INTRODUZIONE:
- Trecento anni fa Torino fu protagonista di un’incredibile pagina di storia:
il piccolo ducato di Savoia affrontò e sconfisse la potenza del Re Sole, Luigi XIV;
cinta da un lungo assedio, la città prima resistette e poi vinse, contribuendo a capovolgere gli equilibri politici in Europa; ma con quella vittoria i Savoia diventarono anche Re ed assunsero un ruolo-guida per il futuro dell’Italia (da
F.Galvano -“L’ASSEDIO -Torino 1706”).
Appunti per le visite guidate al Maschio della Cittadella, sviluppati da Armando TOSCANO da
un’idea di Rosanna BERSANO e con il contributo di Piera FAVETTO ABERGO (gioco di Genova
–v.nota 14), Gabriele STRAZZER (S.Sindone –v.nota 24) -Monitori Volontari al Maschio della
Cittadella, e Francesco CAVIGLIA –Guida al Museo Pietro Micca.
Dopo la chiusura della Mostra al Maschio della Cittadella, questi appunti sono stati arricchiti
con nuove informazioni, raccolte specialmente con la collaborazione dei colleghi del Museo
P.Micca, presso il quale Ar.Toscano svolge attività di Guida volontaria.
Sono stati utilizzati riferimenti colorati per evidenziare l’importanza degli argomenti ed avvenimenti descritti: livello 1, livello 2, livello 3.
________________________ W/Doc-AT/TO1706-Bignamino39.L(08C31)
(A-B) dipinti di Francesco GONIN (1808†1889 -olio su tela 1850-51) esposti alla Mostra (v. nota 13)
(A) -la battaglia di Torino (particolare)
(B)- L’arrivo di Vittorio Amedeo II e del Principe
Eugenio in Duomo dopo la battaglia
Francobollo del PIEMONTE (serie Regioni) emesso dalle Poste Italiane il 29/4/2006) che
riproduce il caval d’brôns (p.S.Carlo).
Nel bordo superiore ed inferiore del foglio di 50
pz è riportato lo stemma regionale.
1° centenario (1806): non fu celebrato, poiché a quel tempo Torino ed il Piemonte
erano sotto l’amministrazione napoleonica.
2°centenario (1906): fu celebrato con grande enfasi e retorica ed il 7.Settembre fu
dichiarato Festa Nazionale (v. nota 22).
250° anniversario (1956): fu celebrato con il ricordo del combattente ignoto
nella Basilica di Superga (v.nota 23).
3° centenario (2006): le celebrazioni e gli eventi che stiamo vivendo e che si concluderanno il 3.Giugno 2007.
- L’Associazione Torino 1706-2006, curatrice della Mostra, è un’Associazione di
Associazioni fondata il 18/10/2004 da un gruppo di Lions Club torinesi, ai quali si sono uniti
una cinquantina di organismi a carattere culturale di Torino e del Piemonte.
- L’ingresso è gratuito, così come le VISITE GUIDATE*, organizzate nelle due sedi
della Mostra: al Maschio della Cittadella ed al Museo P.Micca** (dove sono visitabili circa
1.400 mt di gallerie), avvalendosi di una cinquantina di Monitori Volontari, che a turno
prestano servizio nei giorni di apertura (fino al 3.Giugno.2007), mentre nella sede al Museo
P.Micca la Mostra continua fino a tutto Nov./07.
- Convegni di studi sull’argomento si sono tenuti nel 2003 e sett.2006 (v. nota 31)
oltre ad un interessante sito web (v. nota 32), ed uno spettacolo di Marionette dal titolo
“Giandoja e l’assedio di Torino del 1706”(v. nota 33).
- Maschio della Cittadella, una delle due sedi:
è quanto rimane dell’antica Cittadella fortificata, fatta costruire fra il 1564 ed il 1566 dal Duca Emanuele Filiberto (Chambery1528†Torino1580).
All’ingresso sono riprodotte le sagome del Duca Vittorio Amedeo II (a Sx) e del
cugino Principe Eugenio di Savoia-Soissons (a Dx).
Nel salone delle armi (v. nota 5):
• entrando a Dx= vista verso Est, la Porta di città: Ponte levatoio (anche definito “caditoio”) e, oltre il Muro di cinta, la città con sullo sfondo il Colle di Superga e la Torre
civica (a Sx, alta oltre 60 mt) e utilizzata quale valido osservatorio durante l’assedio (v. nota
8), fu abbattuta dai giacobini nel 1801.
• nella parete opposta= vista verso Ovest: in primo piano la caserma delle guardie e sullo sfondo il profilo delle Alpi (con il Rocciamelone a Dx e la Sacra di S.Michele a Sx).
(*)
(**)
Porta di Città (verso Est)- ricostr.
di Emanuele MANFREDI (2006)
1
Annulli filatelici (in formato ridotto) emessi dalle Poste Italiane a
ricordo delle Manifestazioni di TO1706
Centro Prenotazioni 011/56.63.17 (presso il Museo P.MICCA):
visite guidate dal Mar (am+pm) al Sab (am), gruppi di almeno 8/10 –max 20/25 persone.
in v.Guicciardini 7, ove si trovava la Mezzaluna del Soccorso, nei pressi della nuova stazione ferroviaria di TO-P.Susa in fase di costruzione.
VITTORIO AMEDEO II -Torino 1666†Rivoli 1732
(XIII Duca di Savoia, Principe di Piemonte)
(lo stemma è quello in vigore durante l’Assedio di Torino,risale
a Vittorio Amedeo I ed è utilizzato dalle Guide volontarie al
Museo P.Micca)
- E’ il secondo Duca di Savoia con il nome di Vittorio Amedeo, inizia a governare il
Ducato nel 1684 a soli 18 anni, dimostrando straordinaria energia e spregiudicatezza.
- Figlio unico di Carlo Emanuele II, di cui è orfano a soli nove anni, è sottoposto alla
pesante tutela materna di Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours (moglie in seconde
nozze del Duca di Savoia), di cui mal sopporta la politica filo francese; con la maggiore età
(14 anni per il Duca di Savoia) pone fine alla Reggenza della madre, ma assume il governo
effettivo soltanto più tardi nel 1684.
- Deve tuttavia sottostare alla volontà del Re Sole che gli impone il matrimonio con la
nipote quindicenne Anna Maria d’Orleans (StCloud1669†Torino 1728), figlia del Duca Filippo
d’Orleans (fratello di Luigi XIV) e di Enrichetta Stuart, sorella del Re Carlo II d’Inghilterra.
Con quel matrimonio, celebrato per procura a Versailles nel 1685, il Re Sole contava di poter
facilmente esercitare il controllo sul Ducato di Savoia, mal valutando la personalità del Duca
e la debolezza della nipote.
- Con il matrimonio si è definitivamente affrancato dalla madre che, incapace di attenzioni e tenerezze, lo aveva allevato trattandolo con durezza e freddezza.
- In conseguenza della rigida educazione ricevuta ne è scaturita una personalità domi-nata da una ferrea volontà di potere e di dominio, che esprime anche in ambito famigliare, ed “…… in una straordinaria capacità di lavoro e fertilità di progettazione, in continua fibrillazione intellettuale” (G.Oliva).
- Il Duca, duro e trasgressivo, capace di una girandola di rapporti passionali sovente
all’orlo della violenza, è tutto l’opposto della moglie Anna M. d’Orleans, donna dolce e sentimentale che gli darà cinque figli e ne alleverà altri due non suoi, frutto di altri rapporti del
marito.
- Soprannominato “la volpe savoiarda”, per l’astuzia che si affianca all’audacia della sua azione politica, sovente a carattere ondivago, alla continua ricerca delle migliori condizioni politiche per il Ducato, nel 1690 aderisce alla Grande alleanza antifrancese (Lega di Augusta) ma, ripetutamente sconfitto (Staffarda, Cascine Marsaglia), non ottiene alcun risultato utile e ritorna ad allearsi con Luigi XIV che lo costringe a perseguitare sanguinosamente
la minoranza valdese delle valli pinerolesi.
- “È tuttavia doveroso riconoscere che i mezzi adoperati dal Duca Vittorio Amedeo
per raggiungere la pace (ed i migliori risultati per il suo Stato) non furono sempre leali e leciti; nel giovane Duca l’interesse politico ebbe a volte il sopravvento sul principio della fedeltà
ad un’alleanza giurata … “ (da “Il Ducato di Savoia” tomo IV, pag. 97 di G. Amoretti).
- Con l’avvicinarsi della fine del Re di Spagna Carlo II fu ventilata anche l’ipotesi di
un suo diritto alla successione quale terzo pretendente, ma mosse politiche francesi lo impedirono; a tal proposito l’ambasciatore francese Tallard , scrivendone a Luigi XIV per contrastare una pericolosa candidatura, commentava “…. Il Duca di Savoia è ambizioso, economo,
destro, capace di ristorare le finanze della Spagna e di fabbricare fortezze dove sono necessarie; possiede già il Piemonte, posto in sito pericoloso alla Francia, e con questo principe lo
stesso potrebbe avvenire alla Spagna …” (citazione da “Il Ducato di Savoia” di G.Amoretti –
vol.IV, pag. 145), esprimendo con ciò un lusinghiero giudizio sulle sue capacità politiche e di
2
governo, in evidente contrasto con gli interessi francesi.
- Nella Guerra di Successione è dapprima alleato con il Re Sole e, dopo l’episodio di
s.Benedetto Po (29.9.1703), passa definitivamente al campo imperiale; nel corso degli eventi
che seguono i francesi sono sconfitti nella Battaglia di Torino del 7.9.1706, con la completa
liberazione del Ducato.
- Con il suo piccolo esercito, alleato degli imperiali guidati dal Principe Eugenio di
Savoia-Soissons, si oppone allo strapotere francese che, con una popolazione di 20 milioni di
abitanti può contare su un esercito di oltre 350.000 uomini
- Al termine della Guerra di Successione spagnola, con il trattato di Utrecht (1713),
diventa Re di Sicilia; nel 1720 vi sarà lo scambio con la Sardegna.
- Dopo la guerra, riprende l’opera riformatrice dell’organizzazione statale ed economica già avviata agli inizi del suo governo, ampliandola alle esigenze del nuovo Regno: limita i privilegi feudali ed ecclesiastici, crea il Consiglio di Stato (1717), il Catasto (1722, un
quarto di secolo prima di quello francese), promuove l’istruzione scolastica ed universitaria.
- Vittorio Amedeo II si dimostra abile nella scelta dei collaboratori che, abbinata alla
sua ambizione e capacità di svolgere una gran mole di lavoro, portano il Regno ad una solidità senza precedenti, tanto da essere definito nell’analisi degli storici un grande Re
(F.GALVANO–L’Assedio di To1706, pag.268,) nonché ago della bilancia europea
(C.Moriondo –Questi Piemontesi –pag.24).
- Nel 1730, già vedovo di Anna d’Orleans e risposato con l’ultima delle sue numerose
amanti (Anna Teresa Canalis, a cui assegna il titolo di marchesa di Spigno), abdica in favore
del figlio Carlo Emanuele III ritirandosi a Chambery.
- Ormai preda probabilmente da demenza senile, se ne pente e cerca di riprendere
il potere (lo storico G.OLIVA lo definisce un tramonto disperato); il figlio stesso, rendendosi conto della situazione che potrebbe portare a gravi conseguenze, fino a distruggere il
Regno, ne firma l’arresto (fra le lacrime) e lo confina nel castello di Rivoli, dove muore a 66
anni dopo quasi un anno di sostanziale prigionia (1732 - talune autorevoli fonti sostengono
sia morto nel castello di Moncalieri).
- Il suo funerale fu celebrato nel Duomo di Torino con un catafalco disegnato per
l’occasione da F.Juvarra, ma non fu inizialmente sepolto nella basilica di Superga; soltanto
molti anni dopo, il nipote Vittorio Amedeo III ne ordinò il trasferimento nella tomba come
egli aveva desiderato.
EUGENIO Francesco, Principe di Savoia-Soissons
(Parigi 1663†Vienna 1736)
- 5° figlio maschio del Principe Eugenio Maurizio SavoiaCarignano e di Olimpia Mancini (a cui seguirono poi tre sorelle); di
tre anni più anziano del cugino Vittorio Amedeo II, capo della casata Savoia, è soprannominato il Nobile Cavaliere.
È cugino primo del Duca Luigi di Vendôme, comandante dell’armata d’Italia di Luigi XIV (dal 1703 al 1706), essendo figli
delle sorelle Mancini (Laura x Luigi di Vendôme, ed Olimpia x Eugenio Francesco), a loro volta nipoti del card. Mazarino (italiano, già
segretario del card. Richelieu e poi Primo Ministro alla sua morte).
Orfano di padre a 10 anni (condividendone la condizione con il cugino Vittorio
Amedeo), è abbandonato dalla madre che fugge da Parigi per sfuggire alla giustizia del Re
Sole perché coinvolta nella congiura dei veleni contro di lui (sebbene ne fosse stata una pro-
babile amante ancor prima di sposare il Principe di Carignano); è allevato a Parigi dalla nonna materna Maria di Borbone-Soissons.
A 19 anni si oppone alla volontà della nonna che lo voleva destinato alla carriera
ecclesiastica, come già era intenzione dei genitori; in disaccordo con la nonna chiede al Re
Sole Luigi XIV di essere arruolato nell’esercito, ma questi rifiuta, anche per l’opposizione di
parte della Corte, che lo giudica inadatto alla vita militare (per la sua gracile costituzione).
Abbandona Parigi e la Francia per mettersi al servizio dell’Imperatore (del Sacro
Romano Impero) d’Austria Leopoldo I d’Asburgo, dove già militavano il fratello maggiore Luigi Giulio ed altri parenti (non della casa Savoia).
Vive a Vienna, da principio con l’aiuto economico del cugino Vittorio Amedeo II,
Duca di Savoia capo della casata.
Leopoldo I inizialmente non lo vuole arruolare, in quanto non ritiene opportuno
avere due Savoia nel suo esercito ma, alla morte di Luigi in battaglia, è l’Imperatore stesso,
ritenendo superate le motivazioni per le quali aveva inizialmente rifiutato, a stabilirne l’inserimento in un Reggimento di Dragoni.
A soli 20 anni è al comando del Reggimento dei Dragoni di Kufstein, il cui comandante era caduto in combattimento contro i turchi nell’assedio di Vienna (1683); da quel
momento il Reggimento si chiamerà Dragoni di Savoia, mantenendone il nome fino allo
scioglimento del corpo (al termine della I Guerra Mondiale -1918)).
Al servizio dell’Imperatore Leopoldo I, diviene il capo delle forze imperiali con il
grado di feldmaresciallo (1693), distinguendosi per coraggio, sagacia, e capacità strategiche;
nel 1704 assunse il comando del corpo di spedizione imperiale in Italia inviato in due riprese
in soccorso del Duca Vittorio Amedeo II.
Partecipa attivamente alla difesa di Vienna assediata dai turchi (1683), vincitore
della battaglia di Torino (1706), sconfigge gli eserciti dell’Impero Ottomano più volte, vincendo le battaglie di Zenta (1697), Petervardein (1716) e Belgrado (1717), costringendoli
infine alla pace di Passarowitz (1718).
A seguito delle vittorie riportate sugli eserciti dell’Impero Ottomano venne definito Turcarum terror et flagellum.
Sviluppò un sapiente utilizzo della cavalleria leggera (cioè liberata delle corazze,
quindi molto più agile e veloce) e le nuove tecniche derivati dalle armi da fuoco, soprattutto
quelle dell’artiglieria pesante.
Fu il vero vincitore della Battaglia di Torino (7/9/1706), insieme con il cugino Vittorio Amedeo II, liberando la città dall’assedio (v. nota 30) e ponendo le basi per la liberazione dell’intero Piemonte.
Al termine della Guerra di Successione spagnola, con l’acquisizione del Ducato di
Milano da parte austriaca ne viene nominato Governatore, carica che inizialmente cerca di rifiutare per riguardo della casata Savoia che aspirava all’annessione con il Ducato di Savoia,
ma che per fedeltà all’Imperatore infine accetterà; questa situazione sarà causa del raffreddamento dei rapporti con il cugino Vittorio Amedeo.
Insieme con il Duca di Marlborough fu il principale antagonista di Luigi XIV nelle
guerre che insanguinarono l’Europa fra il XVII ed il XVIII sec.
Partecipò a 32 campagne militari, percorrendo una carriera strepitosa al servizio
di tre Imperatori della casa d’Asburgo (Leopoldo I, Giuseppe I, Carlo VI) e fu unanimemente
considerato uno dei massimi strateghi della storia, tanto che Napoleone Bonaparte lo pose
nel novero dei sette più formidabili generali che il mondo avesse mai visto (C.Moriondo
“Questi Piemontesi –pag. 38).
Raffinato collezionista d’arte, bibliofilo e mecenate, fece costruire sontuose residenze fra cui il Belvedere a Vienna; egli, che si definiva sempre “servo (al servizio) dell’Imperatore”, firmava le sue carte con “Eugenio von Savoje” (italiano-tedesco-francese, per
riaffermare le sue patrie); nella firma la parola “Savoj” appare senza le lettera finale “e”).
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Non gli vengono attribuite amicizie e/o frequentazioni femminili, salvo quella
con la contessa Batthyany, l’unica che godesse della sua confidenza, con un legame di testa
e di cuore, più che di pelle (R.Gervaso -da “Storia Illustrata n° 197/Apr.74). Del suo stato di
celibato egli spiegava che “contrarre matrimonio avrebbe significato sottrarre parte delle sue
energie, delle sue attenzioni, delle sue cure al grande monumento d’impegno politico e militare che aveva costruito” (dal “saggio monografico di Vittorio Sincero sul Principe Eugenio”
pag.18 –ediz. Ass.Immagini del Piemonte,1994)
Muore a Vienna nel sonno nella notte fra il 20 ed il 21/4/1736 senza eredi, all’età
di 73 anni e viene sepolto nella cattedrale di s.Stefano.
Il cuore venne espiantato e trasferito a Superga, da dove sembra abbia poi fatto ritorno a Vienna (in data non definita) e
racchiuso in un cofanetto d’argento posato sul sarcofago (sarebbe stato ritrovato nel corso
dei lavori di ripristino dei danni causati alla cattedrale dai lavori per la costruzione della metropolitana).
La Cittadella ed il Maschio (anche detto Mastio -nell’Italia centro-meridionale- o Dongione –al di
là delle Alpi)
- Il progetto per il rafforzamento difensivo della
città, con la costruzione di una fortezza, fu affidato fin dal
1552 dal Governatore francese Carlo Cossé de Brissac ad
alcuni architetti militari che elaborarono alcune proposte.
- I progetti dell’architetto vicentino Francesco HOROLOGI prevedevano in un primo tempo la costruzione oltre il Palazzo Madama (=Porta
Prætoria, in talune carte indicata come Porta Decumana) verso il Po, e successivamente con
un secondo progetto da realizzarsi oltre Porta Susina (l’attuale piazza Savoia); un terzo progetto fu elaborato dal De Marchi.
Tutte le proposte prevedevano la realizzazione di una
fortezza a pianta pentagonale, ritenuta più economica ed ugualmente funzionale di quella a
pianta esagonale.
- Il Duca Emanuele Filiberto (che gli spagnoli definirono “cabeza de hierro = Testa di
Ferro, vincitore nel 1557 della battaglia di S.Quintino nelle Fiandre (v. nota 3.a ), approva la
forma pentagonale proposta nei primitivi progetti ma affida l’incarico definitivo all’arch. militare Francesco PACIOTTO da Urbino conte di Montefabro (1521†1591) cono-sciuto nel corso
della Campagna delle Fiandre, che gli era divenuto consigliere inseparabile. Francesco Paciotto, che era nipote del sommo pittore Raffaello Sanzio, si era distinto per vari interventi,
in particolare per il rafforzamento delle fortezze di Cuneo-Savigliano-Montmélian e per la
progettazione della fortezza di Montecchio per il Duca di Parma.
- Il definitivo progetto del Paciotto prevede la costruzione nell’area su cui sorgono i
ruderi dell’Abbazia pre-romanica di S.Solutore (sorta sulle vestigia del tempio di Iside), dove
erano anticamente custodite le reliquie dei Patroni di Torino (Solutore, Ottavio e Avventore,
martiri della legione tebea), che si trovavano in posizione più elevata rispetto alla città.
La Cittadella, che costituisce il primo ampliamento urbano oltre le mura romane,
fu costruita a partire dal Settembre 1564 ed inaugurata nel Marzo 1566 (in meno di 20 mesi
!!), si estende per 76 giornate + 63,5 ta-vole piemontesi (284.400 m2 =quasi 29 ettari) e per
la sua costruzione furono spesi 100.000 scudi d’oro (v. nota 3.b + allegato).
Le maestranze impiegate nella costruzione assommavano a quasi 2.000 uomini
che furono reclutati nelle valli di Lanzo, Biella, in Savoia e Canton Ticino, mentre le fornaci di
Moncalieri e Rivalta fornirono i mattoni che veni-vano trasportati a Torino per via fluviale.
Quasi al centro del complesso della Cittadella, su progetto del luganese G.B.
SOMASSO, fu successivamente costruito un amplissimo pozzo (1565÷67) conosciuto come il
Cisternone, (ornato alla sommità di un artistico colonnato) era utilizzato per l’abbeveraggio
dei quadrupedi, che potevano accedere
alla falda acquifera (al circa 18 mt di
profondità) attraverso due rampe elicoidali della larghezza di 160 cm, una per
la discesa e l’altra per la risalita (come il
Pozzo di S.Patrizio ad Orvieto, di dimensioni più modeste ma di profondità
maggiore e ben conservato, costruito
dal Sangallo nel 1528÷1537). Il pozzo,
che ha un dia-metro di circa 20 mt, fu
ricoperto nel 1899 prima della costruzione della Scuola Elementare Ricardi di
Netro, ed è stato recentemente riscoperto (ricerche del gen. G.Amoretti 1994÷96, 2005), ma non è attualmente
accessibile al pubblico e sono in corso
lavori per riportarlo par-zialmente alla
luce.
- La costruzione della Cittadella
fu completata nel 1577 sotto la direzione del gen. Nicolis di Robilant.
- La Cittadella di Torino, una delle prime, più belle e formidabili piazzeforti
d’Europa (v. nota 4.a), è posizionata
all’angolo sud-ovest della città; le punte del pentagono sono costituite da cinque bastioni uguali ai quali furono dati i nomi dei membri della famiglia ducale (a dx del Maschio, in senso
orario): (1)-Duca, (2)-Principe (il figlio Carlo Emanuele), poi modici-cato in (2)-S.Lazzaro,
(3)-Paciotto (in onore del progetti-sta-costruttore,come usava a quel tempo), poi mutato in
(3)-Beato Amedeo, (4)- S.Maurizio (antico patrono della casa Savoia) ed infine 5-
Madama (Margherita di Valois, moglie di E.Filiberto).
Nella pianta della Cittadel-la (riprodotta a fianco) redatta dal col. P.MAGNI sul
tessuto urbano del 1910 in scala 1:2150, sono inoltre identificate le Mezzelune: (6) della
Porta di Città - (7) degli Invalidi - (8) di S. Lazzaro - (9) della Porta del Soccorso – (10) di
S.Mauizio, oltre a: (C) Controguardie - (M) Maschio - (P) Cisternone - (T) Tagliata reale.
Il bastione di S.Lazzaro (posizionato all’incrocio fra gli attuali c. Matteottii e G.
Ferraris), che era considerato il più esposto, fu realizzato con un accurato sistema di difese
di artiglierie, capaci di sparare sia all’esterno sia verso l’interno del fossato, in modo di poter
colpire il nemico che fosse riuscito a penetrare all’interno.
Nel 1568 fu solennemente collocato sulla porta della Cittadella lo stemma sabaudo, fuso in bronzo dall’artista perugino Mario D’Aluigi che i rivoluzionari francesi asportarono
nel 1799 fondendolo per farne cannoni; nel marzo dello stesso anno furono collocati i primi
cannoni e nominato il primo Governatore della Cittadella, il conte Giuseppe Caresana.
Nel 1572, sei anni dopo l’inaugurazione, Emanuele Filiberto, si ritiene che, rendendosi conto dell’eccessiva vulnerabilità della fortezza, abbia prospettato la costruzione di
una rete di gallerie le quali, munite di fornelli di mina, avrebbero dovuto svolgere compiti di
difesa sotterranea all’avvicinarsi del nemico.
La tecnica di difese sotterranee delle fortezze si sviluppò, a partire dal XVI sec.
per neutralizzare gli attacchi di mina degli assedianti. Recenti studi hanno potuto appurare
che le gallerie ritrovate, nella quasi totalità, siano da attribuirsi al periodo settecentesco,
quindi nell’imminenza dell’assedio (v. notizie successive riguardanti l’arch. BERTOLA).
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L’illuminazione all’interno delle gallerie era ottenuta con candele di sego e con
lampade (poste nelle nicchie ricavate lateralmente) alimentate da oli misti (vegetali e animali) di costo economico a cui, per ridurre la fumosità, veniva aggiunto un pizzico di sale.
All’interno della Cittadella fu costruita una chiesa, di cui il Duca Emanuele Filiberto aveva posto la prima pietra nel maggio 1577, dedicata in un primo tempo a S.Lorenzo (la
cui ricorrenza è il 10.Ago, in ricordo della battaglia di s.Quintino) e successivamente a
S.Barbara (v. nota 4.b).
Nel 1639, per fronteggiare le artiglierie sempre più potenti, inizia la costruzione
delle mezzelune a difesa dei tratti di muro (= cortine) che collegano i bastioni (poi raddoppiate nel 1705 nell’imminenza dell’assedio).
La Tagliata Reale, al centro del cortile interno (rif. T), fu fatta costruire da Vittorio Amedeo II nella primavera del 1706 (arch. Antonio Bertola), allo scopo di realizzare
una ulteriore opera di difesa, nel caso in cui gli assedianti fossero riusciti a penetrare
all’interno della Cittadella (v. nota 2); allo stesso tempo furono ampliati e potenziati i tre bastioni interni (s.Maurizio, Beato Amedeo, s.Lazzaro).
Contemporaneamente, nell’imminenza dell’assedio e durante lo stesso, decine di
imprese e migliaia di lavoranti operarono seguendo i progetti dell’Ing. Antonio BERTOLA (coadiuvato dagli ingg. A.SEVALLE, M.GAVORE ed altri) per l’ampliamento della rete di gallerie
di contromina, raggiungendo l’estensione di 21 km, dei quali 14 nell’area della Cittadella (oltre 1 km sono oggi visitabili); fu in tal modo realizzato un sistema di fortificazione sotterranea tale da rallentare in modo decisivo i numerosi tentativi dei minatori francesi di raggiungere il cuore della Cittadella, distruggendo o neutralizzando molte delle batterie assedianti.
Il cap. Andrea BOZZOLINO, Comandante della Compagnia minatori durante l’assedio (che contava 53 elementi, compresi gli ufficiali), nella sua importante opera “Guerra
sotterranea e Difesa della Piazza” redatta nel 1711 e ricca di dettagliatissime tavole, descrive
le opere di contromina della Cittadella di Torino come le migliori d’Europa.
Per la realizzazione delle opere durante l’assedio furono impiegati oltre 300 muratori e manovali, fra i
quali molti giovani e giovanissimi, che lavorarono giorno e notte (da Mastri da Muro e piccapietre –pag.148 di Bevilacqua-Zannoni).
Durante l’assedio furono approntati 155 fornelli di mina (da “il Ducato di Savoiavol. IV” –pag.321 di G.Amoretti) e fatte esplodere sotto le linee francesi 45 mine, di cui 32
nell’area della Cittadella, dove i nemici erano riusciti a penetrare.
Il Maschio della Cittadella, che era munito di 28 cannoni, era la sede del Quartier
Generale e del Governatore, ed al suo interno potevano essere ospitati oltre 1.500 uomini.
La storica celebrità di questa fortezza è legata in particolare a tre assedi che subì
nel corso degli anni:
• 1640, durante la cosiddetta guerra dei cognati (Principe Tommaso e Cardinal Maurizio), che li vedeva contrapposti alla Reggente Cristina di Francia (= Madama Cristina), in cui subì un assedio di 132 gg.
• 1706, ricordato in questa Mostra, per 117 gg.
• 1799, durante la campagna napoleonica.
Risparmiata da Napoleone, la fortezza venne smantellata a partire dal 1852; ciò
che si vede ora è quanto rimasto e costituiva la porta d’ingresso verso Est, detta Porta di
Città; la Porta era munita di un piccolo ponte levatoio (in alcune opere è definito caditoio),
di cui restano tracce nelle feritoie attraverso le quali passavano le catene, e fu abbellita nel
1694 dall’ing. GUIBERT con finiture in pietra di Gassino (lo stesso materiale poi utilizzato da
F.JUVARRA per la facciata di Palazzo Madama).
- Nel 1855 la Cittadella venne radiata dal novero delle piazzeforti (in virtù della mutata situazione politica che vedeva il Regno di Sardegna alleato dei Francesi di Napoleone
III) e venne smantellata (su decreti del ministro Paleocapa) per consentire lo sviluppo urbanistico della città e la costruzione delle Caserme Lamarmora (poi Cernaia, su v.Cernaia) e
della retrostante Pietro Micca (su v.Valfrè); unico manufatto rimasto è il Maschio dove è ospitata la Mostra Torino1706).
Nel 1892 l’arch. BRAYDA effettuò il restauro dell’edificio e l’adeguamento a sede
espositiva permanente del Museo Nazionale d’ Artiglieria (tra i più ricchi ed importanti al
mondo, con oltre 10.000 reperti conservati); l’edificio è di proprietà del Comune di Torino,
mentre i reperti custoditi sono di proprietà del Ministero della Difesa che ne cura la conservazione.
Attualmente il Museo di Artiglieria non è visitabile ed i reperti sono stati in gran
parte immagazzinati in locali del Ministero della Difesa.
Ducato di Savoia -uno stato a cavallo delle Alpi
comprendeva tutta l’area a Sud del Lago di Ginevra, ad Ovest confinava con il
Delfinato e la Provenza, a Sud con la Repubblica di Genova e ad Est con i Ducati di Milano e
del Monferrato; a Sud aveva accesso al mare Ligure dalla Contea di Nizza (con il porto militare di Villefranche-sur-mer) e con l’enclave della Contea di Oneglia (raggiungibile soltanto dal
mare).
Copriva una superficie di circa 37.000 Kmq, con una popolazione di 1.200.000
ab.; Torino, che contava 20.000 ab. quando divenne capitale (per il trasferimento da Chambery, voluto da Emanuele Filiberto), all’inizio della guerra aveva superato i 43.000 abitanti, e
nel corso del conflitto si ridussero a 35.000.
L’attuale Piemonte + Valle d’Aosta si estendono per 28.700 kmq.
Nel 1563, al momento del trasferimento della capitale da Chambery (che
Em.Filiberto stimava non essere in grado di resistere ad un eventuale attacco neppure un
gorno –da “Questi Piemontesi” pag.15) a Torino, essa contava poco più di 5.000 abitanti,
mentre altre città del Piemonte erano assai più importanti, per popolazione, ricchezza e/o
posizione strategica (Aosta, Asti, Mondovì, Casale, Chieri, Ivrea, Pinerolo, Susa, Vercelli).
Fin dal 1571 Emanuele Filiberto dispose che gli atti pubblici in Savoia fossero redatti in francese e quelli in Piemonte in italiano (non in piemontese, lingua-dialetto allora in
uso dalla popolazione minuta), ma un idioma maggiormente diffuso nel resto d’Italia (anche
se con varie sfumature locali), ciò a conferma della vocazione italiana della Casa Savoia.
L’intuizione del Duca Emanuele Filiberto (definito da C.Moriondo “l’inventore del
Piemonte” -da “Questi Piemontesi” pag.8) di proteggere il Ducato portando la capitale da
Chambery a Torino, segnò il destino dello stato sabaudo e della Casa di Savoia, spostando la
direttrice espansionistica verso l’Italia, in particolare verso la vicina e più ricca Lombardia.
La posizione geografica faceva però del Ducato uno stato in posizione politica assai precaria
perché stretto fra due colossi (da un lato la Francia, dall’altro il Ducato di Milano governato
dalla Spagna), così che il Moriondo lo definisce come un vaso di coccio tra mazze di ferro
(“Questi Piemontesi” -pag. 9).
Fin dal 1698, quindi prima ancora dell’inizio della Guerra di Successione Spagnola, con un trattato fra Inghilterra-Francia-Olanda, forse all’insaputa dello stesso Duca di Savoia, che infatti non vi è menzionato, si ipotizzava la cessione della Savoia, della contea di
Nizza e della vallata di Barcelonette alla Francia in cambio di alcuni territori in Lombardia.
GUERRA di SUCCESSIONE SPAGNOLA
E’ conseguenza della morte del Re di Spagna Carlo II d’Asburgo (1°.Nov. 1700)
che non lascia eredi legittimi, e dura 12 anni.
Vede contrapposti i Borboni di Francia agli Asburgo d’Austria poiché entrambe le
casate vantavano pretese sul trono di Spagna:
• il Re Sole Luigi XIV, che aveva sposato la sorella del re di Spagna Carlo II ma
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che con il matrimonio aveva dovuto rinunciare ad ogni pretesa su quel trono, ambiva a porta-re sul trono spagnolo il nipote Filippo d’Angiò;
• l’Imperatore Leopoldo I (1640÷1705), figlio di Maria Anna sorella di Filippo
IV di Spagna, che invece avrebbe voluto sul trono il suo secondogenito Carlo;
• terzo in linea di successione, è Vittorio Amedeo II Duca di Savoia, che per altro non vi faceva alcun affidamento, ben conscio della sua debole posizione rispetto gli altri
colossi europei.
- Ne consegue un lungo e sanguinoso conflitto con il coinvolgimento delle maggiori
potenze europee; Inghilterra ed Olanda partecipano attivamente anche per sostenere i prote-stanti, minoritari in Francia-Spagna ed in particolare i valdesi nel Ducato di Savoia.
All’approssimarsi della fine del Re di Spagna il Marchese d’Harcourt, Ambasciatore di Francia alla corte di Madrid, ottiene dal Re morente che designi alla sua successione
Filippo d’Angiò, contro la clausola testamentaria secondo cui le corone di Spagna e Francia
non avrebbero dovuto mai essere unite.
Luigi XIV accetta il trono di Spagna in nome del nipote, Filippo d’Angiò, e lo manda a Madrid dove assume il nome di Filippo V, dando in tal modo inizio alla dinastia dei Borbone (tuttora regnanti); con quella mossa il Re Sole innesca la Guerra di Successione Spagnola.
- In funzione antifranco-spagnola, per contrastare lo strapotere che sarebbe derivato dalla loro unione, Leopoldo I stipula (sett. 1701) il trattato della Grande Alleanza con
gli Stati della Confederazione Germanica+Olanda (=Provincie Unite)+Inghilterra e più tardi
col Portogallo, ed invia a Barcellona il figlio Carlo, che aveva designato al trono di Spagna.
- Capo dell'Armata anglo-olandese è John CHURCHILL, I Duca di Marlborough (antenato dello statista inglese del XX sec. Winston Churchill).
La Francia si allea con la Spagna contro l’Imperatore d’Austria e schiera in Lombardia, al confine con l’impero asburgico, un esercito di 50.000 uomini al comando del valente Maresciallo CATINAT.
Per questioni politico-diplomatiche (data anche la posizione geografica del Ducato: in alcune citazioni di importanti autori si afferma che “il Ducato di Savoia è come un vaso di coccio fra due vasi di ferro” –Francia e Spagna)) e motivazioni di famiglia, Vittorio Amedeo II di Savoia (è cognato del Duca d’Orleans, nipote di Luigi XIV) è inizialmente costretto, ma senza convincimento, ad allearsi con la Francia.
Nel 1703, Vittorio Amedeo II inizia a prendere in considerazione l’opportunità di
schierarsi con la Grande Alleanza, giacché gli Alleati potrebbero assicurare maggiori libertà e
vantaggi per il Ducato.
Il 29.Settembre, a S.Benedetto Po (MN), il Re Sole Luigi XIV, che era stato informato delle manovre del Duca (v. nota 25) tendenti ad accordarsi per il passaggio nel
campo degli imperiali, ordina ai suoi generali operanti in Italia di disarmare, catturare ed internare le truppe sabaude che stavano fronteggiando le truppe austriache sul fiume Secchia.
Venuto a conoscenza dei fatti di S.Benedetto, Vittorio Amedeo II rompe ogni indugio e chiede aiuto a Leopoldo I ed, in attesa degli aiuti richiesti all’Imperatore, provvede
a:
• far arrestare i Ministri di Francia e Spagna alla Corte di Torino e tutti i
sudditi francesi all’interno dello Stato,
• porre sotto sequestro i beni francesi in transito nel Ducato,
•
arrestare tre Compagnie di cavalleria francese.
A seguito di quell’episodio Vittorio Amedeo II stringe un patto di alleanza con
l’Imperatore Leopoldo I ed aiuto militare, garantito da Inghilterra ed Olanda, le principali potenze navali dell’epoca, che potevano assicurare i rifornimenti attraverso il porto di NizzaVillefranche.
Il 24.Ottobre 1703 Vittorio Amedeo II dichiara guerra alla Francia che reagisce
invadendo il Ducato; alla fine del 1705 soltanto la capitale Torino e pochi altri territori restano in mano al Duca che chiede aiuto all’Imperatore d’Austria, il quale in due diverse riprese
invia rinforzi; a cavallo del 1704-05 il cugino Principe Eugenio di Savoia-Soissons, richiamato
dalle Fiandre, assume il comando delle truppe imperiali in soccorso del Duca di Savoia.
GUERRE e ASSEDI FRANCO-SPAGNOLI vs/ il DUCATO DI SAVOIA
dopo l’episodio di S.Benedetto Po del 29.Sett.1703
1704:
L'Armata francese, comandata dal marchese di La Feuillade, invade la Savoia,
conquista Susa ed occupa le vallate circostanti.
Dalla Lombardia le truppe francesi del generale Duca di Vendôme varcano il Ticino, espugnano Vercelli, Ivrea ed occupano la valle d’Aosta, dove il forte di Bard si arrende
senza combattere per il tradimento del colonnello svizzero barone Reding, che passa al servizio dei francesi.
Nel corso dell’anno i francesi pongono l’assedio e conquistano le principali città e
roccaforti sabaude: • Susa
dal 25/5 al 12/6,
• Vercelli
dal 5/6 al 24/7,
• Ivrea
dal 30/8 al 29/9,
• Bard
7/10 (resa del barone Reding senza combattere),
• Montmélian (Savoia) dal Mag/1704 al 17/12/1705
Vittorio Amedeo, assediato, non può ricevere aiuti dall’Armata asburgica bloccata
in Lombardia (dall’armata del CATINAT), né dagli anglo-olandesi le cui navi incrociano nel
Mediterraneo Occidentale, ma neppure l’armata di La Feuillade può congiungersi con le truppe del Duca di Vendôme, l’assedio di Torino è quindi rimandato.
Nell’autunno i francesi decidono di attaccare la Fortezza di Verrua (v. nota 9), di
cui Vittorio Amedeo II all’inizio assume personalmente la direzione della difesa; i piemontesi
assediati resistono valorosamente tutto l’inverno fino a primavera (7/9/1704÷9/4/1705).
1705:- L’8 Aprile 1705, dopo oltre 6 mesi d’assedio, la Fortezza di Verrua viene distrutta
dagli stessi difensori che cedono con una resa onorevole; i francesi perdono davanti a Verrua
circa 12.000 uomini fra cui 6 generali, 547 ufficiali e 30 ingegneri militari.
Le truppe francesi si riorganizzano, attraversano il Po a Crescentino, e proseguono verso Torino ma, non riuscendo ad attraversare la Dora Baltea per il suo scorrere impetuoso, debbono risalirne il corso per quasi 40 km fino ad Ivrea, dove possono attraversarla
sul ponte del Borghetto, e ridiscendere verso Chivasso dove sono bloccate sulla linea fortificata Chivasso-Castagneto Po; l’assedio di Chivasso, ultimo ostacolo verso Torino, dura 40 gg
(Giugno÷ Luglio).
Il comando passa dal Vendôme, richiamato per fronteggiare gli imperiali nelle
Fiandre, al La Feuillade (storpiato dai piemontesi, anche in senso spregiativo, in “la Fogliarda” o “la Fruliarda”), il quale chiede rinforzi che non arrivano.
Sul finire del Luglio 1705 le truppe francesi giungono in vista di Torino ed insediano il Quartier Generale nella Reggia di Venaria per predisporre le opere d’assedio alla città, opere poi sospese e rimandate all’anno successivo, iniziativa che si rivelerà fatale per
l’esito della battaglia.
L’esercito francese occupa tutti i cascinali che circondano Torino, fortificandoli ed
unendoli tra loro con una doppia linea difensiva continua: la linea di Controvallazione (verso
la città) ed una linea di Circonvallazione (verso la campagna per proteggere le spalle degli
assedianti); all’interno delle due linee fortificate vi sono gli acquartieramenti militari e le sistemazioni logistiche del più imponente esercito d’Europa (v. nota 10).
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Con l’approssimarsi dell’inverno, il 13.Ottobre giunge ordine, direttamente dal Re
Luigi XIV, di togliere l’assedio: le truppe francesi abbandonano le posizioni ed il Quartier Generale viene spostato nella Villa-Cascina Olivero, fra i feudi di Roccafranca (=Gerbo, poi Gerbido) e s.Brigida (=Pozzo Strada -v. nota 11); invano, dalle Fiandre ove ora si trova, il Maresciallo Vendôme cerca di opporsi all’ordine del Re a cui si appella, facendogli presente che
“…... l’occasione per prendere Torino non la ritroverà giammai”, come i fatti successivi dimostreranno.
La Cittadella viene rinforzata e le gallerie estese e potenziate.
Il Castello di Nizza è attaccato dai francesi e conquistato senza particolari difficoltà (gennaio 1706), giacché la resistenza opposta è alquanto debole e ben presto la città si
arrende; il porto di Villefranche-sur-Mer (v.nota 18), già perduto in precedenza, costituiva
l’u-nico punto di attracco delle navi anglo-olandesi: viene quindi meno l’afflusso via mare
degli aiuti alleati, né sono possibili i rifornimenti agricoli dalla contea di Oneglia.
1706 –L’assedio e la battaglia:
quadro (mt 6 x 4) di Jacques Ignace PARROCEL, realizzata su commissione del Principe Eugenio (v. nota 19).
12-13.Mag.: La Feuillade (con 44.000
uomini, oltre 200 pezzi d’artiglieria ed un contingente di soldati spagnoli) pone l’assedio alla città, i cui
abitanti avevano tuttavia tratto buoni auspici dall’essersi verificata un’eclisse totale di sole il 12.Maggio,
che aveva resa ben visibile la costellazione del Toro.
L’esercito sabaudo conta 10.500 soldati
e 4.000 membri della milizia urbana, con i quali il
Duca Vittorio Amedeo, con frequenti mosse a sorpresa, mira a farsi inseguire e ad ingannare il nemico, confermando così il soprannome di
volpe savoiarda.
Fra Maggio e Settembre i francesi, con la costruzione di ben 47 miglia di trincee
– parallele - linee di circonvallazione e controvallazione, giungono a ridosso delle opere di
difesa, seppure a costo di enormi perdite di uomini e tempo; dopo ferragosto dei 44.000
uomini che inizialmente hanno posto l’assedio ne restano disponibili soltanto 27.000.
Durante l’assedio la città è sottoposta ad un intenso bombardamento e gli abitanti affiggono alle porte delle case un’immagine della Consolata sotto la quale è disegnato il
profilo della città attraversata dalle palle di cannone sparate dagli assedianti (circa 21.000
bombe); una diceria popolare affermava che il fuoco di artiglieria, sparato nelle vicinanze
della Chiesa di S.Lorenzo, avrebbe attraversato più volte la cupola traforata della S.Sindone
(v.nota 24), lasciandola intatta.
I feriti vengono portati in città ed i Torinesi si prodigano in ogni modo per curarli;
molti sacerdoti sfidano il fuoco nemico per assistere, anche sul campo, i feriti ed i moribondi,
fra questi si distingue Sebastiano VALFRE’ (Verduno-Alba 9/3/1629†Torino 30/1/1710), confessore e consigliere assai ascoltato dal Duca, beatificato da Gregorio XVI il 15/7/1834.
Per il suo prodigarsi al fianco dei feriti nei combattimenti e per l’assistenza spirituale prestata, Sebastiano Valfrè è considerato il primo Cappellano militare della storia.
Una notizia non storicamente accertata segnala che nel 1689, alla morte dell’Arcivescovo di Torino Michele Beggiano, al Valfrè sarebbe stata proposta dal Duca Vittorio
Amedeo II la carica di Arcivescovo di Torino, che lui avrebbe rifiutata per modestia, preferendo dedicarsi alla cura dei bisognosi ed all’insegnamento del catechismo; in sua vece fu
nominato Michele Vibò (già segretario della Madama Reale Cristina di Francia –nonna di Vittorio Amedeo), che “….. nel 1706, all’età di 76 anni fu coinvolto nelle vicende [dell’Assedio]
di Torino, durante le quali diede esempio, coraggio e dedizione alimentando la resistenza
“morale” della città (da “il Quadro della Vittoria” - pag. 11, testo a cura di F.Campagnolo)”.
L’assedio costa ogni mese 450.000 £ ed il Comune, per far fronte agli impegni di
spesa deve vendere terreni e contrarre prestiti, mentre il salario medio giornaliero di un artigiano/operaio era di 1 £.; durante l’assedio viene battuta una moneta ossidionale (v. nota
26) che al termine delle ostilità sarà cambiata in oro, argento o valuta corrente.
Il 17.Giugno Vittorio Amedeo II invia al sicuro la famiglia e la S.Sindone verso
Ge-nova (v. nota 24), affida al conte Virico von Daun il comando generale della piazzaforte
e, con un’improvvisa sortita, approfittando dell’ancora incompleto approntamento delle opere
francesi d’assedio verso la collina, esce da Torino con 4.000 cavalieri; inizia così una lunga
manovra diversiva, con La Feuillade che insegue invano le truppe sabaude per oltre un mese.
Con l’uscita dalla città da parte del Duca i compiti sono così ripartiti:
▪ al Conte Virico von Daun è assegnato il comando generale della piazzaforte
(in pratica fa le veci del Duca), dal quale dipendono:
▪ il Marchese di Caraglio, quale governatore della città, ed
▪ il Conte Pierre de Lucas de la Roche et d’Alery, comandante della Cittadella,
mentre l’amministrazione della città è affidata ai due Sindaci (v. nota 27):
▪ conte Francesco Nomis di Valfenera (di origine nobile),
▪ avv. Giov. Michele Boccardo (di origine borghese),
A metà Luglio Vittorio Amedeo si stabilisce a La Motta di Carmagnola, dove atten-de l’arrivo dell’armata austriaca comandata dal cugino Eugenio.
Per tutta la durata dell’assedio si susseguono numerosi gli episodi di diserzione e
sfollamento, invano contrastati dalle autorità con varie iniziative punitive e con il sostanziale
miglioramento del rancio militare; alla liberazione della città si conteranno circa 2.000 disertori e sfollati.
Sul finire del mese di Luglio 1706, Luigi XIV decide di inviare sullo scacchiere italiano il Maresciallo Ferdinand De Marsin a cui viene affiancato il Duca Filippo d’Orléans (in
funzione di Comandante Supremo “di facciata”), mentre il La Feuillade mantiene il comando
delle forze d’assedio della piazza di Torino.
a partire da Agosto i torinesi, scarseggiano di viveri e della polvere nera necessaria per le bocche da fuoco, ne resta “….. tanto poca che il giorno della liberazione basterà
appena per le salve di gioia delle artiglierie dalle mura urbane!” (da “La verità storica su
P.MICCA” -gen.G.AMORETTI, pag.18).
24.Agosto: i francesi tentano un assalto contando di celebrare con la conquista di
Torino il giorno onomastico del Re Luigi XiV (25/8= S.Luigi dei Francesi), ma senza alcun risultato tangibile; il 26 sera tentano un nuovo assalto conquistando il bordo della mezzaluna
del Soccorso ma vengono ricacciati lasciando quasi 2.000 fra morti e feriti.
- 29.Agosto: dopo una marcia di oltre 350 km, percorsi per lo più di notte, il Principe Eugenio e le sue truppe incontrano sul Tanaro il Duca Vittorio Amedeo che gli si è fatto
incontro con la cavalleria, e proseguono verso località La Motta di Carmagnola dove si congiungono al resto dell’esercito sabaudo.
- Nella notte fra il 29 ed il 30.Agosto si verifica l’episodio di P.MICCA, descritto nel
capitolo successivo.
Il 2.Settembre (data storicamente non accertata ma assai presumibile, poiché è
noto che il 4.sett. gli austro-piemontesi attraversano il Po) i due condottieri salgono sulla collina di Superga per osservare gli appostamenti nemici e predisporre l’attacco; resisi conto
della situazione decidono di attaccare nella zona fra la Dora Riparia e lo Stura di Lanzo.
Il Duca Vittorio Amedeo II in quella circostanza avrebbe espresso voto alla Vergine Maria, alla quale era particolarmente devoto, (di fronte alla Cappella di “S.Maria sub
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per-golam” alla sommità del Colle) che in caso di successo vi avrebbe fatto costruire una
magni-fica basilica, poi realizzata (1717÷1731, consacrata il 12/10/1749) dall’arch. siciliano
Filippo Juvarra (giunto a Torino al seguito di Vittorio Amedeo dopo l’incoronazione a Re di
Sicilia).
Al ritorno dal sopralluogo di Superga il Principe Eugenio ed il Duca Vittorio Amedeo si ricongiungono con il grosso dell’esercito, aggirano le postazioni francesi, e si por-tano
presso Venaria dove installano il Quartier Generale nella Reggia (di Venaria), lasciata dai
francesi di la Feuillade.
Nella notte fra il 5 ed il 6.sett. le truppe alleate austro-piemontesi passano il Po,
attaccano lungo la Dora un convoglio francese di rifornimenti proveniente da Susa e, con
l’aiuto della popolana Maria CHIABERGE BRICCO, penetrano nel castello di Pianezza attraverso un oscuro sotterraneo ed una scala a chiocciola da lei conosciute (v. nota 12).
- Il 7.Settembre si combatte una delle più importanti battaglie del XVIII secolo; la
battaglia ha inizio con un intenso bombardamento austro-piemontese verso le trincee francesi a partire dalle 8h30 del mattino.
- dopo aver inviato un drappello di ussari ad esplorare il greto dello Stura, alle
10h30 il Duca Vittorio Amedeo guida personalmente quattro squadroni di ussari, 2 di corazzieri ed un distaccamento di granatieri sul greto di destra dello Stura, aggirando la linea di
circon-vallazione nemica; i combattimenti si protraggono violenti fin oltre le 13h00.
la perdita dei rifornimenti nella notte 5-6 Sett., particolarmente la polvere da
sparo, di cui anch’essi erano ormai carenti, aveva messo in gravi difficoltà l’esercito francospagnolo, e fu certamente una delle principali concause della successiva sconfitta.
Il Comandante Supremo francese, Maresciallo de Marsin, viene ferito e fatto prigioniero (morirà il giorno successivo nella sua residenza nei pressi di Pozzo Strada dove il
Duca di Savoia ne ha autorizzato il ricovero), l‘esercito francese è ormai privo di un comando
preciso ed anche il gruppo d’assedio del La Feuillade comincia a sbandarsi ed a fuggire.
L’esercito francese, che riceve il colpo definitivo a seguito della sortita delle truppe gettate nella mischia dal Governatore militare Virico von Daun e dal Governatore civile
Isnardi di Caraglio, è rovinosamente sconfitto e si ritira su per le valli del pinerolese, inseguito dalla cavalleria sabauda e pressato dai contadini, molti dei quali valdesi, che tendono a
farsi giustizia delle angherie, ruberie, violenze ecc. subite durante il periodo dell’occupazione.
Nel tardo pomeriggio del 7.Settembre il Duca Vittorio Amedeo II ed il Principe
Eugenio, con il seguito di altri Principi e Generali e con il Governatore della città Virico von
DAUN (= Wierich-Philipp von Daun, da quasi un decennio al seguito del Principe Eugenio
attraverso l’Europa), che aveva partecipato alla battaglia spezzando ogni residua resistenza
francese, entrano in Torino liberata e raggiungono il Duomo, dove a riceverli li attendono i
Sindaci, i maggiorenti della città e l’Arcivescovo Michele VIBO’ che intona il Te Deum di ringraziamento (v. pag. 1 –Gonin B)
Durante l’intero assedio i caduti (morti, feriti, dispersi) si calcola siano stati:
▪ per gli imperiali (sabaudi, austriaci, prussiani) = circa 3.300,
▪ per i franco-spagnoli = oltre 15.000,
mentre nel corso della battaglia, fra le due parti vi furono, in poche ore, oltre 9.000 caduti di
cui 6.000 per i franco-spagnoli, che si calcola ne persero altri 7.700 nei giorni successivi durante la ritirata.
La battaglia di Torino del 7.set.1706, conclusasi con la vittoria degli austro-piemontesi
sui gallo-ispanici, guidati dal Duca Filippo di Orleans (nipote del Re Sole Luigi XIV), al termine di un assedio alla città protrattosi per 117 giorni (13/5 ÷7/9/1706), cambiò la storia del
Ducato di Savoia e viene ritenuta l’Alba del Risorgimento italiano, che porterà poi all’
Unità d’Italia.
Pietro MICCA -L’episodio della notte del 29-30 Agosto
- Pietro MICCA minatore della Valle Adorno (,’attuale Valle Cervo, nei
pressi di Biella) chiamato alle armi nel 1705 nell’esercito di Vittorio Amedeo
II, fu fin dall’inizio inquadrato nella Compagnia Minatori (più tardi si parlerà
di genieri), che avevano il compito di scavare le gallerie di contromina per
impedire agli avversari di penetrare sotto i bastioni, di presidiarle
militarmente ed all’occorrenza di fare brillare i barilotti di polvere posti a
difesa ed al di sotto delle postazioni nemiche.
- Pietro MICCA era soprannominato dai compagni passapertut
per la sua agilità veramente straordinaria e per la corporatura esile e smilza, che gli consentiva fra l’altro di introdursi ed operare agevolmente nei cunicoli della Cittadella
- Nella notte fra il 29 ed il 30.Agosto Pietro Micca ed un suo compagno, di guardia
ad una porta sotterranea nei pressi della Mezzaluna del Soccorso, avvertono che i nemici
stanno penetrando all’interno delle gallerie.
- Rendendosi conto dell’impossibilità di resistere agli invasori, i due decidono di dar
fuoco alle polveri contenute in un barilotto di circa 20 kg, posto a difesa della scala di collega-mento fra le due gallerie capitali.
- Pietro Micca, comprendendo che il compagno non avrebbe potuto essergli di aiuto,
lo allontana con una frase che sarebbe divenuta storica, riportata nel diario di SOLARO della
MARGARITA: “……. levati da lì, gli dice prendendolo per un braccio, tu sei più lungo
d’un giorno senza pane; lascia fare a me, salvati!,” e dà fuoco alla corta miccia della
mina, provocando una grande esplosione ed il crollo della galleria; i francesi infiltratisi nella
galleria sono travolti ed uccisi, mentre lui, che cercava di allontanarsi dal luogo dell’esplosione scendendo la scala, viene scaraventato a molti metri di distanza e rimane ucciso, a
causa delle gravi lesioni riportate e dall’ossido di carbonio sviluppatosi nella galleria.
- La descrizione fatta dal Solaro sottolinea come P.MICCA fosse tutt’altro che un kamikaze, ma non per questo il suo gesto fu meno eroico.
- Il suo corpo sarà ritrovato alcuni giorni dopo e sarebbe stato sepolto in una fossa
comune nei pressi del cisternone (v.nota 21.a) con altri soldati piemontesi ed imperiali, vittime dei combattimenti dei giorni precedenti: perciò non si hanno notizie della sua tomba.
- Per onorare la sua memoria il Duca stabilìsce un vitalizio in favore della vedova
(Maria Pasquali-Bonin) e del figlio di poco più d’un anno: due pani al giorno (2 lb ciascuno =
737,6 gr), uno per la famiglia, l’altro avrebbe potuto essere venduto per procurarsi un po’ di
denaro; questo fatto costituisce quasi certamente il primo esempio nella storia di una pensione in favore dei superstiti delle vittime; va considerato che a quel tempo la razione giornaliera di un soldato era di una pagnotta di 2 lbs.
- Soltanto a partire dalla metà dell’Ottocento e successivamente, in particolare in occasione delle celebrazioni per il 2° centenario della Battaglia, ebbe sviluppo il mito di Pietro
MICCA, con ricostruzioni dell’episodio talvolta fantasiose e ricche di enfasi; è opportuno precisare in ogni modo l’importanza ed il valore del gesto, dal momento che la sua morte coin-
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cide con l’ultimo tentativo francese di qualche rilievo di dare l’assalto alla Cittadella (Alessandro Celi –Le Grandi battaglie del Piemonte sabaudo –pag.97).
- Il luogo del sacrificio di P.MICCA fu però dimenticato e soltanto nel 1958 fu individuato e riscoperto il luogo dell’esplosione, oggi inserito nel percorso di visita delle gallerie al
Museo Pietro MICCA (v. nota 21.a-.b), meta ogni anno di molti visitatori, fra i quali figurano
sempre numerosi studenti di ogni ordine e grado.
- In occasione delle celebrazioni annuali della battaglia, il Console francese a Torino, con gesto simbolico e cavalleresco partecipa alla cerimonia della deposizione di un corona di fiori bianchi (per ricordare la bandiera di Francia= gigli gialli in campo bianco) ove furono ritrovati i corpi dei soldati francesi (all’inizio della scala ove avvenne l’esplosione), ed
una di fiori rossi (a simboleggiare lo stendardo sabaudo= croce bianca in campo rosso) ove
si ritiene sia stato ritrovato il corpo di P.Micca (nella galleria capitale bassa, a 40 passi dal
termine della scala, come descritto nel diario di Solaro d/Margarita).
- Di fronte al Maschio si trova il monumento che lo ricorda (opera dello scultore
G.Cassano -1864, riprodotto in testata di questo capitolo).
Un monumento bronzeo del
1834, ricco di allegorie ed a lui dedicato, fu fatto predisporre dal Re Carlo Alberto che, posto
inizialmente nell’Arsenale di Torino (ora sede della Scuola d’Applicazione d’Arma), e successivamente nella Caserma P.Micca, troneggia ora nell’ingresso del Museo P.MICCA di via Guicciardini.
Altri ricordi di P.Micca sono descritti nella nota 21.c.
DOPO LA BATTAGLIA ANCORA GUERRA,
POI UN NUOVO EQUILIBRIO
La Battaglia di Torino non pone termine alla Guerra, ma costituisce uno degli episodi di maggiore importanza, giacché da quel momento le sorti del conflitto volgono decisamente a favore degli imperiali.
1707÷1713:
- Vittorio Amedeo II ed il Principe Eugenio riuniscono le loro forze ed il 10.Luglio
1707 riconquistano Nizza e Villefranche e danno il loro appoggio alla flotta anglo-olandese
contro i francesi per la conquista di Tolone, il più importante approdo francese del Mediterraneo:
- continua la Guerra di Successione;
- gli inglesi mirano al controllo navale del Mediterraneo, dopo aver già conquistato
la Rocca di Gibilterra (1704);
- gli imperiali sono interessati ad assicurarsi la penisola italiana (v.nota 28).
- i francesi sono interessati alla Spagna, dove intendono confermare la presenza di
Filippo V di Borbone.
- Nel 1709 si combatte la battaglia di Malplaquet all’attuale confine fra la Francia
ed il Belgio; è una delle più sanguinose battaglie in cui si fronteggiano circa 100.000 uomini
per parte (con 13.000 morti 24.000 feriti), vinta dagli imperiali alla guida del Duca di Marlborough e del Principe Eugenio.
- La situazione comincia a cambiare e nel 1711, alla morte di Giuseppe I (succeduto nel 1705 al padre Leopoldo I), sul trono del Sacro Romano Impero viene eletto il fratello Carlo VI (Vienna 1685†1740) che si ritira da Barcellona, rinunciando quindi sostanzialmente alle pretese sul trono di Spagna.
- Gli inglesi iniziano a preoccuparsi della crescente influenza asburgica e si ritirano
dal conflitto (1712), consentendo in tal modo ai francesi di vincere la battaglia di Denain.
- Le grandi potenze europee riprendono trattative diplomatiche per la composizione
delle controversie e porre fine al conflitto che ha insanguinato l’Europa per oltre due lustri.
1713 -2.Aprile: Pace di Utrecht (Paesi Bassi):
- Inghilterra ed Olanda firmano una pace separata con la Francia e si ritirano dalla
Grande Alleanza, temendo l’eccessiva espansione dell’Impero asburgico.
- viene restituita a Vittorio Amedeo II la Contea di Nizza e gli vengono assegnati
va-sti possedimenti verso la Lombardia (Valsesia, Monferrato, Lomellina), Alta Valle Susa, Val
Chisone e Val Varaita .
- viene fissata la linea di confine sul crinale delle Alpi.
- Il Duca di Savoia vede però frustrate le sue aspirazioni sul Ducato di Milano, che
viene assegnato agli austriaci con la nomina del Principe Eugenio a Governatore di Milano
(fin dal 22.Sett.1706) , il quale, per obbedienza all’Imperatore, accetta la nomina anteponendo la carica agli interessi della casa di Savoia: ne consegue, suo malgrado, il raffreddamento dei rapporti con il cugino Vittorio Amedeo (v.nota 27).
- Vittorio Amedeo II acquisisce la Sicilia con il titolo di Re (v.nota 29) venendo incoronato nel Duomo di Palermo la vigilia di Natale 1713; in seguito (1720) vi sarà lo scambio
con la Sardegna.
- Il conte Virico von DAUN (che aveva fatto le veci del Duca quand’egli era uscito
dalla città durante l’assedio del 1706, e che ha conquistato Napoli -1707), viene nominato
viceré del Regno di Napoli in nome dell’Imperatore d’Austria; diverrà poi Governatore di Milano dal 1728 al 1733.
1714-7.Marzo: Trattato di pace di Rastadt (Baden-Wuttenberg/Germania
meridionale):
- Carlo VI d’Asburgo, si rassegna ad accettare gli accordi di pace che vengono
firmati dal Duca di Villars per la Francia (a nome di Luigi XIV) ed dal Principe Eugenio (per
l’Imperatore d’Austria) in cui:
• Filippo d’Angiò (nipote di Luigi XIV) viene riconosciuto Re di Spagna con il
nome di Filippo V di Borbone (Versailles 1683†Madrid 1746) ma deve rinunciare alle pretese
sul trono di Francia;
• Carlo VI ottiene in cambio il Regno di Napoli, la Sardegna, il Ducato di Milano, lo Stato dei Presidi (litorale toscano maremmano) e nel nord-europa i Paesi Bassi “spagnoli” (l’attuale Belgio).
- La Francia riconosce la successione della casa di Hannover in Gran Bretagna e
perde a favore di essa l’esclusiva del commercio degli schiavi con le colonie spagnole (= asiento de negros).
- L’Inghilterra consolida il controllo navale nel Mediterraneo occidentale con Gibilterra (già occupata fin dal 1704) e Minorca.
- Federico Guglielmo I, che aveva appoggiato l’Imperatore d’Austria, viene confermato Re di Prussia (titolo già precedentemente assegnatogli nel 1701) ed accresce i propri
domini annettendosi fra l’altro il Principato svizzero di Neuchâtel.
1718-1720: lo scambio Sicilia-Sardegna
- Sono ormai trascorsi alcuni anni dalla pace di Rastadt e gli spagnoli di Filippo V,
che non si sono rassegnati alla perdita di dominio nel Mediterraneo, riconquistano la Sicilia e
la Sardegna.
- Per Vittorio Amedeo II, non disponendo neppure delle navi necessarie, è impensabile inviare un corpo di spedizione fin laggiù per fronteggiarli; intervengono perciò Vienna
e le due potenze navali dell’epoca (Inghilterra ed Olanda) per ristabilire l’ordine, e Vittorio
9
Ame-deo è “….. costretto, suo malgrado, ad ammettere che il suo piccolo Regno non può
assume-re un ruolo di potenza mediterranea (F.Galvano –L’Assedio di Torino 1706–pag.267)
- Con il Trattato di Londra (1718) e la successivo Pace dell’Aia (1720) viene offerto
(!?!?!) al Re Vittorio Amedeo II (a quel tempo non c’era ancora l’istituto del “referendum” !!!) lo
scambio diretto della Sicilia (che va perciò all’Austria di Carlo VI) con la Sardegna: nasce così
il Regno di Sardegna, è l’Alba di un Regno.
I ricordi della Battaglia
- Nel 1708, per segnalare la linea degli scontri, Vittorio Amedeo II, probabilmente su suggerimento del p.Sebastiano Valfrè, fece posare 200 stele gratulatorie (pilastrini commemorativi in pietra, alti 180 cm) con incisa l’effigie della Consolata (protettrice della Città) e l’iscrizione “1706”; ne sono tuttora presenti una
ventina in vari punti della città, di cui qui di seguito è riportato l’elenco completo (a
cura di Aldo ZANATO-UNITRE; uno di essi è esposto nella sala terminale della Mostra –v.rif.2; i riferimenti segnalati con * sono quelli indicati nella cartina esposta
nella Mostra):
- zona centrale
1) Museo Pietro MICCA
2) Museo del Risorgimento (attualmente alla Cittadella)
3) vicino al Santuario della Consolata
- zona Lucento
4) *v. Pianezza 104 (a fianco della Chiesa di Lucento)
5) *via Foglizzo, 4 (nel muro di cinta esterno della casa)
- Madonna di Campagna 6) *via Lanzo, 5/b (nella facciata della casa)
7) *via Banchette, 10 (nel cortile di una casa privata)
8) via Venaria, 79 int.9
- zona Borgo Vittoria
9÷14) nella Chiesa di N.S. della Salute (p. d/Vittoria)
(vedi nota 18)
15) via Lamporo, 5 (nel cortile della casa)
*via Errico Giachino 92 (integrata nel muro esterno)
- Barriera di Milano
- zona Regio Parco
-
16)
18)
19)
20)
21)
22)
*via Verolengo ang. via Assisi (Tabernacolo Votivo)
*c. Giulio Cesare 133/135 (Cascina Violino)
*via Gottardo 263 (nel giardino di una casa)
*c.Taranto ang. v.Corelli (Scuola Corelli –cascina Gioia)
p. Abba 13 (presso la scuola omonima)
*c.Regio Parco 142 (interno d/ Manifattura Tabacchi)
Tra i cronisti di quegli eventi si distinsero particolarmente:
• Il Conte Giuseppe M. SOLARO de la MARGARITA, che durante l’assedio era il comandante dell’artiglieria piemontese e della Compagnia Minatori (a cui faceva
quindi capo anche Pietro Micca), il quale, nel corso degli eventi che portarono alla Battaglia
di Torino, compila una dettagliata cronaca -viva ed efficace- (Journal Historique du siège), poi pubblicata in lingua francese ad Amsterdam nel 1708 (v. Biblioteca Civica Centrale
di Torino: 404.F.64).
• Un umile sacerdote di Favria Canavese (poco distante dagli episodi della
Battaglia): don Francesco Antonio TARIZZO, che pubblicò un pregevole Ragguaglio Istorico dell’assedio, stampato a Torino nel 1707 (v. Biblioteca Civica Centrale di Torino:
252.D.45).
- La particolare validità delle due cronache consiste nel fatto che nel descrivere gli
stessi avvenimenti, sia pure da punti di vista e contorni diversi (l’uno di natura prettamente
militare e l’altro sociale), mai presentano versioni contrastanti; altri contemporanei (MESELLI,
ROSINGANA, ecc.) e più tardi MANNO, scrissero dell’assedio sostanzialmente concordando
con la versione dei fatti descritti dal SOLARO, la cui opera fu scarsamente conosciuta fino al
1838, quando Carlo Alberto ne promosse una bella edizione.
Note e particolarità da evidenziare nel corso della visita:
1)
per espresso intendimento dei curatori della Mostra, la quasi totalità dei dipinti esposti
fanno parte di collezioni private, ritenendo che dipinti presenti in varie altre aree museali possano essere
altrimenti visti dai visitatori, mentre per questi difficilmente vi saranno altre occasioni a breve per la loro
esposizione.
2)
illustrando il plastico della Cittadella (Sala delle armi) far notare:
- con il progetto di F.PACIOTTO la costruzione fu realizzata sulle rovine dell’Abbazia di
s.Solutore Maggiore (distrutta dai francesi nel 1536) dove erano conservate le reliquie dei SS.Martiri
(Solutore, Avventore, Ottavio, soldati romani della legione tebana, a cui furono aggiunti Giuliana e Gozelino);
- i progetti della Cittadella furono poi utilizzati dal Paciotto nel 1568 per la costruzione della fortezza di Anversa (nelle Fiandre, sulle rive del fiume Schelda);
- la “tagliata reale”, di cui c’è indicazione nel percorso per raggiungere il Museo Pietro
Micca (v.Avogadro ang. v.Valfrè, -caserma P.Micca alle spalle della caserma Cernaia);
- nel Museo Pietro Micca è esposto un modellino del Cisternone in scala 1:50;
- nel corso della II Guerra Mondiale le gallerie della Cittadella furono in parte utilizzate
dai torinesi come rifugi antiaerei per sfuggire ai bombardamenti alleati;
- le ricerche e gli studi compiuti a partire dalla fine degli anni ’50 del XX secolo, sotto la
guida appassionata del gen. G.AMORETTI, hanno permesso di stabilire che gran parte delle gallerie sono
di costruzione settecentesca.
3.a)
Il monumento al Duca Emanuele Filiberto che si trova a Torino in pza S.Carlo (anticamente pza Reale) fu eretto nel 1838 per volere di Carlo Alberto Re di Sardegna che indisse un concorso
per la realizzazione.
Carlo MAROCHETTI, che risiedeva a Parigi, non partecipò al concorso per l’erezione dell’opera
perché venutone a conoscenza non in tempo utile tuttavia egli, seppure in ritardo, si offrì per la realizzazione del monumento contro il solo rimborso dei materiali impiegati; la diceria popolare segnala che il Re
di Sardegna, non smentendo la fama di estrema parsimonia che accompagnava i componenti della casa
di Savoia non perse l’occasione di un considerevole risparmio.
Realizzato il monumento, che raffigura il Duca nell’atto di rinfoderare la spada dopo la battaglia
di S.Quintino, prima del trasferimento a Torino esso fu esposto a Parigi nel cortile del Louvre dove riscosse l’ammirazione dei critici francesi ed inglesi; oggi esso costituisce uno dei simboli di Torino, i cui
cittadini lo conoscono come “’l caval d’ brons”.
3.b)
secondo una valutazione basata sul prezzo del grano (materia prima alimentare di
enorme importanza fin dall’antichità, che ha conservato nel tempo una quotazione sempre in linea con
l’evoluzione dei prezzi) rilevato nel 1563, il costo di costruzione (al 1566) risulterebbe di circa 17 milioni
di € (elaborazione eseguita su indicazioni rilevate da “la Riforma Monetaria di Emanuele Filiberto”
di M.Chiaudano/1928 –pp. 100, 129-130, 141, 230- e rapportata al valore di mercato odierno –il Sole-24
ore/Borsa Merci di Parigi 3/11/06 –v.Tavola “Analisi Costo di Costruzione” .
Per una più esatta valutazione occorrerebbe conoscere il numero degli addetti alla costruzione, tenendo conto degli orari e delle condizioni di lavoro, che a quei tempi non erano certamente paragonabili agli attuali; secondo una valutazione, riportata su STAMPA SERA del 4/05/1981, si ipotizzavano 150 mld di £, che rapportati ad oggi potrebbero essere circa 270 mni di €.
4.a)
La forma pentagonale delle fortezze è la più comune forma delle fortificazioni alla
moderna (o alla Vauban, valente architetto militare francese del XVII sec.); il pentagono è il poligono
10
che permette al meglio di “fiancheggiare” gli altri bastioni, ovvero di coprirli da eventuali attacchi, i bastioni sono fatti in tal modo non per difendere se stessi, ma per difendere quelli adiacenti.
Originariamente si pensò che la struttura più adatta fosse quella esagonale, successivamente si capì che era sufficiente un pentagono, risparmiando un bastione che costituiva comunque
un costo; si ebbero tuttavia anche altre forme , in funzione della conformazione del terreno da difendere.
I più grandi teorizzatori della forma pentagonale furono gli arch. Giorgio Marini da Siena ed il
Sangallo (sec. XVI).
Deve essere assolutamente smentita ogni affermazione circa un nesso fra la forma pentagonale della Cittadella e riferimenti massonici e/o esoterici.
4.b)
La chiesa nel 1698 fu investita dallo scoppio della polveriera, andandone quasi completamente distrutta in conseguenza della caduta d’un fulmine il 20.agosto, e fu riedificata sul lato opposto
(a Dx entrando dalla Porta di Città): essa costituiva la chiesa parrocchiale per gli abitanti della cittadella.
Dopo l’assedio del 1799 i giacobini francesi vi accasermarono le truppe causando non
lievi danni, a seguito dei quali la parrocchia fu provvisoriamente trasferita presso la chiesa di S.Maria in
Piazza (in v. S.Maria –opera del Vittone); la chiesa fu ripristinata nel 1816-17 e ricostituita in parrocchia.
Nel 1858, con l’abbattimento dei bastioni e la costruzione della caserma Cernaia, le autorità militari chiesero la soppressione della parrocchia e nel 1867 (utilizzando i mattoni recuperati dallo
smantellamento) iniziò la costruzione di una nuova chiesa che ne ereditò il titolo di S.Barbara (tutt’ora
esistente in v.Bertola (fra v.Perrone e v.Assarotti, progettata dall’arch. P.Carrera), e fu consacrata il
18.4.1869.
All’interno della chiesa si trova la tomba del generale savoiardo conte Pierre de Lucas
de la Roche et d’Allery, Governatore della cittadella durante l’Assedio, morto nella Cittadella stessa nel
1714; a sinistra dell’Altare maggiore, in prossimità della sacrestia, lo ricorda una lapide marmorea con
iscrizione latina, corona comitale ed aquila bicipite.
5)
nell’illustrare il pannello che riproduce la divisa di un fante sabaudo, far notare che:
- fino a circa metà del sec. XIX (in tutti gli eserciti) le calzature non distinguevano
il piede Dx dal Sx (nel pannello questo particolare non è evidenziato), perciò soltanto con l’uso ed il
tempo erano le scarpe che si adeguavano ai piedi o, più probabilmente, i piedi alle scarpe; si tenga presente che in quell’epoca i nobili erano soliti far indossare per qualche tempo le calzature nuove ai valletti, fino a prenderne la voluta forma dei piedi.
- le giubbe, di amici e nemici, erano per lo più in varie tonalità di colore grigio, essendo i prodotti per le tinture (di origine vegetale) assai costosi; gli uni dagli altri si riconoscevano principalmente dalla foggia del copricapo e relativa coccarda (= fiocco).
6)
Armi da fuoco in esposizione (per lo più provenienti dal Museo di ’Artiglieria):
- i fucili, del peso di 4,5÷9 kg, sono ancora ad avancarica e privi di anima rigata,
possono sparare fino a circa 100 mt; le baionette vengono inserite nella canna e perciò non è possibile
l’utilizzo contemporaneo dell’arma bianca e del fuoco; un ottimo fuciliere può sparare 2-3 colpi al minuto.
- il cannone esposto, che porta il nome “l’ Fiscal”, è un “quarto di cannone”
(sparava palle da 16 lb -1 lb=369 gr- quindi circa 6 Kg), ha l’anima rigata orizzontalmente; il foro attraverso il quale viene introdotta la miccia è denominato “focone” e veniva otturato al momento della cattura (normalmente fondendovi del piombo o conficcandogli un grosso chiodo di ferro), rendendolo quindi inutilizzabile finché un esperto artigiano provvederà al ripristino (operazione che richiedeva 2-3 h).
- la spingarda (v. diorama), può pesare oltre 20kg, ha un tiro preciso fino a 100-120
mt e può sparare non oltre i 300-400 mt, è brandeggiabile tramite un perno inserito sul supporto fisso
per il sostegno; sul finire del 1600 cominciano a diffondersi le armi da fuoco a retrocarica.
7)
nel salone delle armi: i pannelli che riproducono (dall’interno della Cittadella) la Porta
di Città e sul lato opposto il cortile verso ovest, e il diorama della veduta dai bastioni ovest, sono opera
di Emanuele MANFREDI su indicazioni del gen. G.AMORETTI.
8)
un bellissimo modellino, ricco di particolari, è esposto al Museo Pietro MICCA, in esso si
notano l’orologio meccanico (del 1392) con l’indicatore delle fasi lunari (poi spostati nel Palazzo Civico Sala dell’Orologio- dopo l’abbattimento del 1801 voluto dai giacobini) era alta oltre 60 mt e sormontata
da un Toro dorato e dalla Croce Mauriziana (uno dei simboli della casa Savoia).
9)
plastico della fortezza di Verruca (=Verruca), realizzato in scala 1:400 (Dic.2000 Silvano BORRELLI con la consulenza del gen. G.AMORETTI e dell’arch. Silvia BERTELLI), evidenziare:
- che la costruzione ebbe inizio intorno alla metà del 1500 su progetti dell’ HOROLOGI, lo stesso che Emanuele Filiberto inizialmente interessò per la Cittadella di Torino;
- fu successivamente ampliata e potenziata, probabilmente su progetti dell’arch. generale
francese VAUBAN dopo il 1665;
- la scala di 175 gradini, che collegava la parte inferiore al Dongione;
- il definitivo crollo di quanto rimasto della fortezza inferiore nel 1957.
10) Le due linee delle fortificazioni e gli acquartieramenti francesi sono ben illustrati nella carta di Alessandro Luigi d’’Emanuelle (commissionatagli dal Duca nel 1708, prima della distruzione di
esse); all’interno della Mostra è riprodotta la sezione riguardante la zona della battaglia.
11)
nell’isolato attualmente formato da v.Arbe/v.Tirreno/c.Siracusa/v.Monfalcone (con ingresso da v.Arbe 19) è visibile la costruzione recentemente restaurata della Cascina Olivero (sorta nel
1632 inizialmente col nome di cascina Pareto), mentre della Villa non c’è più traccia essendo stata demolita negli anni 1970-‘80; quell’area è ora in parte occupata dall’Istituto Sociale dei PP Gesuiti e dalla Chiesa Parrocchiale di S.Ignazio di Loyola.
In talune carte (successive alla metà del ‘700) l’Olivero è indicata come Cascina Bruco di Sordevolo per averla lasciata alla figlia (sposa del conte di Sordevolo), mentre sulle carte ottocentesche la Villa è indicata come “Villa Racca”, dal nome del proprietario che l’aveva acquistata nel
1813 dall’Amministrazione napoleonica, avendola incamerata con la requisizione dei beni ecclesia-stici
(L. 3/12/1800), giacché era pervenuta per successione all’Ordine dei Gesuiti a cui apparteneva il figlio
del conte Olivero, Giambattista.
Nel 1940 l’avv. Marcellino RACCA (che portava il nome dell’avo)
ne fece dono ai Gesuiti seguendo il volere di Silvestro Olivero del 1717 (E. BONASSO –curatore della mostra per il 20° Anniversario della Parrocchia di S.Ignazio).
12)
a proposito dell’occupazione del Castello di Pianezza con la fattiva partecipazione di
Maria CHIABERGE BRICCO (o BRICCA, detta popolarmente “la Bricassa”), gli storici ritengono si tratti
di un episodio le cui circostanze potrebbero essere state colorite dalla fantasia popolare, tuttavia la Città
di Torino l’ha ricordata nella toponomastica con il nome di una via in zona Oltre Po, nei pressi del Parco
Michelotti (R.ROSSOTTI –Le strade di Torino, pag.134).
13)
dipinti importanti esposti (di proprietà privata e prestati alla Mostra) sono dei pittori:
- Francesco GONIN (v. in 1.a pagina): “la battaglia” (A) (riprodotta anche come sfondo
all’ingresso, alle spalle delle sagome di Vittorio Amedeo II e di Eugenio) e “l’arrivo dei Principi al Duomo”(B) (la cella campanaria, non presente all’epoca, fu realizzata su progetto di F.JUVARRA dopo il
1721, progetto, i cui disegni originari sono conservati a Stoccolma, che prevedeva di aggiungere ulteriori 16 mt ai 43 mt della struttura iniziale del campanile -1748, oltre ad una guglia mai realizzata). Nel
quadro della battaglia (A) far notare che il cavaliere al centro del dipinto impugna la pistola in modo oggi inusuale: ciò era necessario per limitare i danni alla spalla derivanti dal rinculo dell’arma.
In occasione delle celebrazioni per il 300° della Battaglia di Torino, “…. grazie alla disponibilità
del proprietario le opere sono state acquisite dalla Città di Torino, per arredare, con una collocazione
prestigiosa, la sala delle Congregazioni del Palazzo di Città” (M.Albera –Il Domenicale, sab. 31.3.2007).
- Giovanni Michele GRANERI: Uniformi di soldati dell’Europa orientale (=sala delle armi),
scene di vita torinese nel Settecento, Piazza delle Erbe a Torino (costruita sull’antico Foro Romano, ora
pza Palazzo di Città) con il Palazzo (al fondo) e la Torre Civica (anche detta di S.Gregorio, a Sx),
14) nel dipinto di G.M.GRANERI nel quale è riprodotta Piazza delle Erbe, dal balcone del Palazzo di Città figura l’estrazione del “gioco di Genova”, diffusosi da qualche tempo anche a Torino.
A Genova, originariamente importato da Venezia con qualche variante, nel ‘600 ogni anno
venivano estratti 5 consiglieri da una rosa di 120 nominativi; i genovesi iniziarono a scommettere sui
nominativi che sarebbero stati estratti, in un primo tempo sul primo, successivamente su 2-3-4-5; qualche anno dopo la rosa dei nominativi fu ridotta a 90 ed il gioco iniziò a diffondersi come “gioco di Genova” in particolar modo a Napoli, dove fu ribattezzato “gioco del Lotto” e dove si ebbero fino a 3-4
estrazioni settimanali.
La diffusione del gioco fu favorita dalle autorità in tutt’Italia poiché procurava un cospicuo introito erariale; a Torino i duchi sabaudi non persero l’occasione per impinguare le
sempre esauste finanze, con 2-3 estrazioni la settimana.
15) nell’illustrare la tavoletta che raffigura il sopralluogo dal Colle di Superga effettuato
da Vittorio Amedeo ed Eugenio prima della battaglia, far rilevare che il colle a quel tempo era di 40 mt
più alto, poi spianati per la costruzione (1717÷31) della Basilica votiva (su progetto di Filippo JUVARRA), ed in cui sono conservate le tombe dei Savoia da Vittorio Amedeo II a Carlo Alberto.
Per la costruzione della cupola della Basilica l’arch. JUVARRA si ispirò a quella michelangiolesca della Basilica di s.Pietro in Roma.
16) il quadro che riproduce la carica del Comandante dei Brandeburghesi (il Principe Prussiano Leopold von ANHALT-DESSAU, detto “il mastino” per la sua foga guerriera), fu donato dalla comunità germanica residente a Torino in occasione delle celebrazioni del 2° Centenario (1906), ed è una
copia autentica ed unica esistente, poiché l’affresco originale, conservato nell’Arsenale di Berlino, andò
distrutto nel corso degli eventi bellici della II Guerra Mondiale.
11
17) nella riproduzione del quadro raffigurante il Duca di Marlborough, comandante dell’
esercito inglese, è evidentissima la somiglianza con lo statista inglese del XX sec. W.Churchill, suo discenente.
18)
Villefranche-sur-Mer (plastico del porto, prestito del Conseil General des Alpes Maritimes): il porto con l’arsenale fu fatto ricostruire (1719÷1730) da Vittorio Amedeo II divenuto Re di
Sicilia e poi di Sardegna, realizzando sulla testata del molo una moschea per il culto dei forzati musulmani a servizio sulle galere della Marina sabauda.
19) il quadro di J.I. PARROCEL, riprodotto alla Mostra con evidenza di particolari della
Battaglia, è conservato in copia (realizzata intorno al 1930 dai fratelli Antonio e Luigi RIGORINI) al Museo del Risorgimento (attualmente in fase di ristrutturazione e non aperto al pubblico), mentre l’originale
(formato mt 6x4) è conservato a Vienna nel Palazzo d’Inverno del Principe Eugenio, attualmente sede
del Ministero delle Finanze austriaco; si conoscono altre due versioni del quadro, una conservata al Palazzo Reale di Torino e l’altra di proprietà privata ma di attribuzione incerta. Uno studio analitico sui
particolari illustrati nel quadro, con dettagliati raffronti fra le varie versioni, è stato compiuto dalla prof.sa
Carla AMORETTI.
20)
il luogo dove si svolsero i principali episodi della battaglia, inizialmente conosciuto come Borgo delle Alpi e poi Borgo Levi (dal nome del banchiere torinese Ernesto LEVI, che intorno al 1880
lottizzando la zona diede origine ad un piccolo Borgo che ne assunse il nome), fu in seguito denominato
Borgo (della) Vittoria -nella zona nord dell’attuale area urbana della città- e vi fu costruito (1891) un
ossario ed una Chiesa (Ns Signora della Salute); l’ossario, inizialmente posto all’esterno, fu successivamente trasferito nella cripta sotterranea, dove quattro dei circa 20 pilastrini gratulatorii ancora esistenti
(v. elenco nel cap. “I ricordi della battaglia” –rif. 9÷14) ne sostengono l’urna, altri due pilastrini sono
nella Chiesa (uno a Sx dell’Altare Maggiore, l’altro utilizzato come pietra fondamentale della costruzione.
21.a) la fossa comune in cui fu sepolto P.MICCA fu apprestata per raccogliere i resti
dei caduti nei fossi della Cittadella nei giorni precedenti l’episodio, come descrive nel suo celebre diario il
conte Solaro della Margarita: “…. Il 27.Agosto successe nei fossi della Cittadella una strage orribile a
descriversi e contraria ad ogni legge di umanità….... Più di 1500 carra (= unità di misura dei liquidi, talvolta usata anche per il legname = 493 kg) di legna e centinaia di fascine incatramate [ed incendiate]
vennero gettati sopra quelle caterve di morti e malvivi [feriti e morenti], sia per la difesa delle mura che
per allontanare ogni pericolo di contagio”.
21.b)
Il col. Umberto Savoja (ufficiale del Reggimento Minatori del Genio, pioniere dell’Aeronautica militare italiana, primo pilota dell’ Esercito e dal 1929 direttore di FIAT Aviazione) formulò nel
1928 la prima ipotesi circa l’ubicazione della scala di Pietro MICCA (da “Mastri da muro e piccapietre al
servizio del Duca” –P.Bevilacqua/ F.Zannoni, ed. Zedde 2006, Torino + Atti del Convegno sull’Assedio di
Torino-1706 –vol I, pagg. 313÷317). L’ipotesi fu riformulata trent’anni dopo, ed in modo del tutto indipendente, dall’’allora capitano dell’esercito Guido AMORETTI (appassionato archeologo militare e studioso della storia del Ducato di Savoia) che, insieme con altri appassionati compagni di avventura (Alessandro MOLLI BOFFA ed Emilio ROSSO), il 1°.10.1958 riscoprì la vera scala teatro del sacrificio. Guido
AMORETTI, ora generale a riposo, è tuttora il Direttore ed instancabile animatore del Museo P.Micca e
delle molte iniziative che lo contornano.
Nel Museo Pietro MICCA e dell’Assedio di Torino1706, aperto nel 1961 nel
quadro delle manifestazioni per il I Centenario dell’Unità d’Italia, sono visibili i luoghi del ritrovamento ed
oltre 1,4 Km di gallerie sono oggi visitabili. Nell’Ottobre 2008 ricorrerà il Cinquantenario della scoperta
della scala.
21.c)
Anche la Marina Militare volle onorare la memoria di Pietro MICCA; una prima unità
sommergibile prese il mare nel 1917 e non si hanno ulteriori notizie, mentre è ben noto che il
31.03.1935 a Taranto (cantiere Tosi) fu varato un sommergibile posamine intitolato a Pietro Micca, con
un equipaggio iniziale di 63 uomini (di cui 5 ufficiali) ed al quale fu assegnato il motto “fino al sacrificio”.
Il P.Micca II fu affondato il 29.07.1943 dal sommergibile britannico Trooper di fronte a Capo S.Maria di
Leuca; dal naufragio furono tratti in salvo soltanto 18 uomini sui 72 imbarcati.
Un monumento a P.Micca fu eretto nel suo paese natale (Sagliano/BI -v. fotografia
nel Museo) ed inaugurato dal Re Umberrto I il 29.8.1880 .
Un bassorilievo in bronzo a ricordo fu posato nel 1960 nell’ingresso (a Sx) del Circolo
degli Ufficiali di Torino (ex sede della Scuola di Guerra –c.Vinzaglio 6).
22)
A ricordo delle celebrazioni per il bicentenario nel 1906 rimasero in eredità alla città
di Torino quattro opere:
- ossario monumentale sul piazzale del Santuario di N.S. della Salute, demolito nel 1959 ed i
resti trasferiti nella cripta della Chiesa;
- due altorilievi equestri raffiguranti Vittorio Amedeo II ed il Principe Eugenio, offerti dalla Regina Margherita, murati sulla facciata della Chiesa e tuttora visibili;
- monumento alla “Patria”, opera dello scultore Leonardo Bistolfi (1859†1933) con funzione di
ossario, alla Madonna di Campagna; irrimediabilmente distrutto nel bombardamento aereo dell’
8.12.1942 con i resti dell’ossario in gran parte dispersi;
- monumento alla “Pace” collocato nella chiesa di Lucento ed andata dispersa durante la 2.a
Guerra Mondiale.
Un resoconto dettagliato delle manifestazioni del 1906 si trova nel cap. X del volume
“Torino 1706” ad opera del gen. G.AMORETTI e PG. MENIETTI (ed. Il Punto-2005).
23)
Nel 1956, in occasione del 250° anniversario della Battaglia di Torino, ad appena 10
anni dalla fine della disastrosa 2.a Guerra Mondiale, il giornale torinese “Popolo Nuovo”, per rendere omaggio al Combattente Sconosciuto, volle indire una grande manifestazione di riappacificazione cittadina nei giorni 8-9.Settembre.
Con la partecipazione del card. Arcivescovo di Torino Maurilio Fossati, per iniziativa
del quale nel 1939 era stata posta in salvo la S.Sindone (v. nota 24), di varie Autorità Civili, Militari, Ecclesiastiche ed alla presenza dei Consoli di Francia e Spagna, furono tumulate nel pronao della Basilica di
Superga due cassette contenenti i resti di combattenti della Battaglia provenienti dagli ossari di Madonna
di Campagna e N.S. della Salute, oltre ad una terza con le pergamene degli atti delle cerimonie di quei
giorni.
Le tre cassette furono ricoperte con una lapide ricordo, restaurata in occasione delle celebrazioni tricentenarie.
24)
La S.Sindone, considerata la più famosa reliquia della cristianità (trattandosi del
lenzuolo in cui la tradizione, suffragata da ampi ed approfonditi studi, vuole fosse stato avvolto il corpo di
Gesù), faceva parte del tesoro privato di Casa Savoia, a cui era pervenuta fin dal 1453; nel 1578 la
S.Sindone fu trasferita a Torino da Emanuele Filiberto contro il volere dei cittadini di Chambery, adottando quale scusante il desiderio di abbreviare il viaggio dell’Arcivescovo di Milano Carlo BORROMEO (poi
S.Carlo) che, per assolvere il voto fatto in occasione della peste di Milano di far visita alla sacra reliquia,
stava percorrendo a piedi il lungo viaggio; da allora la S.Sindone rimase a Torino.
La S.Sindone venne esposta in particolari occasioni nel corso della storia; nel quadro
(di anonimo fiammingo ad inizio ‘700) posto a fianco dell’ “Arrivo dei Principi al Duomo”, sul fondo (di
fronte al Palazzo Ducale, poi Reale) si nota il padiglione sotto il quale, in ringraziamento per l’avvenuta
liberazione di Torino, venne esposta di ritorno da Genova, dove era stata inviata all’approssimarsi degli
eventi che portarono all’assedio e murata in un palazzo della zona portuale;
durante il viaggio verso
Genova la S.Sindone fu affidata a Madama Reale –M.Giov.Battista di Némours e sarebbe stata esposta a
Cherasco, dove la famiglia ducale fece tappa; si è anche ipotizzato che in effetti la sacra reliquia sia rimasta a Cherasco senza proseguire verso Genova: mancano tuttavia notizie certe in proposito.
Nel corso della storia, la Sindone lasciò Torino due volte soltanto: nel 1706 (in
quell’occasione a Torino, per nascondere alla popolazione l’avvenuto trasferimento, una copia fu esposta
presso la chiesa di S.Francesco da Paola) e nel 1939 (per iniziativa del card. Maurilio FOSSATI, arcivescovo di Torino e con il consenso del Re Vitt.Emanuele III -che ne era lo storico e legittimo proprietario),
dopo una prima ipotesi, a cui fortunatamente non fu dato seguito, di trasferirla a Montecassino, fu portata in segreto al santuario di Montevergine/AV, dove rimase nascosta durante la 2a Guerra Mondiale e
da cui fece ritorno nel 1946.
Nell’ultimo secolo vi furono 5 ostensioni ufficiali pubbliche: 1931 (per le nozze del Principe ereditario Umberto celebrate l’anno precedente, essendo vacante nel 1930 la sede Arcivescovile di Torino), 1933 (Anno Santo), 1978 (400° anniversario del trasferimento da Chambery a Torino= 3,3 M.ni di
visitatori), 1998 (500 anni dall’edificazione del Duomo di Torino, 100 dalla prima fotografia e 400 dalla
fondazione della Confraternita della Sindone= oltre 2,1 M.ni di visitatori), ultimamente nel 2000 (Anno
Santo del Giubileo= oltre 1 M.ne di visitatori); fra il 1998 ed 2000 fu sottoposta da un importante restauro, utilizzando filato di lino proveniente dalla Palestina.
In ringraziamento ai Monaci del Santuario di Montevergine, che l’avevano segretamente custodita durante la Guerra, per concessione del card. M.FOSSATI, che si era recato colà per riportarla a Torino, una brevissima ostensione privata fu effettuata nella notte del 28-29..9.1946..
Nel 1983, poco prima della sua morte, l’ex Re Umberto II donò il sacro lino a Papa Giovanni
Paolo II, che ne ordinò la conservazione nella storica sede della Cappella del Guarini in Torino, nominandone Custode Pontificio l’Arcivescovo della città.
Dopo l’incendio dell’11/4/1997, dal quale fu miracolosamente salvata, la S.Sindone è conservata nel Duomo di Torino,.
Di quell’episodio resta un mistero: da dove è arrivata la mazza d’acciaio
(giacché sembra non facesse parte delle attrezzature in dotazione ai VVFF) con la quale il pompiere Ma-
12
rio TREMATORE sfondò la teca di cristallo che la conteneva? E che fine ha fatto? Su “Torino Cronaca”
dell’11/4/2007, che ne scrive a dieci anni dalla tragedia, l’articolista conclude: “Nessuno lo sa dire. Era
sbucata dal nulla, e nel nulla sembra essere ritornata. Chi crede nei miracoli avrà qual-cosa
da discutere”.
Per approfondire la conoscenza della Sindone è possibile visitare a Torino il Museo della
S.Sindone (aperto tutti i giorni- www.sindone.it), costituito nel 1965 su progetto dell’arch. Antonino
TRIPODI che ne ricavò i locali dallo stallaggio del palazzo di v. s.Domenico 28..
25) A cavallo di agosto-settembre 1703, era apparsa sulla Gazzetta di Berna un’anticipazione riguardante accordi segreti del Duca di Savoia con emissari di Leopoldo I circa il passaggio dei
sabaudi nel campo imperiale (notizia non del tutto vera, ma suffragata da contatti che troppo segreti
evidentemente non erano).
Il Re Sole Luigi XIV ebbe così ulteriore conferma di quanto già comunicatogli dai suoi
informatori, ed ordinò al gen. Vendôme di organizzare una rivista (29.sett.) delle truppe reduci dalla
campagna del Tirolo (francesi-sabaudi-spagnoli), con l’ordine di arrestare e disarmare il contingente sabaudo (circa 4.500 uomini) senza usar loro alcuna violenza, lasciando liberi gli ufficiali sulla parola.
Il Duca di Savoia, non presente alla rivista perché impegnato a Torino per affari di governo, venuto a conoscenza dell’episodio dopo qualche giorno, accelera le trattative con gli imperiali,
assume alcune iniziative di ritorsione e l’ 8.11 firma il trattato di adesione alla Grande Alleanza.
26)
La moneta ossidionale (dal latino “obsidio”= assedio), per lo più di rame, veniva coniata durante gli assedi soprattutto nel corso dei sec. XVI÷XVIII, per fare fronte alle spese straordinarie
ed alla penuria di moneta corrente, per poi essere cambiata al termine delle ostilità.
Nel XX sec. un paragone potrebbe essere fatto con le AM£ire emesse in Italia dalle autorità alleate giunte a contrastare i nazi-fascisti, e che circolarono soprattutto nelle regioni meridionali.
27)
Ai Sindaci era affidata l’amministrazione della città con mandato semestrale ma, ad
assedio in corso, fu loro riconfermato l’incarico per un secondo semestre.
28)
L’assegnazione all’Austria della Lombardia, tolta agli spagnoli, spiega la presenza degli austriaci nel nord-Italia (poi Regno del Lombardo-Veneto), in contrasto con l’aspirazione dei Savoia su
quei ricchi territori e le successive guerre risorgimentali a partire dal 1848.
29)
A proposito dell’acquisizione del titolo di Re, il cantore de “L’Arpa discordata”
(com-ponimento poetico, comunemente attribuito a don F.A.TARIZZO, autore anche de “Il Ragguaglio
Istorico dell’Assedio”) profeticamente declama che il Duca Amedeo può quindi prepararsi ad “andar di
volata verso l’Italia a liberar le città” (vv 1803-180)
30)
Giovanni BRUNO, autore di un agile libretto dal titolo “I testimoni dell’assedio e della
battaglia di Torino nel 1706” (pubblicato in occasione del bicentenario) descrive il clima che si respirava
a Torino la sera della vittoria “… sublimemente grandiosa, emozionante, la scena svoltasi nelle vie torinesi …… Una folla compatta, moventesi in tutti sensi… grida di gioia , di pianto, espansioni di baci ed
abbracci…” e lo stato d’animo del Principe Eugenio come “…. raggiante di contentezza per la nuova rivincita data al re di Francia, che un giorno [rifiutandolo nel suo esercito] aveva disprezzato l’imbelle abatino di Savoia”.
31)
Convegni di Studi sull’Assedio e la Battaglia di Torino si sono tenuti:
- il 24/05/2003, presso il Circolo degli Artisti, organizzato dal Lions Club TO-Castello, dal
titolo Verso il centenario …..
- il 29-30/09/2006, al Centro Incontri Regione Piemonte dal titolo Memorie e attualità
dell’Assedio di Torino del 1706 …….” con la presentazione di oltre cinquanta comunicazioni e relazioni di cui, a chiusura delle celebrazioni, sono stati pubblicati gli atti in due corposi volumi.
32)
un ricco catalogo a colori, che costituirà nel tempo un pregevole ricordo della mostra,, è stato pubblicato e posto in vendita a prezzo promozionale; un interessante sito web (www.
torino1706.it), curato dal dr G.BALBIANO (del Lions Club TO-Castello), contiene ulteriori informazioni
su l’Assedio e la Battaglia di Torino.
33)
La Compagnia di Marionette Grilli, ha allestito presso l’ALFATEATRO di Torino uno
spettacolo di tradizione per marionette a filo in italiano e piemontese, con il titolo Giandoja e l’Assedio
di Torino del 1706. Per la realizzazione (regia di A.Grilli e musica di M.Brusa) è stato utilizzato un
teartrino originale del settecento e le marionette della collezione Grill, riprendendo un canovaccio
dell’inizio ‘800 (in piena dominazione napoleonica),
ANNOTAZIONI
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ANALISI del COSTO di COSTRUZIONE
della CITTADELLA di TORINO
XLS/Doc-AT/TavoleStoriche/TO1706-RifMonEFilib
(1564÷1566)
Elaborazione eseguita dal Monitore Vol. Ar.TOSCANO sulla base di indicazioni del prof. Luca FANTACCI dell'Università Bocconi di Milano, e tratte dal voume di Mario CHIAUDANO (Casale M.to-1928) -Bibl.Civica TO 269.B.58
la RIFORMA MONETARIA di Emanuele Filiberto di Savoia -13/03/1562
moneta (pag.129-130)
doppio filiberto
filiberto
scudo d'oro (1)
lira (d'argento)
mezza lira
filiberto d'argento
soldo
quarto di soldo
denaro
(1) ragguaglio allo scudo d'oro
(pag.130):
1 scudo =
27
9
3
20
10
5
12
3
cambio
gr oro fino (2)
lire d'argento
28,0161 =9 scudi
lire d'argento
9,3387 =3 scudi
lire d'argento
3,1129
soldi
soldi
soldi
denari
denari
3 lire
Prezzi del Grano (pag.230)
data
località
17/03/1562 Torino
(3) sacco di grano = 100 kg
Prezzo del Grano -campagna 2006
fonte
-alla trebbiatura =
120 €/ton
E.ARIOTTI
-Ott/Nov =
150 €/ton
E.ARIOTTI
-Borsa Merci di Parigi
154 €/ton
24 Ore-3/11
-Borsa Merci di Winnipeg/CAN
162 $Can/ton 24 Ore-3/11
3/11/06
oro fino gr
oro= €/gr
(4)
3,11290
15,78650
€/sacco
prezzo in den.
denari x scudo
Borsa Parigi
x sacco 100 kg
720,00000
15,40000
66,00000
6 mezze lire
prezzo al
sacco (3)
quantità
205 sacchi 66 denari
1 sc.= €
1,00000
1,00000
49,14180
1,00000
168,00000
12 filiberti d'argento
60 soldi
720 denari
(2) emissione di varie Zecche ducali nel 1561 ÷67 (pag.141)
(5)
sc./sacco
Valore attuale del costo di costruzione della Cittadella 1564÷66, basato su:
(4) contenuto in oro fino dello scudo:
(5) prezzo del grano alla Borsa Merci di Parigi:
(6) da Stampa Sera del 4/5/1981
100.000 sc =
100.000 sc =
150 mdi £ =
€
"
"
4.914.180
16.800.000
270.000.000 (coeff.ISTAT 2006/1981= 3,4627)
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introduzione