ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE “B. C. FERRINI” MODENA Eretto dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica il 24 agosto 2006 Collegato con la Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna in Bologna ___________________________________________________________________________ Laurea Magistrale in Scienze Religiose ad indirizzo pedagogico-didattico LA PARABOLA DEL PADRE MISERICORDIOSO (Lc. 15,11-32) E LE SUE RILETTURE. UNA PROPOSTA DIDATTICA. Tesi di Laurea di GIOVANNI DAZZI Matricola n° 5064 Relatore Prof. BRUNETTO SALVARANI ___________________________________________________________________ ANNO ACCADEMICO 2010-2011 INDICE INTRODUZIONE 1 CAPITOLO 1 LA SCRITTURA COME FONTE DELL'ANNUNCIO 5 1.1 LA PLURALITÀ BIBLICA 5 1.2 L'ERMENEUTICA 8 1.3 LA NARRAZIONE E IL SIMBOLO 11 CAPITOLO 2 LA PARABOLA DEL PADRE MISERICORDIOSO 15 2.1 IL TESTO DEL VANGELO DI LUCA (15,11-32) 15 2.2 I COMMENTI 16 2.2.1 Il contesto 17 2.2.2 Analisi puntuale del brano 18 2.3 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 32 CAPITOLO 3 LE RILETTURE DELLA PARABOLA DEL PADRE MISERICORDIOSO 3.1 LA PARABOLA NELLA PITTURA 37 38 3.1.1 Heronymus Bosh 38 3.1.2 Il Guercino 40 3.1.3 Mattia Preti 42 3.1.4 Rembrandt 43 3.1.5 Jan Veermer 49 3.1.6 Murillo 51 3.1.7 De Chirico 53 3.1.8 Marc Chagall 54 3.2. LA PARABOLA NELLA SCULTURA 3.2.1 3.3. Arturo Martini LA PARABOLA NELLA LETTERATURA 3.3.1 Giovanni Gondola 57 57 58 58 3.3.2 Voltaire 60 3.3.3 Primo Mazzolari 62 3.3.4 David Maria Turoldo 64 3.3.5 Romano Franco Tagliati 68 3.4. LA PARABOLA NELLA MUSICA 69 3.4.1 Amilcare Ponchielli 69 3.4.2 Darius Milhaud 71 3.4.3 Sergej Prokofiev 72 LA PARABOLA NEL CINEMA 74 3.5. 3.5.1 Richard Thorpe 74 3.5.2 Jean-Marie Straub e Daniele Huillet 74 3.6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 75 Allegato 1 (immagine de Il figliol prodigo di Bosh) 81 Allegato 2 (immagine de Il ritorno del figliol prodigo del Guercino) 82 Allegato 3 (immagine del Ritorno del figliol prodigo di M. Preti) 82 Allegato 4 (immagine de L'allegra coppia di Rembrandt) 83 Allegato 5 (immagine de Il figliol prodigo di Rembrandt) 84 Allegato 6 (immagine de La mezzana di Veermer) 85 Allegato 7 (immagine de Il ritorno del figliol prodigo di Murillo) 86 Allegato 8 (immagine de Il figliol prodigo di De Chirico) 87 Allegato 9 (immagine de Il figliol prodigo di Chagall) 88 Allegato 10 (immagine de Il ritorno del figliol prodigo di P. Batoni) 88 Allegato 11 (immagine de Il ritorno del figliol prodigo di L. Massari 89 Allegato 12 (immagine de Il ritorno del figliol prodigo di Tissot) 90 Allegato 13 (immagine de Il figliol prodigo di A. Martini) 90 CAPITOLO 4 UNA PROPOSTA DIDATTICA 4.1 STRUMENTI UTILIZZATI 91 91 4.1.1 La Bibbia a scuola 91 4.1.2 Il pensiero narrativo 94 4.1.3 Bibbia e arte 97 4.1.4 L'utilizzo in classe del cooperative learning 99 4.2 PROPOSTA DI UNA UNITÀ DI APPRENDIMENTO «Le concezioni di Dio: dal dio pagano al Dio della Rivelazione» 100 4.2.1 Struttura delle lezioni 102 4.2.2 Verifica di apprendimento 116 Tabella riassuntiva dell'Unità di apprendimento 120 CONCLUSIONI 121 BIBLIOGRAFIA 127 INTRODUZIONE Ormai diversi anni fa, ho incontrato, piuttosto casualmente, una riproduzione su legno, in grande formato, del dipinto Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt, che da allora non ho più lasciato. Mi sembrava di vedere, in quel quadro, attraverso quella simbologia, la raffigurazione più credibile di Dio, del Dio-amore. Il dipinto mi ha in qualche modo incoraggiato a risalire al brano del Vangelo che lo ha ispirato e ad approfondirlo, cercando di coglierne i molteplici significati, e a purificare l'immagine di Dio che mi ero creato, liberandola dalle incrostazioni. Queste incrostazioni, purtroppo, sono piuttosto diffuse e rischiano di scandalizzare, di fare cadere, inciampare, le persone che, a causa della loro storia e del loro vissuto, non sono ancora pervenute ad una fede salda e adulta, non avendo ancora potuto sperimentare nella propria vita la misericordia e la paternità di Dio, o causarne l'allontanamento dalla fede. L'ateismo, a volte, si può considerare come una reazione, una contestazione nei confronti di certe immagini inautentiche di Dio. Quanto a quelli che si dicono atei, senza Dio, noi cristiani dobbiamo rispettare la loro affermazione, chiedendoci però subito: quale Dio negano? Di quale Dio vogliono essere privi? Del Dio che noi cristiani raccontiamo, che tramandiamo culturalmente, oppure del Dio che è vita, amore, misericordia, del Dio vivente? Qui va detto con chiarezza: noi credenti dobbiamo essere consapevoli che a volte forgiamo immagini perverse di Dio, e quindi rendiamo Dio causa di bestemmia tra le genti (cf. Ez 36,20-22; Rm 2,24). Ecco perché 1 anche di fronte a coloro che si definiscono atei, non credenti in Dio, dobbiamo innanzitutto interrogarci e rispettare il loro mistero. 1 Capita purtroppo di sentire dichiarazioni a mio parere molto gravi, inaccettabili e fuorvianti che producono facilmente e giustamente reazioni di rifiuto, ad esempio quella del direttore di radio Maria che ha dichiarato che con il terremoto in Abruzzo, avvenuto durante la Settimana Santa, «il Signore ha voluto associare gli uomini alle sue sofferenze», o quella del vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) che dai microfoni della stessa emittente, in occasione del tragico sisma che ha colpito il Giappone ha dichiarato: «Le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio e sono talora esigenza della sua giustizia della quale sono giusti castighi»! I cristiani sono portatori di una importante responsabilità: quella di annunciare il Vangelo, che è buona notizia e quindi trasmettere una immagine di Dio, il Dio di Gesù, il Dio misericordioso, con le parole, con la vita e con i comportamenti. Lo specchio del comportamento etico non è la propria coscienza, ma il volto di coloro che vivono con me. Quando questo volto esprime pace, speranza, gioia e felicità, perchè il mio comportamento genera tutto questo, allora è evidente che il mio comportamento è eticamente corretto. 2 C'è una preghiera dalla quale è stato tratto anche un canto liturgico, che esprime bene questo concetto: Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani, per fare il suo lavoro oggi. Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi 1 2 E. BIANCHI, «Vivere davanti a Dio, con Dio e senza Dio», in Jesus 12(2001) J.M. CASTILLO, Fuori dalle righe. Il comportamento del Cristo, Cittadella, Assisi 2010, 62 2 per guidare gli uomini sui suoi sentieri. Cristo non ha labbra, ha soltanto le nostre labbra per raccontare di sé agli uomini di oggi. Noi siamo l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora; siamo l’unico messaggio di Dio, scritto in opere e parole. Chi ha incontrato il Dio misericordioso descritto dall'omonima parabola, non può fare a meno di annunciarlo con le parole e con le opere, e lo deve fare soprattutto con un comportamento limpido, con una pratica cordiale dell'ascolto e del confronto. Servono uomini e donne che narrino con la loro esistenza stessa che la vita cristiana è «buona»: quale segno più grande di una vita abitata dalla carità, dal fare il bene, dall'amore gratuito che giunge ad abbracciare anche il nemico, una vita di servizio tra gli uomini, soprattutto i più poveri, gli ultimi, le vittime della storia? I cristiani di questo secolo sanno mostrare una fede che plasma la loro vita a imitazione di quella di Gesù fino a fare apparire in essi la differenza cristiana? La loro vita propone una forma di uomo, un modo umano di vivere che racconti Dio, attraverso Gesù Cristo? Perchè anche le gioie e le fatiche che il cristiano incontra ogni giorno diventino eventi di bellezza occorre una vita capace di cogliere sinfonicamente la propria esistenza assieme a quella degli altri e del creato intero. Tale dovrebbe essere la vita cristiana: liberata dagli idoli alienanti come delle comprensioni svianti della religione, contrassegnata dalla speranza e dalla bellezza. I grandi maestri della spiritualità cristiana hanno sempre ripetuto: «O il cristianesimo è filocalia, amore della bellezza, via pulchritudinis, o non è» ! E se è via della bellezza saprà attirare anche altri su quel cammino che conduce alla vita più forte della morte, saprà essere narrazione vivente del Vangelo per gli uomini e le donne di questo nostro tempo. 3 Questo lavoro vorrebbe tracciare un percorso di ricerca e di proposta del Dio misericordioso partendo dall'esplicitazione di alcuni criteri di approccio al testo biblico, che deve essere sempre fonte e centro del nostro annuncio, nel primo capitolo, per poi 3 E. BIANCHI, La differenza cristiana, Einaudi, Torino 2006, 78-80 3 soffermarsi in modo particolare sul brano della parabola del Vangelo di Luca (15,11-32) per esaminarne il testo ed alcuni commenti nel secondo capitolo; nel terzo capitolo si ripercorrono le principali rappresentazioni artistiche ispirate dalla parabola, seguendo la via della bellezza, ricercata ed espressa nella pittura, nella scultura, nella letteratura (commedia, poema religioso, poesia, romanzo), nella musica (opera, cantata, balletto, oratorio musicale) e nel cinema; viene poi proposta, nel quarto capitolo, una unità di apprendimento, che tenta di aiutare gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado a decostruire le immagini inautentiche di Dio per concentrarsi, attraverso la parabola e il dipinto di Rembrandt, sul Dio-amore annunciato da Gesù. 4 CAPITOLO 1 LA SCRITTURA COME FONTE DELL'ANNUNCIO Dopo secoli di «oblìo biblico», finalmente il Concilio Vaticano II ha riportato le Scritture al centro della vita dei credenti, che sono convocati e radunati dalla Parola di Dio. La Chiesa è consapevole di essere “sotto” questa Parola che ne ha provocato la nascita, ne giustifica l'esistenza , ne guida l'azione e ne garantisce l'efficacia nella misura dell'obbedienza ad essa. Il servizio della Parola richiede alla Chiesa una scrupolosa fedeltà all'annuncio che le è stato affidato: essa è responsabile che tutta la Parola di Dio venga trasmessa, nella sua integrità, senza mutilarla, falsificarla o diminuirla. 4 La Scrittura deve essere quindi la «norma normante» di qualsiasi annuncio relativo alla sfera del divino e della sua azione nei confronti dell'umanità. La Scrittura però è un'opera molto complessa, costruita in un vasto arco temporale, e per avere un approccio serio con essa ed evitare di cadere in funesti fondamentalismi, è bene tenere conto di alcuni aspetti che verranno trattati brevemente a seguire. 1.1 LA PLURALITA' BIBLICA Quando incontriamo una pagina biblica, entriamo in un mondo vastissimo, in un «grande codice» caratterizzato dalla pluralità. La Bibbia infatti è costituita da tre lingue (ebraico, aramaico e greco), esprime due mondi (quello semitico e quello greco), e si può definire contemporaneamente come 4 I. SEGHEDONI, Teologia dell'evangelizzazione. Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto superiore di Scienze Religiose «B. C. Ferrini» di Modena a.a. 2009-2010, 4, 29. 5 Parola di Dio e parola di uomo, un solo libro e molti libri, il libro di un popolo (e di una Chiesa) e il libro dell'umanità (di tutti). 5 Sulla prima affermazione, la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione del Concilio Vaticano II, la Dei Verbum, recita: La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa 6 Ma la Parola delle Scritture nasce da un incontro, Dio e l'uomo sono entrambi presenti, e gli autori biblici si possono considerare veri autori, perchè l'azione di Dio è rispettosa e non usa gli uomini dominandoli come suoi strumenti, per cui è necessario tenere conto della mentalità, del contesto storico e culturale dell'epoca in cui sono stati composti. Il metodo storico-critico è il metodo indispensabile per lo studio scientifico del significato dei testi antichi. Poiché la Sacra Scrittura, in quanto «Parola di Dio in linguaggio umano», è stata composta da autori umani in tutte le sue parti e in tutte le sue fonti, la sua giusta comprensione non solo ammette come legittima, ma richiede, l’utilizzazione di questo metodo. 7 Riguardo alla seconda affermazione (un solo libro e molti libri), si può sostenere che le Scritture portino in sé una unità fondata sulla diversità, che si manifesta nella dualità Primo Testamento - Nuovo Testamento, che porta con sé ineludibili riflessioni relative al dialogo ebraico-cristiano: 5 6 7 P. LOMBARDINI, Introduzione alla Sacra Scrittura (Dei Verbum). Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto di Scienze Religiose «Mons. Leone Tondelli» di Reggio Emilia a.a. 1996-1997, 1. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum 11, Enchiridion Vaticanum 1/501, EDB, Bologna 1981. PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993, 1A. 6 Il rapporto permanente Israele-Chiesa: un unico popolo di Dio in due forme storiche, di cui la prima è la radice permanente della seconda e la seconda si presenta permanentemente in stato di adempimento della prima. 8 Purtroppo ci sono state e ci sono tuttora spinte che vanno nella direzione della «teologia della sostituzione» che porta ad affermare la nostra elezione, considerando abolita e sostituita quella di Israele. E' nostro compito correggere queste visioni deleterie. La Bibbia ci educa all'apertura mentale e ci spinge a non chiuderci alla molteplicità delle sue interpretazioni e dei suoi significati (un altro esempio significativo di pluralità è il fatto che i Vangeli siano quattro e non uno solo...). Riguardo infine alla terza affermazione della frase iniziale (libro di un popolo e libro dell'umanità), si può prendere come esempio vivente che ha incarnato in sé questa sintesi Paolo, ebreo osservante e Apostolo dei Gentili. Dio ha incaricato Cristo della salvezza del mondo , per la salvezza di tutti senza distinzioni. Dio ha da sempre voluto questo – tanto che lo ha proclamato in anticipo ad Abramo – e la sua volontà è conforme a quanto detto nelle sacre Scritture. Questa salvezza si compie ora, negli ultimi giorni, e lui stesso, Paolo, per quanto indegno, come apostolo ha il compito di introdurre i Gentili nel popolo di Dio” 9 L'annuncio di salvezza, dapprima rivolto al popolo di Israele, gradualmente supera i confini, si estende fino a toccare l'umanità intera. 8 9 P. LOMBARDINI, Introduzione alla Sacra Scrittura (Dei Verbum). Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto di Scienze Religiose «Mons. Leone Tondelli» di Reggio Emilia a.a. 1996-1997, 10. E. P. SANDERS, Paolo, la legge e il popolo giudaico, Paideia, Brescia 1989, 271. 7 1.2 L'ERMENEUTICA L' ermeneutica si può definire come la dottrina dell'interpretazione, cioè la comprensione di quello che avviene ogni volta che una persona capisce, o tenta di capire, o crede di avere capito, qualcosa che un altro ha espresso. Questa parola, tanto cara alla filosofia e alla teologia contemporanea, ha alla sua radice una evocazione pagana, quella del dio greco Hermes, considerato come il latore di oracoli che esprimevano ed interpretavano la volontà suprema degli dei. 10 Per la teologia, le acquisizioni delle scienze linguistiche ed ermeneutiche hanno avuto notevoli conseguenze teoriche e pastorali. Come era accaduto al sorgere della scienza, l'emergere della coscienza storica provocò una rivoluzione all'interno del pensiero teologico. La visione scientifica del mondo ha sconvolto l'intera concezione cristiana della realtà, mettendo in questione l'orizzonte di comprensione dei testi biblici. 11 Il problema ermeneutico è il nodo attraverso il quale passa ogni tentativo di rinnovamento teologico; questa scienza è piuttosto recente, e in passato è spesso mancata la «coscienza ermeneutica» nell'interpretazione delle Scritture, che non teneva conto della loro storicità. Per fare un esempio, quando Paolo parla di carne, intende la chiusura dell'uomo su se stesso e la sua incapacità ad operare il bene; nella predicazione cattolica di un certo periodo storico, invece, questa parola è diventata l'indicazione della sensibilità vista come fonte di desideri cattivi... 10 11 G. RAVASI, «L'ermeneutica», in Famiglia Cristiana 37(2008)151. C. MOLARI, Per una spiritualità adulta, Cittadella, Assisi 2007, 33. 8 La coscienza ermeneutica quindi esige che davanti ad un testo lontano da noi, ci poniamo una serie di domande, del tipo: «che cosa significa questo termine in questo autore, in questo contesto, in questo periodo?». L’incarnazione del Verbo, la sua umiliazione nell’assumere una forma temporale in una determinata epoca storica, nell’ambito di una determinata cultura, è un fatto che ha la sua ripercussione per tutte le culture susseguenti, e le obbliga a volgersi continuamente, e con fedeltà a questo momento privilegiato e lasciarlo operare, come principio formativo e insostituibile, nel loro interno. 12 Oltre alla storicità del testo, però, occorre tenere conto anche della storicità del lettore, che ha categorie culturali, storiche e geografiche sue. Si può affermare che non è possibile interpretare un testo orientale antico con categorie occidentali moderne. Normalmente il lettore non ha la possibilità di accedere al testo in lingua originale e si trova di fronte a una traduzione di un testo trasmesso, per quanto riguarda ad esempio i Vangeli, duemila anni fa, scritto in una lingua (greco biblico) ormai defunta, e con immagini scaturite da una cultura orientale molto differente e spesso opposta da quella occidentale. Per trasmettere la “Buona Notizia” di Gesù gli evangelisti preferiscono adoperare le immagini anziché i concetti. I vangeli pur essendo un'opera teologica non sono una sequenza di freddi concetti teologici ma di calde immagini riguardanti la vita. Per questo quando si legge il vangelo è necessario distinguere che cosa l’autore intende comunicare da come lo esprime. Il messaggio che l’evangelista trasmette è la Parola di Dio sempre attuale nel tempo. Il modo di presentarla appartiene al suo mondo culturale, una cultura che predilige l'immagine al concetto. 13 Il testo e il lettore devono entrare in dialogo, e questo può avvenire attraverso il circolo ermeneutico. 12 13 PAOLO VI, Instancabile opera della Chiesa per l’esatta interpretazione della Parola di Dio. Discorso agli esegeti italiani dello XXI Settimana biblica italiana, in AAS LXIII (1970) 9, 615- 619. A. MAGGI, Come leggere il Vangelo e non perdere la fede, Cittadella, Assisi 2001, 10. 9 Quest'ultimo è quindi costituito da due poli: il primo polo è un movimento che va dal testo al lettore, chiamato ad essere attento al mondo del testo per comprenderlo correttamente, superando la sua distanza culturale con la scrittura biblica; il secondo polo è il movimento che va dal lettore al testo, che in un qualche modo si adatta, si evolve e viene attualizzato. Il testo viene così reso in qualche modo simile al lettore e il lettore viene reso simile al testo. La lettura di ogni testo della bibbia, e quindi anche delle parabole, richiede che si compiano sempre tre passi per fare un buon cammino di comprensione: Esegesi: ricostruzione del significato del testo nel suo contesto culturale; Attualizzazione culturale: trascrizione di quel senso nel nostro contesto culturale; Attualizzazione esistenziale: incidenza del messaggio per la vita del lettore. L'esegesi è il presupposto di ogni altra comprensione (ciò che il testo voleva dire allora); l'attualizzazione culturale risponde al tema della distanza (il testo appartiene ad un mondo culturale che non è il mio, che mi è estraneo) e l'attualizzazione esistenziale a quello della rilevanza (il testo porta con sé un messaggio che vuole avere importanza per ogni tempo e cultura). Possiamo dire che una buona ermeneutica di un testo biblico si basa su tre attenzioni: Attenzione al testo (mettere da parte per un attimo la propria cultura di partenza per diventare l'uomo che ascolta direttamente, in quel tempo, le parabole di Luca o gli insegnamenti trasmessi da Matteo...) Attenzione al nostro contesto (mettersi in dialogo con un interlocutore, nel nostro caso un testo scritto) Attenzione al pre-testo (il già saputo, le rappresentazioni interiori, sempre unite a stati emotivi positivi o negativi, interiorizzati attraverso l'educazione o la diseducazione biblica precedente).14 14 I. SEGHEDONI, Teologia dell'evangelizzazione. Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto superiore di Scienze Religiose «B. C. Ferrini» di Modena a.a. 2009-2010, 4, 41-42. 10 1.3 LA NARRAZIONE E IL SIMBOLO Gli studi biblici hanno ormai ampiamente assodato che le Scritture ebraico-cristiane sono costituite ampiamente ed essenzialmente da racconti e narrazioni simboliche. All'interno dei vari generi letterari, i testi narrativi hanno il primato. Anche i testi dei Vangeli, non sono da considerare tanto come cronache storiche, bensì come costituiti in gran parte da racconti che contengono profondi significati e che veicolano dei messaggi importanti. Alcuni brani dei Vangeli, se interpretati in senso letterale, possono risultare paradossali; per fare un esempio, la risurrezione di Lazzaro può suscitare interrogativi curiosi: una risurrezione a scadenza, per poi morire di nuovo? Ma, indipendentemente da come si sono svolti i fatti storici, quell'episodio ci offre profondi significati e preziose indicazioni sul tema della vita dopo la morte corporea. All'origine di tutte le grandi religioni, del resto, si trovano grandi tradizioni narrative, perchè il racconto è l'ambito più adatto a dire Dio, e la fede nasce in primo luogo dai racconti. Si può affermare che, nonostante la Rivelazione, Dio resta in qualche modo inconoscibile ed incomprensibile, per cui, per tutto quello che possiamo e dobbiamo dire del mistero divino, c'è molto di più che rimane non detto. Tutto il nostro dire di Dio si può paragonare ad un dito che indica la luna, e che deve richiamare l'attenzione sulla luna e spingere lo sguardo verso di essa; se l'attenzione si ferma sul dito i nostri orizzonti si riducono a poca cosa... 11 Riguardo a questo argomento, quindi, occorre fare molta attenzione. Riconoscere che molti dei contenuti biblici non sono cronache storiche ma racconti, non significa affatto sminuirne il valore. Racconto simbolico non significa irreale, ma può dirsi un escamotage di linguaggio per parlare in qualche modo di quello che va al di là del razionalmente comprensibile. Gesù risorto con un “corpo glorioso” significa che non è ritornato nella nostra dimensione contraddittoria , ma vive oltre i limiti terreni. Naturalmente non abbiamo alcuna possibilità di sapere come, ma possiamo capire che prendere alla lettera i racconti del Vangelo rischia di condurre fuori strada. 15 I racconti hanno indiscutibilmente molto potere: affascinano, rimangono spesso scolpiti nella memoria, possono davvero trasformare le persone. I racconti si sviluppano con atti squisitamente performativi: si narra, cioè, in vista della salvezza, per modificare la situazione vitale e rinnovare l'esistenza umana, la società tutta. E solo in quanto si è stati testimoni si può diventare narratori efficaci della salvezza; solo quando accade qualcosa nel presente ciò che viene narrato diventa significativo, e ripeterlo è la verifica del suo senso, l'ostensione della sua verità. 16 La narrazione autentica, ha e deve avere anche una funzione terapeutica, come ci dice questo bel racconto riportato da Martin Buber: Ad un rabbino, il cui nonno era stato discepolo del Baal-Shem, fu chiesto di raccontare una storia. «Una storia», disse egli, «va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto.» E raccontò: «Mio nonno era paralitico. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie». 17 15 16 17 A. THELLUNG, Una saldissima fede incerta, Paoline, Milano 2011, 165-166 B. SALVARANI, In principio era il racconto. Verso una teologia narrativa, EMI, Bologna 2004, 36 M. BUBER, I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano 1979, 3-4 12 Il simbolo, sia nelle scritture che nell'arte, è il luogo privilegiato e insostituibile per presentare i contenuti della fede. Il simbolo non attribuisce alle cose e alla realtà un significato estrinseco ma, al contrario, permette di evocare e quindi di far emergere il significato nascosto e recondito che la realtà cela e nasconde. In quest'opera di rivelazione il simbolo non ha bisogno di spiegazioni e non costringe nemmeno ad accettare un unico significato, pioché la dinamica che lo anima è quella del coinvolgimento e dell'attrazione non costringente. 18 Noi non possiamo avere esperienza diretta di Dio: «Dio nessuno l'ha mai visto» (Gv. 1,18). C'è sempre una frapposizione, un veicolo, una mediazione: È il simbolo che svolge questo ruolo insostituibile. Che cosa sono, queste cose meravigliose, benché limitanti, chiamate simboli? Cercando di evitare tutta la massa di discorsi filosofici che si è accumulata nel tentativo di rispondere a questo interrogativo, potremmo dire che essenzialmente i simboli sono oggetti, parole, immagini, storie o pezzi di normale esperienza che rendono presenti o danno espressione a realtà che altrimenti sarebbero amorfe e indescrivibili. I simboli ci mettono in grado di sentire o di parlare di cose che in se stesse sono difficili da sentire o da discutere a parole. Ecco alcuni esempi comuni ma preziosi: un anello che simboleggia l'amore (almeno nella cultura occidentale, giacché i simboli sono condizionati dalle culture), una colomba che suscita un sentimento di pace, una storia eroica che accende in noi il coraggio. 19 Dobbiamo quindi avvertire l'urgenza di riscoprire l'utilizzo del simbolo e del racconto nell'annuncio di evangelizzazione, insieme alle esposizioni dogmatiche, ne va del futuro della Chiesa e della fede. Mi verrebbe da proclamare: o le chiese cristiane reimpareranno pazientemente a narrare, e a narrare efficacemente le loro storie fondative, o ben difficilmente potranno sperare di 18 19 G. MORANDI, Bellezza. Luogo teologico di evangelizzazione, Paoline, Milano 2009, 143 P. KNITTER, Senza Buddha non potrei essere cristiano, Fazi, Roma 2011, 89-90 13 avere un futuro significativo per l'umanità in cui sono immerse. Sulla loro disponibilità, e capacità, di raccontare la differenza evangelica, se ne misurerà la qualità del domani. 20 20 B. SALVARANI, In principio era il racconto. Verso una teologia narrativa, op. cit., 27 14 CAPITOLO 2 LA PARABOLA DEL PADRE MISERICORDIOSO Tenendo conto di questi concetti, si può ora esaminare la nota parabola riportata dal Vangelo di Luca al capitolo 15 (dalla nuova versione CEI 2008), proponendo alcuni commenti esegetici. 2.1 IL TESTO DEL VANGELO DI LUCA 15,11-32 11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; alzerò, andrò da mio padre e gli 19non sono più degno di essere 20Si alzò e tornò da suo padre. chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si 15 gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. 25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma 31Gli rispose il padre: bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». 2.2 I COMMENTI Questa parabola è talmente ricca di significati che è stata intitolata dagli esegeti in modi diversi, a seconda del personaggio o del tema spirituale che volevano mettere in primo piano; è stata definita infatti come parabola del «figliol prodigo», soprattutto in passato, del 16 «padre misericordioso», del «padre che aveva due figli», dei «due fratelli» del «fratello invidioso», della «conversione cristiana»... Sicuramente è un testo talmente noto che rischia di essere rimosso ed etichettato con il titolo di «già sentito». Esaminandolo attentamente, invece, ci può riservare molte sorprese, e farci riflettere in profondità su molteplici aspetti della vita spirituale. 2.2.1 Il contesto La parabola è preceduta da altre due brevi parabole, quella della «pecora perduta» (Lc. 15, 4-7) e quella della «moneta smarrita» (Lc. 15, 8-10), nelle quali Gesù annuncia la grande gioia di Dio per l'accoglienza di un peccatore. Queste parabole, insieme a quella del «Padre misericordioso», sono rivolte agli scribi e ai farisei che lo criticano per il suo comportamento per loro inaccettabile: non solo Gesù accoglie i pubblicani e i peccatori, ma addirittura mangia con loro. Nel mondo palestinese il cibo era servito in un unico piatto dal quale tutti si servivano e mangiare insieme significava comunione di vita. Se colui che vi prendeva il cibo era un impuro, tutto il piatto diventava infetto e l'impurità si trasmetteva a tutti i commensali. Secondo le persone religiose, con i peccatori non si può pranzare insieme, ma si deve imporre loro il digiuno penitenziale. Per scribi e farisei Gesù non è un modello di santità, ma, con tutta evidenza, è un impuro come l'immonda gentaglia che lo circonda. E neanche è valida la giustificazione adottata da Gesù che lui è venuto a chiamare “i peccatori perchè si convertano” (Lc. 5,32). Non viene forse insegnato dai rabbini che “Nessuno si incontri con il peccatore, neanche per condurlo allo studio della Legge” ? (Mek. Amalek 3,65a). 21 Quella che agli occhi degli scribi e dei farisei è una grave trasgressione della Legge, agli occhi di Gesù è l'occasione per manifestare l'amore di Dio nei confronti dell'uomo. E la 21 A. MAGGI, Parabole come pietre, Cittadella, Assisi 2001, 61. 17 terza di queste parabole racconta questo amore in un modo bellissimo, ed è rivolta proprio a coloro che si scandalizzano dell'atteggiamento di accoglienza che Gesù mette in atto nei confronti dei peccatori. Sono tre ma forse è una parabola sola. Il contesto è quello della mormorazione. Tre volte questo verbo “mormorare” e tre volte per dire la reazione scandalizzata, la disapprovazione di certi circoli religiosi per l'atteggiamento di Gesù verso chi era considerato perduto, verso i peccatori. Essi notavano quasi un feeling tra i peccatori e Gesù: sì, era lui a cercarli ma anche loro era come se fossero attratti. Lui aveva simpatia per loro, ma anche loro per lui! Si facevano vicini. Una chiesa, se vuole essere simile al suo Signore, dovrebbe scandalizzare proprio per questo, per la sua misericordia. Una chiesa che si bea tra i buoni non è ancora la chiesa di Gesù. Se scandalizziamo per la nostra cordialità con chi è lontano, con questo feeling evangelico con chi è perduto, siamo in buona compagnia, siamo nella compagnia di Gesù. 22 2.2.2 Analisi puntuale del brano vv. 11-12 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Di questa prima parte della parabola colpisce senz'altro la richiesta del figlio, che chiede l'eredità al padre ancora vivente, e non di meno la risposta del padre, che acconsente prontamente. Gli esegeti commentano in modi diversi questi atteggiamenti che sembrano strani, ma la diversità delle interpretazioni è positiva e fa parte della pluralità biblica e della sua eccedenza di senso. Luciano Monari evidenzia la ricerca di autonomia del figlio minore: 22 A. CASATI, Gli occhi e la gloria, Centro Ambrosiano, Milano 2003, 192-193. 18 Il figlio minore sente il padre come un impedimento alla sua piena realizzazione e perciò percorre un cammino di progressivo allontanamento da lui, prima domanda la separazione dei beni, poi abbandona la casa paterna e si reca in un “paese lontano”, che vuol dire un posto dove del padre non ci sia nemmeno l'ombra, dove quindi si possa vivere in piena autonomia. 23 Alberto Maggi sottolinea la bramosia del figlio minore: La richiesta di avere la sua parte dei beni è stata fatta dal minore dei figli, ma il padre, sottolinea Gesù, divide tutte le sue sostanze anche con il figlio primogenito. Sicché i due fratelli sono già in possesso dell'intero patrimonio paterno, con il vantaggio per il figlio maggiore di ricevere il doppio del minore, perchè così prescrive la Legge (Dt. 11,17). L'azione del padre, anche se perfettamente legale dal punto di vista giuridico, è sconsigliata dalla Bibbia: “Finché vivi e c'è respiro in te, non abbandonarti in potere di nessuno. E' meglio che i figli ti preghino che non rivolgerti tu alle loro mani. Quando finiranno i giorni della tua vita, al momento della morte, assegna la tua eredità”. (Sir. 33,21-22.24). La bramosia di poter possedere subito la parte di eredità che gli sarebbe spettata non permette al figlio di attendere la morte del padre. Per lui il padre è già morto, e pretende la sua eredità. 24 Giovanni Benassi fa risaltare la non eccezionalità della richiesta del figlio: Secondo il diritto di allora, soltanto il primogenito ereditava il podere di famiglia, mentre al figlio cadetto andava parte delle proprietà che non facevano parte del podere. Sembra inoltre che ci fosse l'usanza che il figlio cadetto potesse chiedere di essere liquidato, cioè di avere la sua parte e gestirla in proprio anche prima della morte del padre. Quella che a noi oggi sembra una incredibile arroganza, forse suonava normale alle orecchie degli ascoltatori di Gesù (la quota che gli spettava non intaccava la proprietà di famiglia, intesa soprattutto come proprietà terriera). 25 Mauro Orsatti riflette sull'atteggiamento del padre in seguito a questa richiesta: Il Padre poteva reagire in molti modi, ne ipotizziamo alcuni: 23 24 25 L. MONARI-S. SIRBONI, Lampada per i miei passi. Spunti per le omelie dell'anno C, EDB, Bologna 1994, 82. A. MAGGI, Parabole come pietre, op. cit., 62. G. BENASSI, Il mestiere di Dio, Cittadella, Assisi 2001, 54. 19 rifiutare, adducendo la giustizia e il suo diritto vigente contro il diritto del figlio ancora latente e futuro convincere il figlio della inutilità o della pericolosità di tale richiesta, prevedendo un poco oculato uso di tanta ricchezza affidata a mano inesperta rispondere duramente all'insolenza e tracotanza del figlio minore che richiedeva qualcosa fuori dal normale; se dura era la richiesta, dura poteva suonare la risposta. Nessuna di queste possibilità viene presa in considerazione dal padre, di cui non conosciamo la reazione immediata e nemmeno i sentimenti. Il padre sceglie una strada lontana dalla logica comune, la strada di una sconcertante arrendevolezza: non una obiezione, non una parola, non un estremo tentativo di impedire questo dissennato progetto del figlio più giovane. 26 Forse il padre ha voluto rispettare la personalità e l'autonomia del figlio al quale pare che andasse stretta la permanenza in famiglia. Il padre non l'ha trattenuto perchè educare significa rispettare la libertà dell'altro, anche a costo di rischiare molto. Il suo agire, quindi, non è da interpretare come indifferenza o disinteresse, ma come coraggio di rischiare e di sperare nel valore del bene. vv. 13-16 Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Il figlio attende qualche giorno prima di partire, si deve organizzare. 26 M. ORSATTI, Un Padre dal cuore di madre, Ancora, Milano 1998, 31-32. 20 Impiega alcuni giorni probabilmente per convertire in denaro contante la sua parte di eredità. Poi non solo lascia la casa paterna, ma abbandona la sua stessa nazione. Il “Paese lontano” indica la terra pagana, quella dell'esilio e dell'idolatria (Ger. 46,27). Egli non abbandona solo il Padre, ma si allontana anche dal Dio d'Israele. 27 Per il figlio minore, le prospettive sono le migliori, possiede gli ingredienti di solito ritenuti indispensabili per la felicità: è giovane, è ricco ed è libero. La giovinezza di per se stessa (indipendentemente da qualsiasi bene materiale) è una singolare ricchezza dell'uomo, di una ragazza o di un ragazzo, e il più delle volte viene vissuta dai giovani come una specifica ricchezza. 28 La ricchezza materiale è un ideale molto perseguito in tutte le epoche storiche, viene considerata la chiave per la felicità perchè in grado di soddisfare i bisogni. Le persone ricche, spesso sono invidiate, ammirate e al centro dell'attenzione. Le ricchezze moltiplicano gli amici, ma il povero è abbandonato anche dall'amico che ha (Proverbi, 19,4) La libertà permette di usufruire della ricchezza e della giovinezza. Il ragazzo però non eccelle come amministratore.. In poco tempo anche le ricchezze più consistenti si possono dilapidare, le dipendenze prosciugano tutto quello che il padre aveva messo insieme in anni di duro lavoro. Dilapidare l'eredità paterna è qualcosa di estremamente evocativo: dietro questo tradimento umano c'è il fallimento di tutto il lavoro e della vita del padre. Ed è per questo che il figlio dirà più avanti “ho peccato contro di te”. Ha disperso quello che il padre aveva messo insieme. 29 27 28 29 A. MAGGI, Parabole come pietre, op. cit., 62. GIOVANNI PAOLO II, Dilecti amici. lettera apostolica per l'anno internazionale della gioventù, N° 3 (dal sito www.vatican.va ) G. BENASSI, Il mestiere di Dio, op. cit., 55. 21 Aveva puntato tutto sul denaro, quando il denaro finisce non c'è più nulla, lui non è più nessuno. Non ha più niente e non è più niente. L'eredità che ha frettolosamente preteso è stata frettolosamente dilapidata. L'eredità acquistata in fretta non sarà benedetta alla fine (Proverbi, 20,21) La carestia, imprevista, viene ad aggravare la situazione. Forse è simbolo degli imprevisti della vita, sempre in agguato. Allora si adatta cercando un lavoro. Lavorare non è degradante per un ebreo, ma non tutti i lavori sono accettabili nella mentalità ebraica: tra questi la custodia dei porci, animali immondi la cui carne non si poteva mangiare né toccare (Lv. 11,7). All'umiliazione di tale lavoro si aggiunge anche il disinteresse degli altri per la sua persona, ovviamente perchè il padrone era più interessato a ingrassare i suoi porci che non a sfamare questo avventuriero di passaggio. Davvero brusco il cambiamento da giovane galante con tanti soldi a guardiano di porci cui contendere le ghiande! 30 Gesù è un grande narratore, descrive una situazione di massimo degrado ma in modo realistico: è possibile che tutto questo possa succedere. vv. 17-19 Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati” Dal testo sembra proprio che sia il bisogno, e non tanto il pentimento, la convenienza più che la nostalgia di casa e del padre a spingere il figlio a questa riflessione che preluderà al ritorno. Bisogna subito sfatare una mitologia che vede in questo “ritorno/rientro in sé” il principio di una conversione, al punto di presentare il “figliol prodigo” come modello del convertito. Non 30 M. ORSATTI, Un Padre dal cuore di madre, op. cit., 36-37. 22 è così! In questa lettura c'è la prova che spesso la Scrittura è interpretata in base al significato delle traduzioni e non a partire dal testo originario, come dovrebbe fare un lettore attento, per non rischiare di alterare il senso stesso della Parola di Dio. Il figlio fa il confronto tra sé e i salariati di suo padre. Vi sono due idee sottintese: da una parte il figlio ammette che suo padre non è un padrone despota, ma è attento alle necessità anche dei suoi dipendenti, visto che essi hanno pane in abbondanza. Il motivo della fuga quindi non sta nel padre e nel suo autoritarismo, ma il problema ritorna tutto nel figlio che ha una gran confusione in testa e nel cuore. Dall'altra parte, il figlio non pensa al padre e al suo dolore, non è pentito di ciò che ha scelto e fatto e delle conseguenze che ha provocato. Egli, di fronte a tutte le porte chiuse, intravede una sola possibilità: usare e sfruttare ancora una volta il padre. Ha preso coscienza di non avere altro futuro che la morte. Il momento della conversione è ancora lontano. Avverrà solo quando la gratuità di cui si era preso gioco lo avvolgerà del tutto nuovo: allora non avrà nemmeno bisogno di chiedere perdono, perchè il perdono personificato del padre lo aspettava già, prima ancora che lui partisse. 31 Secondo la legge giudaica ha perso il diritto di essere trattato da figlio, è convinto di essere stato cancellato dal libro di Dio e dal libro della famiglia, per cui torna da servo per chiedere di far parte di quei servi ai quali non manca il pane. Forse allora non è solo il bisogno di cibo che lo spinge a tornare, ma anche la segreta speranza di una possibile accoglienza del padre, non come figlio, come domestico, ma sa che una possibilità ce l'ha. Se fosse stato sicuro si un rifiuto o di una reazione violenta del padre, non avrebbe pensato di tornare. Si noti che non dice: “andrò a casa”, ma “andrò da mio padre”. E' l'incontro con il padre la meta del suo cammino, non la casa. 32 Emerge in lui l'esigenza di una origine in cui riconoscersi. L'esperienza della miseria gli consente di guardare in faccia la via della morte che sta percorrendo e di ribellarsi. Quando ci sentiamo soli, quando nessuno sembra volerci più e noi stessi abbiamo ragioni per disprezzarci o essere scontenti di noi, quando la prospettiva 31 32 P. FARINELLA, Il padre che fu madre, Gabrielli, San Pietro in Cariano (VR) 2010, 155-156. M. GALIZZI, Vangelo secondo Luca. Commento esegetico-spirituale, Elledici, Leumann (TO) 1997, 327. 23 della morte o di una perdita grave ci spaventa e ci getta nella depressione, ecco che dal profondo del cuore riemerge il presentimento e la nostalgia di un Altro che possa accoglierci e farci sentire amati, al di là di tutto e nonostante tutto. 33 v. 20 Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Qui la parabola sembra mutare direzione. L'attenzione non è più concentrata sul figlio ma protagonista diventa il padre, il cui atteggiamento può sembrare incomprensibile, ci si aspetterebbe un rifiuto, una punizione, almeno un rimprovero... Come è imprevedibile questo padre! Egli avrebbe pieno diritto allo sdegno, al rimprovero, alla punizione: egli, invece, è incapace di vendetta. Il suo cuore è totalmente e irreversibilmente paterno e, pertanto, corre e si getta al collo del figlio e lo bacia con gioia indicibile. Questo è Dio! Ripeto: questo è il Padre! Non dovremmo gridare di gioia davanti a questa notizia, che Gesù ci ha dato? Dovremmo cantare e danzare davanti a questa certezza che non potrà mai venir meno: Dio mi ama! Sì, io posso sbagliare, io posso smarrirmi; io posso peccare..., ma mi è concesso di contare sulla solidità di questa roccia: Dio resta Padre e continua a volermi bene. 34 Esaminando questo versetto, colpisce la sequenza delle azioni del Padre, queste 5 azioni che Gesù mette in evidenza: Lo vide: il figlio è ancora lontano ma il padre lo vede perchè evidentemente scrutava senza posa l'orizzonte. Il figlio aveva rinunciato al padre, ma il padre non ha mai rinunciato al figlio. Ha rispettato la sua libertà, ma non ha mai perso la speranza di riabbracciarlo. Ne ebbe compassione: sembra che la vista delle precarie condizioni del figlio , anziché provocare nel padre una arrabbiatura, provochi la compassione. 33 34 C. M. MARTINI, Ritorno al padre di tutti. Lettera pastorale 1998-1999, Centro Ambrosiano, Milano 1998, 16. A. COMASTRI, Dio è Padre, Paoline, Milano 1998, 93-94. 24 Il verbo tradotto il italiano è splancnìzein, che letteralmente suggerisce un'emozione che parte dalle viscere; si potrebbe dire che il Padre si sentì rimescolare tutto. 35 Questo termine, nel Vangelo di Luca, si trova in altri due momenti: quando Gesù si commuove davanti al figlio defunto della vedova di Nain (7,33) e quando il «buon samaritano» si commuove davanti all'uomo ferito (10,33). Il termine «viscere», nella Bibbia è anche declinato al femminile, si riferisce all'utero, alla maternità. Gli stessi archetipi universali dell’amore, quelli paterni e materni, sono superati dall’amore infinito di Dio. Infatti, non si dichiara semplicemente la paternità o la maternità di Dio, ma si proclama la superiorità divina rispetto a questi due legami fondamentali. 36 Gli corse incontro: lo sconvolgimento interiore del padre è tale da non permettergli più di trattenersi: si mette a correre, anche se in quel contesto culturale questo era disdicevole. In un contesto culturale in cui i ritmi del tempo sono impostati a una grande lentezza e dove tutto quello che riguarda la fretta è visto con sospetto, “chi cammina in fretta sbaglia strada” (Proverbi 19,2), il correre è una azione disonorevole recante grave danno a colui che la compie, “l'andatura dell'uomo rivela quel che è” (Siracide 19,27). Non importa. Per il padre, restituire vita e dignità al figlio disonorato è più importante del proprio onore. 37 Gli si gettò al collo: c'è da immaginare che il figlio vedendo il padre corrergli incontro e gettarglisi al collo si aspettasse di essere strozzato: «Chi risparmia il bastone odia suo figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo» (Proverbi 13,24)... Nulla di tutto questo. Il figlio non trova un giudice che condanna ma un padre che lo rigenera con il suo amore, assumendo su di sé anche la sua impurità: 35 36 37 G. BENASSI, Il mestiere di Dio, op. cit., 59. G. RAVASI, «JHWH Dio dei nostri padri», in Tertium millennium, (1999), dal sito www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents A. MAGGI, Parabole come pietre, op. cit., 67. 25 C'è un altro particolare da tenere presente: il figlio è un guardiano dei porci, è impuro. Ebbene, il padre gli si getta al collo lo stesso, lo tocca, e l'impurità del figlio ritualmente si trasmette al padre. Per il padre, il desiderio di purificare il figlio è più importante della propria purezza. Il padre accetta di prendersi la lordura, l'impurità del figlio, pur di trasmettergli questa vita. 38 Lo baciò: il bacio, nella cultura ebraica, è segno di perdono. L'evangelista si richiama al primo grande perdono che appare nella Bibbia, nel libro del Genesi, al capitolo 33, quando Esaù perdona il fratello Giacobbe, gettandosi al collo e baciandolo. Al padre interessa il figlio, non il suo passato colpevole. vv. 21-22 Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Il figlio interrompe le effusioni del padre con la formuletta che si era preparato al momento di tornare a casa, il suo «atto di dolore». Ma il padre non lo lascia finire, non gli permette di pronunciare la frase «trattami come uno dei tuoi salariati»; per lui non ha mai smesso di essere suo figlio. Il padre ha fretta perchè sa quanto nuoce al figlio l'idea di ritornare servo. Vuole eliminare subito in lui questa menzogna che lo uccide. Per questo lo interrompe e non gli permette di esprimere il suo proposito servile. E' stanco di avere dei servi invece che dei figli. 39 E, incredibilmente, gli restituisce tutta la pienezza precedente, con un crescendo di azioni simboliche che lasciano senza fiato: 38 39 A. MAGGI, «Perchè (solo) Gesù». Atti dell'incontro di formazione dell'associazione «Beati i costruttori di pace», Padova, 15-17 dicembre 2006, 68, dal sito www.studibiblici.it L. PEDRON, Il Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca, pro manuscripto, «Predicate il Vangelo», Milano, 1998. 26 Il vestito più bello: l'abito migliore, nella mentalità ebraica, era una onorificenza che il re concedeva ai suoi uomini valorosi, e anche qui c'è un riferimento al libro del Genesi, al capitolo 41, quando il faraone riabilitò Giuseppe e «lo rivestì con abiti di lino finissimo». L'anello al dito: forse questa è l'azione più sconcertante: al figlio che si è rivelato un amministratore così disastroso il padre affida l'amministrazione, dandogli l'anello con il sigillo di famiglia che attestava i pagamenti, un po' come la carta di credito dei giorni nostri! L'anello non è un semplice monile, ma è la consegna del sigillo di famiglia, il che significa pieni poteri sull'amministrazione della casa, come si legge nel libro di Ester: “Il re si tolse l'anello che aveva fatto ritirare ad Amàn e lo diede a Mardocheo. Ester affidò a Mardocheo l'amministrazione della casa che era stata di Amàn” (Est. 8,2).Al figlio, che ha dimostrato di non saper gestire i suoi averi e che in poco tempo ha sperperato tutto il suo patrimonio, il padre rinnova la piena fiducia e non solo lo reintegra nei suoi beni, ma gli affida l'amministrazione della sua casa. Tutto questo senza alcuna garanzia. 40 I sandali ai piedi: solo i padroni indossavano i sandali, i servi erano scalzi. Oltre al significato di piena dignità, anche l'immagine dei sandali ha vari riferimenti biblici: secondo la Legge del Levirato, un uomo senza sandali era un uomo senza discendenza (Numeri, 36,7; Deuteronomio 25,9), il figlio riabilitato è chiamato a dare una discendenza alla famiglia. Togliere i sandali era inoltre una espressione di lutto e dolore, si rimettevano alla fine del periodo di tristezza (Ezechiele, 24,17; Isaia 20,2). Tutto questo cancella la diffusa opinione che ricevere il perdono di Dio significhi soltanto ottenere l'eliminazione del peccato e la liberazione dal timore del castigo. Nel caso del figlio prodigo il perdono non comporta il semplice ripristino della situazione precedente. In luogo del consueto rapporto di filiazione naturale subentra un nuovo genere di filiazione in base ad un gesto di adozione formale (cfr. Gal. 4,5). Colui che è ritornato, dunque, benché non possedesse più nulla, acquista nella casa paterna un posto che prima 40 A. MAGGI, Parabole come pietre, op. cit., 70-71. 27 non aveva, e questo non per diritto, ma per grazia. E proprio quest'ultima ora lo impegna ad esistere solo per il padre. 41 Tutto questo sposta dalla l'attenzione dalla nostra autocentratura alla centratura sul Padre. E' lui che ci ha amato per primo e noi siamo chiamati ad accogliere il suo amore. La casa è sempre rimasta aperta, il figlio deve lasciarsi amare dal padre. Sì, è più importante capire che Dio ci ama che capire che noi dobbiamo amare Dio. Nella sua predicazione e nel suo agire, Gesù ha detto molto di più su Dio che ci ama che non sul nostro dovere di amare Dio. È significativo: può amare Dio colui che ha conosciuto che da Dio è stato amato prima e di amore preveniente. Capiamo le parole di Giovanni: «Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4,18), eco di quelle di Gesù ai discepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi!» (Gv 15,16) 42 vv. 23-24 Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. A quei tempi la carne si mangiava raramente e soltanto in occasione delle grandi solennità religiose, il vitello grasso era riservato al Signore. Ed era un bene prezioso. Un vitello non era una cosa da poco, e per giunta questo era quello che era venuto su bene. Ammazzarlo invece di ingrassarlo non è una decisione da niente, il padre fa qualcosa di radicalmente antieconomico. Ed oltre al banchetto vuole anche musica, canti e danze, vuole che tutti siano contenti come è contento lui, vuole che tutti nella casa partecipino della sua gioia: suo figlio è vivo. 43 Le espressioni perduto/ritrovato richiamano le due parabole precedenti, della pecora e della moneta perdute. La festa, simbolo di vita, annulla la morte! 41 42 43 K. H. RENGSTORF, Il Vangelo di Luca, Paideia, Brescia 1980, 315. E. BIANCHI, «Ma l'altro figliol fu prodigo?», in Avvenire dell' 11/03/2010. G. BENASSI, Il mestiere di Dio, op. cit., 63. 28 vv. 25-28 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. La notizia della festa e il ritorno del fratello non suscitano nel figlio maggiore la stessa gioia del padre, anzi, suscitano la sua arrabbiatura. Questo figlio è l'immagine degli scribi e dei farisei per i quali Gesù racconta la parabola. La figura di questo figlio è l'unica criticata da Gesù, e possiede l'atteggiamento del fariseo: vuole l'osservanza della norma e l'applicazione del castigo. Non è libero, è dominato dal desiderio di vendetta. Il Dio di Gesù è al di là della vendetta e della punizione. E' solo bontà e, se non trova risposta alla sua bontà, perdona. In questo modo abbraccia tutti sotto l'arcobaleno della sua grazia e della sua misericordia. 44 Il figlio minore è uscito dalla casa, il figlio maggiore rifiuta di entrare. Il padre è andato incontro al figlio, il fratello rifiuta di incontrarlo. L'amore incondizionato scandalizza il figlio maggiore, che aveva chiuso l'amore del padre nella gabbia della giustizia umana. Il maggiore è una legione sotto nome diverso, è l'infingardo della parabola dei talenti, il fariseo al Tempio, il servo spietato che prende per il collo il conservo. E' uno schiavo nella casa della libertà. Non fa nulla per evitare l'evasione del fratello inquieto, in lui c'è troppa verità e poca carità. 45 44 45 L. BOFF «Miseria e misericordia», in AA.VV., Fuoritempio. Omelie laiche. Anno C., Di Girolamo, Trapani 2009, 56. A. BERGAMASCHI, Andate e mostrate. Omelie dell'anno C, EDB, Bologna 2006, 218 (citazione di P. MAZZOLARI, La più bella avventura. Sulla traccia del prodigo, Gatti, Brescia, 1934). 29 Ma il padre dimostra di non avere preferenze tra i suoi figli. Ed esce incontro anche al figlio maggiore. Non gli comanda di entrare, lo prega. Non fa leva sulla sua autorità di padrone, ma sul convincimento, con l'atteggiamento del servo che supplica! vv. 29-30 Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Dalle rimostranze del figlio maggiore emerge con chiarezza come egli consideri il padre un padrone e come non ne conosca la grandezza del cuore. In questa descrizione Gesù critica con ironia gli scribi e i farisei che non si considerano figli, ma servi di Dio, che non hanno un rapporto con un padre ma con un Signore e che osservano i suoi comandi attendendosi in cambio una ricompensa. Come gli scribi e i farisei che mormorano contro Gesù, anch'egli pensa che il peccato sia consistito nel dilapidare le sostanze, non invece nel fatto di essersi allontanato da casa. E si capisce che anch'egli ragiona come il figlio minore. Infatti è rimasto in casa, ma convinto che lo stare in casa sia faticoso, sia un sacrificio, convinto anch'egli che fuori si sta meglio. È un figlio fedele, ma con l'animo del servo, incapace nel profondo di condividere la gioia del padre, perché non vede nel fratello che si è allontanato un povero da salvare, ma semmai un fortunato da punire. Non si sente figlio, grato e gioioso di essere in casa, già premiato per il fatto di essere in casa. 46 46 B. MAGGIONI, omelia della Quarta domenica di Quaresima anno C dal sito www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20100314.shtml, a cura di Qumran2.net 30 Avendo il padre diviso le sostanze con i figli, il figlio maggiore è diventato padrone dei suoi averi, che peraltro erano sempre stati suoi. Non aveva bisogno che il padre gli desse un capretto, era già suo... Oltre a non avere capito il padre, il figlio maggiore non riconosce più un rapporto con il fratello: Non dice “mio fratello”, ma “tuo figlio”, come quando un bimbo fa disperare e il marito o la moglie dicono all'altro: “guarda cosa fa tuo figlio!” 47 L'astio delle parole rivelano una gelosia che ricorda quella dell'operaio della vigna che protesta per la bontà del padrone verso gli operai che hanno lavorato soltanto un'ora (Matteo 20, 14-15). L'accusa che rivolge al padre è la stessa rivolta a Gesù dagli scribi e dai farisei, cioè quella di accogliere i peccatori e di mangiare con loro. vv. 31-32 Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Il padre, nonostante l'accusa, si rivolge al figlio con parole cariche d'affetto e lo chiama «teknon», traducibile con «bambino mio». Ricorda al figlio maggiore che colui che è tornato è anche suo fratello, non solo suo figlio. La festa è anche per lui. Gesù invita farisei e scribi a non scandalizzarsi per la bontà del Padre, che “è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” (Luca 6,35), ma a unirsi alla festa del figlio ritrovato, perchè Dio non guarda al passato dell'uomo, ma alla sua condizione presente. E quando il peccatore 47 D. PEZZINI, Il Vangelo della domenica. Anno C, EDB, Bologna 1997, 86. 31 accenna a ritornare a Dio, il Padre gli corre incontro. Non lo sottopone a umilianti rituali per riammetterlo al suo amore e tanto meno gli impone penitenze per il male commesso. C'è solo da festeggiare. 48 2.3 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Questa parabola è talmente intensa e ricca di significati che è stata utilizzata per moltissime riflessioni e dimostrazioni, più o meno «lecite». Essendo poi il finale della parabola sospeso, alcuni commentatori hanno provato a continuarla, ipotizzando alcune conclusioni, ne vedremo una in particolare. Nel capitolo precedente si accennava alla «coscienza ermeneutica», alla fedeltà al messaggio, che non è soltanto fedeltà al contenuto, ma anche al metodo con il quale il messaggio viene trasmesso. In questo caso il messaggio è veicolato da un racconto e, questa parabola dimostra l'estrema efficacia che i racconti possono avere per «dire Dio». In passato sono stati fatti utilizzi scorretti di questa parabola, in buona fede, per dare fondamento teologico, ad esempio, al sacramento della Penitenza: Il predicatore, ottimamente intenzionato, commenta l'itinerario spirituale del figlio e riconosce quattro momenti di questo itinerario: la contrizione : “Allora rientrò in sé stesso e disse: Quanti salariati a casa di mio padre...” la confessione dei peccati: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te,,,” la soddisfazione: “Non sono più degno di essere tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni” l'assoluzione: “Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo...” La lettura della parabola viene fatta ritrovando in essa i quattro elementi del sacramento della Penitenza. E' evidente che tutto questo non esisteva minimamente nell'intenzione che Gesù aveva raccontando questa parabola, né esisteva nella mente dell'evangelista Luca 48 A. MAGGI, Parabole come pietre, op. cit., 80. 32 che la riporta. Vengono retroproiettati sul testo dei significati che non appartengono al testo biblico, che vuole mettere in chiara luce soprattutto l'atteggiamento paterno e benevolente di Dio Padre e la sua gioia di perdonare senza chiedere nulla in cambio. Questa ingenuità non è casuale: essa è sottesa da una concezione della Parola in cui manca il senso della storicità. 49 D'altra parte, però, la sovrabbondanza di senso della scrittura, la potenza evocativa del racconto e il finale sospeso si prestano anche a proporre delle ipotesi e delle prosecuzioni del racconto che non sono contemplate nel testo, ma che mettono in atto ulteriori interessanti riflessioni, come nel caso della citazione seguente, sul tema del dialogo ebraico-cristiano: L'ascolto biblico termina quando noi entriamo a far parte del racconto, quando il racconto giunge fino a noi e descrive la nostra situazione; il racconto collega sempre il passato e l'oggi del lettore. La parabola del “Padre che aveva due figli” è stata riletta anche per riflettere sul rapporto tra Israele e la Chiesa, con l'aggiunta di un finale drammatico ma ricco di significati.. Teniamo presente che, nel commento dei Padri della Chiesa il figlio maggiore sta per il popolo ebraico e il figlio cadetto sta per il popolo cristiano. Il testo evangelico finisce lì dove, dopo l'invito del padre, nulla ci viene detto circa l'assenso o meno del figlio maggiore a partecipare alla festa.. ma ora il racconto riprende: “Il figlio maggiore (= l'Ebreo) non diede risposta alcuna all'insistente invito del padre a partecipare al banchetto festivo per il fratello perduto ritornato a casa (il cristiano: i gentili entrati a far parte del popolo di Dio); se ne andò invece e murò la porta tra le stanze, assegnategli dal padre, e il resto della fattoria, recintò la sua parte di terreno ed evitò per il seguito tutta l'altra parte della proprietà. I due fratelli si sposarono, e si trovarono ad abitare uno accanto all'altro; ma l'estraneità tra loro divenne via via inimicizia. E poiché la stirpe di colui che si era perduto (il cristiano) si accrebbe molto di più di quella del fratello maggiore, quest'ultima si ritrasse sempre più intimidita; quell'altra poi (i cristiani) dimenticò poco a poco i legami di parentela e alla fine non provò che il disprezzo per quegli altri che riteneva completamente inimicati con il suo capostipite. 49 I. SEGHEDONI, Teologia dell'evangelizzazione. Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto superiore di Scienze Religiose «B. C. Ferrini» di Modena a.a. 2009-2010, 4, 37-37. 33 E accadde allora che, un giorno, il figlio minore di colui che si era perduto (il cristiano figlio di cristiani), in un cieco eccesso di rabbia, uccise, come Caino e Abele, uno dei giovani cugini (l'ebreo), di cui aveva sentito parlare tanto male. Il vecchio padre, a questa notizia, si alzò, andò alla porta della casa e ad alta voce gridò: “Dov'è tuo fratello?”. Un brivido di orrore percorse la stirpe di colui che si era perduto. 50 La parabola, infatti, in passato, è stata commentata, insieme al racconto del Cap. 4 del libro del Genesi (la vicenda di Caino e Abele), in chiave antiebraica, dove Caino e il fratello maggiore venivano caratterizzati come figura degli ebrei gelosi dei cristiani; questa visione è però superata dall'atteggiamento del padre nella parabola, che considera i figli alla pari, e non ha una sola parola di condanna per gli atteggiamenti dell'uno o dell'altro, ma supera tutte le lacerazioni con il suo amore che chiede di essere trasmesso e diffuso. Queste due citazioni credo che dimostrino la necessità di fare coesistere il rigore scientifico e l'onestà intellettuale da praticare quando si esaminano i testi biblici e l'attenzione a coltivarne e a valorizzarne la ricchezza di senso, la bellezza e il cuore. Un aspetto senza l'altro rischierebbe di condurre verso derive fantasiose da una parte ed eccessivamente tecniche e riservate agli addetti ai lavori dall'altra. Dal punto di vista della vita spirituale, poi, questa parabola non può che suscitare sentimenti di gratitudine commossa... Non perdiamo tempo, lasciamoci abbracciare dal Padre e incominciamo ad amare come ama lui e come ama il Figlio con il fuoco dello Spirito. Charles Pèguy, con l'ardore del figlio ritornato all'abbraccio del Padre, scuote la nostra mediocrità e ci dice con bruciante sincerità: “Dio ci ha preceduto. E' il mistero di tutti i misteri. Tutti i sentimenti, tutti gli slanci che dobbiamo avere per Dio, Dio li ha avuto per noi. Singolare capovolgimento che accompagna tutti i misteri, li raddoppia, li dilata all'infinito. Bisogna aver fiducia in Dio. Egli 50 P. LOMBARDINI, Introduzione alla Sacra Scrittura (Dei Verbum). Dispensa ad uso degli studenti dell'Istituto di Scienze Religiose «Mons. Leone Tondelli» di Reggio Emilia a.a. 1996-1997, 12. 34 ha avuto fiducia in noi tanto da affidarci il suo Figlio unigenito (ahimè, che cosa ne abbiamo fatto!). E' Dio che ci ha dato credito e fiducia, che ha creduto in noi, che ha avuto fede in noi. Dio ha sperato in noi. Dio ha riposto la sua speranza in ciascuno di noi, nel più infimo dei peccatori. Si dirà che noi infimi, che noi peccatori non riponiamo la nostra speranza in lui?” 51 E' un invito alla conversione e al ritorno al Padre di una forza unica, forza dovuta paradossalmente alla debolezza del Padre alla sua incredibile dolcezza e al suo amore disarmante e contagioso. Il primo passo di ogni conversione è proprio il rivedere l'idea che ci facciamo di Dio: non è un controllore esoso e vendicativo, ma una casa accogliente dove si fa festa con musica e danze. Se uno si convince di questo capirà anche che per arrivarci vale la pena di fare qualsiasi cosa. E che è una meraviglia che ci si arrivi in tanti, ci si arrivi tutti. 52 E' la parabola per eccellenza, che ci rivela forse come nessun'altra il volto e il cuore del Padre: Questo brano è la “magna charta” del cristianesimo, nel senso che qualsiasi cosa venga detta su Dio, va sempre passata al vaglio di questa parabola. Perchè qualsiasi cosa ti dicano su Dio, se vuoi essere cristiano, devi riuscire a conciliarla con questo padre palestinese descritto da Gesù. Quando Gesù parlava di Dio come di un padre, era questo il volto che gli dava. 53 E' una pagina rivelatrice e generatrice di senso, che ha impressionato ed ispirato tutta la nostra cultura e la nostra civiltà nel corso dei secoli. Questa pagina di san Luca costituisce un vertice della spiritualità e della letteratura di tutti i tempi. Infatti, che cosa sarebbero la nostra cultura, l’arte, e più in generale la nostra civiltà 51 52 53 A. COMASTRI, Dio è Padre, op. cit., 97 D. PEZZINI, Il Vangelo della domenica. Anno C, op. cit., 87 G. BENASSI, Il mestiere di Dio, op. cit., 69. 35 senza questa rivelazione di un Dio Padre pieno di misericordia? Essa non smette mai di commuoverci, e ogni volta che l’ascoltiamo o la leggiamo è in grado di suggerirci sempre nuovi significati. Soprattutto, questo testo evangelico ha il potere di parlarci di Dio, di farci conoscere il suo volto, meglio ancora, il suo cuore. 54 54 BENEDETTO XVI, «Di fronte a Dio né ribellione né obbedienza infantile», in Avvenire del 14/03/2010. 36 CAPITOLO 3 LE RILETTURE DELLA PARABOLA DEL PADRE MISERICORDIOSO La parabola del Padre misericordioso, avendo in una certa misura influito sulla nostra civiltà, ha di pari passo ispirato con forza molti artisti, che l'hanno rappresentata e reinterpretata nelle loro opere e creazioni. Infatti ritroviamo il suo messaggio espresso nelle varie forme artistiche, nella pittura, nella scultura, nella letteratura, nel cinema e nella musica. Si può affermare che tutte queste forme di arte esprimono in qualche modo la dimensione spirituale, e nascono da una ispirazione. Quello che comunemente era attribuito alle Muse, creature divine della mitologia greca, per l'artista credente è opera dello Spirito Santo, che guida l'uomo. In questo senso si può parlare di un'azione rivelatrice e al tempo stesso creatrice da parte dell'uomo, il quale dà forma visibile a quelle realtà che ha attinto nella sua ascesa al mondo divino, guidato dallo Spirito. L'arte diventa pertanto modalità di conoscenza integrale della realtà circostante che si dischiude a colui che si è posto umilmente in ascolto di essa. E il mezzo attraverso il quale l'artista mostra la faccia visibile, materiale dell'anima viva della creazione di Dio è il simbolo. 55 Per tentare di avvicinarci al mondo spirituale, che fatichiamo molto a capire a causa del nostro essere immersi nella dimensione terrena, l'arte ci viene in aiuto, perchè mostra senza dimostrare, lasciando libertà di adesione, attrae con la sua bellezza, spiega la Scrittura aiutandone la comprensione, emoziona, libera, risveglia... 55 G. MORANDI, Bellezza. Luogo teologico di evangelizzazione, op. cit., 148-149. 37 Vengono ora presi in esame alcuni autori che si sono cimentati nella rappresentazione della parabola ed alcune loro opere significative, citate in ordine cronologico, senza la pretesa di esaustività, con una particolare attenzione al dipinto «Il ritorno del figliol prodigo» di Rembrandt. 3.1 LA PARABOLA NELLA PITTURA 3.1.1 HERONYMUS BOSCH Breve biografia Jeroen Anthoniszoon van Aken, detto Hieronymus, nato il 2 ottobre 1453 a 's Hertogenbosc, è un pittore fiammingo famoso per i suoi inquietanti ed enigmatici dipinti, con tematiche di ispirazione prevalentemente religiosa e arricchite da trasfigurazioni che superano la fantasia. Le documentazioni sulla vita e l'attività artistica di Bosch sono abbastanza scarse e ci danno poche notizie. Si sa che è figlio d’arte (il padre ed il nonno erano pittori), che è artisticamente attivo nella prosperosa ‘s-Hertogenbosch, una città del Brabante fiammingo, dove trascorre prevalentemente tutta la sua vita e che nel 1481 si sposa con una donna della zona. Dal 1496 aderisce alla confraternita della Vergine e si occupa di rappresentazioni coreografiche teatrali e dell’organizzazione di processioni. La sua prima opera, che gli procura la celebrità in tutto il continente europeo, è la decorazione delle vetrate della chiesa di ‘s-Hertogenbosch. La sua pittura, che combina motivi astrologici, popolari ed alchemici, in tematiche come l’Anticristo e raffigurazioni di scene sulla vita dei santi, indica una sua grande e continua angoscia morale e religiosa, accompagnata spesso dalla persuasione della follia umana. La raffigurazione immaginifica di Bosch è simulacro della dannazione eterna, rappresentata attraverso l’impiego di elementi iconografici tradizionali (presenza del fuoco, scene di persone che subiscono pene corporali) e un eccezionale proliferare di immagini simboliche, in una continua incarnazione e raffigurazione delle visioni più spaventose. Nelle sue ricercate composizioni risulta evidente un intento satirico, dove i suoi personaggi, tra l’animalesco e l’umano, vengono raffigurati in atteggiamenti grotteschi e spesso indecenti, come pure le presenze di gruppo fortemente trasfigurate fino al raggiungimento della caricatura. Nelle sue opere l’artista evidenzia un'assoluta padronanza della tecnica e della composizione, la capacità di raffigurare in maniera unitaria eventi articolati e ricchi della più impensabile particolarità. Le stravolte proporzioni e gli stridenti accostamenti cromatici, presenti in 38 molte scene, sono essenzialmente il frutto di una valutazione funzionale dal valore simbolicamente rappresentativo. Tutto questo deriva, oltre che dal suo straordinario talento artistico, dalla perfetta conoscenza dei grandi esponenti della pittura tedesca nel campo dell’incisione e, soprattutto, della miniatura. Muore nella stessa città olandese il 9 agosto 1516. 56 Il figliol prodigo (vedi allegato 1) Questo dipinto è stato realizzato da Bosch nel 1510 ed è conservato al Museo Boymansvan Beuningen di Rotterdam. Com'è tipico dello stile di questo artista, il dipinto contiene curiosi riferimenti simbolici, non sempre chiari nel loro significato. Vi è rappresentato un uomo che cammina in una strada di campagna con un bastone in mano ed una gerla sulla schiena, che si sta allontanando da una casa con un tetto cadente e con diversi personaggi inquietanti: un uomo e una donna che si abbracciano in modo lascivo ed un altro che urina vicino alla recinzione sul lato della casa. Il quadro sembra strutturato su tre piani : il piano dello sfondo, quello della casa, e quello dove si trova il viandante. Proviamo ad ipotizzare alcune considerazioni tra i vari elementi del dipinto e la relazione tra essi. La casa è in evidente stato di deterioramento. Da sempre la casa rappresenta il rifugio, il luogo ove si svolge la vita più intima. Ciò sembrerebbe indicare che quello che l’uomo si lascia alle spalle è essenzialmente una vita di caos e disordine. Tutto ciò per intraprendere un viaggio verso un diverso modo di percepire la vita. La porta della casa potrebbe essere la designazione simbolica del Cristo stesso (Giovanni 10, 1-10), porta attraverso la quale le pecore possono giungere all’ovile, cioè al regno degli eletti. Il riferimento all’ovile è anche dato dalla staccionata che delimita sul fondo di destra il retro della casa ed in prossimità della quale un uomo sta urinando contro la casa stessa (… tutti coloro che son venuti prima di me, sono ladri e briganti…). Quest'uomo potrebbe rappresentare il viandante stesso nel momento in cui è arrivato alla casa (in una rappresentazione su più piani temporali dello stesso soggetto), l’atteggiamento rozzo ed istintivo potrebbe quindi essere legato alla tradizione alchemica della “materia bruta” o “pietra grezza”, elemento base di partenza. Anche tutti gli animali presenti hanno diversi significati simbolici. 56 Dal sito www.frammentiarte.it/dal%20Gotico/Bosch%20opere/0%20Bosch%20biografia.htm 39 Una donna, affacciata ad una finestra, sta osservando quello che avviene all’esterno della casa. Si potrebbe ipotizzare che la donna sia appena stata lasciata dal viandante e che ne osservi il viaggio intrapreso senza potervi partecipare ella stessa. Quello che l’uomo si lascia alle spalle è sostanzialmente un mondo privo di morale ed etica dove la lussuria, l’ignoranza ed il caos dominano, sta lasciando la follia ed il disordine della vita e si sta avvicinando a un cancello di legno, si trova di fronte ad una nuova porta su cui sono rappresentate sia la dimensione orizzontale che quella verticale, la rettitudine, il rispetto delle leggi e dei regolamenti. Sembra che la porta sia essa stessa simbolo della perfezione del mondo a cui da essa si accede. In questo preciso istante il viandante sta vivendo una iniziazione (sono presenti simboli forse massonici...), che gli permetterà di aprire il cancello. L’iniziato rivolge il proprio sguardo all’indietro consapevole da un lato di essere comunque legato al proprio passato e dall’altro che quanto appena vissuto prima o poi ci verrà riproposto nel tempo: quasi a conferma di una concezione circolare del tempo. A questo punto personalmente credo che intitolare l’opera “Il figliol prodigo” abbia un senso. Nella parabola del figliol prodigo c’è tutta la simbologia legata al ritorno al Padre, alla riunificazione con l’unità primaria, ben diversa dal “Sentiero della vita”, altra opera del medesimo autore ma con simbologia completamente diversa. 57 Bosch ha scelto di rappresentare il significativo momento della decisione del ritorno a casa, facendo un uso abbondante di simboli, che, non essendo immediatamente comprensibili, costringono colui che si mette davanti alla sua opera a riflettere a lungo e ad entrare quasi perdendosi nella parabola, così ricca di spunti di riflessione. 3.1.2 IL GUERCINO (Giovan Francesco Barbieri) Breve biografia Giovan Francesco Barbieri nasce a Cento il 2 febbraio 1591 e deve il suo soprannome, “Il Guercino” ad un evidente strabismo. Dopo aver appreso le prime nozioni di pittura a Cento presso un pittore locale, nel 1609 Guercino si trasferisce a Bologna dove può migliorarsi a contatto con le opere di Annibale, Agostino e Ludovico Carracci. La sua pittura era fondata su una ripresa del reale priva di abbellimenti (il riferimento ovvio è all’opera del Caravaggio) che già mostra la sapienza dell’artista emiliano negli effetti chiaroscurali e cromatici. Nel 1618 è a Venezia, dove grazie alla visione dei capolavori di Tiziano Vecellio e Jacopo Bassano affina la sua, già eccellente, sensibilità cromatica. La maniera giovanile dell’artista è espressa chiaramente nei capolavori giovanili “Susanna e i vecchioni” (1617), in cui il cielo plumbeo e 57 R. BOBBA, dal sito www.bobba.to.it/bosch.htm 40 l’oscurità notturna sono illuminati dal candore del corpo della fanciulla, lo straordinario “Memento mori” con la sua profonda riflessione sulla morte di “Et in Arcadia Ego” (1618)e la “Vestizione di San Guglielmo d’Aquitania” (1620). Del 1621 è l’importante viaggio a Roma (città in cui soggiorna fino al 1623). Qui Guercino riceve l’incarico di decorare il casino di Villa Ludovisi. Sempre a Roma il pittore di Cento dipinge la monumentale pala della “Sepoltura di Santa Petronilla” (1622-1623). Il 1623 segna il ritorno nella natia Cento. È un periodo nel quale il suo fare artistico volge verso un’adesione al classicismo e all’eleganza di Guido Reni e durante il quale nasce un capolavoro quale “Apparizione di Cristo alla madre” (1629). Nel 1649 l’esistenza del pittore è immalinconita dalla scomparsa del fratello Paolo Antonio; nel 1661 Guercino subisce un infarto che anticipa il malore a causa del quale muore nel 1666. 58 Il ritorno del figliol prodigo (vedi allegato 2) Il dipinto è stato realizzato nel 1619 ed è conservato presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Rappresenta il momento in cui il padre fa rivestire il figlio appena tornato per restituirgli la dignità. Un traffico di braccia e di mani si incrocia per adoperarsi al cambio di vesti del figlio ravveduto. La camicia sporca e bucata, ormai divenuta uno straccio, va sostituita con una bianca e fresca che ha scelto il padre, mentre il fratello è giunto con gli altri panni in braccio e già porge un paio di scarpe nuove. È il momento in cui il pentimento e il perdono si incontrano senza bisogno di parlare, in cui l'affetto supplisce ad ogni parola, ad ogni giustificazione o rimprovero. L'eloquente silenzio è infuso nella penombra avvolgente e nei capi leggermente reclinati di tutti e tre i personaggi. È uno dei quadri più rappresentativi del Guercino, sintesi assoluta del suo stile, del suo chiaroscuro atmosferico, delle sue invenzioni iconografiche. Forse il più vicino alle istanze caravaggesche, nonostante ai dettagli ottici l'artista centese preferisca le sfocature vellutate delle epidermidi. 59 E' un'opera veramente suggestiva, che sottolinea il legame tra padre e figlio come un rapporto quasi carnale, dove la dimensione della corporeità è molto forte e realistica. 58 59 Dal sito http://www.fondazioneitaliani.it/index.php?option=com_content&task=view&id=8750&Itemid=64 AA.VV., Guercino. Poesia e sentimento nella pittura del '600. Catalogo della mostra (Milano, 27 settembre 200318 gennaio 2004), De Agostini, Novara 2003, 204. 41 3.1.3 MATTIA PRETI Breve biografia Mattia Preti nacque in un piccolo centro della Calabria montuosa, Taverna, ai margini della scena culturalmente più viva del suo tempo. Preti nasce terzo di una numerosa stirpe appartenente al ceto intermedio delle famiglie "onorate", non ricche di possedimenti o beni materiali ma di qualità morali e intellettuali. La madre, Innocenza Schipani, apparteneva ad una delle quattordici famiglie nobili di Taverna, nella cui chiesa parrocchiale possedeva una cappella gentilizia che ospitò il battesimo del piccolo Mattia il 26 febbraio 1613. Nel 1630 si trasferì a Roma dove abitò nei primi anni insieme al fratello Gregorio, anche lui pittore. Conobbe le tecniche del Caravaggio e della sua scuola, da cui fu fortemente influenzato. Rimase a Roma per quasi venticinque anni, ma si recò spesso in viaggio per l'Italia e l'estero (Spagna e Fiandre soprattutto), avendo contatti con i Carracci, col Guercino e con Giovanni Lanfranco, che influenzarono ulteriormente la sua pittura. Dal 1653 si trasferì a Napoli, e tra il 1657 e il 1659 affrescò le porte della città durante la peste; inoltre sulla volta di San Pietro a Maiella dipinse la vita di San Pietro Celestino e Santa Caterina d'Alessandria e il Figliol Prodigo. Nel 1661 l'artista si trasferì a Malta, chiamato dal Gran maestro dell'Ordine di Malta Raphael Cotoner. Sull'isola realizzò buona parte della decorazione della Concattedrale di San Giovanni a La Valletta per conto dei Cavalieri Ospitalieri, ed altre opere per le varie chiese maltesi. Secondo lo storico dell'arte Antonio Sergi, Mattia Preti avrebbe realizzato a Malta un totale di circa 400 opere tra tele ed affreschi. Dal 1672 riuscì a realizzare alcune opere nelle chiese della sua città natale, Taverna. Morì nel 1699 a La Valletta. 60 Ritorno del figliol prodigo (vedi allegato 3) Mattia Preti ha rappresentato varie volte (almeno quattro) la parabola nei suoi dipinti; questa redazione, realizzata nel 1656, è quella di dimensioni maggiori ed è conservata presso il Museo di Capodimonte a Napoli. 60 Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Mattia_Preti 42 La composizione propone uno scenario particolarmente ampio e profondo, chiuso alle estremità dall'opposto piegarsi di due gruppi di donne, entrambi sottolineati da evidenti colpi di luce, e idealmente diviso da una statua di spalle, la Flora Farnese, presente anche in altre opere di Preti. Il contrasto tra luce ed ombra crea un accentuato dinamismo in tutta la scena ed accresce la teatralità dei gesti: l'incontra tra il vecchio padre e il figlio pentito diventa lo spunto intorno al quale ambientare l'azione di una molteplicità di figure – fanciulli, donne vecchie e giovani, servitori, paggi, animali di vario genere – tutti brani di grande suggestione e di molto mestiere in un artista ormai affermato e ben conscio delle proprie capacità espressive. Poche e ben studiate note di colore rompono l'uniformità complessiva della composizione: il rosso vivo della serva che reca le vesti per il giovane e dei calzoni dell'uomo al centro della scena, il giallo dell'ampio manto del vecchio padre e della giovane di spalle, mentre l'incarnato livido del figlio ricorda il San Sebastiano e altre opere. 61 Nelle rappresentazioni successive di Preti della parabola, qui tralasciate, colpisce il fatto che gradualmente scompaiono i personaggi di contorno e il pittore si concentra sulle figure del padre e del figlio, come per raccogliersi sul tema dell'amore e del perdono che caratterizza la scena del loro incontro. 3.1.4 REMBRANDT HARMENZOON VAN RIJN Breve biografia Rembrandt Harmenzoon van Rijn nasce a Leida in Olanda il 15 luglio 1606, da un mugnaio benestante, che può offrirgli un'infanzia agiata. Nel maggio del 1620 Rembrandt si iscrive alla facoltà di letteratura dell'Università di Leida, ma ben presto abbandona gli studi per andare a lavorare come apprendista presso Jacob Isaaczoon van Swaneburgh, un modesto pittore di quella città. In seguito si reca ad Amsterdam, forse verso il 1624, presso Pieter Lastmann, uno dei più noti pittori di soggetto storico del tempo. Intono al 1627-1628 Rembrandt viene in contatto con un altro giovane pittore, Jan Lievens, con il quale collabora e decide di mettere insieme uno studio a Leida. Il primo grande quadro "La lezione di anatomia del professor Tulp" gli diede la gloria. Nel 1629 dipinge “Giuda rende i trenta denari”, molto lodata da Constantijn Huygens, segretario del principe d'Orange Frederick Hendrick, che gli commissionerà in seguito la serie della Passione. Fondamentale nella carriera e nella vita privata del pittore è il suo rapporto con Hendrick van 61 D. M. PAGANO, Mattia Preti tra Roma, Napoli e Malta, Electa, Napoli 1999, 138. 43 Uylenburgh, mercante d'arte, di cui sposa la cugina, Saskia, con la quale si trasferisce ad Amsterdam. Nel corso del 1632 lavora anche a L'Aja dove esegue numerosi ritratti. Divenuto il ritrattista più richiesto di Amsterdam, affianca a questa attività quella di pittore di genere storico. Nel 1641 nasce il figlio Titus; nell'anno successivo muore la moglie di tubercolosi. Anche se la bottega di Rembrandt accoglie un numero sempre maggiore di allievi, fra gli anni 1630 e 1650 attraversa una grave crisi finanziaria, scarseggiando anche importanti commissioni pubbliche e private. Fra i fattori che influiscono sulla sua mancanza di commissioni c'è forse anche lo stile di vita inconsueto, per la buona società di Amsterdam, soprattutto per quanto riguarda la sua vita privata: ha una controversia di carattere legale con Geertje Dircks, alla quale è costretto a pagare una notevole cifra di denaro come risarcimento e nel 1654 l'amante e già governante del pittore Hendricke Stoffels dà alla luce una figlia illegittima, Cornelia. Oppresso dai debiti che aveva contratto per l'acquisto della casa, è costretto alla fine a vendere la sua ricca collezione di oggetti d'arte. Nel 1658 Rembrandt e la sua famiglia devono lasciare la casa nella Sint Anthonisbreestraat per trasferirsi sul Rozengracht, nel quartiere Jordan. L'ultimo decennio della sua vita trascorre in ristrettezze economiche e costellato di eventi tragici: nel 1663 muore di peste la sua compagnia Hendricke, nel 1688 muore anche il figlio Titus, che si era sposato da pochi mesi con Magdalena van Loo. L'artista continua a dipingere fino agli ultimi giorni di vita; muore il 4 ottobre del 1669 e viene sepolto in una tomba senza nome nella Westerkerk. E' stato uno dei più geniali pittori olandesi del 1600, capace di dare alle sue creazioni una profonda intensità di vita per mezzo del chiaroscuro. 62 L'allegra coppia (vedi allegato 4) Questo dipinto è stato realizzato da Rembrandt nel 1636 e si trova allo Staatliche Kunstsammlungen di Dresda . L'opera dispone di un sottotitolo significativo: «Il figliol prodigo dilapida la sua eredità». Nella tradizione questo dipinto viene considerato come un autoritratto dell'autore e della moglie in un'immagine di felicità coniugale. La natura dell'opera è però più complessa. Lo studio dell'iconografia ha permesso infatti di assimilare questa scena al racconto evangelico del figliol prodigo che dilapida il proprio patrimonio in una taverna, in compagnia di donne di malaffare. Forse per mano dello stesso Rembrandt, la tela fu tagliata sul lato sinistro e privata di una consistente porzione e si nascose, ridipingendola, la figura già abbozzata di una suonatrice discinta. E' possibile che il pittore intendesse in questo modo 62 Dal sito www.pittart.com/rembrandt.htm 44 eliminare alcune figure secondarie per concentrarsi sui protagonisti. L'identificazione del soggetto non esclude però che gli effigiati siano Rembrandt e Saskia: la facile conferma si ricava dal confronto con altri ritratti coevi. 63 E' interessante notare come il brano del Vangelo non ci dica nulla del periodo in cui il figlio minore ha dilapidato il patrimonio; solo suo fratello, nella sua accusa, insinua il modo in cui lo avrebbe fatto. Probabilmente anche Rembrandt si è riconosciuto nel figlio minore in questo aspetto di «dilapidatore»... Il ritorno del figliol prodigo o Il braccio benedicente (vedi allegato 5) Questo dipinto è stato realizzato da Rembrandt tra il 1666 e il 1668, la datazione è discussa tra gli studiosi, comunque senz'altro verso la fine della sua vita, quando l'autore si era avvicinato profondamente alla realtà della povertà umana e si trova all'Ermitage di San Pietroburgo . Si può considerare come l'espressione finale della sua vita turbolenta e tormentata. Il dipinto raffigura il momento dell'abbraccio del padre al figlio minore ritornato, con il figlio maggiore ed altri personaggi sullo sfondo che osservano la scena. Si potrebbe obiettare che nella parabola il figlio maggiore non assiste direttamente al ritorno del fratello, ma le opere d'arte che si ispirano a testi della Scrittura non sono mai semplici illustrazioni di un racconto, ma hanno una loro autonomia ed una loro dignità; questo dipinto ne è una dimostrazione inequivocabile. La scena raffigurata dà l'impressione di una apparente staticità: 63 AA.VV., Rembrandt, Rizzoli – Skira, Milano 2003, 104. 45 Il momento dell'accoglienza e del perdono nell'immobilità della sua composizione dura all'infinito. Il movimento del padre e del figlio parla di qualcosa che non passa ma dura per sempre. 64 Ma è anche carica di pathos, il che lascia presagire un forte movimento interiore nei personaggi raffigurati. Da uno sfondo scuro emergono, illuminate, le figure del padre e del figlio minore che sono decentrate ma che costituiscono il centro dell'opera. Dall'altro lato incombe la presenza del fratello maggiore, anch'egli illuminato ma in modo più circoscritto. IL FIGLIO MINORE appare inginocchiato, vestito di stracci logori, che coprono appena un corpo sfinito. I piedi portano i segni di un viaggio lungo e umiliante. E' un uomo spoglio di tutto, l'unico segno di dignità che gli rimane è la piccola spada che gli pende dal fianco, l'emblema della sua nobiltà. Pur in mezzo alla degradazione, non ha perso del tutto la consapevolezza di essere ancora il figlio di suo padre. Diversamente avrebbe venduto la spada di grande valore, che invece è lì a dimostrare che, quantunque sia tornato atteggiandosi come un mendicante e un proscritto, non ha dimenticato di essere ancora il figlio del proprio padre. 65 Il volto è indefinito, potrebbe rappresentare ogni persona. Il capo è rasato, forse simbolo della perdita di dignità e della sua individualità. IL FIGLIO MAGGIORE appare defilato, poco coinvolto, con uno sguardo freddo e giudicante. La sua postura è rigida, e questa rigidità è rafforzata dal lungo bastone che tiene nelle mani chiuse e strette. Il suo volto è illuminato ma il resto della figura rimane nell'ombra. Indossa un elegante mantello rosso che sembra però rimanere stretto su di lui. 64 65 C. TUMPEL, Rembrandt, N.J.W. Becht, Amsterdam 1986, 350. H.J.M. NOUWEN, L'abbraccio benedicente, Queriniana, Brescia 2007, 66-67. 46 Alcuni commentatori hanno notato che le posizioni del fratello minore e del fratello maggiore richiamano anche l'altra parabola del fariseo e del pubblicano riportata sempre dal Vangelo di Luca (18,9-14). Altri identificano la raffigurazione del pubblicano della parabola con il personaggio seduto che si batte il petto sullo sfondo insieme ad altri personaggi difficilmente identificabili, che forse rappresentano i dubbiosi e i perplessi. IL PADRE è vestito con lo stesso elegante mantello rosso del figlio maggiore, ma il suo mantello si apre accogliente. Questo ampio mantello richiama alla mente le parole del salmo 91: Tu che abiti al riparo dell'Altissimo e dimori all'ombra dell'Onnipotente, dì al Signore: Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido (...) Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio. (Salmo 91,1-4) Il volto è luminoso, anche se sofferente, gli occhi appaiono tumefatti, quasi consumati dal continuo guardare l'orizzonte in attesa del ritorno del figlio. Il suo corpo si piega sul figlio e lo accoglie in un caldo abbraccio. Questa postura del corpo può rappresentare il concetto di Dio che scende verso l'uomo. Le sue mani sono stese, e toccano il figlio con un gesto di benedizione. E sono proprio queste mani il cuore del dipinto: sono esse che richiamano l'attenzione dell'osservatore e su di esse si concentra la luce, sono l'incarnazione della misericordia. Le mani sono molto diverse tra loro. La mano sinistra, posata sulla schiena del figlio, è forte e muscolosa. È una mano che sembra non soltanto toccare, ma anche, con la sua forza, sorreggere. È una mano di padre. La mano destra invece è raffinata, delicata, molto tenera. Le dita sono ravvicinate ed hanno un aspetto elegante. La mano è posata dolcemente sulla spalla del figlio. Vuole accarezzare, calmare, offrire conforto e consolazione. È una mano di madre. 66 66 H.J.M. NOUWEN, L'abbraccio benedicente, op. cit., 144-145. 47 Il messaggio è molto forte: in Dio sono pienamente presenti sia la paternità che la maternità. Questo lampo di genio di Rembrandt, queste mani richiamano alla mente un brano del profeta Isaia: Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani. (Isaia 49, 15-16). Solitamente noi facciamo molta fatica a superare la tradizionale immagine esclusivamente maschile di Dio, ma tanti brani biblici e alcune opere d'arte come questa ci educano ad aprire la mente e a non rinchiudere e limitare Dio nelle nostre categorie umane e nelle nostre classificazioni di genere. Tra le figure speculari del padre e del figlio c'è anche questa corrispondenza: Mano destra del padre e piede sinistro del figlio: La mano delicata - femminile - è in corrispondenza del piede scalzo e ferito: è posata dolcemente, esprime delicatezza, rispetto, tatto e fragilità, vuole proteggere il lato più vulnerabile. Mano sinistra del padre e piede destro del figlio: La mano robusta - maschile - è in corrispondenza del piede semi-calzato col sandalo: è una mano che scuote con energia e sorregge, quasi a infondere nel figlio la fiducia che possa riprendere il cammino della vita. 67 Dio ci trascende, e anche l'immensità della sua misericordia, che spesso a noi appare eccessiva, ci educa ad aprire il nostro cuore nei confronti dei fratelli, in modo particolare a coloro che hanno sbagliato. Nell'efficacia e nella sintesi di questo dipinto, Rembrandt è riuscito a rappresentare il cuore del Vangelo. E a suscitare nelle persone che lo contemplano la nostalgia di Dio. 67 D. DORINI, Catechesi del 26 febbraio 2010, parrocchia di San Carlo alla Ca’ Granda, dal sito www.sanpioxcinisello.it/Prediche%20Artistiche/introduzione_prediche_artistiche.htm 48 Mi devo inginocchiare davanti al Padre, mettere l'orecchio contro il suo petto e ascoltare, senza interruzione, il battito del cuore di Dio. Solo allora portò dire con precisione e molto dolcemente ciò che sento. 68 Questa commossa frase di Nouwen è anche una efficace descrizione della preghiera, che non deve essere uno «spreco di parole» (Matteo, 6,7), come il figlio minore che, ritornando, si era preparato «l'atto di dolore», inascoltato dal padre, ma deve essere appunto, un ascolto del cuore di Dio. 3.1.5 JAN VEERMER Breve biografia Jan Vermeer nasce il 31 ottobre del 1632 a Delft, città sul fiume Schie nell’Olanda meridionale vicino al porto di Rotterdam, ma vi è chi attribuisce questa data al giorno del suo battesimo. Il padre Reyner, di confessione protestante, è un tessitore di professione e pare che si occupi anche di commercio di opere d’arte. Dell’infanzia, ma un po’ di tutta la vita di Jan Vermeer non si conosce granché, uniche fonti di una certa attendibilità sono qualche documento ufficiale ed alcuni commenti scritti, lasciati casualmente da artisti suoi contemporanei. Anche artisticamente, per lungo tempo poco conosciuto, viene riscoperto e rivalutato a partire dagli anni del tramonto dell’Ottocento. Anche dove, come e quando, il futuro artista svolga il suo apprendistato rimane cosa un po’ incerta, ma pare, che per sei anni, sempre a Delft egli frequenti come allievo Carel Fabritius (Middenbeemster 1622 – Delft 1675), anticipatore della sua futura tecnica. Nel 1652 muore il padre e Jan diventa erede sia della locanda che degli affari commerciali riguardanti le opere artistiche. Praticante del protestantesimo come i genitori, si converte al cattolicesimo prima dell’aprile 1653, mese in cui si unisce in matrimonio con Catherina Bolnes, giovane cattolica appartenente ad una famiglia nobile e molto agiata. La coppia, quasi subito dopo le nozze, va a vivere nel quartiere cattolico di Delft dove abita la madre della sposa Maria Thins, vedova altolocata che avrà un ruolo molto importante nella futura vita artistica di Jan, in quanto non si rifiuta di usare buona parte dei suoi redditi per fronteggiare e sostenere il genero, tutto preso dall’imporsi nel mondo dell’arte pittorica. 68 H.J.M. NOUWEN, L'abbraccio benedicente, op. cit., 31. 49 Nel 1653 Vermeer entra a far parte della corporazione (la Gilda) dei Pittori di san Luca di Delft, divenendo in seguito un importante e stimato membro, e poi Capo del Consiglio. Nel 1672, quando tutto in casa Vermeer pareva andare per il meglio, l’invasione francese in terra d’Olanda provoca una profonda crisi finanziaria che determina il crollo delle richieste dei beni di lusso tipo i dipinti, per cui il pittore-mercante ne risente molto, ed è costretto a contrarre debiti su debiti che si protrassero sino ad essere ereditati dai figli. In un documento ritrovato, la moglie Catherina attribuisce la morte del consorte allo stress derivato appunto dai gravi problemi finanziari. Tuttavia, la vedova si dedicò molto sia a saldare i conti dei creditori che a salvare parte della casa e delle opere lasciate dal marito. 69 La mezzana (vedi allegato 6) Quest'opera è il primo quadro datato di Veermer, risale al 1656 ed è conservato a Dresda al Staatliche Gemaldegalerie. Opera di grandi dimensioni, è dipinta con esuberanza a vividi colori, arancio, giallo e rosso, di grande effetto. Le figure sono tutte comprese in uno spazio ristretto dietro un tappeto drappeggiato su una balaustra. Veermer voleva probabilmente rappresentare nel suo dipinto un episodio della storia del Figliol Prodigo, tema estremamente comune nell'arte olandese. Il questo quadro, l'aria sicura di sé e lo sguardo diretto della figura sulla sinistra hanno le caratteristiche dell'autoritratto. Il suo costume, identificato come borgognone e non del diciassettesimo secolo olandese, rafforza l'ipotesi che Veermer intendesse raffigurare una storia del tempo passato più che una scena di vita contemporanea. 70 Anche Veermer, quindi, come Rembrandt, si è probabilmente identificato nel figlio minore della parabola, desideroso di staccarsi dalla vita dissoluta e di tornare tra le braccia del padre. 69 70 Dal sito www.frammentiarte.it/dal%20Gotico/Vermeer%20opere/0%20Vermeer%20biografia.htm A. WHEELOCK, Veermer, Garzanti, Milano 1996, 70. 50 3.1.6 MURILLO Breve biografia Bartolomé Esteban Pérez Murillo, uno dei più grandi esponenti del barocco spagnolo, nasce a Siviglia l’1 gennaio 1618. Bartolomé ha 13 fratelli, suo padre si chiama Gaspar Esteban e sua madre Maria Perez Murillo, dalla quale prende il nome d’arte che porrà sulle sue tele. Alla morte di entrambi i genitori, essendo ancora in tenera età, viene cresciuto da Ana, sua sorella maggiore sposata con Juan Agustin de Lagaris, un barbiere-chirurgo con il quale avrà sempre un ottimo rapporto affettivo. La sua formazione artistica si compie nella bottega di Juan Castillo, dove ha modo di conoscere a fondo anche la tecnica ed il linguaggio della pittura fiamminga. Le sue opere giovanili, che risentono dell’influenza di Ribera, Alonso Cano e Zurbaran, sono di grande realismo, con un caratteristico linguaggio che col tempo subirà una grande evoluzione. Le sue opere acquisiscono importanza anche perché coincidono con il gusto aristocratico e borghese, soprattutto nelle tematiche a carattere religioso. Nel 1645 realizza tredici quadri per la chiesa di San Francisco el Grande a Siviglia, che lo renderanno famoso in tutta la Spagna. Nello stesso anno si unisce in matrimonio con Beatriz Cabrera che gli darà nove figli. Due opere realizzate per la Cattedrale di Siviglia saranno la fonte della sua evoluzione nei due grandi filoni tematici che lo renderanno più celebre: le Immacolate concezioni e le Madonne col bambino. Nel 1660 Murillo, insieme ad altri esponenti del mondo artistico tra i quali Herrera el Mozo, fonda l’accademia di Pittura di Siviglia, della quale, insieme allo stesso Herrera, sarà il primo Direttore. Data la sua notorietà nelle tematiche religiose, in questo periodo, riceve molte richieste per coprire importanti incarichi e molte commissioni per la realizzazione di opere in chiese, cattedrali e luoghi di culto, tra i quali la Chiesa di S. Maria la Blanca (dipinti), il Monastero S. Agustin (Pala) e la Chiesa del Convento dei Cappuccini (dipinti per le cappelle laterali e per la Pala Maggiore); questi ultimi portati a termine nel 1665. Morirà 3 aprile 1682 a causa della caduta da una impalcatura mentre stava realizzando “Lo Sposalizio mistico di Santa Caterina”. 71 Storie del figliol prodigo Murillo, sempre attento alle tematiche religiose, dipinse un intero ciclo dedicato alla parabola, che probabilmente gli fu commissionato, e che curò con particolare attenzione. 71 Dal sito www.frammentiarte.it/dal%20Gotico/Murillo%20opere/0%20Murillo%20opere.htm 51 La prova del singolare amore con cui trattò i dipinti di questo ciclo è il fatto che ne preparò con grandissima cura l'esecuzione, studiandone ciascuno in un bozzetto di dimensioni pari a un quarto di quelle definitive. 72 Questo ciclo comprende «Il figliol prodigo riceve la legittima», «La partenza del figliol prodigo», «I piaceri del figliol prodigo, «Il figliol prodigo cacciato dalle cortigiane», «Il figliol prodigo guardiano di porci», «Il ritorno del figliol prodigo», tutti conservati presso la Beit Art Collection di Blessington (Irlanda); molti dei bozzetti di queste opere si trovano invece presso il Museo del Prado di Madrid. Il ritorno del figliol prodigo (vedi allegato 7) Questo dipinto è forse il più noto delle rappresentazioni della parabola di Murillo. E' conservato presso la National Gallery of Art di Washington ed è stato realizzato tra il 1667 e il 1670. Raffigura in grandi dimensioni il figlio inginocchiato davanti al padre e i servitori che portano i vestiti nuovi, l'anello e il vitello migliore, con un cagnolino che festeggia allegro il ritorno del padroncino. Le figure emergono dal paesaggio indefinito sullo sfondo. Colpisce il contrasto tra gli abiti eleganti e di stile seicentesco del padre e dei domestici e gli stracci di cui è ricoperto il figlio minore. Anche il palazzo del padre, in stile classico, si stacca dal resto del dipinto. A differenza del dipinto di Rembrandt, dove il figlio ha il volto indefinito, qui i lineamenti del figlio sono ritratti con precisione, e si nota l'espressione di supplica del figlio. 72 J.A. GAYA NUNO, L'opera completa di Murillo, Rizzoli, Milano 1978, 110. 52 3.1.7 GIORGIO DE CHIRICO Breve biografia Giorgio De Chirico nasce nel 1888 a Volos (Grecia). Molto giovane segue un corso di disegno presso la Scuola politecnica di Atene, poi, dal 1906 al 1908, studia all’Accademia di Belle Arti di Monaco. A partire dal 1910, le letture di Nietzsche lo spingono a produrre i primi autoritratti e paesaggi metafisici. Dal 1911 al 1915, si stabilisce e lavora a Parigi, esponendo nei diversi saloni annuali. In guerra, De Chirico viene ricoverato all’ospedale militare di Ferrara; vi incontra Carlo Carrà e Filippo De Pisis. Alla fine della guerra de Chirico va a Roma e partecipa alle esposizioni di “Valori plastici”. La prima personale è del 1919. Gli artisti surrealisti sono molto sensibili alla sua “pittura metafisica” che prefigura quella del loro movimento. De Chirico crea un’opera in cui emerge un clima di nostalgico mistero. Negli anni ’20, l’artista utilizza una fattura più classica e delle tecniche riprese dagli antichi maestri (velature, tempere, etc.). Tra il 1924 ed il 1929 l’artista vive nuovamente a Parigi. Nel 1926 raggiunge il movimento del Novecento in netta opposizione al modernismo; De Chirico viene criticato per questa sua scelta e molte delle sue relazioni artistiche gli girano le spalle. De Chirico esplorerà il tema del doppio nelle tele in cui si mette in scena a fianco della madre, del fratello o di specchi. Dipinge anche personaggi della mitologia greca, dei ritratti, dei cavalli, compone nature morte che definisce “vite silenziose”. De Chirico si compiace nel confondere le carte della propria arte, creando intorno a sé l’enigma che lo contraddistinguerà. Lo si critica di imitare sé stesso. Giorgio de Chirico illustrerà diverse opere (Apollinaire, Cocteau, Eluard, etc.), concepisce decori e costumi per l’opera, scrive (romanzo e prose corte). Artisti come Ernst, Yves Tanguy, Dalì e Magritte hanno sottolineato l’influenza che egli ha saputo esercitare su di loro. E' morto nel 1978 a Roma. 73 Il figliol prodigo (vedi allegato 8) Questo dipinto è stato realizzato da De Chirico nel 1922 ed è conservato a Milano, al Museo del Novecento. È un dipinto a tempera, realizzato in anni di ricerche tecniche e stilistiche da parte dell'autore. In una piazza, tra portici e paesaggi lontani, spiccano due curiose figure, un manichino senza volto e una statua di gesso. 73 Dal sito http://www.mchampetier.com/note-di-biografia-Giorgio-De.Chirico.html 53 In questo dipinto, derivato da un disegno del 1917, De Chirico traduce il tema della parabola evangelica del figliol prodigo in chiave metafisica; il figlio manichino, con il consueto contorno di squadre, righelli, cavalletti, proprio del periodo ferrarese, torna tra le braccia del padre, rappresentato come statua ottocentesca, il quale per accoglierlo è sceso dal basso piedistallo sul quale il pittore ha segnato la data e la firma. Il paesaggio nel quale avviene l'incontro, con il cielo percorso da leggere nuvole, e quell'edificio porticato dalle proporzioni classiche, sulla destra, ha una limpida spazialità che riecheggia il Rinascimento. Il ritorno di De Chirico alla tradizione, da lui in realtà mai trascurata, e al museo avviene in una atmosfera di serena, malinconica familiarità. 74 Anche De Chirico, come Rembrandt e Veermer, ha messo qualcosa di autobiografico in quest'opera, identificandosi con il figlio, confermando l'incisività di questa parabola nella vita dei lettori che vi si accostano. 3.1.8 MARC CHAGALL Breve biografia Marc Chagall nasce a Liosno, presso Vitebsk nel 1887, primogenito di una famiglia ebrea di nove figli. Dal 1906 al 1909 studia prima a Vitebsk, quindi all'accademia di Pietroburgo, dove è allievo anche di Léon Bakst. Nel 1910 si trasferisce a Parigi. Qui conosce le nuove correnti del momento, particolarmente il Fauvismo e il Cubismo. Si inserisce negli ambienti artistici d'avanguardia. Frequenta tra gli altri Guillaume Apollinaire e Robert Delaunay. Nel 1912 espone sia al Salon des Indépendants, che al Salon d'Automne. Delaunay lo fa conoscere al mercante berlinese Herwarth Walden, che nel 1914 gli allestisce una personale presso la sua galleria Der Sturm. Il sopraggiungere della guerra nel 1914 fa rientrare Marc Chagall a Vitebsk. Qui fonda l'Istituto d'Arte, di cui è direttore fino al 1920, quando gli subentra Malevich. Si trasferisce a Mosca. Inizia a realizzare le decorazioni per il teatro ebraico statale "Kamerny". Nel 1923 ritorna a Berlino e successivamente a Parigi. Qui ristabilisce i contatti e conosce Ambroise Vollard, che gli commissiona l'illustrazione di vari libri. Nel 1924 ha luogo una importante retrospettiva di Chagall presso la Galerie Barbazanges-Hodeberg. In seguito, effettua viaggi in Europa e anche in Palestina. Nel 1933 presso il Kunstmuseum Basel ha luogo una grande retrospettiva. Ma quasi contemporaneamente avviene l'ascesa del nazismo al potere in Germania. Tutte le opere di 74 AA.VV., De Chirico, I classici dell'Arte- Il Novecento, Rizzoli – Skira, Milano 2004, 132. 54 Chagall vengono confiscate ai musei tedeschi. Alcune figurano nell'asta tenuta alla Galerie Fischer di Lucerna nel 1939. A Chagall non rimane che rifugiarsi in America. Nel 1947 fa ritorno a Parigi, e nel 1949 si stabilisce a Vence. Importanti mostre gli vengono dedicate dappertutto. Inizia la lunga serie di decorazioni di grandi strutture pubbliche. Nel 1962 disegna le vetrate per la sinagoga dello Hassadah Medical Center, presso Gerusalemme, e per la cattedrale di Metz. Nel 1964 realizza le pitture del soffitto dell'Opéra di Parigi. L'anno dopo è la volta delle grandi pitture murali sulla facciata della Metropolitan Opera House di New York. Nel 1970 disegna le vetrate del coro e del rosone del Fraumünster di Zurigo. Di poco successivo è il grande mosaico a Chicago. Muore a Saint-Paul-de-Vence nel 1985. 75 Il figliol prodigo (vedi allegato 9) Il dipinto, realizzato da Chagall negli anni 1975-76, è conservato a Saint Paul de Vence, in Francia, presso una collezione privata. L'immagine sembra onirica, sospesa, e le figure centrali del padre e del figlio si stagliano in un villaggio dove sembra che l'intera popolazione ruoti intorno a loro per festeggiare l'incontro. Tutto il dipinto è immerso in un azzurro luminoso che si carica qua e là di macchie di colore intenso: bagliori di rosso e giallo, zone d’ombra blu o verde scuro. All’orizzonte si riconosce Vitebsk, paese natale di Chagall, il luogo dove egli aveva respirato la sua fede ebraica e aveva assaporato qualcosa del mondo religioso e incantato dei Chassidim. La strada che si snoda al centro del dipinto conduce proprio là in quel gruppo di case assiepate attorno al campanile di una chiesa cristiana. Sul lato opposto a Vitebsk nella parte destra della tela, in basso, s’intravede ancora Chagall con un cavalletto da pittore alle spalle mentre si allontana dal villaggio. Tutto il percorso umano e spirituale del pittore è qui riassunto. Si era allontanato come un figlio prodigo dalle sue radici ebraiche a causa della pittura, un’arte poco compresa dall’area più osservante del giudaismo. Ora tornava in patria, in quella patria che tanto gli aveva dato, ancora profondamente credente e con la sua anima da ebreo russo più intatta che mai. Aveva sperimentato, è vero, la tentazione di abbandonare le sue radici per seguire quelle linee di pensiero soggiacenti ad alcune espressioni dell’arte moderna, tra cui il surrealismo cui Chagall aderì per un certo tempo, eppure quel percorso interiore che la vera arte 75 innesca lo aveva in qualche modo sempre tenuto Dal sito www.chagall.it 55 legato ai valori fondamentali della sua fede, della sua gente, della sua terra natale. Qui Chagall, ed è quello che colpisce, chiama il villaggio a raccolta. Sembra che l’intero borgo di Vitebsk si sia precipitato all’aperto, lungo la strada principale per assistere all’incontro e partecipare alla festa. 76 In quest'opera dai contorni indefiniti e sganciata dallo spazio e dal tempo, veniamo riportati alla centralità di ciò che ha veramente valore e rimane in eterno: l'amore e il perdono del Padre. Oltre a queste opere, sono degni di nota anche i dipinti: Il ritorno del figliol prodigo, di Pompeo Batoni, eseguito nel 1773 e conservato presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna (vedi allegato 10) Il ritorno del figliol prodigo, di Lucio Massari, eseguito nel 1614 e conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna (vedi allegato 11) Il ritorno del figliol prodigo, di James Jaques Tissot, eseguito nel 1862 e conservato presso il Museum of Biblical Art di New York (vedi allegato 12) 76 Dal sito http://adoratrici.culturacattolica.it/default.asp?id=446&id_n=17843&Pagina=1&fo= 56 3.2 LA PARABOLA NELLA SCULTURA 3.2.1 ARTURO MARTINI Breve biografia Arturo Martini nasce a Treviso l'11 agosto 1889. Abbandonati gli studi, lavora come apprendista presso un orefice e poi in una manifattura di ceramiche. Tra il 1909 e il 1913 viaggia a Monaco e a Parigi, dove viene a contatto con le novità artistiche di quegli anni. Nel 1913, al ritorno da Parigi, partecipa con alcune opere alla mostra di Ca' Pesaro provocando grandi dissensi da parte di critica e pubblico. Nel 1914 partecipa alla II Secessione Romana e all'Esposizione Libera Futurista Internazionale. Nel dopoguerra, lasciatesi alle spalle le influenze simboliste ed espressioniste degli esordi, si dedica a una forma di purismo plastico. Collabora alla rivista “Valori Plastici” ed espone a Berlino con gli artisti legati ad essa, aderendo alla sintesi metafisica e alla tradizione classicista che caratterizzano il gruppo. Nel 1925 è invitato con una sala alla III Biennale Romana; nel 1926 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia (in precedenza le sue opere erano state sempre rifiutate) e alla I Mostra del Novecento Italiano alla Permanente di Milano, dove è presente anche per la seconda edizione realizzata nel 1929. Le opere realizzate in questo periodo evidenziano un momento di grande creatività in cui Martini fonde insieme, in un unicum rivoluzionario, le forme classiche (dall'arte etrusca e greca a quella dei maestri del Duecento e del Trecento) con nuove concezioni plastiche. Nel 1931 vince il Premio per la Scultura alla I Quadriennale Romana e nel 1932 è invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia. Tra il 1937 e il 1939 realizza grandi commissioni pubbliche per la città di Milano. Nel 1940 presenta alla Galleria Barbaroux di Milano la sua prima esposizione di dipinti. Nel 1942 (anno in cui inizia a insegnare all'Accademia di Venezia) la sua opera “Donna che nuota sott'acqua” è accolta come un capolavoro alla Biennale di Venezia. Nelle sue ultime opere giunge alle soglie dell'astrazione. Sono anni di crisi artistica e morale, testimoniata dal testo “La scultura lingua morta”. Si spegne a Milano il 22 marzo 1947. 77 77 Dal sito http://www.archimagazine.com/bmartini.htm 57 Il figliol prodigo (Vedi allegato 13) Questa scultura in bronzo è stata realizzata da Martini nel 1927 ed è conservata all'Opera Pia Ottolenghi di Acqui Terme (AL). L'opera esprime non solo la riconciliazione tra padre e figlio, ma il colloquio tra giovinezza e vecchiaia. Rispetto al racconto evangelico, infatti, Martini accentua la fragilità dell'anziano padre. Mentre nella parabola è una persona ancora sana, in grado di correre, di dare ordini e prendere provvedimenti, Martini immagina un uomo sofferente, che guarda nel vuoto davanti a sé e afferra il braccio del figlio per farsi suggerire dal tatto quello che la vista gli dice ormai a fatica. Il giovane, da parte sua, lo scruta ansiosamente, scoprendolo per la prima volta invecchiato, debole. L'incontro col padre si tramuta così, anche, in una cognizione della precarietà dell'esistenza. E la tensione di quell'abbraccio incompiuto, insieme commosso e pudico, colto un attimo prima dello scioglimento finale e bloccato in quel primo contatto accorato, tocca un'intensità irraggiungibile. 78 L'autore è riuscito a trasformare un materiale metallico e apparentemente freddo come il bronzo in figure piene di pathos, realizzando una scultura veramente toccante. 3.3 LA PARABOLA NELLA LETTERATURA 3.3.1 GIOVANNI GONDOLA Breve biografia Nato da antica e potente famiglia patrizia ragusea nella costa dalmata da Francesco di Francesco Gondola (1567-1624) e Gina de Gradi, Giovanni Gondola (anche Giovanni Francesco Gondola o ancora de Gondola) venne educato in lettere dal gesuita Silvestro Muzio, studiando anche filosofia con Ridolfo Ricasoli e Camillo Camilli, dandosi poi agli studi giuridici con risultati così brillanti da essere assai presto chiamato ad assolvere importanti incarichi nelle magistrature della Repubblica di Ragusa. 78 C. GIANFERRARI, E. PONTIGGIA, L. VELANI (a cura di), Arturo Martini, Skira, Milano 2006, 128-130. 58 A diciannove anni fu cooptato nel Maggior Consiglio della Repubblica. Per due volte nel corso della sua varia carriera pubblica - nel 1615 e nel 1619 - fu capitano di Canali: un ufficio pubblico di durata annuale o biennale, in riferimento al quale il Gondola scrisse ai Rettori della Repubblica due relazioni il 26 e il 27 giugno 1619: si tratta degli unici due documenti manoscritti del Gondola a noi pervenuti. A trent'anni si sposò con Nicoletta Sorgo - dell'antica casata nobile. Ebbero cinque figli: Francesco, Matteo, Sigismondo, Maria e Giovanna. Negli ultimi tre anni della sua vita, Gondola fu senatore (1636), giudice (1637) e membro del Minor Consiglio (1638). In prossimità della sua elezione alla massima carica - quella di Rettore - Gondola morì di febbre, probabilmente a seguito di un'infezione al torace. Lungo tutto il corso della sua vita, Giovanni Gondola coltivò con sempre maggior passione la scrittura e la poesia, acquisendo ancora in vita una buona fama, ingigantitasi viepiù negli anni fino a farlo ritenere "il Tasso del Seicento raguseo" e il più decantato autore dell'intera storia della letteratura della Repubblica. 79 Le lagrime del figliol prodigo (Suze sina razmetnoga) Si tratta di un poema religioso, stampato a Venezia nel 1622 che comprende tre lamenti: il peccato, il ravvedimento e il pentimento, e che esprime una concezione della vita tipicamente barocca. Il poema di Gondola è costituito da 1332 versi e, a differenza della parabola evangelica, narra del figlio minore che, spinto dall'amore per una donna, cerca di conquistarla colmandola di doni preziosi. Viene tralasciata la parte conclusiva della parabola e la figura del fratello maggiore per evidenziare la parte del ritorno al padre e la riflessione sulla sua grande bontà. 79 Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Gondola 59 3.3.2 VOLTAIRE (François-Marie Arouet) Breve biografia François-Marie Arouet (Parigi,1694-1778), meglio conosciuto con lo pseudonimo di Voltaire, fu un filosofo molto importante e influente, nonché finissimo scrittore e punto cardine dell'Illuminismo. Di formazione umanistica, proveniente da una ricca famiglia borghese, studiò presso i giansenisti ed i gesuiti del rinomato collegio Louis-le-Grand e venne introdotto giovanissimo nella “Societé du Temple”, noto cenacolo di Parigi ad orientamento libertino. Il successo della rappresentazione della sua prima tragedia, Edipo/Oedipe (1718), lo rese celebre ed apprezzato. Fu imprigionato due volte (1717-1718 e nel 1726) alla Bastiglia, a causa dell'irriverenza espressa in versi nei confronti del reggente. Con la pubblicazione del poema “La Ligue” del 1723, scritto durante la prigionia, ottenne l'assegnazione di una pensione da parte del re. L'opera verrà pubblicata nuovamente col titolo di Enriade nel 1728. Fu esiliato in Gran Bretagna (1726-1729) dove, con la conoscenza di uomini di cultura democratica, scrittori e filosofi come Robert Walpole, Jonathan Swift, Alexander Pope e George Berkeley, maturò idee illuministe contrarie all'assolutismo feudale della Francia. In Gran Bretagna scrisse “Lettere sugli inglesi” (o “Lettere filosofiche”), per la quale venne di nuovo condannato, essendo stata un'opera di riferimento contro il vecchio regime. Ancora esule in Lorena (a causa dell'opera Storia di Carlo XII del 1731), scrisse le tragedie “Bruto” e “La morte di Cesare”, cui seguirono “Maometto e Merope”, il trattato “Gli elementi della filosofia di Newton” oltre all'opera storiografica “Il secolo di Luigi XIV”. Grazie al riavvicinamento con la corte, favorito da Madame de Pompadour, nel 1746 fu nominato storiografo e membro dell'Académie Française. Dal 1749 al 1752 soggiornò a Berlino, a Ginevra, e nel 1755 a Losanna presso il castello di Ferney. Ormai ricco e famoso, divenne un punto di riferimento per tutta l'Europa illuminista. Entrò in polemica coi cattolici per la parodia di Giovanna d'Arco in “La pulzella d'Orléans”, ed espresse le sue posizioni in “Candido ovvero l'ottimismo” (1759), in cui polemizzò con l'ottimismo di Gottfried Leibniz. Il romanzo rimane l'espressione letteraria più riuscita del suo pensiero, contrario ad ogni provvidenzialismo o fatalismo. Da qui iniziò un'accanita polemica contro la superstizione ed il fanatismo a favore di una maggiore tolleranza e giustizia. A tal proposito scrisse diverse altre opere. I suoi resti riposano al Panthéon dove sono stati trasportati dopo la rivoluzione. Malgrado il trionfo, alla morte, nel 1778 gli fu negata la sepoltura ecclesiastica. 80 80 Dal sito http://www.zam.it/biografia__Voltaire 60 Il figliol prodigo (commedia) Questa commedia di Voltaire è composta da cinque atti, in versi da dieci sillabe. Fu rappresentata per la prima volta alla Comédie-Française il 10 Ottobre 1736, ed ebbe un grandissimo successo di pubblico, pur non essendo stata annunciata o pubblicizzata, anche se incappò nella censura, nonostante Voltaire non apparisse esplicitamente come autore: L'Enfant prodigue dovette piegarsi ai voleri di un censore più che mai occhiuto, il quale vietò persino l'uso di parole come “patriarca” ed “esorcismo”, che pure non contenevano la minima allusione a faccende sacre. 81 I personaggi della commedia sono: Euphémon padre, Euphémon figlio, Fierenfat (presidente di Cognac, secondo figlio di Euphémon), Rondon (Borghese di Cognac), Lise (figlia di Rondon), Baronessa di Croupillac, Marthe (vicina di Lise), Jasmin (valletto di Euphemon figlio). La storia si svolge a Cognac. Questa opera è nota più che altro per la prefazione, dove Voltaire, nascondendosi dietro il nome dell'editore, disquisisce sul carattere al contempo ludico ed edificante della commedia e sulla necessità di indulgere, di tanto in tanto, al sorriso nella tragedia, riassumendo il concetto con la nota frase « tutti gli stili sono buoni, tranne il genere noioso». 81 T. BESTERMAN, Voltaire, Feltrinelli, Milano 1971, 168. 61 3.3.3 PRIMO MAZZOLARI Breve biografia Primo Mazzolari nacque al Boschetto, una frazione di Cremona, il 13 gennaio 1890. Terminate le scuole elementari, Primo decise di entrare in seminario a Cremona. Fu ordinato prete nel 1912. Nel 1913 fu nominato professore di lettere nel ginnasio del seminario. Svolse tale funzione per un biennio, durante il quale utilizzò le vacanze estive per recarsi in Svizzera, ad Arbon, come missionario dell'Opera Bonomelli tra i lavoratori italiani là emigrati. Era intanto scoppiata la Prima Guerra Mondiale e, nella primavera del 1915 si schierò in quel frangente tra gli interventisti democratici, così come altri giovani cattolici, e collaborò al giornale «L'Azione» di Cesena. La guerra comportò però subito un atroce dolore per il giovane prete. Nel novembre 1915, infatti, morì sul Sabotino l'amatissimo fratello Peppino, il cui ricordo rimase sempre vivissimo in don Primo. Questi aveva comunque già deciso di offrirsi volontario: fu così inserito nella Sanità militare e impiegato negli ospedali di Genova e poi di Cremona. Il timore di sentirsi ‘imboscato' spinse però don Mazzolari a chiedere il trasferimento al fronte. Così nel 1918 fu destinato come cappellano militare a seguire le truppe italiane inviate sul fronte francese. Rimase nove mesi in Francia. Rientrato nel 1919 in Italia ebbe altri incarichi con il Regio Esercito, compreso quello di recuperare le salme dei caduti nella zona di Tolmino. Nel 1920 seguì un periodo di sei mesi trascorso in Alta Slesia insieme alle truppe italiane inviate per mantenere l'ordine in una zona che era stata forzatamente ceduta dalla Germania alla neonata Polonia. Tutte le testimonianze concordano nel raccontare dell'impegno e della passione umana con cui don Primo seguì in questi vari frangenti i suoi soldati. Smobilitato nell'agosto 1920, don Mazzolari chiese al suo vescovo di non tornare all'insegnamento in seminario, ma di essere destinato al lavoro pastorale tra la gente e cercò forme nuove per accostare tutti coloro che si erano ormai allontanati dalla Chiesa. Durante l'inverno faceva la scuola serale per i contadini e istituì la biblioteca parrocchiale. L'avvento del fascismo lo vide fin dall'inizio diffidente e preoccupato, senza celare la propria intima opposizione. Nel novembre 1925 rifiutò di cantare solennemente il Te Deum dopo che era stato sventato un complotto per attentare alla vita di Mussolini. Nel 1932 don Primo fu trasferito a Bozzolo dove iniziò a scrivere in modo regolare, così che gli anni Trenta furono per lui molto ricchi di opere. Nei suoi libri, egli tendeva a superare l'idea della Chiesa come ‘società perfetta'. Nel 1934 don Mazzolari pubblicò La più bella avventura, basata sulla parabola del figliuol prodigo, ma questo testo fu condannato l'anno dopo dal Sant'Uffizio vaticano, che giudicò «erroneo» il libro e ne impose il ritiro dal commercio. Ubbidiente, don Primo si sottomise. Le opere successive finirono però ancora sotto la scure della censura. Le autorità fascista censurarono infatti nel 1941 Tempo di credere, ritenuto un libro non conforme allo ‘spirito del tempo', quello cioè di un'Italia in guerra, ma lui 62 strinse sempre più rapporti con la Resistenza. L'impegno per l'evangelizzazione, la pacificazione, la costruzione di una nuova società più giusta e libera costituirono i cardini dell'impegno di don Mazzolari dal 1945 in poi. Nella Chiesa italiana il nome di Mazzolari continuava a dividere: alle prese di posizione ufficiali, che in pratica lo proscrivevano e lo volevano rinchiudere nella sua Bozzolo, si contrapponevano i tanti amici, ammiratori, discepoli di ogni tipo che si riconoscevano nelle sue battaglie e diffondevano le sue idee in tutta Italia. Lui rimaneva coerente al suo proposito di ‘ubbidire in piedi', sottomettendosi sempre ai suoi superiori, ma tutelando la propria dignità e la coerenza del proprio sentire. Proprio alla fine della sua vita cominciò a venire qualche gesto significativo di distensione nei suoi confronti. Nel novembre del 1957 l'arcivescovo di Milano mons. Montini (il futuro papa Paolo VI) lo chiamò a predicare alla Missione di Milano. Nel febbraio 1959, infine, il nuovo papa, Giovanni XXIII, lo ricevette in udienza in Vaticano, lasciando in don Primo un'intensa emozione. Ormai però la salute del parroco di Bozzolo era minata e logorata. Don Primo Mazzolari morì infatti poco tempo dopo, il 12 aprile 1959. Anni più tardi, Paolo VI dirà di lui: «Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti». 82 La più bella avventura (sulla traccia del prodigo) Questo testo, del 1934, è un ampio commento alla parabola. E' un appello alla Chiesa, una richiesta di aprirsi ai lontani, ai protestanti, ai modernisti, agli spiriti critici e ai liberi pensatori, perchè «niente è fuori dalla paternità di Dio». In queste pagine, don Primo immagina una Chiesa aperta al mondo, anticipando profeticamente il tema del rapporto tra Chiesa e modernità. La parabola del figliol prodigo è assunta come immagine della Chiesa del tempo. Il figlio minore rappresenta i lontani, mentre il maggiore, invece di gioire per la conversione del fratello, «che era perduto ed è stato ritrovato», rappresenta chi si chiude in un atteggiamento teso a salvaguardare solo i propri privilegi. La polemica, seppur velata, è contro tutti coloro che non escono dal tempio e preferiscono rimanere tra le mura sicure e accomodanti della propria cittadella. La più bella avventura è proprio la conversione, che coinvolge tutti, chi è dentro e chi è fuori, chi vive nella Chiesa e chi se ne allontana. Per il parroco di Bozzolo tutti gli uomini sono come il figliol prodigo e aspettano di essere chiamati 82 Dal sito www.fondazionemazzolari.it 63 dal padre. Ciò che conta è dunque la conversione del cuore, che deve essere profonda e autentica, non tanto il ritenersi “dentro” la Chiesa per un fatto esclusivamente di presenza fisica o di adesione alle sue associazioni. Mazzolari mette al centro l’immagine della casa del padre, accogliente e aperta a tutti: invita così ad aprirsi ai “lontani” e ad abbandonare ogni atteggiamento di paura e di contrapposizione. Si tratta di tematiche, relative al difficile rapporto fra la Chiesa e un mondo sempre più lontano e indifferente, che il parroco di Bozzolo aveva già affrontato in una “missione” a Breno (Brescia) nel 1929 e a Genova in una predicazione del 1931. 83 3.3.4 DAVID MARIA TUROLDO Breve biografia Giuseppe Turoldo nasce a Coderno di Sedegliano il 22 novembre 1916. Dopo alcuni anni di formazione presso l’ordine mendicante religioso dei Servi di Maria (che lui definiva “mendicanti d’amore”), emette la sua prima professione religiosa nel ’35 assumendo il nome di fra David Maria. Nel ’40 viene ordinato sacerdote e per quindici anni tiene la predicazione domenicale nel Duomo di Milano. Fin dall’inizio del suo sacerdozio si impegna in ambiti diversi: predicazione, scritture, resistenza, assistenza ai poveri e Nomadelfia (“piccola città” con l’unica legge della fraternità).Fonda il centro culturale “Corsia dei Servi”e alterna l’attività culturale alla testimonianza civile e politica, all’attività di predicatore e soprattutto di poeta. Nel ’46 si laurea in filosofia con una tesi dal titolo “Per una ontologia dell’uomo”. Durante la Resistenza fonda una rivista antifascista clandestina, “L’Uomo”, dove pubblica le sue prime poesie; scrive anche testi in prosa di contenuto biblico-letterario, testi teatrali; traduce inoltre tutti i salmi della Bibbia e compone nuovi inni e cantici a commento della liturgia domenicale e festiva. Per i suoi scritti anticonformisti, viene chiamato “coscienza inquieta della Chiesa”. Viene allontanato da Pio XII da Milano per la severità con cui interpreta il Vangelo di fronte alla borghesia milanese e viene inviato all’estero. A metà degli anni ’60 si trasferisce nella comunità dei Servi di Maria a Fontanella, vicino a Sotto il Monte, paese natale di papa Giovanni XXIII. Turoldo ha stima e fiducia per il cammino dell’uomo promosso dal Papa buono e dal Concilio Vaticano II e s’impegna per una “ricomposizione” indicata dal vangelo. Da Fontanella continua a condurre le sue battaglie e dirige il Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII. L’obbedienza al servizio all’uomo e alla solidarietà si realizza nella sua attività di prosatore prolifico e pungente e di notista con delle rubriche fisse su giornali e riviste. Denuncia tutti i 83 A. PALINI, «L'influenza di don Mazzolari sulla Chiesa e la società bresciana», relazione al convegno diocesano del 13/03/2011 Primo Mazzolari, profeta e testimone, tenuto presso il Centro Pastorale Paolo VI di Brescia. Dal sito www.ildialogo.org 64 soprusi, soprattutto istituzionali ed economici, e si fa voce degli oppressi, anche di quelli più lontani, per la libertà e la giustizia. Crede, infatti, che l’unica scelta di salvezza sia la spartizione dei beni (incontro con Ernesto Cardenal, valorizzazione di Rigoberta Menchù, canto per Oscar Romero). Nel suo testamento spirituale, scritto nel 1986, padre David ringrazia i suoi “tre amori” con l’aiuto dei quali ha saputo superare ogni difficoltà: gli amici laici, i confratelli e i poveri (che lui chiamava “mie radici e mio sangue” e “la mia gente”). La produzione poetica degli anni della sofferenza fisica, in cui “sperare è più difficile che credere”, si caratterizza per la trattazione delle tematiche legate al mistero dell’essere, alla vita e alla morte con una schiettezza radicale. Dopo una lunga malattia che lo segna fisicamente e moralmente, ma che non gli fa mai abbandonare la speranza, padre David muore nel 1992. 84 Ritorno del figliuol prodigo (poesia) Ho l'anima rossa di ricordi ultimo sangue che ancora mi resta: poi tutto ho perso cuore sostanze lungo le strade. Ricordo la tua mano protesa verso la mia casa e mi dicesti: «Sali a metterti la veste». Ora la Tua calma riappare sopra la grande città. 85 84 85 Dal sito www.zam.it/biografia_David%20M._Turoldo D. M. TUROLDO, O sensi miei..., BUR, Milano 2002, 33 65 Eppure mi tenta ancora (poesia) Eppure mi tenta ancora questa avventura del Figlio Prodigo. Prima era un dovere. Potere un giorno dire coi sensi che le cose gridano a un essere più alto, a una più alta gioia; che esse sole non sono sufficienti. Dovere di sacrificare quelle stesse cose che sono divine, di consumarle in noi stessi al fine di una creazione che è nostra. Oh io l'avrei fatto s'Egli non avesse parlato. E se resto, non mi lamento come il fratello maggiore che non comprende la ricchezza di quel figlio che ha tutto perduto. Era bene che uno Gli portasse l'omaggio delle donne anche da quelle strade; sacra, è la bellezza di tutte le creature e uno doveva raccoglierla. Diffìcile era credere senza provare, sono i sensi il tempio di una incrollabile fede. E dentro la Sua casa 66 non sempre l'uomo intende. E anch'Egli ha lasciato il seno del Padre, e si è commosso di noi e ci ha amati perdutamente. 86 Padre David, come ha detto di lui Carlo Bo, «ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede gli ha imposto di cantarla tutti i giorni». La poesia era per lui come una necessità, un fuoco interiore che esigeva di essere lasciato uscire, comunicato. La poesia fu, per padre David, quasi una necessità biologica, come la preghiera, come la predicazione: inscindibile dalla sua fede, dalla sua vocazione e dalla sua stessa vita, dalla sua esperienza di Dio e dalla ricerca di salvezza per sé e per il mondo. Indissolubilmente legata alla ricerca della verità, e quindi al desiderio di capire e di farsi capire, divenne sovente una forma di profezia per il semi-disperato dispensatore di speranza. 87 Oltre a queste riportate sopra, tante altre poesie della vasta produzione di Turoldo attingono alla Bibbia, con la quale il poeta si pone in continuo confronto, ed in modo particolare alle parabole. Viene da chiedersi perchè padre Turoldo sia così affascinato, e si può dire innamorato, delle parabole. Le ragioni ce le spiega lui stesso: “E' proprio della parabola contare sulla libera apertura del cuore”; il che, se non interpreto male, significa che la parabola non è un precetto, un comandamento; ma un invito a riflettere, la buona novella offerta con discrezione, allusivamente; e a me piace pensarla come una vena di laicità evangelica. 88 86 87 88 D. M. TUROLDO, O sensi miei..., op. cit., 37-38 M. BALLARINI, prefazione a D. M. TUROLDO, Amare, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2002, 15. G. PAMPALONI, prefazione a D. M. TUROLDO, Anche Dio è infelice, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1991, 7. 67 Ed è proprio la parabola del figliuol prodigo ad affascinarlo in modo particolare, perchè, come ebbe a dire, «La vicenda del prodigo non è un'avventura che finisce, è una storia che continua, e ognuno di noi è dentro per la sua parte». 3.3.5 ROMANO FRANCO TAGLIATI Breve biografia Romano Franco Tagliati è uno scrittore contemporaneo nato a Mantova anche se vive a Milano da molti anni. Seguendo i percorsi impostigli dalle sue attività, ha soggiornato in diversi Paesi dell'Europa, dell'America, Africa ed Asia. Rilevante in lungo soggiorno in Germania, e in particolare a Berlino, dove, ai tempi del Muro ha vissuto in prima persona la dolorosa esperienza della città divisa. Ha collaborato con periodici e quotidiano nazionali, diretto la casa editrice “La Corte” ed è stato redattore della rivista “La scena illustrata” di Roma. Tra le sue opere: “Discorso in piazza” (1968), “Natalie” (1970), “Icaro” (1987), “Le mani in tasca” (1990), “Un uomo di provincia” (1998), “L'opinione” (1999), “Dopo l'esilio” (2004). 89 Elogio al prodigo (romanzo) In questo romanzo viene narrata la storia di un ragazzo non ancora diciottenne che un giorno, senza nessun preavviso e senza ragioni apparenti, abbandona la casa paterna fuggendo con una sua coetanea. Si nasconde in squallidi alloggi di una grande città facendo precipitare nell'angoscia i genitori, già in crisi matrimoniale. Il padre, che è l'io narrante, inizia così un percorso di dolorosa meditazione che diventa un cammino di purificazione. 90 89 90 R.F. TAGLIATI, Elogio al prodigo, O.G.E., Milano 2006, interno copertina. R.F. TAGLIATI, Elogio al prodigo, op. cit., retro copertina 68 Alla fine, anziché il figlio che torna dal padre, sarà il padre ad andare incontro al figlio, riconoscendo in lui alcuni aspetti della sua giovinezza inquieta e acquisendo una paternità più matura. Questo romanzo è una interessante attualizzazione di quella storia di duemila anni fa che continua a suscitare riflessioni. La nostra parabola è stata utilizzata anche per un approfondito studio linguistico, è uscito infatti un volume dal titolo Le strutture verbali dei dialetti di Puglia nelle versioni della parabola del figliuol prodigo, di Michele Melillo, per l'Università degli studi di Bari, nel 1975. 3.4 LA PARABOLA NELLA MUSICA 3.4.1 AMILCARE PONCHIELLI Breve biografia Nato a Paderno, un piccolo paese in provincia di Cremona nel 1834, Ponchielli ebbe la prima istruzione musicale dal padre, organista e maestro di scuola. A soli nove anni, prima dell'età consentita, superò il difficile esame di ammissione al Regio Conservatorio di Milano. Conseguì il diploma nel 1854 con il massimo dei voti. I suoi primi esperimenti teatrali ricevettero un'accoglienza tiepida e Ponchielli si adattò a ricoprire il posto di direttore delle bande civiche delle città di Piacenza e di Cremona. Nel 1872 una nuova versione de “I Promessi Sposi” ebbe un esito felicissimo al Teatro Dal Verme di Milano, inaugurando un fruttuoso rapporto professionale con l'editore Ricordi che gli commissionò subito una nuova opera: “I Lituani”. Il lavoro procedette lentamente e l'autore, sempre pieno di dubbi e ripensamenti, sembrò volerne ritardare la conclusione. Finalmente portati a termine, “I Lituani” ebbero alla Scala un notevole successo. Iniziò per Ponchielli una stagione aurea: sposatosi con la cantante Teresina Brambilla, prima interprete della nuova versione de I promessi sposi, si trasferì a Milano e si dedicò con rinnovata 69 lena alla sua attività creativa, anche se il carattere estremamente introverso ed insicuro lo portavano continuamente a ripensamenti e fasi di depressione. Nel 1876 debuttò alla Scala la sua “Gioconda”, su libretto di Arrigo Boito (firmato con lo pseudonimo Tobia Gorrio), anche grazie al celeberrimo ballo noto come “La danza delle ore”, ed ebbe inizio un trionfale percorso attraverso i teatri di tutto il mondo. Da questo exploit nacquero i tardivi riconoscimenti ufficiali alla sua attività creatrice: la cattedra al Conservatorio di Milano, dove Ponchielli ebbe tra i suoi allievi Giacomo Puccini e Pietro Mascagni. L'attività creatrice di Ponchielli sembrò tuttavia ad un punto critico, come attestano i molti progetti non portati a termine (come le opere “Olga” e “I Mori di Valenza”). In questo particolare spirito nacquero i due ultimi capolavori teatrali: “Il figliol prodigo” (1880), che ebbe pieno successo alla Scala ma che in seguito uscì dai repertori dei teatri, e “Marion Delorme” (1885), accolta con favore del pubblico ma non dalla critica. Nel dicembre di quell'anno, mentre si trovava a Piacenza per un allestimento della “Gioconda”, fu colto da un attacco di broncopolmonite. Morì il 16 gennaio 1886 a cinquantuno anni. È sepolto nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano. 91 Il figliuol prodigo (opera) E' un'opera in quattro atti, con libretto di Angelo Zanardini, rappresentata per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 26/12/1880. Nella valle di Jessen, durante la Pasqua ebraica, il giovane Azaele (tenore) salva dall'assalto di una pantera la assira Nefte (mezzosoprano) e il fratello suo Amenofi (baritono). Quest'ultimo, perseguendo un disegno malvagio, convince il giovane, già innamorato di Nefte a seguirli a Ninive nonostante Jeftele (soprano), la fanciulla ebrea già promessa sposa di Azaele, e il padre di lui, Ruben (basso), cerchino di dissuaderlo. Giunti a Ninive, Amenofi scopre il suo piano: intende sacrificare al fiume Tigri, secondo la consuetudine assira, proprio Azaele. Questi a stento sfugge agli assiri e comincia una vita randagia. Ruben è diventato pazzo e la notizia aumenta la disperazione del giovane. Ma un giorno, ritrovata finalmente Jeftele, Azaele si lascia convincere a tornare presso il padre, che, vedendolo, ritrova la ragione perduta. 92 91 92 Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Amilcare_Ponchielli G. NEGRI, L'Opera italiana. Storia, costume, repertorio, Mondadori, Milano 1985, 262. 70 L'opera è stata rappresentata con discontinuità e anche le incisioni discografiche sono piuttosto rare e spesso si limitano all'aria più conosciuta: «Tenda natal». 3.4.2 DARIUS MILHAUD Breve biografia Darius Milhaud (Marsiglia, 4 settembre 1892 – Ginevra, 22 giugno 1974), è stato un compositore francese. Nel 1909 entra al Conservatorio di Parigi e, abbandonato ben presto lo studio del violino, si dedica alla composizione. Assunto in seguito come segretario da Paul Claudel, quando viene inviato a Rio de Janeiro come ministro plenipotenziario, Milhaud lo accompagna e lì scopre il folclore ed i ritmi sud-americani. In tale periodo entrò in contatto col compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos: i due diventarono grandi amici, diventando l'uno fonte di ispirazione musicale per l'altro. Nel 1918 entra in contatto con Cocteau e Satie e fa parte del “Gruppo dei sei”. Nel 1923, durante un soggiorno negli Stati Uniti, scopre il jazz. Nel 1940, per sfuggire ai nazisti essendo lui di fede ebraica, ritorna negli Stati Uniti, dove insegna al Mills College di Oakland). Nel 1947 ritorna a Parigi dove insegna al conservatorio e dall'anno successivo dirige la sezione musicale di Radio France. La sua fede ebraica è testimoniata anche dalla sua ultima opera, "David" che scrive nel 1952. L'artrite che lo sta paralizzando rallenta poco a poco la sua attività. Nel 1971 viene eletto all'Accademia delle Belle Arti. Milhaud lascia un corpus musicale gigantesco (più di 450 opere) che riguarda: opere teatrali, balletti, musiche di scena e musica corale, composizioni per voci e strumenti, musica da camera e per pianoforte. 93 Il ritorno del figliol prodigo Op. 42 (cantata) Quest'opera, composta nel 1917, è una cantata per 5 voci e 21 strumenti (o 2 pianoforti), basata su un testo di André Gide. E' basata su una serie di conversazioni tra il figliol prodigo appena tornato e vari membri della sua famiglia, il padre, il fratello maggiore, la madre e un fratello minore. 93 Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Darius_Milhaud 71 La musica vuole evocare la sensazione di una calda serata sul Mediterraneo orientale. 3.4.3 SERGEJ PROKOFIEV Breve biografia Sergei Prokofiev, nato a Sontsovka nel 1891, è uno dei più grandi compositori russi del Novecento. Dopo aver studiato al Conservatorio di Pietroburgo, nel 1918 inizia a viaggiare, tra Europa e Stati Uniti entrando in contatto con personalità come Diaghilev, Stravinskij e musicisti appartenenti a correnti d'avanguardia inclini al politonalismo (Honegger, Milhaud, Auric, Roussel etc.) e all'espressionismo in voga in quegli anni. Nel 1923 torna in Russia per partecipare attivamente al processo di trasformazione sociale e culturale del suo paese, ma viene accusato di formalismo dal miope apparato burocratico sovietico di Stalin e, per forza di cose, nei dieci anni che rimase nell'Unione Sovietica, il senso estetico di Prokofiev si affievolì, da posizioni d'avanguardia ad un andamento melodico più vicino ai desiderata dell'intellighenzia politica del momento. Considerato come uno dei massimi musicisti del secolo scorso, Prokofiev vanta una prodigiosa tecnica compositiva progressivamente elaborata sui modelli proposti da Liszt, Ciaikovskij, Stravinskij, Ravel, Debussy e Honegger mantenendo una originalissima vena ironica, sarcastica e persino grottesca propria di una eclettica personalità artistica. Di Prokofiev ricordiamo i 5 concerti e le 8 Sonate, l'avveniristica “Suite Scita” (1916) l'ossessiva "Seconda", "Terza" e "Quarta Sinfonia" e le colonne sonore per i film "Alexander Nevskij" e "Ivan il Terribile" del famoso regista del muto Eisenstein. Prokofiev morì a Mosca nel 1953. 94 Il figliol prodigo (balletto) E' un balletto, scritto nel 1928 e rappresentato per la prima volta a Parigi il 21/05/1929 e composto da dieci episodi, ciascuno della durata di circa tre minuti. Gli episodi più interessanti, a nostro avviso, sono: il secondo “Incontro con gli amici”, caratterizzato da due temi, l'uno dissonante, l'altro cantabile (il “motivo del figliol prodigo” ricorrente più volte nella partitura), con i quali il compositore vuole sottolineare la malvagità dei falsi amici, che si divertono a fare ubriacare il Prodigo, e l'ingenuità del protagonista che 94 Dal sito www.settemuse.it/musica/sergej_prokofiev.htm 72 li asseconda; il terzo “La sirena” la cui affascinante musica descrive l'incontro tra l'eroe e una incantevole sirena; il sesto “Ubriachezza”, un rumoroso ostinato, che ricorda molto alcuni passaggi musicali de “L'angelo di fuoco” e de “Il passo d'acciaio”; il settimo “La spoliazione”, un silenzioso e sardonico “moto perpetuo”, senza dubbio l'episodio più moderno del balletto, il quale illustra musicalmente il momento in cui gli amici derubano il prodigo dei suoi averi e dei suoi abiti; l'ottavo “Risveglio e rimorso” , la cui melodia religiosa descrive in modo mirabile la maturazione interiore del protagonista e il suo fermo proposito di ritornare a casa. 95 Il successo del balletto non fu molto durevole e anche la critica non è unanime nella valutazione positiva dell'opera: La musica del “Figliol prodigo”, che è funzionale al balletto, resta secondo me stilisticamente un po' incerta. Per taluni aspetti l'argomento biblico stimola Profokiev nella ricerca di atmosfere musicali nuove sospese e rarefatte, ma in altri momenti (nelle scene di seduzione della cortigiana) ritroviamo i tratti di un'altra sua opera. “L'angelo di fuoco”. Di questa oscillazione stilistica risentono anche altre sue opere successive. 96 Oltre a queste opere, sono degni di nota anche i seguenti oratori musicali: Il figliol prodigo di Giacomo Antonio Perti, non datato Il figliol prodigo di Ferdinando Bertoni, composto nel 1747 Il figliol prodigo di Henryk Opienski, composto nel 1930 95 96 V. BUTTINO, Invito all'ascolto di Prokofiev, Mursia, Milano 2000, 161. P. RATTALINO, Sergej Prokofiev. La vita, la poetica, lo stile, Zecchini, Varese 2005, 147. 73 3.5 LA PARABOLA NEL CINEMA 3.5.1 RICHARD THORPE Breve biografia: Richard Thorpe, 24 febbraio 1896 - 1 Maggio 1991, è stato un regista statunitense. Nato come Rollo Smolt Thorpe ad Hunchinton, in Kansas, cominciò la sua carriera nello spettacolo nel vaudeville (commedie leggere che alternano prosa a strofe cantate) e sul palco teatrale. Nel 1921 comincia la sua carriera come attore, nel 1923 gira il suo primo film muto. Per il suo contributo al cinema statunitense è stato posto anche il suo nome nella Hollywood Walk of Fame sull'Hollywood Blvd. Si è ritirato dal mondo del cinema nel 1967, al termine del suo ultimo film, dopo essere stato uno dei registi più prolifici di Hollywood. 97 Il figliuol prodigo E' un film del 1955 e racconta la storia di Micah, un ricco e giovane ebreo, che si reca a Damasco, dove viene irretito e sedotto da una bellissima sacerdotessa pagana, Samarra, che lo induce a rinunciare a tutte le sue ricchezze in favore del Gran Sacerdote del suo culto. Dopo essere stato ridotto in miseria e venduto come schiavo, partecipa a una rivolta e dopo numerose peripezie fa ritorno alla casa paterna. 3.5.2 JEAN-MARIE STRAUB E DANIELE HUILLET Breve biografia Jean-Marie Straub (Metz, 8 gennaio 1933) e Danièle Huillet (Parigi, 1 Maggio 1936- Cholet, 9 Ottobre 2006) sono una coppia di cineasti francesi. Hanno realizzato una trentina di film dal 1963 al 2009. 97 Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Thorpe 74 Nel 2006 Straub e Huillet sono stati omaggiati di un "Leone Speciale per l'innovazione del linguaggio cinematografico" alla 63^ Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Cineasti pienamente moderni, hanno contribuito allo sviluppo di un nuovo cinema, che unisce una nuova estetica, grazie ad un nuovo statuto dell'immagine, della parola e del sonoro, dello spazio, del tempo, dell'attore e dello spettatore, coinvolti in un processo dialettico, ad un forte impegno politico, che presuppone la primarietà della coscienza. La loro opera, che punta ad un contatto il più possibile intenso con il reale, è oggi più che mai attuale. 98 Il ritorno del figliol prodigo-Umiliati Questo film drammatico, di produzione italo-franco-tedesca, è uscito nel 2003, ed è ispirato al romanzo Le donne di Messina, scritto da Elio Vittorini nel 1949. Un gruppo di reduci della seconda guerra mondiale forma una comunità di operai e contadini sull'Appennino tosco-emiliano. Si racconta la storia di Spine, il figlio prodigo che prima divide e poi ricompatta la comunità. Ma arriva Carlo il Calvo, inviato dai proprietari della terra, bonificata e lavorata dalla comunità, per rivendicarne il possesso. Lo seguono tre prepotenti cacciatori ex partigiani alla ricerca di Ventura, ex fascista. 99 3.6 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Questo itinerario nel tempo per inseguire le rappresentazioni della parabola permette di gettare uno sguardo sull'evoluzione delle espressioni artistiche nelle varie epoche storiche. Si parte da Bosch, che nel 1500 risente delle dottrine religiose ed intellettuali dell'Europa centro-settentrionale che, a quell'epoca, a differenza dell'Umanesimo italiano, negavano il primato dell'intelletto accentuando le componenti trascendenti ed irrazionali. Il fitto simbolismo e la «stranezza» di questa sua opera ne dà testimonianza. 98 99 Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Straub_e_Huillet L.- L.-M. MORANDINI, Il Morandini 2006. Dizionario dei film, Zanichelli, Bologna 2005, 1274. 75 Il seicento è ampiamente rappresentato; le opere del Guercino e di Mattia Preti sono caratterizzate da un realismo, una sensibilità cromatica e dall'utilizzo dei chiaroscuri che rivelano la forte influenza di Caravaggio su questi artisti; la monumentale e rivoluzionaria produzione artistica del Caravaggio ha infatti lasciato le sue impronte su un vasto numero di pittori dell'epoca barocca, non solo italiani ma anche europei, soprattutto spagnoli ed olandesi, chiamati per questo «caravaggisti» o «caravaggeschi». «Con l'eccezione di Michelangelo, nessun altro pittore italiano ha esercitato una così grande influenza sui pittori posteriori» 100 Anche il grande pittore fiammingo Rembrandt e il suo seguace Veermer risentono indubbiamente dell'influenza caravaggesca arrivata fino in Olanda e si possono considerare, assieme a Rubens, come i maggiori rappresentanti del cosiddetto «secolo d'oro» dei Paesi Bassi, un periodo corrispondente all'incirca al XVII secolo, durante il quale il commercio, le scienze e le arti olandesi godettero di grande considerazione nel mondo. I maestri olandesi primeggiavano dei generi pittorici della natura morta, della pittura paesaggistica e della pittura di genere (rappresentante scene di vita quotidiana). Un soggetto molto rappresentato in questo periodo del Barocco olandese è il ritratto di gruppo, come la celebre Ronda di notte dello stesso Rembrandt. Anche in Spagna il periodo barocco è stato interessante dal punto di vista artistico, seppure la controriforma in atto aveva regolato alcuni criteri che invitavano i pittori a realizzare opere chiare e dirette ai temi sacri che venivano sottoposte a controlli (il 100 B. BERENSON, Del Caravaggio: delle sue incongruenze e dela sua fama, Electa, Milano 1954 76 maestro di Velasquez, Francisco Pacheco, fu un sovrintendente dell'Inquisizione di Siviglia e controllava l'ortodossia degli artisti). Murillo è stato uno dei maggiori rappresentanti dell'arte in questo periodo e ha dipinto molte opere incentrate sulla pietà popolare e sull'Immacolata Concezione, che è rimasto il suo soggetto preferito. Per quanto riguarda la letteratura, nel poema religioso di Gondola si ritrova la nuova concezione di vita del periodo barocco, dove nasce la consapevolezza da parte dell'uomo che il suo agire può modificare, peggiorando o migliorando la realtà in cui vive. Il grande fermento culturale del settecento, il secolo dei Lumi, è degnamente rappresentato da Voltaire, dalle cui opere letterarie traspare la visione razionalista dell'uomo e la fiducia nelle scienze, anche se, al di là delle controversie con la Chiesa, la sua posizione riguardo alla sfera del trascendente, non era atea o agnostica, ma deista; è nota e significativa la sua frase «Ogni volta che guardo il cielo stellato, non posso non pensare che, se esiste un così perfetto orologio, esista un orologiaio». Pompeo Batoni, autore nel 1773 del dipinto Il ritorno del figliol prodigo, del quale si fatica a trovare notizie e commenti, si può già considerare un esponente del neoclassicismo. L'ottocento, secolo delle grandi unificazioni nazionali e delle grandi industrie, è rappresentato dal tormentato musicista Ponchielli, che nelle sue opere tenta di svincolarsi dallo stile imperante in quell'epoca, che era sostanzialmente quello del melodramma verdiano, per gettare le basi del melodramma romantico, che ha ispirato la cosiddetta Giovane scuola di Puccini, Mascagni e Leoncavallo. 77 Verso la fine del secolo ha operato anche il pittore James Jaques Tissot, con il suo stile caratterizzato dalla cura per i minimi particolari e il grande realismo delle figure. Anche il novecento, ribattezzato «secolo breve» dallo storico Eric Hobsbawm, con le sue violente svolte storiche ed economiche, è ampiamente rappresentato. Per quanto riguarda la pittura troviamo Giorgio de Chirico, grande esponente della cosiddetta pittura metafisica, che vuole rappresentare ciò che si trova oltre l'apparenza fisica della realtà, al di là dell'esperienza sensoriale Il termine «metafisica» trova la sua giustificazione nelle parole del suo rappresentante più significativo, Giorgio de Chirico, in uno scritto del 1918: «Intorno a me la masnada internazionale dei pittori moderni si arrabattava stupidamente tra formule sfruttate e sistemi infecondi. Io solo, nel mio squallido atelier della rue Campagne-Première, cominciavo a scorgere i primi fantasmi di un'arte più completa, più profonda, più complicata, più metafisica». 101 Marc Chagall rappresenta la cosiddetta «scuola di Parigi», un gruppo di artisti che animarono il dibattito culturale tra il 1907 e il 1920 circa, anche se la nostra opera è stata realizzata negli anni '70 verso la fine della sua carriera, quando aveva inciso sul suo stile l'influenza della corrente del Tachisme (da tache, macchia), dove il colore diventa un elemento libero ed indipendente dalla forma. Lo scultore Arturo Martini ha operato tra le due guerre, e la sua bellissima scultura Il figliol prodigo, secondo il critico Mario De Micheli «apre veramente la storia della scultura italiana contemporanea». Turoldo e Mazzolari sono due altissime figure profetiche di credenti che, al di la del loro importante contributo letterario, hanno vissuto pienamente la resistenza e le lotte dei loro 101 E. BERNINI e R. ROTA, Uno sguardo sull'arte. Dal settecento a oggi, Laterza, Bari, 2009, 238 78 contemporanei senza tirarsi indietro e si possono considerare, insieme a don Dossetti, padre Balducci e don Milani, gli esponenti più rappresentativi di un rinnovamento del cristianesimo e di un nuovo umanesimo sociale. Per quando riguarda la musica, il novecento è rappresentato da Milhaud e Prokofiev. Il primo autore, avendo viaggiato molto, si è lasciato contaminare da ritmi esotici, in particolare brasiliani, e questo ha conferito al suo stile ironia e modernità, con qualche sconfinamento nell'atonalità. Lo stile di Prokofiev è stato forzatamente modificato dai condizionamenti del regime russo del suo tempo, ma ha mantenuto una ironia, un sarcasmo e una freschezza unica. Per quanto riguarda gli autori contemporanei lasciamo ai posteri giudicare la traccia che avranno saputo lasciare... L'indiscutibile fascino della parabola attraversa i secoli e traspare da tutte queste opere, che rappresentano in qualche modo la celebrazione e la riflessione su un tema che da sempre accomuna tutti, credenti e non credenti: il tema del ritorno; il ritorno al Padre per gli uni, il ritorno a casa per gli altri. Questo tema porta inevitabilmente ad andare al di là della parabola e ad affrontare direttamente il problema dei problemi: quello della vita oltre la morte, con il quale da sempre l'uomo si confronta e si arrovella. Tutti, dentro di noi, avvertiamo una certa nostalgia dell'approdo in un porto sicuro e sereno dove «Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi » (Apocalisse 7, 17), o , più laicamente « dev' esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto» (Francesco Guccini, Cirano). 79 Se questa parabola ha toccato molti cuori e ispirato pittori, scultori, scrittori, musicisti e registi è perchè riesce ad entrare nel nostro intimo e a fare vibrare le nostre corde più profonde. In conclusione, si può affermare che tutti questi autori, nelle varie forme artistiche nelle quali si sono espressi, a volte riconoscendosi nell'uno o nell'altro personaggio della parabola, sono riusciti con le loro opere (alcune delle quali di notevole valore artistico) a favorire quel tipo di meditazione che porta a vivere una vita più piena, che rende capaci di onorare spiritualmente sia la gioia che il dolore e a coltivare la speranza dell'immortalità. E questo è uno dei grandi meriti dell'arte. 80 ALLEGATO 1 Hieronymus Bosch - Il figliol prodigo 81 ALLEGATO 2 Il Guercino: Il ritorno del figliol prodigo ALLEGATO 3 Mattia Preti : Ritorno del figliol prodigo 82 ALLEGATO 4 Rembrandt: L'allegra coppia (il figliol prodigo dilapida la sua eredità) 83 ALLEGATO 5 Rembrandt: Il Figliol Prodigo 84 ALLEGATO 6 Jan Vermeer: La mezzana 85 ALLEGATO 7 Murillo: Il ritorno del figliol prodigo 86 ALLEGATO 8 Giorgio De Chirico: Il figliol prodigo 87 ALLEGATO 9 Marc Chagall: Il figliol prodigo ALLEGATO 10 Pompeo Batoni: Il ritorno del figliol prodigo 88 ALLEGATO 11 Lucio Massari : Il ritorno del figliol prodigo 89 ALLEGATO 12 James Jaques Tissot: Il ritorno del figliol prodigo ALLEGATO 13 Arturo Martini : Il figliol prodigo 90 CAPITOLO 4 UNA PROPOSTA DIDATTICA In questo capitolo, dopo una parte introduttiva costituita da qualche riflessione sugli strumenti che saranno utilizzati, viene proposta una unità di apprendimento che utilizza parte dei materiali esaminati nei capitoli precedenti per raggiungere gli obiettivi educativi che si prefigge. 4.1 STRUMENTI UTILIZZATI 4.1.1 LA BIBBIA A SCUOLA Nonostante la Bibbia sia riconosciuta da molti, anche (cosiddetti) non credenti, come un testo indispensabile per capire la cultura occidentale, la storia e l'arte, rimane indubbiamente ancora un «oggetto sconosciuto» in ambito scolastico e non solo (purtroppo spesso anche in ambito ecclesiale, nonostante la Dei Verbum...). Nel complesso, a tutt'oggi la Bibbia (e a fortiori il Talmud, il Corano e le rispettive tradizioni) sono praticamente sconosciuti nell'attuale scuola italiana sia pur «riformata». Col risultato, fra i tanti, di rendere sostanzialmente incomprensibili opere come la Commedia dantesca e solo parzialmente percepibili i manzoniani Promessi Sposi, per non citare che i due esempi più clamorosi, trattandosi di testi presenti praticamente da sempre, com'è noto, nei programmi ministeriali per tutte le scuole superiori. 102 Un «monumento letterario» di questa portata meriterebbe senz'altro di essere trattato ed utilizzato trasversalmente dalle varie discipline scolastiche, ma siccome questo è al di là 102 B. SALVARANI, A scuola con la Bibbia. Dal libro assente al libro ritrovato (Mondialità), EMI, Bologna 2001, 31 91 da venire, è importante che almeno l'ora di Religione, nelle scuole, sia centrata sulle Scritture. Un prezioso canale che permette di imparare l'alfabeto delle conoscenze bibliche è l'insegnamento della religione cattolica nella scuola. Esso, com'è noto, considera la Bibbia quale fonte primaria e principale documento di riferimento. Rispetto alla catechesi, ha come proprio obiettivo di realizzare una alfabetizzazione culturale circa la Bibbia, sempre più intensa e bene programmata. Più specificamente, esso mira a fare conoscere l'identità storica, letteraria e teologica del libro sacro, il suo contributo per la comprensione della religione ebraica e di quella cristiana, la sua collocazione nella riflessione e nella vita della Chiesa, la sua valenza ecumenica, la prestigiosa storia dei suoi tanti effetti religiosi, civili, artistici a livello italiano ed europeo, il suo apporto nel dialogo interreligioso e interculturale nel contesto scolastico e sociale attuale. Agli insegnanti di religione cattolica è affidato il compito di elaborare una programmazione capace di far incontrare l'oggettiva presentazione del testo sacro con le attese più vive dei loro alunni, così che tutti possano rintracciare gli effetti di una Parola capace di illuminare e orientare l'esistenza. 103 Il ruolo di documento religioso della Bibbia, nella scuola si svolge attraverso diverse funzioni: Testimonianza insostituibile della religione ebraico-cristiana, di cui ci fa conoscere le origini e lo sviluppo Matrice di storia post-biblica (storia degli effetti). La Bibbia ha prodotto influssi che sono alla base di effetti religiosi (ad esempio le cattedrali e le varie espressioni artistiche) ma anche laici (ad esempio le dichiarazioni dei diritti) 103 UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE – SETTORE APOSTOLATO BIBLICO, La Bibbia nella vita della chiesa, 1995, n. 29 92 Criterio ermeneutico dell'esistenza. La Bibbia ha la capacità di suscitare riflessioni profonde, le domande di senso (la vita e la morte, il bene e il male, l'origine e la fine), proponendo risposte senza imporle. Come ha detto il Card. Carlo M. Martini «Una fede che fa pensare anche senza credere è migliore, è più adeguata all'uomo di una fede che fa credere senza pensare». Deposito di un ricco linguaggio espressivo. La Bibbia si può considerare come la più grande eredità linguistico-religiosa dell'umanità. Libro dei credenti. La Bibbia deve essere presentata a scuola non con un approccio catechistico ma culturale (non cioè essere proposta secondo le dinamiche partecipative proprie della fede ma occorre fare conoscere come i credenti la intendono). La Bibbia è il libro più diffuso al mondo, perchè lo condividono l'ebraismo e il cristianesimo. E' tramite queste religioni che essa esprime i valori di cui è la fonte, cui si connette, come motivo causante, questa comprensione teologica della Scrittura intesa, accolta e vissuta come Parola di Dio, con una straordinaria ricchezza speculativa ed operativa, in campo etico, spirituale, artistico.. 104 Libro del dialogo. In senso ecumenico, la Bibbia fa oggi da maggior coefficiente di dialogo tra le Chiese, in una Europa caratterizzata da una notevole presenza pluralistica; in senso interreligioso costituisce uno strumento di dialogo e di confronto con i testi sacri delle altre espressioni religiose. 104 C. BISSOLI, «Bibbia a scuola», dossier in Insegnare religione, novembre-dicembre 2010, Elledici, Cascine VicoRivoli (TO) 93 Oltre a queste funzioni, si possono riconoscere anche diverse finalità dello studio della Bibbia: Le finalità dello studio della Bibbia possono essere così riassunte: CONOSCERE per colmare l'abisso di incultura che regna intorno al testo biblico PER COMPRENDERE la rilevanza culturale che il testo biblico ha esercitato sulla storia dell'umanità, con particolare riguardo alla cultura occidentale PER VALUTARE le diverse forme della ricodificazione biblica nei vari campi artistici FAR COGLIERE IL NESSO TRA BIBBIA E CULTURA: il sapere biblico è sapere culturale in senso ampio e profondo FAR COGLIERE IL NESSO TRA BIBBIA E SUO POTENZIALE COGNITIVO: la conoscenza della Bibbia, oltre ad avere un valore cognitivo ha un valore formativo e può fornire strumenti concettuali utili a capire in modo significativo se stessi e il mondo FAR COGLIERE IL NESSO TRA BIBBIA ED ERMENEUTICA: la lunga storia ermeneutica della Bibbia va esplicitata ed esemplificata per farne cogliere la ricchezza 105 4.1.2 IL PENSIERO NARRATIVO Tenendo conto dei criteri interpretativi accennati nel primo capitolo, la Bibbia, a scuola, è utilissima come fonte praticamente inesauribile di racconti. La narrazione è una dimensione ineludibile nella scuola, perchè le storie parlano della vita e insegnano a vivere. Nel mito, la leggenda, la fiaba, il racconto, la novella, l'epica, la storia la tragedia, il dramma, la commedia, il mimo, la pittura, nei mosaici, nel cinema, nei fumetti, nelle notizie, nella conversazione, in tutti i luoghi e in tutte le società. Indipendentemente da una suddivisione in buona o cattiva letteratura, la narrazione è internazionale, transtorica, transculturale: essa è semplicemente lì, come la vita stessa. 106 105 106 B. SALVARANI-A. TOSOLINI, Bibbia, cultura, scuola, Claudiana/EMI, (Torino/Bologna) 2011, 73-74 R. BARTHES , citato in “Elementi di psicologia della narrazione”, dal sito http://galileo.cincom.unical.it/pubblicazioni/editoria/Altro/Tesi/CONCET/CAP1A.HTML 94 Si può affermare che il pensiero logico-matematico consente di trovare i nessi causali tra gli eventi, e il pensiero narrativo consente di pensare il sociale, di organizzare l'esperienza e rappresentare gli eventi trasformandoli in oggetti di analisi e di riflessione. Jerome Bruner (1969-1996), psicologo americano, ha studiato approfonditamente le caratteristiche del pensiero narrativo al quale attribuisce un ruolo fondamentale nella costruzione narrativa della realtà e nell'organizzazione dell'esperienza nel mondo. Bruner ha individuato nove proprietà della narrazione: La sequenzialità per cui gli eventi narrati sono organizzati secondo una sequenza di tipo spaziotemporale. La particolarità per cui il contenuto delle storie è un episodio specifico. L'intenzionalità che coincide con l'interesse per le intenzioni umane che, sorrette da scopi, da opinioni e credenze, guidano le azioni. L'opacità referenziale che consiste nella tendenza a descrivere rappresentazioni di eventi (del narrante) piuttosto che fatti obiettivi. Ad una narrazione, infatti, non si richiede di essere vera, ma verosimile, cioè possibile. La componibilità ermeneutica che è rappresentata dal legame tra le varie parti della narrazione ed il tutto, dal quale dipende l'interpretazione fornita. La violazione della canonicità che coincide con la presenza di eventi inattesi che rompono la routine. La composizione pentadica per la quale in ogni storia esistono almeno cinque elementi: un attore che compie un'azione con un certo strumento, per raggiungere uno scopo in una determinata situazione. L'incertezza che nasce dall'espressione di un punto di vista tra i tanti possibili, ossia quello del narratore L'appartenenza ad un genere che coincide con una categoria letteraria che guida il modo di raccontare i contenuti. 107 Il pensiero narrativo, quindi, non è una forma di pensiero minore o illogico, ma una forma di comprensione della realtà parallela a quella logica e di pari dignità. 107 I. LUONI, Itinerari di pedagogia narrativa, dal sito www.liceimanzoni.it/Didattica/PDF/pedagogia%20narrativa.pdf 95 Il pensiero logico-matematico ed il pensiero narrativo, dunque, sono due forme di conoscenza che non devono essere contrapposte, ma che sono complementari, e la scuola le deve proporre entrambe per favorire una crescita ed una formazione integrali ed armoniche degli studenti. Sul piano didattico, una interessante caratteristica della narrazione è quella della sua richiesta di un atteggiamento attivo da parte dell'ascoltatore. Il senso di un testo, di un qualsiasi testo, è sempre incompiuto, se non alla luce di un lettore che lo completa, lo attualizza, lo fa suo, nella sua lettura. E P. Ricoeur, in un'intervista, dichiarava: «Un'opera non è mai finita. Dipende solo dai lettori farne un'opera completa». Tutte le opere del passato possono allora divenire contemporanee, attraverso un nuovo atto di lettura. Forse Benjamin ci dice che non possiamo creare opere nuove, ma che in ogni caso tutte le opere del passato ci sono accessibili. Il problema è di non trasformarle in un museo, un museo narrativo. E' necessario ritrovare il carattere potenziale di un'opera, il carattere incompiuto, il fatto che il suo senso è ancora in sospeso e che sono le nuove letture che gli daranno un senso nuovo. Non credo alla morte del raccontare...». Ecco: anch'io, come Ricoeur, anche se ben più modestamente, non riesco a credere alla morte del raccontare; credo invece alla necessità di ripensarne le ragioni profonde, credo alla potenziale grande rilevanza del narrare nel quadro di un dialogo ecumenico e interreligioso, e al fine di una maggiore fedeltà alle dinamiche della chiesa delle origini, per scommettere, una volta di più, su un'ipotesi che ci sta ancora tutta davanti, che si dia l'eventualità di un mondo diverso da quello che stiamo vivendo, finalmente, un mondo narrato e narrabile in cui sorga una risposta credibile al nostro attuale e perenne grande bisogno di salvezza. 108 Tutto questo apre prospettive interessantissime per l'attività didattica, perchè richiede ad ogni studente-ascoltatore uno sforzo creativo ed interpretativo che lo rende protagonista e contribuisce allo sviluppo della narrazione stessa. Narrare non significa limitarsi ad accumulare aneddoti. Ha effetti critici, è pericoloso, non è facile, ci costringe a metterci in gioco, a prendere posizione, a entrare nelle storie 108 B. SALVARANI, Le storie di Dio. Dal grande codice alla teologia narrativa, Emi, Bologna, 1997, 116-117 96 raccontate, a domandarcene il senso. Il narrare è l'esperienza tipica dei “piccoli” (in senso evangelico) e degli oppressi che cercano di raggiungere la libertà. 109 Per tutti queste motivazioni, quindi, l'esperienza della narrazione non può mancare nella scuola. 4.1 3 BIBBIA E ARTE Siccome l'arte cristiana è parola tradotta in immagine, è inevitabile che per comprenderla occorra fare riferimento alle fonti letterarie che l'hanno ispirata, quindi, in primo luogo alla Bibbia. È curioso notare che la Bibbia parte con un divieto ferreo destinato a bloccare l’arte figurativa di Israele: «Non ti farai immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra né dì ciò che è nelle acque sotto terra», recita il primo Comandamento (Es 20,4). Eppure la Parola biblica, coi suoi simboli, con la sua incandescenza, la sua poesia è stata il grande arsenale iconografico dell’Occidente, il «grande codice» della nostra cultura, «l’alfabeto colorato della speranza in cui hanno intinto i loro pennelli i pittori di tutti i tempi», come dichiarava Chagall. 110 Non è certamente facile indagare sulla complessità delle relazioni tra il mondo della Bibbia e il mondo dell'Arte, entrambi così vasti e variegati: La Bibbia, da un lato, raccoglie un arco letterario che, dopo un' indefinibile preistoria orale, si è cristallizzato in almeno una dozzina di secoli, dalle superbe odi del XII sec. a.C. (ad es. Gdc 5; Sal 29) sino a quegli scritti “di piccola letteratura” che sono i Vangeli nati in piena epoca imperiale romana. D'altra parte, parlare di arte, del suo statuto costitutivo e delle sue manifestazioni è – per usare un'immagine di Origene – come affidarsi con un piccolo legno ad un oceano di tanti misteri. 111 109 110 111 B. SALVARANI, Le storie di Dio. Dal grande codice alla teologia narrativa, op. cit., 116 G. RAVASI, prefazione in M.C.VISENTIN, Bibbia e arte. I percorsi della cultura e della fede (Bibliotheca berica), EMP, Padova 2006 P. ROSSANO – G. RAVASI – A. GIRLANDA, a cura di, Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988, 169 97 Tra questi due mondi ci sono da sempre molti punti di contatto e di scontro, la Bibbia stessa è un prodotto artistico, e da sempre l'arte ha attinto alla Bibbia come fonte di ispirazione. Esiste una parentela tra fede biblica e arte: un legame tra le “cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d'uomo” (Is. 64,3; 1 Cor. 2,9), e le diverse modalità con cui gli artisti ci fanno vedere e sentire. Nell'arte come nella Bibbia c'è un irresistibile avvio verso qualche cosa sconosciuta la cui sagoma si intravede imperfettamente ma che attira e affascina. Non a caso usiamo gli stessi termini per descrivere sia l'esperienza biblica che quella artistica: per l'arte come per la Bibbia parliamo di “ispirazione”, “messaggio profetico” e “visione”. 112 L'arte è da sempre stata utilizzata come formidabile strumento di catechesi biblica, basti pensare alla Biblia pauperum, a tutte le pitture e le sculture che nel medioevo hanno parlato della Bibbia a generazioni di persone impossibilitate ad accedervi direttamente. Dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. È un indizio questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico. 113 Anche se oggi sappiamo leggere e scrivere, accedere alla Bibbia attraverso l'arte non ha affatto perso la sua validità. Nell'esperienza in classe, capita che anche gli studenti meno dotati culturalmente, riescano a cogliere i significati profondi delle opere artistiche che stanno osservando, e che trovino gratificazione da questo. 112 113 T. VERDON (a cura di), L'arte e la Bibbia. Immagine come esegesi biblica, Biblia, Settimello (FI) 1992, 7 J. RATZINGER, Introduzione al Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio, Libreria Editrice Vaticana – San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1995, n. 5 98 4.1 4 L'UTILIZZO IN CLASSE DEL COOPERATIVE LEARNING Il cooperative learning è un metodo di apprendimento che comporta la collaborazione tra gli studenti. L'idea di far lavorare insieme i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze appare quasi una necessità all'interno della nostra società «liquida» (Z. Bauman), in cui i legami sembrano sciogliersi, lasciando il posto a un senso di inquietudine e sfiducia diffusa verso le relazioni umane. Tuttavia questa intuizione non è affatto nuova nel campo dell'educazione. M. Comoglio, con un prezioso lavoro di sintesi, sottolinea come già il Talmud (secoli IV e V d.C.) e Comenio (1592-1670) parlassero dell'importanza di lavorare e di far lavorare insieme. Tuttavia le prime esperienze di apprendimento cooperativo si collocano tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento con Andrew Bell in India e Joseph Lancaster in Inghilterra. Dagli attuali molteplici approcci al Cooperative Learning è possibile ricavare una serie di caratteristiche essenziali per la riuscita delle attività cooperative: interdipendenza positiva interazione faccia a faccia insegnamento diretto e uso delle abilità sociali agire in piccoli gruppi eterogenei revisione del lavoro svolto e valutazione individuale e di gruppo 114 Non è un metodo semplice, perchè richiede una certa preparazione e la capacità di mettersi in discussione da parte dell'insegnante, il quale, senza rinunciare al proprio ruolo, deve promuovere la responsabilità individuale degli studenti. Nella proposta didattica che segue, il cooperative learning viene utilizzato della fase della decostruzione e nell'interpretazione del dipinto, perchè consente di superare lo schema competitivo, largamente utilizzato nella scuola come nella vita. 114 M. DAL CORSO – M. DAMINI, Insegnare le religioni. In classe con il Cooperative Learning, EMI, Bologna, 2001, 47-49 99 I tentativi di combattere la competizione nella scuola attraverso il mutuo insegnamento e varie forme di cooperazione educativa, non hanno ancora conosciuto risultati apprezzabili, né quella conoscenza e diffusione che meriterebbero. La competizione in sé non fa male, ma l'abuso è negativo. La cooperazione, invece, può stimolare il senso della comunità in una classe, al lavoro, in famiglia. 115 4.2 PROPOSTA DI UNA UNITÀ DI APPRENDIMENTO “Le concezioni di Dio: dal dio pagano al Dio della Rivelazione” Se si facesse un sondaggio sull'immagine che le persone hanno di Dio, probabilmente ne uscirebbe un quadro piuttosto desolante: nella maggior parte delle persone, infatti, Dio è percepito come un legislatore, un giudice, un controllore, un essere onnipotente e lontano che scruta il comportamento degli uomini per valutarlo. Solo alcuni lo descriverebbero come Padre misericordioso. E' piuttosto diffusa una immagine di Dio piuttosto negativa e spaventosa, forse retaggio della teologia medievale ma anche di più recenti convinzioni, magari trasmesse da certi stili catechistici o da preghiere che veicolano messaggi di questo tipo, ad esempio l' «Atto di dolore» che recita: «peccando ho meritato i Tuoi castighi»... Sembra che l'idea di Dio sia più vicina a quella della filosofia greca che a quella della Rivelazione biblica, e che la Buona Notizia del Vangelo fatichi ad entrare nella nostra catechesi e nella nostra mentalità. C'è un Cristo che non abbiamo avuto ancora il coraggio di scoprire. Ci sono pagine nel Vangelo che sono state lette a metà. Ci sono immagini di Dio che ci siamo costruiti sulla 115 A. NANNI, Decostruzione e intercultura, EMI, Bologna 2001, 100 100 misura del nostro egoismo, secondo orizzonti umani che ora sentiamo ristretti. In tale dio non possiamo credere. 116 Il Dio di Gesù Cristo è un Dio esclusivamente buono, che ama tutti, che «fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt. 5,45) e che accoglie il figlio che ha dilapidato il patrimonio restituendogli la piena dignità. Questo amore incondizionato fa problema, perchè questa gratuità sovverte l'ordine del potere su cui si fonda ogni società, Chiesa compresa, per cui, lungo la storia, alcuni brani del Vangelo sono stati accettati con molta difficoltà. 117 Questo progetto didattico, centrato sulla parabola del Padre misericordioso, vorrebbe contribuire a sradicare false immagini o luoghi comuni che a volte capita di sentire, per aiutare a scoprire il volto di Dio. Dio, di mestiere, fa il Valorizzatore, nel senso che valorizza le persone che incontra. In Genesi 1,31 Dio trova la gente bella e buona (“tob” in ebraico significa sia bello che buono): Elohim vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto “tob”. “Ma come? - si dirà – Dio non vede tutti i disastri che ci sono?”. Sì, li vede, e sicuramente non li approva; però, nonostante questo, vede anche qualcosa che gli fa dire che la gente vale. E se anche hanno dei difetti o fanno degli sbagli, valgono lo stesso, perchè per lo meno possono togliersi i difetti e correggere gli sbagli. Dio crea questa possibilità appunto perchè ci stima, ci valorizza. Se andiamo a cercare questa dimensione in Gesù, nei Vangeli troviamo moltissimi esempi. Allora, se devo immaginare Dio non lo immagino con i tratti del re, che vince in battaglia, usa la forza, legifera, condanna, punisce e non si lascia avvicinare: queste sono cose che facevano i re (beh.. anche quasi tutte le persone potenti le fanno). Ma lo vedo piuttosto come uno dallo sguardo così: lo sguardo di una persona che valorizza gli altri. Dio valorizza. E se nella vita non valorizzi qualcuno anche tu, non sei in comunione con Lui. Non assomigli a tuo Padre. 118 116 117 118 J. ARIAS, Il dio in cui non credo, Cittadella, Assisi, 2003, 10 Per approfondire: A.MAGGI, Versetti pericolosi, Fazi, Roma, 2011 G. BENASSI, Il mestiere di Dio, op. cit., 137-140 101 L'attività è pensata per la classe terza della scuola secondaria di secondo grado e si articola in sei lezioni di un'ora ciascuna. Dopo la presentazione del progetto didattico, si affronta il concetto di decostruzione con una attività di gruppo, per poi passare all'argomento delle concezioni arbitrarie di Dio per metterle in discussione e giungere alla costruzione di una concezione di Dio fondata biblicamente. Ci si concentra poi sulla descrizione di Dio che ci viene proposta da Gesù con la parabola del Padre misericordioso, analizzandone il testo, e un'opera d'arte che la parabola ha ispirato. 4.2.1 STRUTTURA DELLE LEZIONI PRIMA LEZIONE Presentazione dell'unità di apprendimento La decostruzione. Attività di cooperative learning L'attività è stata presa dal testo Insegnare le religioni. In classe con il Cooperative Learning (pag. 71) ed adattata all'argomento trattato. Titolo attività: “Decostruiamo la decostruzione” Classe: Classe terza della scuola secondaria di secondo grado Organizzazione degli studenti: Gruppi di 4 formati in modo casuale in banchi disposti per l'attività 102 Obiettivi cognitivi: - Riflettere sul significato della parola decostruzione - Analizzare un testo biblico Obiettivi di cooperazione (abilità sociali): - Rispettare il turno di parola Comunicare con chiarezza e precisione Trovare una strada per risolvere i conflitti Brano biblico utilizzato: Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima che io ti formassi nel grembo di tua madre, ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo grembo, ti ho consacrato e ti ho stabilito profeta delle nazioni». Io risposi: «Ahimè, Signore. Eterno, io non so parlare, perché sono giovane». Ma il Signore mi disse: «Non dire: "Sono un ragazzo" perché tu andrai da tutti coloro ai quali ti manderò e dirai tutto ciò che ti ordinerò. Non aver paura davanti a loro, perché io sono con te per proteggerti, dice il Signore». Poi il Signore stese la sua mano e toccò la mia bocca, e mi disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca. Oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni, per sradicare e per demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare». (Geremia, 1,4-10) (viene consegnata una copia del testo per ciascun gruppo in modo da favorire l'interdipendenza delle risorse) 103 Fasi del lavoro L'insegnante Tempi introduce il concetto di 10 minuti Organizzazione Plenaria «decostruzione» senza nominarla, leggendo il brano di Geremia, in cui sono presenti i 4 verbi sradicare e distruggere, per edificare e piantare Gli studenti si dividono in gruppo ed elaborano 20 minuti L'insegnante una breve frase che riassuma il testo, che sarà dei ruoli al'interno dei scritta su una striscia di carta firmata dai gruppi (responsabile di componenti del gruppo, in modo da assumerne una la corresponsabilità. responsabile abilità assegna sociale, dei materiali, timer) Vengono presentate le frasi, poi l'insegnante 20 minuti Plenaria scrive alla lavagna la parola decostruzione, proponendo delle domande-stimolo: Che relazione c'è tra l'idea di decostruzione e i verbi utilizzati da Geremia? Quali altre parole (verbi, aggettivi, sostantivi) possiamo legare a questa parola? (brainstorming) Per iniziare ad affrontare un argomento, è spesso necessario dovere decostruire le convinzioni ed i pregiudizi che abbiamo interiorizzato su di esso. Che cosa significa «decostruire»? Il senso comune lega questo concetto all'idea di sradicamento di norme precostituite, di leggi, di modi di vita e pensiero legati a una non meglio definita «tradizione» che spesso è necessario scalzare per lasciare posto al nuovo. Partendo da questo significato «ingenuo» della decostruzione già possiamo renderci conto della valenza educativa che essa riveste, soprattutto quando si lavora con gli adolescenti che hanno bisogno, letteralmente, di decostruire quanto appreso fino all'età della prima giovinezza per riappropriarsi del significato di certe regole, di certi stili di vita, di certi affetti. 104 Un percorso a volte tortuoso, che richiede spesso una mediazione, un percorso che non è distruzione tout court. Decostruire non è distruggere il passato e il presente a favore di un non meglio identificato futuro. 119 La decostruzione ci insegna a diffidare della presunta verità e certezza delle convinzioni che abbiamo e ci consente di eliminare gli aspetti non accettabili del nostro modello culturale. Dobbiamo costruire decostruendo. Come afferma Jacques Derrida, grande teorico della decostruzione, non va messa tra le forme di nichilismo o di scetticismo, perchè si decostruisce transitoriamente per costruire ciò che si ritiene più desiderabile e più sostenibile. E' indubbiamente significativo che la Bibbia, in alcune sue parti, si presenti come un libro di decostruzione. Pensiamo ai quattro verbi di Geremia (svellere e distruggere per edificare e piantare) e al tipico motivo messianico “vi è stato detto ma io vi dico”. Nella Bibbia troviamo la decostruzione di mitologie precedenti, idolatrie, antropomorfismi, politeismo ecc. Nella Bibbia è possibile individuare un materiale molto ampio e interessante per progettare esercizi di decostruzione. Ad esempio, la decostruzione della visione del Cosmo e del tempo: la genealogia storico-culturale che la Bibbia propone non è soltanto una strada lineare in crescita, ma è, allo stesso tempo, una decostruzione di mentalità e di istituzioni precedenti. 120 119 120 M. DAL CORSO – M. DAMINI, Insegnare le religioni. In classe con il Cooperative Learning, op. cit., 68 A. NANNI, Decostruzione e intercultura, op. cit., 15 105 SECONDA LEZIONE Breve ripresa della lezione precedente Brainstorming in plenaria sull'immagine di Dio dove tutti gli studenti saranno stimolati ad esprimersi Approfondimento sulle concezioni di Dio che sono emerse dal brainstorming, distinguendo tra quelle che derivano da fonti extrabibliche (sulle quali ci si sofferma) e quelle derivate dal testo biblico (che saranno esaminate nella terza lezione). Nei brainstorming sulle parole che vengono associate a Dio che ho avuto modo di fare nelle scuola superiori, sono emerse spesso queste definizioni: Dio che controlla l'uomo, ne punisce i peccati ed è geloso della sua felicità Questa concezione di Dio non è ebraico-cristiana ma è pagana. Gli dei pagani, infatti, erano concepiti come potenti, privilegiati nei confronti dell'uomo (possedevano immortalità e felicità) e gelosi. Se l'uomo si permetteva di essere felice veniva punito, e il sistema religioso pagano era finalizzato a placare gli dei e a evitarne i castighi. Mentre gli dèi dell'Olimpo inseguivano instancabilmente belle donne, il Dio dei Sinai proteggeva le vedove e gli orfani. Mentre l'Anu della Mesopotamia e l'El di Canaan percorrevano indifferenti le loro strade, YHWH pronuncia il nome di Abramo, sollevando il suo popolo dalla schiavitù, e (nella visione di Ezechiele) va alla ricerca degli ebrei soli e afflitti a Babilonia. Dio è un Dio della giustizia, la cui amorevolezza è da sempre e per sempre, e la cui misericordia è presente in tutte le sue opere. 121 121 H. SMITH, Le religioni del mondo, Fazi, Roma 2011, 344 106 Nonostante questo, ancora oggi si sentono, anche tra i cristiani, frasi che rivelano reminiscenze di questa mentalità: «me la sentivo che doveva succedere qualcosa, andava tutto troppo bene....!» Capita ancora di sentire definire le persone ammalate come «parafulmini dell'ira divina»... Dio viene scambiato per Giove (esistono persino sciagurate rappresentazioni pittoriche di Dio che scaglia i fulmini!). Non credo nel Dio che punisce i peccati, che manda le pestilenze per far ravvedere gli uomini. Per moltissimo tempo si è pensato così. San Carlo Borromeo, in occasione di una pestilenza a Milano, organizzò una grande processione. Il santo portava la pesante croce di legno col sacro chiodo davanti a tutti invocando la misericordia di Dio. Scrisse poi al cardinale di Bologna esprimendo la sua gioia perché le chiese non erano mai state piene come in quei giorni. La peste, a suo giudizio, era stata lo strumento di Dio per il ravvedimento del popolo. Il segno chiaro che questa interpretazione era giusta stava nel fatto che “nonostante l'assembramento numeroso della gente che si era raccolta a pregare, non si era verificato nessun altro caso di peste”. 122 Dio onnipotente L'immagine di un Dio onnipotente intesa nel senso «può fare tutto quello che vuole» provoca una reazione spontanea: «allora perchè non impedisce il male?» L'accettazione del proverbio «non si muove foglia che Dio non voglia» causa la rassegnazione nei confronti del male, delle malattie, della morte come volontà di Dio, il quale diventa così temuto e non amato. E' un tema spesso affrontato e messo in discussione da molti teologi, prendiamone ad esempio due, uno ebreo ed uno cristiano: Il filosofo ebreo Hans Jonas, nel suo breve scritto Il concetto di Dio dopo Auschwitz, dice: 122 C. MOLARI, «Che Dio mi liberi da Dio. Otto immagini di Dio in cui non credere», in Ore Undici n° 3/2011 107 Mi è stato insegnato, da bambino, che Dio è buono e onnipotente. Dopo Auschwitz non posso più credere che Dio sia entrambe le cose, perché se fosse davvero buono e onnipotente avrebbe impedito Auschwitz; se non l’ha fatto, vuol dire o che non è buono (quindi è rimasto indifferente davanti a quella tragedia inaudita), o che non è onnipotente (quindi non ha potuto o saputo impedirla). Devo dunque scegliere tra credere in un Dio onnipotente, ma non buono, oppure in un Dio buono, ma non onnipotente. Scelgo di credere in un Dio buono, ma non onnipotente. 123 Dietrich Bonhoeffer, pastore luterano, nelle sue Lettere dal carcere, prima di essere ucciso dai nazisti, ha parlato a più riprese della impotenza di Dio: Dio si lascia cacciare fuori dal mondo, sulla croce: Dio è impotente e debole nel mondo, e così soltanto rimane con noi e ci aiuta. Matteo 8,17 è chiarissimo: Cristo non ci aiuta in virtù della sua onnipotenza, ma in virtù della sua debolezza, della sua sofferenza! 124 Esiste una tale pluralità di concezioni di Dio, nelle religioni, che contemporaneamente allarga la mente e disorienta... A Dio è stato attribuito tutto e il contrario di tutto, descrivendolo volta per volta come: uno e unico, ma anche trino e tripersonale; puro spirito, ma anche dotato di voce, di vista, di udito; essere o atto d'essere, ma anche purissimo nulla; maschile come un padre, ma anche femminile come una madre; con un nome preciso (per quanto impronunciabile), ma anche innominato e innominabile; onnipotente, ma anche impotente per il rispetto che deve alla libertà della creazione; onnisciente, ma anche all'oscuro delle scelte dell'uomo (sempre per il motivo di sopra); onnipresente, ma anche onniassente per la sua infinita trascendenza; dimorante nell'alto dei cieli, ma anche dentro l'interiorità umana; impassibile, ma anche colmo di passioni come per esempio l'amore; severo e inflessibile, ma anche misericordioso e pronto in ogni istante al perdono. 123 124 H. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il Melangolo, Genova 2004, 12 D. BONHOEFFER, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1988, 437 108 Alla luce di questo elenco approssimativo ogni persona ragionevole vede quanto siano necessari sobrietà, equilibrio, capacità analitica. 125 TERZA LEZIONE Breve ripresa della lezione precedente Approfondimento sulle concezioni di Dio che sono emerse dal brainstorming della lezione precedente, con particolare riferimento a quelle derivate dal testo biblico Dio violento Indubbiamente anche nella Bibbia si trovano immagini violente di Dio, che a volte causa la morte delle persone o risulta essere il mandante di stragi. Molto spesso però queste sono immagini di un Dio antropomorfo, che si comporta come l'uomo e che l'uomo ha immaginato e descritto, come se fosse Dio ad essere ad immagine e somiglianza sua. Quando leggiamo la Bibbia non incontriamo direttamente Dio, ma le immagini di Dio di Mosè, del popolo di Israele, di Gesù, di Paolo ecc. "Dio nessuno lo ha mai visto, ma il Figlio suo ce lo ha narrato” (prologo di Giovanni). Ora se di Dio si hanno solo immagini umane quale è il valore della Bibbia? Quali immagini rispecchiano il volto di Dio? Il polo negativo, violento è nostro, non di Dio. Noi esportiamo in Dio la nostra distruttività e negatività per poterla giustificare. Noi siamo i violenti. Dio è tutt'altro. Nell'ottica di fede scorgiamo nelle immagini contrastanti di Dio la presenza dello Spirito che non soffoca né i processi proiettivi né quelle immagini folgoranti di un Dio puro. Dio è all'interno di questo scontro.126 125 126 V. MANCUSO, Io e Dio. Una guida dei perplessi, Garzanti, Milano 2011, 136 G. BARBAGLIO, «Dio violento?» Sintesi della relazione al Convegno «Il problema teologico delle immagini di Dio», Verbania Pallanza, 19/11/1994, dal sito www.giuseppebarbaglio.it/Articoli/finesettimana5.pdf 109 Dio mortificante Dio è concepito da alcuni credenti come desideroso di mortificazioni, sacrifici, digiuni e penitenze. Un Dio triste, che vuole che anche gli uomini siano tristi e che portino la croce. Una certa spiritualità dolorista, non ancora superata, ha portato ad aberrazioni quali l'utilizzo di pratiche penitenziali come l'utilizzo del cilicio, le fustigazioni, il percorrere lunghi tragitti o scale sante in ginocchio ed altre, che avranno anche «fatto dei santi» in passato ma che sono sicuramente più vicine a derive masochistiche che alla buona notizia del Vangelo. Dio non si può considerare il «mandante» della morte in croce di Gesù, ma, come ha detto Gesù stesso, le persecuzioni sono inevitabili per chi come lui e come i cristiani in seguito, hanno annunciato coraggiosamente la verità denunciando le ingiustizie, mettendosi così in opposizione al potere che cerca sempre di eliminare le persone scomode. « Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (Lc. 6, 26). Molte persone associano la volontà di Dio ai momenti più dolorosi della loro esistenza, alle malattie ai lutti, e mai ai momenti felici. La volontà di Dio è che ogni uomo diventi suo figlio attraverso la pratica dell'amore. Penso ad una affermazione sentita tante volte nello spazio cristiano, detta ai malati e ai parenti dei malati. "Dio prova colui che ama" …l'avete sentita certamente, parola, attenzione, che sta in Pr 3,11-12, ma, quando la si legge intera è "Dio prova colui che ama come un padre prova il figlio". Cioè Dio corregge l'uomo con l'amore di un padre verso il figlio e un padre manderà mai una malattia per suo figlio per provarlo. Un Dio così, voi capite, che è un Dio padre meno buono dei padri, pur cattivi, che noi abbiamo avuto nella vita. La sofferenza e la malattia non corrisponde ad una attenzione privilegiata da Dio, né si deve dire che Dio permette il male, semplicemente Dio è contro il male, non vuole il male, ma il male fa parte di questa creazione che è in attesa della redenzione finale. Dio non è 110 mai colui che manda una malattia o per avvertire o per convertire, e mai la malattia e il dolore possono diventare soddisfazione per placare Dio, né possono diventare riparazione per i peccati propri o altrui. Ancora recentemente, e non faccio il nome perché la mia intenzione non è polemica, un personaggio di grande carità, una persona alla quale va tutta la mia ammirazione per quel che ha fatto, però una persona prigioniera di questa tradizione, alla domanda di un giornalista: "Come lei interpreta la sofferenza?" questa persona ha risposto: "…ho detto a un malato di cancro che il suo cancro era un bacio di Dio e il segno che Gesù vuole portarlo sulla croce per baciarlo meglio. Ho detto a quel malato che, se il tuo cuore è puro, la sofferenza della malattia non è una tortura, ma è la condizione in cui tu capisci che Dio ti ama più degli altri". Ecco vedete queste sono davvero parole dette con buona intenzione, dette magari perché ispirate da una grande volontà di difendere Dio, ma non sono né evangeliche né cristiane e danno a Dio il volto del Dio perverso. 127 Il Dio ebraico-cristiano non è il Dio dei morti, ma dei viventi; non mortifica, ma vivifica; non vuole la tristezza ma la piena felicità e la realizzazione dei suoi figli. Dio giudice L'uomo spesso riconosce come limitato il suo concetto di giustizia, e lo proietta sulla divinità, che diventa infallibile nello scovare e punire i colpevoli. E' significativa la frase «E' riuscito a sfuggire alla giustizia umana, ma non sfuggirà alla giustizia divina!». Occorre tenere presente che il significato di giustizia attribuita a Dio nella Bibbia è traducibile con fedeltà. Il Dio giusto è quindi il Dio fedele. Inoltre, nella parabola del Padre misericordioso, la giustizia divina si realizza con la misericordia. 127 E. BIANCHI, «Sulla malattia e la sofferenza», conferenza tenuta presso l'Hospice “Madonna dell'Uliveto” di Montericco (RE) il 15 giugno 2003 111 C'è un Dio dell'Antico Testamento e un Dio del Nuovo Testamento Alcune persone sostengono posizioni vicine a quelle del marcionismo, distinguendo un Dio severo del Primo Testamento da un Dio misericordioso del Nuovo Testamento. Per la comprensione del Nuovo Testamento il valore dell'Antico Testamento è indiscutibile, così come viene ribadito dal documento della Pontificia Commissione Biblica, la quale considera il rapporto fra entrambi come un legame vitale che garantisce la corretta interpretazione delle Scritture. Questo legame è espressione della stessa azione di Dio che porta avanti nella storia il suo disegno di salvezza, per cui non si può separare la novità del messaggio evangelico da quanto è servito per la sua preparazione e piena attuazione. L'AT appartiene al mondo culturale degli autori del neotestamentari, che trovano in esso un valido aiuto per l'esposizione del proprio pensiero. 128 In realtà anche il Primo Testamento è disseminato di testi che descrivono in modo inequivocabile e toccante la genitorialità misericordiosa di Dio nei confronti dei suoi figli, a partire dai racconti della creazione del Genesi, per continuare con la liberazione del popolo di Israele e la fedeltà incrollabile di Dio nei sui confronti nonostante le infedeltà da parte degli uomini nell'Esodo e con i profeti, ad esempio Isaia e Osea: Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonata, il Signore mi ha dimenticata». Una donna può forse dimenticare il bimbo che allatta, smettere di avere pietà del frutto delle sue viscere? Anche se le madri dimenticassero, io non dimenticherò te. Ecco, io ti ho scolpita sulle palme delle mie mani; le tue mura mi stanno sempre davanti agli occhi. (Isaia 49,14-16). Si può proseguire con i Salmi, ad esempio il Salmo 103 che benedice Dio in forma poetica per la sua infinita misericordia, e con altri innumerevoli esempi. 128 R.A. PEREZ MARQUEZ, L'Antico testamento nell'Apocalisse. Storia della ricerca, bilancio e prospettive, Cittadella, Assisi 2010, 11-12 112 D'altra parte, anche il Nuovo Testamento non è esente da parti oscure e minacciose, dalla prospettiva di condanna dei malvagi alla morte eterna. Occorre allora una accurata analisi dei testi in senso storico-critico, per essere in grado di cogliere gli autentici significati dei messaggi trasmessi (sempre validi), a volte pronunciati con intento pedagogico, a volte inseriti all'interno di generi letterari per noi inusuali (come ad esempio il genere apocalittico) e lontani dalla nostra cultura. In quanto libro umano (che racconta di Dio), la Bibbia ha sempre bisogno di essere interpretata. Anzi, essa vive nelle e delle sue interpretazioni. C'è una significativa tradizione ebraica che sostiene che al centro dell'intera Torah (il Pentateuco dei cristiani) sta l'espressione darosh darash, vale a dire «cercare, cercò», che troviamo in Levitico 10,16. Il verbo ebraico darash significa appunto cercare, ma anche «studiare, sollecitare, investigare». Da qui, l'importanza enorme che Israele ha sempre riservato allo studio, nella consapevolezza che l'interpretazione della Scrittura non è mai unica e assoluta, bensì sempre plurale. Resta centrale quella lettura storico-critica che già alla fine del XIX secolo aveva messo in crisi la tradizionale visione dell'inerranza biblica, La quale, in forza di un sillogismo semplicistico («se la Bibbia ha Dio come autore e se Dio non può sbagliare, allora la Bibbia è senza errori»), giungeva quasi inevitabilmente ad una interpretazione fondamentalistica della Scrittura, fino ad assumere posizioni apologetiche e a sostenere principi indifendibili. Luciano Manicardi, nella sua Guida alla conoscenza della Bibbia, sostiene che la Bibbia, libro umano, rappresenta anche l'indicazione di una via per l'umanizzazione dell'essere umano. Quindi, concludendo: la Bibbia, con Dio a scuola di umanità... 129 Quando ci capita di essere confusi da tutte le definizioni, a volte contraddittorie, di Dio, il criterio da seguire è quindi quello del bene dell'uomo, quello dell'amore. Le imposizioni provengono dall'uomo e non da Dio: Dio propone ma non impone mai. 129 B. SALVARANI-A. TOSOLINI, Bibbia, cultura, scuola, op. cit., 131-136 113 Dio non è mai contro l'uomo ma opera sempre a suo favore. La persona umana è al centro e nel cuore di Dio e tutto è in funzione del suo bene, autentico valore non negoziabile. «Il sabato è per l'uomo e non l'uomo per il sabato» (Marco 2,27). QUARTA LEZIONE Breve ripresa delle lezioni precedenti Proiezione dell'immagine del dipinto di Rembrandt Il ritorno del figlio prodigo senza svelarne il titolo Osservazione del dipinto e ipotesi di interpretazione. Attività di cooperative learning Titolo attività: «Osservazione di un dipinto e ipotesi di interpretazione» Classe: Classe terza della scuola secondaria di secondo grado Organizzazione degli studenti: 6 gruppi di 3-4 studenti formati in modo casuale in banchi disposti per l'attività Obiettivi cognitivi: - Osservare in modo approfondito un'opera d'arte Proporre alcune ipotesi interpretative Obiettivi di cooperazione (abilità sociali): - Rispettare il turno di parola Comunicare con chiarezza e precisione Trovare una strada per risolvere i conflitti Dipinto utilizzato: Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt 114 Fasi del lavoro Tempi Organizzazione Gli studenti si dividono in 6 gruppi di 3-4. Tutti i 30 minuti L'insegnante gruppi di dei ruoli al'interno dei interpretazione della scena globale del dipinto ed gruppi (responsabile di osservare un personaggio in modo particolare: una 2 gruppi la figura dell'anziano che abbraccia, responsabile 2 gruppi la figura in ginocchio e 2 gruppi la figura materiali, timer) dovranno produrre una ipotesi abilità assegna sociale, dei dell'osservatore di lato, arrivando ad una sintesi condivisa. Ogni gruppo presenta le ipotesi di interpretazione 20 minuti Plenaria e le osservazioni sul personaggio assegnato. L'insegnante prende nota di quanto è emerso dal lavoro dei gruppi. QUINTA LEZIONE Breve ripresa della lezione precedente Lettura della parabola del Padre misericordioso (Lc. 15,11-32) con alcuni commenti ed alcune note esegetiche importanti Proiezione dell'immagine del dipinto di Rembrandt e confronto tra la parabola, il dipinto e le osservazioni prodotte dai gruppi nella lezione precedente SESTA LEZIONE Verifica di apprendimento (la verifica è strutturata con diverse modalità di domande (domande aperte, quiz a risposta multipla e domande con opzione vero/falso per permettere a tutti gli studenti, anche a chi 115 presenta disabilità o disturbi di apprendimento, di affrontarne in modo soddisfacente almeno una parte). 4.2.2 VERIFICA DI APPRENDIMENTO «Le concezioni di Dio: dal dio pagano al Dio della Rivelazione» Test (una sola risposta è esatta) La concezione della divinità gelosa della felicità dell'uomo è □ una concezione ebraica □ una concezione cristiana □ una concezione pagana Nel dipinto di Rembrandt le mani di Dio sono diverse tra loro. Questo significa: □ Che Dio è metà maschio e metà femmina □ Che Dio è Padre e Madre □ È un errore del pittore La parola antropomorfismo significa: □ Che Dio è Padre e Madre □ Che Dio può assumere tante forme diverse □ È l'attribuzione a Dio di caratteristiche umane 116 Quando ci troviamo di fronte ad una incertezza nell'interpretare la volontà di Dio, qual è il criterio suggerito da Gesù? □ L'importante è che trionfi la giustizia □ L'importante è che non si offenda Dio □ L'importante è che si rispetti il criterio dell'amore e del bene dell'uomo A cosa serviva l'anello che il Padre restituisce al figlio nella parabola? □ Serviva per sigillare i contratti, un po' come la firma di oggi □ Era un marchio che i peccatori dovevano portare □ Aveva soltanto una funzione estetica Perchè il Padre fa uccidere il vitello grasso nella parabola? □ Per fare un sacrificio a Dio come ringraziamento perchè il figlio è tornato □ Per mangiare la carne e fare festa □ Per trasferire le colpe del figlio sul vitello ed eliminarle 117 Le seguenti affermazioni sono vere o false? Dio desidera che l'uomo sia realizzato e felice VERO FALSO Nella Bibbia esistono 2 divinità: una severa ed una misericordiosa VERO FALSO Il concetto di «Dio onnipotente» è stato messo in discussione da alcuni teologi VERO FALSO Nell'Antico Testamento esistono descrizioni poetiche di Dio misericordioso VERO FALSO I maiali, che il figlio della parabola sorvegliava, sono animali impuri per gli Ebrei VERO FALSO Domande aperte Come definiresti in sintesi il significato della parola «decostruzione» ? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Pensi che sia giusto che il Padre abbia perdonato il figlio, con tutto quello che aveva combinato? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ 118 ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Come descriveresti il fratello maggiore della parabola? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Cosa ti è piaciuto o non ti è piaciuto del dipinto di Rembrandt? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Quali altre riflessioni ti ha suscitato questa attività? ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ 119 TABELLA RIASSUNTIVA DELL'UNITÀ DI APPRENDIMENTO TRAGUARDI PER LO OBIETTIVI SVILUPPO COMPETENZE SPECIFICI DELLE APPRENDIMENTO Lo studente è in grado di riflettere sulle diverse concezioni di Dio, decostruendo le Collaborare in modo interdipendente e corresponsabile con i compagni DI METODOLOGIA UTILIZZATA Brain storming Lezione frontale Attività di cooperative learning a gruppi radicate concezioni Conoscere e riflettere sul Osservazione di un distinguendole da Approfondire i brani biblici Utilizzo del testo biblico extra bibliche quelle bibliche. Lo studente è in grado di lavorare in gruppo e di elaborare interpretazioni personali su un'opera d'arte. concetto di decostruzione proposti cogliendone in profondità i significati e gli effetti che hanno prodotto dipinto Verifica di apprendimento nell'ispirazione artistica Riflettere sulle diverse concezioni di Dio individuandone la provenienza Osservare attentamente un dipinto per coglierne la bellezza ed i significati e proporre interpretazioni. 120 RACCORDI TEMPI / SPAZI Area 6 lezioni (6 ore) linguisticoartistico- espressiva Area storico geografica In classe CONCLUSIONI Al termine di questo percorso viene spontaneo pensare con gratitudine alla grandezza del Dio Padre misericordioso annunciato nel Vangelo. Un Dio sconfinato, non solo nel senso di grandezza, ma soprattutto nel senso del suo superamento dei confini: Dio sconfina. Partendo dal centro della sua divinità, attraversa una serie di confini: tuffandosi nella realtà corporea dell'umanità, nascendo da una donna, supera la distanza incolmabile tra divino e umano, condivide la nostra stessa origine, libera il nostro corpo e tutti coloro che con il corpo sono stati identificati, le donne, le persone di colore. Oltrepassa il confine tra padrone e servo, destabilizza le distinzioni, volta le spalle ai palazzi dei re, erra senza avere dove posare il capo, si prende cura dell'altro/a e fa della cura reciproca il centro della sua proposta di vita. Estromesso dal campo, attraversa le mura della città, sconfina nell'impurità per morire con i reietti, scarti di una civiltà costruita sulla morte. Il suo sangue versato in terra sconfina in una natura oltraggiata e agonizzante. 130 Un Dio non interessato ai meriti o alle colpe delle persone, ma alle loro necessità. E di meriti da vantare non ne abbiamo tutti, ma tutti abbiamo dei bisogni, delle necessità. Un Dio che unisce alla paternità la maternità, la tenerezza. Che cos'è della persona che amiamo che ci sconvolge? La tenerezza che ci usa! La cosa che mi fa sconvolgere, che cos'è? Uno che ti si presenta come un uomo duro? No! Ecco perchè questo è il tempo della tenerezza! Perchè è il tempo del terrorismo, è il tempo della guerra: per noi è il tempo della tenerezza. Il sorriso di chi ci ama fa spegnere lo splendore del mio egoismo, della mia cattiveria. In che cuore viene impresso, più che in ogni altro cuore, l'immagine, la vicenda, la sofferenza, il cammino faticoso dei fratelli e delle sorelle? In che cuore s'affonda la condizione di povertà dei nostri fratelli e delle nostre sorelle? In un cuore tenero, In un cuore, come quello del Signore, in cui la vicenda di ciascuno viene impressa. 130 E. E. GREEN, Il Dio sconfinato. Una teologia per donne e uomini, Claudiana, Torino, 2007, retro copertina 121 E' solo se abbiamo il cuore tenero che in noi si può ritrovare il senso della storia. Nella storia ci si sta da teneri; se ci si sta da duri succede che non si lascia nessun segno. 131 Un Dio che utilizza la pedagogia della dolcezza, che ci propone strategie educative basate non sulla paura della punizione ma sull'attrazione e sul fascino dell'amore, strategia confermata anche dal pragmatismo e dalla saggezza del proverbio popolare «Si prendono più mosche con una goccia di miele che con un barile d'aceto».... Un Dio che arriva ad identificarsi con i più poveri, con gli ultimi, gli esclusi, i disprezzati, emarginati, discriminati. Nel Primo Testamento, Dio, quando deve affidare ruoli e missioni importanti, sceglie sempre le persone apparentemente più deboli o inadatte (Mosè che non sa parlare, Sara che è sterile, Davide che è escluso dai suoi fratelli e tanti altri). Lo stesso popolo di Israele viene scelto perchè piccolo: «Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli , ma perché il Signore vi ama» (Deuteronomio 7,7-8a). Nel Nuovo Testamento Gesù non frequenta i palazzi del potere civile e religioso, ma i pubblicani, i lebbrosi, le prostitute, i malati, tutti coloro cioè che erano esclusi dalla vita civile e religiosa. Va da sé che un Dio così è compreso molto meglio da chi vive le condizioni di cui sopra che da chi si considera a posto, in regola, privo di mancanze da farsi perdonare. Nella mia attività sia professionale che «pastorale», ho avuto modo di toccare con mano l'impatto dirompente e commovente che provoca l'incontro con il «Dio-amore 131 D. SIMONAZZI, Parola, non solo parole. Omelie dell'anno liturgico 2002-2003, San Lorenzo, Reggio Emilia, 2003, 344-346 122 incondizionato» da parte di persone considerate ai margini della vita ecclesiale, quali ad esempio carcerati, persone omosessuali, coppie «irregolari»... E' altrettanto evidente, poi, che un Dio così, chiede alla sua Chiesa una risposta ed un impegno convinto in questa direzione; fortunatamente nella Chiesa ci sono tante iniziative di accoglienza e carità e molte persone si impegnano generosamente in queste attività, ma mi pare che i cristiani siano chiamati ad un atteggiamento più strutturale, ad essere carità: Io penso ora alla Chiesa (il problema però riguarda noi e il nostro essere Chiesa, perchè la Chiesa siamo noi), alla mia Chiesa che amo e che voglio servire, ma che vedo così modesta e povera. Una Chiesa più impegnata a restaurarsi che a diventare profezia, che dedica molta attenzione all'amministrazione dei beni, ma che non sa fare una vera azione politica per le fasce deboli neppure con i soldi di cui dispone; una Chiesa che, nonostante i discorsi, continua ad allearsi con i potenti e questo vuol dire mettersi dalla parte dei forti, dimenticando i deboli, e che finisce per lasciare ai poveri e al mondo della sofferenza in genere le briciole dei suoi averi e del suo impegno; una Chiesa che non sa fare un'azione politica che non sia quella dell'autodifesa. Che riduce le Eucaristie domenicali a dei bei discorsi che non hanno né un prima né un poi. Amo una Chiesa che giochi la sua partita all'attacco, non per vincere – non ne ha bisogno e non le serve, la Chiesa deve solo servire – ma per diventare «segno» chiaro, forte e luminoso che molti, anche al suo interno, possono contestare, ma che solo in questo modo può offrire al mondo un modello di vita e dare agli uomini una speranza. Amo e vorrei una Chiesa profezia, amo e vorrei delle comunità parrocchiali che celebrano delle belle Eucaristie, belle non perchè luccicanti di suoni e abiti solenni, di processioni e canti, ma perchè vere, perchè non si dimenticano dei deboli, dei vecchi, dei malati terminali, delle famiglie a rischio, dei giovani che non hanno più ideali e per loro non sanno proporre altro che soluzioni evasive come gite, cene, feste e tornei di calcio; ben sapendo che questo non serve, neppure a fare della prevenzione. Vorrei delle comunità che smettano di fare dell'assistenzialismo e cominciano a fare della promozione umana. Una Chiesa più missionaria qui e altrove, che ha il respiro largo e gli orizzonti vasti, un clero attento alle persone più che alle strutture da erigere e da restaurare. Una Chiesa che crea anche le strutture, ma che le usa per promuovere e non per assistere. Una Chiesa meno in sagrestia e sui sagrati, che si espone di più nei quartieri a rischio, che perde un po' di tempo a fianco dei malati di Aids e non li ghettizza. Insomma 123 una Chiesa di frontiera, che non tiene sotto controllo i poveri perchè non invadano e se non gli arrivano sotto casa, se li va a cercare in stazione, nei casolari abbandonati o sulle strade per strappare le ragazze dal marciapiede. Ci sono delle comunità capaci dimettersi per questa strada? E se non ci sono, dobbiamo rivedere il significato delle nostre Eucaristie. 132 La comunità ecclesiale, sull'esempio del suo Maestro, è chiamata a guardare avanti, e non indietro, e a farsi carico delle nuove sfide del mondo presente e futuro, delle nuove domande che incontra e che incontrerà. La Chiesa cattolica si trova oggi di fronte a diversi nodi, intricati quanto e forse più di quello di Gordio. Il sentimento d'impotenza rischia di diventare predominante e pervasivo nella Chiesa del «terzo millennio». «Duc in altum», vai al largo; con le parole di Gesù a Pietro (Lc 5,4), Giovanni Paolo II esortava al coraggio. L'impressione è che si faccia molta fatica a levare le ancore. Dico questo, soprattutto perchè da tempo mi interrogo sulla ragione che spinge un po' tutti, pastori e fedeli, a dare tanto rilievo alla «legge naturale». Certamente, questo indica la centralità della questione antropologica: chi sia l'uomo, ecco la grande domanda che un po' tutti si fanno. Nello stesso tempo, la ricerca di una «natura» comune a tutti gli uomini esprime la preoccupazione per l'arbitrio e la facilità con i quali si mettono etichette sugli uomini, rompendo, di fatto, l'unità del genere umano e distruggendo il concetto di «bene comune» (...). Ecco perchè tanti discorsi ecclesiastici sembrano fuori dalla storia. Finchè rimangono fuori dalla storia, la conseguenza è spiacevole, ma non particolarmente grave: la Chiesa viene considerata una vecchia zia brontolona, rispettabile e magari con un certo fascino; le sue i dee demodées danno, ai nipoti che la visitano, l'occasione di rileggere la propria storia. Veniamo da lontano, anche se non sappiamo dove andiamo. Il guaio è, che, con questa insistenza sulla «natura», si rischia di essere fuori dalla prospettiva della Bibbia e del Vangelo, che è quella della «storia della salvezza», cioè di una storia che è conflitto, lotta, caduta e grazia. In particolare, rischiamo di cadere in quella che, per il cristianesimo, sarebbe la malattia peggiore: il moralismo. 133 132 133 L. GUGLIELMI, Il rischio della carità. Scritti scelti 1989-1996 (a cura di Daniele Gianotti), San Lorenzo, Reggio Emilia 2011, 138-139 G. JR. DOSSETTI, Nodi. Religione e violenza, coppie irregolari nella Chiesa, la droga. EDB, Bologna 2009, 5-6. 124 Per finire, in tutti i sensi, è davvero bello pensare che l'angoscia della morte che accomuna tutte le persone viene superata dalla speranza-certezza cristiana; è bello pensare che alla fine della nostra vita terrena troveremo il Padre che, commosso, ci correrà incontro e ci abbraccerà... Tutti. Anche coloro che temono di averla fatta troppo grossa e di non essere accolti, come esprime in modo splendido questo testo di Fabrizio De Andrè, tratto dall'album Volume 1 del 1967, dedicata all'amico cantautore Luigi Tenco, morto suicida. Vorrei concludere questo lavoro lasciando parlare questa preghiera poetica. Lascia che sia fiorito Signore, il suo sentiero quando a te la sua anima e al mondo la sua pelle dovrà riconsegnare quando verrà al tuo cielo là dove in pieno giorno risplendono le stelle. Quando attraverserà l'ultimo vecchio ponte ai suicidi dirà baciandoli alla fronte venite in Paradiso là dove vado anch'io perché non c'è l'inferno nel mondo del buon Dio. Fate che giunga a Voi con le sue ossa stanche seguito da migliaia 125 di quelle facce bianche fate che a voi ritorni fra i morti per oltraggio che al cielo ed alla terra mostrarono il coraggio. Signori benpensanti spero non vi dispiaccia se in cielo, in mezzo ai Santi Dio, fra le sue braccia soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte. Dio di misericordia il tuo bel Paradiso lo hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso per quelli che han vissuto con la coscienza pura l'inferno esiste solo per chi ne ha paura. Meglio di lui nessuno mai ti potrà indicare gli errori di noi tutti che puoi e vuoi salvare. Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento Dio di misericordia vedrai, sarai contento. Dio di misericordia vedrai, sarai contento. 126 BIBLIOGRAFIA TESTI: AA.VV., La Bibbia. Via Verità e Vita, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2009. AA.VV., Fuoritempio. Omelie laiche. Anno C, Di Girolamo, Trapani, 2009. AA.VV., Guercino. Poesia e sentimento nella pittura del '600. Catalogo della mostra (Milano, 27 settembre 2003-18 gennaio 2004), De Agostini, Novara 2003. AA.VV., De Chirico. I classici dell'Arte. Il novecento, Rizzoli – Skira, Milano 2004 AA.VV., Rembrandt, Rizzoli – Skira, Milano 2003 ARIAS J., Il dio in cui non credo, Cittadella, Assisi 2003. BENASSI G., Il mestiere di Dio, Cittadella, Assisi 2001. BERENSON B., Del Caravaggio: delle sue incongruenze e della sua fama, Electa, Milano 1954. BERGAMASCHI A., Andate e mostrate. Omelie anno liturgico C, EDB, Bologna, 2006. 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