CATECHESI SULL’EUCARISTIA È bene che il cammino in preparazione al Congresso Eucaristico Nazionale di Genova sia sostenuto da specifiche proposte formative rivolte ad adulti, giovani e ragazzi. In molti casi sarà sufficiente valorizzare alcuni aspetti dei percorsi esistenti mediante sottolineature calibrate; in altri casi sarà opportuno pensare a momenti ad hoc. Precisamente in questa seconda direzione sono state approntate le quattro proposte che seguono. Esse traggono spunto da alcuni passaggi del documento L’Eucaristia sorgente della missione redatto dal Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali. Poiché si tratta di un testo ricco, l’intenzione non è quella di fornirne una presentazione completa. Si tratta piuttosto di mostrare l’utilità del testo attraverso alcune “porte d’ingresso” che il soggetto in cammino potrà varcare mediante l’incontro formativo cui è invitato. Le quattro schede hanno una struttura identica: - in primo luogo sono offerti sintetici suggerimenti per contestualizzare l’intervento catechistico e per ideare eventuali modalità che esso potrebbe assumere; - vengono quindi indicati alcuni riferimenti di base, che potranno utilmente essere richiamati nell’incontro di catechesi o affidati alla lettura personale (le sigle CCC e CdA rimandano rispettivamente al Catechismo della Chiesa Cattolica e ai catechismo degli adulti CEI La verità vi farà liberi); - il contenuto essenziale di ogni proposta è articolato in diversi punti, a seconda del tema svolto. In ogni caso il penultimo punto è sempre dedicato a una testimonianza cristiana (una figura di santo, un testo delle origini, un tema iconografico, ecc.) mentre l’ultimo suggerisce una pista di lavoro praticabile; - sono infine riportati alcuni testi utili, tra i tanti possibili, per documentare quanto viene esposto o per lasciate una consegna ai partecipanti in vista dell’assimilazione e della preghiera. Si intende che le proposte seguenti costituiscono solamente altrettante tracce di lavoro. Le mediazioni concrete, anche in rapporto all’età dei destinatari o a situazioni speciali (catecumeni, ammalati, disabili, ecc.), sono lasciare alla singola realtà. Nulla infatti può sostituire la conoscenza dei soggetti in cammino da parte dei catechisti e degli accompagnatori. Esistono poi risorse locali a livello di arte, luoghi sacri, tradizioni, ecc. che potranno essere utilmente valorizzate in sede di catechesi eucaristica. Prima catechesi EUCARISTIA E SANTITÀ DI DIO Suggerimenti Tra i primi elementi proposti dal Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali nel testo L’Eucaristia sorgente della missione vi è la considerazione del legame con la Trinità. A partire dalla Preghiera Eucaristica IV del Messale Romano si considera il rapporto tra Eucaristia e santità misericordiosa del Padre, missione del Figlio e rispettivamente missione dello Spirito Santo. Si tratta di una riflessione molto ricca, nell’ambito della quale si sceglie di dedicare almeno un momento di istruzione al senso di gratitudine con la quale i fedeli sono invitati a condividere la santità di Dio, origine dell’eucaristia, cui i cristiani sono ammessi per dono. 1 Riferimenti Ger 31, 31-34; Lc 22,24-27 CCC 1357; 1362-1372 CdA 690 COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI NAZIONALI, L’Eucaristia sorgente della missione, pp. 910. Elementi di contenuto Il “grazie” per il dono di Dio Nella Tradizione Apostolica si riporta una preghiera eucaristica in uso nei primi secoli. Dopo il dialogo tra il celebrante e i fedeli il sacerdote prosegue: «Ti rendiamo grazie, o Dio, per mezzo del tuo diletto Figlio, Gesù Cristo, che nella pienezza dei tempi ci hai mandato il Salvatore, redentore e messaggero della tua volontà. Egli ha fatto la tua volontà e per acquistarti un popolo santo, ha steso le mani nella sua passione, per liberare dalla sofferenza quelli che hanno creduto in te». Ecco il cuore della preghiera eucaristica, di quella preghiera che già san Giustino definiva come «lungo ringraziamento». In effetti – nella liturgia e nella vita – il nostro “grazie” non dovrebbe cessare mai. Il cuore di Dio si è rivolto a noi, la sua misericordia ci avvolge, il suo Figlio si dona per tutti, lo Spirito del Risorto infonde la vita nuova. L’antica preghiera eucaristica così si esprime: «Ricordandoci della sua morte e della sua resurrezione, ti offriamo il pane e il calice, rendendoti grazie, perché ci hai giudicati degni di stare davanti a te e di servirti. Ti preghiamo di mandare il tuo Spirito sull' offerta della tua Chiesa, di raccogliere nell'unità tutti quelli che si comunicano, di colmarli dello Spirito Santo... per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio... Amen». L’Eucaristia, sacrificio di amore La celebrazione eucaristica ci rende partecipi della morte di Gesù. Anche se non utilizza direttamente il termine “sacrificio”, pare proprio che Cristo stesso intenda così la propria morte: come un sacrificio. Ma cosa significa questa affermazione? Per capirlo dobbiamo andare all’Antico Testamento. Nell’ebraismo il sacrificio è il “luogo” privilegiato attraverso cui si realizza una giusta relazione con Dio. Nel sacrificio, infatti, Dio viene vicino al suo popolo per ricevere la sua offerta, cioè per consumare il pasto che il popolo gli ha preparato. Mentre realizza la comunione con Dio, il sacrificio ne salvaguarda la libertà: Dio non è obbligato ad accettare l’invito del popolo; a Lui solo spetta l’iniziativa di accettarlo o meno. Ora, in tutta la sua vita e la sua missione, Gesù avanza la “pretesa” di essere Lui a realizzare quella comunione con Dio che i sacrifici dell’Antica Alleanza avevano come obiettivo. In continuità con questa pretesa, sulla croce Gesù realizza in modo compiuto il senso dei sacrifici dell’Antico Testamento, perché Egli fa della propria morte il gesto della comunione definitiva con gli uomini e con il Padre suo. Se si leggono con attenzione i racconti evangelici della passione, si nota che la rievocazione delle ultime ore terrene di Gesù è molto sobria; più che compiacersi nella descrizione delle sofferenze patite dal Maestro, gli evangelisti rivolgono la loro attenzione a come Gesù ha vissuto la morte ingiustamente inflittagli, trasformandola in gesto di comunione definitiva. Neppure il fatto che gli uomini lo rifiutino in maniera estrema e lo mettano a morte induce Gesù a maledirli o a rompere la comunione con loro; al contrario, egli offre il perdono a coloro che lo mettono a morte e promette il 2 Paradiso al ladrone che lo invoca. Vivendo così la propria morte, Gesù realizza la comunione definitiva col Padre suo: morendo così, infatti, egli compie fino in fondo la volontà del Padre, in quanto lo rivela come Colui che resta fedele all’alleanza anche di fronte al rifiuto più ostinato da parte degli uomini. E compie tale volontà come Figlio obbediente, che totalmente si affida al Padre, rinunciando a salvare se stesso e lasciando che sia il Padre a decidere tempi e modi della sua liberazione dalla morte. Sulla croce l’alleanza definitiva In questa prospettiva parlare della croce di Gesù come sacrificio significa riconoscere in essa il gesto di comunione che fonda l’alleanza definitiva tra Dio e gli uomini: ciò che i sacrifici dell’Antico Testamento cercavano senza raggiungerlo – la giusta relazione con Dio – si realizza compiutamente e definitivamente attraverso la croce di Cristo. E ancora: quel rapporto con Dio che gli uomini di tutti i tempi hanno desiderato ottenere attraverso l’offerta dei sacrifici si realizza sulla croce veramente, definitivamente, senza le ambiguità che gli antichi sacrifici spesso portavano con sé. D’altra parte, per la dottrina cattolica è “sacrificio” anche la celebrazione eucaristica. Non però un sacrificio in più, diverso rispetto a quello compiuto da Cristo sul Calvario. La Messa – insegna il Concilio di Trento – è «un vero e singolare sacrificio»: non un altro sacrificio che si aggiunge a quello della croce ma memoriale del sacrificio della croce. L’idea di “memoriale” rappresenta una chiave di lettura fondamentale per capire il senso della celebrazione eucaristica. Il termine indica un legame fortissimo: non una rievocazione né un ricordo remoto, bensì una ripresentazione, un’attualizzazione. Come spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Secondo la Sacra Scrittura, il memoriale non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini. La celebrazione liturgica di questi eventi, li rende in certo modo presenti e attuali» (CCC 1363). La messa è quindi il gesto rituale che ci permette di prendere parte a quel sacrificio, unico e non ripetibile. Associati al sacrificio della croce grazie all’Eucaristia, anche noi possiamo offrire noi stessi «come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rom 12,1); possiamo cioè vivere la vita, dedicandola ai nostri fratelli, in obbedienza al Padre. La testimonianza dell’arte cristiana: il buon pastore, il pesce, l’agnello immolato L’Eucaristia rivela e insieme lascia avvolta nel mistero la realtà divina. D’altra parte, se così non fosse, si rischierebbe di voler “spiegare” in maniera esaustiva la natura di Dio, con il pericolo di considerarsi superiori a lui o di volerlo asservire ai nostri progetti. Si capisce quindi che fin dall’antichità ci si sia riferiti all’Eucaristia con alcuni simboli, che risultavano trasparenti per coloro che erano stati iniziati al cristianesimo e oscuri per chi era estraneo alla Chiesa. Il buon pastore, per esempio, non è solo un’immagine naturalistica e rasserenante: è una raffigurazione di Cristo, secondo quanto egli dice di sé nel vangelo di Giovanni. Vi è inoltre un richiamo al Salmo 22 («Il Signore è il mio pastore»), che si usava cantare durante la celebrazione dei Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia, per indicare che la persona definitivamente incorporata nella Chiesa aveva Dio stesso come pastore e poteva dirsi autenticamente guidata e serena. Un altro simbolo che si trova nelle antiche raffigurazioni cristiane è quello del pesce. Da un lato il richiamo è ai racconti delle moltiplicazioni dei pani e dei pesci da parte di Gesù, descritte dagli evangelisti come un anticipo della frazione del pane eucaristico. D’altro lato occorre ricordare che in greco le lettere che compongono la parola “pesce” sono le iniziali dell’espressione «Gesù Cristo, Figlio di Dio Salvatore». Non stupisce allora di trovare raffigurazioni di cesti di pane con dei pesci accanto sia in Palestina sia a Roma, per esempio nelle cimitero di San Callisto. Rimanda a Gesù Eucaristia pure l’immagine dell’agnello immolato, cioè dell’agnello col fianco aperto, in genere accostato alla croce o con la croce posta in spalla. È evidente il richiamo al Cristo, presentato da Giovanni Battista ai suoi discepoli come l’Agnello di Dio inviato a redimere il 3 peccato del mondo. Questa espressione è stata ripresa nella liturgia cristiana: oggi vi figura poco prima della comunione. Un valido complemento dell’istruzione catechistica sul nostro tema potrebbe essere costituito dalla visita a un luogo di culto cristiano significativo o al Museo diocesano per ritrovare questi simboli e spiegarne il senso alla luce delle pagine bibliche richiamate e dei significati esposti. In pratica… giungere preparati (e puntuali!) all’incontro con il Signore e i fratelli È importante prepararsi all’incontro con il Signore perché agli incontri importanti, di solito, ci si prepara per tempo e bene. Sarebbe perciò strano confinare l’incontro con Gesù nei ritagli di tempo, giungere in ritardo, non curarci di sapere prima di cosa si parlerà e come si sarà invitati a partecipare con i gesti e con le parole. Non pochi fedeli hanno preso l’abitudine, per evitare questi pericoli, di leggere prima le lettura che verranno proclamate alla Messa, utilizzando un messalino o delle apposite pubblicazioni. Altri cercano di arrivare in chiesa in anticipo, così da poter prendere parte alle prove di canto o da chiedere se c’è bisogno di loro per qualche servizio. Altri preparano una intenzione per la preghiera dei fedeli, tenendo presente i problemi emersi nella settimana a livello sociale o ecclesiale. Insegnava la Didascalia apostolorum: «Lasciate tutto nel giorno del Signore e accorrete con premura alla vostra Chiesa, perché là si celebra la lode a Dio». Testi utili Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa’ che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull’altare del cielo davanti alla tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo mistero del Corpo e Sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione dal cielo. (Messale Romano, Preghiera eucaristica I o “Canone Romano”) Signore, mio Dio, mia unica speranza, ascoltami benignamente e non permettere che desista dal cercarti per stanchezza, ma sempre cerchi la tua faccia con ardore. Dammi tu la forza di cercarti, tu che ti sei fatto trovare e mi hai infuso la speranza di trovarti con una conoscenza sempre maggiore. Davanti a te è la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a te è la mia scienza e la mia ignoranza: là dove mi hai aperto, accoglimi quando entro e là dove mi hai chiuso, 4 aprimi quando busso. Fa' che mi ricordi di te, che comprenda te, che ami te. Accresci in me questi doni fino a quando tu mi abbia trasformato totalmente. (SANT’AGOSTINO) Signore mio Gesù Cristo, che per l’amore che porti agli uomini te ne stai notte e giorno in questo Sacramento, tutto pieno di pietà e di amore, aspettando, chiamando e accogliendo tutti coloro che vengono visitarti, io ti credo presente nel santissimo Sacramento dell’altare. Ti adoro, nell’abisso del mio niente, e ti ringrazio di tutte le grazie che mi hai fatto, specialmente di avermi donato te stesso in questo divin Sacramento, d’avermi data per avvocata e madre la tua stessa santissima madre Maria, e di avermi chiamato a visitarti in questa chiesa. (SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI) Seconda catechesi L’EUCARISTIA MISTERO DI SALVEZZA Suggerimenti Nel secondo capitolo del testo L’Eucaristia sorgente della missione il Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali spiega che una più profonda comprensione della santità misericordiosa di Dio, che nella catechesi precedente si è vista all’origine del dono dell’Eucaristia, può orientare la nostra vita liturgica. Celebrando bene, infatti, ci si lascia raggiungere dal mistero. Si tratta dunque di riscoprire il sacramento, di cui Cristo è il vero protagonista. In questo quadro, scegliamo di dedicare un momento di riflessione al fatto che nella celebrazione eucaristica noi veniamo in contatto con la presenza reale di Cristo stesso. Riferimenti Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,14-20; 1Cor 11,23-26 CCC 1373-1375 CdA 689 COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI NAZIONALI, L’Eucaristia sorgente della missione, pp. 1417. Elementi di contenuto 5 Davvero partecipi È tipico della visione cattolica dell’Eucaristia il fatto che la partecipazione al sacrificio della croce realizzata mediante l’Eucaristia è intesa come una partecipazione reale: reale al punto che il pane e il vino dell’eucaristia non sono più pane e vino comuni, ma sono «veramente, realmente e sostanzialmente» il corpo dato ed il sangue versato di Gesù. In effetti, nella celebrazione eucaristica, la presenza di Gesù Cristo si realizza in molti modi: Egli è presente nella comunità che celebra, nel sacerdote che la presiede, nella Parola che viene proclamata. Tutte queste forme di presenza del Signore sono reali; tuttavia, la sua presenza sotto le specie del pane e del vino consacrati è la presenza reale per eccellenza. La fede in tale presenza si fonda sulle parole dell’ultima cena: «Questo è il mio corpo dato» – «Questo è il mio sangue versato». Nel linguaggio della Bibbia il termine «corpo» indica tutta la persona nella sua concretezza corporea e spirituale e cosa analoga vale per il termine «sangue», che designa la sostanza vitale dell’uomo. Le parole di Gesù si riferiscono quindi alla sua persona concreta nell’atto di donare la vita sulla croce: è questa persona che si rende presente nel pane e nel vino dell’eucaristia. Come affermava san Giustino martire nella Prima Apologia: «Questo alimento noi lo chiamiamo Eucaristia. Non lo prendiamo come una pane comune e una comune bevanda. Il nutrimento consacrato con la preghiera di ringraziamento formata dalle parole di Cristo è, secondo la nostra dottrina, carne e sangue di Gesù». Il Signore in azione per la nostra salvezza La presenza «vera, reale e sostanziale» del corpo e sangue di Cristo nel pane e vino dell’eucaristia implica necessariamente il cambiamento della sostanza del pane e del vino; cambiamento che, con una parola forse difficile, ma molto appropriata, la Chiesa cattolica chiama transustanziazione. In altre parole: se il pane e il vino eucaristici sono il corpo e il sangue di Cristo, ciò significa che, nella loro sostanza, pane e vino sono stati mutati nel corpo e sangue del Signore. Il cambiamento riguarda la sostanza del pane e del vino eucaristici, cioè la loro essenza, la loro identità, ciò per cui essi sono quello che sono: per questo, di quel pane e di quel vino possiamo dire con verità: «Sono il corpo e il sangue di Cristo». Tale cambiamento invece non modifica le caratteristiche sensibili del pane e del vino (la grandezza, il sapore, il profumo, la composizione chimica…), che rimangono tali e quali anche dopo la consacrazione. Il cambiamento della sostanza del pane e del vino è irreversibile: anche dopo la celebrazione, il pane e vino consacrati rimangono corpo e sangue di Cristo. Ecco perché il pane eucaristico può essere portato agli ammalati, conservato nel tabernacolo ed adorato anche al di fuori della celebrazione della messa. Tutto ciò si comprende nella giusta luce, tenendo presente che nella celebrazione dell’eucaristia, attraverso l’azione liturgica della Chiesa, è il Signore stesso che agisce: è dunque ultimamente Lui che – attraverso l’azione rituale della Chiesa – cambia il pane e il vino nel suo corpo dato e nel suo sangue versato, rendendo così presente il dono della sua vita offerta sulla croce. Partecipando alla celebrazione eucaristica – e partecipandovi «più perfettamente» attraverso la comunione al pane e al vino consacrati – anche noi siamo associati a questo dono e resi capaci di donare la nostra vita come Gesù. Ecco perché, come ha scritto Enrico Mazza, «per i discepoli, prendere parte alla cena del Signore è molto più che partecipare a una cena. Tutto rimanda a qualche cosa che è al di là della cena stessa e che si attua altrove, sul Calvario. E la partecipazione agli eventi del Calvario è resa possibile ai discepoli solo attraverso il banchetto… La cena è il ponte e il legame dei discepoli con il Calvario; nella cena i discepoli vivono il Calvario». Il corpo, la vita Consideriamo ora un po’ più da vicino le parole che Gesù pronuncia sul pane e sul calice della cena. Queste parole si capiscono solo insieme ai gesti che le accompagnano e con cui formano una sola azione. In effetti, Gesù non si limita semplicemente a prendere in mano un pezzo di pane, 6 dichiarando: «Questo è il mio corpo». Gesù invece prende il pane, pronuncia la benedizione, spezza il pane, lo dà ai suoi discepoli: già di per sé, questo gesto è un invito ai presenti affinché prendano e mangino quel pane, invito che Marco e Matteo esplicitano, facendo dire a Gesù: «Prendete e mangiate». I discepoli, da parte loro, accettano l’invito, prendono quel pane e ne mangiano. Le parole di Gesù sul pane, dunque (ma questo vale anche per le parole sul calice), si collocano dentro un’azione che parte da Gesù e coinvolge i discepoli, creando tra Gesù e i discepoli una relazione di comunione: essi mangiano dello stesso pane (come poi berranno dello stesso calice). Un pane di cui Gesù determina il valore dicendo: «Questo è il mio corpo» (Luca e Paolo precisano: «dato per voi»). Evidentemente la parola-chiave è il termine “corpo”, che nel linguaggio della Bibbia non indica la parte fisica dell’uomo, distinta dall’anima, ma tutta la persona nella sua concretezza, nella sua capacità di esprimersi, nel suo essere in relazione col mondo e con gli altri. Di conseguenza, quando Gesù, spezzando il pane, dice: «Questo è il mio corpo – dato per voi», vuol dire: «Questo sono io, che sto per essere spezzato e dato per voi». Con queste parole e con i gesti che le accompagnano, Gesù dunque annuncia la sua morte imminente e dice il senso di quella morte: essa non è quel che appare: un fallimento, la fine di tutto; è invece il consegnarsi di Gesù, il suo darsi per noi. Di più: attraverso il segno del pane spezzato, Gesù anticipa la propria morte e fa sì che, mangiando quel pane, i discepoli ne possano partecipare in anticipo. Così i discepoli delle generazioni future, ripetendo i gesti e le parole di quella cena, saranno anch’essi resi partecipi di quella morte da cui viene la vita. Il sangue, l’alleanza Se passiamo alle parole sul calice, ci accorgiamo che nonostante qualche differenza nel modo in cui sono ricordate dagli autori sacri, due elementi sono chiari e comuni a tutti i testi. In primo luogo, il riferimento al sangue versato, che nel linguaggio biblico significa distruggere il principio della vita e, quindi, uccidere qualcuno. Quando Gesù dice che il suo sangue sta per essere versato, si riferisce dunque alla sua imminente morte sulla croce. Il secondo elemento che si coglie nei racconti dell’istituzione è l’esistenza di una relazione tra il sangue versato di Gesù – cioè la sua morte sulla croce – e l’alleanza. Ciò significa che con la morte di Gesù si stabilisce l’alleanza tra Dio e gli uomini, alleanza che Luca e Paolo qualificano come “nuova”. (Lc 22,20; 1Cor 11, 25). Di nuova alleanza aveva parlato il profeta Geremia, uno dei più decisi nel denunciare l’infedeltà del popolo al patto siglato con Dio. Ad un certo punto, però, lo sguardo di questo profeta si rivolge al futuro per annunciare che Dio stipulerà con Israele un’alleanza nuova, la cui legge non sarà più scritta su tavole di pietra; sarà Dio stesso infatti a scrivere la sua legge nel cuore dei figli di Israele, cioè nella loro coscienza, là dove l’uomo liberamente compie le proprie scelte. Dio stesso, cioè, cambierà il cuore degli Israeliti, rendendoli capaci di essere fedeli alla sua legge non in forza di costrizioni imposte dall’esterno, ma con una decisione che viene dal cuore (cf Ger 31, 31-34). Richiamando il passo di Geremia, Luca e Paolo fanno intendere che la nuova alleanza comincia con la morte di Gesù, che scuote le coscienze e muove al pentimento e alla conversione. Un testimone: san Tommaso d’Aquino, teologo dell’Eucaristia Nel medioevo l’Eucaristia fu oggetto della riflessione di vari teologi, tra i quali ricordiamo san Tommaso d'Aquino, che ne tratta soprattutto nella sua Somma Teologica. Secondo Tommaso, l’Eucaristia «è il sacramento perfetto e completo della passione del Signore, in quanto contiene lo stesso Cristo nella sua passione»; attraverso il sacramento, l’uomo è partecipe di questa passione e viene salvato. Contro alcuni autori che avevano sostenuto nell’Eucaristia il corpo di Cristo è presente solo simbolicamente, Tommaso afferma che il vero corpo e sangue di Cristo «sono presenti in questo sacramento» e «lo avvertono non i sensi, ma solo la fede, che si fonda sulla parola di Dio». Ora questa presenza avviene perché il pane e il vino, nella loro sostanza vengono trasformati nella 7 identità del corpo e del sangue di Gesù, presente integralmente nel pane e nel vino consacrati, e in ogni loro parte. Rimangono i segni del pane e del vino, ma ciò che conta è il cambiamento dell’identità profonda del pane e del vino consacrati, che non coincide con la dimensione, il sapore, il colore e la composizione fisica. La dottrina eucaristica di san Tommaso ha largamente alimentato il pensiero e la riflessione della Chiesa. Nel Decreto sull’Eucaristia del Concilio di Trento, in particolare, si afferma con solennità: «Nel santissimo sacramento dell'Eucaristia è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue, con l'anima e la divinità del Signore nostro Gesù Cristo, e quindi integralmente Gesù Cristo». Tommaso d’Aquino non si limitò a proporre questi insegnamenti nelle lezioni e negli scritti: li portò sul pulpito, in una predicazione in latino e in volgare che era molto apprezzata dai fedeli; e li rese fruibili attraverso canti e preghiere. Per esempio è a lui attribuita la sequenza Lauda, Sion, Salvatorem, dove si loda l’Eucaristia con vero cuore di credente: «O buon pastore, pane vero, Gesù, abbi pietà di noi: sii tu a pascerci e a custodirci; nella terra dei viventi mostraci i veri beni... Rendi compagni ed eredi coi santi i tuoi commensali quaggiù». In pratica: una sosta dedicata all’Eucaristia Di tanto in tanto si ha bisogno di tornare al fondamento. Questo si fa nella celebrazione della messa, specialmente la domenica. Ma questo si può fare anche fuori dalla messa, nel culto eucaristico che ha varie forme, da intendere come preparazione e prosecuzione della partecipazione alla messa. Tra le forme di pietà eucaristica riveste ha particolare importanza la pratica dell’adorazione. La convinzione su cui si basa la “visita” al SS. Sacramento è la seguente: se il Signore Gesù è realmente presente nell’Eucaristia, ogni preghiera personale e privata – per esempio la preghiera in famiglia o la recita personale del Rosario a Maria – hanno sì importanza, ma non quel rilievo che ha l’incontro personale con Gesù eucaristico. «Fra tutte le devozioni, questa di adorare Gesù sacramentato è la prima dopo i sacramenti, la più cara a Dio e la più utile a noi» (sant’Alfonso Maria de’ Liguori). Talvolta l’adorazione può essere organizzata in parrocchia o nei santuari. Magari a scadenza settimanale o mensile; altre volte in forma continuata, lungo il giorno o di notte. Tra i segni del rinnovamento eucaristico promosso dal Concilio di Trento vi furono le Quarantore. L’iniziativa consisteva in origine nell’adorazione per quaranta giorni e quaranta notti del SS. Sacramento, esposto in sontuosi ostensori. Oggi si tende a dedicare una “settimana eucaristica” o delle “giornate eucaristiche” all’adorazione, la riflessione e la preghiera nelle parrocchie. Si tratta di forme di pietà eucaristica che hanno anche finalità di espiazione e propiziazione, come insegna san Giovanni Paolo II in Mane nobiscum Domine: «Restiamo prostrati a lungo davanti a Gesù presente nell’Eucaristia, riparando con la nostra fede e il nostro amore le trascuratezze, le dimenticanze e persino gli oltraggi che il nostro Salvatore deve subire in tante parti del mondo». Testi utili Devotamente ti adoro, divinità nascosta, che davvero ti celi sotto questi segni. Tutto il mio cuore s’inchina e si dona, perché tutto il mio cuore si perde contemplandoti. Tutti i miei sensi s’ingannano, tuttavia io credo sicuro alla testimonianza della tua parola. Credo a tutto ciò che ha detto 8 il figlio di Dio; è lui la verità che non può ingannare. (Dall’inno Adoro te devote, attribuito a SAN TOMMASO D’AQUINO) Se i mondani ti chiederanno perché ti comunichi così spesso, dirai loro che è per imparare ad amare Dio, e purificarti delle tue imperfezioni; per liberarti dalle tue miserie, e trovare conforto nelle tribolazioni e nelle tue debolezze. (SAN FRANCESCO DI SALES) Come Gesù può distribuire il suo Corpo e il suo Sangue? Facendo del pane il suo Corpo e del vino il suo Sangue, Egli anticipa la sua morte, l’accetta nel suo intimo e la trasforma in un’azione di amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale - la crocifissione -, dall’interno diventa un atto di un amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28). Già da sempre tutti gli uomini in qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una trasformazione del mondo. Ora questo è l’atto centrale di trasformazione che solo è in grado di rinnovare veramente il mondo: la violenza si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Poiché questo atto tramuta la morte in amore, la morte come tale è già dal suo interno superata, è già presente in essa la risurrezione. La morte è, per così dire, intimamente ferita, così che non può più essere lei l’ultima parola. È questa, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere – la vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo. Tutti gli altri cambiamenti rimangono superficiali e non salvano. Per questo parliamo di redenzione: quello che dal più intimo era necessario è avvenuto, e noi possiamo entrare in questo dinamismo. Gesù può distribuire il suo Corpo, perché realmente dona se stesso. Questa prima fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l’unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa sola. L’adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo. (BENEDETTO XVI) 9 Terza catechesi EUCARISTIA E CHIESA MISSIONARIA Suggerimenti Un capitolo rilevante di L’Eucaristia sorgente della missione è dedicato a come l’Eucaristia propizia e realizza la “trasformazione” missionaria della Chiesa. In questa proposta catechistica suggeriamo di riscoprire la dimensione missionaria della celebrazione eucaristica con particolare riferimento alla domenica, il giorno del Signore. Riferimenti Gv 20,19-29 CCC 1397 CdA 697 COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI NAZIONALI, L’Eucaristia sorgente della missione, pp. 2224. Elementi di contenuto La finalità dell’Eucaristia Alla luce delle catechesi precedenti, possiamo chiederci: qual è lo scopo per cui il Signore ha istituito l’Eucaristia? Lo scopo è di realizzare la partecipazione degli uomini al suo sacrificio, offerto una volta per tutte sulla croce. Insomma l’Eucaristia c’è per “fare” la Chiesa, cioè per costruirla, per edificarla. In effetti, nella sua dimensione più profonda, la Chiesa è proprio questo: la comunione degli uomini con Gesù Cristo e con il suo sacrificio e – in Cristo – la comunione degli uomini fra loro. Ed è proprio l’Eucaristia che realizza questa comunione. È dunque vero che la Chiesa fa l’eucaristia, nel senso che la celebra: se infatti non ci fosse una comunità cristiana che celebra l’eucaristia, non ci potrebbe essere l’eucaristia. D’altra parte, però, è ancora più vera l’affermazione secondo cui l’Eucaristia fa la Chiesa: ciò significa che il sacrificio di Cristo, reso attuale nella celebrazione eucaristica, attira a sé gli uomini costituendoli come Chiesa, cioè come popolo che vive la stessa carità che ha portato il Signore a dare la vita sulla croce. Insegnava il teologo Giuseppe Colombo: «Non è l’Eucaristia ad appartenere alla Chiesa, è la Chiesa che “appartiene” all’Eucaristia. Se infatti l’Eucaristia è Gesù Cristo in persona… non si può concludere che l’Eucaristia appartiene alla Chiesa, perché Gesù Cristo non appartiene alla Chiesa, ma viceversa è la Chiesa che appartiene a Gesù Cristo. Effettivamente non è la Chiesa a “fare” l’Eucaristia, ma viceversa è l’Eucaristia a fare la Chiesa». E il suo discepolo Pierpaolo Caspani afferma, in questa linea, che «la Messa non raggiunge il suo scopo quando il pane e il vino diventano il corpo e il sangue di Cristo. La Messa raggiunge il suo scopo quando coloro che comunicano al corpo e al sangue di Cristo diventano essi stessi il corpo di Cristo che è la Chiesa». La comunione eucaristica, quindi, non è semplicemente una visita individuale del Signore nei confronti di chi lo riceve («Gesù che viene nel mio cuore»); si tratta invece del Signore che, unendoci a sé, ci unisce fra noi nella condivisione della sua capacità di amare fino alla fine. Se dunque vogliamo che il nostro accostarci alla comunione sia veritiero e autentico, andiamo alla comunione col desiderio di superare ogni atteggiamento che possa compromettere l’unità del Corpo di Cristo che è la Chiesa. 10 La domenica, giorno del Risorto e della Chiesa Tutti sanno che ogni giorno è possibile celebrare Messa e alcuni cristiani vi partecipano quotidianamente o almeno alcuni giorni lungo la settimana. Ma è assolutamente necessario che questo si compia di domenica, nel giorno del Signore. Tale è del resto la testimonianza che riceviamo costantemente fin dal Nuovo Testamento e dai primi secoli cristiani. Scrive per esempio san Giustino, nella sua Prima Apologia: «Ci raduniamo tutti insieme nel giorno del Sole, sia perché questo è il primo giorno in cui Dio, volgendo in fuga le tenebre e il caos, creò il mondo, sia perché Gesù Cristo nostro Salvatore risuscitò dai morti nel medesimo giorno. Lo crocifissero infatti nel giorno precedente quello di Saturno e l'indomani di quel medesimo giorno, cioè nel giorno del Sole, essendo apparso ai suoi apostoli e ai discepoli, insegnò quelle cose che vi abbiamo trasmesso perché le prendiate in seria considerazione». Non è un caso, del resto, che ancora oggi si sente definire il cristiano – almeno, da parte di chi guarda le cose dall’esterno – come “uno che va a messa la domenica”. La scelta del giorno in cui fare memoria del Signore è stata chiaramente suggerita da Cristo stesso. Nel primo giorno dopo il sabato – quello della risurrezione – egli si è manifestato più volte agli apostoli riuniti, precisamente quando erano a mensa: la sera di Pasqua e otto giorni dopo, con la presenza anche di Tommaso. Da allora fino ad oggi, ogni otto giorni, la Chiesa non ha mai cessato di riunirsi in assemblea nel giorno del Risorto, per fare memoria, con l’ascolto della Parola e partecipando alla mensa eucaristica, del mistero pasquale, cioè della morte e della risurrezione del suo Signore. Almeno a partire dal IV secolo dell’era cristiana, la domenica si caratterizza pertanto come giorno “festivo”, di riposo, dedicato alla lode e al rendimento di grazie per l’opera e per il dono della salvezza. È perciò un giorno di esultanza, in cui si esprime la gioia pasquale. Non si tratta perciò di un riposo “vuoto”, di una semplice pausa tra due momenti momenti di lavoro, di uno spazio ambiguo posto alla fine della settimana (il week end), ma di un tempo che deve esprimere in maniera esemplare cosa significa per il cristiano essere reso partecipe della forza rigenerante che proviene dall’incontro col Risorto. Tuttavia la domenica non è solo il giorno del Signore risorto: è insieme il giorno della Chiesa riunita per celebrare l’Eucaristia. Tutta la Chiesa: un’assemblea in profonda comunione di fede, aperta e sollecita, che fa memoria degli assenti e si prende cura dei malati, ai quali i ministri recano il pane consacrato. Come affermava san Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte: «Nel secolo XX, specie dal Concilio in poi, molto è cresciuta la comunità cristiana nel modo di celebrare i Sacramenti e soprattutto l’Eucaristia. Occorre insistere in questa direzione, dando particolare rilievo all’Eucaristia domenicale e alla stessa domenica, sentita come giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana». La testimonianza di Giustino: non solo i ricchi ma anche i poveri Abbiamo già avuto modo di richiamare la lettera scritta dall’apologista Giustino all’imperatore romano Antonino Pio, detta Prima Apologia. Tra gli elementi che rendono interessante questa antica testimonianza vi è la possibilità di capire che alla celebrazione eucaristica seguiva il momento della carità fraterna, della solidarietà concreta e tangibile. Leggiamo: «I ricchi e i generosi spontaneamente danno ciò che vogliono; quanto è raccolto viene consegnato a chi presiede, il quale aiuta gli orfani, le vedove, i bisognosi per malattie o altro, i detenuti, i forestieri capitati: egli, insomma, soccorre chiunque si trovi nel bisogno». Insomma dall’Eucaristia fiorisce naturalmente la carità. Descrizioni analoghe si trovano in altri testi antichi dei Padri della Chiesa. In pratica: non solo i sani ma i malati L’attenzione testimoniata da san Giustino si può vedere oggi si può vedere nelle nostre comunità cristiana in più modi. Il primo è l’attenzione alle collette, alle raccolte, ai bisogni concreti del quartiere, del territorio diocesano, del mondo. Mentre si celebra il massimo segno della carità di Cristo, non è possibile 11 dimenticare i poveri. Ecco perché, fin dalle origini, l’assemblea domenicale è stata considerata il luogo più proprio per esprimere il servizio della Chiesa verso i bisognosi. Davvero l’Eucaristia domenicale non si conclude entro la mura della chiesa, ma fonda la missione della Chiesa, diventando per tutti i cristiani impegno di testimonianza e servizio di carità. Un secondo modo è la comunione agli anziani e ai malati. Anche questo è un elemento tradizionale. Dalle testimonianze degli autori antichi fino a oggi emerge che i malati e gli anziani impossibilitati a partecipare alla Messa non erano dimenticati dalla comunità cristiana. Ancora il filosofo cristiano Giustino descrive il momento della comunione al pane e al vino nel II secolo dicendo che «a ciascuno dei presenti si distribuiscono e si partecipano gli elementi sui quali furono rese grazie, mentre i medesimi sono mandati agli assenti per mano dei diaconi». Anche oggi è consueto che i malati vengano visitati di tanto in tanto dai sacerdoti, per un colloquio spirituale e per celebrare la riconciliazione, mentre la comunione può essere recata anche ogni domenica al malato che ne faccia richiesta. Esiste un rito apposito, che viene presieduto dal diacono o da un ministro straordinario dell’Eucaristia (uomo o donna incaricato di tale servizio). È molto significativa la consuetudine di alcune comunità parrocchiali di dare ai ministri dell’Eucaristia al termine della Messa comunitaria la particola consacrata da portare al malato. Testi utili Signore Gesù, fa’ che io ti ami con amore puro e fervente; fa’ che io ti ami con un’intensità ancora più grande di quelle, con cui gli uomini del mondo amano le cose loro. Fa’ che io abbia nell’amarti quella stessa tenerezza e quella stessa costanza che è così ammirata nell’amore terreno. Fa’ che io senta che tu sei la mia sola gioia, il mio solo rifugio, la mia sola forza, la mia sola speranza e il mio unico amore. (BEATO JOHN HENRY NEWMAN) Gli apostoli, accogliendo nel Cenacolo l’invito di Gesù: «Prendete e mangiate… Bevetene tutti» sono entrati per la prima volta in comunione sacramentale con lui. Da quel momento fino alla fine dei secoli, la Chiesa si edifica mediante la comunione sacramentale col Figlio di Dio immolato per noi: «Fate questo in memoria di me… fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 12 (SAN GIOVANNI PAOLO II, enciclica Ecclesia de Eucharistia) La domenica, la partecipazione all’Eucaristia ha un’importanza particolare. Questo giorno, così come il sabato ebraico, si offre quale giorno del risanamento delle relazioni dell’essere umano con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il mondo. La domenica è il giorno della Risurrezione, il “primo giorno” della nuova creazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore, garanzia della trasfigurazione finale di tutta la realtà creata. Inoltre, questo giorno annuncia «il riposo eterno dell’uomo in Dio». In tal modo, la spiritualità cristiana integra il valore del riposo e della festa. L’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all’ambito dello sterile e dell’inutile, dimenticando che così si toglie all’opera che si compie la cosa più importante: il suo significato. Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte della nostra essenza. In questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenata voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale. La legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dal lavoro nel settimo giorno, «perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero» (Es 23,12). Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri. (FRANCESCO, Laudato si’) Quarta catechesi CON IL DONO DI DIO AL SERVIZIO DELLA “CASA COMUNE” Suggerimenti Tra gli aspetti considerati dal documento del Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali vi sono i legami familiari, l’educazione e infine ambiente, ecologia integrale e lavoro. Questa scheda catechistica è dedicata precisamente all’ultimo dei tre aspetti, lasciando alla creatività delle realtà locali di riprendere la tematica familiare e quella educativa. Riferimenti Gen 1-2 CCC 1370; 2175 CdA 11; 1114; 1140-1143 FRANCESCO, Laudato Si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune (2015) COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI NAZIONALI, L’Eucaristia sorgente della missione, pp. 3437. Elementi di contenuto Dalla Pasqua e tra la gente Nella preghiera eucaristica di san Basilio, si invoca: «Riempi, Signore, le dispense di ogni bene; conserva le unioni coniugali nella pace e nella concordia; alleva i bimbi, educa i giovani, fortifica gli anziani… prendi cura delle vedove, proteggi gli orfani, libera i prigionieri, guarisci gli ammalati. Nell’ultimo capitolo del documento L’Eucaristia sorgente della missione si tratta di ciò che i 13 credenti sono invitati a compiere, nel mondo, con il dono di Dio. L’Eucaristia infatti non sottrae dalla scena della storia, non chiude il cristiano nel tempio, come qualcuno sembra temere. Al contrario, l’Eucaristia dischiude gli occhi, muove il cuore e i passi, invita ad aprire le mani, rende operosa l’intera esistenza dei credenti. L’ultimo dialogo della celebrazione suona infatti così, secondo una delle previste: «Nel nome del Signore, andate in pace». Infatti nel nome del Signore – del Signore risorto e vivo la cui presenza hanno incontrato nella celebrazione e nella comunione eucaristica – i fedeli non rimangono ma vanno, in pace, a compiere ciò che il Signore loro affida. In questa linea vanno comprese pure le parole finali che il sacerdote recita alla consacrazione: «Fate questo in memoria di me». Non si tratta di ripetere il gesto rituale in se stesso («Fate questo») ma di rivivere ogni giorno il senso dell’eucaristia, il dono della vita, a immagine di ciò che Gesù ha compiuto sulla croce e che l’eucaristia permette di rivivere. Non è dunque, quella di Gesù ripetuta dal ministro, una frase che dà l’appuntamento alla prossima messa, bensì un invito a prolungare la messa nella vita, a cogliere nell’Eucaristia l’offerta di sé che poi uno vive nei vari momenti della settimana. E così la liturgia diventa esistenza, il sacramento si prolunga nella vita. Martin Lutero, nella sua Prefazione alla Lettera ai Romani, spiega che nel dodicesimo capitolo di quello scritto apostolico san Paolo «insegna il giusto culto divino e fa di tutti i cristiani dei sacerdoti, poiché essi devono sacrificare, non denaro o bestiame come nella legge, ma i loro propri corpi uccidendo i desideri». Cuore e azione La celebrazione invia nel mondo. Il dono di sé diventa la misura del credente. Ed è un donarsi che non assume solo connotazioni individuali: è in gioco la società, la famiglia umana, il pianeta che abitiamo. No quindi all’individualismo, no alla brama di potere, no all’asservimento del prossimo e dello stesso creato. A questo proposito papa Francesco insegna che «molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare» (FRANCESCO, Laudato Si’ 202); un’ecologia integrale infrange «la coscienza isolata e l’autoreferenzialità» (Laudato Si’ 208);. Egli propone una trattazione per molti versi spiazzante, tesa a suscitare azioni che possano alimentare nuova speranza. La speranza di un altro mondo, un mondo però possibile, cui si può essere educati, che va accolto ma insieme realizzato (secondo il binomio “custodire”/”coltivare” che compare in Gen 2). Si tratta infatti di una «casa comune», e dunque offerta alla capacità di ognuno di accogliere il creato e gli altri. L’ecologia così come è intesa da papa Francesco parte dal cuore dell’uomo e poi si fa azione. E ha a che fare con una identità complessiva, con quella che è la “vocazione” propria del soggetto. Proteggere l’ambiente è lasciarsi ferire da interrogativi di fondo sul modo di produrre, di consumare, di lavorare, di abitare, di investire le risorse, di gestire il tempo, di sfruttare lo spazio a disposizione di ciascuno. È quindi operazione che chiama in causa il vivere nella società e l’essere parte della Chiesa. Armonia e spiritualità Non a caso il Vescovo di Roma chiede una vera opera educativa, senza la quale non si giunge a un’ecologia integrale, o – per richiamare un termine impiegato più volte nell’enciclica – a una vera armonia della persona nel mondo. È in questione l’essere del cittadino-credente, ovvero tutto ciò che ha a che fare con l’identità della persona in formazione. Ecco perché Francesco propone una spiritualità ecologica, il cui fine è molto alto: «L’ideale non è solo passare dall’esteriorità all’interiorità per scoprire l’azione di Dio nell’anima, ma anche arrivare a incontrarlo in tutte le cose» (Laudato si’ 233). A tema vi è una reale conversione (cf p. es. Laudato si’ 221). A questo punto il rimando all’Eucaristia è dovuto al fatto che «attraverso il culto siamo invitati ad abbracciare il mondo su un piano diverso» (Laudato si’ 235). E precisamente «nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra 14 intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio» (Laudato si’ 236). E qui, riecheggiando importanti autori del XX secolo, il papa sostiene che «l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico», celebrato sull’altare del mondo. «L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione» (ibid.). Una testimonianza antica: la descrizione della Didachè L’attenzione al rapporto natura-Eucaristia non è solo dei nostri giorni. Tra i testi antichi che ci dicono come i cristiani dei primi secoli vivevano la domenica e l’Eucaristia si segnala un libretto, intitolato Didachè (dottrina), che sembra risalire al primo secolo dopo Cristo e collocarsi in Siria. Tra le varie cose, questo testo ci consegna la preghiera dei cristiani di allora sul calice: «Ti ringraziamo, o Padre nostro, per la santa vite di Davide tuo servo»: questa vite significa Gesù e il vino del banchetto eucaristico. Di fronte al pane spezzato, poi, dicono: «Ti ringraziamo, o Padre Nostro, per la vita e la conoscenza, che ci hai rivelato mediante Gesù». Segue a questo punto una preghiera per la Chiesa in cui è utilizzato il simbolo delle messi maturate al sole: «Come questo pane spezzato era sparso sui colli e, raccolto, è diventato una cosa sola, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno» (Didachè 9). In pratica: processioni e congressi eucaristici Tra le forme caratteristiche della spiritualità cristiana vi è quella delle processioni eucaristiche, che si diffondono nelle nostre città e nei nostri paesi in epoca medievale. In occasione della solennità del Corpus Domini, o di altre particolari feste della comunità, si usa portare per le vie l’Eucaristia, mediante un contenitore particolarmente ornato e prezioso, l’ostensorio, che protegge il pane consacrato e insieme permette ai fedeli di vederlo. La processione si snoda lungo le vie del paese o della città; se siamo in contesto di campagna o di montagna, anche lungo le zone dei campi, assumendo talvolta la forma di benedizione delle messi e di invocazione del bel tempo o della pioggia. Nella preghiera eucaristica di san Basilio si dice: «Ricordati, Signore, anche della salvezza di questa nostra città, e di coloro che nella fede di Dio abitano in essa. Ricordati, Signore, del clima e dei frutti della terra. Ricordati, Signore, delle piogge e delle sementi della terra». Nate nel medioevo, le processioni si sviluppano nel periodo successivo al Concilio di Trento e in secoli più vicini a noi diventano proclamazione coraggiosa della fede cristiana in un contesto segnato dalla reazione irreligiosa e anticlericale. Anche oggi le processioni eucaristiche possono corrispondere al desiderio di una religiosità che non si traduce solo in riflessioni intellettuali o in atteggiamenti personali ed intimi. Una espressione comunitaria e itinerante di fede manifesta ai fedeli stessi e a tutti coloro che la incontrano che la Chiesa si pone sempre in cammino con Gesù, suo maestro e guida. Anzi, proprio per questo, si potrebbe dire che più che essere i cristiani a “portare Gesù” per le strade, è Gesù che li guida per le strade del loro paese o della loro città, desideroso che ogni persona conosca il Vangelo e la misericordia del Signore. In questa linea di una testimonianza visibile della fede nell’Eucaristia si possono comprendere anche i congressi eucaristici, una manifestazione pubblica nata nella Francia nel XIX secolo, in una società che si voleva sempre più razionalistica e irreligiosa. All’origine sta il culto della presenza reale del sacrificio di Cristo ma anche l’intenzione di reagire a questo clima anticristiano con una manifestazione pubblica di fede. Poco alla volta l’iniziativa si estese oltre la Francia a livello internazionale. Fu così che dai primi anni del XX secolo si sono succeduti i congressi eucaristici internazionali, a scadenze diverse e in diverse parti del mondo, con il sostegno dei Pontefici e degli episcopati locali. Accanto ai congressi internazionali non sono mancati quelli nazionali o diocesani, 15 sempre con l’intenzione di chiamare a raccolta intorno all’Eucaristia tutto il popolo di Dio. Nell’istruzione Eucharisticum Mysterium del 1967 si legge: «Nei congressi eucaristici i fedeli si applichino ad approfondire la conoscenza di questo santo mistero, considerandolo nei suoi vari aspetti. Lo celebrino poi secondo le norme del concilio Vaticano II e lo venerino prolungando privatamente la preghiera, e con pii esercizi, e soprattutto nella processione solenne, badando, tuttavia, che tutte le forme di pietà tocchino il loro culmine nella solenne celebrazione della Messa». Testi utili A noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito. (Messale Romano, Preghiera eucaristica III) Si viva… con particolare fervore la solennità del Corpus Domini con la tradizionale processione. La fede nel Dio che, incarnandosi, si è fatto compagno di viaggio sia proclamata dovunque e particolarmente per le nostre strade e fra le nostre case, quale espressione del nostro grato amore e fonte di inesauribile benedizione. (SAN GIOVANNI PAOLO II, Mane nobiscum Domine) Signore Dio, Uno e Trino, comunità stupenda di amore infinito, insegnaci a contemplarti nella bellezza dell’universo, dove tutto ci parla di te. Risveglia la nostra lode e la nostra gratitudine per ogni essere che hai creato. Donaci la grazia di sentirci intimamente uniti con tutto ciò che esiste. Dio d’amore, mostraci il nostro posto in questo mondo come strumenti del tuo affetto per tutti gli esseri di questa terra, perché nemmeno uno di essi è dimenticato da te. Illumina i padroni del potere e del denaro perché non cadano nel peccato dell’indifferenza, amino il bene comune, promuovano i deboli, e abbiano cura di questo mondo che abitiamo. I poveri e la terra stanno gridando: Signore, prendi noi col tuo potere e la tua luce, per proteggere ogni vita, 16 per preparare un futuro migliore, affinché venga il tuo Regno di giustizia, di pace, di amore e di bellezza. Laudato si’! Amen. (FRANCESCO, Laudato si’) 17