Anteprima Estratta dall' Appunto di Critica
letteraria e letterature comparate
Università : Università degli studi Catania
Facoltà : LettereFilosofia
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Capitolo I
I compiti della letteratura comparata
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Henry Remak definisce la letteratura comparata come lo studio della letteratura al di là dei confini di un paese
particolare e lo studio dei rapporti tra la letteratura e le altre aree della conoscenza. Più che un procedimento critico il
comparatismo è un atteggiamento pratico, poiché considera il testo nella sua instabilità e lo sottopone a continui test di
verifica da punti di vista diversi, comparare è insito nella natura dell'esperienza letteraria ed è un procedimento che
appartiene sia allo “scrittore” che al “lettore”. Secondo questa visione il testo letto o scritto appare non più come il punto
di una retta, ma più come il punto di intersezione di rette infinite. La letteratura comparata nasce nel periodo del
positivismo, il termine fa la sua prima apparizione nel 1816 in Francia, dove fu pubblicata una serie di antologie per
l'insegnamento letterario dal titolo “Cours de littérature comparée”; del 1890 è invece la prima cattedra americana di
letteratura comparata istituita ad Harvard, mentre la prima cattedra europea fu istituita a Lione nel 1897. Ma fu solo grazie
agli articoli (La notion de littérature comparée, La littérature comparée) e alla rivista del 1921 “Revue de Littérature
Comparée” di Paul Van Tieghem che il nome di Letteratura Comparata entrò in uso; prima di allora infatti erano state
usate definizioni come littérature générale o weiltliteratur (letteratura mondiale) coniata da Goethe, ma nessuna di queste
intendeva un sistema di studi regolato ed organizzato. La letteratura mondiale a cui si riferisce Goethe indica un diffuso
stato di interdipendenza tra le culture nazionali, secondo lui riconoscere l'esistenza di una letteratura mondiale significa
riconoscere la libera circolazione delle idee ed assicurare il benessere di tutti, quindi la fine delle guerre. Solo con Van
Tieghem la letteratura comparata diviene una disciplina specifica anche se limitata dall'esclusiva difesa del confronto fra
due lingue diverse, senza poter comparare invece più elementi o addirittura elementi della stessa lingua. René Wellek
attaccò i fondamenti comparatistici della scuola di Van Tieghem fondando la “scuola americana” che concepisce la
letteratura comparata come interdisciplinare, che studia i fenomeni nella loro sincronia e che punta ad una ridefinizione
del concetto stesso di influenza letteraria rinunciando all'approccio puramente documentaristico di cui si erano serviti gli
studi francesi. Tra i grandi comparatisti europei figurano i tedeschi Ernst Robert Curtius ed Erich Auerbach e l'austriaco
Leo Spitzer, che hanno fondato la loro ricerca ed i loro lavori sul salvataggio e sulla difesa culturale. La comparatistica
europea nasce sullo sfondo delle tensioni franco-tedesche tra la fine della guerra franco-prussiana e l'inizio della Prima
Guerra Mondiale, non a caso infatti che i classici della comparatistica siano legati ad una rilettura tedesca dei classici
francesi. Di Curtius è il volume “La letteratura europea ed il medioevo latino” (1948) in cui l'autore lavorando sui temi e
sulle immagini ricorrenti rivela una linea di continuità tra letteratura latina antica e medievale in cui si individua un
umanesimo più antico di quello quattrocentesco. Leo Spitzer, di origini ebree che si rifugiò prima in Turchia e poi negli
Stati Uniti, si interessò a gran parte delle letterature europee senza discriminazioni di epoche. Fulcro della sua indagine è
l'opera come organismo linguistico di cui rivelare l'intimo funzionamento e la specificità rispetto alla norma esterna al
testo; grazie a Spitzer la comparatistica internazionale si è arricchita di una curiosità assoluta verso il particolare e verso
l'indagine sincronica. Il suo metodo è illustrato nel saggio “Linguistics and Literary History” (1948), in cui si affronta la
questione dell'influenza letteraria e del rapporto genealogico tra individualità artistiche; Spitzer porta l'esempio di
Rabelais definito come un eccellente inventore di parole, la sua capacità d'invenzione però va collocata all'interno di un
sistema più ampio, prima di lui infatti Pulci nel “Morgante” mostra una predilezione per gli elenchi di parole e dopo
Rabelais anche Hugo, Balzac e Céline mantennero in qualche modo la peculiarità rabelesiana dell'autonomia della parola,
nonostante questa si fosse esaurita ufficialmente dopo il rinascimento. La linea storica Pulci-Rabelais-Hugo-Céline si
interseca con altre linee storiche e non può essere considerata come un sistema autonomo, ma anzi deve essere valutata in
base ad altre linee storiche la cui intersezione crea l'opera d'arte. Anche Erich Auerbach dopo l'avvento del nazismo si
rifugiò prima ad Istanbul e poi negli U.S.A. A lui si deve l'opera “Mimesis” nata da un grande sforzo mnemonico dato
che Auerbach non possedeva alcuna risorsa bibliografica e in cui sono contenute la maggior parte delle nozioni dei
programmi di letteratura comparata delle università americane. Mentre Curtius quale mira al grande quadro storico,
Auerbach si concentra su pochi frammenti di una pagina letteraria all'interno della quale secondo lui si possono ritrovare
gli elementi fondamentali di un'intera epoca storica; la sua attenzione è rivolta soprattutto alla letteratura volgare di cui il
critico dimostra il progressivo affrancarsi dai vincoli della latinità. La letteratura comparata in Italia, si è diffusa intorno
alla seconda metà dell'Ottocento, tra i massimi esponenti risultano Arturo Graf ed Mario Praz; inoltre nel 1861 fu istituita
una cattedra di letterature comparate ricoperta per qualche anno da Francesco De Sanctis. L'antipositivismo crociano
denunciando le debolezze metodologiche e teoriche della letteratura comparata del tempo ridotta a mera erudizione
positivistica incapace di cogliere la concreta dimensione storica, ha però sentenziato la condanna della comparatistica in
Italia, senza però determinarne la definitiva sparizione. Mario Praz ad esempio, autore del libro “La carne, la morte e il
diavolo nella letteratura romantica” (1930), ricostruisce la sensibilità del decadentismo europeo attraverso l'esame delle
letterature italiana, inglese e francese a partire dai testi romantici del primo '800, evita uno studio meccanico delle
influenze cercando di capire e di mostrare come ciò che è comune ad un intero continente assuma aspetti diversi secondo i
contesti nazionali. Nonostante Praz si distinguesse in senso metodologico dai suoi colleghi comparatisti, la sua opera non
fu comunque apprezzata da Croce che lo accusò di aver ridimensionato il concetto di romanticismo ad una mera corrente
letteraria; l'autore si difese da tali accuse dicendosi autore di una monografia e non di una sintesi; non bisogna ignorare
poi che lo stesso Croce può essere definito un comparatista vista la sua raffinata conoscenza delle letterature francese,
tedesca, inglese e spagnola, ma anche traduttore di Goethe. Negli ultimi anni del '900 si sono susseguiti numerosi tentativi
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di reintrodurre la comparatistica negli atenei, tra i più attivi sostenitori di questo progetto figura Remo Ceserani; benché in
Italia l'esercizio della letteratura comparata si scontri con il modello della storia letteraria nazionale, che trascura le
differenze linguistiche che intercorrono ancora soprattutto a livello locale e che sono invece sottolineate dal comparatista
contemporaneo Gianfranco Contini.
Capitolo II
La tradizione
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Si definisce “intertestuale” il rapporto che si stabilisce o si riconosce tra un testo ed un altro, il testo ripreso è detto
“sottotesto” o “ipotesto” (Genette); compito degli studiosi è di stabilire il valore formale ed ideologico di quel rapporto,
di descriverne le modalità e di appurarne il grado di intenzionalità. Petrarca ad esempio, in una lettera a Boccaccio,
ammette di aver involontariamente commesso plagio in moltissimi casi, questo a dimostrazione dell'ineliminabilità
dell'intertestualità nell'esercizio compositivo di qualunque epoca. In alcune epoche, come nel Rinascimento,
l'intertestualità è di norma (imitatio), così come lo è nel novecento (pastiche). Prendiamo come esempio la poesia
“Soldati” di Ungaretti Si sta come/d'autunno/sugli alberi/le foglie, la lirica ricorda un passo dell'inferno dantesco Come
d'autunno si levan le foglie/l'una appresso de l'altra fin che 'l ramo/ vede a terra tutte le sue spoglie, che a sua volta è
collegata ad un passo di Virgilio Quante cadono nei boschi al primo freddo d'autunno staccate le foglie, ma Soldati è
ancora collegata con Omero. L'ipertestualità non va confusa con la pluridiscorsività, concetto introdotto da Bachtin per
spiegare il linguaggio del romanzo, secondo lui infatti nel genere del romanzo coesistono vari stili e vari linguaggi, ciò
però non implica l'intertestualità, poiché il rapporto in questo caso è basato sul sistema dei registri stilistici. Ad ogni modo
la scoperta di un sottotesto non basta a spiegare lo scopo di un procedimento intertestuale; l'ipotesto deve essere infatti
analizzato in relazione al carattere e alla morfologia dell'opera in cui esso è contenuto. Si prenda per esempio il passo
della “Gerusalemme Liberata” di Tasso Giunge grazia la polve al crine incolto/e sdegnoso rigor dolce è in quel volto;
questi due versi riadattano un distico di Ovidio Quella tua severità, quei capelli scomposti/ e quel velo di polvere su quel
bel volto ti si addicono. In questo caso i versi di Tasso non sono altro che una traduzione del distico ovidiano, visto che
nonostante la somiglianza di vocabolario le due opere sono totalmente diverse, quella moderna è infatti un poema epico,
mentre l'opera di Ovidio è una raccolta di elegie; il distico fornisce a Tasso materiale puramente descrittivo. In questo
caso si parla di “prestito” che consiste in un rapporto intertestuale che presuppone una similarità di linguaggio ma che
non comporta nessuna interferenza dialettica tra i contesti delle due opere; il prestito è un'operazione esterna che interessa
solo il tessuto verbale e in questa situazione l'ipotesto è definito referente. Un altro esempio di intertestualità è
rintracciabile nella descrizione di Armida nella “Gerusalemme Liberata” dove è ripresa la canzone 366 rivolta alla
Vergine Maria del “Canzoniere” di Petrarca. La somiglianza verbale è meno immediata ma il processo intertestuale
riguarda non solo il tessuto verbale del testo ma anche il suo contesto; nei versi di Tasso infatti la situazione originaria è
capovolta facendo emergere un conflitto tra i due contesti. Infatti la desacralizzazione dei versi petrarcheschi sta ad
indicare in modo metalinguistico gli inganni della maga e mette in luce negativa il processo lirico condannato da tasso nei
suoi saggi sul linguaggio dell'epica; qui il sottotesto deve essere riconosciuto perché il processo espressivo sia portato a
termine, mentre nel caso del prestito che l'ipotesto venga riconosciuto o meno non viene intaccato il significato letterale
del testo. In questo caso si parla di “allusione” che comporta una similarità di linguaggio e stabilisce una relazione di
capovolgimento tra i contesti delle due opere; consiste in un ampliamento del contesto in cui vengono sottolineate le
distanze dal sottotesto che prende in nome di intertesto. Nella canzone 264 del “Canzoniere” il locutore esprime il suo
disorientamento spirituale negli stessi termini in cui Medea esprime il suo nelle “Metamorfosi” ovidiane. La dipendenza
di un testo dall'altro è visibile, in questo caso i due contesti sono simili il locutore petrarchesco infatti si trova di fronte ad
un dilemma spirituale la cui intensità somiglia al dubbio di Medea per quanto diversi ne siano i rispettivi oggetti. In
questo modo la canzone di Petrarca assume caratteristiche mitiche, tra l'altro questo non è l'unico esempio di
intertestualità ovidiana nel canzoniere, che aspira in tal modo a raggiungere la stessa dignità dell'opera classica. Si tratta
qui di “imitazione”, processo che presuppone sia di linguaggio sia morfologica e una relazione di equivalenza tra le due
opere (sottotesto ed opera moderna), esso connota l'aspetto generale dell'opera letteraria. Nell'imitazione l'opera moderna
tende a far sue le caratteristiche testuali dell'opera anteriore in modo che si verifichi una perfetta riconversione di A in B,
l'ipotesto chiamato in questo caso modello, ha quindi il compito di autenticare e legittimare il testo derivato. L'imitazione
e l'allusione sono i più importanti modi dell'intertestualità. Si può infine citare un caso di intertestualità multipla
rintracciabile nell'incipit dell' “Orlando Furioso”: Le donne i cavallier, l'arme, gli amori/le cortesie, l'audaci imprese io
canto; qui ritroviamo un prestito del Purgatorio dantesco le donne e' cavalier, li affanni e li agi/che ne 'nvogliava amore e
cortesia, ed uno di Dechamps armi, amori, donne, cavalieri; sono presenti inoltre delle imitazioni di Mambriano d'arme e
d'amore, e di Boiardo però diversamente il mio verziero/de amore e de battaglie ho già piantato; infine figura un'
allusione virgiliana le armi e l'uomo canto. Questo caso di intertestualità multipla ci fa intendere come il resto del testo
sarà ricco di procedimenti intertestuali, inoltre l'opera è presentata come sintesi del ciclo carolingio e arturiano attraverso
l'imitazione di Boiardo e di Mambriano, come replica dell'epos classico tramite l'allusione dell'Eneide e come opera
letteraria a priori per i prestiti di Dechamps e di Dante. In questo modo l'Orlando Furioso si presenta come opera
composita e non riconducibile ad un solo genere. Si definisce canone letterario un insieme di norme stilistiche incarnato
da alcuni autori, ossia un codice che ci costituisce quando una civiltà letteraria sente il bisogno di elaborare alcune
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