A volte dimostra una notevole sensibilità al colore, studiato nei modelli veneziani, con buoni esiti di raffinata qualità (Deposizione, 1595, Museo del Prado). Protetto dal duca di Lerma, collabora a tutte le iniziative del magnate, ministro onnipotente di Filippo II, e gode di un prestigio e una stima eccezionali per l’epoca. Il fratello Vicente, artista prestigioso che si dedicò anche alle lettere (Dialoghi della pittura, pubblicati nel 1633) è una figura di una certa importanza che esercitò una specie di dittatura nell’ambiente di corte prima del- Storia dell’arte Einaudi 13 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola l’avvento di Velázquez. Si dedicò al genere profano al servizio della Corona ed è soprattutto autore di alcuni dei piú ampi e complessi cicli monastici dell’epoca (serie delle Storie di san Bruno e dell’ordine della certosa nella certosa di Paular, oggi dispersa, 1626-32; serie dei Fondatori trinitari, anch’essa dispersa, 1633-36) con notevoli risultati di approssimazione alla realtà e con un nobile tono misurato e severo, in cui è evidente lo sfruttamento della tecnica e del colore dei grandi veneziani. La sua opera è vasta e comprende sia tele a carattere sacro, con un’evidente intensità espressiva e un gusto per la realtà immediata negli accessori e negli elementi ambientali, sia affreschi (palazzo del Pardo, distrutto; cappella del Sacrario della cattedrale di Toledo, 1616) che presuppongono un perfetto adattamento dei modelli italiani all’austerità spagnola ancora impregnata del severo spirito controriformista. Molto bella per i colori e l’eleganza della composizione è la Predicazione di san Giovanni Battista (1610, Madrid, Real Academia de San Fernando). Nella decade degli anni Trenta, oltre alle serie monastiche già menzionate, dipinge anche molte tele per altare, solenni e un poco pesanti, ma piene di fervida intensità (San Francesco d’Assisi davanti all’Immacolata, 1632, Museo di Budapest) e partecipa alla decorazione del Salone dei Regni del palazzo del Buen Retiro con tre tele raffiguranti delle battaglie, di concezione tradizionale, un poco retoriche e vuote se comparate con quelle che altri artisti, come Velázquez, Maíno e Jusepe Leonardo, eseguiranno per lo stesso ciclo. Spesso, assieme a Vicente Carducho, con il quale suddivide gli incarichi sia di retablo sia di affreschi (retablo del monastero di Guadalupe, 1618; decorazione della cappella del Sacrario della cattedrale di Toledo, 1616), lavora Eugenio Caxés o Cajés (1574-1634), nato a Madrid (ma figlio di un pittore aretino giunto per lavorare all’Escorial), interessato agli effetti di luce e a mor- Storia dell’arte Einaudi 14 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola bidezze e deformazioni ancora manieriste, studiate in Correggio, che a volte copiò, ma sempre con una squisita sensibilità di colore (Abbraccio alla porta dorata, Madrid, Real Academia de San Fernando; Adorazione dei Magi, Museo di Budapest). Loro contemporaneo è il fiorentino Angelo Nardi (1584-1664), straordinariamente longevo, che rappresenta la fedeltà ai modelli di Bassano fino a un’epoca molto tarda (tele delle Bernardas de Alcalà de Henares, 1620; Adorazione dei pastori, 1654, Madrid, collezione privata). L’introduzione del caravaggismo autentico si deve all’arrivo di artisti che a Roma avevano vissuto il grande rinnovamento dei primi anni del secolo e alla divulgazione di copie delle opere piú famose del sommo maestro. Nel 1605 si trova a Madrid Orazio Borgianni, pittore romano che dà un’interpretazione molto personale del caravaggismo e che, una volta rientrato in Italia, si mantiene in contatto fino alla sua morte con i clienti spagnoli inviando opere in Spagna (tele del convento di Portacoeli, Valladolid, 1614 ca.) che influirono sugli artisti spagnoli, come il già citato Cajés. Nel 1613 vengono poste nella cattedrale di Toledo tre importanti opere del caravaggista veneziano Carlo Saraceni (morto nel 1624) che saranno completate da Carducho e Cajés per integrarle nella decorazione globale della cappella della Vergine del tabernacolo, in via di realizzazione. Tra il 1617 e il 1618, Bartolomeo Cavarozzi, un altro caravaggista di grande personalità, si trova a Madrid con il suo protettore, il nobile italiano Giovanni Battista Crescenzi, anch’egli pittore e risoluto propulsore delle nuove correnti. In quest’epoca, un pittore spagnolo, Juan Bautista Maíno, di padre italiano, ma nato a Pastrana (Guadalajara), ha già dipinto opere dove è evidente la conoscenza diretta del rinnovamento italiano. Nato nel 1580, Maíno si trasferí alcuni anni in Italia, dove studiò sia il Storia dell’arte Einaudi 15 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola caravaggismo, soprattutto nell’aspetto chiaro di Gentileschi o Saraceni, sia il rigoroso classicismo del gruppo di Annibale Carracci e Guido Reni. Nel 1611 ritorna in Spagna dove dipinge le tele del retablo delle Quattro Pasque in San Pedro Mártir a Toledo (oggi al Museo del Prado e al Museo Balaguer di Villanueva e Geltrú), dove sono già presenti tutte le caratteristiche del nuovo stile: personaggi tratti direttamente dalla realtà quotidiana, volumi rotondi illuminati da un’intensa luce diretta, sensibilità ai dettagli e alle tonalità chiare, come si può osservare nelle grandi tele dell’Adorazione dei pastori e dell’Epifania, le sue opere indubbiamente piú famose, e nei paesaggi in San Giovanni della predella (Museo del Prado), a ordinamento classico, chiaramente ispirati ad Annibale Carracci. Dopo aver preso i voti nell’ordine dei domenicani mentre era intento a dipingere il retablo del convento di Toledo, dove lasciò anche notevoli affreschi che rimandano al mondo artistico di Guido Reni, Maíno svolgerà un ruolo importante nella corte madrilena in qualità di consigliere del giovane Filippo IV (a cui insegnò disegno) e si occuperà della decorazione del Salone dei Regni al Buen Retiro (1634) assieme ai vecchi Carducho e Cajés, ai giovani astri nascenti del panorama madrileno, Pereda, Leonardo e Castello, e ai sommi Velázquez e Zurbarán. Per il Salone dipinse una delle piú personali e «moderne» tele della serie: La riconquista di Bahia, che presenta una sorprendente chiarezza luminosa. Nei primi anni del secolo, altri artisti di una certa importanza nell’ambito di corte sono il ritrattista Bartolomé González (1564 ca. - 1627), vincolato alla vecchia tradizione di Moro, Sánchez Coello, Pantoja de la Cruz, che nelle sue tarde composizioni religiose (San Giovanni Battista, Museo di Budapest, 1621 e Professione di fede del beato Orozco, Accademia di San Fer- Storia dell’arte Einaudi 16 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola nando, 1624) riprende il naturalismo caravaggesco, e di due artisti di origine fiamminga: il longevo Felipe Diricksen (1590-1679), capace ritrattista che si rifà alla tradizione del ritratto di corte, e il magnifico pittore di nature morte, Juan Van der Hamen (1596-1631). Quest’ultimo è autore di alcune tra le composizioni piú equilibrate, severe ed espressive della storia della natura morta spagnola, come pure di alcune curiose tele a carattere allegorico-mitologico che testimoniano la conoscenza del mondo fiammingo contemporaneo interpretato in modo molto personale (Flora, Museo del Prado e Vertumno e Pomona, Madrid, Banco de España). Nelle composizioni religiose, entrambi gli artisti rendono omaggio al severo tenebrismo di recente importazione. Di Diricksen si ricordano le tele nella cappella di Monsén Rubín de Bracamonte ad Avila, mentre di Van der Hamen le tele nel monastero de la Encarnación di Madrid. Toledo Nei primi anni del secolo, nell’ambiente toledano, legato all’Escorial a causa dell’immediata vicinanza e della tradizione comune, si trovano alcuni artisti che incarnano il nuovo stile. Non bisogna dimenticare che fino al 1614 è ancora vivo e in piena attività El Greco che, proprio negli ultimi anni della sua vita, porta a livelli estremi, raggiungendo quasi il parossismo, le sue complesse composizioni, mentre si moltiplicano le ripetizioni di studio di alcune delle sue opere sacre (vari san Francesco, Apostoli, Veroniche) che costituiscono la base del suo successo come creatore di immagini nel senso stretto della parola. Assieme ai grandi quadri di tensione compositiva, di esaltato manierismo, con forzate deformazioni anatomiche, magici ambiti spaziali Storia dell’arte Einaudi 17 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola indefinibili e folgorazioni fosforescenti di colore puro che annullano qualsiasi riferimento alla realtà, El Greco moltiplica queste serie di figure a mezzo busto, esaltate, ma nelle quali l’immediatezza del formato, l’atteggiamento appassionato (a volte sembrano quasi dialogare con lo spettatore), gli accessori «verosimili» della stamigna e il cranio di san Francesco o lo zendado della Veronica, li rendevano prossimi, comprensibili ed efficaci come oggetti di devozione. Queste immagini saranno le uniche, convenientemente «umanizzate» e corporizzate, a costituire il lascito alla generazione naturalista. Negli ultimi anni del XVI secolo, assieme a El Greco operano a Toledo alcuni artisti che in qualche modo si collegano direttamente a quelli presenti all’Escorial come il severo Blas de Prado (morto nel 1599), che le fonti letterarie riportano quale fondatore del genere della natura morta e maestro di Sánchez Cotán, e il già citato Luis de Carvajal (15341607) che nelle sue opere migliori esprime un’intensa verità umana. Quelli che meglio rappresentano i nuovi tempi sono Sánchez Cotán, Tristán e Orrente. Juan Sánchez Cotán (1561-1627) è forse la persona piú singolare tra gli artisti toledani dell’epoca. Nato a Orgaz, fu discepolo di Blas de Prado e divenne frate certosino nel 1602, anno in cui si allontanò dalla sua terra per trasferirsi nella certosa di Granada dove lasciò la maggior parte delle sue opere, tra cui le composizioni sacre che denotano un evidente arcaicismo e si ispirano a volte ai vecchi schemi del gotico fiammingo, fortemente segnato dal rigore geometrico e dall’asprezza luminosa di Luca Cambiaso, di cui egli possedeva alcune opere al suo ingresso alla certosa. Ben rappresentano il suo stile devozionale le opere nel convento di Santo Domingo el Antiguo di Toledo (Cristo e la samaritana), ma soprattutto le tele alla certosa di Granada con scene della storia certosina. Tuttavia è nelle nature morte che Storia dell’arte Einaudi 18 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola mostra una sorprendente profondità di osservazione dell’immediata realtà inanimata e un potere affascinante, quasi magico. Infatti, le sue Nature morte, quasi tutte eseguite prima dell’ingresso alla certosa, cioè prima del 1602, quindi con totale indipendenza dal caravaggismo, costituiscono una delle punte piú alte della pittura spagnola del secolo e in esse si denotano le preoccupazioni metafisiche neoplatoniche fino alla piú evidente trasposizione plastica dell’ossessione ascetica di trascendenza dell’immediato (Madrid, Museo del Prado, Museo di Granada, Museo di San Diego ecc.). Luis Tristán (1585 ca. - 1624), discepolo del Greco e collaboratore di suo figlio Jorge Emanuel, è un altro artista notevole. Nella sua opera si ritrova lo stile del maestro, soprattutto per ciò che riguarda la deformazione anatomica e alcuni schemi iconografici, nonché un’evidente conoscenza della pittura dell’Escorial; ma un viaggio in Italia, effettuato nei primi anni del Seicento, e il contatto con il crescente naturalismo lo convertono in uno dei piú decisi partigiani del nuovo tenebrismo; le sue figure di santi dalle caratteristiche rigorose e terragne trasformano completamente alcuni modelli del maestro, mantenendone la tensione espressiva, ma rivestendoli di una piú diretta e cupa realtà. Le sue opere piú importanti, oltre ad alcune interessanti raffigurazioni di santi (San Francesco, Sant’Antonio abate, San Pietro di Alcántara), in cui l’intensità drammatica utilizza molto bene gli effetti tenebristi, sono i retablo di Yespes (Toledo) e di santa Clara di Toledo dove sono presenti cenni delle composizioni del Greco reinterpretate in chiave naturalista. Si può considerare toledano anche Pedro Orrente (1580-1645), proveniente da Murcia, che divide la propria attività tra la città natale, Toledo, e Valencia, ma che lascia nella città imperiale la parte migliore della sua opera. In gioventú si recò in Italia (tra il 1600 e il 1609), Storia dell’arte Einaudi 19 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola a Venezia conobbe Leandro Bassano e vide certamente delle opere caravaggesche. Al suo ritorno a Toledo stringe amicizia con Jorge Emanuel Theotocópuli, mentre a Valencia rivaleggia con Ribalta. Il suo stile è chiaramente legato a Bassano, tant’è che viene chiamato il «Bassano spagnolo». Alla maniera dei modelli veneziani, coltiva il quadro biblico o evangelico concepito come scena di genere, con ampio sviluppo del paesaggio e un marcata propensione per gli animali e i complementi della natura morta, interessandosi a volte agli effetti notturni e dell’illuminazione artificiale (serie della vita di Giacobbe, di Abramo o storie evangeliche). Nei quadri con grandi figure (Santa Leocadia, cattedrale di Toledo, 1617 o Il martirio di Giacomo il Minore, Museo di Valencia) sono evidenti, assieme alla fedeltà alla scenografia veneziana, una conoscenza degli effetti luminosi del tenebrismo caravaggesco e un omaggio velato alla nobile bellezza dei bolognesi, che risplende soprattutto nel bellissimo San Sebastiano (1616), custodito nella cattedrale di Valencia. In quegli anni altri artisti di Toledo si dedicano alla natura morta che Cotán ha portato all’apice. Alejandro de Loarte (documentato tra il 1619 e il 1626), che nei suoi quadri a soggetto religioso si rapporta umilmente con Tristán, dipinge alcune nature morte di intensità e veridicità sorprendenti, con una sobria gamma di colori (Venditrice di uccelli, 1626, collezione Duchessa di Valencia; Natura morta di caccia, 1623, Collegio Santamarca). A partire dal 1624, anno in cui muore Tristán, e dal 1639, anno in cui Orrente si stabilisce definitivamente a Valencia, dove morirà, Toledo perde la qualifica di centro artistico, rimanendo completamente sottomessa a Madrid da dove giungeranno gli artisti che lavoreranno per la cattedrale o a opere di una certa importanza, al di là della destinazione o del committente. Storia dell’arte Einaudi 20 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Valencia A Valencia il nuovo stile prende forma grazie a un pittore catalano, educato in Castiglia, che nel 1599 si stabilisce nella città del Guadalquivir: Francisco Ribalta. Fino all’avvento di Ribalta, la pittura valenciana è ancora sotto i fiochi echi dello stile di Juan de Juanes, che si era profondamente radicato nella devozione popolare. Discepoli e imitatori di Juanes proseguono fino a un’epoca tarda: la figlia Margarita muore nel 1613, il padre Borrás nel 1610, Cristóbal Lorens dipinge fino al 1626 e anche Ribalta alcune volte realizza, su richiesta della clientela devota, copie o interpretazioni dei modelli di Juanes. La trasformazione era già presente nell’opera di Juan Zariñena (morto nel 1619), artista di un certo valore, che equivale, nella Valencia controriformista del patriarca san Giovanni de Ribera, a ciò che gli artisti dell’Escorial eseguono a corte. Francisco Ribalta, nato a Solsona (Barcellona) nel 1565 e formatosi in Castiglia nell’ambito dell’Escorial, nel 1582 è a Madrid dove firma la Crocefissione (che risente dell’influenza dell’arte dell’Escorial), oggi all’Ermitage, e dove nel 1596 si sposa. Si trasferisce poi a Valencia e dal suo arrivo (1599) si lega all’arcivescovo-patriarca Juan de Ribera per il cui collegio del Corpus Christi realizza alcuni lavori di notevole impegno. Nelle sue prime opere si avverte l’influenza di quanto osservato all’Escorial con tracce molto dirette di Navarrete el Mudo, Sebastiano del Piombo o Tiziano (retablo di Algemesí, 1603), ma negli anni il suo stile va verso una direzione completamente realista. È stata avanzata la possibilità che negli anni della maturità abbia realizzato un viaggio in Italia che gli permise di conoscere direttamente la grande rivoluzione caravaggesca. Anche se oggi, alla luce di alcuni documenti di recente pubblicazione, non sembra possibile Storia dell’arte Einaudi 21 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola accettare questa ipotesi, è evidente che le sue ultime opere, magistrali, tele dei Cappuccini di Valencia, 1620, Museo del Prado (San Francesco e l’angelo), Museo di Valencia (Cristo abbraccia san Francesco) e il retablo di Portacoeli, oggi al Museo di Valencia, dimostrano una piena sicurezza nel mostrare la luce diretta e la preferenza per i modelli concreti, anche brutti, visti nella realtà che lo circonda, ma che riesce a dotare di evidente gravità e nobiltà. La sua gamma di colori, molto calda, con rossi intensi e incarnati molto scuri, diventerà, come il suo stile di rude virilità, una caratteristica della scuola valenciana. Le opere del retablo di Portacoeli, eseguite nel 1625 e oggi conservate nel Museo di Valencia (San Bruno, San Paolo, San Giovanni Battista), sono superbi esempi della sua alta capacità di caratterizzazione e della sua tecnica che risente di sottigliezze veneziane, con una pasta di colore fluido in successive stesure e trasparenze che in San Bruno brillano in modo meraviglioso. Nell’evoluzione dello stile di Ribalta riguardante gli ultimi anni della sua vita è probabile che abbia svolto un ruolo importante il figlio Juan, nato nel 1597, quindi appartenente a un’altra generazione, quella di coloro nati verso il 1600, epoca in cui si integrano tutti i grandi maestri del secondo terzo del secolo, ma morto giovanissimo lo stesso anno del padre, il 1628. L’opera di entrambi è strettamente collegata, anche se sicuramente negli ultimi anni il peso del laboratorio di famiglia dovette essere sostenuto da Juan. Nelle poche opere firmate da Juan, dalla prima del 1615, I preparativi per la crocifissione al Museo di Valencia, dipinta ricordando quella eseguita dal padre quindici anni prima, fino alle opere che realizzò indubbiamente assieme al padre per il retablo di Portacoeli (soprattutto San Pietro) si avverte un naturalismo piú avanzato, maturo e cosciente, dalla pennellata meno Storia dell’arte Einaudi 22 impregnata della tradizione veneziana di Tiziano, che in Juan si fa piú minuziosa e definitiva, e alcuni contatti con il mondo bassanesco di Orrente, che aveva già avuto modo di dimostrare il suo gusto e la sua tecnica a Valencia fin dal 1616. A lui si dovrà la maggior parte del maltrattato retablo di Andilla (Valencia) e le opere firmate tra cui il magnifico San Gerolamo al Museo di Barcellona e l’imponente San Giovanni Evangelista al Museo del Prado. Nell’insieme di Andilla sono certamente intervenuti anche altri artisti formatisi nel laboratorio dell’anziano Ribalta. Notevole doveva essere Vicente Castelló, sposato con una figlia del maestro e artista di sensibilità molto vicina agli scorci e alle tendenze ereditati dal manierismo e a una tonalità cromatica di solito piú fredda (Discesa al Limbo, Augustinas de Segorbe, Castellón). Ci sono noti i nomi di altri collaboratori e discepoli che lavorarono a contatto con il laboratorio di Ribalta, ma purtroppo, per le distruzioni causate dalla guerra civile, è molto scarsa la produzione documentata che ne permette l’individualizzazione. Bisogna citare, assieme a Juan Bisquert (1590 ca. - 1646), che si stabilí a Teruel, e a Pedro García Ferrer (1583-1660), che dopo aver lavorato a Saragozza si trasferí in America lasciando notevoli opere a Puebla de los Angeles (Messico), i nomi di Gregorio Bauzá di Mallorca (1590 - dopo il 1645) e del valenciano Abdón Castañeda (1580 ca. - 1629) legati in alcune occasioni ai Ribalta, come testimoniano i documenti. Dopo di loro troviamo Jacinto Jerónimo de Espinosa (1600-67), rappresentante del naturalismo valenciano che sopravviverà, quasi senza modifiche, per tutto il periodo immediatamente successivo. Storia dell’arte Einaudi 23 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Siviglia A Siviglia, il terzo nucleo artistico importante di questi anni, la trasformazione verso il naturalismo è rappresentata da tre artisti di valore molto diverso: Francisco Pacheco (1564-1644), Juan de las Roelas (1560 ca. - 1625) e Francisco Herrera il Vecchio (1580/90 ca. dopo il 1657). Come a Valencia, la tradizione cinquecentesca sivigliana era molto forte, con una marcata matrice di romanismo fiammingo dovuto all’intensa comunicazione commerciale con le Fiandre e alla presenza in tutto il XVI secolo di alcuni pittori dei Paesi Bassi di notevole calibro (Pedro de Campaña, Sturmio) che lasciarono opere importanti e giunsero a creare una scuola. Francisco Pacheco si formò in questa tradizione e si suppone che viaggiò nelle Fiandre, anche se in realtà si tratta di una lettura errata di una citazione di Van Mander inclusa nel suo Arte della pittura. Uomo longevo, anche se non si sa con certezza se visse davvero fino a novant’anni come si credette a lungo, ebbe l’occasione di conoscere tutte le novità che giungevano a Siviglia; curioso e attento non tralasciò di interessarsi a esse. Uomo con una certa cultura letteraria, si tenne in corrispondenza con Carducho e la pubblicazione postuma del suo Arte della pittura (1653), trattato teorico di estetica ancora cinquecentesca, pieno di importanti notizie sull’ambiente artistico dell’epoca, ci informa sull’introduzione delle novità stilistiche. Buon maestro, nel suo laboratorio passarono alcune delle figure piú significative della generazione successiva, soprattutto Velázquez, che sposò sua figlia, e Alonso Cano, che seppe condurre, senza alcun vincolo, nelle nuove correnti del naturalismo. Come artista non oltrepassa la posizione di evidente arcaicismo in stile fiammingo, con un disegno duro e un colore crudo, anche se a volte introduce elementi reali- Storia dell’arte Einaudi 24 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola sti, con una certa intimità familiare, che ben rispondono alle necessità iconografiche dell’ambiente controriformista descritte eccellentemente in molte pagine della sua opera. A questo riguardo rappresentano dei magnifici esempi due tele del 1616: il San Sebastiano, dipinto per l’ospedale di Alcalá de Guadaira, rappresentato in un modo assolutamente nuovo, come un convalescente assistito nel suo letto dalle donne che, come riporta la leggenda, ne curarono le ferite (il quadro è andato purtroppo distrutto durante la guerra civile) e il Cristo assistito dagli angeli appena entrato a far parte della collezione del Museo Goya di Castres. Sono eccezionali la sua conoscenza e l’uso della mitologia nella decorazione del soffitto del gabinetto del duca di Alcalá, nella casa de Pilatos a Siviglia, sede di un cenacolo letterario che, modestamente, voleva imitare quelli italiani. Proprio i disegni preparatori di questo ciclo denunciano con chiarezza la sua conoscenza di Luca Cambiaso e dell’arte dell’Escorial. Di grande importanza è anche la sua opera come ritrattista, oltre ad alcuni ritratti a olio; lasciò una serie di disegni a matita e sanguigna a completamento del libro Verdaderos retratos de ilustres y memorables varones concepito per essere pubblicato alla maniera di alcuni illustri modelli italiani e fiamminghi, ma che alla sua morte era ancora in forma di manoscritto di cui una parte notevole è conservata al Museo Lázaro Galdiano di Madrid. Piú nuova sembra essere la personalità di Juan de las Roelas, che equivale a ciò che eseguono Carducho a Madrid e il primo Ribalta a Valencia. Educato in Italia, dove fu senza dubbio fortemente attratto da Venezia, trascorse alcuni anni a Valladolid (dal 1598 al 1602) e nel 1603 si stabilisce a Siviglia da dove si reca a Madrid nel 1616 con la speranza, fallita, di diventare pittore del re. Di ritorno a Siviglia, ordinato sacerdote, muore come canonico nella collegiata di Olivares nel 1625. Storia dell’arte Einaudi 25 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola La sua arte, dalle forme alquanto pesanti, dal colore ricco e caldo di origine veneziana e con certi dettagli delicati, interpretati con tecnica libera «a macchie», che contrasta con le delicate finiture della tradizione fiamminga tipiche di Pacheco, risulta molto singolare nell’ambiente sivigliano. Le grandi tele per altare sono ordinate su due piani, uno celeste con squarci di gloria popolati da angeli musicisti, bambini o ragazzi, fluttuanti in un’atmosfera dorata tipica di Veronese che anticipa i cicli di Murillo, e l’altro, terreno, che si rifà al mondo veneziano, piú bassanesco che veronesiano, dove si rappresentano alcuni episodi evangelici (Circoncisione, 1603, antica università di Siviglia) o agiografici (Martirio di sant’Andrea, Museo di Siviglia; Comunione di sant’Isidoro, 1613, Siviglia, chiesa del Santo) che insistono molto sugli aspetti del realismo quotidiano e dell’individualità dei personaggi. Tuttavia, sorprende abbastanza la quasi completa mancanza di interesse per gli effetti dell’intenso chiaroscuro tenebrista. Le poche volte che si può segnalare questa caratteristica nella sua opera (Liberazione di san Pietro, 1612, Siviglia, San Pedro) è certo che proviene da stimoli veneziani piú che dalla conoscenza della corrente caravaggesca al cui severo e drammatico rigore resta sempre estraneo, anche negli ultimi anni. Herrera il Vecchio, sicuramente molto piú giovane, anche se non conosciamo con certezza la sua data di nascita, è un uomo e un artista con altre capacità. Di carattere un po’ rude, difficile, duro con i discepoli e i figli, che non riescono a sopportarlo e abbandonano la casa paterna, la sua arte testimonia la sua rudezza, è intensa e goffa. Arcaico nella composizione, dalla quale non riesce a scacciare le tracce manieriste presenti nella disposizione (Pentecoste, 1617, Toledo, Museo del Greco), è a volte straordinariamente vivace nel rappresentare i volti dei personaggi, interpretati con una Storia dell’arte Einaudi 26 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola tecnica molto personale, dalle pennellate grosse, aspre e separate che diedero il via alle voci che dipingesse con pennellesse e non con pennelli. Le sue opere principali, le scene della vita di san Bonaventura, dipinte nel 1626 per il collegio del Santo di Siviglia, assieme al giovane Zurbarán , oggi al Prado e al Louvre, sono composte da una galleria di ritratti di monaci di vibrante intensità. Non è possibile segnalare in Herrera alcun contatto con l’ambiente strettamente tenebrista e, sebbene molto trasformata dal suo genio violento e dal suo personalissimo modo di fare, è evidente nelle sue opere migliori la conoscenza dell’arte veneziana, soprattutto nel modo in cui tratta i piani di luce e nella riduzione del colore con armonie di tono. Esprimono perfettamente la sua personalità anche le grandi tele di San Ermenegildo (1624) e di San Basilio (1639), entrambe al Museo di Siviglia, o il San Giovanni Battista e i discepoli al Museo di Rouen. Altri pittori sivigliani, o piú genericamente andalusi, di questo periodo aggiungono ben poco a quanto già indicato. Forse vale la pena ricordare i sivigliani Juan de Uceda Castroverde (1570 ca. - 1631), appartenente alla generazione di Pacheco, che nelle sue ultime opere assimila molto della tecnica di Roelas (La trinità della terra, 1623, Museo di Siviglia) e Francisco Varela (1580 ca. 1645) dalle tipologie di tono arcaicizzante e dal colore intenso, ancora rapportato all’ultimo manierismo (L’ultima cena, 1622, Siviglia, San Bernardo) o Antonio Mohedano, di Lucena (Cordoba, 1563-1626) che dipinse ad Antequera e di cui sappiamo, grazie a Pacheco che lo conobbe bene, che oltre a dominare la tecnica dell’affresco, fu un grande pittore di nature morte, fiori e «oggetti» inanimati. L’Annunciazione del retablo dell’antica università di Siviglia (1606 ca.) permette di giudicarne la qualità e l’importanza, come pure l’evidente vincolo allo stile dell’Escorial nella tipologia, nella com- Storia dell’arte Einaudi 27 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola posizione e nella tavolozza, che anticipa curiosi accenti quasi zurbariani. Il modesto Juan del Castillo (1590 ca. -1657), tradizionalmente piú famoso, merita di essere menzionato perché maestro di Murillo e per la sua relazione familiare con Alonso Cano. Il suo retablo di Montesión (1634-35, Museo di Siviglia) è un’opera arcaicizzante, dal disegno incisivo e dal colore acido, che dimostra comunque una certa grazia popolare che trasmette, anche se molto trasformata, al suo discepolo Murillo. Vale inoltre la pena ricordare, in quegli anni, un artista singolare, la cui presenza è documentata a Granada agli inizi del secolo e che nella storia della natura morta spagnola rappresenta in Andalusia un ruolo analogo a quello di Sánchez Cotán in Castiglia: si tratta di Blas de Ledesman, di cui si ha documentazione tra il 1603 e il 1611. La sua Natura morta con ciliegie, al Museo di Atlanta, è un’opera di prodigiosa precisione, delicatezza e mistero. Storia dell’arte Einaudi 28 La generazione dei grandi maestri La generazione di artisti nati tra il 1590 e il 1610 è quella che produrrà le opere capitali della storia dell’arte spagnola. Questi pittori, la cui formazione può essere considerata chiusa verso il 1625-30, sono quelli che invadono con la loro produzione il regno di Filippo IV, che sarà cosí il fortunato «protettore» della vera «età dell’Oro» della pittura spagnola. In realtà, per ragioni puramente cronologiche, appartiene a questa grande generazione qualche artista già menzionato come Juan Ribalta, nato nel 1597, ma la cui morte prematura ha portato a considerarlo tra i pittori del primo terzo del secolo. I grandi maestri di questa generazione presuppongono il superamento della timidezza, alquanto ambigua, di coloro che diedero inizio allo stile, ma conservano sempre qualcosa della retorica controriformista. Senza alcun dubbio sono già a conoscenza di ciò che il caravaggismo aveva apportato in quanto lezione aperta verso la realtà immediata, assumono senza riserva l’analisi della realtà e quasi tutti, oltre a coltivare il tenebrismo come stile di gioventú, si evolvono verso altre forme e curiosamente assumono, nella maturità, un certo classicismo che preannuncia, nelle loro ultime opere, il cammino verso il folgorante splendore plastico del pieno barocco, con il suo dinamismo rapito e l’ottimismo trionfale. Si ricordi che fuori dalla Spagna appartengono a questa Storia dell’arte Einaudi 29 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola generazione privilegiata artisti importanti del barocco secentesco come Poussin (1594), Van Dyck (1599), Bernini (1598), Algardi (1595), Pietro da Cortona (1596), Andrea Sacchi (1599) e Rembrandt (1606). Se gli artisti del regno di Filippo III si muovono, come abbiamo visto, tra le coordinate dell’Escorial e dei primi stimoli del naturalismo proveniente dall’Italia, i pittori del regno di Filippo IV aprono i propri orizzonti a nuove prospettive, sia di provenienza italiana (che adesso, superato il caravaggismo, si rivolgono alle forme del classicismo luminoso dei bolognesi e al neovenezianesimo che sfocerà nel barocco romano) sia di stile fiammingo rubensiano che, nella seconda metà del secolo, si convertirà nell’espressione definitiva. Gli artisti nati alla soglia del 1600 assisteranno a questa trasformazione del gusto, a questa insensibile fusione di elementi stilistici disuguali. Quelli con l’immaginazione e la capacità creativa piú fervide apportano la loro personalità all’evoluzione e, padroni di tutti i mezzi pittorici, superano il conflitto e scoprono un linguaggio personale che diverrà, nelle sue varianti e sfumature, il culmine dell’arte spagnola. Ribera, Zurbarán, Velázquez e Alonso Cano, in maggior o minor misura, secondo il loro temperamento, rappresentano i punti piú alti di questa fortunata generazione. Altri artisti, meno dotati, vivono forse la situazione di tensione in modo piú angoscioso e non sono in grado di risolvere le apparenti contraddizioni. Espinosa, Juan Rizi, Pereda o Antonio del Castillo si aggrappano alle forme del naturalismo a loro note, introducendo timidamente effetti di colore e movimento, non sempre ben assimilati. Gli ultimi anni del regno di Filippo IV vedranno le primizie di altri artisti piú giovani, nati tra il 1614 e il 1625, che abbracciano prontamente e in modo deciso il nuovo stile che darà i frutti migliori nell’ultimo terzo del secolo, già sotto il regno dell’ultimo Asburgo, Carlo II. Storia dell’arte Einaudi 30 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Nella Siviglia dei primi anni del secolo si formano tre delle maggiori figure dell’epoca: Velázquez, Zurbarán e Alonso Cano, ma il primo e l’ultimo vivranno la loro evoluzione fuori dalla città del Guadalquivir; Ribera, il piú anziano, si trasferirà in Italia dove dipingerà tutte le sue opere. Ribera Nato a Játiva (Valencia) nel 1591, Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto, è cronologicamente il primo della serie dei grandi maestri spagnoli. Si è presupposto che a Valencia sia stato discepolo di Francisco Ribalta, da cui derivò il naturalismo, facendo sí che venisse considerato pittore di «scuola valenciana». In realtà, viaggiatore in Italia almeno dal 1611, anno in cui risulta la sua presenza a Parma, stabilitosi definitivamente a Napoli dal 1616, se conobbe un Ribalta doveva trattarsi del Ribalta precedente il 1611, ancora molto legato agli artisti dell’Escorial e distante dal fiero caravaggismo presente nelle opere piú giovanili del presunto discepolo. L’importanza di Ribera sia come pittore sia per la sua attività di incisore è eccezionale per tutta l’arte europea e supera di molto i limiti della regione valenciana dove d’altronde si conservano pochissime delle sue opere e dove la sua influenza fu scarsa. La sua posizione speciale di «straniero» a Napoli e la sua condizione di spagnolo in una specie di esilio volontario ha reso difficili, fino a una data recente, la sua esatta collocazione e uno studio obiettivo. In realtà, Napoli era un viceregno spagnolo e, nonostante egli non avesse mai piú fatto ritorno in Spagna, quando firmava un’opera ripeteva sempre la sua condizione di hispanus, valentinus e, a volte, anche setabensis. Molte delle sue opere vennero dipinte per essere inviate direttamente in Spagna, soprattutto a corte, Storia dell’arte Einaudi 31 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola dove furono immediatamente apprezzate e dove ebbero un ruolo importante per la diffusione del naturalismo piú stretto. È quindi corretto considerarlo spagnolo, ma allo stesso tempo, l’ambito in cui si muove, la sua diretta e vivace conoscenza dell’arte italiana, l’indubbia realtà che i suoi discepoli e il circolo sottoposto alla sua influenza diretta sono strettamente italiani, fino a giungere all’estremo che senza di lui sarebbe difficile parlare di «scuola napoletana», permettono con uguale diritto di considerarlo italiano. Se gli italiani credono di vedere nella sua opera una certa crudeltà e rudezza «totalmente iberica», dal punto di vista spagnolo si può segnalare nella sua opera una serie di elementi (rigore nel disegno classico e nell’invenzione, conoscenza e uso della mitologia, perfino la sua maestria come incisore) che sarebbe stato difficile individuare se l’artista fosse rimasto in Spagna. La sua produzione giovanile è fortemente segnata dalla conoscenza e dallo studio dell’arte di Caravaggio, che non conobbe personalmente, ma al cui stile e insegnamenti lo vincolano direttamente i suoi piú antichi biografi. Del naturalismo caravaggesco Ribera dà un’interpretazione molto personale, esagerando a volte gli elementi di contrazione, rudezza o violenza, ma tratta la materia pittorica in modo molto diverso dai caravaggisti italiani. Ribera incorpora una tecnica densa e pastosa, che comunica una certa sensualità e un gusto per la materia certamente di origine veneziana. Il suo senso della realtà e della qualità delle cose fa sí che gli basti una pennellata per riuscire a rendere il rilievo delle rughe della pelle o delle pieghe dei tessuti. Nelle sue prime opere conservate (ciclo dei Sensi, smembrato), dipinte a Roma verso il 1613-16, sembra evidente il contatto con i caravaggisti di origine nordica, fiamminga e olandese, con i quali dovette mantenere stretti contatti. Una volta stabilitosi a Napoli dà corso Storia dell’arte Einaudi 32 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola alla sua tecnica piú personale e caratteristica e, soprattutto nella maturità, introduce composizioni ed elementi di colore dinamici e sensuali che in alcuni casi (Immacolata, 1635, Salamanca, convento di Monterrey) si possono considerare già pienamente barocchi. Il suo insediamento a Napoli nel 1616 gli valse subito la protezione del viceré, duca di Osuna, per il quale dipinge (1616-20) una serie di tele giovanili dal tono molto tenebrista, dove è evidente la sua conoscenza dell’arte bolognese (Calvario, i santi Pietro, Bartolomeo, Sebastiano e Gerolamo della collegiata di Osuna). Nei viceré successivi, soprattutto nel conte di Monterrey (1631-37) e nel duca di Medina de las Torres (1637- 44), Ribera incontrò sempre protettori e mecenati che in qualche modo lo imposero come pittore «ufficiale» e gli permisero, in un ambiente cortigiano piú aperto di quello strettamente conventuale, la conoscenza e la coltivazione di una tematica mitologica, eccezionale in un artista spagnolo, e che egli seppe interpretare con personalità sia in chiave violenta (Apollo e Marsia, 1637, Museo di Bruxelles; Tizio e Issione, 1632, Museo del Prado) sia in un tono di ordinato equilibrio completamente classico (Teoxenia o Visita di Dioniso agli uomini, ispirato a un antico rilievo e conosciuto solo grazie a una copia e a frammenti dell’originale distrutto nel 1734) con sfumature di una certa rude ironia (Sileno ebbro, 1626, Museo di Napoli). Le componenti stilistiche di Ribera si possono definire senza alcuna difficoltà. Sebbene la base del suo stile sia essenzialmente il caravaggismo, dal quale trae il gusto per i modelli di diretta immediatezza, illuminati con la violenza del tenebrismo piú rigoroso che emergono drammaticamente da fondi scuri e cupi, abbiamo già accennato che, fin dai primi tempi, conosce e adotta alcuni elementi del classicismo bolognese. Riesce a trasformare la volgarità dei suoi modelli, persone di Storia dell’arte Einaudi 33 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola strada con un’evidente durezza, in apostoli o filosofi antichi e ciò proviene dal repertorio naturalista piú estremo. La sobria e solenne monumentalità che a volte imprime loro, la maniera di sottolineare con grandi pietre da costruzione il carattere architettonico delle sue composizioni, sapientemente studiate, l’evocazione, a volte, di schemi raffaelleschi per le sue sobrie composizioni sacre e, in ultimo, la sua ossessione per il disegno, in quanto base essenziale del lavoro di pittore, che lo porta a preparare un libretto di incisioni da mostrare ai suoi studenti, rispondono pienamente alla tradizione del classicismo romano-bolognese. Verso il 1630, negli stessi anni in cui si verifica il neovenezianesimo romano, l’arte di Ribera presenta una notevole inflessione e introduce nelle sue composizioni, finora quasi sempre tenebriste, un elemento di luminoso ottimismo, una predilezione per i cieli aperti in azzurri raggianti e nubi argentate sulle quali si stagliano le forme monumentali dei suoi personaggi. La conoscenza della pittura fiamminga (Van Dyck si trovava a Napoli nel 1624 e i mercanti fiamminghi rendono possibile la conoscenza delle opere di Rubens) aggiunge un elemento di dinamismo che sa incorporare con efficacia e personalità, producendo opere di spettacolarità rotonda, come la citata Immacolata di Monterrey (1635), o fondendosi armoniosamente con la tradizione naturalista, come nel Martirio di san Filippo (1639), custodito al Museo del Prado. La decade del 1630-40, soprattutto gli anni 1637-39, sembra essere particolarmente felice per la produzione di Ribera, che dipinge la maggior parte dei suoi capolavori, dalla grande Pietà (1637) della certosa di San Martino, che emana un’emozione molto umana, interpretata dal tenebrismo, ma resa con una tecnica piú fluida e trasparente, fino ai grandi Paesaggi (1639) della collezione dei duchi di Alba, che sottolineano il suo interes- Storia dell’arte Einaudi 34 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola se per un genere nuovo che avrà un’importanza decisiva nella futura evoluzione di altri artisti napoletani. Nella decade successiva, 1640-50, Ribera venne colpito da una lunga e travagliata malattia che lo allontanò dal lavoro; la collaborazione di un attivo laboratorio gli permise di mantenere viva una produzione che ripete modelli di fasi precedenti, ma che produce anche opere notevoli per la chiara e vibrante luminosità (Patizambo, 1642, Louvre e Battesimo di Cristo, 1643, Museo di Nancy) e di singolare complessità compositiva, imparentata con il mondo bolognese (Il miracolo di san Gennaro nel forno, cattedrale di Napoli) o che riprende, in chiave moderna e piú solenne, elementi della grande pittura veneziana del XVI secolo, alla maniera di Veronese. La grande Comunione degli apostoli della certosa di San Martino, iniziata nel 1638 e terminata nel 1651, è un superbo esempio del suo ultimo pittoricismo. Questi elementi di evidente e pieno barocchismo non cambiano del tutto il suo tenebrismo giovanile che persiste fino agli ultimi anni in quelle opere che, per il tema o perché la tradizione lo aveva fissato, sembrano richiederlo. Nelle opere dei suoi ultimi anni con queste caratteristiche (Il miracolo di san Donato, 1652, Museo di Amiens e Sant’Andrea, Museo del Prado), la luce produce nei corpi o nei tessuti illuminati che emergono dall’oscurità una specie di incandescenza di carattere quasi rembrandtiano, ben diversa dai tersi e uniformi volumi illuminati del primo caravaggismo. A partire dal romanticismo, la personalità di Ribera, una delle piú forti e influenti dell’epoca, conosciuto e imitato in tutta Europa nel XVII secolo, ha subíto una specie di falsa interpretazione che ha voluto vedere in lui (e le brillanti formulazioni letterarie di un Byron e di un Gautier lo hanno enormemente favorito) un cupo pittore di sangue, crudeltà e mostri. Soltanto la critica piú recente sta iniziando a restituire il Storia dell’arte Einaudi 35 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola suo posto a colui che senza dubbio può essere considerato uno dei piú personali, maturi e completi artisti nati nella penisola iberica. Francisco de Zurbarán La personalità di Francisco de Zurbarán (1598-1664), proveniente dall’Estremadura, educato a Siviglia, è completamente diversa da quella di Ribera. Di chiara modestia e timidezza, esce a malapena dal ristretto circolo della clientela conventuale per cui realizza il meglio della sua produzione. Nessuno come lui ha saputo rappresentare con maggior semplicità ed efficacia la fervente passione e la familiarità con la parte meravigliosa della vita monastica della Controriforma spagnola. La sua straordinaria fama e il prestigio attuale sono una conseguenza di alcune qualità, o meglio limiti, che soltanto la nostra abitudine a determinati aspetti dell’arte moderna ci permette di valutare adeguatamente; la semplicità quasi impacciata per assenza di colti artifici e la capacità quasi ossessiva di riprodurre ciò che ha di fronte nel modo piú semplice e diretto lo rendono un superbo pittore di nature morte, e il gusto per i volumi puri ed elementari evocano forme di alcuni settori dell’arte contemporanea provenienti dal postcubismo. Nato a Fuente de Cantos (Badajoz) nel 1598, si sa che si formò a Siviglia con il pittore Pedro Diaz de Villanueva, di cui non conosciamo le opere, conobbe sicuramente Pacheco e i suoi discepoli, soprattutto il giovane Velázquez. Nel 1618 si stabilisce a Llerena (Badajoz) dove lavora per una clientela modesta rappresentata da chiese e conventi e dove si sposa due volte. Riceve un importante incarico dai domenicani di Siviglia nel 1626, anno in cui ha inizio il suo vincolo indissolubile con questa città, dove produrrà opere per le piú importanti Storia dell’arte Einaudi 36 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola comunità monastiche sivigliane (ordine della Mercede, certosini, francescani). Nel 1629 la municipalità della città lo invita a stabilirvisi con casa e laboratorio, non senza l’opposizione della locale corporazione dei pittori, capeggiata da Alonso Cano, che reclamava, senza alcun esito, che il giovane pittore dell’Estremadura si sottoponesse all’esame stabilito dalla corporazione sivigliana. A questi primi anni della sua produzione risalgono il superbo Cristo crocifisso (1627), ora al Museo di Chicago, proveniente dal convento dei domenicani come I padri della chiesa, ora al Museo di Siviglia, i quadri che illustrano la vita di san Pietro Nolasco, provenienti dalla Merced (1629, Museo del Prado), l’insieme dei ritratti di frati dell’ordine della Mercede dell’Accademia di San Fernando e il meraviglioso Beato Serapione (1628, Museo di Hartford). L’enorme tela dell’Apoteosi di san Tommaso d’Aquino (1631) del Museo di Siviglia è senza dubbio una delle sue composizioni piú solenni, sontuose e complesse, dove il tenebrismo si fonde con il suo ricco senso del colore e con un’eccezionale capacità di tradurre in pittura le qualità delle cose. Nel 1634, sicuramente su iniziativa di Velázquez, viene chiamato a Madrid per partecipare alla decorazione del Buen Retiro, dove dipinge, oltre alle tele con battaglie di severa compostezza per il Salone dei Regni (Aiuto a Cadice, Museo del Prado), alcuni quadri a soggetto mitologico di intenso tenebrismo (Le fatiche di Ercole, oggi al Museo del Prado) che testimoniano la sua scarsa capacità nel nudo e nella composizione profana, ma interessanti per i paesaggi di fondo e la maestria nei complementi della natura morta. Al suo ritorno, con il titolo di «pittore del re», la sua maturità giunge al culmine nei due eccezionali cicli che costituiscono la parte piú valida della sua produzione: quello della certosa di Jerez (163739), oggi smembrato (Musei di Cadice e Gre- Storia dell’arte Einaudi 37 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola noble, Metropolitan Museum) e quello del monastero geronimita di Guadalupe (1638-39), per fortuna conservato intatto in situ. In questi cicli Zurbarán offre il ventaglio completo delle sue capacità. Nelle grandi tele a tema evangelico provenienti da Jerez, oggi a Grenoble, lo spazio è saturo di un’atmosfera di silenziosa devozione, mentre la monumentalità dei personaggi e la prodigiosa maestria dei dettagli lo rendono indimenticabile, anche se in essi è evidente l’utilizzo di modelli provenienti dalle stampe. Le figure dei venerabili certosini del Museo di Cadice, sempre provenienti da Jerez, offrono magnifiche interpretazioni del misticismo ispanico, a iniziare dalla realtà piú diretta. L’insieme di Guadalupe sprigiona una prodigiosa e intensissima panoplia della vita monastica, con un perfetto equilibrio, che raramente raggiungerà in seguito, tra individualità dei volti, sempre veritieri, e il tono lento, lirico e severo della narrazione. In questi anni il suo laboratorio è il piú ricco e attivo di Siviglia; gli incarichi piovono e vive comodamente, anche se la fortuna familiare inizia a essergli avversa. Nel 1639 muore la seconda moglie e dieci anni dopo, durante la terribile epidemia di peste del 1649, perde il figlio e collaboratore Juan de Zurbarán. Nel frattempo giungono a Siviglia ventate di novità e, dal 1645, la crescente personalità di Murillo gli toglie gli incarichi piú importanti della città. Nella decade del 1650, diminuita la clientela, sembra che quasi tutta la sua attività si concentri su una serie di dipinti per l’esportazione in America dove il suo stile esercitava una vasta influenza, soprattutto in Messico. A questi anni risalgono le serie, spesso ripetute in esemplari di qualità non sempre uniforme, dei santi fondatori degli ordini religiosi e delle sante vergini, ma anche di personaggi dell’Antico Testamento (i figli di Gia- Storia dell’arte Einaudi 38 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola cobbe) nonché di storia profana (gli infanti di Lara, gli imperatori romani). Dal 1658 fino alla morte (1664) lo troviamo a Madrid con la terza moglie, vive modestamente e cerca di assimilare la nuova tecnica violenta e di colore vaporoso che il nuovo gusto sta imprimendo, senza però riuscirci completamente. In questi ultimi anni della sua vita sembra dedicarsi soprattutto a quadri di piccole dimensioni di devozione privata, delicata e intima, come Sacre famiglie, Madonna con bambino e Immacolata Concezione, nonché alcuni temi della passione (Cristo alla colonna, Telo della Veronica ecc.) e alcuni santi (San Francesco). Nel convento di San Diego, ad Alcalá de Henares, lascia il suo ultimo apporto alla pittura monastica con le grandi tele di San Bonaventura (Madrid, San Francesco il Grande) e San Giacobbe della Marca (Museo del Prado) dove si nota l’evoluzione del suo stile che tenta, senza rinunciare alla monumentale severità, di assimilare le apprensioni atmosferiche di Velázquez, senza però capirne del tutto le supposizioni. Zurbarán incarna in maniera magistrale i limiti della Spagna dell’epoca, chiusa in se stessa, che ha come unico punto di riferimento la religione, quasi fosse un orizzonte ossessivo. Uomo di scarsa preparazione, è spesso goffo e impacciato nelle composizioni complesse, eseguite male, con errori di prospettiva, ma con paesaggi, quando li adotta, di evidente bellezza, che comunque si rifanno spesso a incisioni fiamminghe e completamente slegati dalla figura principale, quasi fossero un lontano fondale. I suoi principali esiti, quelli che hanno costituito la sua fama, si trovano nella sua portentosa capacità di affrontare le cose tranquille e umili della vita quotidiana. La sua maestria in questo rende le composizioni delle superbe nature morte dove gli oggetti, i vasi, i frutti, i fiori o i tessuti che vestono i personaggi acquisiscono un’entità e un’evidenza affascinanti. Nelle rare Storia dell’arte Einaudi 39 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola occasioni in cui dipinge delle nature morte, si tratta assolutamente di capolavori di intensità e fascino senza equivalenti se non in Sánchez Cotán. La sua Natura morta con piatto di cedri, cesto di arance e tazza con rosa (1633) della Norton Simon Foundation di Pasadena o le identiche Nature morte con vasi del Museo del Prado e del Museo di Barcellona fanno sí che gli oggetti piú volgari sembrino dotati di una prodigiosa e sottile intensità misteriosa. È anche maestro nel riprodurre i volti, che devono però essere estatici, esprimere una fede appassionata, la serenità dell’estasi, l’abbandono o la morte, devono in qualche modo esprimere le sottigliezze intellettuali e psicologiche pretese dal classicismo italiano, con la sua analisi degli effetti e delle passioni. L’abbandono dell’umano nella divinità, ricercato dai mistici, e la coesistenza giornaliera di realtà immediata e di tensione all’assoluto, trova in lui un interprete eccezionale, anche se si avvertono i limiti della sua gamma espressiva, quella di una pia eredità contadina secondo la quale il mondo finisce tra i muri del convento. La sua evidente genialità consiste proprio nel trascendere questo limite e tradurre la materia delle cose con una specie di magica luce interna che sublima il volgare e monumentalizza il quotidiano. Oltre ai grandi cicli conventuali, la parte piú caratteristica della sua opera, Zurbarán ha lasciato una serie significativa di opere devozionali, Cristi crocifissi, Madonne con bambino, Immacolate Concezioni e figure di sante che spesso costituiscono delle serie a carattere quasi processionale da collocare sulle pareti di chiese e sagrestie. L’evoluzione del suo stile parte da un tenebrismo rigoroso dove si avverte indubbiamente l’impronta di Ribera, conosciuto grazie alle tele di Osuna o alle opere che studiò a Madrid. All’epoca, il suo Cristo crocifisso del 1627 (Museo di Chicago), eseguito per i domenicani di Storia dell’arte Einaudi 40 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Siviglia, sorprese per l’energico contrasto luminoso e la rotondità quasi scultorea. Le altre tele per i domenicani e quelle per le Mercedarie Calzate (1628-30, Museo di Siviglia, del Prado e Accademia di San Fernando) presentano quello stesso tenebrismo, sebbene alquanto attenuato, con ombre trasparenti e colori intensi che conferiscono un’evidente sontuosità colorista alle composizioni. In lui il riberismo arriva all’estremo in alcune opere della decade del 1630 (retablo di San Pietro nella cattedrale di Siviglia, Gli apostoli del Museo di Lisbona, alcune tele di Jerez e Guadalupe). Nei volti della serie dei frati della Mercede all’Accademia o nelle scene dei geronimiti a Guadalupe si trova la maggior intensità della sua produzione e del suo stile, che ha già assimilato quanto piú possibile dalla sua esperienza madrilena. Negli ultimi anni, il modellato fortemente plastico della sua produzione precedente cede il passo a un leggero sfumato dei contorni e a una certa morbidezza con i quali pretende di assimilare, come abbiamo già detto, qualcosa delle nuove forme ormai in voga. Il colore si fa piú contenuto, quasi sommesso, e il tenebrismo tralascia le ombre per una penombra vellutata. Prova timidamente a incorporare anche qualcosa del dinamismo nelle severe e chiuse silhouette delle sue Immacolate Concezioni, ma in realtà, se comparate con la trasformazione dello stile di Ribera o dei suoi contemporanei Velázquez o Cano, si avverte perfettamente fino a che punto Zurbarán rimane sempre fedele al linguaggio della sua gioventú, che in questi anni era ormai evidentemente arcaico. Un problema nella cronologia di Zurbarán è rappresentato dalle stupende tele provenienti dalla certosa di Siviglia de las Cuevas (Vergine dei Certosini, I Certosini in refettorio e L’incontro tra san Bruno e papa Urbano II), dipinti con colori chiari e luminosi tipici della sua fase ultima, ma con una severità geometrica nella composi- Storia dell’arte Einaudi 41 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola zione e un’accentuazione dei volumi e delle ombre tipica dei primi anni. La mancanza di documenti rende incerta la datazione di queste opere, considerate le migliori della sua produzione. Nonostante l’arretratezza del suo stile, è chiaro che il risultato e l’adeguatezza delle formule adatte a servire una semplice clientela devota garantirono una relativa sopravvivenza ai suoi personaggi. Vi sono sufficienti nomi di artisti direttamente o indirettamente vincolati a Zurbarán che possono essere considerati suoi discepoli. Il suo laboratorio fu evidentemente molto vasto e, nonostante siamo a conoscenza dei nomi di alcuni dei pittori che vi collaborarono, non siamo riusciti a identificare chiaramente le loro personalità indipendenti. È evidente tuttavia che molte opere «zurbaranesche» sono attribuibili a questi artisti quasi sconosciuti. I fratelli Polanco (Miguel e Francisco), Bernabé de Ayala e Ignacio de Ries a Siviglia, Juan Luis Zambrano e José de Sarabia a Cordoba sono direttamente in relazione con il maestro dell’Estremadura. In alcuni di essi la conoscenza dell’opera degli artisti piú giovani, soprattutto di Murillo, modifica le loro tecniche verso una maggior dolcezza, gli esseri umani, i severi schemi compositivi e l’intenso chiaroscuro sopravvivono per molto tempo. È molto importante, per il significato storico e per il livello qualitativo, il gruppo di pittori zurbaraneschi che opera in Messico, specialmente Sebastián de Arteaga (1610-56), formato a Siviglia, e José Juárez (1615/20 ca. - 1661/64 ca.), artisti di considerevole qualità che a volte non hanno nulla da invidiare al maestro (I santi Giusto e Pastore di Juárez, Città del Messico, Pinacoteca Virreinal). Altri artisti minori, considerati a volte discepoli di Zurbarán e ai quali si attribuiscono, quasi sempre senza alcuna ragione, opere a carattere zurbaranesco, non Storia dell’arte Einaudi 42 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola hanno una sufficiente definizione personale, soprattutto Bernabé de Ayala (1600 ca. - 1672) o i fratelli Miguel e Francisco Polanco; del secondo, morto nel 1651, si conserva nella cattedrale di Siviglia un’opera firmata (San Giovanni Battista) che sembra corrispondere a una successiva fase stilistica, con evidente conoscenza di Murillo. Alonso Cano La personalità di Alonso Cano (1601-67), nato a Granada ed educato a Siviglia da Pacheco, è estremamente nuova e curiosa nel panorama spagnolo. Uomo dalla genialità violenta, inquieto e dominatore come un artista del Rinascimento, delle tre arti principali, scultura, pittura e architettura, sembra essere (e alcuni dei suoi disegni di nudi lo dimostrano) in magnifiche condizioni per esercitare la pittura mitologica o rappresentare la nostalgia classica. Non è però cosí e le circostanze della sua vita, non priva di episodi drammatici (la sua seconda moglie fu assassinata e si sospettò di Cano, che dovette superare un periodo tormentato prima di essere assolto), lo avvicinano alla clientela ecclesiastica, nonostante la sua presenza a corte gli avesse permesso di conoscere le collezioni reali. La sua interpretazione del senso religioso differisce considerevolmente da quella dei suoi contemporanei. Cano, cosí violento e duro nella vita personale, diventa l’unico artista completamente classico del Siglo de Oro spagnolo. La ricerca della bellezza ideale, il gusto per l’equilibrio e per l’elegante moderazione, l’interesse per il nudo e l’abitudine di disegnare in continuazione lo rendono fin dall’inizio diverso dal mondo strettamente naturalista che lo circondò nell’infanzia e al quale rende il suo personale tributo in alcune opere giovanili come Storia dell’arte Einaudi 43 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola l’intenso San Francesco Borgia (1624) al Museo di Siviglia. Nelle sue opere giovanili dimostra anche un’evidente conoscenza dell’arte di Ribera, da cui trae suggerimenti espressivi e modelli (Via Crucis, Museo di Worcester). I primi anni della sua attività professionale sono dedicati quasi esclusivamente alla scultura, nella quale si denota che approfittò della severa dignità di Montañés e si ha la prova della sua passione per la severa monumentalità classica. I suoi dipinti datati o databili intorno al 1635 (Visione di san Giovanni, Londra, Galleria Wallace; Santa Ines, Museo di Berlino, distrutta nel 1945) mostrano che ha già completamente superato il tenebrismo giovanile e offrono la misura del suo interesse per la bellezza idealizzata, per gli atteggiamenti di sobria gravità e per i colori chiari e saggiamente armonicizzati. Nel 1638, chiamato dal conte-duca di Olivares e per sfuggire ai debiti e alle rivalità, si trasferisce da Siviglia a Madrid, dove regna già Velázquez che non ha quasi rivali a palazzo. A corte, la conoscenza della collezione reale favorisce la sua dedizione e passione; la sua opera di restauratore di quadri dopo l’incendio al Buen Retiro del 1640, gli mette tra le mani i capolavori della pittura veneziana di cui può studiare la tecnica e gli effetti. Forse furono la tecnica e il colore di Tiziano e Veronese che contribuirono maggiormente ad affermare il suo gusto per i toni chiari e argentati e per le forme eleganti, abilmente dissolte nella luce, ma senza perdere mai la sobria precisione dei volumi che la sua condizione di scultore lo aiutava a concretizzare. Diverse opere eseguite per la corte e per i paesi vicini (retablo di Getafe, 1645) permettono di conoscere l’evoluzione del suo stile, che deve abbastanza anche a Velázquez, di cui fu sicuramente testimone mentre eseguiva alcuni quadri. Storia dell’arte Einaudi 44 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola In Cano si afferma il gusto per un’eleganza contenuta che scopriamo sia in temi che altri avevano inteso come drammatici (i Cristi alla colonna, con luminosi nudi apollinei, i Cristi crocifissi prossimi all’opera di Velázquez per la severa gravità elegiaca), sia in altre composizioni evangeliche di ottimismo piú logico come l’Annunciazione di Getafe o le varie versioni della Madonna con bambino, la cui composizione richiama una stampa dureriana, che sa ammantare di una delicata e lirica malinconia, molto personale. L’interesse per il nudo classico, solitamente circoscritto a episodi della passione, con un Cristo magnifico e con poco sangue a deturpare la bellezza delle sue forme agili (Cristo alla colonna, Avila, Carmelitane, di una pienezza quasi michelangiolesca) culmina in un importante e quasi eccezionale quadro: la Discesa al Limbo, al Museo di Los Angeles dove, assieme al nudo di Cristo, dal tono sicuramente monumentale, c’è quello di Eva di spalle di una bellezza e singolarità tali che obbliga a pensare alla Venere allo specchio di Velázquez. Anche il tema cosí frequente in Spagna, quello dell’Immacolata, raggiunge nei suoi anni madrileni una nuova formula diversa da quanto realizzato da Zurbarán negli stessi anni o da quello che Ribera aveva consacrato nel 1635. Se quella del Museo di Vitoria, che presenta una certa rotondità monumentale e un evidente dinamismo, ricorda ancora l’iconografia riberesca, le successive mostrano una tipologia che sarà personale: eretta, con le mani giunte, la testa leggermente inclinata e la tunica e il mantello raccolti ai piedi, a creare cosí una silhouette svelta, affusolata, accompagnata da gruppi ridenti di cherubini in atteggiamento giocoso contro un fondo diafano dai toni argentati e madreperlacei straordinariamente raffinati. Dopo la morte violenta della moglie e varie vicissitudini che testimoniano il suo pessimo carattere, Cano Storia dell’arte Einaudi 45 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola decise di entrare nel mondo ecclesiastico e, nel 1652, chiede la posizione di canonico prebendario alla cattedrale di Granada. Gli viene concesso il titolo, anche se il ritardo nell’imparare il latino e nel prendere i voti sfocerà in tensioni con il capitolo che avranno termine nel 1660 anno in cui, ordinato finalmente sacerdote, prende possesso del titolo e lavora in continuazione per la cattedrale di Granada. A questo periodo granadino corrisponde la piú ambiziosa delle sue opere, il ciclo della vita della Vergine per le nicchie della cappella maggiore della cattedrale, opere di grandi dimensioni dove la sua maestria raggiunge l’apice nella composizione monumentale e negli effetti di grande e raffinato colorista. La serie venne ultimata nel 1664. L’uso di ampi scenari architettonici in alcuni casi, la presenza di figure a mezzo busto in prima fila in altri e la ricchezza del colore rimandano a modelli veneziani, soprattutto del Veronese, che probabilmente conobbe e ammirò a Madrid e che sa rendere suoi con grande maestria. Uomo a quanto pare poco affezionato al lavoro continuativo, capriccioso e indipendente, Cano ha lasciato un insieme di opere di grande bellezza e personalità che si distaccano da quanto comune all’epoca e presentano una segreta affinità con il miglior classicismo italiano che, purtroppo, ha potuto conoscere solo grazie alle tele del Buen Retiro. La sua opera di disegnatore, abbondante e varia, mostra anche la ricca inventiva e la rara sicurezza del suo tocco. La sua influenza, che a Granada fu decisiva per la formazione di una scuola locale di una certa entità basata completamente su suoi modelli e concetti, si è fatta sentire anche in alcuni artisti madrileni della generazione successiva come Sebastián de Herrera Barnuevo (1619-71), scultore e pittore di camera alla morte di Mazo e in alcuni aspetti dell’opera di pittori ancora molto giovani come Juan Antonio Escalante. Storia dell’arte Einaudi 46 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Velázquez La principale figura di questa fortunata generazione è indubbiamente Velázquez, il maggior pittore di tutta la storia della pittura spagnola e quello che meglio incarna il passaggio dallo stretto realismo del primo terzo del secolo al barocchismo dell’ultimo, mostrando inoltre i piú equilibrati e severi risultati «classici» dell’intera arte spagnola. Velázquez è anche l’esempio piú significativo dei risultati di un’educazione e un ambiente adeguati uniti a eccezionali doti naturali. Diego Rodríguez de Silva y Velázquez nacque a Siviglia nel 1599, figlio di un portoghese e di una sivigliana. Anni dopo si sforzò di provare la nobiltà della sua ascendenza, ma è certo che la sua infanzia e le condizioni del suo apprendistato non differiscono da quelle di altri artisti artigiani suoi contemporanei. Dopo essere fugacemente passato dal laboratorio di Herrera il Vecchio, nel 1611 formalizza il contratto di apprendistato con Francisco Pacheco da cui riceverà l’educazione di pittore e dove intraprenderà i passi utili per la sua vita futura. Durante le riunioni tenute dal suo maestro entra in contatto con persone «inquiete» della vivace Siviglia: prende familiarità con il crescente naturalismo che Pacheco lascia sperimentare ai suoi discepoli e scopre con certezza la letteratura dell’epoca, prova nostalgia per l’umanesimo rinascimentale ben conosciuto a Siviglia e che gli ha lasciato una certa familiarità con dei e dee dell’Olimpo pagano. Non appena terminato l’apprendistato, Velázquez si sposa con la figlia del suo maestro (1618) che già aveva riconosciuto in lui doti speciali. Al giovane artista si prospettava la normale vita di un pittore dell’epoca, che dipendeva completamente dalla clientela ecclesiastica: pittura sacra, cicli monastici, ritratti di personaggi della sua cerchia e nature morte in cui sperimentare l’amore Storia dell’arte Einaudi 47 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola per la natura. Infatti, le prime opere di Velázquez rispondono a queste caratteristiche, ma sorprende l’insistenza con cui esegue alcune nature morte con figure alquanto eccezionali per il suo ambiente e che forse rispondono al suo desiderio di impadronirsi di tutto ciò che è naturale, come si può dedurre dall’opera di suo suocero, Pacheco. Cosa insolita, conservò alcune delle proprie nature morte piú interessanti (Acquaiolo di Siviglia, Due giovani mentre mangiano, entrambi al Wellington Museum. di Londra) e le portò con sé a Madrid, sicuramente come prova della sua capacità per farsi conoscere in un ambiente nuovo. A quest’epoca sivigliana, oltre alle nature morte, risalgono anche alcuni quadri a tema religioso concepiti come pittura di genere (Cristo in casa di Marta, Londra, National Gallery, e Cristo a Emmaus, detto La mulatta, Dublino, National Gallery of Ireland, collezione Beit) che sorprendono perché relegano il soggetto principale in secondo piano collocando in primo piano le figure di servi e gli elementi della natura morta, nello stile di alcuni manieristi fiamminghi. In queste tele e nelle nature morte è evidente la conoscenza del naturalismo caravaggesco, con uno studio molto intenso e attento della realtà che lo circonda e un’insistenza sull’illuminazione tenebrista. Oltre a queste opere, il giovane Velázquez dipinge quadri religiosi normali (Adorazione dei Magi, 1619, Museo del Prado; Immacolata e san Giovanni Evangelista, Londra, National Gallery), che presentano un identico gusto per i modelli del volgo e l’illuminazione tenebrista, e ritratti con figure che emanano un’implacabile intensità di osservazione (La venerabile madre Jerónima de la Fuente, 1620, Museo del Prado, collezione privata). Nel 1622, senza dubbio spinto dal suocero, effettua il suo primo viaggio a Madrid. Il conte-duca di Olivares, ministro onnipotente dall’ascesa al trono di Filippo IV, protegge i sivigliani e Pache- Storia dell’arte Einaudi 48 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola co spera che il genero si stabilisca a palazzo. Questo primo viaggio, non del tutto fortunato, gli permette di stabilire i primi contatti. L’anno successivo, 1623, si trasferisce a corte dove gli vengono aperte le porte dell’Alcázar. I ritratti del giovane re, ritenuti straordinari, del conte-duca e di altri sivigliani famosi gli garantiscono il successo e in poco tempo diventa il pittore favorito a corte, mettendo in disparte i vecchi maestri e scatenando, logicamente, invidie e ostilità. I ritratti del giovane sovrano Filippo IV e di suo fratello Carlo, in severi abiti neri alla moda spagnola, nel vuoto spazio definito soltanto da un leggero riferimento geometrico e dal magistrale utilizzo della luce diretta, sottolineano il cammino della liberazione dalle durezze tenebriste. Lo studio dei quadri delle collezioni reali non fa altro che potenziare la sua evoluzione. La sua ammirazione per Venezia rende piú chiara la sua tavolozza e sciolto il pennello, lo studio dei ritratti di corte lo spinge a tralasciare l’iniziale tenebrismo e a porre fondi grigi nei suoi ritratti ufficiali. Nel 1627, in risposta alle accuse che era in grado soltanto di dipingere ritratti, realizza in competizione con altri pittori del re (Carducho, Cajés e Nardi) una grande tela, purtroppo andata perduta, che rappresenta l’Espulsione dei Mori. L’opera era nettamente superiore a quella degli altri e consacra la sua carriera a Palazzo, superando i rivali e ottenendo influenza e onori presso il re. Nel 1628, la presenza a Madrid di Rubens, che a volte accompagnò e che vide sicuramente al lavoro, segnò profondamente la sua sensibilità di uomo ambizioso e di artista, nonostante le profonde differenze di temperamento e sensibilità che si manifestano con evidenza nei Beoni o Il trionfo di Bacco dipinto quello stesso anno. Si tratta di una tela a carattere mitologico con un’interpretazione radicalmente diversa dall’opulenta e sensuale maniera rubensiana. Velázquez optò per un tono di assoluta volgarità e immediatezza Storia dell’arte Einaudi 49 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola in cui il dio è un ragazzo picaresco mentre i suoi adoratori sono povera gente, quasi dei mendicanti. Indubbiamente, applica alla mitologia l’identico trattamento che la Controriforma introdusse nella religione, cosa che ripeterà in altre occasioni, rendendo piú vicino e verosimile il fatto narrato. Tecnicamente nei Beoni vi sono ancora tracce di tenebrismo nel rendere i volti e i tessuti, ma il fondo chiaro e luminoso testimonia già il suo stile. Nel 1629 chiede il permesso di recarsi in Italia; per questo viaggio, che arricchirà enormemente la sua sensibilità, riceve aiuti economici e facilitazioni di ogni genere. Si tratta di un vero e proprio viaggio di studio e Velázquez va direttamente ad assorbire la pittura veneziana del Cinquecento, vive l’esperienza del classicismo romano-bolognese e la devozione neoveneta, cioè la piú vivace attualità nelle città italiane dove il barocco è in incubazione. Il suo amore per la misura e l’equilibrio raggiunge adesso una formula quasi accademica in due grandi tele dipinte a Roma: Fucina di Vulcano (Museo del Prado) e Tunica di Giuseppe (monastero dell’Escorial) nelle quali lo studio dei nudi e il trattamento dei rapporti spazio-luce sottolineano l’assimilazione di quanto aveva visto in Italia. Il tenebrismo è scomparso, il colore si fa chiaro e raffinato in un’atmosfera di toni principalmente freddi e la pennellata si libera completamente da qualsiasi sottomissione al disegno. A questo viaggio risalgono anche due delicati paesaggi della romana Villa Medici (Museo del Prado) che, per libertà di tocco e lirismo, anticipano i canoni che l’impressionismo introdurrà nel XIX secolo. Al ritorno in Spagna, la sua personalità artistica è maturata e ha trovato un modo molto personale di espressione in cui anche l’esperienza italiana ha una sua collocazione. Il magnifico e singolare quadro delle Tentazioni di san Tommaso d’Aquino (Museo diocesano di Storia dell’arte Einaudi 50 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Orihuela) è direttamente legato ai quadri dipinti in Italia e annuncia, in alcuni dettagli, quella che sarà la futura evoluzione. Nella decade 1630-40, è intensamente impegnato come pittore di corte. Per decorare il palazzo del Buen Retiro esegue una serie di ritratti equestri della famiglia reale nei quali introduce magistralmente lo scenario, luminoso e vibrante, della sierra di Guadarrama. La tela della Resa di Breda (Le lance), eseguito per il Salone dei Regni del Buen Retiro, nel quale lavorano anche gli artisti della generazione precedente (Carducho, Cajés, Maíno), Zurbarán e altri piú giovani (Felix Castello, José Leonardo e Antonio de Pereda), è forse l’apice di questa fase artistica, con bellissimi studi all’aria aperta, dove il suo senso del chiarore e dell’ordine, fusi con un sottile studio di espressioni e atteggiamenti, danno come risultato un’immagine indimenticabile di ciò che doveva esserci di piú degno nelle tremende guerre delle Fiandre. Per la Torre de la Parada, la palazzina di caccia per la quale Rubens dipinge la serie mitologica, Velázquez realizza importanti ritratti degli uomini della famiglia reale in abito da caccia, proprio come esigeva l’ambiente. In essi, oltre al tono di serena naturalezza senza enfasi, riesce a captare l’ambiente luminoso della sierra madrilena e a dare vita ai cani da caccia che acquisiscono una potente intensità individuale. Contemporaneamente, la sua incessante attività di ritrattista lascia una serie di immagini indimenticabili dell’ambiente di corte: dal conte-duca di Olivares, ritratto a cavallo con un impeto eroico che si rifà decisamente al barocco (Museo del Prado) ai nani e buffoni di palazzo. Questi ultimi soprattutto costituiscono un settore molto interessante e notevole della sua produzione. Velázquez, senza prescindere da nessuna delle tare o miserie di questi poveri disgraziati, ha lasciato delle immagini emozionanti per la loro profonda veridicità, mostrando ciò che hanno di piú umano e trattandoli con Storia dell’arte Einaudi 51 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola la stessa severa dignità con cui ritrae i reali. È specialmente commovente la serie costituita da Juan Calabazas, Don Sebastián de Mora, Don Diego de Acedo, il primo e Francisco Lezcano, il bambino di Vallecas, una serie prodigiosa sia negli aspetti tecnici (la pennellata si è fatta veloce e volatile, i contorni sono completamente scomparsi) sia in quelli psicologici. Le esperienze pittoriche di quegli anni lo portano a semplificare sempre piú il tocco e a intensificare gli effetti del suo modo di dipingere. Uno dei ritratti di buffone, Pablillos de Valladolid (Museo del Prado) dimostra già, verso il 1639, un dominio assoluto della prospettiva aerea, ottenendo una perfetta definizione dello spazio e la padronanza della figura con un utilizzo particolare di luce e ombra, senza alcun riferimento alle tradizionali formule geometriche. A questo periodo (1630-40) risalgono anche una serie di capolavori sia di arte sacra, eseguita episodicamente e quasi sempre per incarico reale (Cristo crocifisso, famosissimo, con una severa dignità classica, dipinto per il convento di San Plácido per incarico di Filippo IV e San Paolo eremita con sant’Antonio, dipinto per il Buen Retiro, entrambi al Museo del Prado), sia mitologica (Marte, Melipo, Esopo, sempre al Museo del Prado), interpretati con somma indipendenza e novità. Inoltre, come è logico, continua la serie dei ritratti di reali che culmina con quello di Filippo IV in abbigliamento militare (Frick Collection, New York) dipinto a Fraga (Huesca) nel 1644 durante la campagna di Catalogna. Tra il 1648 e il 1651, Velázquez, che ha fatto carriera a Palazzo, torna per la seconda volta in Italia per acquistare opere d’arte per i saloni da poco rinnovati dell’Alcázar che Filippo IV vuole abbellire con elementi che si accordino maggiormente con la nuova sensibilità decorativa dell’epoca, pensando anche di far giungere in Spagna degli affreschi. In questo viaggio, che comprende una visita a Venezia, città favorita dal pittore, e una Storia dell’arte Einaudi 52 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola lunga permanenza a Roma, Velázquez ritrae il pontefice Innocenzo X in una magnifica tela (Roma, Galleria Doria), che influenzò ampliamente il suc cessivo ritratto romano, e il proprio domestico, il pittore mulatto Juan de Pareja (New York, Metropolitan Museum); in queste due opere raggiunge l’apice il processo di libertà del suo pennello che, rifacendosi ai veneziani, soprattutto al vecchio Tiziano, raggiunge cime sconosciute di leggerezza nel tocco ed esattezza di visione. Al ritorno in patria realizza le opere principali della sua produzione, le complesse composizioni in cui «l’ambiente», cioè il totale conseguimento della prospettiva aerea, giunge alla perfezione assoluta: le Filatrici dell’arazzeria di santa Isabella, la Favola di Minerva e Aracne e Las Meninas. Nella prima opera, a carattere mitologico, insiste nel suo particolare modo di interpretare la favola come un fatto quotidiano fino al paradosso che, fino a data recente, un’opera cosí complessa venisse qualificata come quadro di genere, un semplice interno di filatrici, avvolto in una luce dorata, dove sorprende la sua ammirevole maestria nel rendere il movimento della rocca. Las Meninas è un capolavoro, un ritratto della famiglia reale dove, con un delicatissimo sistema di riflessi e posizioni dei personaggi, si autoritrae mentre ritrae il re e la regina di fronte alla figlia Margherita. Lo sguardo di Velázquez, diretto allo spettatore, fissa in realtà la coppia reale, posta fuori dal quadro, ma della quale vediamo il riflesso in uno specchio che centra la composizione, e l’infanta, a quell’epoca (1656) erede al trono, si erge protagonista visibile della composizione. In questo quadro raggiunge forse l’apice del suo fantastico senso dello spazio. In quegli anni realizza anche quattro composizioni mitologiche per uno dei saloni rinnovati di Palazzo. Tre sono andate perdute e si conserva soltanto il Mercurio e Argo del Museo del Prado, dove si avvertono ancora una Storia dell’arte Einaudi 53 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola volta il suo modo molto personale di trattare la favola come fosse una realtà quotidiana e la sua conoscenza dei modelli classici. Dell’epoca dovrebbe essere anche la bellissima Venere allo specchio (Londra, National Gallery), ispirata a Tiziano, ma con una delicatezza e una grazia personali. Velázquez è un personaggio chiave della storia universale dell’arte e, per contrasto, la sua singolarità segnala i limiti dei pittori spagnoli. Se fosse rimasto a Siviglia, forse la sua carriera sarebbe stata quella di uno Zurbarán piú saggio. La sua posizione a corte, dove ottenne incarichi burocratici e amministrativi che culminarono con la nomina a Maresciallo d’alloggio maggiore e la concessione dell’ordine di Santiago per espressa volontà reale, contro il volere del Consiglio degli ordini che non reputava sufficienti le prove di nobiltà prodotte, gli permise una certa familiarità con le collezioni reali e l’alta nobiltà senza confronti. La sua posizione gli rese possibile viaggiare in Italia e lo esentò dalle pressioni dei clienti. Pittore del re, godeva della sua evidente fiducia e la sua produzione è assolutamente eccezionale nell’ambito spagnolo dell’epoca. Indubbiamente il suo protettore reale seppe intravedere l’unicità di Velázquez che riunisce tutte le qualità che si richiedono al pittore puro. La sua maestria tecnica nel suggerire il volume, la forma e la sembianza, con una pennellata sciolta, non hanno equivalenti. La sua penetrazione psicologica nel ritratto mette a nudo la persona che gli sta di fronte dandoci, senza le adulazioni e la fredda crudeltà che altri ritrattisti, per esempio Goya, a volte mostrano, quanto vi è di piú profondo, intimo e personale nella persona ritratta, sia questi un re o un ruffiano. Nella composizione riassume la severa chiarezza del classicismo romano e, contemporaneamente, la compiacenza del transitorio e dello stupefacente, quasi con mistero, del barocchismo. Poco incline al movimento, lascia Storia dell’arte Einaudi 54 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola tuttavia nei suoi personaggi tranquilli l’impronta dell’ambiente che li circonda. Come è facile supporre dalla sua eccezionale unicità, Velázquez non ebbe veri discepoli e la presenza della sua arte si può avvertire fuori dall’ambito di corte. Soltanto il genero, Juan Bautista del Mazo (1611 ca. - 1667), riprende superficialmente qualcosa della sua sottile maestria nel ritratto, con una fattura sempre piú spoglia e coltiva un genere di paesaggio descrittivo con piccole figure di grande effetto e grazia (Panorama di Zaragoza, Partita di caccia del Tabladillo, Museo del Prado) che riprendono un che del magico intuito di Velázquez. Il suo schiavo Juan de Pareja (1606 ca. -1670), che lo accompagnò a Roma, dove ottenne la libertà, e che realizzò magistrali ritratti nello stile del maestro, diventa, una volta morto Velázquez, un pittore religioso all’interno delle convenzioni abituali nell’ambiente madrileno degli artisti dell’epoca. La Vocazione di san Matteo (1661, Madrid, Museo del Prado) è l’unica delle sue composizioni che mantiene qualcosa della gravità e compostezza del maestro. I pittori madrileni della generazione di Velázquez Mentre Velázquez si trova all’Alcázar, quasi completamente slegato da altri lavori che non siano quelli strettamente di palazzo, il panorama artistico madrileno assiste al cambio della guardia dei maestri della prima generazione naturalista, sostituiti, nel fervore della clientela religiosa, da artisti nati negli anni intorno al 1600, che vivono, come i grandi maestri già citati, ma su piano piú modesto, a volte con armonia la stessa crisi del naturalismo stretto e la lenta introduzione delle novità scenografiche del pieno barocco. Il secondo terzo del secolo, che coincide quasi esat- Storia dell’arte Einaudi 55 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola tamente con il regno di Filippo IV (morto nel 1665), vive le tensioni tra una realtà che si sente inesorabilmente prossima al disastro e subisce le difficoltà economiche e i problemi di una politica sfortunata e le esigenze di luminosità e apparente splendore del nuovo stile, che bisogna sostenere per moda e prestigio, ma che si avvicina irrimediabilmente a un’insistenza, espressa o segreta, nel tema dell’«apparire» e del «disinganno». In una Madrid dove la popolazione attorno alla corte è in aumento, dove si fondono e rinnovano, decorandoli, conventi di tutti gli ordini, dove un mondo di nobili pretendenti a corte è in ebollizione, cercando il modo di farsi notare con donazioni, cappelle e fondazioni, non manca lavoro per i pittori, anche se i compensi non sono alti e il prestigio sociale è scarso. Non mancano nuovi stimoli e modelli: dal 1634-35, il Buen Retiro ospita ricche collezioni di pittura italiana d’attualità. Soprattutto Roma e Napoli, grazie alle gestioni del conte di Monterrey e del duca di Medina de las Torres, vi sono rappresentate in modo superbo e dal 1636-40 la Torre de la Parada riceve le serie di tele mitologiche e decorative di Rubens e dei suoi discepoli che costituiscono una magnifica novità. L’alta nobiltà, per seguire in qualche modo il gusto e il capriccio reali, forma collezioni facilmente accessibili agli artisti, come si verifica a volte anche per le collezioni di Palazzo. Vicente Carducho nei suoi Dialoghi della pittura (1633) ha lasciato una viva visione del collezionismo di corte e della sua indubbia complessità già dagli inizi. Anche alcuni personaggi appartenenti alla nobiltà (l’ammiraglio di Castiglia) mostrano interesse per gli artisti spagnoli, creando gabinetti per opere di «eminenti spagnoli», la cui singolarità ci conferma che in generale si tratta di opere fiamminghe e italiane che costituiscono l’orgoglio della nobiltà principale. Tutto ciò favorisce un rinnovo stilistico e la formazione di una Storia dell’arte Einaudi 56 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola scuola con una certa personalità, senza alcun confronto fuori dalla città e dalla corte. Per trovare negli altri centri artistici spagnoli la medesima vivacità e quegli stimoli nella tecnica e, con alcuni limiti, nei soggetti bisogna attendere la seconda metà del secolo, quando il nuovo linguaggio è diventato ormai completamente accessibile e in certo modo popolare. Si ricordi come a Siviglia sia Zurbarán che, quasi senza evoluzione, riempie assieme al suoi seguaci questo periodo fino agli anni Cinquanta e come a Valencia Espinosa perpetui le forme del naturalismo piú stretto, senza avere quasi rivali. Per orientarci, bisogna raggruppare a Madrid, attorno ai loro maestri, i pittori piú interessanti di questa generazione. Sia Vicente Carducho (morto nel 1638) sia Eugenio Cajés (morto nel 1634) hanno moltissimi discepoli che in questi anni acquisiscono una personalità indipendente. Un ruolo decisivo è svolto anche dai pittori formati da un eccellente maestro, Pedro de las Cuevas (morto nel 1644) di cui non si è conservato nulla, ma dal cui laboratorio passano forse i piú validi artisti che troviamo a Madrid in questi anni. Vi si possono aggiungere anche alcuni altri artisti dei quali ignoriamo la formazione e i cultori di generi specifici come i bodegonisti. Tra i tanti discepoli di Carducho troviamo Félix Castello (1595-1651), Bartolomé Román (1590 ca. 1647), Francisco Collantes (morto nel 1656) e Francisco Rizi (1614-85), sebbene quest’ultimo possa e debba essere considerato piú tra gli artisti dell’ultimo terzo del secolo. Con Cajés si formarono Antonio Lanchares (morto nel 1631), Luis Fernández (1594 ca. -1657 ca.) e Antonio Puga (morto nel 1648) e dal suo laboratorio passò anche José Leonardo (morto nel 1653) che si era inizialmente formato con Cuevas. Con quest’ultimo studiarono inoltre Antonio de Pereda (1611-78), Antonio Arias (1614 ca. - 1684), Francisco Camilo (1615 ca. - 1673), Juan Montero de Rojas, il suddetto Leonardo Storia dell’arte Einaudi 57 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola e Juan Carreño de Miranda (1614-84) che, come il suo contemporaneo Francisco Rizi, dovrà essere considerato tra i pittori di Carlo II, paladini del nuovo stile barocco. Figure indipendenti di una certa qualità sono Juan de la Corte (1597-1660), Pedro Núñez del Valle (1590 ca. - 1649), Diego Polo (1610 ca. -1650) e fra Juan Rizi (1600-81) che si dice fosse discepolo di Maíno, ma nulla della sua produzione sembra provarlo. Alcuni di essi ebbero modo di lavorare a corte. Castello, Leonardo e Pereda entrarono in competizione con i vecchi maestri, con Velázquez e Zurbarán, nella decorazione del Salone dei Regni del Buen Retiro. Arias, Camilo, Núñez e Polo, assieme ad Alonso Cano e altri artisti, oggi sconosciuti, decorarono il Salone delle Commedie dell’Alcazar con un’interessante serie di figure sedute di sovrani di Castiglia, di pura invenzione i piú antichi e veri ritratti a partire dai Re Cattolici. Collantes e Juan de la Corte fornirono moltissime tele decorative, paesaggi e prospettive per il Buen Retiro. Tutti costituiscono la base della scuola madrilena, la cui importanza e originalità è molto varia. Buona parte di essi rimasero molto legati alla tradizione del primo naturalismo degli inizi del secolo, con scarsi avanzamenti nella linea del dinamismo e del colore. Félix Castello e Bartolomé Román prolungarono gli schemi compositivi di Carducho, con una certa pesantezza nel disegno e nella composizione, ma con notevoli esiti di colore (la Porziuncola di Castello, Madrid, San Jerónimo; la Parabola dell’invitato a nozze di Román, 1628, Madrid, convento de la Encarnación). Antonio Arias è piú personale e slegato dallo stile dei suoi compagni, grazie al disegno monumentale, alle pieghe angolose di corpi arrotondati, al colore chiaro e intenso e ai volti di efficace individualismo. Qualcosa della sua personalità, severa e calma, ricorda da un lato il mondo di Storia dell’arte Einaudi 58 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Maíno e dall’altro la gravità devota di Zurbarán (La moneta di Cesare, 1646, Museo del Prado; Cristo flagellato raccoglie i suoi abiti, 1641, Madrid, convento de las Carboneras). Pedro Núñez del Valle viaggiò in gioventú a Roma dove divenne accademico di San Luca. La sua conoscenza del mondo classicista bolognese e del naturalismo, attenuata da alcuni caravaggisti, lo collegano a Maíno (Adorazione dei Magi, 1631, Museo del Prado). Diego Polo, formatosi come discepolo di Cajés, è un artista morto prematuramente prima di compiere quarant’anni, che viene ben presto affascinato dal venezianesimo tizianesco e giunge a elaborare un proprio stile, sontuoso, costruito su quello del Tiziano ormai anziano, ottenendo risultati di sorprendente maestria che a volte sono stati attribuiti al maestro veneziano (Martirio di santo Stefano, Museo di Lille; Raccolta della manna, Museo del Prado). Fra Juan Rizi, José Leonardo e Antonio de Pereda presentano una maggiore personalità e significato. Fra Juan Andrés Rizi è figlio di un mediocre pittore discepolo di Zuccari, giunto a lavorare all’Escorial, e fratello maggiore di quel Francisco che sarà una figura di capitale importanza nella generazione successiva, ormai piena mente barocca. Divenuto frate benedettino molto giovane, Rizi giunge in Castiglia per svolgere un ruolo analogo a quello di Zurbarán in Siviglia o di Espinosa a Valencia. È un pittore di cicli monastici (limitati ai conventi del suo ordine: San Millán de la Cogolla, 1653; San Martín di Madrid, oggi al Prado e nell’Accademia di San Fernando; Silos ecc.) e di alcune tele di santi (cattedrale di Burgos) dai toni gravi, con una scarna gamma di colori, con effetti di luce ancora tenebristi e con un sobrio schema compositivo di stretta tradizione naturalista, ma dal punto di vista tecnico e già un artista del barocco avanzato, dalla pennelata sciolta e spezzata che invece di definire le superfici illuminate con la saggia e Storia dell’arte Einaudi 59 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola quasi geometrica precisione di Zurbarán, ottiene scintille luminose e comunica un diffuso tremore di origine veneziana. Il notevole ritratto di Fra Alonso de San Vitores (Museo di Burgos) mostra, sia nella rappresentazione sia nella tecnica, un’inequivocabile influenza di Velázquez; la tecnica rappresenta l’aspetto importante della sua personalità. Uomo colto, teologo e matematico, scrisse il trattato, inedito, Pittura saggia, abbondantemente illustrato e di grande interesse per l’analisi degli ordini architettonici tra i quali inserisce l’ordine salomonico, completamente barocco. Nelle scarse opere conservate di José o Jusepe Leonardo, nato a Calatayud (Saragozza) nel 1601, artista estremamente dotato che verso il 1648 impazzí, rovinando cosí una carriera promettente, si denota una rapida e vibrante evoluzione che va dalla fedeltà agli schemi di Cajés (retablo di Cebreros, 1625) a una conoscenza certa e meditata dell’arte di Velázquez e Van Dyck. Le due tele che dipinge per il Salone dei Regni del Buen Retiro (Presa di Bisac e Presa di Juliers, 1635) evidenziano la maturità di uno stile sobriamente elegante nella composizione e doti di colorista che usa una gamma chiara di toni argentati, chiaramente velazchiani. Il suo San Sebastiano del Prado è un nudo nobile, severo ed equilibrato, che perde in perfezione classica solo in confronto alle opere di Cano. Antonio de Pereda (1611-78), nato a Valladolid ed educato a Madrid con Pedro de las Cuevas, mostra doti di pittore puro assolutamente ammirevoli. La protezione del nobile italiano Crescenzi, molto influente presso Filippo IV, gli apre le porte di Palazzo e, a ventitré anni, partecipa alle decorazioni del Salone dei Regni con una bellissima tela (Aiuto a Genova, Museo del Prado) di severa composizione, un po’ pesante, ma con una straordinaria ricchezza nel colore alla veneziana, in cui l’autore dimostra una notevole capacità di ritrattista. La Storia dell’arte Einaudi 60 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola morte del suo protettore, nemico del conteduca, gli precluse l’accesso a corte e dovette rivolgersi alla clientela ecclesiastica. I suoi quadri d’altare mostrano, oltre a una composizione di tipo convenzionale, un tanto rigida, una capacità di osservazione della realtà e un interesse per le qualità delle cose che denunciano in lui un superbo pittore di nature morte. Le sue opere migliori sono senza dubbio le meravigliose Nature morte (Musei di Lisbona, San Pietroburgo e Mosca) e le sue Vanitas (Musei di Vienna e Saragozza, Galleria degli Uffizi), dove l’opulenza delle cose caduche (fiori, frutta, gioielli, bei tessuti, armi e attributi del potere o della saggezza) è sottomessa al trionfo di un teschio, impassibile di fronte all’implacabile trascorrere del tempo segnato da un orologio. La sua maestria tecnica nel tradurre la materia, formata nella doppia osservazione del rigore fiammingo e della sensualità veneziana, lo rendono un maestro assoluto in un genere che, nella Spagna scissa dal barocco, raggiunge le formule migliori. Come Zurbarán, negli ultimi anni della sua lunga vita tentò di incorporare un po’ del dinamismo trionfante negli artisti piú giovani, senza però riuscirvi. Le sue opere migliori, oltre alle già citate Nature morte e Vanitas, sono i quadri con una o due figure, eseguiti negli anni centrali della sua produzione, tra il 1640 e il 1660 (San Gerolamo, Cristo Salvatore o Uomo del dolore, la Maddalena, San Pietro, Giuditta), dove la forza dell’espressione e la perfezione dei dettagli creano un’intensità quasi ossessiva. Anche Pereda lavorò per gli ordini religiosi, soprattutto per i carmelitani (Sant’Elia e San Eliseo, 1659, Madrid, convento del Carmen) e i francescani (Porziuncola, 1664, Museo di Valladolid). È probabile che nell’ambiente di corte si sviluppasse un tipo di generi speciali, propizi per la decorazione dei palazzi della nobiltà e delle case di una pletora di funzionari che pullulavano attorno alla casa reale. Storia dell’arte Einaudi 61 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Come abbiamo notato, la natura morta trova in Pereda un esecutore straordinario, ma è affiancato da altri artisti validi che nel secondo terzo del secolo realizzano molte opere notevoli che, partendo dai severi schemi dell’inizio del secolo, a disposizione orizzontale, quasi un fregio, e con un’illuminazione tenebrista, incorporano qualcosa della disordinata opulenza della natura morta fiamminga. Cosí citiamo l’ancora enigmatico Juan Labrador, anzi Juan Fernández Labrador, la cui vita è documentata tra il 1620 e il 1640, che all’epoca ebbe un enorme prestigio e si pregiava di disprezzare la vita di corte preferendo vivere in campagna, i quasi omonimi Juan Bautista de Espinosa (1590 ca. - prima del 1641) e Juan de Espinosa (documentato tra il 1640 e il 1676), spesso confusi l’uno con l’altro, sebbene le notizie biografiche permettano di differenziarne le personalità; Antonio Ponce (1608-62), imparentato con Van der Hamen e sicuramente suo discepolo; Francisco Barrera (documentato tra il 1625 e il 1640); Francisco Palacios (1622 ca. -1652) o Francisco Burgos Mantilla (1610 ca. -1672), discepolo di Velázquez, che, a giudicare dall’unica Natura morta conosciuta (1634, Università di Yale), è un artista dalle qualità eccezionali ancora da scoprire. Un caso singolare è quello del già citato Palacios, anch’egli discepolo di Velázquez e famoso per due meravigliose nature morte datate 1648 della collezione Harrach di Vienna. A lui va imputato, come si è convincentemente proposto negli ultimi anni, il famoso Sogno del cavaliere alla Reale Accademia di San Fernando, che è sempre stato considerato un capolavoro di Pereda, ma che difficilmente si inquadra nella produzione di questo maestro, come si è recentemente definito. La menzione di un quadro di tale soggetto e dimensioni si trova nella dote matrimoniale di Palacios e permette di sostenere l’attribuzione del famoso quadro a questo artista quasi sconosciuto. Storia dell’arte Einaudi 62 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Tra gli altri generi «speciali» vanno citati i nobili paesaggi con minuscole figure di Francisco Collantes (1599-1656), che ha doppiamente subito l’influsso delle incisioni fiamminghe e della pittura napoletana, che fornisce anche l’ispirazione per le sue grandi figure a carattere molto riberesco (Sant’Onofrio, Museo del Prado) e i quadri di battaglie e prospettive di Juan de la Corte (1597-1660), un fiammingo stabilitosi molto giovane a Madrid, dove la particolarità dei temi trattati, provenienti dalla storia classica (Ciclo di Troia) o moderna (Storie di Carlo V) gli conferiscono una certa fama nei circoli nobiliari. Degno di nota è anche Francisco Gutierrez Cabello (1616 ca. - 1670 ca.), autore di spettacolari prospettive architettoniche che servono a inquadrare episodi biblici o evangelici composti da piccole figure. Riferendosi a stampe fiamminghe o italiane mostra un senso scenografico molto personale. Come esempio quasi unico di quadro di genere nell’ambiente madrileno si possono citare alcune tele, attribuite senza alcun fondamento ad Antonio Puga, che illustrano scene di strada come l’Arrotino, la Taverna, la Cena dei poveri ecc. con figure di medie dimensioni, un’illuminazione ancora tenebrista e una certa scarsa abilità nella composizione. Queste opere sono un’eco spagnola della pittura dei «bamboccianti» italiani e oggi permangono anonime sebbene lo sconosciuto autore sia una personalità di un certo pregio in cui a volte si possono intravedere riflessi del mondo fiammingo dell’epoca. Il resto della Spagna Abbiamo già indicato come, fuori da Madrid, a Valencia domini il naturalismo stretto grazie a Jacinto Jerónimo Espinosa (1600-67), fedele al tenebrismo per tutta la sua vita. Figlio di un modesto pittore di Valla- Storia dell’arte Einaudi 63 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola dolid stabilitosi a Cocentaina (Alicante), inizia la sua attività a Valencia nel 1623 circa con uno stile molto vicino a quello dei Ribalta, che sicuramente conobbe e frequentò. Alla loro morte sarà il padrone assoluto della clientela monacale valenciana, lasciando opere che rappresentano un qualcosa di molto prossimo a ciò che Zurbarán fa a Siviglia in quegli stessi anni. Sono particolarmente significative le tele dedicate a san Luigi Beltrán per la cappella del convento di Santo Domingo di Valencia, oggi nel Museo di questa città (dipinti tra il 1649 e il 1653). La morte del santo in special modo evoca la Morte di san Bonaventura di Zurbarán, somiglianza che ha fatto anche pensare che Espinosa si fosse recato a Siviglia, spiegando cosí la relazione. La sua passione per i contrasti luminosi, i modelli immediati e una certa rudezza quasi campagnola è alquanto arcaicizzante negli anni 1650-67, quando dipinge le sue opere migliori (Comunione della Maddalena, 1665; Apparizione di Cristo a sant’Ignazio, 1658; Serie della Merced, 1660-62, tutti al Museo di Valencia) che non impediscono di poter vedere in essi i cenni di una forte passione pia e di una sincera emozione. Buon colorista dalle gamme calde e sontuose, le sue tele hanno patito molto gli eccessi di una preparazione rossiccia troppo visibile che ha contribuito al fatto che oggi, mal conservati, risultino monotoni. Un solo artista valenciano sembra interessante per alcuni aspetti nuovi in cui fa irruzione un dinamismo quasi violento. Si tratta di Esteban March (1610 ca. 1668), discepolo di Orrente, da cui prende il gusto per il paesaggio bassanesco, noto soprattutto per le sue scene di battaglia, di notevole qualità, di temi biblici, che a volte si ispirano a stampe fiamminghe e dell’italiano Antonio Tempesta, o a modelli napoletani, ma sempre risolti con un’esecuzione vibrante e personale (Attraversamento del Mar Rosso, Museo del Prado, Giosué ferma Storia dell’arte Einaudi 64 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola il sole, Museo di Valencia). Il figlio Miguel (1638-70), morto giovane, si evidenziò soprattutto per le sue nature morte, opulente, che spesso incorporano paesaggi sul fondo (Allegoria delle stagioni, Museo di Valencia). Nei quadri d’altare si dimostra ancora tenebrista, anche se con una tecnica energica, sciolta e alquanto secca (San Rocco, Museo di Valencia) che si avverte anche in alcune rare composizioni a carattere allegorico, apparse di recente sul mercato internazionale. Come pittore di nature morte è importante anche la figura di Tomás Hiepes (morto nel 1674) che rappresenta nel suo genere speciale il transito dal naturalismo tenebrista stretto e arcaicizzante nella composizione a un concetto piú aperto e mosso, che a volte incorpora nelle sue composizioni, come faceva Miguel March, dei paesaggi di fondo. Formatosi a Valencia, ma stabilitosi a Murcia, dove si mette alla testa di una specie di scuola locale, anche Mateo Gilarte (1620 ca. -1675) rappresenta questa stessa fase stilistica, con echi di Espinosa e Orrente, e timide preoccupazioni per il movimento e il colore chiaro (serie della Vita della Vergine, dispersa, proveniente dal collegio gesuita di San Estebán, Murcia). In Aragona, la figura chiave di questo periodo è quella del longevo Jusepe Martínez (1601-82), discreto artista che parte dal tenebrismo e, dopo un viaggio in Italia che gli permise di conoscere Ribera e Guido Reni, incorpora alcune nuove esperienze di colore e movimento legate soprattutto al mondo spagnolo, senza perdere del tutto l’interesse per i dettagli realisti. Piú modesti, Juan Galván (1596-1658) o Francisco Jiménez Maza (1588-1670); anch’essi viaggiano in Italia, senza nulla aggiungere alla loro arte, ma va segnalato che il secondo utilizza efficacemente le composizioni di Rubens conosciute grazie a incisioni (Adorazione dei Magi, 1645 circa, cattedrale di Teruel). Storia dell’arte Einaudi 65 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola A Siviglia, dove verso il 1650 regna quasi senza rivali lo stile di Zurbarán, troviamo Sebastián de Llanos Valdés (1610 ca. – 1675), l’artista che può servire da ponte tra Zurbarán e Murillo in quanto conosce entrambi e da entrambi trae elementi, segnando con personalità il transito dal tenebrismo del primo al pieno barocco del secondo. Nei quadri della cattedrale di Siviglia (San Giovanni Battista davanti al sinedrio e Vocazione di san Matteo, 1668) dimostra un’evidente conoscenza dell’arte genovese. Meno interessante è Pablo Legot (1598-1657), lussemburghese di nascita, a Siviglia almeno dal 1619, artista incostante che si avvalse sempre di collaboratori e si mosse nella scia di Roelas e Herrera il Vecchio, con alcuni rimandi a Zurbarán (Adorazione dei Magi, 1642, cattedrale di Cadice) o di Ribera (San Geronimo, cattedrale di Siviglia). Pittori di nature morte di un certo interesse sono, a Siviglia, Pedro Comprobin (1605 ca. -1674) che utilizza gli schemi della natura morta di Zurbarán conferendo un dinamismo e un’elegante vivacità nuovi, e Pedro Medina Valbuena, di cui si conosce ben poco, ma che sembra dipendere sempre da Zurbarán. Nel resto dell’Andalusia sono abbastanza interessanti alcuni gruppi locali come quello di Cordoba e Jaén. A Cordoba, la figura piú significativa è Antonio del Castillo (1616-68), formatosi a Siviglia, sicuramente con Zurbarán o sotto la sua influenza. Il suo stile è il naturalismo tenebrista, a cui resta fedele per quasi tutta la sua vita (Calvario, Museo di Cordoba; Adorazione dei pastori, New York, Hispanic Society), ma dimostra di conoscere anche le composizioni fiamminghe rubensiane, senza dubbio grazie alle incisioni, e di avere un evidente interesse per il paesaggio aperto (Storie di Giuseppe, Museo del Prado). La tradizione, riportata da Palomino, vuole che morisse di tristezza sapendosi incapace, dopo un viaggio a Siviglia, di emulare Murillo, all’epo- Storia dell’arte Einaudi 66 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola ca all’apice del suo splendore creativo; ciò mostra chiaramente, sia vera o no la leggenda, l’arretratezza del suo stile in confronto alle novità degli anni Sessanta. Assieme a lui va citato José de Sarabia (1608-69), di famiglia sivigliana, formatosi con Zurbarán e stabilitosi a Cordoba dal 1630 che, nell’opera migliore considerata sua (Adorazione dei pastori, Museo di Cordoba) denota una delicatezza e un’intensità pari a quelle del suo maestro. Da Jaén si distacca Sebastián Martínez (1599-1667), personalità curiosa, mal studiata, che dipinse a Madrid e fu pittore di Filippo IV. Ciò che di lui si conosce mostra un artista formatosi nel tenebrismo e vicino a Castillo, ma conoscitore di Alonso Cano e preoccupato di fornire nelle sue composizioni un tono di dinamismo e vibrazione atmosferica in linea con i nuovi tempi. La sua opera piú importante, il San Sebastiano della cattedrale di Jaén, ha una notevole tensione espressiva, decisamente già barocca. A Malaga è importante la presenza di Miguel Manrique (morto nel 1647), nato nelle Fiandre da madre fiamminga e padre spagnolo, senza dubbio formatosi nel circolo di Rubens; introdusse in Andalusia la conoscenza diretta del grande artista fiammingo e il gusto per le composizioni opulente che avranno un ruolo definitivo nella generazione successiva. Storia dell’arte Einaudi 67 I pittori del pieno barocco L’ultimo terzo di secolo, che coincide con esattezza matematica con il regno di Carlo II (1665-1700), rappresenta il trionfo delle forme del barocco pieno. In realtà ciò presuppone, almeno per quanto riguarda gli aspetti puramente esterni, il mettersi alla pari con quanto si realizza in Europa. Se molti degli artisti della «grande generazione» spagnola (Zurbarán, Espinosa, Pereda o Juan Rizi) vivono, come abbiamo visto, con un considerevole ritardo rispetto all’evoluzione generale della pittura europea, in queste ultime decadi del secolo gli artisti spagnoli sono al passo con il resto d’Europa. È significativo il fatto che nel 1658 giungano a Madrid i decoratori bolognesi Agostino Mitelli e Michelangelo Colonna, che creano una scuola e che, nel 1692, Luca Giordano, vetta indiscutibile del barocco decorativo italiano ed europeo, si stabilisca per dieci anni a corte per chiudere il secolo in un clima di apoteosi. Questo formale aggiornamento rappresenta necessariamente un paradosso. Se le forme gloriose del pieno barocco sono servite in Italia a esaltare il trionfo di una Chiesa consolidata dopo rischi e incertezze della Controriforma, e nella Francia di Versailles esprimono, con quel caratteristico adattamento delle forme di un classicismo relativo, lo splendore reale di una monarchia potente, in Spagna queste forme trionfali si mettono al servizio di una situazione volta al disastro, di una Storia dell’arte Einaudi 68 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola monarchia barcollante e di un’economia sull’orlo della bancarotta. Pochi sovrani sono stati fisicamente meno favorevoli all’esaltazione di un’apoteosi di Carlo II, eppure tocca a lui proteggere, per esigenze di «apparire», uno dei periodi piú fastosamente trionfali, ma superficialmente brillanti della storia artistica spagnola. Forse è per ciò che questa pittura cosí luminosa e allegra, colma di un’apparente vivacità, coesiste, prestando anche il suo splendore, con il tema delle vanitas; cosí si è verificato anche in letteratura, con evidente anticipazione. Quevedo aveva avvertito meglio di altri il fasto, l’inutile apparenza, il profondo dramma della situazione reale spagnola e il suo vuoto; adesso la pittura offre, assieme a questa falsa opulenza esteriore, la presenza dell’elemento negativo e drammatico, avvertendo l’inanità delle cose presenti. Se il tema della vanitas rerum è tipico del pensiero morale del XVII secolo, sia nell’ambito cattolico sia in quello protestante, in Spagna l’esortazione si fa piú profonda e malinconica, ma piú direttamente vivida. La situazione spagnola era giustamente il regno della vanità, il trionfo dell’apparenza esteriore che nasconde solo polvere, ceneri e miseria. L’arte di fine secolo, che muore in un enorme castello di fuochi artificiali, con la luminosa presenza di Claudio Coello, Palomíno e Lucas Jordán, nasconde soltanto la putredine e la vacuità che Valdés Leal rende evidente, forse con maggior crudezza di altri artisti della storia della pittura. I componenti artistici ideali di quest’ultima fase della pittura spagnola secentesca sono chiaramente definibili e, quindi, sono gli stessi di tutto il barocco decorativo europeo: da una parte la pittura veneziana del XVI secolo, con la maestosa sensualità di Tiziano, la spettacolare opulenza colorista di Veronese e il luminoso drammatismo di Tintoretto; dall’altra la dinamica teatralità, abbondante e fertile, di Rubens e dei suoi discepoli Storia dell’arte Einaudi 69 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola fiamminghi. Di tutto ciò, in Spagna, ma soprattutto a Madrid, vi sono abbondanti e magistrali esempi. L’interesse per Venezia era stato fondamentale per l’evoluzione dei piú «moderni» artisti della generazione del 1600, si pensi a Velázquez e Cano. Il meglio dell’opera di Rubens era noto, oltre che per le incisioni delle sue opere, ben presto diffuse, grazie a superbi esemplari: gli arazzi con le allegorie eucaristiche del convento delle Descalzas Reales, dal 1630, e le prodigiose serie mitologiche della Torre de la Parada dal 1640. Come è logico, i primi a Madrid a conoscere queste opere furono i pittori del re: saranno quindi gli artisti che hanno accesso alla corte i primi a raccogliere l’eco della potenza colorista, del senso dinamico, della composizione diagonale e dell’esaltazione delle forme del grande artista fiammingo. A Siviglia, l’altro centro creativo importante nella Spagna dell’ultimo terzo del secolo, i capolavori veneziani e fiamminghi non erano cosí frequenti, anche se era possibile ammirarne alcuni nelle case dei grandi; tuttavia la speciale situazione commerciale della città aveva reso possibile che nelle chiese e nei conventi vi fosse un’abbondanza di opere di artisti genovesi (Assereto, Ansaldo, Valerio Castello, i Ferrari, Strozzi) che, come è noto, già verso il 1630-40 avevano creato un particolare stile barocco in cui convergevano anche quelle due componenti, combinate con una speciale sensibilità verso il quotidiano che eserciterà un’influenza decisiva nella cristallizzazione dello stile personale di Murillo. Un sivigliano, emigrato a Roma, il giovane Francisco de Herrera il Vecchio, svolgerà un ruolo importante nella trasformazione delle forme e nel fissare definitivamente il nuovo stile sia a Madrid sia a Siviglia. Al suo ritorno dall’Italia introduce, con vigore e grazia molto personali, la sua interpretazione dello stile cortonesco e Storia dell’arte Einaudi 70 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola delle raffinatezze di colore e luce osservati nella Venezia secentesca di Maffei e Mazzoni. La tecnica pittorica, la fattura e il tocco si fanno ora completamente liberi e comportano alcune audacie di origine veneziana, già viste in alcuni pittori delle generazioni precedenti. Si pensi alla violenza di Herrera il Vecchio, alla libertà di alcuni dei discepoli di Cajés (Luis Fernández, José Leonardo) o degli schizzi tizianeschi di Diego Polo, per non evocare l’eccezionale leggerezza della pennellata di Velázquez, dove l’intera lezione veneziana giunge all’apice. In quanto ai generi, la pittura religiosa continua a essere l’unico campo per i pittori. Proseguono i cicli monastici, ma il quadro d’altare di grandi dimensioni sostituisce quasi completamente il retablo ripartito della prima meta del secolo. Grandi tele, concepite come un fastoso spiegamento scenografico, fiancheggiate a volte da colonne salomoniche che sembrano contagiarle con il loro dinamismo elicoidale, riempiono ora le chiese. I fondi architettonici con prospettive in fuga, eredità remota del Veronese e prossima di Rubens, e gli effetti luminosi di piani successivi e di controluce definiscono queste tele teatrali di sicuro effetto. Il ritratto, sebbene mantenga di solito un tono di garbo severo e il gusto per i colori scuri, il nero e il bianco, che la moda impone nell’abbigliamento, include anche elementi di movimento, accompagnamento e gestualità derivanti da Van Dyck, rendendolo meno rigido e piú proiettato verso lo spettatore. In ugual modo, la natura morta diviene piú barocca e presenta formule di una certa opulenza di chiara ispirazione fiamminga. Abbiamo già detto che il genere delle vanitas, culminato con Pereda, viene mantenuto e raggiunge con Valdés Leal le sue espressioni piú malinconiche. La pittura murale, che aveva avuto una scarsa tradizione nella Spagna della prima metà del secolo, ha ora Storia dell’arte Einaudi 71 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola il suo massimo sviluppo grazie alle apportazioni italiane di Mitelli e Colonna, che in soli quattro anni (1658-62) crearono una vera e propria scuola. Purtroppo, la maggior parte delle decorazione ad affresco o a tempera di cui abbiamo notizia, soprattutto di quelle a tema mitologico dipinte per l’Alcázar di Madrid e per alcune abitazioni di nobili, sono andate perdute. Quel poco che rimane ci permette di conoscere come la quadratura e i lucernai con voli di angeli, che trasformarono cupole o soffitti in magnifici spazi a cielo aperto, ebbero uno sviluppo e una qualità pari a quelle italiane. La «scuola madrilena» Nel capitolo precedente abbiamo parlato di alcuni artisti, strettamente contemporanei di Velázquez, che lottano timidamente per incorporare il dinamismo rubensiano. L’inizio del definitivo trionfo del nuovo stile si deve, ancora durante il regno di Filippo IV, agli artisti della generazione successiva, nati tra il 1614 e il 1630, che adottano un linguaggio artistico che resisterà fino alla fine del secolo. Svolgono un ruolo eccezionale nella pittura madrilena due artisti dalle vite parallele: Francisco Rizi (1614-85) e Juan Carreño de Miranda (1614-85), legati inoltre da vincoli di amicizia personale e che spesso lavorano insieme. Rizi, fratello minore del frate Juan Andrés, fu un fedele discepolo di Carducho e sicuramente ereditò da lui una certa regola nel disegno di tradizione toscana e una gran capacità di lavoro e di organizzazione del laboratorio, quindi è senza dubbio uno dei piú fecondi artisti del suo tempo e nel suo studio si formarono molti degli artisti della generazione successiva, ormai pienamente barocca. Fin dall’inizio sembra interessato a una Storia dell’arte Einaudi 72 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola fattura rapida e abbozzata, al colore intenso e contrastato, come alla composizione dinamica, di scorcio e profonda, di evidente richiamo rubensiano. Conserviamo sue opere del 1645 e già nel 1650 dipinge un’enorme tela d’altare per i cappuccini del Pardo (La Vergine con san Filippo e san Francesco) che presenta, risolto, il tipo di grande retablo unico di grande composizione, con un paesaggio luminoso, pieno di movimento e colore, sul fondo anche quando la disposizione presenta una simmetria classica. Le opere successive (Deposizione di Cristo, 1652, Museo del Prado; Santa Leocadia, Madrid, San Jerónimo; retablo di San Pietro, 1655, Madrid, Fuente del Saz; Liberazione di san Pietro, Vallecas e molti altri) mostrano il suo avanzamento nel barocchismo e a volte anche la sua evidente disattenzione e precipitazione che lo portano a fare vere e proprie abborracciature. Nelle tele minori brilla meglio la sua audacia nel colore e nella pennellata, ottenendo a volte raffinatissime armonie di colori chiari (Annunciazione, Museo del Prado). Le sue Immacolate sono le prime nell’ambiente madrileno a presentare il tono mosso e impetuoso che poi diverrà generale e che contrasta con la quiete delle Immacolate precedenti, incluse quelle di Cano. Come pittore di affreschi, Rizi e Carreño sono i primi a sfruttare la presenza di Mitelli e Colonna, diventando i loro migliori discepoli e sviluppando vaste decorazioni di finte architetture, quasi sempre tracciate da Rizi, nelle quali si iscrivevano i personaggi di Carreño. A questo genere corrispondono le decorazioni della chiesa di San Antonio de los Portugueses, Madrid, e del Camarín del Sagrario della cattedrale di Toledo, entrambe di Carreño, e quelle della cappella del Milagro delle Descalzas Reales di Madrid (1678), completamente di Rizi. Legato a Palazzo fin dal 1656 come «pittore del re», fu anche direttore delle macchine teatrali del teatro del Storia dell’arte Einaudi 73 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Buen Retiro, realizzando audaci scenografie di cui si conservano alcuni disegni. L’ascesa di Carreño, pare protetto direttamente dalla regina governatrice, donna Marianna d’Austria, lo allontanò dalla vita di Palazzo nella decade 1670-80, giungendo a inviare alla regina, nel 1673, un vero memoriale di lamentele. In quegli anni trasferisce la sua attività verso i conventi castigliani, ma negli ultimi anni di vita sembra riacquistare un certo ruolo a corte. È sua una curiosa tela di grande valore documentale che rappresenta l’Auto de Fé svoltosi nella Plaza Mayor di Madrid nel 1683. Morí nel 1685 mentre stava approntando una grande tela per l’altare della sagrestia dell’Escorial, che non poté realizzare e venne terminata dal suo discepolo, Claudio Coello. Juan Carreño de Miranda, nato nelle Asturie da una famiglia nobile, studiò con Pedro de las Cuevas e con Bartolomé Román. La sua attività ebbe inizio nelle chiese e nei conventi, ma la necessità di ultimare rapidamente le nuove decorazioni dell’Alcázar fece sí che, su suggerimento di Velázquez, secondo Palomino, ci si rivolgesse a lui. Vi lavorò assieme a Mitelli, Colonna e al suo amico Francisco Rizi. Ottenne la nomina a «pittore del re» nel 1669, dopo la morte di Mazo, e nel 1671, alla morte di Herrera Barnuevo, divenne «pittore di camera», superando Rizi che, fino ad allora, era stato suo compagno in tante attività e che da quel momento sembra prendere le distanze dalle attività di Palazzo e, come abbiamo detto, non proprio per sua volontà. Le sue tele d’altare mostrano fin dall’inizio il peso che, nel disegno e nella composizione, esercitano i modelli fiamminghi di Rubens e Van Dyck e la sapienza nell’uso del colore e della tecnica, audace e libera nella pennellata, chiaramente di origine veneziana. La grande tela della Fondazione dell’ordine Trinitario, composta in base a uno schema di Rizi, come sappiamo da un disegno conservato agli Uffizi, dipinta nel 1666 per Storia dell’arte Einaudi 74 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola i Trinitari di Pamplona e oggi al Louvre, è forse l’espressione dell’apice della produzione di questo genere. La composizione di scorcio, con un elegante ordinamento di piani luminosi, le forme, definite da macchie vibranti, e il colore, caldo e dorato, con sorprendenti effetti di neri puri di controluce, aiutano a uniformare uno dei capolavori della pittura spagnola di quegli anni. Allo stesso modo, la grande Assunzione della Vergine, al Museo di Poznan, mostra notevoli audacia e dinamismo; e composta su uno schema rubensiano, ma trattata con eccezionale maestria tecnica e un colore di raro splendore veneziano. Il genere piú noto di Carreño è la sua opera di ritrattista. Dal 1669 svolge alla corte di Carlo II un ruolo simile a quello che Velázquez svolse alla corte di Filippo IV. È lui che ci ha trasmesso l’immagine triste e severa del pallido e malaticcio Carlo II, riflettendo la sua fragile silhouette nei grandi specchi del salone di palazzo, o quella della regina madre, donna Marianna, con gli abiti di lutto, di aspetto monacale, in piedi o seduta davanti a una scrivania. I ritratti d’apparato dello sfortunato monarca in armatura (Toledo, Museo del Greco) o con il mantello dell’ordine del Tosone (Vienna, collezione Harrach) sono forse le piú rabbrividenti e terribili immagini della dissoluzione della monarchia, con un significato, ai nostri occhi, quasi simile a quelli che vedremo nelle Postrimeriàs di Valdés Leal. Fuori dall’ambiente di Palazzo, il ritratto di Carreño incorpora la vivacità e la retorica dei modelli di Van Dyck, come quello del Duca di Pastrana, al Prado, con uno scenario aperto, cavallo e paggi. Come pittore di affreschi abbiamo già menzionato alcuni suoi lavori svolti assieme a Rizi, soprattutto quello della volta di San Antonio de los Portugueses, la cui parte centrale, con le figure in volo nello spazio, è quasi sicuramente di sua mano. Sono purtroppo andati perduti gli affreschi a tema mitologi- Storia dell’arte Einaudi 75 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola co dipinti nell’Alcázar, che ci avrebbero fornito informazioni sulle sue capacità con i nudi. Assieme a Rizi e Carreño, svolse un ruolo molto importante nella trasformazione dello stile e nell’affermazione del barocchismo pieno la figura di Francisco Herrera il Giovane (1627-85), sivigliano che, fuggendo dal padre, il vecchio Herrera, passò in Italia, dove conobbe Pietro da Cortona e visse l’esaltazione del barocco decorativo romano. Di ritorno, nel 1654, passò da Madrid dove la sua Apoteosi di sant’Ermenegildo, oggi al Museo del Prado, dipinta per il retablo maggiore delle Carmelitane, dovette sorprendere per il suo esaltato dinamismo, per la composizione elicoidale, dove sembra risuscitare la forma «a serpentina» del manierismo, e per l’audacia dei toni chiari, con i quali crea arditi effetti di controluce. A Siviglia, dove visse alcuni anni, svolse un ruolo significativo grazie alle opere per la cattedrale (Adorazione del Sacramento, 1656; San Francesco, 1657) la cui eco raggiunse perfino Murillo, suo compagno e rivale nell’Accademia sivigliana fondata in quegli anni, e certamente anche Valdés Leal. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Madrid, al servizio della corte, sia come pittore (eseguí molti affreschi, andati perduti) sia come architetto, ed ebbe l’incarico di maestro maggiore delle opere reali. Dopo questi tre maestri, che si possono considerare i creatori dello stile madrileno piú caratteristico, segue una generazione di giovani artisti, loro discepoli, la maggior parte dei quali, forse i migliori, morí giovanissima, alcuni addirittura prima dei loro maestri. Rappresentano la pienezza di uno stile luminoso e dinamico, pieno di colore, a volte con un’eleganza quasi affettata, ma sempre risolta, nonostante le evidenti leggerezze di disegno e superficialità di sentimento, con una maestria tecnica, una sicurezza nel tono e un’eleganza cromatica di radice veneziana assolutamente singolari, che danno per- Storia dell’arte Einaudi 76 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola sonalità e carattere alla «scuola madrilena» barocca. Alcuni artisti, di età simile a quella dei tre maestri suddetti, pretendono considerazione, soprattutto Francisco Camilo (1615 ca. - 1673), discepolo di Pedro de las Cuevas che, come Rizi e ancora prima dell’avvento di Herrera il Giovane a Madrid, rappresenta un passo avanti verso il pieno barocchismo, con le sue figure allargate e instabili, di colore chiaro, dalla pennellata nervosa e dalle forme fluide (Ascensione di Cristo, 1651, Museo di Barcellona; San Carlo Borromeo e gli apostoli, cattedrale di Salamanca). Sebbene si dedicasse a composizioni ampie e spettacolari, diede il meglio di sé nell’iconografia pia di delicata tenerezza (San Giuseppe con il Bambino dormiente, Museo di Huesca). Anche Sebastián Herrera Barnuevo (1619-71), discepolo di Alonso Cano e come lui pittore, scultore e architetto, realizzò opere di qualità con forti richiami veneziani (Retablo della Madonna di Guadalupe, 1653, Madrid, Descalzas Reales). Anche Francisco de Solís (1620-84) è un artista degno di considerazione per il suo personale stile nelle figure svelte, ordinate in ritmi curvi e fluenti, di un’eleganza un poco ricercata (Visione di santa Maddalena de’ Pazzi, Valladolid, collegio de Ingleses; Fuga in Egitto, Madrid, palazzo Reale). Uomo colto e di raffinata educazione, sappiamo che scrisse alcune vite di artisti spagnoli, purtroppo perdute. Tra i piú giovani discepoli di Rizi troviamo Antolínez, Escalante e Claudio Coello, per citarne solo alcuni. Furono discepoli di Carreño Mateo Cerezo, Cabezalero, Ruiz de la Iglesia, Jiménez Donoso e molti altri. Matía de Torres era legato a Herrera il Giovane. Una pleiade di personaggi minori sono attivi, con minor o maggior fortuna, fino all’arrivo di Luca Giordano, nel 1692, che apporta un nuovo elemento allo stile madrileno, proiettandolo nelle prime decadi del nuovo secolo. Storia dell’arte Einaudi 77 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola José Antolínez (1635-75) è un grande ammiratore di Venezia, soprattutto di Tiziano, e delle Fiandre; colorista di grande eleganza e abilità si dedica, oltre al genere sacro (le sue Immacolate, di una certa alterigia aristocratica, sono quanto di piú personale vi sia del genere nella Madrid dell’epoca), al ritratto e al quadro di genere, cosa quasi eccezionale nel panorama artistico madrileno di quegli anni (Il pittore povero, Pinacoteca di Monaco di Baviera), nonché a temi mitologici inseriti in paesaggi. Juan Antonio Escalante (1633-70), di Cordoba, è piú incline al modello veneziano di Veronese, Tintoretto e Bassano. Nella serie di quadri a tema eucaristico per la Merced di Madrid (1667), attualmente suddivisi in vari musei, sorprende la sua bravura nel colore chiaro e nei suoi personaggi di atteggiamento veneziano. Per le composizioni fece a volte ampio uso di stampe fiamminghe, fu influenzato anche da Cano, ma sempre con un personalissimo senso di eleganza che brilla soprattutto in alcuni deliziosi quadri a soggetto sacro di piccole dimensioni e squisita raffinatezza cromatica. Mateo Cerezo (1637-66), di Burgos, apprende dal maestro Carreño la devozione per Tiziano e Van Dyck, con una preferenza per le figure a mezzo busto di sontuosa qualità (Maddalena penitente, Ecce Homo) e per le composizioni complesse, di tono fiammingo, risolte con una malinconica eleganza molto personale. Eseguí anche nature morte di altissima qualità che svelano di aver definitivamente superato lo schema tenebrista della prima metà del secolo (Nature morte, Museo di Città del Messico, Natura morta di cucina, Museo del Prado). Juan Martín Cabezalero (1633-73), manciego di Almadén, si ispira ai modelli fiamminghi di Van Dyck con una straordinaria personalità, un gusto per le superfici ampie a colori pieni e con effetti luminosi molto personali che la sua morte prematura gli impedirono di sviluppare. Storia dell’arte Einaudi 78 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Sono estremamente significativi i quadri della Passione di Cristo (1669) nella cappella di Cristo della Venerable Orden Tercera di Madrid. José Jiménez Donoso (1628-90), anch’egli proveniente dalla Mancia (Consuegro), studiò a Roma e al suo ritorno collaborò, come vedremo, con Claudio Coello con il cui stile ha molti punti in comune: la propensione per le prospettive e il dominio dell’affresco illusionista della tradizione di Colonna e Mitelli. Tralasciando molti altri artisti, alcuni di una certa qualità come Diego González de Vega, Sebastiàn Muñoz, José Moreno, Alonso de Arco o F. Ignacio Ruiz de la Iglesia, la figura piú significativa di tutta la scuola è senza dubbio Claudio Coello (1642-93) la cui morte sembra chiudere il ciclo della grande pittura barocca spagnola. Discepolo e collaboratore di Francisco Rizi, ebbe anche contatti con Carreño, che lo introdusse a Palazzo dove copiò con molta cura Tiziano, Rubens e Van Dyck, secondo quanto tramandatoci dagli scritti di Palomino, riuscendo a creare uno stile che verrà adottato da tutta la scuola. Grazie al suo straordinario senso dello spazio e della prospettiva aerea, sembra essere in un certo qual modo l’erede di alcuni aspetti dell’arte di Velázquez (L’adorazione della sacra ostia, 1685, El Escorial), alla quale si rifanno anche i suoi scarsi ritratti di notevole semplicità e considerevole profondità psicologica. Il fasto teatrale e scenografico dei suoi quadri d’altare proviene direttamente da Rubens, tramite il suo maestro Rizi, con un eccezionale dominio della prospettiva architettonica e della gradazione degli effetti luminosi (Annunciazione, 1668, convento di San Placido; Martirio di san Giovanni Evangelista, 1674, chiesa di Torrejón; Apparizione della Madonna a san Domenico, Accademia di San Fernando; Martirio di santo Stefano, 1693, Salamanca, San Esteban). Fu molto interessato dalla concretezza e le sue composizioni sono superbi Storia dell’arte Einaudi 79 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola esempi di realtà, soprattutto nel ritrarre personaggi secondari e dettagli della natura morta. In anni di velocità di esecuzione e poca preoccupazione per il disegno, si nota la sua insistenza nell’esecuzione e la sua attenzione nei profili esatti e nell’esattezza rigorosa degli scorci. Il suo senso del colore è delicato e sottile. Come pittore di affreschi, a cui si dedicò in collaborazione con Jiménez Donoso o Sebastián Muñoz, si rifà alla tradizione di Mitelli e Colonna con finte prospettive e figure librate nello spazio aperto (1683-85, chiesa della Mantería, Saragozza; sagrestia della cattedrale di Toledo; casa Panadería, Madrid ecc.). Come abbiamo già piú volte ripetuto, nel 1692, un anno prima della morte di Coello, venne chiamato a corte Luca Giordano che, fino al 1702, anno in cui se ne andò, dipinse una gran quantità di opere, sia affreschi (El Escorial; sagrestia della cattedrale di Toledo; pareti di San Antonio de los Portugueses; Casón del Buen Retiro) sia una vasta serie di tele con soggetti biblici, religiosi, mitologici e allegorici. La sua appassionata arte, vistosa, fatta di agitazione e movimento, piena di audaci scorci, figure volanti e colori vibranti e caldi, con pennellate libere e nervose, diede una consacrazione definitiva al barocchismo sviluppatosi in quel secolo. Esercitò la sua influenza su quasi tutti i pittori che ebbero occasione di conoscerlo a Madrid. Si può considerare allievo suo e di Claudio Coello, Antonio Palomino (1655-1726), di Bujalance (Cordoba), grande affrescatore (chiese di San Juan e della Virgen de los Desamparados a Valencia; sacrario delle certose di Granada e Paular) e autore inoltre della piú importante opera teorica di tutta la bibliografia artistica spagnola, il Museo pictórico y escala óptica (1715-24) in cui, oltre a problemi di ordine teorico, presenta, nel terzo capitolo (Parnaso español Pintoresco laureado) le vite di pittori e scultori spagnoli, diventando, soprattutto per quanto Storia dell’arte Einaudi 80 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola riguarda il XVII secolo, la fonte principale per conoscere la storia dell’arte spagnola. Per quanto riguarda gli altri generi pittorici, soprattutto la natura morta, unica a raggiungere sviluppo e indipendenza, si ha a Madrid un’evoluzione simile a quella segnalata per la pittura religiosa. Una crescente opulenza nella disposizione che tende all’asimmetria e al movimento e una notevole ricchezza nel colore sostituiscono definitivamente i severi ordinamenti della prima metà del secolo. Abbiamo già citato le Vanitas di Pereda e le Nature morte di cucina di Matteo Cerezo; Andrés Deleito, documentato nel 1680 e legato alle forme di Pereda, dipinge nature morte e vanitas con una tecnica spoglia e luminosa. In questi generi, il pieno barocco è indubbiamente meglio incarnato dai vistosi fiori di Juan de Arellano (1614-76), ricchi di eleganza e colore, che devono molto al fiammingo Seghers e all’italiano Mario Nuzzi, ma con una sensibilità personale, e quelli di suo genero, Bartolomé Pérez (1634-93) che dipinge corone e ghirlande di fiori attorno a immagini sacre, alla maniera fiamminga. Anche Gabriel de la Corte (1648-94), imparentato con Juan de la Corte, noto per i suoi quadri raffiguranti battaglie, dipinse vasi di fiori e ghirlande nello stile tipico del barocchismo avanzato. La pittura sivigliana A differenza di Madrid dove, fino alla maturità di Claudio Coello, non vi è alcun artista che possa porsi in testa e dove conosciamo molti pittori di valore equivalente, a Siviglia l’attività pittorica di questo periodo si focalizza quasi totalmente su due personalità molto forti e contrapposte: Murillo e Valdés Leal. Bartolomé Esteban Murillo (1618-82) è uno dei piú Storia dell’arte Einaudi 81 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola famosi artisti spagnoli, sebbene la sua fama e il suo valore abbiano subíto, nel secolo attuale, una certa eclisse con l’accusa di eccessivo sentimentalismo, mentre contemporaneamente si sopravvalutavano la semplicità e l’asperità di Zurbarán. Nel XVIII secolo e in buona parte del XIX, Murillo fu il nome spagnolo piú considerato, posto alla pari, e forse anche superiore, a quello di Velázquez. Nel Seicento, grazie all’attiva colonia di mercanti fiamminghi e genovesi presente a Siviglia, le sue opere giunsero sul mercato internazionale e il suo nome era famoso ed elogiato in tutta Europa. Figlio di un modesto barbiere-cerusico, rimase orfano ben presto e venne educato dalla sorella maggiore; la sua formazione pittorica si svolse con il mediocre Juan del Castillo in ambiente sivigliano, che stava osservando il crescente prestigio di Zurbarán e l’arrivo delle opere di Ribera, due pittori che fungeranno da punto di riferimento obbligato per le prime opere conosciute di Murillo nelle quali si avvertono accenni naturalisti e forti contrasti luminosi di tono completamente tenebrista (serie dei francescani di Siviglia, 1645-46, dispersa in vari musei), nonché una certa propensione ai luminosi angeli in gloria, già visti in Roelas. Questo naturalismo leggermente tenebrista si mantiene in alcune opere della decade del Cinquanta, tra le quali si evidenziano alcune meravigliose immagini di Madonna con Bambino, luminose e con forti contrasti, ma con un delicato senso materno che si collega a quello dell’italiano Cavarozzi (Vergine del Rosario, Firenze, Palazzo Pitti e Museo del Prado; Sacra Famiglia dell’uccellino, Museo del Prado). Nel 1656, il grande Sant’Antonio della cattedrale di Siviglia mostra già quello che sarà il suo stile principale, con una notevole diminuzione della scala dei personaggi principali, in contrasto con l’imponente massa di quelli di Herrera e di Zurbarán, e un ampio sviluppo dello spazio ricolmo, nella parte superiore, di cherubini giocosi Storia dell’arte Einaudi 82 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola tra le nuvole, con contrasti luminosi forse presi da Herrera il Giovane che, appena giunto a Siviglia, impressionò gli artisti locali. Nel 1658, risulta che Murillo è a Madrid dove si recò da Velazquez e probabilmente visitò le collezioni reali che lasceranno un’impronta nella sua opera successiva dove, assieme a evocazioni della pittura genovese, ben conosciuta nelle chiese sivigliane, si possono segnalare ricordi di Van Dyck e di alcuni effetti veneziani. Nella fase centrale della sua opera la tecnica si fa luminosa e diafana, la pennellata fluida e vaporosa, il colore piú chiaro a ottenere perfezioni di estrema sottigliezza. Importantissime per la sua evoluzione furono le opere della chiesa di Santa Maria la Blanca (Sogno del patrizio romano e Visita del patrizio a papa Liborio, Museo del Prado, Immacolata, Museo del Louvre, La fede nell’eucaristia, Lord Farington, tutti del 1665), opere che presentano una meravigliosa intimità e una tecnica fluida ed evanescente, e i retablo del convento dei capuccini (tra il 1665 e il 1669), conservati quasi tutti nel Museo di Siviglia, che raffigurano immagini di santi dal nobilissimo atteggiamento e con un’emozione tenera e molto umana. La tela centrale di uno di questi retablo, smembrato (la Porziuncola), è conservata al Wallraft-Richartz Museum di Colonia. Nelle opere dell’ospedale della Carità (1670-74) raggiunge forse l’apice come pittore religioso, padrone di tutti i suoi mezzi, ma soprattutto attento all’aspetto vivace e aneddotico offerto dall’argomento, che sa trasmettere con grazia ed esattezza prodigiosi. La decorazione dell’ospedale, di perfetta coerenza concettuale, presentava, per mano di Murillo, le opere di misericordia tramite episodi biblici o evangelici (Mosé fa scaturire l’acqua dalla roccia per dare da bere agli assetati, la Moltiplicazione dei pani e dei pesci per dare da mangiare agli affamati, entrambi in situ, il Ritor- Storia dell’arte Einaudi 83 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola no del figliol prodigo per vestire gli ignudi, Abramo e gli angeli per dare ristoro ai pellegrini, la Cura del paralitico per curare gli infermi, la Liberazione di Pietro per redimere i peccatori, dispersi in vari musei), il tutto posto attorno al retablo scultoreo della Deposizione di Cristo che esprime la funzione principale della fraternità: seppellire i morti. Murillo è un superlativo interprete della sensibilità religiosa dell’epoca, le sue Immacolate Concezioni, che hanno mantenuto la loro efficacia devota fino ai nostri giorni, rispondono a varie rappresentazioni devozionali con una straordinaria varietà di modelli e un’alta maestria tecnica. Quasi tutte sono permeate dal dinamismo e trionfalismo introdotti da Ribera, anche se a volte Murillo riesce a esprimere un certo raccoglimento e grazia infantili (Immacolata, detta di Aranjuez, Prado). Forse sono la conoscenza del mondo infantile e il compiacimento (per cui a volte è stato accusato di tenerezza) nelle sue grazie e giochi, che meglio definiscono la sua sensibilità. Oltre all’infinito repertorio di cherubini che riempiono le sue grandi composizioni, si sofferma in scene infantili di Gesú o san Giovanni, ci presenta la Madonna bambina e racconta episodi dell’infanzia dei santi come san Tommaso di Villanueva. Murillo è anche eccezionale per l’attenzione che rivolge ai generi profani; sono noti il suo amore per i paesaggi, che costituiscono gli sfondi di molte sue composizioni, luminosi e alquanto artificiosi nella disposizione dei personaggi, ma dai colori molto belli e la sua maestria nel ritratto, dove l’eleganza vandickiana acquisisce un tono di malinconica gravità tipicamente spagnola (Don Justino de Neve, Londra, National Gallery; Nicolás Omazur, Prado). La parte veramente eccezionale della sua produzione artistica è rappresentata dai quadri che raffigurano monelli, scene di strada piene di grazia e scaltrezza, di vivacità e tenerezza (tele alla Pinacoteca di Storia dell’arte Einaudi 84 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Monaco di Baviera e al Dulwich College di Londra) nelle quali, sebbene tratti spesso di mendicanti, sfugge l’espressione di dolore e miseria per presentare, soprattutto in quelli dipinti in data posteriore, il lato piacevole della triste realtà dell’epoca. In queste tele, dipinte sicuramente per la clientela borghese di commercianti olandesi e fiamminghi (con i quali si sa che ebbe rapporti amichevoli), cosí eccezionali nel panorama artistico spagnolo, bisogna vedere ciò che di piú avanzato, di piú moderno presenta la sua arte, una vera anticipazione del XVIII secolo. Non per niente queste furono le prime sue opere a uscire dalla Spagna dove oggi non se ne conserva neppure una. Juan Valdés Leal (1622-90), di padre portoghese e madre sivigliana, è assolutamente diverso dal suo stretto contemporaneo e concorrente. Uomo di pessimo carattere, vanitoso e violento, la sua personalità e la sua arte incarnano una tipologia completamente diversa dalla semplicità, delicatezza ed equilibrio di Murillo. Nato a Siviglia, si trasferí bambino a Cordoba dove studiò con Antonio del Castillo, ma ben presto si interessò al nuovo stile dinamico e colorista che, nelle sue mani, raggiungerà estremi di violenza quasi inusitati. Il suo Sant’Andrea della chiesa di San Francesco a Cordoba (1649) ricorda ancora Castillo e riporta accenni tenebristi, ma i quadri dipinti per il convento di Santa Chiara di Carmona (una parte al Museo di Siviglia) e soprattutto il retablo del Carmen di Cordoba (1655-58), dipinto dopo aver conosciuto le novità dello stile di Herrera il Giovane, mostrano uno stile maturo con tutte le virtú e i difetti che gli sono propri. Appassionato e incostante, disdegna la bellezza e si interessa esclusivamente all’espressione. I suoi angeli sono spesso incredibilmente brutti e sembra negato alla delicatezza e alla grazia, ma la drammaticità e la contrazione sono i suoi risultati migliori. La sua fretta e disattenzione sono tremende Storia dell’arte Einaudi 85 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola e ciò fa sí che, sentendosi un meraviglioso colorista, disprezzi il disegno e commetta spesso errori che soltanto la bellezza del colore e lo sfarzo della materia pittorica riescono a perdonare. È sempre alla ricerca di soggetti violenti, con molto movimento, che risolve con vortici di colore, non con l’uso di prospettive e scorci. Per quanto riguarda questo aspetto, esprimono pienamente il meglio della sua arte le tele delle carmelitane di Cordoba, già citate, e la serie dei gerolimiti di Buenavista (1657-60), parte al Museo di Siviglia e parte dispersa. Le grandi tele compositive di questa serie (Le tentazioni di san Gerolamo e soprattutto San Gerolamo flagellato dagli angeli) rappresentano forse quanto di piú libero e lirico ci sia nella sua produzione, e le figure dei venerabili dell’ordine offrono il colore piú equilibrato, sereno e bello della sua intera opera. I quadri piú conosciuti e famosi di Valdés Leal sono senza dubbio le tele delle Postrimerías dell’ospedale della Carità di Siviglia, che lo hanno reso il piú significativo equivalente plastico della letteratura ascetica del disinganno. Amico del famoso don Juan de Mañara, autore del Discurso de la Verdad, terribile trattato ascetico dove la morte viene descritta con una realtà spaventevole, che Valdés Leal illustra con quadri di implacabile crudeltà, dove il macabro acquisisce un’evidenza quasi fisica. Anche come pittore di nature morte ha lasciato superbi esemplari del genere vanitas composti con toni di accumulo e ricchezza tipici dell’epoca e dipinti con quella stessa violenza e leggerezza di pennellata adottate nelle sue composizioni di grandi dimensioni. È curioso segnalare che Valdés Leal è uno dei rari artisti spagnoli che si dedicarono all’incisione ad acquaforte, eseguita con uno stile nervoso e scorretto, ma espressivo come nelle tele. Lo stile di Valdés Leal, con la sua forte carica espressiva e il vibrante trattamento di colore e pennellata, costituisce forse l’apice della veta brava dell’arte spa- Storia dell’arte Einaudi 86 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola gnola, quell’immagine, non sempre accettabile, dell’arte spagnola come unicamente drammatica, intensa, perfino violenta che coesiste a volte con quella del realismo oggettivo e del misticismo convenzionale. I restanti pittori sivigliani della seconda metà del secolo si muovono attorno a questi due grandi maestri ed è inutile dire che lo stile di Murillo era di piú facile e gradevole imitazione, quindi i suoi discepoli e seguaci formarono una legione, fino all’estremo che la scuola di Siviglia di fine secolo si potrebbe denominare «scuola di Murillo», anche quando in alcuni artisti si intravede una certa inclinazione al drammatismo di Valdés Leal e alla sua propensione a prospettive ricche e a luminosi effetti di contrasto. Vale la pena sottolineare, perché rivela l’interesse per l’insegnamento di entrambi i maestri, che nel 1660 a Siviglia si stabilisce un’accademia per la formazione degli artisti, i cui primi presidenti furono Murillo e Herrera il Giovane, al quale si deve probabilmente l’idea, presa da precedenti italiani. Quando Herrera si trasferí definitivamente a Madrid, Valdés Leal si proclamò presidente e il discreto Murillo si ritirò e si dedicò a lezioni private che impartiva a casa «per non scontrarsi con la superbia del suo carattere (di Valdés Leal)». È evidente (possediamo i registri accademici) la vasta influenza esercitata dagli insegnamenti di entrambi a Siviglia e lo sviluppo che l’accademia raggiunse, chiedendo inoltre, senza ottenerlo, un riconoscimento ufficiale dalla corte. Pedro Núñez de Villavicencio (1644-1700), amico ed esecutore testamentario di Murillo, eseguí alcune scene con monelli dal carattere realista nel genere del suo maestro. Era un uomo con aspirazioni nobiliari, viaggiatore e diplomatico, venne in Italia e fu cavaliere di Malta; a La Valletta conobbe Mattia Preti che ebbe su di lui una considerevole influenza e dal quale copiò alcune composizioni. Il fiammingo Cornelio Schut (morto nel Storia dell’arte Einaudi 87 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola 1686) assimilò lo stile di Murillo a tal punto che i suoi disegni venivano confusi con quelli dell’artista spagnolo, sebbene come pittore fosse molto piú modesto. Altri seguaci e discepoli del maestro (Meneses, Osorio, Esteban Marquéz, Juan Simón Gutierrez, Sebastián Gómez) ripeterono i suoi modelli e schemi con risultati migliori e peggiori e alcuni (Alonso Miguel de Tovar, Bernardo Germán Llorente, Clemente de Torres) li prolungarono, come vedremo, fino al ’700 inoltrato. Piú personali, perché fondevano elementi dei due sommi maestri e riuscirono a configurare una maniera personale di interpretazione del paesaggio e delle prospettive architettoniche, sono Francisco Antolínez y Sarabia (1644-1700) e Matías de Arteaga y Alfaro (morto nel 1704), entrambi maestri in tele a carattere evangelico di formato oblungo, che spesso costituiscono delle serie, il primo con bei paesaggi di fondo e il secondo con scenari architettonici in prospettiva; entrambi inseriscono figurine abbozzate e nervose che si rifanno piú a Valdés Leal che a Murillo. Il basco Ignacio de Iriarte (1620-85) si specializza nel paesaggio, con il quale a volte è in rivalità con lo stesso Murillo. Negli ultimi anni del secolo va segnalata anche la presenza di un interessante gruppo di pittori di nature morte a trompe l’œil, genere di origine olandese, chiamato in Spagna trampantojo, nel quale si distinguono Marcos Cabrera e José Carpio e che, già nel XVIII secolo, adottò anche Germán Llorente, pittore murillesco. Nel resto della Spagna Al di fuori di Madrid e Siviglia è impossibile trovare, nell’ultimo terzo del secolo, artisti con personalità e qualità simili a quelli riscontrabili nelle due città, ma in Storia dell’arte Einaudi 88 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola qualche modo e con un notevole calo di qualità, la trasformazione dello stile si fa sentire ovunque. In Andalusia, fuori da Siviglia, il centro artistico con maggiore personalità è Granada. L’impronta e la lezione di Cano furono determinanti per l’attività locale, che giunse a costituire una «scuola» dotata di una certa personalità, sempre sulla scia di Cano, con il suo amore per la delicatezza e la grazia e il garbato senso del colore. Bisogna innanzitutto ricordare Pedro de Moya (morto nel 1674) che passa per essere stato colui che ha introdotto lo stile «moderno» a Granada, dopo aver viaggiato nelle Fiandre. In realtà, le sue poche opere certe conservate derivano da modelli di Cano (Santa Maddalena de’ Pazzi, Museo di Granada). Pedro Atanasio Bocanegra (1638-89) e Juan de Sevilla (1643-95) sono personalità di rilievo. Entrambi conoscono bene le stampe fiamminghe che forniscono loro gli schemi compositivi e seguono i modelli umani di Cano, dalla bellezza idealizzata. Juan de Sevilla, il migliore, sembra conoscere bene Murillo e anche gli artisti madrileni, che assimila con evidente personalità. Tra i molti mediocri seguaci di Cano, meritano di essere segnalati José Risueño (1665-1731), anch’egli scultore come il suo principale modello, che prolunga lo stile fino al XVIII secolo molto inoltrato, approfittando delle composizioni vandickiane conosciute indubbiamente grazie alle stampe e interpretate con una certa grazia minuziosa e delicata. A Malaga, il diretto rubensianismo di Manrique si prolunga nell’opera di Juan Niño de Guevara (1632-93) che conobbe e studiò anche Cano, di cui fu allievo. A Valencia, che si è mantenuta fedele al tenebrismo, si avverte già una certa aria di trasformazione dopo il passaggio del madrileno Jiménez Donoso che, nel 1650-60, dipinse nel convento della Merced le meravigliose tele con storie dell’ordine, oggi conservate nel Storia dell’arte Einaudi 89 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola Museo della città, il cui senso scenografico e il colore allegro formarono un violento contrasto con le composizioni di tono naturalista che Jacinto Jerónimo de Espinosa dipingeva in quegli anni per lo stesso convento. Anni dopo, il passaggio di Palomino, discepolo di Claudio Coello e Luca Giordano, trasformerà ancor di piú il panorama, ormai familiare con il movimento barocco, già noto a corte da trenta o quarant’anni. È interessante la personalità di Vicente Salvador Gómez (1637 ca. - 1680), molto legato alla tradizione naturalista di Espinosa, ma che in alcune opere (Liberazione di san Pietro, Città del Messico, Museo de San Carlos, collezione Mayer; Scacciata dei mercanti dal tempio, Museo del Prado) introduce una certa mobilità e un dinamismo luminoso e un gusto per le architetture di fuga che rompono con lo stretto tenebrismo delle sue prime opere e fanno pensare a un suo viaggio fuori città. Salvador Gómez è anche un prolifico e personale disegnatore che preparò un «libro di testo» per insegnare disegno, opera conservata incompleta. Vicente Giner, valenciano che visse a Roma nel 1680, è notevole per le sue tele con prospettive architettoniche dallo stile molto italiano, simile a quello che Viviano Codazzi eseguiva nella prima metà del secolo. Juan Conchillos (1641-1711), discepolo di Esteban March e amico di Palomino, che tra il 1697 e il 1702 lascia a Siviglia alcuni dei suoi capolavori, incarna il nuovo stile con una certa asprezza. È importante la sua opera di disegnatore, uno dei piú prolifici dell’intera arte spagnola. Senén Vila (1640-1707), nato a Valencia dove studiò, rappresenta a Murcia il nuovo stile, sebbene sia pieno di arcaicismi e si rifaccia troppo spesso alla falsariga delle stampe di Rubens, come fanno in genere quasi tutti i pittori provinciali di quegli anni. In Aragona e Navarra, stilisticamente molto legate Storia dell’arte Einaudi 90 Alfonso E. Pérez Sánchez - Il secolo d’oro della pittura spagnola alla Castiglia, la figura piú significativa è Vicente Verdusán (morto nel 1697), la cui formazione si rifà completamente alla scuola madrilena. Fu molto attivo a Huesca, Saragozza, Tudela, Pamplona e Corella con uno stile sbagliato, ma con una certa eleganza ricercata e una notevole freschezza nel colore, analoga a quella di artisti minori madrileni come Francisco de Solís. Pablo Raviella (morto nel 1739) è una specie di Valdés Leal aragonese, dalla pennellata straordinariamente veemente, nel cui stile estremo, continuato dal figlio omonimo fino al XVIII secolo ben inoltrato, si è voluto vedere un predecessore di Goya. In Catalogna, sempre con un livello qualitativo che non supera il discreto, si evidenziano i Juncosa, famiglia di Tarragona di cui due membri, Joaquín (1631-1708) e José (documentato tra il 1669 e il 1694) prendono i voti e dipingono con uno stile dinamico e drammatico. Joaquín fu a Roma dove è probabile che venne a conoscenza dello stile di Maratta, ma vi sono ben poche opere che gli possono essere attribuite con certezza. Storia dell’arte Einaudi 91