Mons. Aldo di Cillo Pagotto, SSS Mons. Robert F. Vasa Mons. Athanasius Schneider Opzione preferenziale per LA FAMIGLIA Cento domande e cento risposte intorno al Sinodo Prefazione del Cardinale Jorge A. Medina Estévez Edizioni Supplica Filiale Mons. Aldo di Cillo Pagotto, SSS ARCIVESCOVO DI PARAÍBA, BRASILE Mons. Robert F. Vasa VESCOVO DI SANTA ROSA, CALIFORNIA Mons. Athanasius Schneider VESCOVO AUSILIARE DI ASTANA, KAZAKHSTAN Opzione preferenziale per la famiglia Cento domande e cento risposte intorno al Sinodo Prefazione del Cardinale Jorge A. Medina Estévez Edizioni Supplica Filiale © 2015 Supplica Filiale Via Nizza 110 – 00198 Roma, Italia www.supplicafiliale.org Email: segreteria.supplicafi[email protected] Edizione fuori commercio. Distribuzione gratuita. Copertina: Julius Schnorr von Carolsfeld (1794-1872), Fuga in Egitto (particolare), 1828, Museo Kunstpalast, Düsseldorf. Illustrazione pagina 3: Gustave Doré (1832-1883), Mosé scende dal Monte Sinai con le Tavole della Legge (particolare). Illustrazione pagina 62: Giuseppe Riva (1834-1916), La Sacra Famiglia (1889) - Mission Santa Clara de Asís, Santa Clara, California, USA Foto: Eugene Zelenko, Wikimedia Commons. Indice Prefazione .....................................................................................7 Premessa .......................................................................................9 I. Il Sinodo dei vescovi e la sua autorità .............................. 11 II. La preparazione del Sinodo sulla famiglia del 2014 ........ 13 III. La Chiesa e la famiglia ..................................................... 16 IV. La Rivoluzione sessuale ................................................... 20 V. L’impostazione del Sinodo 2014: il rapporto Chiesa-Mondo ................................................ 23 VI. Dottrina morale e prassi pastorale .................................... 26 VII. Coscienza personale e Magistero ..................................... 31 VIII. Matrimonio e famiglia ...................................................... 33 Matrimonio: natura, finalità e caratteristiche ................ 33 Adulterio ........................................................................... 39 Divorzio, separazione, dichiarazione di nullità .............. 40 IX. La Comunione per i separati, divorziati e divorziati-risposati ......................................................... 43 X. Omosessualità e unioni omosessuali ................................ 48 XI. Alcune parole-chiavi del dibattito sinodale ...................... 51 Le parole-talismani .......................................................... L’ «approfondimento» ...................................................... Le «persone ferite» ........................................................... La «misericordia» ............................................................ 51 52 53 54 XII. Applicazioni della misericordia alla situazione familiare ................................................... 57 XIII. Il ruolo della grazia soprannaturale nell’impegno per la castità familiare ..................................59 Prefazione Sembra una valutazione oggettivamente vera dire che la famiglia stia attraversando una crisi grave e profonda. Davanti a questa realtà non sarebbe saggio un atteggiamento che la ignori o la minimizzi: va presa in considerazione, si devono misurare le sue dimensioni e la sua magnitudine ed è necessario individuare i mezzi per superarla. A ciò mira il volume «Opzione preferenziale per la Famiglia» che ora presento. La crisi della famiglia non è l’unica che affligge il mondo odierno. Ce ne sono altre e non di rado esistono fra di esse relazioni e reciproci condizionamenti. Pensiamo, ad esempio, all’uso della falsità in tutte le sue forme come risorsa legittima per affrontare situazioni complesse; alla proliferazione di condotte egoiste; ai dislivelli scandalosi fra chi gode di uno smisurato e persino lussuoso benessere e la moltitudine di coloro che sono privi dello stretto necessario; alla mostruosa espansione del narcotraffico e della tossicodipendenza e a altri fatti che minacciano le radici della convivenza umana. Ci sono quelli che credono che la soluzione di questi problemi risieda principalmente nella moltiplicazione delle leggi e dei controlli. Senza negare la reale importanza di tali risorse sociali, un cristiano dovrebbe ricordare le parole di Gesù: «Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo» (Mt 15, 19s, cf. anche Mc 7, 21-23). Dunque, è capitale la conversione del cuore, senza la quale gli strumenti esterni avranno soltanto una efficacia effimera e limitata. Orbene la conversione del cuore presuppone una radicale purificazione del pensiero, come avverte san Paolo: «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 2). Molte realtà di questo mondo portano l’impronta del Maligno (cf. 1 Gv 5, 19), di colui che Gesù chiama «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8, 44), e quella impronta si manifesta preferenzialmente in forma di errori con apparenza di verità, che falsano le opzioni per ciò che è il vero bene dell’essere umano. –7– Naturalmente, la conversione del cuore postula, nel campo della famiglia, una viva coscienza nei confronti della sua natura come immagine dell’amore sponsale di Dio per il suo popolo e di Cristo per la sua Chiesa. La famiglia cristiana nasce da un vincolo sacramentale, da una effusione della grazia e, per ciò stesso, da una vocazione alla santità di coloro che sono stati chiamati a vivere la fede nello stato matrimoniale e nelle responsabilità parentali, le quali non si limitano al benessere temporale, bensì devono proiettarsi necessariamente nell’ambito della grazia durante il pellegrinaggio terreno, per sfociare gioiosamente nel destino di gloria e beatitudine al quale ci chiama la nostra vocazione battesimale. La famiglia cristiana è, per sua natura stessa, una realtà religiosa e lo è sostanzialmente; non solo come un qualificativo accidentale che può, indifferentemente, essere o non essere presente. Per gli sposi cristiani vale, come per ogni discepolo di Cristo, l’affermazione programmatica di san Paolo: «se noi viviamo, viviamo per il Signore» (Rm 14, 8). E ciò in ogni circostanza, senza che si possa scappare dalla gaudiosa conseguenza di aver ricevuto la consacrazione battesimale, e di viverla, coloro che sono sposati, nella «chiesa domestica» del focolare. Onde la responsabilità dell’annuncio della fede ai figli da parte dei genitori e, anche, della preghiera quotidiana in famiglia, davanti all’altare o all’immagine che presiede l’abitazione. I membri della famiglia, come tutti i cristiani, possono sperimentare debolezze e persino commettere peccati. In quei casi è aperta per loro la possibilità di trovare accoglienza nella infinita e paterna misericordia di Dio che li invita alla conversione attraverso un sincero pentimento che è secondo l’insegnamento del Concilio di Trento «il dolore dell’animo e la riprovazione del peccato, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire» (cf. Denz 1676). Cardinale Jorge A. Medina Estévez –8– Premessa Che cos’è questo libretto? E’ un vademecum, elaborato usando il metodo delle domande e risposte, in cui vengono riassunti in modo chiaro e semplice alcuni temi particolarmente in vista sulla dottrina della Chiesa nei confronti del matrimonio e della famiglia. Esso si propone di affrontare questioni spinose ma fondamentali sulla famiglia nel mondo contemporaneo, non solo tra quelle poste nel Sinodo straordinario dei vescovi tenutosi l’anno scorso ma anche nel dibattito che ormai dilaga fra intellettuali, giornalisti e opinionisti, sia credenti che miscredenti, i quali vorrebbero che la loro visione delle cose sia seguita dalla Chiesa cattolica. Molte di queste tematiche presumibilmente riemergeranno nel prossimo Sinodo ed è comunque sicuro che la loro trattazione non si arresterà in quel vasto ambito che oggi forse più immediatamente colpisce e modella l’opinione pubblica: i mass media, la blogosfera e i social network. Che portata ha questo studio? Il tema della famiglia è amplissimo, ma le dimensioni di questo volumetto sono necessariamente limitate. Vorremmo tanto approfondire l’enorme ricchezza che quel tema offre alla pastorale della Chiesa, segnalando argomenti quali: il matrimonio come status ecclesiale; la famiglia come piccola Chiesa domestica; la vocazione alla santità nel matrimonio; la preghiera in famiglia; i genitori come primi annunciatori dell’Evangelo tra loro e ai figli. Su di ognuno di essi si potrebbe fare un’opera a parte, che sarebbe molto utile alla evangelizzazione della famiglia. Ci auguriamo vivamente che questi argomenti siano presi in considerazione nel Sinodo del 2015. –9– Premessa Ma le esigenze pastorali del momento richiedono anche che si faccia chiarezza su punti cruciali e delicati diventati oggetto del dibattito sinodale, che sono stati parzialmente travisati dalla interpretazione di alcune scuole teologiche e soprattutto dalla massiccia propaganda massmediatica che le ha supportate. Ci sembra pertanto opportuno ribadire alcune verità dottrinali fondamentali e alcune esigenze pastorali irrinunciabili sul problema della famiglia, la cui situazione reale è ben diversa da quella che si vuol far apparire. A chi si rivolge questo volumetto? Si rivolge innanzitutto ai vescovi, ai presbiteri, ai religiosi, ai catechisti, ai fedeli che occupano posti di responsabilità nella Chiesa, ma anche a quei laici che sono preoccupati per i crescenti problemi della famiglia e intendono contrastare la martellante offensiva antifamiliare propagandata da potenti mass media, trovando nel volumetto una sorta di manuale di orientamento. – 10 – «Gli uomini si rifiutano di fare ciò che è prescritto dalla parola di Dio. Anzi, essi considerano nemica la parola divina stessa, per il solo fatto che comanda. Poiché io ripeto questa parola, temo che anch’io sarò considerato un nemico da alcuni. Ma dopo tutto, che me ne importa? Quel Dio che mi rende forte mi spinge a parlare e a non temere le proteste degli uomini. Che lo vogliano o no, io parlerò!» S. Agostino d’Ippona, Sermone IX (sul matrimonio), n. 3. –I– Il Sinodo dei vescovi e la sua autorità 01 DOMANDA: Che cosa è un Sinodo dei vescovi? RISPOSTA: Il Sinodo dei vescovi è una istituzione permanente della Chiesa cattolica, istituita da Papa Paolo VI col Motu proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965), allo scopo di aiutare con i suoi consigli il Papa nel governo della Chiesa universale, in modo da attuare la maggiore «collegialità» prevista dal Concilio Vaticano II. Il Sinodo è convocato dal Papa e si riunisce in tre forme: assemblea generale ordinaria, assemblea generale straordinaria e assemblea speciale. 02 DOMANDA: Le conclusioni del Sinodo dei vescovi hanno valore di Magistero e sono, dunque, vincolanti per i fedeli? RISPOSTA: Il Sinodo è un’assemblea solo consultiva che non ha valore di Magistero. Quanto alla sua potestà deliberativa, essa la riceve solo se e quando gliela concede il Papa, come qualsiasi altra assemblea. Tuttavia, di norma, il Papa prende spunto dalle conclusioni del Sinodo per pubblicare una Esortazione apostolica post-sinodale, che propone a tutta la Chiesa le valutazioni svolte dal Sinodo. 03 DOMANDA: Può il Sinodo dei vescovi cambiare la dottrina della Chiesa in punti dottrinali di fede o di morale? RISPOSTA: Né il Sinodo dei vescovi, né nessuna altra istanza ecclesiale, ha autorità per cambiare la dottrina della Chiesa. – 11 – Il Sinodo dei vescovi e la sua autorità «Della Legge morale, sia naturale che evangelica, la Chiesa non è stata l’autrice, quindi non può esserne l’arbitra; ne è soltanto depositaria e interprete, senza mai poter dichiarare lecito quel che non lo è per sua intima e immutabile opposizione al vero bene dell’uomo» (b. Paolo VI, Humanae vitae, 25-7-1968, n. 18). «Una dottrina durata per secoli e riaffermata costantemente dalla Chiesa, non può essere cambiata senza rischiare la credibilità della Chiesa» (card. Velasio De Paolis, I divorziati risposati e i Sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, Prolusione al Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro, 8-1-2015, p. 24). 04 DOMANDA: Se non il Sinodo, almeno il Papa può cambiare la dottri- na della Chiesa in punti fondamentali di teologia morale, come ad esempio il matrimonio sacramentale? RISPOSTA: Molti punti fondamentali di teologia morale, come ad esempio la dottrina sul matrimonio sacramentale, sono di autorità divina diretta e quindi non possono essere modificati da nessuna autorità ecclesiastica, nemmeno dal Sommo Pontefice. «Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente» (s. Giovanni Paolo II, discorso del 21-1-2000 al I Tribunale della Rota Romana). 05 DOMANDA: Se non la dottrina, almeno la disciplina della Chiesa in materia di matrimonio e di famiglia può essere cambiata dal Sinodo? RISPOSTA: Il Sinodo non ha l’autorità per cambiare la disciplina della Chiesa in materia di matrimonio e di famiglia. Solo il Romano Pontefice può farlo, e comunque sempre in coerenza con la Verità rivelata e per la salvezza delle anime. «La disciplina non si può tenere come realtà semplicemente umana e cambiabile, ma ha un significato molto più ampio. La disciplina comprende anche la Legge divina, come i Comandamenti, che non sono soggetti a cambiamento, pur non essendo direttamente di natura dottrinale; lo stesso si dica di tutte le norme di diritto divino. La disciplina spesso comprende tutto ciò che il cristiano deve ritenere come impegno della sua vita per essere un discepolo fedele di Nostro Signore Gesù Cristo» (card. Velasio De Paolis, I divorziati risposati e i Sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, Prolusione cit., p. 29). – 12 – 06 DOMANDA: Comunque sia, alcuni sostengono che non si convoca- no ben due Sinodi sulla famiglia per ribadire l’esistente. Siamo dunque alla vigilia di una «svolta pastorale»? RISPOSTA: Se è vero che non si convoca un Sinodo solo per ribadire una dottrina, non lo si può convocare nemmeno per indebolirla. Anzi, si deve evitare che certe forze si azzardino a fare proposte pastorali che la contraddicono o avallino un linguaggio ambiguo che nasconda i veri problemi e le rette soluzioni. – II – La preparazione del Sinodo sulla famiglia del 2014 07 DOMANDA: Come nacque il progetto del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia? RISPOSTA: L’11 maggio 2013, il Pontificium Consilium pro Familia pubblicò il «Documento Preparatorio» riguardante la III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, sull’argomento Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, che si sarebbe svolta in Vaticano dal 5 al 19 ottobre 2014. Quest’Assemblea Straordinaria, per volontà del Papa doveva preparare quella Ordinaria, da tenersi in Vaticano dal 4 al 25 ottobre 2015. Si tratta, dunque, di un Sinodo sulla famiglia diviso in due fasi a distanza di un anno. 08 DOMANDA: Qual è stata l’idea originaria del Sinodo? RISPOSTA: Gli organizzatori del Sinodo hanno voluto assumere una visione concreta della situazione della famiglia nella società moderna, per avviare una nuova riflessione teologica e pastorale. La Relatio Synodi, ossia il documento conclusivo del Sinodo 2014, afferma l’importanza dell’ «ascolto, per guardare alla realtà della famiglia oggi, nella complessità delle sue luci e delle sue ombre» (Relatio Synodi, Introduzione n.4). 09 DOMANDA: In cosa è consistito questo «ascolto»? RISPOSTA: Per conoscere la situazione concreta della famiglia nella società moderna e ascoltarne le esigenze, prima del Sinodo 2014 è stato – 13 – La preparazione del Sinodo sulla famiglia del 2014 elaborato un Questionario, poi annesso al Documento preparatorio, che è stato inviato ai vescovi e a molte organizzazioni cattoliche di tutto il mondo, con lo scopo di raccogliere suggestioni formulate dal «popolo di Dio». 10 DOMANDA: Tale Questionario è stato formulato in modo da ottenere un panorama fedele e completo della situazione attuale della famiglia? RISPOSTA: Come vedremo più avanti, autorevoli studiosi hanno manifestato numerose perplessità sul Questionario, dimostrando che in esso molte realtà e problemi, anche importanti, sono stati esclusi, e di altri ne è stata presentata una versione parziale o esagerata. Tuttavia si vede nei Lineamenta e nel nuovo Questionario fatti per il Sinodo del 2015 un ridimensionamento di tematiche più spinose, anche se non si può escludere che riemergano a sorpresa come già accaduto nel Sinodo del 2014. II 11 DOMANDA: Questo vuol dire che le domande del Questionario per il Sinodo 2014 non riflettevano i veri e decisivi problemi della famiglia? RISPOSTA: Alcune domande del Questionario pel il Sinodo 2014 sembravano formulate in modo da ricevere un certo tipo di risposte che presentassero una visione parziale della realtà. Difatti, secondo le informazioni divulgate dai media, molte risposte giunte al Sinodo, soprattutto da certi Paesi europei, avevano dato preminenza alle questioni marginali su quelle centrali, a quelle emotive su quelle dottrinali, alle situazioni patologiche su quelle normali. In sostanza, l’immagine di famiglia uscita dalle risposte sembrava non tanto quella reale quanto quella propagandata da una certa cultura secolarista tramite i mass-media. Per contro, «le famiglie che realizzano nella comunione domestica la loro vocazione di vita umana e cristiana, sono tante in ogni nazione, diocesi e parrocchia! Si può ragionevolmente pensare che esse costituiscano “la norma”» (s. Giovanni Paolo II, Gratissimam sane, Lettera alle famiglie, del 2-2-1994, n.5). 12 DOMANDA: Può farmi un esempio al riguardo? RISPOSTA: Un esempio di parzialità è la terza parte della Relatio Synodi intitolata Il confronto: prospettive pastorali. Essa individua vari tipi di coppie al fine di elaborare una pastorale specifica. Basato – 14 – sul conteggio delle parole presenti, ecco la percentuale di attenzione data dal documento a ognuna delle seguenti categorie: Fidanzati: 7% Sposati: 7% Conviventi o sposati civilmente: 17% Divorziati/risposati: 61% Omosessuali: 7% «L’ampia problematica che il tema [della famiglia] racchiude, di fatto viene quasi sintetizzata in una questione, per quanto importante, piuttosto marginale e comunque secondaria – l’accesso all’Eucaristia da parte dei divorziati – quando le questioni più rilevanti dovrebbero essere quelle che stanno a monte: ossia perché esiste una difficoltà per tali persone ad accedere all’Eucaristia, ossia il senso del matrimonio cristiano e le sue peculiarità» (card. Velasio De Paolis, I divorziati risposati e i Sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, Prolusione cit., pag. 7). Secondo quanto riferisce il card. de Paolis nella sua citata prolusione, il card. Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, avrebbe persino detto alla stampa che i vescovi, pur essendo stati chiamati a parlare di matrimonio si sono trovati invece nella situazione di dover discutere sui divorziati risposati. 13 DOMANDA: Quali sarebbero allora le famiglie oggi in difficoltà e meritevoli di soccorso e di tutela? RISPOSTA: Molte categorie familiari si trovano oggi ad affrontare problemi reali e gravi. Pensiamo ad esempio alle famiglie che si trovano ad affrontare le sfide che attentano alla loro integrità morale o all’educazione cristiana dei figli (p. es., l’indottrinamento sul cosiddetto gender nelle scuole); alle famiglie numerose che non ricevono appoggio sufficiente dalla comunità o dallo Stato (e, qualche volta, neppure dai loro pastori). Oppure alle famiglie in difficoltà economica o psicologica, come quelle monoparentali, nelle quali il padre o la madre rimasti soli non riescono a mantenersi oppure sono stati allontanati dai loro figli; pensiamo alle famiglie con figli disabili o drogati, a quelle lacerate da conflitti o scandali, a quelle sradicate dal loro ambiente, a quelle perseguitate a causa della loro fede, a quelle ingiustamente discriminate ed esiliate per motivi politici (cf. s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 77). Queste sono le famiglie in vera difficoltà che meriterebbero l’attenzione preferenziale del Sinodo. Inoltre «è doveroso ricono– 15 – scere il valore della testimonianza di quei coniugi che, pur essendo stati abbandonati dal partner, con la forza della fede e della speranza cristiane non sono passati a una nuova unione. (…) Per tale motivo, essi devono essere incoraggiati dai pastori e dai fedeli della Chiesa» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 20). La Chiesa e la famiglia 14 DOMANDA: Quali sono le parole più usate nel Questionario e nei testi sinodali? RISPOSTA: Dopo ovviamente la parola famiglia, quelle più usate sono vita, amore, pastorale, misericordia, affettività, donna. La parola dottrina ricorre solo 3 volte e in contesti marginali; le parole morale, virtù, fedeltà e castità suonano una sola volta. Parole importanti per la questione familiare, come fidanzamento, adulterio, contraccezione, aborto, sono del tutto assenti (cf. Enrico Cattaneo, Non solo famiglia. Ecco le parole chiave del Sinodo, su La Nuova Bussola Quotidiana, 3-2-2015). III – III – La Chiesa e la famiglia 15 DOMANDA: In passato, più volte un Sinodo si è occupato in modo specifico della famiglia. Perché deve tornare oggi ad occuparsene? RISPOSTA: Perché la famiglia coinvolge in maniera profonda la realtà personale, sociale e storica dell’uomo; inoltre, la famiglia è non solo la cellula-madre della società e il «santuario della vita», ma è anche e soprattutto la «chiesa domestica» (Lumen gentium, n. 11). Specialmente oggi la famiglia viene sottoposta a un processo che rischia di mutarne non solo le condizioni vitali, ma anche il patrimonio genetico, come ammoniscono numerosi sociologi (cf. ad esempio Pierpaolo Donati, Famiglia: il genoma che fa vivere la società, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, cap. VI). Per evitare questo peri- colo, la Chiesa ha compiuto molti sforzi insegnando e istituendo centri di studio; ma gli osservatori più disincantati ammettono che «sono ormai decenni che parliamo della “nuova evangelizzazione”; ma i risultati sono piuttosto scarsi. (…) La domanda urgente che dobbiamo porci è la seguente: che cosa manca ai nostri sforzi per evangelizzare e annunciare Gesù Cristo? Quale strada percorrere?» (card. Velasio De Paolis, I divorziati risposati e i Sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, Prolusione cit., pp. 5 e 29). – 16 – «La salvezza della persona e della società cristiana è strettamente connessa a una felice situazione della comunità coniugale e familiare» (Gaudium et spes, n. 47). «La futura evangelizzazione dipende in gran parte dalla famiglia come “chiesa domestica”. (…) Laddove una legislazione antireligiosa pretende d’impedire perfino l’educazione alla fede, laddove una diffusa miscredenza o un invadente secolarismo rendono praticamente impossibile una vera crescita religiosa, quella che possiamo chiamare “chiesa domestica” resta l’unico ambiente in cui i fanciulli e giovani possono ricevere un’autentica catechesi» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 52). 16 DOMANDA: Esiste un rapporto tra la crisi della famiglia e le leggi oggi in vigore in tutto il mondo? RISPOSTA: Come dice un noto motto giuridico, «la legge di oggi diventerà il costume di domani»; ossia, ciò che lo Stato stabilisce come legittimo, alla lunga l’opinione pubblica lo accetterà come lecito. Ad esempio, le leggi statali divorziste creano una tendenza che influenza la mentalità dei fedeli contro la stabilità e indissolubilità del matrimonio. Per evitare che il matrimonio naturale o sacramentale scompaia, dunque, è necessario che i cattolici contrastino la mentalità divorzista diffusa dalle leggi civili. Profeticamente il Papa Leone XIII così si espresse in occasione dell’approvazione legislativa del divorzio: «Ora, quanta occasione di mali contengano in sé stessi i divorzi, è appena il caso di ricordarlo. Per essi infatti si rendono mutabili le nozze; si diminuisce la mutua benevolenza; si danno pericolosi eccitamenti alla infedeltà; si reca pregiudizio al benessere e all’educazione dei figli; si offre occasione allo scioglimento delle comunità domestiche; si diffondono i semi delle discordie tra le famiglie; si diminuisce e si abbassa la dignità delle donne, le quali, dopo aver servito alla libidine degli uomini, corrono il rischio di rimanere abbandonate. [...] E questi mali appariranno anche più gravi se si considera che non vi sarà mai alcun freno tanto potente che valga a contenere la licenza entro certi e prestabiliti confini, una volta che sia stata concessa la facoltà dei divorzi. È grande la forza degli esempi; maggiore quella delle passioni. Per tali eccitamenti avverrà certamente che la sfrenata voglia dei divorzi, serpeggiando ogni dì più largamente, invaderà l’animo di moltissimi, simile a morbo che si sparge per contagio, o come torrente che, rotti gli argini, trabocca» (Papa Leone XIII, Arcanum divinae sapientiae, del 10-2-1880, n.156, 158). – 17 – La Chiesa e la famiglia Infatti, 135 anni dopo, il prof. Stephan Kampowski, docente nel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, non fa che constatare: «La mera esistenza dell’istituto giuridico del divorzio ha contribuito molto alla diffusione di questo atteggiamento. Il diritto ha un effetto educativo. Il solo fatto che nella società secolare esista una legislazione sul divorzio, indica (…) che il matrimonio non sia inteso per durare, ma che si tratti piuttosto di un accordo temporaneo» (J.J. Pérez-Soba e S. Kampowski, Il vangelo della famiglia nel dibattito sinodale, Cantagalli, Siena 2014, pp. 122-123). «Una famiglia sfasciata può, a sua volta, rafforzare una specifica forma di “anti-civiltà”, distruggendo l’amore nei vari ambiti del suo esprimersi, con inevitabili ripercussioni sull’insieme della vita sociale» (s. Giovanni Paolo II, Gratissimam sane, Lettera alle famiglie, 2-2-1994, n. 13). III 17 DOMANDA: Al di là delle leggi, esistono fattori che hanno provoca- to o favorito la crisi della Famiglia? RISPOSTA: La crisi della famiglia è conseguenza di un processo di degradazione culturale e morale; non di rado accentuata dalla mancanza di una vita di preghiera al suo interno. Egoismo, lussuria, adulterio, divorzio, aborto, contraccezione, fecondazione artificiale, (dis)educazione sessuale, crisi dell’autorità genitoriale, rinuncia educativa, per non parlare della pornografia e della droga: tutti questi fattori hanno favorito il crescente degrado della situazione familiare. Questa situazione però non è conseguenza di una inevitabile e inarrestabile evoluzione storica, ma è causata da una profonda sovversione morale e culturale alimentata dalla rivoluzione sessuale esplosa col ’68, all’insegna dell’ «io sono mio» e del «proibito proibire», cioè di una libertà individuale senza regole né limiti. 18 DOMANDA: Questi fattori degradanti sono isolati, ciascuno con una sua propria spiegazione? Oppure sono uniti da un processo di causa-effetto? RISPOSTA: La storia recente dimostra che i fattori meno gravi hanno preparato l’avvento di quelli più gravi; essi quindi non vanno considerati isolatamente, ma come fasi di un unico processo disgregatore, gradini di una scala in discesa che porta alla rovina della famiglia. Di conseguenza, ogni cedimento a un fattore disgregatore non è una barriera per evitare il peggio, ma è un ponte per scivolarci – 18 – dentro; ad esempio, l’accettare il divorzio non ha impedito l’accettare le unioni civili, anzi lo ha preparato. «Non tutti i fautori di queste nuove massime giungono alle ultime conseguenze della sfrenata libidine; vi sono alcuni che, sforzandosi di arrestarsi come in mezzo alla china, vorrebbero fare qualche concessione ai tempi nostri, solamente su alcuni precetti della legge divina e naturale. Ma costoro non sono altro che mandatari, più o meno consapevoli, di quel pericolosissimo nemico che sempre si sforza di seminare zizzania in mezzo al frumento» (Papa Pio XI, enc. Casti Connubii, 31-12-1930). 19 DOMANDA: Non conviene forse, come si è detto nel Sinodo, eviden- ziare «la necessità di una evangelizzazione che denunzi con franchezza i fattori culturali, sociali ed economici» che indeboliscono la famiglia (Relatio post disceptationem, n. 33)? RISPOSTA: Senza trascurare i problemi economici e sociali, la crisi della famiglia ha soprattutto radici religiose e morali. Sia nell’analisi della situazione che nella scelta delle soluzioni, bisogna stare attenti a non sostituire il criterio dottrinale-morale con uno empirico, ad esempio quello sociologico, che può falsificare la programmazione pastorale, dando l’illusione che una riforma socio-economica possa risolvere la crisi della famiglia. 20 DOMANDA: Nella Relatio post disceptationem del Sinodo si può leggere: «Le unioni di fatto sono molto numerose, non per motivo del rigetto dei valori cristiani sulla famiglia e sul matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è un lusso, cosicché la miseria materiale spinge a vivere in unioni di fatto» (n. 38). Ciò non conferma forse la responsabilità delle condizioni economiche nell’attuale crisi familiare? RISPOSTA: In realtà, il fenomeno delle convivenze è iniziato proprio in ambienti ricchi e acculturati, la cui impostazione ideologica progressista li ha spinti a rifiutare il matrimonio come «usanza piccolo borghese». Le origini delle «coppie di fatto» quindi hanno una matrice non tanto economica quanto ideologica, consistente nel rifiuto della famiglia intesa come focolare tradizionale. Questo rifiuto, propagandato dai mass media, col tempo, è diventato un fenomeno sociale dilagante. «I tempi in cui viviamo manifestano la tendenza a restringere il nucleo familiare entro l’ambito di due generazioni. Ciò avviene – 19 – spesso per la ristrettezza delle abitazioni disponibili. Non di rado, però, ciò è dovuto anche alla convinzione che più generazioni siano di ostacolo all’intimità e rendano la vita troppo difficile» (s. Giovanni Paolo II, Gratissimam sane, Lettera alle famiglie, del 2-2-1994, n. 10). 21 DOMANDA: Allora, la crisi della famiglia sarebbe causata da fattori La Rivoluzione sessuale non tanto sociologici quanto psicologici, cioè, causati dalla «fragilità affettiva narcisistica, instabile e mutevole, che non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una maggiore maturità» (Relatio Synodi, n. 10)? RISPOSTA: I fattori psicologici anomali sopra descritti non sono tanto causa quanto sintomi della crisi familiare. La loro cura presuppone una retta concezione dell’uomo, della sua vita spirituale, del suo destino soprannaturale. Senza rinunciare a usare fattori naturali, la soluzione pastorale della crisi attuale deve poggiare anzitutto sulle verità di fede e sulla pratica delle virtù soprannaturali, come vedremo più avanti. IV – IV – La Rivoluzione sessuale 22 DOMANDA: Secondo alcuni padri sinodali, gli sviluppi storici recenti hanno favorito un cambiamento antropologicoculturale che oggi influenza tutti gli aspetti della vita e che impone di mutare profondamente la pastorale ecclesiale e forse anche alcuni aspetti superati della dottrina tradizionale sull’uomo e sulla famiglia. Non sarebbe questo un segno dei tempi? RISPOSTA: «(…) E’ dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo» (Gaudium et Spes, n°4). Cioè, i segni dei tempi sono da giudicare secondo il Vangelo. Per la Chiesa, l’unico «uomo nuovo» auspicabile, l’unico cambiamento radicale che può avvenire nell’uomo è quello provocato dalla Grazia santificante, che lo eleva al livello soprannaturale rendendolo «simile a Dio». I fattori storico-culturali più potenti non possono cambiare la natura umana; possono elevarla o degradarla, ma non mutarla nella sua sostanza. I cambiamenti recenti sono difatti avvenuti per colpa di una rivoluzione sessuale indotta che ha mutato tendenze, abitudini e mentalità dapprima sociali e poi anche individuali. Questi cambiamenti non possono essere semplicemen– 20 – te accettati come se fossero un dato di fatto ingiudicabile; anzi, essi vanno valutati in base a un giudizio morale alla luce della Legge divina e di quella naturale, quali restano insegnate dalla Chiesa. 23 DOMANDA: Il riferimento a una «rivoluzione sessuale» non è solo un pretesto per opporsi alla inevitabile evoluzione dei costumi? RISPOSTA: La rivoluzione sessuale è un dato di fatto, facilmente verificabile dallo studio storico e sociale e misurabile dalle sue gravi conseguenze prodotte negli ultimi 60 anni. Questa rivoluzione pretende che l’umanità diventerà felice solo quando potrà manifestare liberamente i propri istinti, specialmente sessuali, abolendo qualunque regola – non solo giuridica ma anche morale e religiosa – che possa limitarne l’espansione. Ciò presuppone l’abolire non solo la «società borghese» ma anche e soprattutto la famiglia, o rendendone impossibile la formazione, oppure relativizzandola fino al punto d’includervi qualsiasi tipo di unione, anche omosessuale. L’espressione «rivoluzione sessuale» fu lanciata nel 1936 dal libro omonimo, che aveva come sottotitolo La sessualità nella lotta culturale per la ristrutturazione socialista dell’uomo. L’autore era l’austriaco Wilhelm Reich, esponente della scuola che coniuga le teorie psicoanalitiche di Freud con quelle sociali di Marx. Herbert Marcuse e i teorici della Rivoluzione del Sessantotto hanno diffuso queste idee. Lo studioso Jean-Marie Meyer denuncia questa ideologia in una prospettiva ancora più ampia, quella neo-evoluzionistica del materialismo d’ispirazione darwiniana, secondo la quale l’uomo, la persona, la famiglia, la sessualità etc..., sarebbero nozioni superate e destinate ad essere sostituite da una nuova realtà liberata da questi preconcetti (cf. J-M Meyer, Famiglia, Natura e Persona, in Lexicon, Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, a cura del Pontificio Consiglio per la Famiglia, anno 2006, Centro Editoriale EDB, p.469-473). 24 DOMANDA: La rivoluzione sessuale non è un fenomeno spontaneo che manifesta gli impulsi e le esigenze della società contemporanea? RISPOSTA: La Rivoluzione sessuale è stata ed è tuttora un fenomeno non spontaneo ma elaborato e pilotato da gruppi ideologici e lobby ben organizzati e finanziati, che alimentano certe tendenze disordina– 21 – te dell’uomo moderno per realizzare un disegno rivoluzionario progettato a tavolino. Queste lobby contano su migliaia di piccoli gruppi militanti, favoriti da un sistema politico-finanziario internazionale e serviti da una macchina propagandistica massmediatica. La Rivoluzione sessuale 25 DOMANDA: La rivoluzione sessuale non è forse un’evoluzione positiva della cultura, che ha permesso una maggiore libertà personale? RISPOSTA: Una tale concezione della libertà personale è falsa e dannosa perché la intende come se fosse la capacità di scegliere, e non quella di aderire al bene. La rivoluzione sessuale ha favorito non una maggiore libertà, ma anzi una maggiore schiavitù dell’uomo ai suoi istinti più degradati e ci riconduce «verso i bassifondi del paganesimo»; essa ha così suscitato fra i cittadini una sorta di guerra di tutti contro tutti per assicurarsi il maggior piacere sessuale possibile (cf. F. IV López-Illana, Matrimonio, separazione, divorzio e coscienza, in Pontificio Consiglio per la Famiglia, Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, EDB 2006, pp. 683-700). Dal punto di vista religioso, la rivoluzione sessuale ha allontanato molte persone dall’ordine naturale creato da Dio, dalla Redenzione attuata da Gesù Cristo e dalla santificazione alimentata dallo Spirito Santo mediante la Chiesa. In tal modo, la rivoluzione sessuale ha segnato un antistorico ritorno a vecchi costumi pagani, nei quali il soddisfacimento sessuale prevaleva sul senso del dovere e della responsabilità, l’atto sessuale era separato dall’amore vero e dalla procreazione (cf. S. Kampowski, Annunciare il Vangelo della Famiglia in una cultura del Pansessualismo, in J.J. Pérez-Soba e S. Kampowski, op. cit. cap.1). 26 DOMANDA: Qual è l’aspetto di questo processo di rivoluzione ses- suale che oggi minaccia più gravemente la famiglia? RISPOSTA: Non ci sono dubbi: l’ideologia del gender. Essa teorizza che l’uomo nasce dominato da un anarchico istinto «perverso-polimorfo» che può tendere a qualsiasi oggetto erotico e costruirsi una qualsiasi identità e ruolo sessuale (detto appunto gender o genere). Pertanto, ciascuno ha diritto di scegliere liberamente uno fra i tanti possibili gender, per poi eventualmente cambiarlo secondo il proprio nuovo “orientamento sessuale”. Secondo questa ideologia, la diversità sessuale maschio-femmina, e quindi anche quelle marito-moglie e padre-madre, non deri– 22 – vano dalla natura ma sono imposte da una “cultura” arbitraria mediante un sistema discriminatorio e repressivo. Questo fenomeno si perpetua per colpa delle istituzioni (famiglia, scuola, Chiesa) che condizionano la formazione dei bambini, impedendo a loro di scegliere l’ «orientamento sessuale» e il «ruolo riproduttivo» preferiti. La rivoluzione sessuale vuole liberare bambini e adulti da tale sistema repressivo, in modo da creare una «società senza classi sessuali» mediante la «decostruzione» dei ruoli sessuali e riproduttivi e delle istituzioni sociali, soprattutto quelle familiare, scolastica e religiosa. Pertanto, essa pretende che i programmi scolastici e quelli di «rieducazione» familiare e di «aggiornamento» religioso vietino l’insegnamento della morale e della fede, sostituendoli con l’ideologia del gender (cf. O. Alzamora Revoredo, Ideologia di genere: pericoli e portata, in Pontificio Consiglio per la Famiglia, Lexicon cit. pp. 545-560). Come si vede, questa rivoluzione – lanciata nel settembre 1995 a Pechino con la IV Conferenza mondiale dell’O.N.U. sulla Donna – progetta una pericolosa sovversione sessuale, culturale e sociale anticristiana, che si è insinuata anche in molti ambienti cattolici e che finora sembra preoccupare più i genitori che i pastori. –V– L’impostazione del Sinodo 2014: il rapporto Chiesa-Mondo 27 DOMANDA: L’impostazione procedurale del Sinodo assegna un ruolo primario all’ «ascolto» dei fedeli. Come valutare questa novità? RISPOSTA: Nelle sue procedure, la Chiesa è sempre partita dalle Verità di Fede, attinte dalla Parola di Dio e dalla Tradizione, per poi elaborare una pastorale che le realizzasse nella vita concreta, in modo da poter illuminare e guidare gli uomini verso la salvezza eterna. Come dice l’antico motto: «divieni ciò che sei», ossia realizza la tua missione. Non a caso, s. Giovanni Paolo II ha intitolato «Famiglia, diventa ciò che sei!» il paragrafo della sua Familiaris consortio dedicato ai compiti della famiglia cristiana. La tendenza del Sinodo è stata quella di procedere all’inverso: ossia partire dalla situazione concreta per elaborare una pastorale e una disciplina accomodate ad essa. Così, secondo il grande canonista Velasio de Paolis, si rischia di scivolare nella «morale della situazione». Ma, in questo modo, si proclama implicitamente il motto: «sii ciò che divieni», ossia adèguati alle tendenze prevalenti. – 23 – Sinodo 2014: il rapporto Chiesa-Mondo Questo metodo presuppone lo «storicismo», che parte cioè non dalla Verità rivelata, bensì dalla concreta situazione storica, alla quale la Chiesa dovrebbe adeguarsi, secondo alcuni per «animarla» cristianamente, secondo altri per sopravvivervi. «Di fatto, il dialogo col mondo si è trasformato in adattamento e forse ha comportato anche una certa mondanizzazione e secolarizzazione della Chiesa, che ha finito per non avere sufficiente presa nella cultura del tempo e penetrazione per il proprio messaggio. Ciò ha portato a una crisi proprio all’interno della Chiesa. (…) Nel lodevole tentativo di dialogo con la cultura moderna, la Chiesa corre il rischio di mettere tra parentesi proprio le realtà che le sono tipiche e specifiche, ossia la Verità divina, e di adattarsi al mondo: non negando la propria verità, certo, ma non proponendola o esitando a proporre ideali di vita che sono concepibili e praticabili solo alla luce della fede e attuabili solo con la Grazia. La Chiesa corre il rischio di annacquare il suo messaggio più vero e profondo per paura di essere rifiutata dalla cultura moderna o per farsi accogliere da essa» (card. Velasio De Paolis, Prolusione cit., pp. 7 e 30). V 28 DOMANDA: Ma questa impostazione è stata davvero avallata da qualche padre sinodale? RISPOSTA: Un importante padre sinodale avrebbe dichiarato: «C’è anche uno sviluppo teologico, tutti i teologi lo dicono. Non è tutto statico, noi camminiamo nella storia, e la religione cristiana è storia, non ideologia. Il contesto attuale della famiglia è differente da quello di trentatré anni fa, ai tempi della Familiaris Consortio [di Papa Giovanni Paolo II]. Senza storia non so dove andiamo; se neghiamo questo, restiamo a duemila anni fa» (Corriere della Sera, 4-10-2014). 29 DOMANDA: Possiamo dire che la Religione cristiana si evolve e muta al vento della storia? RISPOSTA: La Religione cristiana non è evoluzione storica, mutevole e contraddittoria, bensì è Verità rivelata, Fonte di vita e Via di salvezza, che si identifica con Gesù Cristo: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6). Il Salvatore diede alla Sua Chiesa il comando di evangelizzare l’umanità, non di essere evangelizzata da essa; di guidare gli uomini, non di essere guidata da loro; di santificare la storia, non di essere santificata da essa. Mater, Magistra et Domina gentium è dunque la Chiesa, non la storia umana o il mondo. Resta certo vero che nuovi problemi richiedono spiegazioni adeguate, le quali però devono essere comunque fedeli al deposito intangibile della fede. – 24 – 30 DOMANDA: E’ vero che ormai gli insegnamenti morali della Chiesa hanno perso contatto con la vita reale, poiché presuppongono una realtà ormai sparita e quindi necessitano di un profondo adeguamento alla situazione concreta? RISPOSTA: Gli insegnamenti della Chiesa, anche in campo morale, sono per definizione cattolici, ossia riguardano il tutto e non la parte, dunque sono permanenti e universali, validi sempre e dovunque; come dicevano i Padri greci, essi sono «tesoro sempiterno» (Thèma eis aèi), poiché si fondano su due realtà immutabili: la natura umana creata da Dio e le verità eterne rivelate da Gesù Cristo. Semmai è il «mondo moderno» che, su tante questioni importanti, ha «perso contatto» con la verità e ha divorziato dalla Chiesa, subendo quel traviamento e quel fallimento che tutti ormai constatano. La trasformazione storica della società è conseguenza di errori culturali e morali, alimentati da passioni disordinate. La Chiesa non deve adeguarsi a questi errori o alle loro conseguenze, ma individuarli, denunciarli e rimediarvi. In ciò consiste un autentico aggiornamento della sua pastorale. 31 DOMANDA: I recenti cambiamenti nella vita familiare e sessuale fanno forse parte della cultura moderna, frutto di una inevitabile evoluzione storica che va non condannata ma solo capita? RISPOSTA: I cambiamenti culturali e sociali provocati dalla rivoluzione sessuale sono troppo facilmente considerati come inevitabili e irreversibili; in realtà, spesso sono solo effimere manifestazioni patologiche di una malattia spirituale curabile. Comunque sia, non esistono fatti umani ingiudicabili moralmente, anzi tutti possono e debbono essere valutati misurandoli con il metro della verità e della giustizia, come fa San Paolo sovente anche elencando le condotte inaccettabili per i cristiani (Rm 1, 26-32; 1 Cor. 6, 9-10; 1 Tm. 1, 9). Di recente il noto moralista card. Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, a proposito di alcune mentalità da evitare nella Chiesa, ha esemplificato col caso de «la modalità buonista, la quale ritiene che la cultura di cui ho parlato (quella della rivoluzione sessuale, ndr.) sia un processo storico inarrestabile. Propone di venire, quindi, a compromessi con esso, salvando ciò che in esso sembra essere riconoscibile come buono» (card. Carlo Caffarra, Tre strade per costruire la verità del matrimonio, Avvenire, 12-3-2015). – 25 – 32 DOMANDA: Quali domande bisogna allora porsi sull’attuale divor- zio tra la Chiesa e il mondo? RISPOSTA: Dottrina morale e prassi pastorale Le domande da porsi sono le seguenti: Come mai il «mondo moderno» ha ripudiato gli insegnamenti della Chiesa su tante questioni fondamentali? Quale processo storico ha portato all’attuale divorzio del mondo dalla Chiesa? In che modo la Chiesa può «sanare le ferite» della società contemporanea riportandola alla sanità perduta, ma senza farsi contagiare dalla sua malattia? Rispondendo a queste domande, si vedrà a quale situazione reale si dovrebbe adeguare la pastorale ecclesiale e fino a che punto ciò è possibile senza rinnegare la dottrina morale. A nulla serve agitarsi per arginare solo gli effetti più gravi e clamorosi. Il male può essere eliminato solo se si usa la corretta medicina e se si estirpano le radici perverse che lo producono. Ma per questo i pastori devono evitare l’emotività, fare una retta diagnosi e poi prescrivere la cura più efficace (cf. card. Velasio de Paolis, VI Prolusione cit., pp.6-9). – VI – Dottrina morale e prassi pastorale 33 DOMANDA: Molti affermano che il Sinodo non vuole cambiare la dottrina morale sulla famiglia, ma soltanto «aggiornare» la pastorale ecclesiale al riguardo. Ma è proprio così? RISPOSTA: Alcuni vescovi sostengono che non si mira solo ad «aggiornare» la pastorale ma anche a decidere cambiamenti riguardanti la dottrina. Questa prospettiva presuppone che la dottrina morale tradizionale sia ormai contraddetta non solo dalla pratica di molti fedeli, il che è un dato di fatto, ma anche dalle esigenze della pastorale ecclesiale, il che pone una questione di diritto. Per risolvere questa contraddizione, si propone di adeguare il diritto al fatto, ossia di «approfondire» la dottrina morale adeguandola alle esigenze della «nuova pastorale» nell’ «ascolto» del popolo di Dio. – 26 – Ciò di cui invece la Chiesa ha bisogno è un’autentica riforma che riconduca il comportamento dei cristiani alla purezza dei costumi e all’integrità dottrinale che sono state abbandonate. Altri presuli hanno persino espresso una tesi che si potrebbe riassumere così: «una relazione sessuale che è oggettivamente peccaminosa perde in larga misura il suo carattere morale negativo se entrambi i partner intrattengono questa relazione in modo regolare e dimostrano reciproca fedeltà». Se si applicasse questo paralogismo ad altre materie, equivarrebbe a dire, per es.: «Se due complici rubano regolarmente in un negozio e si mantengono fedeli ai patti reciproci, ciò farà diminuire notevolmente il carattere negativo del reato». 34 DOMANDA: Anche se ci si propone non un mutamento dottrinale ma soltanto un nuovo «approccio pastorale», è possibile modificare la pastorale senza modificare implicitamente anche la dottrina? RISPOSTA: Come il corpo non può essere separato dall’anima che lo informa, similmente la prassi pastorale non può essere del tutto separata dalla dottrina morale che la giustifica. Pertanto, un cambiamento della pastorale può comportare facilmente un cambiamento, almeno implicito, della dottrina sottintesa. Del resto, non esistono prassi neutre; ogni prassi presuppone una teoria, una visione peculiare dell’essere umano, della società e della storia. Lo stesso concetto di prassi presuppone un fine a cui tendere, ossia un ideale da realizzare. Nel nostro caso, il concetto di «prassi pastorale» ha senso e valore solo se presuppone la vera idea di Chiesa, di umanità e di famiglia. «La pastorale è un’arte che si fonda sulla dogmatica, sulla morale, sulla spiritualità e sul diritto, per agire prudentemente nel caso concreto. Non vi può essere pastorale che sia in disarmonia con le verità della Chiesa e con la sua morale, e in contrasto con le sue leggi, e non fosse orientata al raggiungimento dell’ideale della vita cristiana. Una pastorale in contrasto con la verità creduta e vissuta dalla Chiesa (…) si trasformerebbe facilmente in arbitrarietà nociva alla stessa vita cristiana» (card. Velasio De Paolis, Prolusione cit., p. 26). Da parte sua, il prefetto della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti cardinale Robert Sarah ha di– 27 – Dottrina morale e prassi pastorale chiarato recentemente: «L’idea che consisterebbe nel piazzare il magistero in un bello scrigno, staccandolo dalla prassi pastorale che potrebbe evolvere secondo le circostanze, le mode e le passioni, è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica» (La Stampa, 24-2-2015). 35 DOMANDA: Se non la dottrina come tale, è almeno lecito modifica- re la disciplina ecclesiale riguardante la famiglia? RISPOSTA: Dipende da cosa s’intende per «disciplina». Spesso, questo termine indica un mero sistema di regole pratiche che aiutano l’uomo nel suo pensiero e nella sua azione. In questo senso essa può essere modificabile. In realtà, nella Chiesa cattolica, se esistono disposizioni disciplinari convenzionali e modificabili, esistono però anche norme disciplinari di origine divina che quindi non sono modificabili dall’autorità ecclesiale. Per quanto riguarda il matrimonio e la famiglia, alcune norme della sua disciplina sono di origine divina, riaffermate e completate da Gesù Cristo stesso e quindi non modificabili da nessuna autorità ecclesiastica. «E’ necessario che si eviti d’intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che il fondamentale punto d’incontro tra diritto e pastorale è l’amore per la verità» (Papa Benedetto XVI, VI Sacramentum caritatis, Esortazione apostolica post-sinodale del 22-2-2007, n. 29). 36 DOMANDA: Su molti temi della morale sessuale, la Chiesa non do- vrebbe forse adeguarsi alla mentalità e alla pratica della maggioranza dei fedeli, che richiede oggi maggiore flessibilità? RISPOSTA: La Chiesa ha la materna missione di salvare i fedeli, santificandoli anche nella loro vita familiare; pertanto, sono i fedeli a doversi adeguare agli insegnamenti morali della Chiesa, realizzando in loro la verità predicata da Gesù Cristo. Del resto, come suole dire argutamente il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, se i pastori hanno il compito di pascere il loro gregge, riportando all’ovile le pecore disperse, devono però evitare di perdersi essi stessi inseguendo le pecore incoscienti o ribelli. – 28 – L’opinione maggioritaria dei fedeli non costituisce propriamente un «luogo teologico», tantomeno una «fonte della Rivelazione». Per giunta, l’attuale opinione pubblica, anche ecclesiale, viene da tempo manipolata da lobby culturali e mass-mediatiche promotrici di una rivoluzione radicalmente anticristiana. Per altro, l’allora card. Ratzinger scrisse pagine molto dense sulla non validità del criterio maggioritario nelle questioni morali. «Uno dei più gravi problemi pastorali consiste nel fatto che molti oggi giudicano il matrimonio esclusivamente secondo criteri mondani e pragmatici. Chi pensa secondo lo “spirito del mondo” (1 Cor 2, 12) non può comprendere la sacramentalità del matrimonio. A questa crescente mancanza di comprensione circa la santità del matrimonio, la Chiesa non può rispondere con un adeguamento pragmatico a ciò che appare irreversibile, ma solo con la fiducia nello Spirito di Dio» (card. Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i Sacramenti, in Aa. Vv., Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena 2014, p. 148). 37 DOMANDA: Non sarebbe il caso che la Chiesa, a imitazione della legge mosaica, promuovesse una maggiore tolleranza verso i «casi pietosi» di coloro che vivono in «situazioni irregolari»? RISPOSTA: Una tale tolleranza condurrebbe a sostituire la Legge evangelica con quella mosaica, col rischio che i fedeli ricadano in quella «durezza di cuore» che costrinse Mosé a permettere il divorzio al popolo ebraico. «Il Signore Gesù ha insistito sulla intenzione originaria del Creatore, che voleva un matrimonio indissolubile (cf. Mt 5, 31-32; Mt 19, 3-9). Egli ha abolito le tolleranze che erano state gradualmente introdotte nella Legge antica (cf. Mt 19, 7-9)» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2382). «Ecco perché la Chiesa non si stanca mai di insegnare e di testimoniare tale verità. Pur manifestando materna comprensione per le non poche e complesse situazioni di crisi nelle quali le famiglie sono coinvolte, come pure per la fragilità morale di ogni essere umano, la Chiesa è convinta di dover rimanere assolutamente fedele alla verità sull’amore umano. Se facesse diversamente, tradirebbe sé stessa» (s. Giovanni Paolo II, Gratissimam sane, Lettera alle famiglie, del 2-2-1994, n. 11). – 29 – Dottrina morale e prassi pastorale 38 DOMANDA: E’ vero che l’applicazione della tolleranza a situazioni matrimoniali irregolari ha prodotto frutti positivi in altre Chiese o religioni? RISPOSTA: Non risulta affatto. Anzi, nei Paesi protestanti questo metodo della tolleranza ha prodotto risultati catastrofici. «Tale tolleranza ha forse determinato una rinascita spirituale della Chiesa anglicana? Forse che i luterani di Germania prosperano? Si osserva forse una nuova primavera dei presbiteriani liberali negli USA? I dati sociologici sembrano dire proprio il contrario», affermano i professori dell’Istituto Giovanni Paolo II per studi su famiglia e matrimonio (S. Kampowski, Annunciare il Vangelo della Famiglia in una cultura del pansessualismo, in Pérez-Soba Kampowski, op. cit., p. 38). 39 DOMANDA: Si dice che il numero di fedeli praticanti cala quando si chiede l’osservanza rigorosa di certi precetti morali, ad esempio la fedeltà coniugale. Non sarebbe allora il caso di attenuare il rigore di quei precetti divenuti impopolari? VI RISPOSTA: Le persone in situazione irregolare difficilmente saranno praticanti. Del resto, il numero di fedeli praticanti non cala, anzi cresce, quando si chiede l’osservanza di certi precetti morali, come il numero delle vocazioni religiose non cala, anzi cresce, quando ai novizi viene chiesto un impegno più rigoroso. «D’altra parte, le chiese e le realtà ecclesiali in crescita sono proprio quelle che, sul piano della morale, avanzano proposte molto impegnative e contrarie alla cultura dominante», afferma il prof. Kampowski basandosi sullo studio della sociologa americana Mary Eberstadt How the West really lost God (S. Kampowski, Annunciare il Vangelo della Famiglia in una cultura del pansessualismo, in Pérez-Soba Kampowski, op. cit., p. 38). 40 DOMANDA: Visto che oggi molti fedeli ormai non seguono la mora- le cattolica, non sarebbe il caso di tollerare certe situazioni irregolari pur di attrarre più persone alla Chiesa? RISPOSTA: Un solo ipotetico, anzi improbabile, aumento della pratica religiosa di alcune persone in situazione irregolare, cioè illegittima oppure immorale, non può essere ottenuto al caro prezzo di smentire la morale evangelica e il Magistero ecclesiale e di indebolire la fede dei fedeli in regola. Se la Chiesa poi cambiasse una dottrina e una prassi bimillenarie sul matrimonio, perderebbe credibilità su ciò che potrà insegnare domani. – 30 – – VII – Coscienza personale e Magistero 41 DOMANDA: Che diritto ha la Chiesa d’intromettersi nella vita priva- ta delle persone? RISPOSTA: La Chiesa non è una lobby culturale che propaganda una ideologia, ma è una società di origine divina che ha ricevuto da Gesù Cristo la missione di guidare le anime alla verità, alla santità e alla salvezza eterna. Siccome questa salvezza dipende principalmente dalla moralità della vita privata quotidiana, la Chiesa ha il dovere, e quindi il diritto, di orientare questa vita in modo che essa diventi occasione non di perdizione ma di salvezza. 42 DOMANDA: Dato che gli insegnamenti morali della Chiesa sono in- dicazioni generiche e non assolute, non possono quindi ammettere molteplici eccezioni concrete? RISPOSTA: Le eventuali eccezioni non possono smentire la regola ma solo confermarla, come dice il proverbio. Nel valutare un caso concreto, la casistica tiene conto delle circostanze aggravanti o attenuanti o dirimenti, che però non mutano l’assolutezza dei princìpi né la certezza del giudizio. «Ora la ragione attesta che si danno oggetti dell’atto umano che si configurano come “non-ordinabili” a Dio, perché contraddicono radicalmente il bene della persona, fatta a sua immagine. Sono gli atti che, nella tradizione morale della Chiesa, sono stati denominati “intrinsecamente cattivi” (intrinsece malum): lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce e dalle circostanze» (s. Giovanni Paolo II, enc. Veritatis Splendor, n.80, 6-8-1993). 43 DOMANDA: La «libertà dei figli di Dio» non esige forse che, come ha detto un vescovo, «dobbiamo rispettare le decisioni che le persone prendono seguendo la propria coscienza»? RISPOSTA: Le decisioni personali sono ammissibili se conformi alla verità e alla giustizia. Perché lo siano, non basta che siano state prese con sincera coscienza. La coscienza personale non è infallibile né la volontà è impeccabile, come pretende l’ideologia liberale e libertaria. – 31 – Coscienza personale e Magistero «Nella loro linea di condotta, i coniugi cristiani non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che si deve conformare alla Legge divina stessa» (Gaudium et spes, n. 50). 44 DOMANDA: Molti pensano che dobbiamo affermare il primato del- la coscienza. Tutto sommato, non è meglio affidare alla coscienza delle persone la soluzione dei loro problemi morali? RISPOSTA: Le questioni matrimoniali e familiari sono essenzialmente sociali e pubbliche, e quelle sul matrimonio sono eminentemente sacre ed ecclesiali. Ma soprattutto, la coscienza può esercitare un giudizio giusto se è ben formata e informata. La coscienza non è in grado di trovare la giusta soluzione di molti problemi morali, per tanti motivi, che vanno dalla incapacità alla incompetenza all’ottenebramento. Del resto, nessuno è giudice infallibile e imparziale di sé stesso. Perché mai allora esisterebbero i tribunali, ad esempio quelli ecclesiastici? «L’uomo non può trovare la vera felicità, alla quale aspira con tutto il suo essere, se non nel rispetto delle leggi inscritte da Dio nella sua natura, leggi che egli deve osservare con intelligenza e amore» (b. Paolo VI, Humanae vitae, n. 31). VII 45 DOMANDA: Non c’è il rischio di opprimere la coscienza individuale, specie in campo morale? RISPOSTA: Legare la coscienza agli obblighi che ha verso la verità e la giustizia, non significa opprimere la coscienza ma anzi liberarla, permettendole di conoscere il proprio fine e di compiere il proprio dovere. L’onore della coscienza sta appunto nel liberamente riflettere e obbedire alla Legge naturale e a quella divina. «La coscienza, di per se stessa, non è arbitra del valore morale delle azioni ch’essa suggerisce. La coscienza è interprete d’una norma anteriore e superiore; non la crea da sé. (…) La coscienza non è la fonte del bene e del male; è l’avvertenza, è l’ascolto di una voce, detta appunto la voce della coscienza, è il richiamo alla conformità che un’azione deve avere ad un’esigenza intrinseca all’uomo, affinché l’uomo sia uomo vero e perfetto. Cioè è l’intimazione soggettiva e immediata di una legge, che dobbiamo chiamare naturale, nonostante che molti oggi non vogliano più sentir parlare di legge naturale» (b. Paolo VI, discorso del 12-2-1969). – 32 – 46 DOMANDA: Se perfino i cattolici praticanti non considerano più al- cune pratiche sessuali come contrarie alla dottrina della Chiesa, come potremmo chiedere a loro di obbedire a una dottrina che non capiscono né accettano più? RISPOSTA: In molti campi, gli uomini sono tenuti a seguire obblighi che non capiscono più, o che non vogliono capire, ma che restano comunque vincolanti. Il fatto di non capire più un dovere non dispensa dal compierlo. Al limite, la mancanza di comprensione di un divieto è un fattore che attenua la responsabilità del fedele, ma non la cancella. In ogni caso, se una dottrina morale non viene più capita dai fedeli, la colpa non cade sulla dottrina; cade soprattutto su chi avrebbe dovuto insegnarla in modo chiaro e convincente. – VIII – Matrimonio e famiglia MATRIMONIO: NATURA, FINALITÀ E CARATTERISTICHE 47 DOMANDA: I precetti del diritto naturale sono davvero moralmen- te vincolanti, anche se pesano? RISPOSTA: I precetti del diritto naturale sono moralmente vincolanti in quanto creati da Dio, Autore della natura, ed espressi nei dieci Comandamenti. «E’ vero: un vincolo può talora costituire un gravame, una servitù, come le catene che stringono il prigioniero. Ma può essere anche un potente soccorso e una sicura garanzia, come la corda che lega l’alpinista ai suoi compagni di ascensione, o come i legamenti che uniscono le parti del corpo umano e lo rendono spedito e franco nei suoi movimenti» (ven. Pio XII, discorso del 22-4-1942). 48 DOMANDA: Se il matrimonio è una istituzione di diritto naturale, quello sacramentale non diventa superfluo? La Chiesa non dovrebbe accontentarsi del matrimonio civile? RISPOSTA: Nel Cristianesimo, il matrimonio ha per fine non soltanto il generare nuovi cittadini per la società, ma anche nuovi eletti per il Cielo e nutrire la comunione spirituale umana dei coniugi. Per – 33 – Matrimonio e famiglia questo, Gesù Cristo ha elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento, dotandolo di contenuti e mezzi spirituali soprannaturali, inserendolo quindi nel piano della salvezza. Per un battezzato, nel matrimonio non si può separare il contratto civile dalla natura sacramentale. «Infatti, in primo luogo alla società coniugale fu prestabilito uno scopo più nobile e più alto che mai fosse stato in precedenza, in quanto si volle che essa mirasse non solo a propagare il genere umano, ma a generare figli alla Chiesa, «concittadini dei Santi e domestici di Dio» (Ef 2,19), cioè che fosse creato ed educato un popolo al culto e alla religione di Cristo, vero Dio e nostro Salvatore. […] Nel matrimonio cristiano il contratto non può essere separato dal Sacramento, e perciò non può sussistere un vero e legittimo contratto che non sia al tempo stesso Sacramento. Poiché il matrimonio fu arricchito da Cristo Signore della dignità di Sacramento, il matrimonio si identifica con lo stesso contratto, quando sia fatto secondo le norme volute. Si aggiunga che il matrimonio è Sacramento proprio per questo: che è un segno sacro, che produce la grazia e rende immagine delle mistiche nozze di Cristo con la Chiesa» (Papa Leone XIII, Arcanum Divinae Sapientiae, VIII nn. 124-146-147). 49 DOMANDA: E’ vero che, come oggi si dice, esistono varie forme di matrimonio e di famiglia? RISPOSTA: Secondo la Legge naturale e divina, esiste solo una forma di matrimonio: quello monogamico e indissolubile fra un uomo e una donna; esiste un solo tipo di famiglia: quella composta da padre, madre e i loro figli. Tutte le altre forme di convivenza sono sostanzialmente diverse da quella familiare e a questa non possono essere parificate, tantomeno assimilate. I fedeli conviventi senza matrimonio, o col solo matrimonio civile, o divorziati risposati vivono in situazioni irregolari e illegittime, che non possono essere considerate famiglie vere e proprie, anche se potrebbero essere all’origine di responsabilità morali. Come denuncia il noto moralista cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, se la Chiesa accettasse una «pluralità» di forme matrimoniali o familiari, ad esempio se dichiarasse come moralmente lecite forme di convivenza con persone diverse dal proprio legittimo coniuge eterosessuale, ammettendo quindi un «divorzio cattolico», dissolverebbe la definizione stessa di matrimonio e favorirebbe quella «decostruzione» della famiglia oggi – 34 – promossa dai suoi nemici (cf. card. Carlo Caffarra, Ontologia sacramentale e indissolubilità del matrimonio, in Aa. Vv., Permanere nella Verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena 2014, cap. VII). «Concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di legarsi con impegni a lungo termine: tutte queste situazioni costituiscono un’offesa alla dignità del matrimonio, distruggono l’idea stessa di famiglia, sono contrarie alla Legge morale» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2390). 50 DOMANDA: Il matrimonio non è forse una forma di associazione fra persone, un semplice contratto sociale per vivere insieme? RISPOSTA: Il matrimonio non si riduce a un contratto privato fra due persone, ma è un vero e proprio atto pubblico che dà origine a una società, anzi alla cellula madre della società: la famiglia. Il matrimonio pertanto è una istituzione che si fonda sul diritto naturale e che, se contratta fra fedeli, diventa un giuramento sacro regolato dal diritto divino, perché Nostro Signore l’ha elevato alla dignità di Sacramento, rendendolo simbolo dell’unione sponsale tra il Creatore e la sua creatura e tra il Redentore e la sua Chiesa. «Il matrimonio non è un avvenimento che riguarda solo gli sposi; per sua stessa natura esso è un fatto anche sociale, che impegna gli sposi davanti alla società» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 68). «Nessuno di noi appartiene esclusivamente a se stesso, pertanto ciascuno è chiamato ad assumere nel più intimo di sé la propria responsabilità pubblica. Il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o della autorità; é invece esigenza intrinseca del patto di amore coniugale» (Papa Benedetto XVI, Discorso del 6-6-2005). 51 DOMANDA: L’uomo è libero per natura e il matrimonio è unione volontaria. Ma allora, come può una persona essere costretta dal diritto naturale a rispettare vincoli e obblighi non più voluti o sentiti, quale la indissolubilità matrimoniale? RISPOSTA: La vera libertà della persona consiste nel realizzare la propria natura e a questo scopo deve rispettare precisi vincoli e obblighi morali, come quelli previsti dal diritto naturale. – 35 – «La comunione coniugale si caratterizza non solo per la sua unità, ma anche per la sua indissolubilità. (…) E’ dovere della Chiesa riaffermare con forza la dottrina della indissolubilità matrimoniale. (…) Testimoniare l’inestimabile valore della indissolubilità e della fedeltà matrimoniale, è uno dei doveri più preziosi e più urgenti delle coppie cristiane del nostro tempo» (s. Giovanni Matrimonio e famiglia Paolo II, Familiaris consortio, n. 20). «Va ricordato il valore antropologico del matrimonio indissolubile: esso sottrae i coniugi all’arbitrio e alla tirannia del sentimento e degli stati d’animo; li aiuta ad affrontare le difficoltà personali e a superare le esperienze dolorose; protegge soprattutto i figli, che patiscono la maggior sofferenza dalla rottura del matrimonio» (card. Gerhard Müller, Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i Sacramenti, in Aa. Vv., Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena 2014, p. 147-148). VIII 52 DOMANDA: Essendo una forma di associazione volontaria fra persone libere, perché mai il matrimonio non potrebbe essere contratto e sciolto a piacimento dei coniugi? RISPOSTA: Prima di un contratto, il matrimonio è una istituzione divina le cui proprietà e leggi sono state stabilite da Dio stesso. Una di quelle proprietà è l’indissolubilità. Il fedele è libero solo di sposarsi e di farlo con una persona determinata, ma non è libero di sciogliere il matrimonio. «Benché però il matrimonio di sua natura sia d’istituzione divina, anche l’umana volontà arreca in esso il suo contributo, e questo nobilissimo. Infatti ogni particolare matrimonio, in quanto unione coniugale fra quest’uomo e questa donna, non può cominciare ad esistere se non dal libero consenso di ambedue gli sposi; e questo atto libero della volontà, col quale ambedue le parti danno e accettano il diritto proprio del connubio, è talmente necessario perché esista vero matrimonio, che non può venire supplito da nessuna autorità umana. Senonché tale libertà a questo soltanto si riferisce: che i contraenti vogliano realmente contrarre matrimonio e contrarlo con questa determinata persona; ma la natura del matrimonio è assolutamente sottratta alla libertà umana, in modo che una volta che uno abbia contratto matrimonio, resta soggetto alle sue leggi e alle sue proprietà essenziali. (...) Pertanto il sacro consorzio del vero connubio viene costituito e dalla divina e dal– 36 – l’umana volontà; da Dio provengono l’istituzione, le leggi, i fini, i beni del matrimonio; dall’uomo, con l’aiuto e la cooperazione di Dio, dipende l’esistenza di qualsivoglia matrimonio particolare coi doveri e coi beni stabiliti da Dio, mediante la donazione generosa della propria persona ad altra persona per tutta la vita» (Papa Pio XI, Casti connubii, n. 452-456). 53 DOMANDA: Perché mai il matrimonio dev’essere necessariamente monogamico? Non sarebbe possibile accettare la poligamia, sia la poliginia (un uomo con varie donne) che la poliandria (una donna con vari uomini)? RISPOSTA: E’ stato Dio stesso a stabilire che il matrimonio sia l’unione di un solo uomo con una sola donna, per formare «una sola carne» (Gn 2, 24). Dal suo carattere monogamico risulta inoltre un grande bene per il matrimonio, segnatamente il rafforzamento dell’amore coniugale per la reciproca fedeltà. «E sebbene poi il supremo Legislatore, Iddio, allargò alquanto questa legge primitiva per qualche tempo, non vi è tuttavia dubbio alcuno che la legge evangelica abbia ristabilito pienamente l’antica e perfetta unità, abrogando ogni dispensa, come dimostrano chiaramente le parole di Cristo e la dottrina e la prassi costante della Chiesa […] E Nostro Signore Gesù Cristo non volle solamente proibire qualsiasi forma, sia successiva sia simultanea, come dicono, di poligamia e di poliandria o qualsiasi altra azione esterna disonesta; ma di più ancora, perché si custodisse inviolato il santuario sacro della famiglia, proibì gli stessi pensieri volontari e desideri su tali cose: “Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con lei”. [...] Questa fede della castità, come da Sant’Agostino è giustamente chiamata, risulterà più facile, anzi molto più piacevole non meno che nobile per un altro pregio importantissimo: per l’amore coniugale, cioè, che pervade i doveri tutti della vita coniugale e nel matrimonio cristiano tiene come il primato della nobiltà» (Papa Pio XI, Casti connubii, nn. 466-467). «All’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano» (Papa Benedetto XVI, Deus caritas est, n.11). – 37 – 54 DOMANDA: Nel dibattito pre-sinodale, alcuni hanno proposto che l’accesso al matrimonio avvenga per gradi, ossia che i fidanzati passino gradualmente alla situazione di sposi, sperimentando fasi di convivenza che verifichino la loro maturità nell’impegnarsi alla fine nel giuramento sacramentale (cf. Fulvio De Giorgi, La personalizzazione Matrimonio e famiglia dello sguardo. Per un rinnovamento della pastorale familiare, su Il Regno, annuale 2009, Bologna 2010, pp. 5767). Non si potrebbe ammettere questa gradualità, in modo da evitare che matrimoni affrettati o sbagliati diventino indissolubili? RISPOSTA: La dottrina e la pastorale della Chiesa non hanno mai ammesso simili nozze graduali o temporanee, dette anche «matrimoni per prova». Il consenso dato dai fidanzati all’atto sacramentale del matrimonio li rende subito sposi. Del resto, è noto che coloro che si sposano tardi, solo dopo aver fatto un lungo «periodo di prova» vivendo more uxorio, sono proprio la categoria più soggetta al rischio di separazione e di divorzio (cf. Tony Anatrella, Heureux époux. Essai sur le lien conjugal, Flammarion, Paris 2007, cap. II). VIII 55 DOMANDA: Qual è il fine del matrimonio? E’ forse, come oggi si dice, la convivenza affettiva fra due persone, in specie il soddisfacimento dell’attrazione sessuale mediante l’unione carnale dei coniugi? RISPOSTA: Nel matrimonio, specie se cristiano, il mutuo aiuto e la complementarietà biologica dei coniugi sono un fine buono e legittimo, di per se ordinato alla perpetuazione della specie e all’educazione della prole. L’attrazione sessuale e l’unione carnale che ne derivano sono orientati per natura alla procreazione. Sono un dono di Dio che ci permette di adempiere al precetto biblico «crescete e moltiplicatevi». «Per sua indole naturale, l’istituto del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole. (…) La vita umana e il compito di trasmetterla non sono limitati a questo tempo e non si possono commisurare e capire solo in questo mondo, ma riguardano sempre il destino eterno degli uomini» (Gaudium et spes, nn. 50-51). – 38 – ADULTERIO 56 DOMANDA: Non può darsi che un “approccio pastorale” porti a tol- lerare l’adulterio, facendo sì che, in certi casi, ciò che ieri era considerato peccaminoso non lo sarà più in futuro? RISPOSTA: L’adulterio, cioè i rapporti carnali fra una persona sposata e un’altra diversa dal legittimo coniuge, è un peccato condannato da Gesù Cristo stesso. «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio» (Mt 10, 11-12, 1 Cor 6, 9s, Tm 1, 8-10). La Sacra Scrittura vede l’adulterio come simbolo della idolatria e infedeltà all’alleanza sponsale tra Dio e il suo popolo (cf. Os 2, 7; Ger. 5, 7; Ger 13, 27). Nessun “approccio pastorale” può giustificare ciò che è ingiusto agli occhi di Dio. La considerazione delle persone o delle circostanze di un adulterio non muta la qualifica dell’atto. «Vivere coniugalmente con un partner che non è il proprio marito o la propria moglie, è un atto intrinsecamente cattivo che non si può mai giustificare per nessun motivo. E’ la dottrina morale cattolica ribadita recentemente dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nella enciclica Veritatis Splendor (…) si tratta di legge divina che per natura sua copre tutti i casi e non ammette eccezioni» (card. Velasio de Paolis, Prolusione cit., p. 23). 57 DOMANDA: Per risolvere pastoralmente i casi di adulterio, non si può ipotizzare che si giunga a considerarlo con benevolenza, diminuendone la gravità morale, declassificandolo a peccato veniale, facilmente perdonabile senza pentimento o penitenza? RISPOSTA: L’adulterio è oggettivamente un peccato grave e, come tale, può essere perdonato solo se il peccatore manifesta non soltanto pentimento sincero, ma anche il proposito di emendarsi, cioè di rompere il comportamento adulterino. «La contrizione è dolore dell’anima e detestazione del peccato commesso, assieme al proposito di non peccare più» (Catechismo del Concilio di Trento, Cap. IV). «È chiaro dunque che qualsiasi modalità di relazione sponsale al di fuori di questo vincolo [sacramentale] sarà sempre un rap– 39 – Matrimonio e famiglia porto infedele e, proprio per questo, adultero. (…) Il perdono può essere comunicato soltanto con un vero pentimento, che tolga la situazione di peccato. È chiaro che si può perdonare l’adulterio, ma è altrettanto vero che questo non può essere l’unico peccato perdonabile senza pentimento» (Pérez-Soba, La verità del sacramento sponsale, in Pérez-Soba e Kampowski, op. cit. p. 80). DIVORZIO, SEPARAZIONE, DICHIARAZIONE DI NULLITÀ 58 DOMANDA: Quasi tutte le Chiese cristiane ammettono il divorzio. Perché mai la Chiesa cattolica si ostina a rifiutarlo? RISPOSTA: La Chiesa cattolica rifiuta il divorzio perché il matrimonio di norma è indissolubile non per convenzione ma per diritto naturale e divino. Quanto al matrimonio sacramentale, come già detto, esso è segno dell’alleanza tra Dio e l’umanità, e particolarmente delle nozze tra il Redentore e la Chiesa sua sposa; pertanto tale matrimonio dev’essere unico e indissolubile come quell’alleanza e quelle nozze. Non è un caso se la Chiesa cattolica è l’unica ad aver sviluppato una vera e propria teologia del matrimonio. «Dalla valida celebrazione del matrimonio, sorge tra i coniugi un vincolo per sua natura perpetuo ed esclusivo. (…) Il vincolo matrimoniale è stabilito da Dio stesso, in modo tale che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo (…) è una realtà ormai irrevocabile e dà origine a un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della divina sapienza» (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1638-1640). VIII 59 DOMANDA: Rifiutare la possibilità di divorziare non viola forse la libertà e la dignità della persona? RISPOSTA: La dignità della persona implica anche il prendere e mantenere impegni indissolubili, come quello matrimoniale. Inoltre il divorzio è contrario alla dignità dei coniugi, specie di quelli più deboli, perché toglie a loro le certezze dell’unione e li pone nella possibilità di essere abbandonati e caricati di pesanti conseguenze delle quali non sono responsabili; senza contare le ripercussioni che colpiscono i figli e danneggiano la loro formazione psicologica e morale: esistono numerosi studi scientifici in proposito. – 40 – 60 DOMANDA: La Chiesa non accetta forse la separazione coniugale come forma di divorzio? RISPOSTA: Il divorzio e la separazione sono due realtà molto diverse dal punto di vista della morale e del diritto. I coniugi separati, sebbene non più conviventi, non sono divorziati ma anzi restano sposati davanti a Dio e alla Chiesa. La separazione è un male tollerato dalla Chiesa con dolore e per gravi motivi di prudenza, ossia solo quando tutte le alternative risultano impraticabili e per evitare mali maggiori; infatti, a volte può essere preferibile permettere la separazione per evitare i danni causati dalla convivenza. «La Chiesa ammette la separazione fisica degli sposi e la fine della coabitazione. Ma i coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; pertanto non sono liberi di contrarre una nuova unione» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1649). «In queste dolorose situazioni, la Chiesa ha sempre permesso che i coniugi si potessero separare e non vivessero più insieme. Tuttavia, va precisato che il vincolo coniugale di un matrimonio validamente celebrato rimane stabile davanti a Dio e le singole parti non sono libere di contrarre un nuovo matrimonio, finché l’altro coniuge è in vita» (card. Gerhard Müller, Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i Sacramenti, in Aa. Vv., Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena 2014, p. 149). 61 DOMANDA: La Chiesa non accetta forse l’annullamento del matrimonio come forma di divorzio? RISPOSTA: Quando, dopo un documentato processo canonico, la Chiesa dichiara che un matrimonio deve essere considerato come nullo, non scioglie il vincolo coniugale, bensì dichiara che non c’è mai stato per colpa di alcuni insanabili difetti originari. Non si tratta quindi di un «annullamento» ma di una constatazione di nullità, che non ha niente a che vedere col divorzio. 62 DOMANDA: Non si può prevedere che un domani l’Autorità ecclesiastica ammetterà talvolta il divorzio, almeno per risolvere pastoralmente alcuni «casi particolari»? RISPOSTA: «Se la volontà degli sposi, contratto che l’abbiano, non può più sciogliere il vincolo matrimoniale, potrà forse farlo l’autorità, superiore ai coniugi, stabilita da Cristo per la vita religiosa degli uomi– 41 – ni? Il vincolo del matrimonio cristiano è così forte, che, se esso ha raggiunto la sua piena stabilità con l’uso dei diritti coniugali, nessuna potestà al mondo, nemmeno la Nostra, quella cioè del Vicario di Cristo, vale a rescinderlo» (ven. Pio XII, discorso del 22-4-1942). 63 DOMANDA: Cosa pensare dei coniugi divorziati e risposati civilmente? Matrimonio e famiglia RISPOSTA: I coniugi divorziati e risposati si trovano in oggettivo stato di peccato mortale, stato che, se di pubblica notorietà, è aggravato dallo scandalo. La loro unione non può essere ammessa dalla Chiesa né autenticata da alcuna cerimonia para-matrimoniale. Per essere perdonati e riammessi alla piena comunione ecclesiale, essi hanno il dovere di pentirsi della loro colpa e di risanare la loro situazione. «Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: in tal caso, il coniuge risposato si trova in una situazione di adulterio permanente» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2384). «Il rispetto dovuto sia al Sacramento [del Matrimonio], sia agli stessi coniugi, sia alla comunità dei fedeli, proibisce ad ogni pastore, sotto qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto cerimonie di qualsiasi genere in favore dei divorziati che si risposano. Queste infatti darebbero l’impressione di celebrare nuove nozze sacramentali valide e quindi indurrebbero in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 84). VIII 64 DOMANDA: Come devono comportarsi, allora, due persone coniu- gate risposate che per gravi motivi non possono interrompere la loro convivenza? RISPOSTA: «Là dove (…) si danno condizioni oggettive che rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia quei fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della Legge divina, ossia come amici, come fratello e sorella. (…) Affinché sia possibile e porti frutti, tale cammino dev’essere sostenuto dall’aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, ma in ogni caso bisogna evitare di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del matrimonio» (Papa Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 29). Anche in questi casi, ovviamente, le persone sono obbligate alla norma generale di evitare lo scandalo, obbligo tanto più grave – 42 – se consideriamo che, nel loro caso, il pericolo di scandalo è maggiore «essendo di per sé occulto il fatto che non vivono “more uxorio” e manifesta la condizione di divorziati risposati» (card. Velasio de Paolis, I divorziati risposati e i sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, in Permanere nella Verità di Cristo, op. cit. p.173). 65 DOMANDA: Una persona divorziata, avendo prole a carico, potreb- be forse risposarsi per assicurare la stabilità economica ed emotiva propria e, soprattutto, dei figli? RISPOSTA: Una situazione di certo dolorosa, che però non può essere risolta dal peccato. Un secondo male non cancella né compensa il primo, ma si aggiunge ad esso aggravandolo. – IX – La Comunione per i separati, divorziati e divorziati-risposati 66 DOMANDA: Una persona separata può ricevere il Sacramento della Comunione? RISPOSTA: Una persona separata dal proprio coniuge, se non ha contratto un’unione stabile con un’altra persona, può ricevere la Comunione sacramentale, ovviamente purché sia in stato di grazia. 67 DOMANDA: Una persona che ha senza colpa subìto il divorzio ma non si è risposata, può ricevere la Comunione sacramentale? RISPOSTA: Una persona che ha subìto il divorzio ma non si è risposata, può ricevere la Comunione sacramentale, ovviamente purché sia in stato di grazia. 68 DOMANDA: Un divorziato risposato può ricevere la Comunione sa- cramentale? RISPOSTA: Quali che siano le sue intenzioni soggettive, una persona notoriamente divorziata e risposata civilmente si trova oggettivamente «in – 43 – La Comunione per i separati, divorziati e divorziati-risposati stato di peccato grave manifesto» (Codice di Diritto Canonico, n. 915); pertanto essa non può ricevere l’Eucaristia. Se lo facesse, trattandosi di peccato pubblico, al sacrilegio si aggiungerebbe lo scandalo. «Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650). «La Chiesa ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter essere ammessi, poiché il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sulla indissolubilità del matrimonio» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris con- IX sortio, n. 84). 69 DOMANDA: Un divorziato-risposato che fosse convinto in coscien- za di poter ricevere l’Eucaristia, potrebbe farlo a buon diritto? RISPOSTA: «I pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che questo suo giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica circa la ricezione della Comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati, 14-9-1994, n. 6). 70 DOMANDA: Questa proibizione però è solo una disposizione dell’attuale Codice di Diritto Canonico (can. 915); in futuro, potrebbe essere forse cambiata da una nuova disciplina? RISPOSTA: «Per sua natura, la proibizione fatta nel citato canone deriva dalla Legge divina e trascende l’àmbito delle leggi ecclesiastiche – 44 – positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa» (Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa Comunione dei divorziati risposati, 24-6-2000, n. 1). 71 DOMANDA: Un divorziato-risposato può fare almeno la Comunione spirituale? RISPOSTA: Per partecipare dei frutti del Sacramento della Comunione, sia mediante la sua ricezione che mediante la Comunione spirituale, è necessario essere in stato di grazia (Concilio di Trento, Decreto sulla Santissima Eucaristia, Capitolo VIII). In questo senso, le persone che si trovano in stato di peccato grave come, per esempio, gli adulteri, non ricevono tali frutti. Tuttavia queste persone possono e devono aspirare ad unirsi a Cristo chiedendo le grazie necessarie per abbandonare il peccato e poter portare una vita virtuosa. 72 DOMANDA: Ricevere l’Eucaristia non può forse diventare, anche nei divorziati-risposati, una medicina spirituale che favorisca la loro piena conversione? RISPOSTA: Chi riceve l’Eucaristia non assume una mera medicina spirituale, ma riceve realmente il Corpo e il Sangue di Cristo, e per riceverlo bisogna esserne degni, ossia essere in stato di grazia. Ma i divorziati risposati si trovano oggettivamente in situazione di peccato mortale. Se quindi ricevono la Comunione sacramentale, essi rischiano di commettere un sacrilegio; la loro Comunione, quindi non diventerebbe una medicina ma anzi un veleno spirituale. Se un celebrante ammette tale Comunione sacrilega, delle due l’una: o non crede nella Presenza Reale di Cristo o non crede che essere divorziati risposati costituisca situazione di peccato mortale. «Desidero ribadire che vige, e vigerà sempre nella Chiesa, la norma con cui il Concilio di Trento [De Eucharistia, canone XI] ha concretizzato la severa ammonizione dell’Apostolo Paolo (1 Cor 11, 29), affermando che, al fine di ricevere degnamente l’Eucaristia, se uno è consapevole di essere in peccato mortale, deve premettere la Confessione dei peccati» (s. Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 17-4-2003, n. 36). 73 DOMANDA: Una persona divorziata e risposata è «scomunicata», si trova dunque fuori dalla Chiesa? RISPOSTA: Una persona divorziata e risposata non perde la propria condizione di battezzata, per cui continua ad essere membro della Chie– 45 – La Comunione per i separati, divorziati e divorziati-risposati sa ed è tenuta a osservarne i precetti, come ad esempio la santa Messa nei giorni dovuti. Comunque, la Chiesa non la abbandona alla solitudine, ma anzi la incoraggia a frequentare la vita della Chiesa e ad usare i mezzi di salvezza che può ricevere per purificarsi e tornare all’amicizia con Dio. In questa frequentazione, la persona divorziata e risposata deve evitare comportamenti che possano causare scandalo, creando la falsa impressione che la sua situazione nella Chiesa sia regolare. «Nonostante la loro situazione, i divorziati risposati continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita, attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’adorazione eucaristica, la preghiera, (…) la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli» IX (Papa Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, Esortazione apostolica, 22-22007, n. 29). «I sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di attenta sollecitudine verso i cristiani che vivono in questa situazione, (…) affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa, alla vita della quale possono e devono partecipare in quanto battezzati. Essi siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, ad assistere al Sacrificio della Messa, e perseverare nella preghiera, (…) a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per implorare ogni giorno la Grazia divina» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1651). 74 DOMANDA: Per essere riammesso all’Eucaristia, non basta che un pubblico peccatore sia sinceramente pentito? RISPOSTA: Per una riammissione all’Eucaristia, il divorziato risposato deve anche esprimere l’efficace proposito di non più peccare, ossia di emendarsi: il che comporta l’uscire dalla situazione di scandalo, ad esempio rompendo i legami illeciti contratti. Solo così il peccatore dimostra di essersi convertito e di voler fare penitenza. Se poi il divorziato risposato non può abbandonare la casa in cui convive con il coniuge adulterino, ad esempio perché è obbligato a curare l’educazione dei figli, egli deve comunque impegnarsi a vivere castamente con il proprio convivente, ossia «sotto lo stesso tetto ma non nello stesso letto». – 46 – 75 DOMANDA: E’ vero che, come dice il cardinale Walter Kasper, nella Chiesa delle origini vigeva una tolleranza ammessa e diffusa per la Comunione dei divorziati risposati? RISPOSTA: Nessun Concilio dell’antichità o nessun Padre della Chiesa hanno ammesso di norma alla Comunione sacramentale i divorziati civilmente risposati. Lo dimostrano alcuni studi recenti che riprendono le conclusioni del rinomato patrologo Henri Crouzel S.J. e che confutano la tesi del card. Kasper (cf. John M. Rist, Divorzio e seconde nozze nella Chiesa antica – riflessioni storiche e culturali, in Permanere nella Verità di Cristo, Cantagalli, Siena 2014, pp. 59-85). Le citazioni del cardinale Kasper non sono corrette e non sono contestualizzate con altre citazioni delle stesse fonti. Scrive il p. Pérez-Soba: «Così facendo, egli [Kasper] mette a tacere un fatto manifesto: il numero di testi dei Padri che negano tassativamente questa possibilità è ben più elevato e sono testi più schietti e chiari rispetto ai brani che il cardinale cita» (J.J. Pérez-Soba, L’esperienza della chiesa antica, fedeltà al Vangelo della Famiglia, in Pérez-Soba e Kampowski, op. cit. p. 97). Comunque sia, le decisioni dei Concilii generali e dei Sinodi locali, sia nella loro forma che nel loro contenuto, sono da ritenersi valide solo se corrispondono alle esigenze dell’autentica e costante Tradizione della Chiesa, rispondente all’aurea regola di s. Vincenzo di Lerino: «quod sempre, quod ubique, quod ab omnibus» (cf. card. Walter Brandmüller, Unità e indissolubilità del matrimonio, in Aa. Vv., Permanere nella Verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena 2014, cap. V). 76 DOMANDA: Le Chiese ortodosse possono benedire con un rito par- ticolare un secondo matrimonio che non ritengono un sacramento ma una soluzione per evitare un peccato maggiore e, dopo questa benedizione, possono ammettere i conviventi ai sacramenti. Potrebbe forse la Chiesa Cattolica imitare il loro esempio? RISPOSTA: La teologia delle chiese ortodosse sul matrimonio è assai diversa dalla cattolica. Comunque, il caso delle citate pratiche ammesse nelle Chiese ortodosse costituisce una deviazione storica, provocata dalla sottomissione di quelle chiese al potere temporale, non giustificabile né applicabile alla Chiesa Cattolica. Lo dimostra mons. Cyril Vasil’ S.J., segretario della Congregazione per le Chiese orientali, nel suo saggio su Separazione, divorzio e seconde nozze. Approcci teologici e pratici delle Chiese ortodosse (in Aa. Vv., Permanere nella verità di Cristo, cit, cap. IV). – 47 – DOMANDA: Come mai nel Sinodo alcuni padri hanno insistito nel proporre di ammettere alla Comunione i divorziati risposati? Omosessualità e unioni omosessuali 77 di Trento, cap. VI; cf. anche Concilio Vaticano II, Sacrosantum Concilium, 55), non si può asserire che chi non l’ha fatto non abbia adempiuto X al precetto. RISPOSTA: Anche nella Chiesa, molti sono sedotti dall’idea soggettiva secondo cui tutti hanno eguale diritto a tutto, e negare una facoltà concessa ad altri costituisce una inammissibile discriminazione; ricevere la Comunione non costituisce un «diritto umano», per cui la Chiesa può negarlo a chi non ne ha diritto essendone incapace o indegno. Anche se per una vera e piena partecipazione alla Messa è vivamente raccomandabile la ricezione della Comunione (cf. Concilio –X– Omosessualità e unioni omosessuali 78 DOMANDA: Le tendenze omosessuali sembrano essere naturali; la loro soddisfazione non costituisce, quindi, un atto lecito? RISPOSTA: La inclinazione omosessuale, benché non sia peccaminosa, costituisce «tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, 2, 1992). Le persone con questa inclinazione vanno trattate con delicatezza e compassione e stimolate alla pratica della castità (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2358-2359). Invece, gli atti omosessuali comportano un uso della sessualità contro il suo fine naturale e, se sono liberamente compiuti, vanno riprovati perché sono imputabili come moralmente colpevoli. «La Sacra Scrittura presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (cf. Gn. 19, 1-29; Rm 1, 24-27; 1 Cor 6, 9– 48 – 10; 1 Tim 1, 10). La tradizione ha sempre dichiarato che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati; essi infatti sono contrari alla Legge naturale, precludono all’atto sessuale il dono della vita, non sono frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale; pertanto, non possono essere approvati in nessun caso» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357). 79 DOMANDA: Non possiamo forse dire che l’amore tra due persone dello stesso sesso è, se non identico, almeno simile a quello fra un uomo e una donna? RISPOSTA: «Il termine “amore” è oggi diventato una delle parole più usate ed anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti», affermò molto appropriatamente il Papa Benedetto XVI (enc. Deus caritas est, n. 2). Nel caso specifico della domanda, essa comprende due realtà diverse: l’attrazione erotica (o «amore di concupiscenza») e una forma di amore più elevata denominata «amore di dilezione», che può esistere senza nessuna connotazione sessuale tra persone dello stesso o diverso sesso (per es., l’amore paterno, materno, filiale, fraterno o tra amici). Oltre alla mera attrazione erotica, è questo amore di dilezione che porta un uomo e una donna a scegliersi vicendevolmente come coniugi, al fine di generare una prole, e per praticare «la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla Croce» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 13). Essendo le unioni omosessuali incapaci di compiere il fine procreativo della natura e, pertanto, gravemente peccaminose, esse non possono servire oggettivamente da fondamento a questa superiore forma di amore che è la carità coniugale. 80 DOMANDA: Due persone dello stesso sesso che convivono non po- trebbero forse ufficializzare la loro unione contraendo matrimonio? RISPOSTA: Essendo per natura unione tra due persone di sesso diverso finalizzata a procreare figli di entrambi, il matrimonio può essere celebrato solo fra un maschio e una femmina. Due persone dello stesso sesso non possono contrarre un matrimonio valido e la loro convivenza non può costituire una famiglia nel senso proprio della parola. La loro unione non è secondo natura né aperta alla vita e, come tale, è moralmente illecita. – 49 – Omosessualità e unioni omosessuali 81 DOMANDA: Un vescovo ha sostenuto che riconoscere le coppie omosessuali costituisca «un discorso di civiltà». Un altro si è azzardato perfino a proporre che l’unione omosessuale venga, se non parificata, almeno assimilata a quella matrimoniale, ad esempio autorizzandola con una benedizione sacerdotale. E’ possibile quest’assimilazione? RISPOSTA: L’unione omosessuale è una convivenza erotica tra amanti che comporta l’uso contro natura della sessualità. Pertanto l’unione omosessuale è gravemente peccaminosa e non è assimilabile a quella matrimoniale, tantomeno può essere benedetta dalla Chiesa; anzi, bisogna opporsi ai recenti tentativi di legalizzarla sotto qualunque forma. «Se, dal punto di vista legale, il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse considerato solo come uno dei matrimoni possibili, il concetto stesso di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave danno del bene comune» (Congregazione della X Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 28-3-2003, n. 8 - testo approvato da s. Giovanni Paolo II). 82 DOMANDA: Una persona pietosa e comprensiva, come potrebbe condannare gli omosessuali alla prospettiva di reprimere costantemente i loro istinti? RISPOSTA: Come tutti, anche gli omosessuali sono obbligati dalla legge morale a controllare le passioni sregolate e a vivere castamente secondo il loro stato. «Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Mediante le virtù della padronanza di sé, educatrici della padronanza esteriore, (…) con la preghiera e la Grazia sacramentale, essi possono e devono, gradualmente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2359). – 50 – – XI – Alcune parole-chiavi del dibattito sinodale LE PAROLETALISMANI 83 DOMANDA: Un documento del Sinodo ha accennato al fatto che la pastorale ecclesiale deve realizzare anche una «conversione del linguaggio» (Relatio post disceptationem, n. 29). Prima, durante e dopo il Sinodo, il dibattito sulla situazione della famiglia ha visto l’imporsi di alcune parole-chiavi che hanno dato una certa impostazione alla problematica trattata. Ad esempio, fin dal suo Documento Preparatorio (n. 1), il Sinodo ha evidenziato «la vasta accoglienza che sta avendo ai nostri giorni l’insegnamento sulla misericordia divina e sulla tenerezza nei confronti delle persone ferite…». Come valutare queste parole-chiavi? RISPOSTA: «Persone ferite», «misericordia», «accoglienza», «tenerezza», «approfondimento», sono esempi di parole che potrebbero subire un uso unilaterale, semplificatorio e in questo senso potrebbero avere una sorta di effetto talismanico. 84 DOMANDA: Cosa sarebbero queste «parole-talismani»? RISPOSTA: La «parola talismano» è un vocabolo, di per sé legittimo, dal forte contenuto emotivo, scelto soprattutto per essere così duttile e mutevole da assumere vari significati secondo i contesti in cui viene usato. Questa sua elasticità lo rende passibile di un uso propagandistico e lo sottomette a possibili abusi per scopi ideologici. Ad esempio, la parola talismano è strumento utile per realizzare un «trasbordo ideologico inavvertito»: ossia un processo che cambia la mentalità dei «pazienti» senza che questi se ne rendano ben conto, spostandoli da una posizione legittima ad una illegittima. Manipolata dalla propaganda, la parola talismano assume gradualmente significati sempre più vicini alle posizioni ideologiche alle quali si vuole trasbordare i «pazienti» (cf. Plinio Corrêa de Oliveira, Trasbordo Ideologico Inavvertito e Dialogo, Il Giglio, Napoli 2012, cap. III; cf. anche, Warwick Neville, Manipolazione del linguaggio, in Lexicon, cit. pp. 630-639). – 51 – Alcune parole-chiavi del dibattito sinodale Questo procedimento può essere applicato facilmente anche all’ambito ecclesiale. Infatti, l’uso di alcune parole piuttosto che di altre può spingere il fedele a sostituire un giudizio morale con uno sentimentale, o un giudizio sostanziale con uno formale, giungendo a considerare come buono, o almeno tollerabile, ciò che all’inizio era considerato cattivo. L’ APPROFONDIMENTO 85 DOMANDA: Che esempi ci sono di “parole talismani” usate nel dibattito attorno al Sinodo? RISPOSTA: Abbiamo il caso della parola «approfondimento». Nel linguaggio comune, essa significa una maggiore comprensione di un concetto o di una realtà, in modo da chiarirne i fondamenti. Invece, nella propaganda mass-mediatica, essa viene usata per favorire un cambiamento di giudizio su quel concetto o su quella realtà, ovviamente in senso permissivo, fino a negarla nel suo fondamento. «Questi che sono etichettati come “approfondimenti” sono dunque, nelle intenzioni di chi li sponsorizza, mutamenti sostanziali della dottrina fin qui insegnata dal Magistero, e andrebbero pertanto etichettati piuttosto come rottura con la Tradizione. Si tratta infatti di piccoli passi nella direzione di una normativa che andrebbe a rivoluzionare la struttura stessa della disciplina ecclesiastica, a tal punto che (…) comporterebbero (…) una vera e propria rottura con la dottrina del Magistero. (…) Trovo alquanto ipocrita l’uso dell’etichetta dell’ “approfondimento” per propagandare una riforma della Chiesa che finisca per abolire i fondamenti dogmatici della sua fede e della sua disciplina» (mons. XI Antonio Livi, già decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense, Approfondimento della dottrina? No, è tradimento, su La Nuova Bussola Quotidiana, 21-12-2014). 86 DOMANDA: Tuttavia, possiamo forse dire che l’attuale situazione d’insensibilità richiede che le verità e le norme morali siano proposte e applicate gradualmente, a misura della coscienza dei singoli o dell’opinione pubblica? RISPOSTA: La graduale consapevolezza della legge morale non dispensa il fedele dall’obbligo di giungere a conoscerla e praticarla per intero. – 52 – «I coniugi non possono considerare la Legge solo come un mero ideale da raggiungere in futuro, ma debbono valutarla come un comando di Cristo Signore a impegnarsi a superare le difficoltà. Perciò la cosiddetta “legge della gradualità”, o cammino graduale, non può identificarsi con la “gradualità della legge”, come se nella Legge divina ci fossero vari gradi e varie forme di precetto per uomini e situazioni diverse» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 34). LE PERSONE FERITE 87 DOMANDA: Chi sarebbero allora le «persone ferite»? RISPOSTA: Nell’attuale discussione, questa formula allude a persone che vivono in stato di peccato grave e pubblico: conviventi, divorziati risposati, coppie omosessuali e via dicendo. Chiamandoli «persone ferite», si evita di esprimere un giudizio morale e si risalta un aspetto, vero ma secondario, della loro concreta situazione, usando nei loro confronti un termine atto a suscitare compassione: sono solo «persone ferite», forse vittime incolpevoli, alle quali non si può imputare una mancanza grave. Di fronte a una «persona ferita», ovviamente la reazione normale è quella di venirle incontro per soccorrerla. Nel nostro caso, per non aggravare la sofferenza psicologica della persona, ogni giudizio morale su di lei viene evitato, in quanto inopportuno. Al contrario, il sentimento di «misericordia» e di «tenerezza» nei suoi confronti è raccomandato in quanto è ritenuto l’unico ammissibile nel valutare la sua situazione e, quindi, nel progettare una pastorale adatta a lei. Alla fine di questo processo, il sentimento compassionevole però rischia di giustificare la condizione peccaminosa, cambiando quindi il giudizio dottrinale del Magistero pur di non far soffrire ulteriormente la «persona ferita». 88 DOMANDA: Ma non è appunto questo l’atteggiamento suggerito dalla nota parabola evangelica del «buon samaritano» (Lc 10, 25-37)? RISPOSTA: Al contrario, la magnifica parabola del «buon samaritano» viene qui fraintesa. Letta secondo la mentalità oggi dominante, essa infatti ci conduce a una conclusione paradossale. Il soccorritore è talmente preoccupato di risparmiare ulteriori sofferenze al ferito, – 53 – Alcune parole-chiavi del dibattito sinodale da minimizzare la gravità del suo male, da risparmiargli quelle cure dolorose che potrebbero risanarlo e da limitarsi a somministrare palliativi che gli alleviano la sofferenza, con la conseguenza di rendere cronico il male subito. Per non turbare il ferito suscitandogli sensi di colpa, il soccorritore non lo ammonirà ad evitare la strada pericolosa lungo la quale è rimasto ferito, per cui il poveretto, mal curato e mal consigliato, rischierà di ricadere nella sventura passata. LA MISERICORDIA 89 DOMANDA: Un’altra parola-chiave usata attorno al dibattito sinodale è stata “misericordia”. Se Dio perdona sempre i peccatori, non dovrebbe la Chiesa usare misericordia attenuando il proprio rigore sulle situazioni irregolari, ad esempio togliendo il divieto di accesso ai Sacramenti? XI RISPOSTA: «E’ un argomento debole in materia teologico-sacramentaria, anche perché tutto l’ordine sacramentale è esattamente opera della misericordia divina e non può essere revocato richiamandosi allo stesso principio che lo sostiene (…) Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia, s’incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Egli non potrebbe fare altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono queste perfezioni di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la Sua misericordia. (…) La misericordia non è una dispensa dai Comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa» (card. Gerhard Müller, Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i Sacramenti, in Aa. Vv., Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena 2014, pp. 151-152). «“Misericordia” è un’altra parola facilmente esposta agli equivoci. (…) Poiché essa è collegata all’amore, essa, come l’amore, viene presentata in contrasto con il diritto e la giustizia. Ma si sa bene che non esiste amore senza giustizia e senza verità e operando contro la legge, sia umana che divina. San Paolo dirà che la regola è “l’amore che compie le opere della Legge” (Gal 5, 1318). (…) Davanti alla Legge divina, non si può porre il contrasto – 54 – tra misericordia e giustizia, tra rigore della Legge e misericordia del perdono. (…) L’adempimento di un Comandamento divino non è e non può essere visto opposto all’amore e alla misericordia. Anzi, ogni comandamento di Dio, anche il più severo, ha il volto dell’amore divino, anche se non dell’amore misericordioso. Il comandamento della indissolubilità del matrimonio e della castità matrimoniale è dono di Dio e non lo si può opporre alla misericordia di Dio. (…) Nel caso concreto, il ricorso alla misericordia non sarebbe altro che violazione diretta della Legge divina» (card. Velasio De Paolis, Prolusione cit. pp. 27 e 22). 90 DOMANDA: Nel dibattito attorno al Sinodo, la misericordia porta a considerare le situazioni irregolari non dal punto di vista della legge e del dovere, ma da quello della comprensione e del perdono, un approccio «non fondato su valutazioni morali ma sulla vulnerabilità delle persone» (tesi dell’eterodossa lobby che si pretende Wir sind Kirche, cioè «Noi siamo Chiesa»). Non è questa forse una impostazione tipicamente cristiana della questione? RISPOSTA: La Chiesa non può comportarsi come un imbonitore che illude i sofferenti offrendo pozioni che non fanno sentire il dolore ma aggravano la malattia. Anzi, da quel vero «buon samaritano» che è figura del Cristo, la Chiesa deve agire come un saggio medico che mira a risanare i malati e feriti spirituali usando le medicine più efficaci, anche se dolorose, per liberarli dal male e risparmiarli dalle pericolose ricadute. Ciò presuppone che la Chiesa non nasconda ai malati la gravità della loro situazione né sminuisca la loro responsabilità, ma anzi apra a loro gli occhi e il cuore prima ancora di chiudere le ferite. Certamente la cura dev’essere misericordiosa, ossia deve tener conto della vulnerabilità delle persone. Ma questa precauzione deve favorire la cura, non impedirla illudendosi che i palliativi possano guarire un malato grave che rifiuta la medicina risolutiva. Inoltre, non si confonda la vulnerabilità del malato che soffre per un terapia dolorosa con la suscettibilità di chi rifiuta di curarsi. «La strada della Chiesa (…) è sempre quella di Gesù, della misericordia. Questo non vuol dire sottovalutare i pericoli o far entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figliol prodigo pentito, sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato» (Papa Francesco, Omelia della Santa Messa del 15-2-2015 con i nuovi cardinali). – 55 – Alcune parole-chiavi del dibattito sinodale XI 91 DOMANDA: Nel dibattito sinodale, la «misericordia» è il criterioguida di ogni approccio pastorale; questo criterio non dovrebbe forse prevalere sulle esigenze della dottrina morale in modo da cambiarne il giudizio? RISPOSTA: La misericordia può superare la giustizia ma non può violarla, altrimenti sarebbe ingiusta; tantomeno può smentire la verità, altrimenti sarebbe falsa. Inoltre, proprio per il fatto di operare nel campo pratico, la misericordia non può interferire in quello dottrinale, per cui non può mutare il giudizio morale sulla condotta. Altrimenti, una tale «misericordia» cadrebbe sotto la nota condanna biblica: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che danno l’amaro per dolce e il dolce per amaro!» (Is. 5, 20). «Non si può identificare l’amore con la misericordia. Questa è certamente un volto dell’amore, ed è ancor amore in quanto però comunica il bene che elimina ogni male. Ma l’amore si può a volte esprimere, e in alcuni casi si deve, con la negazione della misericordia intesa come condiscendenza benevola, peggio ancora, come approvazione» (card. Velasio De Paolis, Prolusione cit., p. 22). «La misericordia in quanto virtù non è estranea alla giustizia. (…) Non possiamo lasciare spazio ad una misericordia ingiusta, poiché sarebbe una profonda falsificazione della Rivelazione divina. (…) Un’azione ingiusta, quindi, non è mai misericordiosa. Quello che differenzia la misericordia dalla sola compassione, è che lo scopo della misericordia è di “rimuovere l’altrui miseria”; in altri termini, la misericordia è attiva contro il male che l’altro subisce. Non è misericordia la falsa consolazione che porta a dire che si tratta di un “male minore”, se non si libera da esso colui che lo subisce. (…) La misericordia nasce dall’amore per la persona al fine di curarla dal male della infedeltà che l’affligge e che le impedisce di vivere nell’Alleanza con Dio. E’ qualcosa di ben diverso dal consentire all’infedeltà senza una trasformazione interiore mediante la grazia, come se Dio coprisse i nostri peccati senza convertire il cuore ripulendolo. Si tratta di una differenza dogmatica importante tra la concezione di giustificazione cattolica e quella luterana» (J. J. Pérez-Soba, La verità del Sacramento Sponsale, in Pérez-Soba e Kampowski, op. cit. pp. 60, 70-71-75). – 56 – 92 DOMANDA: Ma, in fin dei conti, come potrebbe apparire la Chiesa solo come una Maestra e Giudice severa? RISPOSTA: «Anche nel campo della morale coniugale, la Chiesa è ed agisce come Maestra e Madre. Come Maestra, essa non si stanca di proclamare la norma morale che deve guidare la responsabile trasmissione della vita. Di tale norma, la Chiesa non è affatto autrice né arbitra. In obbedienza alla Verità, che è Cristo, (…) la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione. Come Madre, la Chiesa si fa vicina alle molte coppie di sposi che si trovano in difficoltà su questo punto importante della vita morale. (…) Ma è la stessa e unica Chiesa a essere insieme Maestra e Madre! Per questo, essa non smette mai d’invitare e d’incoraggiare, affinché le eventuali difficoltà coniugali siano risolte senza mai falsificare e compromettere la verità. (…) Per questo, la pedagogia concreta della Chiesa dev’essere sempre connessa alla sua dottrina e mai separata da questa. (…) Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo “è eminente forma di carità verso le anime”» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 33). «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Redentore stesso ha dato l’esempio nel trattare gli uomini. Venuto non per giudicare, ma per salvare, egli fu certo intransigente con il male, ma paziente e misericordioso verso i peccatori» (b. Paolo VI, enc. Humanae Vitae, 29). – XII – Applicazioni della misericordia alla situazione familiare 93 DOMANDA: Oggi c’è tanta ignoranza sul matrimonio; ciò non signi- fica forse che la maggior parte dei matrimoni sono da considerarsi nulli? RISPOSTA: Alla ignoranza si deve rimediare con una preparazione seria al matrimonio, la quale comporta l’insegnamento della dottrina. È davvero curioso che molte persone che oggi, davanti al fatto dell’ignoranza, richiedono un allentamento della disciplina morale della Chiesa, siano le stesse che prima avevano difeso proprio quell’allentamento dell’educazione morale che ha causato tale ignoranza. – 57 – Applicazioni della misericordia alla situazione familiare XII «La preparazione remota al matrimonio è estremamente importante e potrebbe essere una buona idea iniziarla prima che i giovani in una determinata società tendano a diventare sessualmente attivi, cosa che in Occidente significherebbe prima dell’adolescenza. (…) Chiaramente, la Chiesa è chiamata a curare le ferite e a guarirle, ma come sa ogni buon medico, la miglior medicina è la prevenzione. I giovani sono molto più aperti a parlare della virtù della castità di quanto spesso non si creda» (Stephan Kampowski, Una vita vissuta nel tempo, in Pérez-Soba Kampowski, cit. pp. 134-135). 94 DOMANDA: Un approccio pastorale improntato alla misericordia non dovrebbe facilitare i processi di nullità del vincolo matrimoniale? RISPOSTA: Secondo l’eminente canonista cardinale Raymond Leo Burke, l’attuale processo di nullità garantisce una piena giustizia alle parti in causa, per cui non ci sarebbe bisogno di modificarlo nella sua struttura attuale (cf. card. Raymond Burke, Il processo di nullità canonica del matrimonio come ricerca della verità, in Aa. Vv., Permanere nella verità di Cristo, cit., cap. IX). Ovviamente, la grande soluzione pastorale sta nell’assicurarsi che i matrimoni siano contratti consapevolmente e validamente e nel rendere accessibili gli eventuali processi di nullità a tutti i livelli, anche per coloro meno istruiti . Ma non è prudente mettere in questione la validità di molti matrimoni pur di accontentare l’infima minoranza dei divorziati risposati che pretendono di ricevere la Comunione senza emendarsi. «La carità senza giustizia non è tale, ma soltanto una contraffazione, perché la stessa carità richiede questa oggettività tipica della giustizia, che non va confusa con disumana freddezza. A tale riguardo, come ebbe ad affermare il mio Predecessore, il venerabile Giovanni Paolo II, nella locuzione dedicata ai rapporti tra pastorale e diritto: “Il giudice (…) deve sempre guardarsi dal rischio di una malintesa compassione che scadrebbe in sentimentalismo, solo apparentemente pastorale” (discorso del 18 gennaio 1990, n.5). Occorre rifuggire da richiami pseudo pastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive per giungere ad ogni costo alla dichiarazione di nullità, al fine di poter superare, tra l’altro, gli ostacoli alla ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Il bene altissimo della riammissione alla Comunione eucaristica dopo la riconciliazione sacramentale, esige invece di – 58 – considerare l’autentico bene delle persone, inscindibili dalla verità della loro situazione canonica. Sarebbe un bene fittizio, e una grave mancanza di giustizia e di amore, spianare loro comunque la strada verso la ricezione dei sacramenti, con il pericolo di farli vivere in contrasto oggettivo con la verità della propria condizione personale» (Papa Benedetto XVI, Discorso alla Rota Romana, 29-1-2010). – XIII – Il ruolo della grazia soprannaturale nell’impegno per la castità familiare 95 DOMANDA: L’uomo d’oggi sembra incapace di assumere impegni definitivi, da rispettare per tutta la vita; il matrimonio monogamico e indissolubile sembra quindi impraticabile dalla maggioranza delle persone. Ma allora, la Chiesa non risulta forse utopistica nel pretendere che i familiari pratichino le virtù della fedeltà e della castità? RISPOSTA: Dio non chiede all’uomo di raggiungere un fine impraticabile, di rispettare un impegno superiore alle sue forze. Se le forze naturali sono insufficienti, allora la Provvidenza dona forze soprannaturali adeguate a compiere la sua missione. Nostro Signore Gesù Cristo non chiede niente d’impossibile ai coniugi, ai genitori, ai figli; perciò Egli dona a loro la grazia sufficiente. «La dignità e la responsabilità della famiglia cristiana come “chiesa domestica” possono essere vissute solo con l’incessante aiuto divino, che immancabilmente sarà concesso se sarà implorato con umiltà e fiducia nella preghiera» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 59). 96 DOMANDA: Com’è possibile vivere in una condizione di castità? RISPOSTA: «Tutti i credenti in Cristo sono chiamati a condurre una vita casta, secondo il loro particolare stato di vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2348). La Chiesa insegna che sia la castità assoluta fuori dal matrimonio, sia quella relativa all’interno del matrimonio, sono secondo natura e quindi teoricamente possibili. Tuttavia, in concreto, a causa del Peccato Originale, mantenere durevolmente la castità è possibile solo con l’aiuto della Grazia, con la quale un impegno pesante diventa leggero: «Il mio giogo è – 59 – Il ruolo della grazia soprannaturale soave e il mio peso è leggero» (Mt. 11, 29-30). Una volta che l’abitudine alla lussuria è stata sostituita dall’abitudine alla castità, questa diventa una virtù gratificante. «La castità richiede l’acquisizione del dominio di sé, che è pedagogia per la libertà umana. L’alternativa è evidente: o l’uomo comanda alle sue passioni e consegue la pace, oppure si lascia asservire da esse e diventa infelice» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2339). 97 DOMANDA: Anche se in teoria la castità è forse praticabile, come può esserlo nella nostra epoca dominata dal pansessualismo? RISPOSTA: È sempre stato difficile mantenere la castità; lo è ancor più nella società moderna, in cui ambienti, cultura, mezzi di comunicazione, favoriscono la lussuria. Oggi più che mai, per mantenere la castità il fedele deve andare controcorrente, per cui gli è particolarmente necessario il soccorso della grazia divina, mediante la preghiera, l’ascesi e la penitenza. Ma proprio perciò, ripetiamo, vivere castamente risulta più meritevole e gratificante che in passato. «La dignità dell’uomo esige ch’egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, cioè mosso e indotto da convinzioni personali e non per cieco impulso o per mera coazione esterna. Ma l’uomo conquista tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù delle passioni, tende al proprio fine scegliendo liberamente il bene» (Gaudium et spes, n. 17). XIII 98 DOMANDA: Com’è possibile, per due sposi, vivere in una condizio- ne di castità coniugale? RISPOSTA: La castità coniugale non è una esigenza irrealizzabile, anzi è condizione di un matrimonio e di una famiglia sani e fecondi e socialmente benèfici. «Questa inequivocabile insistenza sulla indissolubilità del vincolo matrimoniale ha potuto lasciare perplessi e apparire come un’esigenza irrealizzabile (Mt. 19, 10). Tuttavia, Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e troppo gravoso (Mt. 19, 29-30). (…) Venendo a restaurare l’ordine della creazione sconvolto dal peccato, Egli stesso dona la forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova dimensione del Regno di Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1615). – 60 – 99 DOMANDA: Non appare forse evidente che la causa della famiglia è persa e che ormai non c’è più niente da fare? RISPOSTA: Da fare ce n’è anche troppo e con urgenza! Invece di lamentarsi della situazione e rassegnarsi al peggio, è ora che i cristiani si mettano all’opera per ricuperare il terreno perduto e usare tutti i mezzi necessari, ricordando che «tutto posso in Colui che mi conforta» (Fil. 4, 13). «Amare la famiglia, significa stimarne i valori e le capacità, promuovendole sempre. Amare la famiglia, significa individuare i pericoli e i mali che la minacciano, per poterli superare. Amare la famiglia, significa impegnarsi a crearle un ambiente che ne favorisca lo sviluppo. Infine, è forma eminente di amore ridare alla famiglia cristiana odierna, spesso tentata dallo sconforto e angosciata per le cresciute difficoltà, ragioni di fiducia in sé stessa, nelle proprie ricchezze di natura e di Grazia, nella missione che Dio le ha affidato» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 86). 100 DOMANDA: Che cosa fare allora? RISPOSTA: «Noi vogliamo richiamare l’attenzione degli educatori e di quanti assolvono compiti di responsabilità in ordine al bene comune dell’umana società, sulla necessità di creare un clima favorevole all’educazione alla castità, cioè al trionfo della sana libertà sulla licenza, mediante il rispetto dell’ordine morale. Ai governanti, che sono i principali responsabili del bene comune e tanto possono per la salvaguardia del costume morale, noi diciamo: non lasciate che si degradi la moralità dei loro popoli; non permettete che pratiche contrarie alla Legge naturale e divina s’introducano in modo legale in quella cellula fondamentale dello Stato che è la famiglia» (b. Paolo VI, Humanae vitae, nn. 22-23). Concludiamo dicendo che la Sacra Famiglia di Nazareth è il modello per eccellenza della famiglia, perché realizza la comunione di amore, il suo carattere sacro e inviolabile. Per la salvezza della famiglia, i Papi hanno raccomandato la devozione al Sacro Cuore di Gesù. In questa prospettiva, Dio soccorrerà le famiglie in difficoltà con la sua Grazia onnipotente, la Madonna le assisterà col suo materno patrocinio, la Chiesa le aiuterà con la parola, la preghiera, i Sacramenti e la fattiva carità. – 61 – — «Ritengo che questo volume, per la chiarezza dell’impostazione teologica, per la singolare chiarezza e lealtà della lettura della tradizione magisteriale sulla famiglia, può rappresentare uno strumento validissimo per aiutare il popolo cristiano a vivere la prova di questo dibattito interno alla Chiesa, non sempre libero e sensato, come una occasione di maturazione della fede. La maturazione della fede infatti, è l’unica ragione delle prove che Dio permette per tutto il popolo cristiano, cominciando dai più umili cioè dai più santi. Con gli auguri di un’ampia e felice diffusione». Mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Abate di Pomposa, Italia — «Do pieno appoggio e incoraggio la pubblicazione e la distribuzione del libro “Opzione preferenziale per la famiglia: cento domande e cento risposte intorno al Sinodo”. Questo libro sarà uno strumento utilissimo per tutti i lettori che considerano seriamente la nozione che “Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare” (Gaudium et Spes, 47)». Sua Ecc.za Rev.ma, Mons. Anthony Sablan Apuron, OFM CAP., D.D., Arcivescovo metropolita di Agana (USA) — «Il Vademecum Opzione preferenziale per la Famiglia - cento domande e cento risposte intorno al Sinodo è molto utile, perché presenta le risposte ai problemi urgenti che deve affrontare la famiglia odierna, in modo dottrinalmente ben motivato. Il metodo scelto, un Vademecum di “domande-risposte”, consente di consultarlo rapidamente e di trovare le repliche alle domande d’interesse, rendendolo per ciò molto comodo da usare. Mi auguro che il Vademecum possa essere utile sia nella pastorale come pure nella preparazione al Sinodo dei Vescovi sul tema: “La Vocazione e la Missione della famiglia nella Chiesa e nel Mondo contemporaneo”, che si svolgerà il 4-25 ottobre 2015». Mons. Tadeusz Kondrusiewicz, Arcivescovo metropolita di Minsk-Mohilev, Bielorussia — «Sono convinto che faccio un’opera di bene raccomandando la lettura del volumetto Opzione preferenziale per la Famiglia. Voglia la Divina Provvidenza favorirne una vasta diffusione. Un’opera sulla tematica era necessaria giacché, con l’ausilio di argomenti teologici, morali e prudenziali, questo libro costituirà una luce per l’attuale momento in cui tanti fattori stanno minacciando questa istituzione basilare della società. Intanto auguro a quanti lo leggeranno che Maria Santissima del Buon Successo conceda le sue migliori grazie e impartisco loro con beneplacito la mia benedizione episcopale». Mons. Patricio Bonilla Bonilla, OFM, Vicario Apostolico di San Cristóbal, Galápagos, Ecuador