CATECHESI SULL’EUCARISTIA
È bene che il cammino in preparazione al Congresso Eucaristico Nazionale di Genova sia sostenuto da
specifiche proposte formative rivolte ad adulti, giovani e ragazzi. In molti casi sarà sufficiente valorizzare
alcuni aspetti dei percorsi esistenti mediante sottolineature calibrate; in altri casi sarà opportuno pensare a
momenti ad hoc. Precisamente in questa seconda direzione sono state approntate le quattro proposte che
seguono.
Esse traggono spunto da alcuni passaggi del documento L’Eucaristia sorgente della missione redatto dal
Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali. Poiché si tratta di un testo ricco, l’intenzione non è quella di
fornirne una presentazione completa. Si tratta piuttosto di mostrare l’utilità del testo attraverso alcune “porte
d’ingresso” che il soggetto in cammino potrà varcare mediante l’incontro formativo cui è invitato.
Le quattro schede hanno una struttura identica:
- in primo luogo sono offerti sintetici suggerimenti per contestualizzare l’intervento catechistico e per
ideare eventuali modalità che esso potrebbe assumere;
- vengono quindi indicati alcuni riferimenti di base, che potranno utilmente essere richiamati
nell’incontro di catechesi o affidati alla lettura personale (le sigle CCC e CdA rimandano
rispettivamente al Catechismo della Chiesa Cattolica e ai catechismo degli adulti CEI La verità vi
farà liberi);
- il contenuto essenziale di ogni proposta è articolato in diversi punti, a seconda del tema svolto. In
ogni caso il penultimo punto è sempre dedicato a una testimonianza cristiana (una figura di santo, un
testo delle origini, un tema iconografico, ecc.) mentre l’ultimo suggerisce una pista di lavoro
praticabile;
- sono infine riportati alcuni testi utili, tra i tanti possibili, per documentare quanto viene esposto o per
lasciate una consegna ai partecipanti in vista dell’assimilazione e della preghiera.
Si intende che le proposte seguenti costituiscono solamente altrettante tracce di lavoro. Le mediazioni
concrete, anche in rapporto all’età dei destinatari o a situazioni speciali (catecumeni, ammalati, disabili,
ecc.), sono lasciare alla singola realtà. Nulla infatti può sostituire la conoscenza dei soggetti in cammino da
parte dei catechisti e degli accompagnatori. Esistono poi risorse locali a livello di arte, luoghi sacri,
tradizioni, ecc. che potranno essere utilmente valorizzate in sede di catechesi eucaristica.
Prima catechesi
EUCARISTIA E SANTITÀ DI DIO
Suggerimenti
Tra i primi elementi proposti dal Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali nel testo
L’Eucaristia sorgente della missione vi è la considerazione del legame con la Trinità. A partire
dalla Preghiera Eucaristica IV del Messale Romano si considera il rapporto tra Eucaristia e santità
misericordiosa del Padre, missione del Figlio e rispettivamente missione dello Spirito Santo.
Si tratta di una riflessione molto ricca, nell’ambito della quale si sceglie di dedicare almeno un
momento di istruzione al senso di gratitudine con la quale i fedeli sono invitati a condividere la
santità di Dio, origine dell’eucaristia, cui i cristiani sono ammessi per dono.
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Riferimenti
Ger 31, 31-34; Lc 22,24-27
CCC 1357; 1362-1372
CdA 690
COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI NAZIONALI, L’Eucaristia sorgente della missione, pp. 910.
Elementi di contenuto
Il “grazie” per il dono di Dio
Nella Tradizione Apostolica si riporta una preghiera eucaristica in uso nei primi secoli. Dopo il
dialogo tra il celebrante e i fedeli il sacerdote prosegue: «Ti rendiamo grazie, o Dio, per mezzo del
tuo diletto Figlio, Gesù Cristo, che nella pienezza dei tempi ci hai mandato il Salvatore, redentore e
messaggero della tua volontà. Egli ha fatto la tua volontà e per acquistarti un popolo santo, ha steso
le mani nella sua passione, per liberare dalla sofferenza quelli che hanno creduto in te».
Ecco il cuore della preghiera eucaristica, di quella preghiera che già san Giustino definiva come
«lungo ringraziamento». In effetti – nella liturgia e nella vita – il nostro “grazie” non dovrebbe
cessare mai. Il cuore di Dio si è rivolto a noi, la sua misericordia ci avvolge, il suo Figlio si dona per
tutti, lo Spirito del Risorto infonde la vita nuova. L’antica preghiera eucaristica così si esprime: «Ricordandoci della sua morte e della sua resurrezione, ti offriamo il pane e il calice, rendendoti grazie,
perché ci hai giudicati degni di stare davanti a te e di servirti. Ti preghiamo di mandare il tuo Spirito
sull' offerta della tua Chiesa, di raccogliere nell'unità tutti quelli che si comunicano, di colmarli
dello Spirito Santo... per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio... Amen».
L’Eucaristia, sacrificio di amore
La celebrazione eucaristica ci rende partecipi della morte di Gesù. Anche se non utilizza
direttamente il termine “sacrificio”, pare proprio che Cristo stesso intenda così la propria morte:
come un sacrificio. Ma cosa significa questa affermazione? Per capirlo dobbiamo andare all’Antico
Testamento.
Nell’ebraismo il sacrificio è il “luogo” privilegiato attraverso cui si realizza una giusta relazione con
Dio. Nel sacrificio, infatti, Dio viene vicino al suo popolo per ricevere la sua offerta, cioè per
consumare il pasto che il popolo gli ha preparato. Mentre realizza la comunione con Dio, il
sacrificio ne salvaguarda la libertà: Dio non è obbligato ad accettare l’invito del popolo; a Lui solo
spetta l’iniziativa di accettarlo o meno.
Ora, in tutta la sua vita e la sua missione, Gesù avanza la “pretesa” di essere Lui a realizzare quella
comunione con Dio che i sacrifici dell’Antica Alleanza avevano come obiettivo. In continuità con
questa pretesa, sulla croce Gesù realizza in modo compiuto il senso dei sacrifici dell’Antico
Testamento, perché Egli fa della propria morte il gesto della comunione definitiva con gli uomini e
con il Padre suo.
Se si leggono con attenzione i racconti evangelici della passione, si nota che la rievocazione delle
ultime ore terrene di Gesù è molto sobria; più che compiacersi nella descrizione delle sofferenze
patite dal Maestro, gli evangelisti rivolgono la loro attenzione a come Gesù ha vissuto la morte
ingiustamente inflittagli, trasformandola in gesto di comunione definitiva. Neppure il fatto che gli
uomini lo rifiutino in maniera estrema e lo mettano a morte induce Gesù a maledirli o a rompere la
comunione con loro; al contrario, egli offre il perdono a coloro che lo mettono a morte e promette il
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Paradiso al ladrone che lo invoca. Vivendo così la propria morte, Gesù realizza la comunione
definitiva col Padre suo: morendo così, infatti, egli compie fino in fondo la volontà del Padre, in
quanto lo rivela come Colui che resta fedele all’alleanza anche di fronte al rifiuto più ostinato da
parte degli uomini. E compie tale volontà come Figlio obbediente, che totalmente si affida al Padre,
rinunciando a salvare se stesso e lasciando che sia il Padre a decidere tempi e modi della sua
liberazione dalla morte.
Sulla croce l’alleanza definitiva
In questa prospettiva parlare della croce di Gesù come sacrificio significa riconoscere in essa il
gesto di comunione che fonda l’alleanza definitiva tra Dio e gli uomini: ciò che i sacrifici
dell’Antico Testamento cercavano senza raggiungerlo – la giusta relazione con Dio – si realizza
compiutamente e definitivamente attraverso la croce di Cristo. E ancora: quel rapporto con Dio che
gli uomini di tutti i tempi hanno desiderato ottenere attraverso l’offerta dei sacrifici si realizza sulla
croce veramente, definitivamente, senza le ambiguità che gli antichi sacrifici spesso portavano con
sé.
D’altra parte, per la dottrina cattolica è “sacrificio” anche la celebrazione eucaristica. Non però un
sacrificio in più, diverso rispetto a quello compiuto da Cristo sul Calvario. La Messa – insegna il
Concilio di Trento – è «un vero e singolare sacrificio»: non un altro sacrificio che si aggiunge a
quello della croce ma memoriale del sacrificio della croce.
L’idea di “memoriale” rappresenta una chiave di lettura fondamentale per capire il senso della
celebrazione eucaristica. Il termine indica un legame fortissimo: non una rievocazione né un ricordo
remoto, bensì una ripresentazione, un’attualizzazione. Come spiega il Catechismo della Chiesa
Cattolica: «Secondo la Sacra Scrittura, il memoriale non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del
passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini. La celebrazione
liturgica di questi eventi, li rende in certo modo presenti e attuali» (CCC 1363).
La messa è quindi il gesto rituale che ci permette di prendere parte a quel sacrificio, unico e non
ripetibile. Associati al sacrificio della croce grazie all’Eucaristia, anche noi possiamo offrire noi
stessi «come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rom 12,1); possiamo cioè vivere la vita,
dedicandola ai nostri fratelli, in obbedienza al Padre.
La testimonianza dell’arte cristiana: il buon pastore, il pesce, l’agnello immolato
L’Eucaristia rivela e insieme lascia avvolta nel mistero la realtà divina. D’altra parte, se così non
fosse, si rischierebbe di voler “spiegare” in maniera esaustiva la natura di Dio, con il pericolo di
considerarsi superiori a lui o di volerlo asservire ai nostri progetti. Si capisce quindi che fin
dall’antichità ci si sia riferiti all’Eucaristia con alcuni simboli, che risultavano trasparenti per coloro
che erano stati iniziati al cristianesimo e oscuri per chi era estraneo alla Chiesa.
Il buon pastore, per esempio, non è solo un’immagine naturalistica e rasserenante: è una
raffigurazione di Cristo, secondo quanto egli dice di sé nel vangelo di Giovanni. Vi è inoltre un
richiamo al Salmo 22 («Il Signore è il mio pastore»), che si usava cantare durante la celebrazione
dei Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia, per indicare che la persona
definitivamente incorporata nella Chiesa aveva Dio stesso come pastore e poteva dirsi
autenticamente guidata e serena.
Un altro simbolo che si trova nelle antiche raffigurazioni cristiane è quello del pesce. Da un lato il
richiamo è ai racconti delle moltiplicazioni dei pani e dei pesci da parte di Gesù, descritte dagli
evangelisti come un anticipo della frazione del pane eucaristico. D’altro lato occorre ricordare che
in greco le lettere che compongono la parola “pesce” sono le iniziali dell’espressione «Gesù Cristo,
Figlio di Dio Salvatore». Non stupisce allora di trovare raffigurazioni di cesti di pane con dei pesci
accanto sia in Palestina sia a Roma, per esempio nelle cimitero di San Callisto.
Rimanda a Gesù Eucaristia pure l’immagine dell’agnello immolato, cioè dell’agnello col fianco
aperto, in genere accostato alla croce o con la croce posta in spalla. È evidente il richiamo al Cristo,
presentato da Giovanni Battista ai suoi discepoli come l’Agnello di Dio inviato a redimere il
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peccato del mondo. Questa espressione è stata ripresa nella liturgia cristiana: oggi vi figura poco
prima della comunione.
Un valido complemento dell’istruzione catechistica sul nostro tema potrebbe essere costituito dalla
visita a un luogo di culto cristiano significativo o al Museo diocesano per ritrovare questi simboli e
spiegarne il senso alla luce delle pagine bibliche richiamate e dei significati esposti.
In pratica… giungere preparati (e puntuali!) all’incontro con il Signore e i fratelli
È importante prepararsi all’incontro con il Signore perché agli incontri importanti, di solito, ci si
prepara per tempo e bene. Sarebbe perciò strano confinare l’incontro con Gesù nei ritagli di tempo,
giungere in ritardo, non curarci di sapere prima di cosa si parlerà e come si sarà invitati a
partecipare con i gesti e con le parole.
Non pochi fedeli hanno preso l’abitudine, per evitare questi pericoli, di leggere prima le lettura che
verranno proclamate alla Messa, utilizzando un messalino o delle apposite pubblicazioni. Altri
cercano di arrivare in chiesa in anticipo, così da poter prendere parte alle prove di canto o da
chiedere se c’è bisogno di loro per qualche servizio. Altri preparano una intenzione per la preghiera
dei fedeli, tenendo presente i problemi emersi nella settimana a livello sociale o ecclesiale.
Insegnava la Didascalia apostolorum: «Lasciate tutto nel giorno del Signore e accorrete con
premura alla vostra Chiesa, perché là si celebra la lode a Dio».
Testi utili
Ti supplichiamo, Dio onnipotente:
fa’ che questa offerta,
per le mani del tuo angelo santo,
sia portata sull’altare del cielo
davanti alla tua maestà divina,
perché su tutti noi
che partecipiamo di questo altare,
comunicando al santo mistero
del Corpo e Sangue del tuo Figlio,
scenda la pienezza di ogni grazia
e benedizione dal cielo.
(Messale Romano, Preghiera eucaristica I o “Canone Romano”)
Signore, mio Dio, mia unica speranza,
ascoltami benignamente
e non permettere
che desista dal cercarti per stanchezza,
ma sempre cerchi la tua faccia con ardore.
Dammi tu la forza di cercarti,
tu che ti sei fatto trovare
e mi hai infuso la speranza di trovarti
con una conoscenza sempre maggiore.
Davanti a te è la mia forza e la mia debolezza:
conserva quella, guarisci questa.
Davanti a te è la mia scienza
e la mia ignoranza:
là dove mi hai aperto,
accoglimi quando entro
e là dove mi hai chiuso,
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aprimi quando busso.
Fa' che mi ricordi di te,
che comprenda te, che ami te.
Accresci in me questi doni
fino a quando tu mi abbia trasformato
totalmente.
(SANT’AGOSTINO)
Signore mio Gesù Cristo,
che per l’amore che porti agli uomini
te ne stai notte e giorno in questo Sacramento,
tutto pieno di pietà e di amore,
aspettando, chiamando e accogliendo
tutti coloro che vengono visitarti,
io ti credo presente nel santissimo Sacramento dell’altare.
Ti adoro, nell’abisso del mio niente,
e ti ringrazio di tutte le grazie che mi hai fatto,
specialmente di avermi donato te stesso
in questo divin Sacramento,
d’avermi data per avvocata e madre
la tua stessa santissima madre Maria,
e di avermi chiamato a visitarti in questa chiesa.
(SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI)
Seconda catechesi
L’EUCARISTIA MISTERO DI SALVEZZA
Suggerimenti
Nel secondo capitolo del testo L’Eucaristia sorgente della missione il Comitato per i Congressi
Eucaristici Nazionali spiega che una più profonda comprensione della santità misericordiosa di Dio,
che nella catechesi precedente si è vista all’origine del dono dell’Eucaristia, può orientare la nostra
vita liturgica. Celebrando bene, infatti, ci si lascia raggiungere dal mistero. Si tratta dunque di
riscoprire il sacramento, di cui Cristo è il vero protagonista.
In questo quadro, scegliamo di dedicare un momento di riflessione al fatto che nella celebrazione
eucaristica noi veniamo in contatto con la presenza reale di Cristo stesso.
Riferimenti
Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,14-20; 1Cor 11,23-26
CCC 1373-1375
CdA 689
COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI NAZIONALI, L’Eucaristia sorgente della missione, pp. 1417.
Elementi di contenuto
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Davvero partecipi
È tipico della visione cattolica dell’Eucaristia il fatto che la partecipazione al sacrificio della croce
realizzata mediante l’Eucaristia è intesa come una partecipazione reale: reale al punto che il pane e
il vino dell’eucaristia non sono più pane e vino comuni, ma sono «veramente, realmente e
sostanzialmente» il corpo dato ed il sangue versato di Gesù. In effetti, nella celebrazione
eucaristica, la presenza di Gesù Cristo si realizza in molti modi: Egli è presente nella comunità che
celebra, nel sacerdote che la presiede, nella Parola che viene proclamata. Tutte queste forme di
presenza del Signore sono reali; tuttavia, la sua presenza sotto le specie del pane e del vino
consacrati è la presenza reale per eccellenza. La fede in tale presenza si fonda sulle parole
dell’ultima cena: «Questo è il mio corpo dato» – «Questo è il mio sangue versato».
Nel linguaggio della Bibbia il termine «corpo» indica tutta la persona nella sua concretezza
corporea e spirituale e cosa analoga vale per il termine «sangue», che designa la sostanza vitale
dell’uomo. Le parole di Gesù si riferiscono quindi alla sua persona concreta nell’atto di donare la
vita sulla croce: è questa persona che si rende presente nel pane e nel vino dell’eucaristia. Come
affermava san Giustino martire nella Prima Apologia: «Questo alimento noi lo chiamiamo
Eucaristia. Non lo prendiamo come una pane comune e una comune bevanda. Il nutrimento
consacrato con la preghiera di ringraziamento formata dalle parole di Cristo è, secondo la nostra
dottrina, carne e sangue di Gesù».
Il Signore in azione per la nostra salvezza
La presenza «vera, reale e sostanziale» del corpo e sangue di Cristo nel pane e vino dell’eucaristia
implica necessariamente il cambiamento della sostanza del pane e del vino; cambiamento che, con
una parola forse difficile, ma molto appropriata, la Chiesa cattolica chiama transustanziazione. In
altre parole: se il pane e il vino eucaristici sono il corpo e il sangue di Cristo, ciò significa che, nella
loro sostanza, pane e vino sono stati mutati nel corpo e sangue del Signore. Il cambiamento riguarda
la sostanza del pane e del vino eucaristici, cioè la loro essenza, la loro identità, ciò per cui essi sono
quello che sono: per questo, di quel pane e di quel vino possiamo dire con verità: «Sono il corpo e il
sangue di Cristo». Tale cambiamento invece non modifica le caratteristiche sensibili del pane e del
vino (la grandezza, il sapore, il profumo, la composizione chimica…), che rimangono tali e quali
anche dopo la consacrazione. Il cambiamento della sostanza del pane e del vino è irreversibile:
anche dopo la celebrazione, il pane e vino consacrati rimangono corpo e sangue di Cristo. Ecco
perché il pane eucaristico può essere portato agli ammalati, conservato nel tabernacolo ed adorato
anche al di fuori della celebrazione della messa.
Tutto ciò si comprende nella giusta luce, tenendo presente che nella celebrazione dell’eucaristia,
attraverso l’azione liturgica della Chiesa, è il Signore stesso che agisce: è dunque ultimamente Lui
che – attraverso l’azione rituale della Chiesa – cambia il pane e il vino nel suo corpo dato e nel suo
sangue versato, rendendo così presente il dono della sua vita offerta sulla croce. Partecipando alla
celebrazione eucaristica – e partecipandovi «più perfettamente» attraverso la comunione al pane e al
vino consacrati – anche noi siamo associati a questo dono e resi capaci di donare la nostra vita come
Gesù.
Ecco perché, come ha scritto Enrico Mazza, «per i discepoli, prendere parte alla cena del Signore è
molto più che partecipare a una cena. Tutto rimanda a qualche cosa che è al di là della cena stessa e
che si attua altrove, sul Calvario. E la partecipazione agli eventi del Calvario è resa possibile ai
discepoli solo attraverso il banchetto… La cena è il ponte e il legame dei discepoli con il Calvario;
nella cena i discepoli vivono il Calvario».
Il corpo, la vita
Consideriamo ora un po’ più da vicino le parole che Gesù pronuncia sul pane e sul calice della cena.
Queste parole si capiscono solo insieme ai gesti che le accompagnano e con cui formano una sola
azione. In effetti, Gesù non si limita semplicemente a prendere in mano un pezzo di pane,
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dichiarando: «Questo è il mio corpo». Gesù invece prende il pane, pronuncia la benedizione, spezza
il pane, lo dà ai suoi discepoli: già di per sé, questo gesto è un invito ai presenti affinché prendano e
mangino quel pane, invito che Marco e Matteo esplicitano, facendo dire a Gesù: «Prendete e
mangiate». I discepoli, da parte loro, accettano l’invito, prendono quel pane e ne mangiano. Le
parole di Gesù sul pane, dunque (ma questo vale anche per le parole sul calice), si collocano dentro
un’azione che parte da Gesù e coinvolge i discepoli, creando tra Gesù e i discepoli una relazione di
comunione: essi mangiano dello stesso pane (come poi berranno dello stesso calice). Un pane di cui
Gesù determina il valore dicendo: «Questo è il mio corpo» (Luca e Paolo precisano: «dato per
voi»).
Evidentemente la parola-chiave è il termine “corpo”, che nel linguaggio della Bibbia non indica la
parte fisica dell’uomo, distinta dall’anima, ma tutta la persona nella sua concretezza, nella sua
capacità di esprimersi, nel suo essere in relazione col mondo e con gli altri. Di conseguenza, quando
Gesù, spezzando il pane, dice: «Questo è il mio corpo – dato per voi», vuol dire: «Questo sono io,
che sto per essere spezzato e dato per voi». Con queste parole e con i gesti che le accompagnano,
Gesù dunque annuncia la sua morte imminente e dice il senso di quella morte: essa non è quel che
appare: un fallimento, la fine di tutto; è invece il consegnarsi di Gesù, il suo darsi per noi. Di più:
attraverso il segno del pane spezzato, Gesù anticipa la propria morte e fa sì che, mangiando quel
pane, i discepoli ne possano partecipare in anticipo. Così i discepoli delle generazioni future,
ripetendo i gesti e le parole di quella cena, saranno anch’essi resi partecipi di quella morte da cui
viene la vita.
Il sangue, l’alleanza
Se passiamo alle parole sul calice, ci accorgiamo che nonostante qualche differenza nel modo in cui
sono ricordate dagli autori sacri, due elementi sono chiari e comuni a tutti i testi.
In primo luogo, il riferimento al sangue versato, che nel linguaggio biblico significa distruggere il
principio della vita e, quindi, uccidere qualcuno. Quando Gesù dice che il suo sangue sta per essere
versato, si riferisce dunque alla sua imminente morte sulla croce.
Il secondo elemento che si coglie nei racconti dell’istituzione è l’esistenza di una relazione tra il
sangue versato di Gesù – cioè la sua morte sulla croce – e l’alleanza. Ciò significa che con la morte
di Gesù si stabilisce l’alleanza tra Dio e gli uomini, alleanza che Luca e Paolo qualificano come
“nuova”. (Lc 22,20; 1Cor 11, 25). Di nuova alleanza aveva parlato il profeta Geremia, uno dei più
decisi nel denunciare l’infedeltà del popolo al patto siglato con Dio. Ad un certo punto, però, lo
sguardo di questo profeta si rivolge al futuro per annunciare che Dio stipulerà con Israele
un’alleanza nuova, la cui legge non sarà più scritta su tavole di pietra; sarà Dio stesso infatti a
scrivere la sua legge nel cuore dei figli di Israele, cioè nella loro coscienza, là dove l’uomo
liberamente compie le proprie scelte. Dio stesso, cioè, cambierà il cuore degli Israeliti, rendendoli
capaci di essere fedeli alla sua legge non in forza di costrizioni imposte dall’esterno, ma con una
decisione che viene dal cuore (cf Ger 31, 31-34). Richiamando il passo di Geremia, Luca e Paolo
fanno intendere che la nuova alleanza comincia con la morte di Gesù, che scuote le coscienze e
muove al pentimento e alla conversione.
Un testimone: san Tommaso d’Aquino, teologo dell’Eucaristia
Nel medioevo l’Eucaristia fu oggetto della riflessione di vari teologi, tra i quali ricordiamo san
Tommaso d'Aquino, che ne tratta soprattutto nella sua Somma Teologica. Secondo Tommaso,
l’Eucaristia «è il sacramento perfetto e completo della passione del Signore, in quanto contiene lo
stesso Cristo nella sua passione»; attraverso il sacramento, l’uomo è partecipe di questa passione e
viene salvato.
Contro alcuni autori che avevano sostenuto nell’Eucaristia il corpo di Cristo è presente solo
simbolicamente, Tommaso afferma che il vero corpo e sangue di Cristo «sono presenti in questo
sacramento» e «lo avvertono non i sensi, ma solo la fede, che si fonda sulla parola di Dio». Ora
questa presenza avviene perché il pane e il vino, nella loro sostanza vengono trasformati nella
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identità del corpo e del sangue di Gesù, presente integralmente nel pane e nel vino consacrati, e in
ogni loro parte. Rimangono i segni del pane e del vino, ma ciò che conta è il cambiamento
dell’identità profonda del pane e del vino consacrati, che non coincide con la dimensione, il sapore,
il colore e la composizione fisica.
La dottrina eucaristica di san Tommaso ha largamente alimentato il pensiero e la riflessione della
Chiesa. Nel Decreto sull’Eucaristia del Concilio di Trento, in particolare, si afferma con solennità:
«Nel santissimo sacramento dell'Eucaristia è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente il
corpo e il sangue, con l'anima e la divinità del Signore nostro Gesù Cristo, e quindi integralmente
Gesù Cristo».
Tommaso d’Aquino non si limitò a proporre questi insegnamenti nelle lezioni e negli scritti: li portò
sul pulpito, in una predicazione in latino e in volgare che era molto apprezzata dai fedeli; e li rese
fruibili attraverso canti e preghiere. Per esempio è a lui attribuita la sequenza Lauda, Sion,
Salvatorem, dove si loda l’Eucaristia con vero cuore di credente: «O buon pastore, pane vero,
Gesù, abbi pietà di noi: sii tu a pascerci e a custodirci; nella terra dei viventi mostraci i veri beni...
Rendi compagni ed eredi coi santi i tuoi commensali quaggiù».
In pratica: una sosta dedicata all’Eucaristia
Di tanto in tanto si ha bisogno di tornare al fondamento. Questo si fa nella celebrazione della messa,
specialmente la domenica. Ma questo si può fare anche fuori dalla messa, nel culto eucaristico che
ha varie forme, da intendere come preparazione e prosecuzione della partecipazione alla messa.
Tra le forme di pietà eucaristica riveste ha particolare importanza la pratica dell’adorazione. La
convinzione su cui si basa la “visita” al SS. Sacramento è la seguente: se il Signore Gesù è
realmente presente nell’Eucaristia, ogni preghiera personale e privata – per esempio la preghiera in
famiglia o la recita personale del Rosario a Maria – hanno sì importanza, ma non quel rilievo che ha
l’incontro personale con Gesù eucaristico. «Fra tutte le devozioni, questa di adorare Gesù
sacramentato è la prima dopo i sacramenti, la più cara a Dio e la più utile a noi» (sant’Alfonso
Maria de’ Liguori).
Talvolta l’adorazione può essere organizzata in parrocchia o nei santuari. Magari a scadenza
settimanale o mensile; altre volte in forma continuata, lungo il giorno o di notte. Tra i segni del
rinnovamento eucaristico promosso dal Concilio di Trento vi furono le Quarantore. L’iniziativa
consisteva in origine nell’adorazione per quaranta giorni e quaranta notti del SS. Sacramento,
esposto in sontuosi ostensori. Oggi si tende a dedicare una “settimana eucaristica” o delle “giornate
eucaristiche” all’adorazione, la riflessione e la preghiera nelle parrocchie. Si tratta di forme di pietà
eucaristica che hanno anche finalità di espiazione e propiziazione, come insegna san Giovanni
Paolo II in Mane nobiscum Domine: «Restiamo prostrati a lungo davanti a Gesù presente
nell’Eucaristia, riparando con la nostra fede e il nostro amore le trascuratezze, le dimenticanze e
persino gli oltraggi che il nostro Salvatore deve subire in tante parti del mondo».
Testi utili
Devotamente ti adoro,
divinità nascosta,
che davvero ti celi sotto questi segni.
Tutto il mio cuore s’inchina e si dona,
perché tutto il mio cuore
si perde contemplandoti.
Tutti i miei sensi s’ingannano,
tuttavia io credo sicuro
alla testimonianza della tua parola.
Credo a tutto ciò che ha detto
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il figlio di Dio;
è lui la verità che non può ingannare.
(Dall’inno Adoro te devote, attribuito a SAN TOMMASO D’AQUINO)
Se i mondani ti chiederanno
perché ti comunichi così spesso,
dirai loro che è per imparare
ad amare Dio,
e purificarti delle tue imperfezioni;
per liberarti dalle tue miserie,
e trovare conforto nelle tribolazioni
e nelle tue debolezze.
(SAN FRANCESCO DI SALES)
Come Gesù può distribuire il suo Corpo e il suo Sangue? Facendo del pane il suo Corpo e del vino
il suo Sangue, Egli anticipa la sua morte, l’accetta nel suo intimo e la trasforma in un’azione di
amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale - la crocifissione -, dall’interno diventa un atto di
un amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo
e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la
trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28).
Già da sempre tutti gli uomini in qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una
trasformazione del mondo. Ora questo è l’atto centrale di trasformazione che solo è in grado di
rinnovare veramente il mondo: la violenza si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Poiché
questo atto tramuta la morte in amore, la morte come tale è già dal suo interno superata, è già
presente in essa la risurrezione. La morte è, per così dire, intimamente ferita, così che non può più
essere lei l’ultima parola. È questa, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare
portata nel più intimo dell’essere – la vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla
morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di
trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo. Tutti gli altri cambiamenti rimangono
superficiali e non salvano. Per questo parliamo di redenzione: quello che dal più intimo era
necessario è avvenuto, e noi possiamo entrare in questo dinamismo. Gesù può distribuire il suo
Corpo, perché realmente dona se stesso.
Questa prima fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita trascina poi
con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la
trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di
Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo
diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l’unico pane, ma questo significa
che tra di noi diventiamo una cosa sola. L’adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più
soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua
dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo
amore diventi realmente la misura dominante del mondo.
(BENEDETTO XVI)
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Terza catechesi
EUCARISTIA E CHIESA MISSIONARIA
Suggerimenti
Un capitolo rilevante di L’Eucaristia sorgente della missione è dedicato a come l’Eucaristia
propizia e realizza la “trasformazione” missionaria della Chiesa. In questa proposta catechistica
suggeriamo di riscoprire la dimensione missionaria della celebrazione eucaristica con particolare
riferimento alla domenica, il giorno del Signore.
Riferimenti
Gv 20,19-29
CCC 1397
CdA 697
COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI NAZIONALI, L’Eucaristia sorgente della missione, pp. 2224.
Elementi di contenuto
La finalità dell’Eucaristia
Alla luce delle catechesi precedenti, possiamo chiederci: qual è lo scopo per cui il Signore ha
istituito l’Eucaristia? Lo scopo è di realizzare la partecipazione degli uomini al suo sacrificio,
offerto una volta per tutte sulla croce. Insomma l’Eucaristia c’è per “fare” la Chiesa, cioè per
costruirla, per edificarla. In effetti, nella sua dimensione più profonda, la Chiesa è proprio questo: la
comunione degli uomini con Gesù Cristo e con il suo sacrificio e – in Cristo – la comunione degli
uomini fra loro. Ed è proprio l’Eucaristia che realizza questa comunione. È dunque vero che la
Chiesa fa l’eucaristia, nel senso che la celebra: se infatti non ci fosse una comunità cristiana che
celebra l’eucaristia, non ci potrebbe essere l’eucaristia. D’altra parte, però, è ancora più vera l’affermazione secondo cui l’Eucaristia fa la Chiesa: ciò significa che il sacrificio di Cristo, reso attuale
nella celebrazione eucaristica, attira a sé gli uomini costituendoli come Chiesa, cioè come popolo
che vive la stessa carità che ha portato il Signore a dare la vita sulla croce. Insegnava il teologo
Giuseppe Colombo: «Non è l’Eucaristia ad appartenere alla Chiesa, è la Chiesa che “appartiene”
all’Eucaristia. Se infatti l’Eucaristia è Gesù Cristo in persona… non si può concludere che
l’Eucaristia appartiene alla Chiesa, perché Gesù Cristo non appartiene alla Chiesa, ma viceversa è la
Chiesa che appartiene a Gesù Cristo. Effettivamente non è la Chiesa a “fare” l’Eucaristia, ma
viceversa è l’Eucaristia a fare la Chiesa». E il suo discepolo Pierpaolo Caspani afferma, in questa
linea, che «la Messa non raggiunge il suo scopo quando il pane e il vino diventano il corpo e il
sangue di Cristo. La Messa raggiunge il suo scopo quando coloro che comunicano al corpo e al
sangue di Cristo diventano essi stessi il corpo di Cristo che è la Chiesa».
La comunione eucaristica, quindi, non è semplicemente una visita individuale del Signore nei
confronti di chi lo riceve («Gesù che viene nel mio cuore»); si tratta invece del Signore che,
unendoci a sé, ci unisce fra noi nella condivisione della sua capacità di amare fino alla fine. Se
dunque vogliamo che il nostro accostarci alla comunione sia veritiero e autentico, andiamo alla
comunione col desiderio di superare ogni atteggiamento che possa compromettere l’unità del Corpo
di Cristo che è la Chiesa.
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La domenica, giorno del Risorto e della Chiesa
Tutti sanno che ogni giorno è possibile celebrare Messa e alcuni cristiani vi partecipano
quotidianamente o almeno alcuni giorni lungo la settimana. Ma è assolutamente necessario che
questo si compia di domenica, nel giorno del Signore. Tale è del resto la testimonianza che
riceviamo costantemente fin dal Nuovo Testamento e dai primi secoli cristiani. Scrive per esempio
san Giustino, nella sua Prima Apologia: «Ci raduniamo tutti insieme nel giorno del Sole, sia perché
questo è il primo giorno in cui Dio, volgendo in fuga le tenebre e il caos, creò il mondo, sia perché
Gesù Cristo nostro Salvatore risuscitò dai morti nel medesimo giorno. Lo crocifissero infatti nel
giorno precedente quello di Saturno e l'indomani di quel medesimo giorno, cioè nel giorno del Sole,
essendo apparso ai suoi apostoli e ai discepoli, insegnò quelle cose che vi abbiamo trasmesso perché
le prendiate in seria considerazione». Non è un caso, del resto, che ancora oggi si sente definire il
cristiano – almeno, da parte di chi guarda le cose dall’esterno – come “uno che va a messa la
domenica”.
La scelta del giorno in cui fare memoria del Signore è stata chiaramente suggerita da Cristo stesso.
Nel primo giorno dopo il sabato – quello della risurrezione – egli si è manifestato più volte agli
apostoli riuniti, precisamente quando erano a mensa: la sera di Pasqua e otto giorni dopo, con la
presenza anche di Tommaso.
Da allora fino ad oggi, ogni otto giorni, la Chiesa non ha mai cessato di riunirsi in assemblea nel
giorno del Risorto, per fare memoria, con l’ascolto della Parola e partecipando alla mensa
eucaristica, del mistero pasquale, cioè della morte e della risurrezione del suo Signore. Almeno a
partire dal IV secolo dell’era cristiana, la domenica si caratterizza pertanto come giorno “festivo”,
di riposo, dedicato alla lode e al rendimento di grazie per l’opera e per il dono della salvezza. È
perciò un giorno di esultanza, in cui si esprime la gioia pasquale. Non si tratta perciò di un riposo
“vuoto”, di una semplice pausa tra due momenti momenti di lavoro, di uno spazio ambiguo posto
alla fine della settimana (il week end), ma di un tempo che deve esprimere in maniera esemplare
cosa significa per il cristiano essere reso partecipe della forza rigenerante che proviene dall’incontro
col Risorto.
Tuttavia la domenica non è solo il giorno del Signore risorto: è insieme il giorno della Chiesa
riunita per celebrare l’Eucaristia. Tutta la Chiesa: un’assemblea in profonda comunione di fede,
aperta e sollecita, che fa memoria degli assenti e si prende cura dei malati, ai quali i ministri recano
il pane consacrato. Come affermava san Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte: «Nel
secolo XX, specie dal Concilio in poi, molto è cresciuta la comunità cristiana nel modo di celebrare
i Sacramenti e soprattutto l’Eucaristia. Occorre insistere in questa direzione, dando particolare
rilievo all’Eucaristia domenicale e alla stessa domenica, sentita come giorno speciale della fede,
giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana».
La testimonianza di Giustino: non solo i ricchi ma anche i poveri
Abbiamo già avuto modo di richiamare la lettera scritta dall’apologista Giustino all’imperatore
romano Antonino Pio, detta Prima Apologia. Tra gli elementi che rendono interessante questa
antica testimonianza vi è la possibilità di capire che alla celebrazione eucaristica seguiva il
momento della carità fraterna, della solidarietà concreta e tangibile. Leggiamo: «I ricchi e i generosi
spontaneamente danno ciò che vogliono; quanto è raccolto viene consegnato a chi presiede, il quale
aiuta gli orfani, le vedove, i bisognosi per malattie o altro, i detenuti, i forestieri capitati: egli, insomma, soccorre chiunque si trovi nel bisogno». Insomma dall’Eucaristia fiorisce naturalmente la
carità. Descrizioni analoghe si trovano in altri testi antichi dei Padri della Chiesa.
In pratica: non solo i sani ma i malati
L’attenzione testimoniata da san Giustino si può vedere oggi si può vedere nelle nostre comunità
cristiana in più modi.
Il primo è l’attenzione alle collette, alle raccolte, ai bisogni concreti del quartiere, del territorio
diocesano, del mondo. Mentre si celebra il massimo segno della carità di Cristo, non è possibile
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dimenticare i poveri. Ecco perché, fin dalle origini, l’assemblea domenicale è stata considerata il
luogo più proprio per esprimere il servizio della Chiesa verso i bisognosi. Davvero l’Eucaristia
domenicale non si conclude entro la mura della chiesa, ma fonda la missione della Chiesa,
diventando per tutti i cristiani impegno di testimonianza e servizio di carità.
Un secondo modo è la comunione agli anziani e ai malati. Anche questo è un elemento tradizionale.
Dalle testimonianze degli autori antichi fino a oggi emerge che i malati e gli anziani impossibilitati
a partecipare alla Messa non erano dimenticati dalla comunità cristiana. Ancora il filosofo cristiano
Giustino descrive il momento della comunione al pane e al vino nel II secolo dicendo che «a
ciascuno dei presenti si distribuiscono e si partecipano gli elementi sui quali furono rese grazie,
mentre i medesimi sono mandati agli assenti per mano dei diaconi». Anche oggi è consueto che i
malati vengano visitati di tanto in tanto dai sacerdoti, per un colloquio spirituale e per celebrare la
riconciliazione, mentre la comunione può essere recata anche ogni domenica al malato che ne faccia
richiesta. Esiste un rito apposito, che viene presieduto dal diacono o da un ministro straordinario
dell’Eucaristia (uomo o donna incaricato di tale servizio). È molto significativa la consuetudine di
alcune comunità parrocchiali di dare ai ministri dell’Eucaristia al termine della Messa comunitaria
la particola consacrata da portare al malato.
Testi utili
Signore Gesù,
fa’ che io ti ami con amore puro e fervente;
fa’ che io ti ami con un’intensità
ancora più grande di quelle,
con cui gli uomini del mondo
amano le cose loro.
Fa’ che io abbia nell’amarti
quella stessa tenerezza e quella stessa costanza
che è così ammirata nell’amore terreno.
Fa’ che io senta che tu sei la mia sola gioia,
il mio solo rifugio,
la mia sola forza,
la mia sola speranza
e il mio unico amore.
(BEATO JOHN HENRY NEWMAN)
Gli apostoli,
accogliendo nel Cenacolo
l’invito di Gesù:
«Prendete e mangiate…
Bevetene tutti»
sono entrati per la prima volta
in comunione sacramentale con lui.
Da quel momento
fino alla fine dei secoli,
la Chiesa si edifica
mediante la comunione sacramentale
col Figlio di Dio immolato per noi:
«Fate questo in memoria di me…
fate questo, ogni volta che ne bevete,
in memoria di me».
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(SAN GIOVANNI PAOLO II, enciclica Ecclesia de Eucharistia)
La domenica, la partecipazione all’Eucaristia ha un’importanza particolare. Questo giorno, così
come il sabato ebraico, si offre quale giorno del risanamento delle relazioni dell’essere umano con
Dio, con sé stessi, con gli altri e con il mondo. La domenica è il giorno della Risurrezione, il “primo
giorno” della nuova creazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore, garanzia della
trasfigurazione finale di tutta la realtà creata. Inoltre, questo giorno annuncia «il riposo eterno
dell’uomo in Dio». In tal modo, la spiritualità cristiana integra il valore del riposo e della festa.
L’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all’ambito dello sterile e dell’inutile,
dimenticando che così si toglie all’opera che si compie la cosa più importante: il suo significato.
Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che è diversa da
una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte della nostra essenza. In
questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenata
voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale. La
legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dal lavoro nel settimo giorno, «perché possano
godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero» (Es
23,12). Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli
altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e
ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri.
(FRANCESCO, Laudato si’)
Quarta catechesi
CON IL DONO DI DIO AL SERVIZIO DELLA “CASA COMUNE”
Suggerimenti
Tra gli aspetti considerati dal documento del Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali vi sono
i legami familiari, l’educazione e infine ambiente, ecologia integrale e lavoro. Questa scheda
catechistica è dedicata precisamente all’ultimo dei tre aspetti, lasciando alla creatività delle realtà
locali di riprendere la tematica familiare e quella educativa.
Riferimenti
Gen 1-2
CCC 1370; 2175
CdA 11; 1114; 1140-1143
FRANCESCO, Laudato Si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune (2015)
COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI NAZIONALI, L’Eucaristia sorgente della missione, pp. 3437.
Elementi di contenuto
Dalla Pasqua e tra la gente
Nella preghiera eucaristica di san Basilio, si invoca: «Riempi, Signore, le dispense di ogni bene;
conserva le unioni coniugali nella pace e nella concordia; alleva i bimbi, educa i giovani, fortifica
gli anziani… prendi cura delle vedove, proteggi gli orfani, libera i prigionieri, guarisci gli ammalati.
Nell’ultimo capitolo del documento L’Eucaristia sorgente della missione si tratta di ciò che i
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credenti sono invitati a compiere, nel mondo, con il dono di Dio. L’Eucaristia infatti non sottrae
dalla scena della storia, non chiude il cristiano nel tempio, come qualcuno sembra temere. Al
contrario, l’Eucaristia dischiude gli occhi, muove il cuore e i passi, invita ad aprire le mani, rende
operosa l’intera esistenza dei credenti. L’ultimo dialogo della celebrazione suona infatti così,
secondo una delle previste: «Nel nome del Signore, andate in pace». Infatti nel nome del Signore –
del Signore risorto e vivo la cui presenza hanno incontrato nella celebrazione e nella comunione
eucaristica – i fedeli non rimangono ma vanno, in pace, a compiere ciò che il Signore loro affida. In
questa linea vanno comprese pure le parole finali che il sacerdote recita alla consacrazione: «Fate
questo in memoria di me».
Non si tratta di ripetere il gesto rituale in se stesso («Fate questo») ma di rivivere ogni giorno il
senso dell’eucaristia, il dono della vita, a immagine di ciò che Gesù ha compiuto sulla croce e che
l’eucaristia permette di rivivere. Non è dunque, quella di Gesù ripetuta dal ministro, una frase che
dà l’appuntamento alla prossima messa, bensì un invito a prolungare la messa nella vita, a cogliere
nell’Eucaristia l’offerta di sé che poi uno vive nei vari momenti della settimana. E così la liturgia
diventa esistenza, il sacramento si prolunga nella vita. Martin Lutero, nella sua Prefazione alla
Lettera ai Romani, spiega che nel dodicesimo capitolo di quello scritto apostolico san Paolo
«insegna il giusto culto divino e fa di tutti i cristiani dei sacerdoti, poiché essi devono sacrificare,
non denaro o bestiame come nella legge, ma i loro propri corpi uccidendo i desideri».
Cuore e azione
La celebrazione invia nel mondo. Il dono di sé diventa la misura del credente. Ed è un donarsi che
non assume solo connotazioni individuali: è in gioco la società, la famiglia umana, il pianeta che
abitiamo. No quindi all’individualismo, no alla brama di potere, no all’asservimento del prossimo e
dello stesso creato. A questo proposito papa Francesco insegna che «molte cose devono riorientare
la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare» (FRANCESCO, Laudato
Si’ 202); un’ecologia integrale infrange «la coscienza isolata e l’autoreferenzialità» (Laudato Si’
208);. Egli propone una trattazione per molti versi spiazzante, tesa a suscitare azioni che possano
alimentare nuova speranza. La speranza di un altro mondo, un mondo però possibile, cui si può
essere educati, che va accolto ma insieme realizzato (secondo il binomio “custodire”/”coltivare” che
compare in Gen 2). Si tratta infatti di una «casa comune», e dunque offerta alla capacità di ognuno
di accogliere il creato e gli altri.
L’ecologia così come è intesa da papa Francesco parte dal cuore dell’uomo e poi si fa azione. E ha a
che fare con una identità complessiva, con quella che è la “vocazione” propria del soggetto.
Proteggere l’ambiente è lasciarsi ferire da interrogativi di fondo sul modo di produrre, di
consumare, di lavorare, di abitare, di investire le risorse, di gestire il tempo, di sfruttare lo spazio a
disposizione di ciascuno. È quindi operazione che chiama in causa il vivere nella società e l’essere
parte della Chiesa.
Armonia e spiritualità
Non a caso il Vescovo di Roma chiede una vera opera educativa, senza la quale non si giunge a
un’ecologia integrale, o – per richiamare un termine impiegato più volte nell’enciclica – a una vera
armonia della persona nel mondo. È in questione l’essere del cittadino-credente, ovvero tutto ciò
che ha a che fare con l’identità della persona in formazione. Ecco perché Francesco propone una
spiritualità ecologica, il cui fine è molto alto: «L’ideale non è solo passare dall’esteriorità
all’interiorità per scoprire l’azione di Dio nell’anima, ma anche arrivare a incontrarlo in tutte le
cose» (Laudato si’ 233). A tema vi è una reale conversione (cf p. es. Laudato si’ 221).
A questo punto il rimando all’Eucaristia è dovuto al fatto che «attraverso il culto siamo invitati ad
abbracciare il mondo su un piano diverso» (Laudato si’ 235). E precisamente «nell’Eucaristia il
creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile,
raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla
sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra
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intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso
mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale
dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato,
presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio» (Laudato si’ 236). E qui, riecheggiando
importanti autori del XX secolo, il papa sostiene che «l’Eucaristia è di per sé un atto di amore
cosmico», celebrato sull’altare del mondo. «L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e
penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena
adorazione» (ibid.).
Una testimonianza antica: la descrizione della Didachè
L’attenzione al rapporto natura-Eucaristia non è solo dei nostri giorni. Tra i testi antichi che ci
dicono come i cristiani dei primi secoli vivevano la domenica e l’Eucaristia si segnala un libretto,
intitolato Didachè (dottrina), che sembra risalire al primo secolo dopo Cristo e collocarsi in Siria.
Tra le varie cose, questo testo ci consegna la preghiera dei cristiani di allora sul calice: «Ti ringraziamo, o Padre nostro, per la santa vite di Davide tuo servo»: questa vite significa Gesù e il vino del
banchetto eucaristico. Di fronte al pane spezzato, poi, dicono: «Ti ringraziamo, o Padre Nostro, per
la vita e la conoscenza, che ci hai rivelato mediante Gesù». Segue a questo punto una preghiera per
la Chiesa in cui è utilizzato il simbolo delle messi maturate al sole: «Come questo pane spezzato era
sparso sui colli e, raccolto, è diventato una cosa sola, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della
terra nel tuo regno» (Didachè 9).
In pratica: processioni e congressi eucaristici
Tra le forme caratteristiche della spiritualità cristiana vi è quella delle processioni eucaristiche, che
si diffondono nelle nostre città e nei nostri paesi in epoca medievale. In occasione della solennità
del Corpus Domini, o di altre particolari feste della comunità, si usa portare per le vie l’Eucaristia,
mediante un contenitore particolarmente ornato e prezioso, l’ostensorio, che protegge il pane
consacrato e insieme permette ai fedeli di vederlo.
La processione si snoda lungo le vie del paese o della città; se siamo in contesto di campagna o di
montagna, anche lungo le zone dei campi, assumendo talvolta la forma di benedizione delle messi e
di invocazione del bel tempo o della pioggia. Nella preghiera eucaristica di san Basilio si dice:
«Ricordati, Signore, anche della salvezza di questa nostra città, e di coloro che nella fede di Dio
abitano in essa. Ricordati, Signore, del clima e dei frutti della terra. Ricordati, Signore, delle piogge
e delle sementi della terra».
Nate nel medioevo, le processioni si sviluppano nel periodo successivo al Concilio di Trento e in
secoli più vicini a noi diventano proclamazione coraggiosa della fede cristiana in un contesto
segnato dalla reazione irreligiosa e anticlericale.
Anche oggi le processioni eucaristiche possono corrispondere al desiderio di una religiosità che non
si traduce solo in riflessioni intellettuali o in atteggiamenti personali ed intimi. Una espressione
comunitaria e itinerante di fede manifesta ai fedeli stessi e a tutti coloro che la incontrano che la
Chiesa si pone sempre in cammino con Gesù, suo maestro e guida. Anzi, proprio per questo, si
potrebbe dire che più che essere i cristiani a “portare Gesù” per le strade, è Gesù che li guida per le
strade del loro paese o della loro città, desideroso che ogni persona conosca il Vangelo e la
misericordia del Signore.
In questa linea di una testimonianza visibile della fede nell’Eucaristia si possono comprendere
anche i congressi eucaristici, una manifestazione pubblica nata nella Francia nel XIX secolo, in una
società che si voleva sempre più razionalistica e irreligiosa. All’origine sta il culto della presenza
reale del sacrificio di Cristo ma anche l’intenzione di reagire a questo clima anticristiano con una
manifestazione pubblica di fede. Poco alla volta l’iniziativa si estese oltre la Francia a livello
internazionale. Fu così che dai primi anni del XX secolo si sono succeduti i congressi eucaristici
internazionali, a scadenze diverse e in diverse parti del mondo, con il sostegno dei Pontefici e degli
episcopati locali. Accanto ai congressi internazionali non sono mancati quelli nazionali o diocesani,
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sempre con l’intenzione di chiamare a raccolta intorno all’Eucaristia tutto il popolo di Dio.
Nell’istruzione Eucharisticum Mysterium del 1967 si legge: «Nei congressi eucaristici i fedeli si
applichino ad approfondire la conoscenza di questo santo mistero, considerandolo nei suoi vari
aspetti. Lo celebrino poi secondo le norme del concilio Vaticano II e lo venerino prolungando
privatamente la preghiera, e con pii esercizi, e soprattutto nella processione solenne, badando,
tuttavia, che tutte le forme di pietà tocchino il loro culmine nella solenne celebrazione della Messa».
Testi utili
A noi che ci nutriamo
del corpo e sangue
del tuo Figlio
dona la pienezza dello Spirito Santo
perché diventiamo in Cristo
un solo corpo e un solo spirito.
(Messale Romano, Preghiera eucaristica III)
Si viva…
con particolare fervore
la solennità del Corpus Domini
con la tradizionale processione.
La fede nel Dio che, incarnandosi,
si è fatto compagno di viaggio
sia proclamata dovunque
e particolarmente per le nostre strade
e fra le nostre case,
quale espressione del nostro grato amore
e fonte di inesauribile benedizione.
(SAN GIOVANNI PAOLO II, Mane nobiscum Domine)
Signore Dio, Uno e Trino,
comunità stupenda di amore infinito,
insegnaci a contemplarti
nella bellezza dell’universo,
dove tutto ci parla di te.
Risveglia la nostra lode e la nostra gratitudine
per ogni essere che hai creato.
Donaci la grazia di sentirci intimamente uniti
con tutto ciò che esiste.
Dio d’amore, mostraci il nostro posto in questo mondo
come strumenti del tuo affetto
per tutti gli esseri di questa terra,
perché nemmeno uno di essi è dimenticato da te.
Illumina i padroni del potere e del denaro
perché non cadano nel peccato dell’indifferenza,
amino il bene comune, promuovano i deboli,
e abbiano cura di questo mondo che abitiamo.
I poveri e la terra stanno gridando:
Signore, prendi noi col tuo potere e la tua luce,
per proteggere ogni vita,
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per preparare un futuro migliore,
affinché venga il tuo Regno
di giustizia, di pace, di amore e di bellezza.
Laudato si’!
Amen.
(FRANCESCO, Laudato si’)
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ABC dell`Eucaristia - Diocesi di Brescia