M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
ANALISI DELLE UNITÀ FORMATIVE MODULARI
di Pasquale Calaminici e Pietro Cappè
Genesi, esperienze di implementazione e descrizione della sua struttura attuale
Verrà qui descritto, nelle sue linee essenziali, il lavoro di riflessione, di ricerca e
di sperimentazione, svolto in area piemontese, con l’intento di individuare le
caratteristiche di un modello didattico per l’EDA, in relazione alle esigenze di
rinnovamento, strutturale e metodologico, introdotte dall’istituzione dei Centri
Territoriali Permanenti.
Supporto all’innovazione richiesta dalla O.M. n° 455
L’istituzione dei CTP ha aperto una nuova fase nell’educazione di base degli
adulti.
Queste strutture hanno certamente ereditato le funzioni svolte per lunghi anni
dai corsi 150 ore, ma nello stesso tempo sono inserite in un processo di
trasformazione, sia sul piano quantitativo che sul piano qualitativo, dell’offerta di
istruzione e formazione destinata al pubblico adulto.
L’O.M. n° 455, il dispositivo che nel 1997 ha avviato tale processo, definisce,
nell’Art. 1, le seguenti caratteristiche dei CTP:
I Centri si configurano come luoghi di lettura dei bisogni, di progettazione,
di concertazione, di attivazione e di governo delle iniziative di istruzione e
formazione in età adulta, nonché di raccolta e diffusione della documentazione.
I Centri coordinano le offerte di istruzione e formazione programmate sul
territorio, organizzate verticalmente nel sistema scolastico e orizzontalmente con
le altre agenzie formative per dare adeguata risposta alla domanda proveniente
sia dal singolo, che da istituzioni o dal mondo dal lavoro.
Nell’Art.2 vengono poi indicati i seguenti obiettivi:
Ogni Centro predispone un servizio finalizzato a coniugare il diritto
all'istruzione con il diritto all'orientamento ed al riorientamento e alla formazione
professionale. In tale contesto si prefigurano pertanto, interrelati fra loro,
obiettivi di alfabetizzazione culturale e funzionale, consolidamento e promozione
culturale, rimotivazione e riorientamento, acquisizione e consolidamento di
conoscenze
e
competenze
specifiche,
pre-professionalizzazione
e/o
riqualificazione professionale.
Accanto alle innovazioni di carattere strutturale/organizzativo, la stessa O.M.
455 fornisce anche indicazioni che hanno valenza di innovazioni pedagogica,
volte cioè a sollecitare l’elaborazione di un nuovo modello formativo. Ecco ad
esempio come vengono definiti, nell’Art. 6 i “compiti degli insegnanti”:
-
attività di accoglienza e ascolto;
-
analisi dei bisogni dei singoli utenti;
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ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
definizione di itinerari formativi che identifichino obiettivi riconoscibili sulla
base delle situazioni individuali dei soggetti, delle risorse, delle strutture e delle
competenze disponibili;
attuazione di specifici interventi, come articolazione del progetto definito
con il singolo, attraverso gruppi di interesse, di approfondimento, attività
individualizzata ed altro;
-
azioni di tutoraggio e di valutazione individuale.
Per rispondere a tali esigenze di innovazione, la sezione educazione permanente
dell’Irrsae Piemonte ha avviato una serie di iniziative:
Laboratori Territoriali di Progettazione, Gruppi di ricerca e sperimentazione,
creazione di un Sito web (retectp.it) con caratteristiche che consentono il lavoro
cooperativo a distanza tra gli insegnanti, un Tavolo di lavoro su “Modularità e
crediti formativi”.
È all’interno di queste iniziative che prende corpo nell’a.s. 1999 - 2000 , presso il
CTP di Casale Monferrato, l’esperienza del progetto Polis, per il rientro nella
secondaria superiore di adulti, tra i 25 e i 40 anni, interessati a migliorare la
propria formazione e collocazione professionale.
Il progetto Polis è stato un primo importante laboratorio per la ideazione e
sperimentazione di percorsi formativi flessibili, in qualche modo individualizzati,
sulla base di unità formative modulari.
Per dare conto delle principali caratteristiche di questo progetto ne riportiamo
alcuni stralci:
La caratteristica di fondo del progetto Polis è quella di essere frutto di un lavoro
collettivo di soggetti diversi che riconoscono il CTP come luogo di concertazione
delle iniziative in materia di educazione degli adulti.
Il CTP, sulla base delle analisi dei bisogni formativi della popolazione del casalese
condotte dal CILO (Centro di Iniziativa Locale sull’Occupazione – Assessorato al
lavoro del Comune di Casale) ha ritenuto opportuno promuovere un tavolo di
concertazione con la partecipazione degli Assessori al lavoro e alla pubblica
istruzione, dei dirigenti delle scuole superiori, di rappresentanti del mondo del
lavoro (Organizzazioni Sindacali, Unione Industriali, Confartigianato, Direzione
Servizi Socioassistenziali ASL 21) e della Formazione Professionale.
Gli esponenti del mondo del lavoro hanno contribuito illustrando i profili
professionali aggiornati richiesti dalle aziende, puntualizzando le competenze
necessarie per un proficuo inserimento nella realtà lavorativa; i presidi delle
scuole superiori hanno indicato il percorso formativo possibile, tenendo conto
delle indicazioni contenute nella normativa vigente, ed hanno indicato i docenti
competenti presenti nei rispettivi istituti in grado di partecipare alla
programmazione ed alla realizzazione delle attività didattiche …
Si è costituito un Gruppo di Progetto formato da docenti del CTP, docenti della
scuola superiore, della formazione professionale, un esperto dell’IRRSAE
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Piemonte, che ha assunto il ruolo di coordinamento del gruppo, inserendolo nelle
attività del progetto F.A.Re.
La sperimentazione si propone prioritariamente due obiettivi:
ƒ Dare una opportunità (soprattutto a giovani adulti che hanno abbandonato il
regolare percorso formativo senza conseguire titoli o qualifiche) di rientro in
formazione, sia per sviluppare il proprio bagaglio culturale sia per migliorare il
livello di occupabilità, attraverso:
a) un percorso di potenziamento delle capacità di base e di riorientamento
professionale, che può avere come sbocco l’idoneità al terzo anno dell’istruzione
secondaria superiore e una qualifica professionale regionale di primo livello;
b) il proseguimento in un percorso finalizzato al conseguimento di un diploma di
maturità.
ƒ Mettere in atto un modello di formazione di tipo modulare e flessibile, che
consenta
la
individualizzazione
dei
percorsi
sia
in
rapporto
a
interessi/conoscenze dei singoli utenti sia in rapporto alle loro disponibilità e
capacità di apprendimento. Non si tratta semplicemente di ridurre il numero di
anni necessari per giungere al conseguimento di titoli di studio, ma di
sperimentare itinerari diversi e alternativi a quelli tradizionali, ancora
sostanzialmente ancorati alla centralità dell’insegnante e all’apprendimento per
materie scandito in anni scolastici. Si tratta quindi di costruire itinerari che
puntino sul coinvolgimento attivo dei soggetti, facciano riferimento a
competenze e saperi da acquisire attraverso un sistema di unità capitalizzabili
(da costruire anche in rapporto alle caratteristiche di profili professionali
aggiornati) e riconoscano crediti formativi e di lavoro.
In rapporto agli obiettivi generali precedentemente delineati e alla rilevazione dei
bisogni formativi, si ipotizza un intervento formativo così articolato:
Percorso A - orientamento e formazione di base - (n° minimo di ore previste:
600) per adulti che hanno conseguito l’obbligo scolastico. Esso si propone:
- il potenziamento di abilità di base relative all’area linguistica, scientifica e
tecnologica, orientato al raggiungimento di una “nuova soglia” di alfabetismo
funzionale oggi necessario per mettere l’individuo in grado di agire nella vita
privata, nella società, nella propria professione e nel rapporto con una istituzione
educativa.
- l’acquisizione dei contenuti essenziali delle discipline dei due bienni di
riferimento individuati: istituto tecnico per periti meccanici e liceo socio-psicopedagogico. In particolare: elementi di diritto, economia, sociologia e psicologia.
Percorso B - formazione e istruzione superiore - (n° minimo di ore previste:
1500) per adulti che hanno l’idoneità al terzo anno di istruzione secondaria
superiore.
Articolato su un’area culturale comune ai due indirizzi individuati e su
insegnamenti specifici per ciascuno di essi.
È la parte più complessa del progetto, innanzitutto perché non si hanno
esperienze pregresse cui fare riferimento. Il gruppo di progettazione,
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
avvalendosi della collaborazione di esperti provenienti dal mondo della
formazione, del lavoro e dell’università, nonché del supporto di un Comitato
Scientifico, prendendo in considerazione dei profili professionali aggiornati, ha
elaborato le Unità Formative Modulari che costituiranno i segmenti del percorso.
Per entrambi i percorsi è stato indicato un numero complessivo di ore previste e
non la durata in anni scolastici, perché in un modello formativo di tipo modulare
ciò che conta è la scansione in segmenti/unità certificabili. Le unità e la
certificazione del possesso delle conoscenze e abilità ad esse corrispondenti sono
le vere tappe obbligate del percorso.
Ogni corsista sarà fornito di un Libretto Personale sul quale saranno annotati
tutti i crediti formativi, compresi quelli in ingresso, con relativa modalità di
valutazione. La certificazione rilasciata farà prioritariamente riferimento alle
competenze acquisite dal corsista durante il percorso formativo.
Nelle attività formative saranno coinvolti sia docenti del CTP, sia docenti degli
istituti superiori che partecipano alla sperimentazione, sia formatori ed esperti
provenienti dalla formazione professionale. …
Entrambi i percorsi avranno inizio con una fase di accoglienza che si concluderà
con la certificazione di eventuali crediti e la stipulazione di un patto formativo.
Questa fase iniziale è di particolare importanza perché serve ad introdurre alcuni
degli elementi portanti nella organizzazione del lavoro didattico. Primo fra tutti il
carattere processuale del modello formativo, che consiste sostanzialmente nel
far assumere alle persone responsabilità diretta nella gestione dei percorsi di
apprendimento, coinvolgendole nella diagnosi dei bisogni e nella formulazione
degli obiettivi del programma…
Conclusa questa fase, avrà inizio il lavoro con le Unità Formative Modulari. Ogni
singola unità forma un tutto, in modo che possa essere autonomamente
certificata e costituire così un credito formativo capitalizzabile.
Per dare un’idea del tipo di struttura modulare praticata nel progetto Polis,
riportiamo l’elenco delle unità formative individuate per il percorso A:
Unità Formative Modulari comuni ai due indirizzi:
UFM: LIB1 – LINGUA ITALIANA 1° livello -ORE 100
Elementi:
LIB1.1 Lettura e studio –ore 20
LIB1.2 Comprensione dei testi scritti –ore 22
LIB1.2.1 Tipologia di testi –ore 22
LIB1.3 Produzione di testi scritti -ore 36
LIB1.4 Riflessioni sulla lingua -ore 20
UFM: LIB2 – LINGUA ITALIANA 2° livello -ORE 50
Elementi:
LIB2.1 Analisi testi narrativi –ore 10
LIB2.2 Analisi testi poetici –ore 10
LIB2.3 Analisi testi argomentativi –ore 10
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MODELLI DI FORMAZIONE
LIB2.4 Produzione di testi scritti -ore 20
UFM: ST - STORIA - ORE 50
Elementi:
ST.1 Introduzione al ‘900 –ore 10
ST.2 Economia –ore 10
ST.3 Modelli di stato –ore 10
ST.4 Guerre, genocidi, diritti umani -ore 10
ST.5 La società e le idee -ore 10
UFM: LING1 – LINGUA INGLESE 1° livello -ORE 50
Elementi:
LING1.1 Meet people and start communicating -ore 10
LING1.2 Using numbers -ore 10
LING1.3 Describing people -ore 10
LING1.4 Social conversation -ore 10
LING1.5 Routine activities -ore 10
UFM: LING2 – LINGUA INGLESE 2° livello -ORE 50
Elementi:
LING2.1 Present activities -ore 10
LING2.2 Future activities -ore 10
LING2.3 Comparisons -ore 10
LING2.4 Past events -ore 10
LING2.5 Social expressions -ore 10
UFM: CMB1 – CONOSCENZE MATEMATICHE -base1 -ORE 50
CMB1.1 Numeri razionali -ore 25
CMB2.2 Monomi, polinomi, calcolo ed espressioni letterali -ore 25
UFM: CMB2 – CONOSCENZE MATEMATICHE –base2 -ORE 50
Elementi:
CMB2.1 Equazioni e sistemi di 1° -ore 10
CMB2.2 Disequazioni lineari -ore 10
CMB2.3 Radicali e potenze -ore 10
CMB2.4 Equazioni, disequazioni e sistemi di 2° -ore 20
UFM: IU1 – INFORMATICA UTENTE -1° livello -ORE 70
Elementi:
IU1.1 Il PC e il sistema operativo -ore 15
IU1.2 La videoscrittura -ore 20
IU1.3 Il foglio do calcolo -ore 20
IU1.4 Operare in rete -ore 15
UFM: EC – ECONOMIA DI BASE -ORE 35
Elementi:
EC 1 Concetti base del funzionamento dell’economia -ore 12
EC 2 Analizzare la disoccupazione -ore 6
EC 3 Ruolo dell’operatore pubblico -ore 6
EC 4 Rapporti economici internazionali -ore 6
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ANALISI DEI
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MODELLI DI FORMAZIONE
EC 5 Moneta e credito -ore 5
UFM: BIO – BIOLOGIA -ORE 20
Elementi:
BIO 1 Classificazione -ore 10
BIO 2 Caratteristiche organismi viventi -ore 10
Unità Formative Modulari specifiche:
UFM: SCS – SCIENZE SOCIALI -ORE 50
Elementi:
SCS 1 Psicologia generale -ore 15
SCS 2 Psicologia fisiologica -ore 10
SCS 3 Antropologia culturale -ore 10
SCS 4 Psicologia sociale -ore 15
UFM: FIS – FISICA -ORE 45
Elementi:
FIS 1 Misure e teorie degli errori -ore 9
FIS 2 Forze ed equilibrio -ore 8
FIS 3 Movimento-dinamica -ore 10
FIS 4 Equilibrio termico -ore 6
FIS 5 Equilibrio elettrostatico -ore 6
FIS 6 Magnetismo -ore 6
UFM: DTM – DISEGNO E TECNOLOGIA MECCANICA -ORE 45
Elementi:
DTM 1 Proiezioni ortogonali -ore 4
DTM 2 Sezioni -ore 4
DTM 3 Proiezioni assonometriche -ore 4
DTM 4 Quotatura -ore 4
DTM 5 Misure meccaniche -ore 16
DTM 6 Chimica dei materiali -ore 4
DTM 7 Materiali di impiego -ore 6
DTM 6 Metodi produttivi -ore 6
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ANALISI DEI
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Lo schema descrittivo utilizzato per la progettazione delle UFM è il seguente:
TITOLO dell’UFM:
PREREQUISITI:
la denominazione che viene data alla le competenze/conoscenze indispensabili che
UFM, che in qualche modo
bisogna già possedere
sintetizzi/richiami l’obiettivo
generale del modulo
OBIETTIVO GENERALE:
DURATA:
Corrisponde ad una delle “grandi
competenze” implicate dalle finalità
del percorso formativo individuale.
il numero di ore ragionevolmente previsto per lo
svolgimento della UFM
È un enunciato che esprime ciò che
deve essere capace di fare colui che
apprende.
COMPETENZE DA SVILUPPARE
CONTENUTI
MODALITÀ
FORMATIVE
MODALITÀ DI
VALUTAZIONE
Saperi
(conoscenze e
concetti)
attraverso i
quali verranno
sviluppate le
competenze.
Risorse
materiali e
umane,
tecniche e
strumenti che
si prevede di
utilizzare.
Metodi e
strumenti di
valutazione.
(articolazione dell’obiettivo generale
in competenze specifiche)
ovvero: le capacità che si ritiene
siano implicate dall’obiettivo
generale.
La descrizione avviene mediante
forme verbali all’infinito.
Ovvero: il
modello di
esperienze di
apprendiment
o progettato.
Criterio
generale: la
valutazione fa
parte integrante
del processo di
formazione.
Senza voler mettere in discussione la validità complessiva del progetto Polis, che
resta una delle esperienze pilota più interessanti sul versante del rientro in
formazione degli adulti nei canali della secondaria superiore, è qui utile, per
l’economia del nostro discorso, rilevarne alcuni aspetti critici.
Lo schema descrittivo delle unità modulari (molto simile a quello delle UFC del
modello Isfol) e la strutturazione dei percorsi formativi sperimentati rimandano
ad una concezione molto diffusa e a ben vedere semplicistica della modularità: la
segmentazione di un percorso più ampio in unità e sottounità minime, per
realizzare una certa “flessibilità”. Certo, un “modello di formazione di tipo
modulare” deve realizzare questo obiettivo, rendere organizzativamente
praticabile la predisposizione di percorsi in qualche modo differenziati e
consentire una strategia di crediti formativi. Ma è tutto qui? È solo di tipo
organizzativo l’innovazione che si vuole introdurre? In un’ottica più generale,
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
viene da porre alcune domande: in che misura l’impostazione prima descritta
tiene conto del “processo educativo” e in particolare dei “processi di
apprendimento”? La scomposizione analitica degli obiettivi individuati garantisce
di per sé che verranno raggiunti? In che misura una impostazione del genere
sfugge alla logica comportamentista della predeterminazione?
In conclusione: il modello UFM, per così dire di prima generazione, nella sua
impostazione e nei vari casi di implementazione (di cui l’esperienza Polis è un
esempio) non ha evitato una logica eccessivamente semplificatrice del processo
educativo e quindi il rischio di sbilanciare l’attenzione degli insegnanti verso la
costruzione, l’architettura, cioè verso le condizioni “esterne” del rapporto
educativo, a scapito delle condizioni “interne”.
Una impostazione del genere può anche funzionare ed avere buoni risultati,
come di fatto è successo nell’esperienza Polis, ma con soggetti fortemente
motivati.
Sul piano della elaborazione di “un modello” da generalizzare, avendo come
riferimento un pubblico adulto vasto e con caratteristiche di bassa scolarità si
rendevano necessarie ulteriori elaborazioni.
L’implementazione: richiesta del Ministero di dare impulso all’integrazione
All’inizio del 2000, gli orientamenti ministeriali che si potevano registrare in varie
occasioni di dibattito sul futuro dell’educazione degli adulti nel nostro paese
(convegni, seminari del progetto Fare, ecc) facevano intendere che si sarebbe
andati verso la costruzione di un vero e proprio “sistema integrato” per l’Eda,
frutto delle sinergie organizzative e culturali del mondo della scuola, della
formazione professionale e delle associazioni pubbliche e private che offrono
attività di educazione non formale agli adulti. Il nuovo sistema integrato avrebbe
avuto un suo epicentro, sul piano della gestione e programmazione, nelle realtà
locali. Integrazione diveniva, per così dire, la parola d’ordine, il parametro di
riferimento, sia nella organizzazione delle esperienze sia nella formulazione di
ipotesi per un modello formativo. Tale indirizzo venne ribadito ed assunto in
modo programmatico nell’Accordo Stato-Regioni del 2 marzo 2000 “Per
riorganizzare e potenziare l’educazione permanente degli adulti”. Tale
documento, oltre a disegnare l’architettura del costruendo sistema, formula
anche l’esigenza di dare vita ad un nuovo “modello formativo”, indicandone le
caratteristiche generali. Vi si legge, in primo luogo, l’affermazione che l’idea
guida è quella di competenza, “intesa come dimensione operativa della
formazione, uso finalizzato delle conoscenze, saper fare, organizzare, decidere”.
Sulla base di questa filosofia, il documento dedica poi un intero paragrafo alla
definizione del modello, ed espressamente recita:
“Il modello formativo si caratterizza per l’offerta di una molteplicità di percorsi
aperti e flessibili e di specifiche opportunità, al fine di essere centrato sulle
condizioni di partecipazione degli iscritti e favorire l'ingresso in formazione di
soggetti adulti di ogni età. Esso si caratterizza per la modularità dei percorsi e
per la flessibilità dei moduli che lo compongono, ognuno finito in sé e
riconosciuto, eventualmente, anche quale credito formativo dai soggetti coinvolti
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
sia per la prosecuzione degli studi (nel sistema scolastico e professionale) sia per
una professionalizzazione dell’individuo secondo una modalità di quantificazione
stabilita fra le istituzioni interessate ai fini della relativa esigibilità e basata su
standard minimi concertati a livello nazionale.
Rispetto alle attività previste dalla programmazione dell’offerta formativa definita
in sede di Comitato locale e rispondenti a criteri di qualità ed ai relativi standard
formativi previsti dal sistema, si potrà prevedere il riconoscimento di crediti ai
fini della riduzione del percorso scolastico o del percorso di professionalizzazione.
Potranno essere riconosciute competenze acquisite anche all’esterno delle
agenzie specializzate nell’istruzione e nella formazione professionale e, in
particolare, nelle agenzie la cui offerta è inclusa nei piani elaborati a livello
regionale e locale.”
Come si può vedere, accanto all’idea guida di competenza, la modularità dei
percorsi viene assunta come uno degli elementi cardine del nuovo modello. Il
documento del 2 marzo 2000 non da indicazioni specifiche sulla costruzione dei
percorsi e delle unità formative modulari. Tuttavia si può affermare che il
concetto di “modulo” cui si fa riferimento sembra essere quello di “unità
capitalizzabile”: esso forma un tutto che può essere autonomamente certificato,
può essere integrato con altri moduli in un itinerario di formazione più ampio e
personalizzato, può costituire un credito formativo, eventualmente spendibile
anche in altri segmenti del sistema.
Nel nostro paese, l’unica proposta organica per la realizzazione di un sistema
centrato su competenze e sviluppato sulla base di unità capitalizzabili e crediti
era quella formulata nel 1998 dall’Isfol per la formazione professionale.
Come è noto, la proposta Isfol si basa su due assunti di fondo.
Il primo è che ogni percorso formativo dovrebbe essere una particolare risultante
dell’intreccio di unità formative, piuttosto brevi, costruite in relazione a tre
tipologie di competenze: competenze di base, competenze trasversali,
competenze tecnico-professionali.
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Il secondo assunto è che ogni unità formativa viene costruita in base ad un
insieme di descrittori, riassumibili nel seguente schema:
TITOLO
PREREQUISITI:
La denominazione che viene data
alla Unità Capitalizzabile
di tipo formativo (titolo di studio, certificati di
frequenza, ecc) o di competenza necessari per
poter accedere al percorso
ADA
funzione-processo di riferimento
(per le unità tecnico-professionali)
RISULTATO ATTESO:
DURATA:
Esprime in forma sintetica
l’obiettivo generale e il risultato a
cui tende la UFC.
il numero di ore necessarie per un adeguato
sviluppo dei contenuti e per il perseguimento delle
competenze. Il criterio suggerito è che una UFC si
collochi in un range che va dalle 40 alle 120 ore.
ATTIVITÀ
Attività
fondamentali
riferite a
funzioniprocessicompetenze.
Si tratta
dell’elenco
delle attività
ai fini del
raggiungime
nto del
risultato
atteso. Tale
elenco
esprime un
insieme di
azioni
attraverso
l’uso di
forme verbali
all’infinito
COMPETENZE
Essere in grado di:
……
ovvero:
I diversi tipi di
competenze (di
base, tecnicoprofessionale,
trasversali)
necessarie per
l’efficace presidio
delle attività.
Le competenze
costituiscono nel
loro insieme gli
obiettivi della UFC,
da svilupparsi
affrontando i
contenuti con
specifiche modalità
formative.
MODALITÀ
CONTENUTI
FORMATIVE
MODALITÀ DI
VALUTAZIONE
Ambiti di
“sapere” sui
quali si
fondano le
competenze.
Il contesto
formativo
ritenuto più
idoneo per
l’apprendime
nto e/o lo
sviluppo
delle
competenze
presenti nella
UFC (es:
lezioni in
aula, stage,
simulazioni,
ecc.)
Metodi e
strumenti da
adottare per la
valutazione
dell’effettivo
raggiungimento
delle competenze.
Le modalità di
valutazione vanno
scelte in coerenza
con le
caratteristiche del
risultato atteso, la
tipologia di
competenze, i
contesti di
apprendimento.
Un contenuto,
preso a sé
stante, risulta
“generico” se
non viene
delimitato e
focalizzato dal
corrispondente
risultato
atteso. Tale
stretta
interazione
esige perciò
una forte
coerenza tra
competenza,
contenuti e
risultato
atteso.
Nel modello Isfol ogni unità formativa è capitalizzabile. È una unità-tipo di
formazione o standard formativo (nel nostro schema l’insieme di descrittori
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
posti nella parte destra) correlata ad un modello di competenza o unità di
competenza (l’insieme di descrittori nella parte sinistra).
Sulla base di questi assunti, l’Isfol ha costruito (per la formazione professionale)
un vasto repertorio di UFC.
Ovunque si sperimentassero percorsi formativi di tipo modulare, le UFC dell’Isfol
costituivano un modello col quale confrontarsi. In ambito Eda, del resto, era
l’obiettivo stesso dell’integrazione che postulava la necessità di un tale
confronto. Per quanto riguarda il modello UFM, che non aveva ancora
caratteristiche ben definite, l’occasione si è presentata verso la fine dell’a.s.
1999-2000, nel momento di verifica di una esperienza avviata con il CTP che
operava presso il carcere Le Vallette di Torino. Questo CTP aveva utilizzato il
modello UFM per la costruzione di un “Catalogo delle offerte formative” rivolte ai
detenuti. Anche questa esperienza, oltre a vari aspetti positivi presentava alcune
criticità, in parte simili a quelle rilevate nell’esperienza Polis ma rese più evidenti
per le particolarità dell’utenza coinvolta: adulti in situazione di pena e con bassi
livelli di scolarità.
Per una puntuale descrizione dell’esperienza rimandiamo al documento “Allegato
A”. Ci limitiamo qui a riportare alcune considerazioni sugli elementi di criticità
emersi:
… Le singole unità modulari presenti nel catalogo, all’inizio di ogni anno
scolastico, vengono fatte conoscere ai detenuti e con loro commentate e
discusse. Si crea un clima di maggiore consapevolezza e senso di responsabilità
tra i futuri allievi, i quali possono in anticipo avere una visione d’insieme (certo
parziale e ancora superficiale) delle difficoltà e degli obiettivi che il singolo
percorso culturale (già prefissato dal docente) comporta. È emerso tuttavia con
chiarezza che lo spazio di delega
al docente nel definire il modello di
competenze da raggiungere, le attività corrispondenti e il contenuto più
appropriato per esse risulta totale e l’allievo non ha voce in capitolo nello stadio
iniziale di elaborazione del catalogo. In altre parole, l’ipotesi di lavoro prevista
dal nostro Modello prima generazione non presupponeva ancora un
coinvolgimento del corsista in questa fase, cioè nella stesura delle unità
modulari; ne conseguiva quindi lo sfasamento tra una finalità educativa di
corresponsabilizzazione effettiva e non eterodiretta, da una parte, ed invece,
dall’altra, una pratica didattica, quella attuata dai docenti, la quale vedeva
l’esclusione degli allievi nel momento in cui venivano definite quali capacità essi
avrebbero dovuto sviluppare, quali compiti avrebbero dovuto saper svolgere e su
quali temi si sarebbero confrontati. Anche se è raro che la predeterminazione dei
risultati e soprattutto l’assenza dell’allievo nella fase di elaborazione degli stessi
vengano, da parte del corsista, segnalate come limiti da superare (mediamente,
il punto di vista dei nostri allievi nei confronti della Scuola attribuisce e affida
solo ed esclusivamente all’autorità del docente la scelta completa del percorso
d’apprendimento) gli allievi spesso avvertivano – e denunciavano in modo anche
molto esplicito - lo scarto esistente tra le loro aspettative ed intenzioni e le
attività e gli obbiettivi proposti-imposti dal docente. Altri due nodi fondamentali
del Modello di prima generazione sono stati fonte di riflessione e ripensamento.
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Il primo riguarda la sottovalutazione della metodologia cooperativistica (il gruppo
di lavoro e il lavoro del gruppo) come fattori essenziali della pedagogia degli
adulti. Il Modello non insisteva sull’importanza che riveste l’istanza cooperativa,
in una didattica di evoluzione dei punti di vista, di relativizzazione degli stessi, di
abbandono di posizioni preconcette e di schemi eccessivamente semplificatori.
Il secondo nodo riguarda la valutazione, rispetto alla quale il Modello non forniva
indicazioni precise, ma la cui rilevanza resta indubbia.
Ed è proprio dalla considerazione dei vari elementi di criticità emersi e, insieme,
della forte somiglianza degli schemi descrittivi delle UFM e delle UFC, che ha
preso avvio l’analisi e il confronto con il modello Isfol, nonché il successivo
lavoro di rielaborazione, volto a individuare le caratteristiche di un ”modello
didattico” specifico per l’Eda.
Se il modello UFM prima generazione aveva in qualche modo funzionato
nell’esperienza Polis, non altrettanto si poteva dire nell’esperienza Vallette. Nel
primo caso l’utenza di riferimento era costituita da giovani e adulti con discreti
livelli di partenza, in condizioni e, soprattutto, determinati nel seguire un
percorso formativo anche di tipo tradizionale (lezioni, studio individuale, ecc).
Nel secondo caso, invece, oltre a possedere in genere bassi livelli di partenza, gli
utenti avevano bisogno di essere orientati, di capire che cosa apprendere, a
quale scopo ecc. Nel primo caso, un parziale coinvolgimento degli allievi nella
definizione dei percorsi era stato sufficiente ad irrobustire una motivazione già
esistente. Nel secondo caso, il fenomeno della caduta di interesse per lo studio e
il fenomeno degli abbandoni avevano registrato tassi piuttosto elevati. Si
riproponeva uno dei nodi tipici dell’Eda: come affrontare il problema della
centralità dei soggetti, come strutturare un modello didattico che puntasse a
realizzare quelle “condizioni di partecipazione degli iscritti” richiamate anche dal
documento 2 marzo 2000. Era solo un problema di “accoglienza”? Come era
stata accolta e affrontata, nella nostra proposta-modello, la sfida a fare
dell’educazione degli adulti una occasione, come diceva Lindeman, per ricercare
e sperimentare nuove modalità educative?
La riflessione non poteva non considerare tutti gli aspetti del modello, compreso
il modo di concepire e di costruire le unità modulari. Quale modello pedagogico,
in modo più o meno esplicito, si suggeriva di praticare agli insegnanti? Ovvero,
quale modello pedagogico era presente nella modularità finora praticata?
Ponendosi queste domande si individuava, sia nel caso delle UFM che nel caso
delle UFC, una sostanziale riproposizione del modello obiettivi-risultati. Esso
andava dunque rivisitato criticamente.
Quel modello, come si sa, ha nel “risultato atteso” uno dei suoi costrutti
fondamentali: tutto quello che si fa nella pratica educativa è volto a “presidiare” i
risultati attesi. E ciò può avvenire solo se non si lascia nulla al caso, se si
predispongono dettagliatamente sequenze di obiettivi e di unità didattiche.
Una tale impostazione può essere praticata nell’educazione degli adulti? È in
armonia con alcune sue specificità, specie quando il pubblico adulto cui si fa
riferimento ha caratteristiche di scarsa scolarizzazione?
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Certamente il modello comporta una maggiore chiarezza nella definizione degli
obiettivi e ne favorisce la trasparenza, così come favorisce la comunicazione
all’interno di un sistema (se lo si usa, come nel caso dell’Isfol, per la definizione
di standard minimi omogenei a livello nazionale) e tra sistemi (proponendo di
centrare i percorsi sulle competenze dei soggetti più che su contenuti disciplinari
e materie); risponde in qualche modo ad esigenze di flessibilità dell’intervento
formativo. Ma presenta limiti intrinseci, ben rilevati da Maurizio Lichtner nel
volume La qualità delle azioni formative: “Pensare che un’azione formativa
debba svolgersi secondo lo schema obiettivi-risultati, dalla determinazione degli
obiettivi come anticipazione mentale dei risultati, alla predisposizione dei mezzi
per conseguirli, al conseguimento di ciò che era previsto, alla prova di
conformità tra risultati raggiunti e obiettivi inizialmente posti, significa
sovrapporre all’andamento reale dell’azione uno schema iper-razionale, che nella
sua irrealtà non ci permette di capire la effettiva logica del nostro modo di
procedere, l’unica praticabile e l’unica che può essere efficace (nelle azioni
formative come in tante altre nostre iniziative). Progettare e condurre un’azione
secondo questo schema … significa inibire o neutralizzare tutto ciò che potrebbe
emergere nella situazione formativa. … l’anticipazione e la predeterminazione
esaltano il potere decisionale individuale (del formatore o responsabile del
progetto), nel presupposto che i partecipanti all’attività formativa non possono
prendere, da parte loro, alcuna decisione sull’andamento delle cose. Si tratta di
una illusione di razionalità”.
Di fatto, da questo tipo di impianto, così come viene riproposto dall’Isfol, si
ricava una idea “tecnica” della flessibilità, non necessariamente legata
all’andamento reale del processo di apprendimento: ogni unità o modulo è
scomponibile in sotto unità o elementi ma tutto deve essere rigorosamente
previsto in fase di progettazione, e questa è interamente appannaggio dei
formatori o dei responsabili di progetto. La costruzione di ciascun programma di
apprendimento (ogni modulo è in sostanza un mini programma di
apprendimento) non prevede il coinvolgimento diretto dei soggetti che dovranno
poi realizzarlo. (Questo aspetto, invece, assume una particolare importanza in
ambito Eda, insieme alla possibilità che il programma possa subire variazioni e
adattamenti in corso d’opera.)
Alla luce di queste considerazioni, mantenendo ferma l’ottica di sviluppare
elementi di comunicazione, all’interno di uno stesso sistema e tra sistemi diversi,
si rendeva necessario rielaborare la nostra originaria proposta di modularità e
inserirla in un più organico modello didattico specifico per l’Eda.
Gli adulti con basso livello di scolarità come principale pubblico di riferimento
Da un lato la riflessione sull’esperienza delle Vallette, con gli elementi di criticità
che erano emersi, e, dell’altro, quella più generale sul modello pedagogico,
ponevano due ordini di questioni.
La prima: prestare maggiore attenzione alla fase dell’accoglienza ed assumerla
come momento cardine del modello didattico, soprattutto se il pubblico di
riferimento è costituito da adulti con basso livello di scolarità.
La seconda: ridefinire i parametri della modularità, considerando i moduli non
più come elementi rigidi, predefiniti, di un percorso più complessivo che può
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
essere invece flessibile, variamente articolato, perché costruito sulla base di un
catalogo/repertorio ampio di unità modulari.
Sono, a ben vedere, questioni in qualche modo già poste dallo stesso documento
2 marzo 2000 quando, definendo le caratteristiche del nuovo modello formativo,
afferma che esso deve “essere centrato sulle condizioni di partecipazione degli
iscritti” e che “si caratterizza per la modularità dei percorsi e per la flessibilità dei
moduli che lo compongono”.
Si trattava quindi di individuare modalità didattico operative specifiche, per dare
gambe a queste indicazioni di carattere generale. Era necessario però, prima di
tutto, avere ben chiaro l’intreccio concettuale tra i due ordini di questioni. Un
lavoro di riflessione, questo, che ha impegnato uno specifico gruppo di ricerca
del Tavolo Modularità. Quanto segue ne riassume in qualche modo le conclusioni.
Ponendo il vincolo delle “condizioni di partecipazione degli iscritti”, il documento
2 marzo 2000 sembra in sostanza farsi carico di un problema, rilevato ormai da
numerose ricerche: lo scarso accesso, soprattutto da parte dei soggetti adulti
con debole livello di scolarizzazione, alle varie opportunità formative che pure
vengono offerte, una partecipazione “debole” in quanto legata a fattori
motivazionali “estrinseci” e, infine, il diffuso fenomeno degli abbandoni. Un
problema che rimanda alla questione cruciale dell’analisi dei bisogni di
formazione e dell’orientamento. Un problema che, come si è visto, non può
essere risolto semplicemente pensando alla costruzione di un catalogo ampio e
articolato di offerte formative, che in qualche modo proponga contenuti conformi
a ciò che gli adulti desiderano.
A questo punto era opportuno chiedersi: quali sono le “condizioni di
partecipazione degli iscritti” cui il documento del 2 marzo 2000 si riferisce
definendole “centrali” per la costruzione di “percorsi aperti e flessibili” che
intendono “favorire l’ingresso in formazione di soggetti adulti di ogni età”?
Dalla riflessione sulle passate esperienze di educazione degli adulti (specie quelle
che riguardano pubblici con bassi livelli di scolarità) e considerando anche le
analisi svolte da vari studiosi, emergeva un quadro che può essere così
sintetizzato:
Gli adulti devono essere aiutati a prendere coscienza dei propri bisogni formativi
Ci sono tre concetti molto differenti tra loro: il concetto di bisogni, il concetto di
domande e il concetto di desideri. Seguiamo, su questo importante problema il
ragionamento svolto da B. Schwartz in una delle sue lezioni tenute nel 1987
all’Università di Padova:
Molto spesso le domande sono completamente differenti rispetto ai bisogni e ai
desideri: è una questione molto importante per i Centri per l’educazione degli
adulti. In che cosa i bisogni, i desideri e le domande si differenziano? E perché?
Almeno per due ragioni:
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
la prima è che spesso l’adulto non è cosciente dei suoi bisogni o è cosciente dei
suoi bisogni, ma questi non coincidono con i suoi desideri. Per esempio ho un
desiderio che consiste nel voler imparare come riparare la mia automobile, e non
ne so niente. Questo è un desiderio, non è un bisogno.
La prima causa della confusione fra i bisogni e i desideri è che è molto spesso
difficile per gli adulti essere capaci di definire i propri bisogni, e d’altra parte, è
difficile esprimere le domande e anche i desideri in termini di progetti di
formazione. Per esempio un operatore sociale è cosciente che gli tornerebbe
utile avere un perfezionamento, ma in quale contesto? In sociologia, ma quale?
In matematica, ma quale? Con quali finalità? È molto difficile per colui che non
sa niente decidere su quale contenuto imperniare la formazione.
La seconda ragione è più importante: è la vergogna di mostrare che non si sa. …
Spesso l’adulto tende ad accettare un corso in una materia che già conosce e
dobbiamo ammetterlo, dobbiamo acconsentire a che gli adulti comincino a
lavorare su temi che già conoscono.
La maggior parte dei metodi cosiddetti di “analisi dei bisogni” sono inadeguati. Ci
sono tre tipi di metodi.
Il primo è quello “del catalogo” …
Il secondo è quello “della discussione individuale” …
Il terzo è quello “dell’indagine attraverso questionari” …
Poiché questi metodi spesso sono inadeguati (perché non coinvolgono
realmente) io ho utilizzato un quarto metodo, quello “dell’unità di orientamento”:
vi è una discussione, in gruppo, per cercare di capire quali sono i bisogni, ma
anche per permettere una prima fase di formazione. … per
rispondere all’esigenza da parte degli adulti di poter scegliere in modo migliore i
contenuti che desiderano seguire, di individuare e mettere a fuoco le relazioni tra
i loro bisogni e i loro desideri, ma anche di migliorare il modo per definire il loro
cammino … gli adulti devono avere la possibilità di partecipare alla definizione
degli obiettivi e dei metodi di valutazione. … L’unità di orientamento serve per
aiutare l’adulto a definirsi, per aiutarlo a scegliere da dove cominciare,
consentendogli di approfittare di una pedagogia di sostegno.
Un adulto accetta di formarsi se trova nella formazione una risposta ai suoi
problemi reali, quotidiani
Poco si adattano all’educazione degli adulti i curricoli scolastici standardizzati.
La proposta, ad esempio, di una generica formazione di base, su temi astratti,
definiti a tavolino (per quanto ampio e articolato possa essere il catalogo delle
offerte che sono state pensate) difficilmente risponderà in modo adeguato a
questa condizione. Scriveva, a questo proposito, E. C. Lindeman (The meaning
of adult education, Chicago,1926):
… l’approccio alla formazione degli adulti avverrà attraverso delle situazioni, non
delle materie. Il nostro sistema scolastico è cresciuto in senso inverso: materie e
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
insegnanti costituiscono il punto di partenza, gli studenti vengono in
second’ordine. Nell’istruzione tradizionale allo studente si richiede di adattarsi ad
un curricolo prestabilito; nella formazione degli adulti il curricolo è costruito
intorno ai bisogni e agli interessi dello studente. Ogni persona adulta viene a
trovarsi in situazioni particolari per quanto riguarda il suo lavoro, i suoi
divertimenti, la sua vita familiare e sociale ecc. – situazioni che richiedono dei
processi di adattamento. La formazione degli adulti comincia a questo punto.
I contenuti vengono presentati all’interno di situazioni, e messi in pratica,
quando è il caso. Testi e docenti assumono un ruolo nuovo e secondario in
questo tipo d’istruzione, e devono dare spazio al discente, che assume
un’importanza primaria.
Gli adulti devono essere aiutati a superare varie forme di paura, di insicurezza,
di sfiducia nelle proprie capacità di apprendimento e nella possibilità di incidere
personalmente e compiere delle scelte
Non solo hanno paura di mostrare che non sanno, partono spesso dalla
convinzione che la scuola “non è più per loro”, che “sono troppo vecchi” per
riuscire negli studi. Inoltre conservano spesso un ricordo negativo della loro
precedente esperienza scolastica. E questo condiziona anche la percezione di sé
come discenti, determina una forma di regressione: ritornano all’età scolastica,
diventano dipendenti e delegano tutto all’insegnante.
Così affronta Malcom Knowles il problema (Quando l’adulto impara, Milano,
1979):
Gli adulti hanno un concetto di sé come persone responsabili delle loro decisioni
ed hanno un profondo bisogno di essere considerati e trattati dagli altri come
persone capaci di gestirsi autonomamente. Si risentono e respingono le
situazioni in cui hanno la sensazione che gli altri stanno imponendo loro la
propria volontà … Ma quando si trovano ad affrontare una attività di formazione,
ritornano al condizionamento ricevuto nelle precedenti esperienze scolastiche, si
mettono le orecchie d’asino della loro dipendenza, incrociano le braccia, si
siedono e dicono “insegnatemi”.
Il problema si presenta quando pensiamo che siano veramente a questo punto e
cominciamo a trattarli come bambini, perché allora creiamo in loro un conflitto
tra il loro modello intellettuale –discente equivale a dipendente- e il loro bisogno
psicologico più profondo, forse inconscio, di autonomia (questo in parte spiega
l’alto tasso di abbandono di molti corsi per adulti).
Da quando ci siamo resi conto di questo problema, i formatori degli adulti si sono
messi al lavoro per creare delle esperienze di apprendimento in cui gli adulti
sono aiutati nella transizione dalla dipendenza all’autonomia.
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
La formazione deve (quindi) valorizzare una caratteristica generale dell’essere
adulti: il bisogno di autonomia
Questo bisogno può essere valorizzato allo scopo di coinvolgere/motivare gli
adulti in un percorso di formazione.
Gli adulti sentono fortemente l’esigenza di gestirsi autonomamente e di
conseguenza il ruolo del docente è d’impegnarsi con loro in un processo comune
di ricerca, piuttosto che di trasmettere loro le proprie conoscenze e poi valutare
fino a che punto si sono conformati ad esse (Lindeman).
I giovani adulti che frequentavano il mio programma sembravano imparare
meglio quando potevano partecipare alla valutazione dei loro bisogni di
apprendimento e alla definizione dei loro obiettivi, quando erano attivamente
coinvolti nello stabilire gli obiettivi del corso e nella scelta di metodi e risorse
atte alla loro realizzazione … Cercai di individuare i modi per ottenere da parte
degli allievi un coinvolgimento reale nella responsabilità della progettazione e
della gestione dell’apprendimento (Knowles).
Gli adulti devono essere aiutati a superare alcuni “freni pedagogici”, come la
mancanza di strategie specifiche richieste dal contesto scolastico o, più in
generale, di studio
L’ingresso in formazione è per gli adulti l’ingresso in un contesto che richiede
l’impiego di strategie cognitive specifiche che spesso non padroneggiano: lettura
fluente di testi, prendere appunti, uso del linguaggio astratto (dalla definizione al
concetto), uso di particolari risorse per la ricerca di informazioni, ecc. Insomma
una serie di abilità di studio che non possono essere date per scontate.
È necessario assicurare un clima favorevole all’apprendimento
Questo significa sostanzialmente creare un ambiente in cui vi sia, da un lato,
ricchezza e accessibilità delle risorse (sia materiali che umane) e, dall’altro,
facilità di interazione tra i discenti. Inoltre, considerando che le differenze
individuali aumentano con l’età, la formazione degli adulti deve poter disporre di
una varietà ottimale di stili, tempi, luoghi e velocità di apprendimento.
Secondo Knowles:
I teorici cognitivisti, che enfatizzano l’apprendimento per scoperta, sono
favorevoli a un clima che incoraggi la sperimentazione (la verifica delle ipotesi) e
tolleri gli errori purché da essi si apprenda qualcosa.
I teorici della personalità … enfatizzano l’importanza di un clima i cui gli individui
e le differenze culturali vengono rispettati, in cui i livelli di ansia sono controllati
appropriatamente (perché siano sufficienti per motivare ma senza bloccare) in
cui le motivazioni verso il risultato e le motivazioni di affiliazione sono
incoraggiate in coloro che rispondono rispettivamente alle une o alle altre, e in
cui i sentimenti sono considerati altrettanto rilevanti per l’apprendimento quanto
le idee e le capacità.
Gli psicologi umanisti propongono di creare climi psicologici in cui gli individui
percepiscano sicurezza, sollecitudine, accettazione, fiducia, rispetto e
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
comprensione. Fra di essi i teorici del campo mettono l’accento sulla
collaborazione più che sulla competizione, rapporti interpersonali improntati al
sostegno reciproco e sull’abitudine alla partecipazione interattiva.
Utilizzazione del vissuto esperienziale dei discenti
L’adulto entra in un’attività di formazione con un’esperienza che è maggiore di
quella di un giovane, la sua memoria semantica è più ampia e gli permette,
quindi, di fronte a nuove informazioni, di trovare più agganci, di cogliere più
riferimenti, di attribuire più facilmente significato alle cose.
L’apprendimento degli adulti può partire dai saperi acquisiti nei percorsi di vita e
di lavoro, per precisarli, ridefinirli, svilupparli.
La differenza in quantità e qualità del vissuto esperienziale tra adulto e giovane
comporta alcune conseguenze per la formazione:
Da una parte, assicura che qualsiasi gruppo di adulti sarà più eterogeneo di un
gruppo di giovani (in termini di background, stili di apprendimento, motivazioni,
bisogni, interessi, obiettivi). Da qui deriva il grande accento posto nella
formazione degli adulti sull’individualizzazione delle strategie di insegnamento.
Dall’altra, significa che in molti casi le risorse di apprendimento più ricche
risiedono nei discenti stessi. Di qui la maggiore enfasi posta nella formazione
degli adulti sulle tecniche esperienziali – tecniche che si rivolgono all’esperienza
dei discenti, come discussioni di gruppo, esercizi di simulazione, attività di
problem solving, metodo dei casi e metodi di laboratorio – rispetto alle tecniche
trasmissive. Di qui, anche, la maggiore enfasi sulle attività di aiuto tra pari.
Ma la maggiore esperienza può avere anche degli effetti potenzialmente negativi.
Accumulando esperienza, tendiamo a sviluppare degli abiti mentali, delle
prevenzioni e delle presupposizioni che tendono a indurci a chiudere la nostra
mente a nuove idee, intuizioni originali e modi di pensare alternativi. (M.
Knowles)
Questo aspetto può essere chiarito meglio facendo riferimento alla teoria degli
schemi:
Questa teoria ci dà un’idea abbastanza precisa di come si costruisca, tra
esperienze particolari e generalizzazioni, il nostro sapere. Gli schemi sono come
dei quadri generali che ci permettono di “riconoscere”, interpretare e collocare le
nuove esperienze; sono assimilabili a teorie, o ad ipotesi, da verificare, che ogni
nuova esperienza è destinata a confermare o smentire. Sono essenziali per
l’organizzazione della nostra memoria semantica, e quindi per lo sviluppo del
nostro sapere. Però non sono propriamente concetti, per il fatto che rinviano ad
“esempi” più o meno tipici, e l’esempio “tipico” è un particolare che si accampa a
spese della pura (e vuota) generalità del concetto.
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Gli schemi sono necessari per conoscere; senza di essi non potremmo dare
significato alle informazioni in arrivo. Però rappresentano anche pregiudizi, che
possono portarci a fraintendere, o escludere, le novità che ci vengono
dall’esperienza …
L’adulto ha una pluralità di schemi, lungamente sperimentati, che si sono via via
articolati e saldamente organizzati. Lo aiutano ad attribuire senso alle cose. Però
proprio perché sono stati a lungo sperimentati, e magari per una serie di ragioni
hanno finito per avere solo conferme e mai smentite, sono resistenti al
cambiamento, possono costituire forti pregiudizi. Il cambiamento di prospettiva
può risultare difficile. Di fronte ad un’esperienza di palese inadeguatezza dello
schema, quindi di dissonanza cognitiva, l’adulto, più frequentemente del
giovane, può avere una reazione di tipo omeostatico, mobilitandosi per difendere
il precedente equilibrio.
Dal punto di vista didattico la conseguenza da trarre, dalla teoria degli schemi, è
sempre duplice:
bisogna valorizzare gli schemi interpretativi di cui i soggetti sono portatori, non
lasciarli fuori campo, inoperanti; però anche far evolvere gli schemi, renderli più
adeguati, modificarli anche radicalmente, se necessario (M. Lichtner, La qualità
delle azioni formative, Milano, 1999).
Del resto, le teorie costruttiviste di ispirazione piagettiana ci dicono che vi può
essere apprendimento “con” e nello stesso tempo “contro” le conoscenze
precedenti del soggetto: le conoscenze precedenti costituiscono una matrice,
una “struttura di accoglienza”, a partire dalla quale gli elementi nuovi di
informazione vengono assimilati. Quando le informazioni nuove entrano in
conflitto con la struttura precedente attivata, il movimento di assimilazione può
condurre ad un processo di trasformazione/accomodamento delle strutture
precedenti. Bisogna però prestare molta attenzione a quali sono, in un contesto
di educazione degli adulti, i fattori che favoriscono o ostacolano questo processo.
Le conoscenze possedute dal soggetto sono legate alla sua storia e la formazione
non può non partire da esse, da come sono strutturate, ma per “attivarle” come
strutture di accoglienza delle nuove conoscenze. Secondo Etienne Bourgeois (E.
Bourgeois, Jean Nizet, “Apprentissage et formation des adultes”, Presses
Universitaries des France, 1997) la resistenza al cambiamento delle strutture di
conoscenza attivate in un contesto di formazione sono funzione del dominio di
conoscenze trattate dalla formazione: il dominio delle scienze umane attiva
strutture fortemente implicate dal punto di vista sociale (perché più strettamente
legate all’identità del soggetto) e quindi meno adatte ad essere “accomodate”
rispetto alle strutture di altri domini come la matematica o la tecnica. La
situazione di formazione può svolgere alcune funzioni di facilitazione se costruita
e gestita come uno “spazio protetto”, all’interno del quale il soggetto può
sperimentare visioni del mondo, modi di pensare e di agire, senza troppi rischi
per la sua identità e la sua “traiettoria di vita”. Lo spazio protetto va inteso come
possibilità di “sperimentare provvisoriamente le conseguenze” e come “diritto al
ritorno indietro”.
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
C’è, in fine, un’altra ragione per porre l’accento sull’utilizzazione del vissuto
esperienziale dei discenti, ed ha a che fare con il loro senso di identità.
I bambini piccoli derivano il loro senso di identità prevalentemente da riferimenti
esterni –che sono i loro genitori, i loro fratelli; dove vivono; quali scuole
frequentano. Maturando, si definiscono sempre più secondo le esperienze che
hanno fatto. Per i bambini, l’esperienza è qualcosa che capita loro; per gli adulti,
l’esperienza rappresenta “chi sono”. … Nella formazione degli adulti, questo fatto
implica che in ogni occasione in cui l’esperienza degli adulti viene ignorata o
svalutata, essi sentono questo fatto come un rifiuto non solo della loro
esperienza, ma di loro stessi come persone (M. Knowles).
Gli adulti sono più disponibili ad apprendere ciò che hanno bisogno di sapere e di
saper fare per far fronte efficacemente alle situazioni della loro vita reale
Una fonte particolarmente ricca di “disponibilità ad apprendere” sono i “compiti
evolutivi” associati al passaggio da uno stadio evolutivo al successivo.
Probabilmente, noi possiamo cambiare noi stessi molto meno di quanto siamo
inclini a credere. In circostanze favorevoli possiamo maturare più di quanto
possiamo cambiare (G. Jervis).
Però, escluso che si possa cambiare globalmente il proprio modo di essere, e
soprattutto che tale cambiamento possa essere frutto di una decisione, di un
atto di volontà, è però vero che siamo spesso impegnati in cambiamenti (di
lavoro, di residenza, di interessi, o per quanto riguarda i rapporti familiari, i
gruppi di appartenenza, ecc.) … La formazione non produce cambiamenti “a
volontà”, ma in quanto si inserisce in questi processi parziali, li favorisce, e aiuta
ad individuare quelli che per il soggetto sono i compiti evolutivi in una
determinata fase …
Vi sono momenti in cui è possibile (e ha senso) proporre qualcosa ad un adulto
(sono i “teachable moments” di cui parla Knowles), altri momenti in cui la stessa
iniziativa formativa non avrebbe alcuna possibilità di successo. Quando un
cambiamento è prossimo, o in atto, nella vita dell’individuo, la formazione può
essere molto efficace, nell’aiutare l’individuo a portare avanti nel modo migliore
il cambiamento stesso. … Un episodio formativo conta qualcosa, per un
individuo, nella misura in cui quello che gli viene proposto contribuisce a un suo
progetto, o facilita un processo, di cui può avere maggiore o minore
consapevolezza, ma in cui è coinvolto, di crescita personale e professionale, di
cambiamento, di transizione ad una nuova “struttura”, un processo che
corrisponde a una tappa significativa del suo itinerario biografico. …
Bisognerebbe quindi condurre almeno un minimo di ricerca biografica. Qualcosa
bisogna far emergere, degli itinerari professionali, delle motivazioni di fondo,
delle esperienze dei soggetti che più hanno contribuito alla costruzione della loro
identità. Non sempre è possibile, né opportuno, fare delle vere e proprie
interviste biografiche, nella fase preliminare, dedicata alla analisi dei bisogni, o
nella fase iniziale di una azione formativa. Però molto può emergere in itinere,
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
nelle interazioni, se il clima comunicativo lo permette. E di ciò che emerge si può
tenere conto, via via, operando progressive sintonizzazioni (M. Lichtner).
gli interventi valutativi, quando sono necessari, devono puntare a sviluppare la
capacità di autodiagnosi e autovalutazione
Il problema principale della valutazione, nelle attività rivolte ad adulti, è valutare
le attività formative, la loro qualità ed efficacia, non il rendimento dei singoli.
L’adulto non sopporta valutazioni negative, che percepisce come un attentato
alla propria identità. Inoltre, in situazioni di recupero scolastico è assurdo che un
adulto, che ha vissuto esperienze negative, di insuccesso e di valutazione
negativa, debba riviverle. Ha bisogno invece di incoraggiamento, accoglienza, di
un clima di accettazione, e magari anche di esplicite valutazioni positive. …
In generale possiamo dire che ciò che conta, per un adulto, è l’autovalutazione:
la valutazione da parte di un docente può essere accettata, e avere un effetto,
se si tramuta in autovalutazione. … Ed è noto che molti adulti (e giovani adulti) a
bassi livelli di scolarità hanno grande difficoltà ad autovalutare le proprie
capacità e i propri apprendimenti.
Ma “che cosa” valutare, sul piano dell’apprendimento?
Possiamo distinguere tra processi e prodotti cognitivi.
Tradizionalmente, si valutano i prodotti: un problema di matematica risolto, il
tema o la relazione presentati. Ma se ci interessano i processi, se li consideriamo
essenziali, la valutazione basata sul prodotto può essere del tutto fuorviante: il
risultato (ad es. in un compito di matematica) può essere errato, ma il
ragionamento seguito può essere stato intelligente, anche se ha preso strade
diverse, divergenti, che non hanno portato da nessuna parte; all’inverso, il
risultato può essere esatto, ed essere frutto dell’applicazione del tutto meccanica
di una regola “imparata a memoria”.
… insomma, chi non riesce a vedere i processi, può fare errori di valutazione,
fraintendere, vedere l’insuccesso dove non c’è e viceversa. Oppure, a parità di
“prodotti”, non sa distinguere quando il risultato è frutto di un autentico lavoro
mentale e quando no (M. Lichtner).
È possibile che questo quadro risulti ancora parziale e insufficiente. E tuttavia
può contribuire a dare spessore di concretezza al richiamo contenuto nel
documento 2 marzo 2000 sulla centralità delle condizioni di partecipazione degli
iscritti come elemento caratterizzante il nuovo modello formativo. E può dare
indicazioni sul piano operativo, sul modo di procedere sia nella costruzione dei
percorsi aperti e flessibili sia nella costruzione delle unità modulari che
costituiscono la loro articolazione.
Ciò cui bisogna prestare attenzione, come dice Schwartz, sono le singole e
personali situazioni, i singoli bisogni, le singole richieste, l’ascolto di cui i singoli
debbono essere oggetto e, inoltre, i metodi utilizzati per tentare, insieme, di
comprendere ed apprendere.
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Se l’azione formativa deve mirare a coinvolgere i soggetti adulti con bassi livelli
di scolarità, la definizione degli obiettivi da raggiungere, delle competenze da
sviluppare, va vista come un processo a più tappe, in cui le cose si modificano e
si precisano strada facendo. Un processo il cui inizio va collocato nella fase di
accoglienza-orientamento, durante la quale si cerca di far emergere bisogni e
richieste particolari, a partire dall’analisi di problemi legati all’esperienza di vita e
di lavoro delle persone, cioè attraverso l’analisi di compiti vitali.
Questa fase, insomma, dovrebbe avere una articolazione ampia e comprendere
un lavoro su unità didattiche particolari, che potremmo chiamare “di
esplorazione”, che dovrebbero consentire agli allievi di prendere coscienza delle
proprie capacità e precisare i propri interessi, ma anche avviare la costruzione di
“modelli concettuali” dei compiti presi in esame.
In questa prospettiva, l’obiettivo della fase di accoglienza diventa quello di
sviluppare negli adulti la capacità di progettare la propria formazione, una
competenza metacognitiva indispensabile, soprattutto per superare eventuali
difficoltà e ostacoli all’apprendimento che possono presentarsi lungo il percorso.
Con questa logica: si prova, si imbocca una direzione e si vede un po’ dove
conduce. Poi si fa il punto della situazione e si prendono decisioni più a ragion
veduta. Perciò, alcuni obiettivi vengono definiti all’inizio, altri saranno meglio
precisati nel corso dell’azione formativa.
Questa dovrebbe essere la logica con la quale si costruiscono i percorsi modulari
aperti e flessibili.
Alla stessa conclusione il gruppo di ricerca del Tavolo Modularità giungeva, per
altra via, riflettendo sui limiti del modello pedagogico obiettivi-risultati.
Il nucleo centrale di quella riflessione è il seguente: se si vuole evitare la logica
della predeterminazione, il rischio di una iper-razionalità illusoria, incapace di
adeguarsi all’andamento reale del processo educativo, è necessario abbracciare
la logica del sistema aperto, vedendo cioè l’azione formativa come qualcosa che
può modificarsi ed arricchirsi strada facendo, evolvere anche in direzioni non
previste.
Sistema aperto non vuol dire, però, procedere senza obiettivi, senza alcun piano.
Dice, a proposito, M. Lichtner: “Non si può pensare di apprendere passo passo
come procedere senza avere una rappresentazione mentale del percorso che si
ha davanti a sé. … Ciò che si vuole realizzare, con un’azione formativa, è sempre
frutto di una progressiva limitazione. Tra le tante cose che i soggetti a cui ci
rivolgiamo potrebbero utilmente apprender, tra i tanti percorsi possibili,
operiamo selezioni ed esclusioni. Bisogna arginare la pressione del mondo
esterno; tanti problemi che pure ci sono e vorremmo affrontare, devono essere
messi tra parentesi. Ci vuole continuità col mondo esterno, ma anche
separazione. …Perciò bisogna tracciare un confine tra ciò che entra a far parte
dell’esperienza formativa e ciò che deve restare fuori. …
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Si può discutere, negoziare obiettivi e modalità, ma alla fine bisogna scegliere:
non si può restare aperti a tutte le sollecitazioni. Perciò, una volta tracciato un
confine, ci si vuole assicurare che reggerà, magari impegnando i partecipanti a
un patto formativo. Il problema è la natura di questo confine. Soprattutto, c’è da
chiedersi se sia possibile tracciarlo una volta per tutte. … In termini generali, ciò
che è stato lasciato fuori del campo, non è azzerato, fa parte dello spazio della
formazione; non c’è mai una definitiva esclusione. Il confine tra campo e spazio
non è rigido, non è tracciato una volta per tutte, può essere sempre ritracciato.
… È ben noto che i bisogni formativi si chiariscono via via; ciò che all’inizio
sembrava prioritario, poi diventa marginale; e comunque è difficile all’inizio, per i
partecipanti a un’attività formativa, dire esattamente ciò che vogliono fare e
ottenere. … Se vogliamo mettere qualcuno in una situazione di formazione, non
abbiamo bisogno di inscriverlo in un’area perfettamente definita”. (M. Lichtner,
La qualità delle azioni formative)
Ecco, comunque, in sintesi quanto è emerso dalle elaborazioni del gruppo di
ricerca circa il tipo di lavoro didattico che può essere svolto per la costruzione di
unità modulari come attività che veda coinvolti gli allievi stessi.
Sul piano operativo, la costruzione di una unità modulare deve essere vista come
un programma che si articola (a grandi linee) nei seguenti punti:
1. individuazione del compito/problema
2. costruzione di un modello di competenza
3. individuazione di strumenti e tecniche per lo sviluppo delle capacità
4. valutazione dell’andamento del processo.
Bisogna però tenere presente che un modulo è un particolare programma di
apprendimento, che mira a sviluppare determinate competenze in relazione ad
un compito specifico e non genericamente rispetto ad una materia (le aree e le
materie restano sullo sfondo e assumono rilievo le azioni o, se vogliamo, la
“dimensione operativa”). Il centro di questo programma è la definizione di un
“modello di competenze” (l’Isfol usa l’espressione “unità di competenza”). Nella
prospettiva indicata dal gruppo di ricerca (centralità dei soggetti adulti e loro
attivo coinvolgimento nella definizione dei percorsi formativi), anche questa
operazione non può ridursi ad un lavoro fatto a tavolino dagli insegnanti, dagli
“esperti” della formazione. La costruzione di modelli di competenza viene
assunta come parte del processo educativo che si intende avviare, come punto di
avvio, come occasione per condurre in profondità una analisi dei bisogni impliciti
ed espliciti, una riflessione sulla propria esperienza, sui propri processi mentali.
In questi termini, la costruzione di un “modello” è un lavoro complesso, che
implica interrogarsi, magari attraverso un confronto con altri, sulle
caratteristiche del compito/problema preso in considerazione per individuare
le prestazioni, le attività e le capacità che vi sono implicate. Naturalmente non è
escluso che in questo lavoro si possa far riferimento a modelli preesistenti,
92
M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
magari sperimentati in altre situazioni (per non partire da zero, per avere punti
di riferimento, ecc.) ma per ridefinirli, contestualizzarli.
Come afferma Knowles, il formatore ha la responsabilità di esporre il discente a
modelli che può osservare, aiutandolo in tal modo a sviluppare la
rappresentazione mentale di un compito e, quindi, la possibilità di diventare
parte attiva nella definizione stessa di un modello.
Aiutare gli adulti a sviluppare la capacità di progettare la propria formazione non
deve implicare il trasferimento, su un piano diverso, della logica del modello
obiettivi-risultati. Non bisogna, cioè, farsi prendere dall’angoscia di specificare e
sistematizzare tutto: si specifica ciò che si riesce a specificare, quanto è
sufficiente per impostare un percorso, un piano di attività, nel quale il soggetto
in apprendimento si riconosce, e che avrà bisogno di ulteriori momenti di
definizione.
Tutto ciò pone la necessità di uno stretto rapporto tra momento dell’accoglienza
e momento della costruzione dei percorsi modulari.
Costruire unità didattiche modulari deve essere come predisporre un ambiente in
cui sia possibile per i soggetti sviluppare consapevolezza e acquisire
competenze. E deve essere un ambiente flessibile, in grado di arricchirsi e
reinventarsi continuamente.
Quale potrebbe essere il modo di procedere? Come dovrebbe essere organizzata
la fase di accoglienza se la si vuole finalizzare a questi obiettivi? Quali attività
dovrebbero caratterizzarla? Quale modello descrittivo delle UFM potrebbe
rispecchiare in modo inequivocabile questa centratura sui soggetti, il loro
coinvolgimento attivo nella determinazione e gestione dei percorsi di
apprendimento?
Le risposte a queste domande, nate dalla riflessione critica sul modello di
modularità precedentemente applicato, sono state riassunte in due schemi,
intesi come “canovacci” per le attività didattiche da svolgere nei CTP: uno
relativo alla fase di accoglienza e uno relativo alla struttura delle UFM.
Riportiamo qui di seguito il secondo schema.
TITOLO dell’UFM:
PREREQUISITI:
la denominazione che viene data alla
UFM, che in qualche modo
sintetizzi/richiami un tema, un
problema o un compito emerso
come rilevante.
le competenze/conoscenze
bisogna già possedere
OBIETTIVO D’APPRENDIMENTO:
DURATA:
Corrisponde ad una delle “macro
competenze” individuate nell’analisi
dei bisogni e inseribile nel percorso
formativo individuale.
il numero di ore ragionevolmente previsto per
lo svolgimento della UFM
È una ipotesi per il lavoro didattico
(indica una direzione da seguire).
93
indispensabili
che
M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
articolazione dell’obiettivo
generale in un
CONTENUTI
MODALITÀ
FORMATIVE
MODALITÀ DI
VALUTAZIONE
Saperi
(conoscenze
e concetti)
attraverso i
quali
verranno
sviluppate le
competenze.
Risorse
(materiali e
umane) e
strategie
(tecniche e
strumenti) per
l’apprendiment
o che si
prevede di
utilizzare.
Metodi e
strumenti di
valutazione.
modello di competenze
descrivibile
in termini
di attività
ovvero:
azioni,
compiti,
individuati
come
inerenti
l’obiettivo
generale.
La
descrizione
avviene
mediante
forme
verbali
all’infinito.
in termini di
capacità
ovvero: le capacità
che (si ritiene siano)
implicate
dall’obiettivo generale
e che si intende
sviluppare (perché
sono emerse come
bisogni formativi).
La descrizione
avviene mediante
forme verbali
all’infinito.
Criteri generali:
la valutazione fa
parte integrante
del processo di
formazione.
Ovvero: il
modello di
esperienze di
apprendiment
o progettato
La descrizione deve coinvolgere i
soggetti in apprendimento (anche
attraverso una attività di riflessione
su modelli preesistenti)
Il modello viene “precisato” nel
corso dell’azione formativa
La differenza tra questo schema e quello delle UFC, riportato nel paragrafo
precedente, risulta ora sostanziale: mentre nel primo caso la preoccupazione
principale da cui si è mossi è di tipo “organizzativo” (realizzare una
maggiorerazionalità/funzionalità nella progettazione dei percorsi all’interno di un
determinato sistema di formazione) volta anche a “definire uno standard”, nel
secondo caso (le UFM) la preoccupazione principale è di tipo “pedagogico”
(definire alcune condizioni necessarie per dare avvio ad un percorso di
apprendimento) tenendo conto, come è stato rilevato da M. Lichtner, che per
mettere qualcuno in una situazione di formatzione non è necessario inscriverlo in
un’area perfettamente definita).
Quello qui proposto resta comunque uno schema che, non diversamente dallo
schema Isfol, consente di descrivere gli apprendimenti in termini di acquisizione
di competenze e non smentisce l’intento di sviluppare (fatte opportune
precisazioni) un linguaggio comune. Rende possibile, ad esempio, l’utilizzo di
modalità condivise di certificazione come quelle previste nell’allegato b) della
Direttiva 22. Inoltre è coerente, come verrà illustrato più avanti, con la pratica di
una metodologia didattica che veda coinvolti gli allievi nella definizione dei
modelli di competenza.
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M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Resta il problema del rapporto tra le unità modulari (e i modelli di competenza
che esse tendono a definire) e gli eventuali “standard” definiti a livello nazionale
e/o locale. Nell’ottica dell’educazione degli adulti questo rapporto può essere
visto, come del resto si legge in un recente documento dell’Indire
sull’argomento, nei seguenti termini: “Gli standard verranno utilizzati come
orientatori per le diverse didattiche e pratiche educative per gli adulti”.
Abbiamo esposto in questo paragrafo la fase centrale, la più importante, della
rielaborazione del “modello UFM”. È bene ora fare alcune precisazioni sul “titolo”
stesso del paragrafo.
La scelta di un particolare pubblico di riferimento non è casuale. Gli adulti con
bassi livelli di scolarità, oltre ad essere espressamente indicati dalle ordinanze
ministeriali come il pubblico da privilegiare nella programmazione delle attività
dei CTP, costituiscono anche la fascia di utenza rispetto alla quale in passato (e
non solo nel nostro paese) si è maggiormente sviluppata la riflessione di tipo
pedagogico, a partire da domande quali: gli adulti imparano? Da cosa è
caratterizzato l’apprendimento in età adulta? Qual è il rapporto tra
apprendimento ed esperienza? E simili. Di questo tipo di riflessione abbiamo
sinteticamente parlato nella prima parte del paragrafo ed è utile qui ricordare
che essa è stata un costante punto di riferimento nel lavoro di rielaborazione del
modello UFM. Ma la scelta di caratterizzare questo lavoro in rapporto agli adulti
con bassi livelli di scolarità ha anche una motivazione forte di carattere generale:
ci troviamo di fronte a un grosso problema della società italiana. Ancora oggi,
all’inizio del terzo millennio, stando ai dati recentemente diffusi dall’Istat, gli
italiani con più di 15 anni privi di scolarità di base sono circa 15 milioni, un
quarto della popolazione complessiva. Un dato che si commenta da solo e che
richiede un impegno particolare, non retorico, sia sul versante della “quantità”
(diffusione sul territorio delle occasioni di educazione/formazione) sia sul
versante della “qualità” (costruzione di percorsi mirati a favorire la
partecipazione e l’apprendimento).
Lavorare per competenze
All’inizio dell’a. s. 2001-02 il “nuovo” modello UFM è stato presentato a docenti
e operatori Eda in vari incontri di aggiornamento, per ricavare indicazioni sulla
sua effettiva applicabilità. In genere la “filosofia” del modello è stata accolta
positivamente. Molti docenti dei CTP, soprattutto quelli che lavorano con adulti a
basso livello di scolarità, hanno mostrato di apprezzare la “priorità dei processi
rispetto ai contenuti”, il fatto cioè che il modello è orientato a dare più
importanza al come si apprende piuttosto che al cosa si apprende1. Ed è proprio
in questo aspetto, ci sembra, che vada colta la valenza innovativa di un modello
didattico basato sullo sviluppo di competenze rispetto ad un modello di tipo
tradizionale basato sulla trasmissione di conoscenze. Naturalmente si tratta di
1
Naturalmente qui non si vuole sostenere l’indifferenza nei confronti dei contenuti, ma sottolineare la necessità di far entrare nello spazio
della formazione, in modo forte, l’attenzione ai processi di apprendimento, che in questo modello si traduce in attività didattica volta a
favorire una “evoluzione” delle strategie mentali che portano a un determinato risultato di apprendimento, a un determinato prodotto.
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
una prospettiva che implica un sostanziale superamento dei metodi didattici
curricolare normalmente in uso. Perciò si dovrà spesso operare in un’ottica
sperimentale, andando oltre il terreno delle pratiche consolidate. E nascono,
dalla consapevolezza di tutto ciò, timori e incertezze.
Nel corso degli incontri che abbiamo svolto, ci è stato più volte chiesto, ad
esempio, di chiarire meglio il problema della “costruzione dei modelli di
competenza attraverso il coinvolgimento attivo dei soggetti in formazione”, di
sviluppare la ricerca sulle metodologie orientate a creare situazioni educative in
cui si tende a valorizzare aspetti quali il ruolo delle abilità già possedute dai
soggetti in formazione, il ruolo tutoriale dell’insegnante come guida e sostegno
per l’elaborazione cognitiva.
Questo problema è stato affrontato da uno dei gruppi del Tavolo Modularità
avviando una riflessione
su alcune importanti ricerche didattiche che si
muovono proprio nella direzione di un sostanziale superamento dei metodi
tradizionali.
Una di queste è la proposta formulata da tre studiosi statunitensi, Allan Collins,
Johon Seely Brown e Susan E. Newman, che assume il nome di “apprendistato
cognitivo”.
Tale proposta consiste nell’adottare “metodi di apprendistato per l’insegnamento
e l’apprendimento di capacità cognitive” (indicando possibili applicazioni in campi
quali la lettura, la scrittura e la matematica).
In pratica si tratta di una rivisitazione di alcune caratteristiche dell’apprendistato
tradizionale, ovvero del metodo più diffuso, prima che si affermasse l’istruzione
scolastica, per trasmettere le conoscenze necessarie per una pratica esperta in
un gran numero di settori. Gli apprendisti imparano attraverso una combinazione
di tre attività, così schematicamente descrivibili:
OSSERVAZIONE
ASSISTENZA
PRATICA
modellamento
Scaffolding
fading
sviluppo di un
modello concettuale
del compito
sostegno
progressiva
diminuzione dell’aiuto
In questa sequenza di attività, dicono gli ideatori della proposta, “l’apprendista
osserva ripetutamente l’esperto eseguire (o modellare) il processo di interesse,
che di solito comprende alcune capacità elementari diverse ma collegate tra loro.
L’apprendista prova poi ad eseguire il processo con la guida e l’aiuto dell’esperto
(cioè la fase di assistenza); un aspetto chiave dell’assistenza consiste nel fornire
lo scaffolding, che è il sostegno, mediante il ricordare e l’aiutare, di cui
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
l’apprendista ha bisogno mentre si avvia a padroneggiare l’intero insieme di
capacità. Una volta afferrate le basi della capacità in questione, l’esperto riduce
la sua partecipazione (fading), fornendo solo qualche suggerimento,
perfezionamento o valutazione all’apprendista, che per approssimazioni
successive arriva ad esercitare interamente la capacità in questione.
L’interazione tra l’osservazione, lo scaffolding, e la pratica sempre più
indipendente,
aiuta
l’apprendista
a
sviluppare
l’automonitoraggio
e
l’autocorrezione delle capacità e ad integrare le capacità e conoscenze
necessarie per procedere verso la competenza”.
È l’attività di osservazione che gioca un ruolo cruciale, che consente
all’apprendista di sviluppare un modello concettuale (modello di competenza) del
compito o del processo precedente all’esecuzione. E avere a disposizione un
modello concettuale è molto importante, perché fornisce a chi impara un
“principio organizzatore”, una “guida interna” per il periodo in cui proverà ad
eseguire il compito in maniera relativamente autonoma. Chi svolge il ruolo di
formatore
ha
il
compito
di
favorire
e
guidare
il
processo
di
osservazione/riflessione sulle differenze tra la prestazione di chi apprende e
quella dell’esperto, cercando di “indirizzare le osservazioni e i confronti degli
studenti direttamente sulle caratteristiche determinanti sia della loro prestazione
che di quella dell’esperto”.
Applicare in ambito scolastico metodi di apprendistato per insegnare capacità
cognitive richiede quindi fare ricorso a pratiche educative che portino alla luce i
processi solitamente usati dagli esperti, permettano agli studenti di
osservarli, costruirsi modelli di competenza e metterli in pratica con l’aiuto degli
insegnanti e degli altri studenti. Queste pratiche fanno prevalentemente
riferimento alle ricerche cognitiviste sulle rappresentazioni mentali e la possibilità
di indagarle, da cui derivano metodologie che consentono di raccogliere dati sui
percorsi cognitivi; dati che possono essere utilizzati sia per capire la natura della
“competenza esperta” sia per escogitare metodi appropriati per impararla.
Pratiche di questo tipo sono, ad esempio, il metodo del “pensiero ad alta voce”, il
metodo del “ragionamento condiviso” e il metodo dell’”insegnamento reciproco”,
utilizzati per far esternare le strategie impiegate nell’eseguire dei compiti.
Ma al di là delle specifiche tecniche elaborate dalla ricerca cognitiva, ciò che
importa sottolineare è l’indicazione generale che se ne ricava: è possibile
coinvolgere i discenti in un lavoro di riflessione sui modelli di competenza; fare di
questo lavoro una sorta di impresa collaborativa (tra discenti e formatori) per la
definizione stessa dei modelli; questo lavoro dovrà essere svolto in più tappe e,
in definitiva, la competenza “può essere meglio insegnata attraverso metodi che
enfatizzano…le approssimazioni successive alla pratica avanzata”.
In conclusione: la metodologia dell’apprendistato cognitivo sembra essere in
sintonia con il nostro modo di concepire il lavoro per competenze (soprattutto
nell’educazione di base degli adulti): dare priorità ai processi rispetto ai
contenuti, puntare sul fatto che la consapevolezza di essere parte attiva nella
“costruzione” del proprio sapere possa influire positivamente sull’apprendimento
stesso. A ragione Knowles dice: “l’eccellenza di un modello non è il fattore più
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
importante del contributo che la formazione basata sulle competenze porta
all’efficacia dell’apprendimento. Il fattore più importante è il suo effetto
sull’atteggiamento mentale del discente. Quando i discenti capiscono quanto
l’acquisizione di una certa conoscenza o abilità aggiungerà alla loro capacità di
fare meglio nella vita, entrano anche in situazioni d’istruzione didattica con un
più chiaro senso dello scopo e considerano quello che apprendono come qualcosa
che li riguarda da vicino. Si trasformano da semplici partecipanti a corsi in
persone che sviluppano delle competenze”.
Un’altra ricerca che è stata oggetto di riflessione nel Tavolo Modularità è quella,
richiamata nella prima parte di questo paragrafo, di Etienne Bourgeois e Jean
Nizet. Soprattutto l’ipotesi avanzata da questi studiosi dell’apprendimento in età
adulta di considerare la situazione di formazione come uno “spazio protetto”, nel
quale la formazione può svolgere alcune funzioni di facilitazione del processo di
costruzione e trasformazione delle strutture cognitive, in particolare dei due
processi fondamentali di “assimilazione” e “accomodamento”. Secondo questi
studiosi, infatti, vi sono fattori che favoriscono e fattori che ostacolano la
trasformazione delle strutture. A quali condizioni un contesto di formazione degli
adulti può funzionare come “spazio protetto” facilitatore ? Queste condizioni sono
soprattutto tre: consentire l’esplorazione di conoscenze nuove; incoraggiare la
reversibilità del pensiero; favorire il reinvestimento identitario del soggetto.
L’esplicitazione di queste tre condizioni contiene indicazioni interessanti sul piano
metodologico. Soprattutto la prima: l’esplorazione di conoscenze nuove
(concetti, teorie, competenze) si deve tradurre nella possibilità di individuarne le
caratteristiche essenziali induttivamente e permetterne l’applicazione in una
varietà di situazioni concrete; va privilegiato il lavoro di gruppo e la dimensione
collettiva dell’apprendimento (che favorisce il confronto con più punti di vista
alternativi); bisogna assumere il diritto all’errore come norma fondamentale e
conseguentemente dare importanza alla valutazione formativa.
E proprio su quest’ultimo aspetto, il problema della valutazione, è stato avviato
negli ultimi mesi, attraverso il sito retectp.it, il Forum “Come valutare”. Si tratta
di un dibattito ancora in corso, dal quale emergono, per ora, solo indicazioni di
carattere generale, che vengono riassunte in un documento allegato (vedi
Allegato B).
Per concludere questa panoramica sullo stato dei lavori che hanno portato ad
una ridefinizione del “modello UFM” diamo conto, a grandi linee, di una
sperimentazione avviata con un gruppo di docenti Eda torinesi, riguardante lo
sviluppo di competenze in compiti di lettura e scrittura(8). Ne esponiamo le tappe
principali.
Il lavoro con gli allievi è stato sviluppato in 5 fasi:
1. individuazione di ambiti e occasioni di uso della scrittura;
2. autovalutazione delle competenze sui compiti individuati;
3. analisi dei compiti e individuazione di compiti da privilegiare;
98
M.I.U.R
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ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
4. avvio della costruzione di modelli di competenza per ciascun compito;
5. sviluppo di capacità cognitive e messa a punto dei modelli.
Individuazione di ambiti e occasioni di uso della scrittura
•
Discussione di gruppo, guidata dall’insegnante, volta ad individuare le
varie occasioni in cui si è impegnati in compiti di scrittura.
•
L’insegnante guida anche una prima riflessione sugli strumenti della
comunicazione scritta.
•
Viene steso un elenco dei compiti individuati.
•
Si avvia la produzione e la raccolta di esempi per la costruzione di un
dossier di materiali da analizzare.
Documento 1: “compiti individuati”
99
ƒ
Scrivere cartoline
ƒ
Scrivere telegrammi
ƒ
Scrivere una giustificazione per assenze
ƒ
Scrivere una comunicazione agli insegnanti
ƒ
Compilare moduli e questionari
ƒ
Scrivere una lettera a parenti o amici
ƒ
Tenere una agenda
ƒ
Scrivere una domanda di lavoro
ƒ
Tenere un diario
ƒ
Scrivere bigliettini e messaggi brevi
ƒ
Prendere appunti
ƒ
Stendere un rapporto o una relazione
ƒ
Scrivere sms
ƒ
Scrivere e-mail
ƒ
Scrivere ricette
ƒ
Copiare ricette
ƒ
Scrivere la lista della spesa
ƒ
Scrivere le domande per un medico
ƒ
Aiutare i figli nei compiti scolastici
ƒ
Rispondere a un annuncio (lavoro, abitazione, acquisto/vendita ....)
ƒ
Compilare un modulo consegne
ƒ
Scrivere una constatazione amichevole di incidente
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
ƒ
Richiedere certificati
ƒ
Scrivere ricorsi
ƒ
Scrivere sintesi di libri, documenti e testi vari
ƒ
Scrivere traduzioni
ƒ
Scrivere racconti
AUTOVALUTAZIONE DELLE COMPETENZE SUI COMPITI INDIVIDUATI
•
Viene introdotto l’uso di strumenti autodiagnostici (come quello riprodotto
di seguito) nella valutazione di capacità e interessi e per coinvolgere gli
studenti nella definizione di obiettivi.
“autovalutazione su compiti di scrittura nella vita quotidiana”
Compiti
Capacità attuale
Capacità che è
necessario
raggiungere
Interesse
Per ciascuno dei compiti
elencati indica, in una
scala da 0 a 3, il livello
della tua capacità attuale
di quella abilità,
segnando con una X il
numero appropriato.
Per ciascuno dei compiti
elencati indica, in una
scala da 0 a 3, il livello
necessario per affrontare
in modo soddisfacente
situazioni che si
presentano nella vita
quotidiana e/o
nell’esperienza
lavorativa, segnando con
una X il numero
appropriato.
Per ciascuno dei compiti
elencati indica, in una
scala da 0 a 3, il tuo
effettivo
interesse,
segnando con una X il
numero appropriato.
0 = non sono capace
0 = non è necessario
1 = ho una scarsa
capacità
1 = è poco necessario
3. Scrivere
una
giustificazione
per assenze
4. Scrivere
una
comunicazione
agli insegnanti
100
2 = mi interessa
abbastanza
3 = è molto necessario
3 = ho una buona
capacità
2. Scrivere
telegrammi
1 = mi interessa poco
2 = è abbastanza
necessario
2 = ho una discreta
capacità
1. Scrivere
cartoline
0 = non mi interessa
3 = mi interessa molto
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5. Compilare
moduli e
questionari
6. Scrivere
una lettera a
parenti o amici
7. Tenere una
agenda
8. Scrivere
una domanda
di lavoro
9. Tenere un
diario
10. Scrivere
bigliettini e
messaggi
brevi
11. Prendere
appunti
12. Stendere
un rapporto o
una relazione
13. Scrivere
sms
14. Scrivere email
15. ecc.
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2
3
Il questionario autodiagnostico viene compilato individualmente, ma nel corso
di una discussione in cui ci si confronta sui vari quesiti e si danno chiarimenti.
Analisi dei compiti e individuazione di compiti da privilegiare.
•
Utilizzando gli esempi raccolti, i risultati delle schede autodiagnostiche ed
eventualmente la presenza di “esperti”, gli studenti vengono coinvolti in
una analisi dei compiti presi in considerazione per riflettere sulla propria
esperienza ed individuare delle priorità.
Avvio della costruzione di modelli di competenze (per ciascun compito).
•
101
Corrisponde alla fase che nella metodologia dell’apprendistato cognitivo
viene chiamata osservazione/modellamento.
M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
•
Avvia la costruzione di un modello concettuale del compito, attraverso la
esplicitazione delle strategie e dei processi richiesti per la realizzazione del
compito medesimo. Può essere gestita attraverso:
a. presentazione di modelli già elaborati (procedure)
b. analisi di esempi
(individuazione di regolarità)
c. esposizione a modelli di esecuzione competente (esplicitazione di
strategie impiegate)
Se si parte da un modello già costruito il lavoro di osservazione consiste
fondamentalmente nel chiedersi il perché dei passaggi presentati. L’utilizzo di
esempi per ricavare regolarità è praticabile prevalentemente quando si
considerano ambiti di scrittura in cui prevalgono aspetti tecnici.
Ma rispetto alla produzione di testi complessi implicanti un alto grado di
elaborazione personale bisognerebbe privilegiare la pratica indicata al punto c.:
si osserva e si interroga l’esperto mentre esegue il compito per fargli esplicitare
le strategie impiegate. Si riflette sulle differenze tra le prestazioni di chi è
“novizio” e quelle di chi è “esperto”. Si favorisce lo sviluppo di un modello
concettuale del compito.
Viene qui riprodotto un esempio di modello di competenze costruito chiedendo
ad un esperto di esplicitare le proprie strategie, relativamente ad un compito
(sintetizzare) che vede implicate abilità di lettura e di scrittura. Un compito che
forse ricorre più frequentemente in ambito scolastico che nella vita quotidiana.
Ma che gli allievi coinvolti hanno giudicato particolarmente importante e da
privilegiare.
Documento 3: esempio di modello di competenza (prima bozza) emerso dal
dialogo tra novizi ed esperto (utilizzabile come base per la costruzione di una
UFM)
Compito/problema
Sintetizzare
Obiettivo di apprendimento
Essere in grado di riassumere testi di tipo descrittivo
Descrizione
della competenza dell’esperto
Attività: scrive
Capacità:
• un testo più breve del testo
di partenza che ne conserva
tutte le informazioni
• ricava dal brano tutte le
informazioni in esso contenute
• un testo che conserva solo
parte delle informazioni del
testo di partenza
• un testo più breve nella
102
• manipola le frasi del brano
applicando parole che permettono
di “essere più breve”
• applica criteri di scelta delle
informazioni: conserva le
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PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
forma e nel contenuto
• un testo più breve che
“modifica” forma e contenuto
informazioni che ne spiegano altre,
conserva informazioni secondo i
propri scopi comunicativi, ecc.
Il modello verrà precisato nel corso dell’attività
SVILUPPO DI CAPACITÀ COGNITIVE E MESSA A PUNTO DEI MODELLI
Questa fase è caratterizzata da tre momenti:
•
Riflessione su alcuni meccanismi del linguaggio. Produzione di esempi.
Il lavoro avviene in piccoli gruppi, sotto la guida e l’assistenza
dell’insegnante che fornisce suggerimenti, facilitazioni procedurali. Via via
l’aiuto e l’assistenza diminuiscono.
•
Ciascun modello di competenza viene precisato.
•
Verifica dell’accettabilità dei prodotti.
Documento 4: schema di una Unità Formativa Modulare prodotta sulla
base della descrizione di cui al punto 4.:
Unità Formativa Modulare n° 7
(Scheda propositiva)
(schema che descrive la progettazione della UFM e la sua eventuale suddivisione in
sottomoduli o unità didattiche)
TITOLO dell’UFM: In poche parole
(meccanismi del linguaggio per sintetizzare)
Utenza di riferimento: adulti italiani con livello di scolarità non superiore al titolo
dell’obbligo; stranieri con discrete conoscenze di base della lingua italiana;
Ambiti di utilizzo (all’interno di un percorso per conseguire la licenza media; percorsi di
alfaberizzazione funzionale; percorsi di rientro nella secondaria superiore..; )
Soggetti attuatori: il CTP
Prerequisiti: Capacità di estrarre le informazioni contenute in un semplice testo descrittivo
riferendole agli argomenti cui effettivamente si riferiscono.
103
M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Modello di competenze
Elem
enti
Dur
ata
Obiettiv
o/i
Dura
ta
com
pless
iva:
Posseder
e
strumen
ti e
criteri
per
realizzar
e sintesi,
per
riassum
ere testi
di tipo
descritti
vo.
Contenuti
Modalità
formative
unità
didatt
iche
40
ore
Attività
Capacità
produrre
•Parafrasare
•Un testo
più breve
del testo di
partenza
che ne
conserva
tutte le
informazioni
•Applicare
meccanismi
di sintesi
lessicale
•Un testo
che
conserva
solo parte
delle
informazioni
.
•Un testo
più breve
nella forma
e nel
contenuto
•Un testo
più breve
che
“modifica”
forma e
contenuto
1.1
10
ore
parol
ee
signifi
cati
idem
Produrre
parafrasi
senza
modificare il
contenuto di
un testo
•Applicare
criteri di
selezione
delle
informazioni
: valenza
esplicativa
delle
informazioni
,
scopi
dell’autore
del brano di
partenza,
scopi che si
vogliono
raggiungere
realizzando
la sintesi.
Riconoscere
e applicare
meccanismi
di sintesi
lessicale
Meccanismi
del linguaggio
verbale:
meccanismi di
sintesi
lessicale
(sinonimi,
pronomi e
anafore,
nominalizzazio
ni, metafore);
il meccanismo
delle
presupposizio
ni; inferenze e
integrazione
delle
conoscenze;
legami
esplicativi tra
le conoscenze
e selezione
delle
conoscenze;
legami
scopistici e
selezione delle
informazioni
Riflessione su
alcuni
meccanismi
del linguaggio
Per lo
sviluppo delle
competenze
verranno
privilegiate
metodologie
di
apprendistato
cognitivo
(modellament
o e pratica
assistita) in
piccoli gruppi.
La riflessione
sui
meccanismi
del linguaggio
sarà
sviluppata
utilizzando la
metodologia
dell’
“apprendimen
to per
scoperta”.
idem
Modalit
à
valutati
ve
Esecuzio
ne di
prove
consiste
nti in
applicazi
oni di
procedur
e di
autocont
rollo dei
meccanis
mi
linguistic
i presi in
consider
azione.
idem
IL MODELLO ALLO STATO ATTUALE
Proviamo ora a fare una sintesi schematica dei risultati cui è giunto il lavoro di
elaborazione di un modello didattico per l’educazione degli adulti basato sulla
modularità (in breve “modello UFM”).
Esso si caratterizza, allo stato attuale, per i seguenti quattro elementi:
a. accoglienza come processo formativo
b. costruzione di modelli di competenza come parte del processo formativo
(e base per la costruzione di unità modulari)
c. assunzione di metodologie che privilegiano l’apprendimento cooperativo
104
M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
d. autovalutazione come principale strumento di verifica
I due schemi seguenti riassumono la filosofia del modello e una serie di
indicazioni operative per gli insegnanti:
SCHEMA N° 1
Accoglienza come processo formativo: articolazione del percorso
Ovvero, un percorso che sviluppi negli allievi consapevolezza e capacità in
relazione a due ordini di problemi:
•
L’individuazione dei propri bisogni di apprendimento
•
La progettazione del proprio percorso formativo
Viene qui presentata una ipotesi di percorso da svolgere in un CTP articolato in
sei momenti:
1. Presentazione del Centro di EdA
2. Primo approccio alla motivazione a ai bisogni
3. Approccio alle attività di apprendimento
4. Costruzione di percorsi individuali
5. Stipulazione di contratti di apprendimento
6. Revisioni del contratto
1. PRESENTAZIONE DEL CENTRO EDA
•
organizzazione
•
filosofia educativa
È un primo momento di incontro tra utenti e formatori. Un momento di
informazione su come funziona un CTP, le sue risorse umane e materiali, le
offerte formative che riesce a mettere in campo, le sue relazioni con le altre
agenzie del territorio. Ma anche la filosofia educativa di un CTP, il suo non essere
scuola in senso tradizionale, la sua struttura flessibile nell’organizzazione e nella
realizzazione dei percorsi formativi.
Sul piano pratico, questo momento può essere organizzato in vari modi:
assemblea, riunione per gruppi, attività di sportello.
(tempo minimo previsto: 1-4 ore)
2. PRIMO APPROCCIO ALLA MOTIVAZIONE E AI BISOGNI
•
105
colloqui per piccoli gruppi
M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
•
colloqui individuali
•
discussioni collettive
•
prima formulazione di obiettivi di apprendimento
Partendo da bisogni e interessi “espliciti” si avvia un processo a più tappe in cui
le cose si modificheranno e preciseranno strada facendo. Prendendo atto che gli
adulti hanno difficoltà ad esprimere bisogni “impliciti” e cercando quindi di
accogliere la domanda di formazione in qualunque modo essa si esprime.
È anche necessario aiutare gli adulti che rientrano in formazione a superare
paure e incertezze alle quali spesso contribuisce il ricordo di precedenti
esperienze scolastiche.
Questa fase dovrebbe comunque fornire informazioni sufficienti per operare una
prima differenziazione della domanda e la costituzione di gruppi con i quali
avviare il lavoro successivo.
(Tempo minimo previsto: 6-9 ore)
3. APPROCCIO ALLE ATTIVITÀ DI APPRENDIMENTO
•
Lavoro su unità didattiche “di esplorazione”
•
Individuazione di conoscenze e capacità già possedute
•
Individuazione di stili cognitivi
•
Accertamento di crediti
•
Analisi del rapporto esperienza/apprendimento
•
Riflessione rispetto a specifici compiti e aree di competenza
•
Avvio della costruzione di modelli di competenza
(Tempo minimo previsto: 60-70 ore)
Questa fase comprende attività che hanno lo scopo di fornire elementi per
determinare in modo più puntuale bisogni e obiettivi di apprendimento
Spesso in passato questo problema è stato circoscritto e ridotto alla semplice
rilevazione dei livelli di partenza, come base di una programmazione ideata e
gestita quasi esclusivamente dal docente. Lo schema proposto capovolge questa
impostazione: l’analisi dei livelli di partenza può essere utile, ma va inserita in un
contesto più ampio di attività che aiutino l’adulto a definire meglio i propri
bisogni, a prendere coscienza delle proprie possibilità e del proprio modo di
apprendere, a partecipare attivamente alla definizione di obiettivi e strategie di
apprendimento.
A questo dovrebbe servire il lavoro con particolari unità didattiche, che nello
schema vengono chiamate unità di esplorazione. Rispetto a che cosa?
Certamente rispetto alle proprie strategie cognitive, non in astratto ma in
funzione di concreti obiettivi da raggiungere (ad esempio, per capire un
concetto, applicare una regola, memorizzare una informazione, ecc.). Perché
avere una rappresentazione dei processi mentali che si mettono in atto per
106
M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
raggiungere determinati obiettivi aumenta la capacità di autocontrollo delle
proprie capacità, di messa a punto di strategie più efficaci.
“Si parla molto di abilità di studio, da far acquisire preliminarmente, nelle fasi di
“accoglienza”. Ma queste abilità devono corrispondere alla elaborazione di
proprie strategie, frutto di reali esperienze metacognitive, e non possono invece
essere insegnate come tecniche ready-made, belle e fatte, da trasmettere. Oggi
si moltiplicano i manuali che spiegano come leggere, come ricordare, come
prendere appunti da un testo o da una lezione, ecc., ma la loro efficacia è
dubbia, se le tecniche specifiche che vengono proposte non si innestano in
processi, più generali, di presa di coscienza della necessità di passare da
comportamenti a-strategici, irriflessi, a comportamenti riflessivi e strategici. (M
Lichtner, La qualità delle azioni formative).
È a partire da qui che si avvia uno stile di lavoro (sia da parte degli insegnanti
che da parte degli allievi) che deve poi caratterizzare tutto il percorso formativo.
Ma l’esplorazione dovrebbe orientarsi anche, e soprattutto, sul rapporto tra
studio ed esperienza, tra come si apprende studiando e come si apprende nella
vita quotidiana e nel lavoro.
È da tale riflessione che può trarre alimento una puntualizzazione degli obiettivi
che veda un coinvolgimento diretto degli allievi.
Inoltre, una riflessione su ciò che si intende studiare per rispondere alla
domanda: cosa si vuole essere in grado di compiere, quali capacità sviluppare,
quali saperi e saper fare, e a che livello?
È da qui che prende l’avvio un complesso lavoro di costruzione/riflessione di/su
“modelli di competenza”, come base per la programmazione dei percorsi
individuali.
COSTRUZIONE DI PERCORSI INDIVIDUALI
♦
formulazione (da parte degli insegnanti) di proposte formative e ipotesi di
percorsi possibili (anche in rapporto alle risorse del territorio)
♦
ridefinizione (da parte dei discenti) degli obiettivi di apprendimento e
definizione di percorsi (autoprogetto)
♦
(Tempo minimo previsto: 9 ore)
STIPULAZIONE DI CONTRATTI DI APPRENDIMENTO
♦
condivisione di obiettivi di apprendimento
♦
definizione di percorsi formativi
♦
identificazione di risorse e strategie per l’apprendimento
♦
individuazione delle modalità di valutazione
♦
(Tempo minimo previsto: 4-5 ore)
REVISIONI DEL CONTRATTO
SCHEMA N°
107
2
M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
schema descrittivo delle Unità Formative Modulari:
TITOLO dell’UFM:
PREREQUISITI:
la denominazione che viene data alla UFM,
che in qualche modo sintetizzi/richiami un
tema, un problema o un compito emerso
come rilevante.
le competenze/conoscenze indispensabili che bisogna già
possedere
OBIETTIVO D’APPRENDIMENTO:
DURATA:
Corrisponde ad una delle “macro
competenze” individuate nell’analisi dei
bisogni e inseribile nel percorso formativo
individuale.
il numero di ore ragionevolmente previsto per lo
svolgimento della UFM
È una ipotesi per il lavoro didattico (indica
una direzione da seguire).
CONTENUTI
MODALITÀ
FORMATIVE
MODALITÀ DI
VALUTAZIONE
Saperi
(conoscenze e
concetti)
attraverso i
quali verranno
sviluppate le
competenze.
Risorse (materiali
e umane) e
strategie
(tecniche e
strumenti) per
l’apprendimento
che si prevede di
utilizzare.
Metodi e strumenti
di valutazione.
articolazione dell’obiettivo generale in
un
modello di competenze
descrivibile
in termini di
attività
ovvero: azioni,
compiti,
individuati
come inerenti
l’obiettivo
generale.
La descrizione
avviene
mediante
forme verbali
all’infinito.
in termini di capacità
ovvero: le capacità che (si
ritiene siano) implicate
dall’obiettivo generale e
che si intende sviluppare
(perché sono emerse
come bisogni formativi).
La descrizione avviene
mediante forme verbali
all’infinito.
La descrizione può coinvolgere i soggetti in
apprendimento attraverso una attività di
osservazione della competenza esperta e/o
di riflessione su modelli preesistenti
Il modello di
esperienze di
apprendimento
progettato
tenderà a
privilegiare la
“dimensione
sociale” e
modalità di
cooperative
learning.
Criteri generali: la
valutazione fa
parte integrante
del processo di
formazione; tende
a sviluppare forme
di autovalutazione;
riguarda in primo
luogo i processi di
apprendimento.
Il modello viene “precisato” nel corso
dell’azione formativa
NOTA BIBLIOGRAFICA
M. Knowles “Quando l’adulto impara”, Franco Angeli, Milano, 1998
108
M.I.U.R
PERCORSI DIDATTICI PER L’EDA:
ANALISI DEI
MODELLI DI FORMAZIONE
Accordo Stato-Regioni del 2 marzo 2000
G. Di Francesco (a cura di) “Unità Capitalizzabili e crediti formativi”, Franco Angeli,
Milano, 1998
M. Lichtner, “La qualità delle azioni formative”, F. Angeli, Milano, 1999
B. Schwartz, “Modernizzare senza escludere”, Anicia, Roma, 1995
P. Calaminici, “LavorarePerCompetenze”, in Percorsi, rivista di educazione degli
adulti, dicembre 2001
A. Collins, J.S. Brown, S.E. Newman, “L’apprendistato cognitivo”, in C. Pontecorvo,
A.M. Ajello, C. Zucchermaglio (a cura di), “I contesti sociali dell’apprendimento”, LED,
Milano, 1995
E. Bourgeois, Jean Nizet, “Apprentissage et formation des adultes”, Presses
Universitaries des France, 1997
109
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