Materiale didattico per la formazione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) Rischi “Cultura della sicurezza” patrimonio comune del mondo del lavoro: impresa, lavoratori e parti sociali. Il testo unico sulla sicurezza sul lavoro mette in evidenza il cuore delle politiche del lavoro: “la tutela della salute e la sicurezza sul lavoro”. Ebilforma RISCHI ambienti, illuminazione e microclima Con il termine “ambiente di lavoro” si intende l'area in cui gli addetti operano svolgendo le proprie mansioni, sia questa confinata o all'aperto. Sono da considerare luoghi di lavoro sia i locali direttamente necessari allo svolgimento della propria mansione, sia i locali ausiliari (servizi igienici, spogliatoi, refettorio o mensa aziendale, locale di riposo). Nei luoghi di lavoro utilizzati da lavoratori portatori di handicap le barriere architettoniche devono essere eliminate o aggirate mediante opportuni provvedimenti; ciò non è obbligatorio negli edifici già utilizzati prima del 1 gennaio 1993 dove dovranno comunque essere adottate misure che rendano possibile l'accesso ai locali di uso e accessori anche a questi lavoratori. L'Allegato IV del Testo unico (“Requisiti dei luoghi di lavoro”) definisce i requisiti minimi degli ambienti di lavoro perché siano mantenute le condizioni di sicurezza e igiene basilari; è chiaro che questi parametri non sono in sé sufficienti a garantire l'effettivo benessere degli occupanti, poiché questo dipenderà essenzialmente dalle caratteristiche dell'attività che vi viene svolta, dall'organizzazione della stessa, dall'affollamento di persone e oggetti negli ambienti, ecc. Dunque, il reale strumento di prevenzione è sempre la valutazione dei rischi. I requisiti minimi dei locali confinati destinati al lavoro nelle aziende industriali che occupano più di 5 lavoratori sono i seguenti (salvo diverse disposizioni definite dalla normativa urbanistica vigente e in particolare dal Regolamento Locale di Igiene): a) altezza netta non inferiore a 3 metri; b) cubatura lorda non inferiore a 10 metri quadrati per lavoratore; c) ogni lavoratore occupato in ciascun ambiente deve disporre di una superficie lorda di almeno 2 metri quadrati; d) adeguati rapporti aero-illuminanti ottenuti con mezzi naturali. Quando vi siano particolari necessità tecniche aziendali, l'Organo di Vigilanza competente per territorio può consentire l'autorizzazione in deroga ai requisiti standard e prescrivere che siano adottati adeguati requisiti sostitutivi, quali impianti di illuminazione artificiale o mezzi di ventilazione dell'ambiente. In linea generale è vietato adibire a lavori continuativi i locali chiusi che non siano ben difesi contro gli agenti atmosferici e provvisti di un isolamento termico sufficiente, che non abbiano aperture sufficienti per un rapido ricambio d'aria. Anche i luoghi di lavoro esterni (all'aperto) devono essere protetti dalla caduta di oggetti e per quanto possibile contro gli agenti atmosferici, illuminati artificialmente, realizzati in modo da evitare scivolamenti e cadute, facilmente evacuabili. È vietato adibire al lavoro anche i locali chiusi sotterranei o semi-sotterranei; questi possono essere destinati al lavoro solo qualora ricorrano particolari esigenze tecniche, ma in tali casi si deve provvedere con mezzi idonei alla aerazione, alla illuminazione e alla protezione contro l'umidità. Le superfici dei pavimenti, delle pareti, dei soffitti devono essere in materiale che possa essere pulito agevolmente, in modo da ottenere condizioni adeguate di igiene. I pavimenti dei locali devono essere esenti da protuberanze, cavità o piani inclinati pericolosi, e essere fissi, stabili e antisdrucciolevoli; qualora permangano bagnati per necessità del lavoro, sarà necessario realizzare grate per il deflusso dei liquidi o palchetti sopraelevati. Le pareti trasparenti o traslucide, in particolare le pareti completamente vetrate, nei locali o nelle vicinanze dei posti di lavoro e delle vie di circolazione, devono essere chiaramente segnalate e costituite da materiali di sicurezza fino all'altezza di almeno un metro dal pavimento, in modo che i lavoratori non possano rimanere feriti qualora esse vadano in frantumi; tale altezza minima è elevata quando ciò è necessario. Le finestre, i lucernari e i dispositivi di ventilazione devono poter essere aperti, chiusi, regolati e fissati dai lavoratori in tutta sicurezza. Quando sono aperti essi devono essere posizionati in modo da non costituire un pericolo per i lavoratori. Le porte dei locali di lavoro devono consentire, in base a numero, dimensioni, posizione e materiali di realizzazione, una rapida uscita delle persone e essere agevolmente apribili dall'interno durante il lavoro. In funzione del numero di lavoratori e della natura dell'attività lavorativa svolta, sono stabiliti un numero minimo di porte e una larghezza minima della luce di passaggio. Le porte e i portoni apribili nei due versi devono essere trasparenti o essere muniti di pannelli trasparenti. Sulle porte interamente trasparenti deve essere apposto un segno indicativo all'altezza degli occhi. Le porte scorrevoli devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di uscire dalle guide o di cadere. Le porte e i portoni che si aprono verso l'alto devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di ricadere. Le porte e i portoni a azionamento meccanico devono funzionare senza rischi di infortuni per i lavoratori; devono inoltre essere muniti di dispositivi di arresto di emergenza identificabili e accessibili e poter essere aperti anche manualmente, salvo che la loro apertura possa avvenire automaticamente in caso di mancanza di energia elettrica. Le vie di circolazione (tutti i passaggi che collegano fra loro differenti ambienti di lavoro) devono essere adeguatamente progettate in funzione del numero di lavoratori e mantenute sgombre da arredi e depositi di materiale. Inoltre, se sono destinate a un utilizzo promiscuo da parte di persone e veicoli o mezzi meccanici, occorre separare i percorsi mediante l'utilizzo di apposita segnalazione orizzontale o di barriere materiali e garantire una opportuna distanza di sicurezza. Eventuali ostacoli non rimuovibili posti sul percorso di passaggio (es. sporgenze, zone in pendenza canaline a pavimento) devono essere segnalati mediante la segnaletica a strisce giallo-nere. I punti con scarsa visuale (angoli, porte non trasparenti o non dotate di oblò) devono essere segnalati e per quanto possibile migliorati; per esempio non sono certamente il posto migliore dove collocare attrezzature, oggetti o mensole ad altezza uomo. Le scale, a causa della frequenza degli infortuni che vi avvengono, sono considerate vie di circolazione particolarmente pericolose: occorre che siano provviste di parapetti e corrimano adatti a sostenere il peso di una persona in caso di scivolamento; inoltre i gradini devono essere puliti e resi non scivolosi, anche mediante l'apposizione di strisce adesive vicino al margine. Per quanto concerne i servizi igienici, questi devono essere distinti fra i due sessi (salvo che il numero totale degli addetti non superi le 10 unità, o qualora sussistano particolari vincoli urbanistici o architettonici), dotati di acqua corrente calda, riscaldati e provvisti di mezzi igienici per la detersione e l'asciugatura; se necessario (lavorazioni cosiddette “insudicianti”) i lavoratori devono anche poter usufruire di docce con acqua calda e mezzi detergenti e asciuganti. Qualora per lo svolgimento delle attività siano richiesti specifici indumenti di lavoro, è obbligatorio predisporre locali spogliatoio (distinti per i due sessi, a eccezione di quanto detto sopra) provvisti di armadietti individuali dove conservare gli indumenti civili e gli effetti personali. Per le lavorazioni cosiddette “insudicianti” gli armadietti personali devono essere del tipo “a doppio scomparto” di modo che sia sempre garantita una rigida separazione fra indumenti di lavoro e indumenti civili onde evitare la contaminazione di questi ultimi e l'estensione del rischio anche ai familiari degli esposti. E obbligatorio prevedere locali di riposo qualora l'attività lavorativa svolta non offra equivalenti possibilità di riposo (come invece accade nel caso di uffici). In questo caso il locale deve essere di sufficienti dimensioni e provvisto di sedili con schienale; dovrebbe anche essere garantita la tutela dei non fumatori. Le lavoratrici in gravidanza e in allattamento devono avere la possibilità di interrompere la propria attività lavorativa e riposare in posizione distesa e in condizioni adeguate. I luoghi di lavoro direttamente necessari e accessori all'attività produttiva devono sempre essere tenuti in buone condizioni igieniche; il datore di lavoro deve provvedere, per quanto possibile, a far eseguire la pulizia al di fuori dell'orario di lavoro e in modo da ridurre al minimo il sollevamento della polvere nell'ambiente. È però anche compito del lavoratore accertarsi dell'effettivo mantenimento delle condizioni di pulizia. L'RLS, con la collaborazione dei lavoratori, può esaminare visivamente le condizioni di agibilità degli ambienti di lavoro e nel caso sia necessario (per esempio strutture complesIN PRATICA se o molto affollate, o in cui l'attività può essere molto diversificata) strutturare sopralluoghi periodici, che potrebbero essere svolti anche insieme al SPP. È opportuno organizzare le segnalazioni giunte e i riscontri dei sopralluoghi effettuati, per esempio con dei moduli predefiniti (si veda la sezione “La valutazione dei rischi”). microclima Con il termine “microclima” si intende l'insieme delle condizioni ambientali (temperatura, umidità e ventilazione dell'aria) all'interno dei luoghi di lavoro. Come si vedrà di seguito, questi tre parametri sono strettamente legati fra loro e una valutazione del microclima che non consideri questa interazione reciproca non è metodologicamente corretta. Fra il nostro corpo e l'ambiente circostante si ha un continuo trasferimento di calore dal corpo più caldo verso quello più freddo: questo scambio termico è influenzato dalla temperatura dell'aria, dalla temperatura dell'organismo e da quella del contesto, dalla umidità e dalla velocità dell'aria, dal vestiario adottato e dal livello di attività fisica svolta nel contesto lavorativo. Con l'aumento dello sforzo fisico aumenta l'intensità del metabolismo rispetto al “metabolismo basale” e di conseguenza aumenta la temperatura corporea esterna; per garantire l'omeotermia è necessario eliminare il calore in eccesso attraverso lo scambio termico con l'ambiente circostante. Inoltre il benessere termico è una sensazione influenzata da parametri puramente soggettivi e almeno in parte imponderabili durante una valutazione. La zona di benessere termico consigliata per lavori di tipo sedentario, e con vestiario normalmente in uso in Italia, è stata determinata come da tabella nella pagina successiva. Le valutazioni soggettive dei lavoratori sono interpretabili attraverso la norma tecnica ISO 10551 (valutazione del benessere termico soggettivo con scale di giudizio standard). È quindi evidente che attraverso opportuni mezzi tecnici si dovrà agire principalmente sull'ambiente di lavoro, nella stagione fredda innalzando la Benessere termico in condizioni di lavoro sedentario e vestiario di stagione ESTATE TEMPERATURA (C°) 19 -24 (22 valore raccomandato)* UMIDITÀ RELATIVA (%) 40-60 VELOCITÀ DELL'ARIA (m/sec) < 0.2 INVERNO TEMPERATURA (C°) 17.5-21.5 (19.5 valore raccomandato) UMIDITÀ RELATIVA (%) 40-60 VELOCITÀ DELL'ARIA (m/sec) < 0.2 *è necessario riferirsi anche alla temperatura esterna e evitare di discostarsi da questa per più di 7°C; eventualmente si andrà invece a ridurre maggiormente l'umidità temperatura media del locale e abbassandola in quella calda. Nella regolazione della temperatura ambiente, è importante che non si vengano a creare situazioni di eccessivo dislivello termico fra l'interno e l'esterno degli ambienti di lavoro, specialmente nel periodo estivo. Negli ambienti in cui a causa della attività svolte non sia possibile intervenire sulle condizioni climatiche dell'ambiente (es. celle frigorifere, forni, ambienti esterni) è indispensabile che il datore di lavoro fornisca ai lavoratori opportuni indumenti isolanti e protettivi, che in questo caso costituiscono Dispositivi di Protezione Individuale. In relazione all'attività svolta, è opportuno inoltre scegliere un abbigliamento che favorisca lo scambio di calore con l'ambiente esterno. Anche l'umidità relativa dell'aria (vapore acqueo che non condensa contenuto in un ambiente) è un importante parametro da considerare: infatti al suo aumentare il corpo incontra maggiore difficoltà a scambiare calore con l'esterno, così si accresce la sensazione di caldo o di freddo direttamente riferibile alla temperatura dell'ambiente. Occorre considerare anche quanto segue: ¥ un basso grado di umidità negli ambienti di lavoro provoca secchezza delle mucose e facilita i processi infiammatori a carico delle prime vie respiratorie; ¥ un'umidità eccessiva crea senso di costrizione alle vie respiratorie (specie in soggetti allergici); inoltre ambienti eccessivamente e costantemente umidi hanno sicuramente effetti primari a lungo termine sulla salute, legati a patologie come l'insorgenza di malattie osteoarticolari; ¥ valori elevati di umidità relativa (> 65%) favoriscono inoltre la formazione e la riproduzione di muffe e il rilascio di composti organici volatili, specie all'aumentare della temperatura. La zona di benessere consigliata per lavori di tipo sedentario è: inverno: compresa tra il 40% e il 60% di umidità relativa, estate: compresa tra il 40 e il 50% di umidità relativa. È quindi evidente che si dovrà agire sull'ambiente di lavoro attraverso opportuni mezzi tecnici: nella stagione calda è opportuno rimuovere l'umidità in eccesso (deumidificatori) mentre in quella fredda a causa degli impianti di riscaldamento è facile che il valore di umidità relativa nell'aria scenda al di sotto del 40% e è quindi opportuno umidificare i locali (evaporatori di acqua). Molte volte (es. nella stagione calda) è opportuno agire essenzialmente sull'umidità per garantire un miglior comfort termico senza abbassare eccessivamente la temperatura dell'ambiente rispetto a quella esterna. Infine, anche la ventilazione ha un'influenza importante sulla termoregolazione corporea, dal momento che una maggiore velocità dell'aria accelera lo scambio termico fra organismo umano e ambiente. Inoltre una data immissione di aria fresca nei luoghi di lavoro è indispensabile in quanto le attività metaboliche generano la produzione di metaboliti emessi nell'aria e in modo particolare di anidride carbonica, mentre parallelamente si ha la diminuzione della quantità di ossigeno presente. Per questo motivo all'atto dell'agibilità di un locale viene definito il numero di ricambi orari minimi sufficienti per un determinato ambiente (in base al volume e al numero di occupanti), che possono esser garantiti preferibilmente mediante l'aerazione naturale (finestre e prese d'aria) integrata da aerazione artificiale (sistemi di ventilazione forzata). La portata del ricambio dovrebbe risultare di almeno di 8,5 m3/h/persona; l'eventuale riciclo di aria prelevata dall'interno deve mantenersi sempre inferiore al 30%. Onde evitare un repentino raffreddamento dell'organismo e la formazione di correnti moleste è però necessario evitare velocità di circolazione dell'aria troppo elevate (in generale si suggerisce un valore medio inferiore a 0,2 m/sec). Per non alterare le condizioni microclimatiche regolate attraverso gli impianti di condizionamento, è importante non ostruire le bocchette di aerazione; la taratura di questi sistemi deve essere affidata a tecnici specializzati. La regolare pulizia e disinfezione delle griglie esterne e delle condotte di adduzione, filtrazione e raffreddamento dell'aria è fondamentale per scongiurare il pericolo della proliferazione microbiologica che causerebbe il rilascio di batteri, tossine e spore insieme all'aria immessa nell'ambiente. Gli impianti dovrebbero essere accompagnati da documentazione del costruttore che definisce anche la periodicità di pulizia e sanificazione raccomandata in funzione delle caratteristiche dell'impianto stesso. ¥ ¥ Gli aspetti microclimatici sono estremamente influenzati IN PRATICA da variabili soggettive; si tratta di elementi difficili da oggettivare anche nella VdR. Il contributo dell'RLS può essere essenziale in questo campo per migliorare il percorso di prevenzione. Il primo approccio sarà quello di esaminare come la problematica è stata valutata nel DVR. Nel momento in cui il disagio termico è sentito, è possibile verificarlo direttamente coi lavoratori utilizzando scale di valutazione soggettiva come nell'esempio: +3 eccessivamente caldo +2 caldo +1 leggermente caldo 0 termicamente accettabile -1 fresco -2 freddo -3 eccessivamente freddo In questo modo si ottiene una mappatura completa della problematica che non è più soggettiva, perché esprime l'insieme dell'esperienza concreta delle persone che occupano quel determinato ambiente. I successivi passaggi potranno richiedere un confronto con il SPP e il DL. Nel caso di controversie, o quando si vuole chiarificare le cause del problema, può essere opportuno proporre la pianificazione di misure specifiche dei parametri microclimatici. illuminazione La luce naturale è costituita da un insieme di radiazioni elettromagnetiche con uno spettro di frequenze particolarmente adatto alla visione umana e alla conformazione dell'occhio. A causa della variabilità stagionale e all'interno della stessa giornata, l'intensità della luce naturale può non essere adeguata: in particolare a un aumento nella precisione necessaria all'attività che occorre svolgere deve corrispondere un aumento dell'intensità luminosa (grandezza che rimisura in lux: quantità di luce che colpisce un metro quadrato della zona di lavoro). Per questo motivo occorre dotare i locali di lavoro anche di impianto di illuminazione artificiale. Una illuminazione inadeguata per intensità, colore o posizionamento: ¥ determina affaticamento visivo e può provocare a breve termine irritazioni oculari (bruciori, secchezza) e stati di malessere (specie cefalee), a lungo termine può causare o aggravare situazioni permanenti di scompenso visivo; ¥ riduce l'efficienza produttiva e la qualità dell'attività lavorativa; ¥ accresce la probabilità di compiere errori e diminuisce la capacità globale di attenzione, il che può provocare l'accadere di incidenti. I valori di intensità luminosa consigliati dalla normativa tecnica sono sempre riferiti alla tipologia di lavoro e possono presentare una certa variabilità anche per permettere un adattamento alla sensibilità dell'operatore. tipo di locale intensità luminosa media (lux) aree di passaggio, corridoi 100 - 200 scale, ascensori 100 - 200 magazzini, depositi 50 - 150 uffici generici, dattilografia, sale computer 300 - 750 uffici per attività manuali fini (progettazione) 500 - 1000 sale per riunioni 300 - 750 Nelle zone di passaggio tra un locale e l'altro o anche fra due diversi punti all'interno dello stesso locale è importante assicurare una gradualità dell'intensità luminosa, specie se la differenza fra i due ambienti è notevole: infatti un contrasto eccessivo e brusco è molto affaticante per gli occhi. Per contro un contrasto troppo contenuto non permette una buona visione in quanto appiattisce i profili degli oggetti non permettendo quindi di distinguerne i contorni. Inoltre, per garantire un buon rapporto qualitativo tra luce emessa da un corpo illuminante e luminosità dell'ambiente, è sempre consigliabile che le pareti dei locali siano di tonalità chiara, dal momento che questa finitura assorbe solo in piccola quota la radiazione incidente e quindi aumenta l'efficienza luminosa permettendo al contempo di contenere i costi. Un elemento importante per il comfort visivo è rappresentato dal colore della luce: nei luoghi di lavoro sono generalmente indicate le tonalità bianca neutra o bianca calda, mentre è sconsigliata la tonalità bianca fredda che dovrebbe essere scelta solo in funzione di particolari esigenze dell'attività (esempio: ospedali), o ancora in generale è sconsigliabile l'utilizzo delle tonalità diverse dal bianco che possono essere adatte per far risaltare meglio alcuni colori secondo il principio della resa di colore (per esempio un macellaio può utilizzare a banco una illuminazione di colore tendente al verde o al blu per far risaltare il colore rosso della merce che intende vendere). Una volta scelto il tipo di illuminazione più adeguata, per il mantenimento della qualità illuminante è necessario provvedere con regolarità alla pulizia dei corpi illuminanti che in seguito a depositi di polvere possono vedere ridotta l'intensità emessa anche del 40%. Naturalmente anche le superfici finestrate devono essere regolarmente pulite per garantire la massima efficienza illuminante. Al fine di garantire una corretta illuminazione dei luoghi di lavoro, è però fondamentale non solo assicurare una adeguata intensità luminosa, ma anche controllare la presenza di fenomeni di abbagliamento. Quando la luce colpisce una superficie liscia viene in parte riflessa e, se questo raggio interessa la regione visiva del lavoratore, si crea una sensazione di disturbo. Per questo motivo è importante che nelle attività lavorative, specialmente in quelle che comportano intenso sforzo visivo le pareti e i materiali di arredo abbiano una finitura opaca e siano posizionati in maniera coerente rispetto alle fonti di luce: questo implica anche una progettazione preliminare dei luoghi di lavoro in funzione dell'attività che dovrà esservi svolta. Gli elementi illuminanti dovranno essere dotati di schermature o contenuti in corpi avvolgenti, o ancora dotati di lampade opacizzate. In alternativa si dovrà provvedere a orientare opportunamente il corpo illuminante verso il soffitto o le pareti, in modo da ottenere in ambiente una radiazione riflessa. Le superfici finestrate dovranno essere protette contro l'insolamento diretto attraverso apposite tende regolabili dall'interno (come per esempio le tende veneziane) o da pellicole adesive riflettenti che permettono comunque di vedere verso l'esterno dei luoghi di lavoro. Nei locali di lavoro è necessario disporre un apposito impianto di illuminazione di sicurezza quando a causa dell'interruzione dell'erogazione elettrica si possono originare situazioni di pericolo per i lavoratori (scale, presenza di ostacoli, ecc.). In questi casi deve entrare automaticamente in funzione l'impianto di emergenza che deve possedere una alimentazione autonoma e garantire una intensità sufficiente a distinguere i contorni dei locali e delle attrezzature (solitamente 5 lux). Nei luoghi di lavoro non destinati a presenza fissa di lavoratori può essere sufficiente dotare gli addetti che devono accedervi di una torcia di cui venga regolarmente verificato il funzionamento. Anche in questo caso, come nel precedente, la percezione soggettiva influenza notevolmente il rischio. Dovrebbe essere consentita una certa flessibilità per consentire per IN PRATICA esempio, sulle specifiche postazioni individuali, di avere punti luce localizzati e livelli di illuminazione più marcati rispetto al livello generale. I lavoratori dovrebbero essere invitati a segnalare quelle situazioni dove, nonostante la buona volontà, è difficile regolare i parametri (schermature, orientamento delle sorgenti, livello di intensità) in modo che tutte le persone siano soddisfatte. In ogni caso è importante rimarcare – anche attraverso la proposta di piccoli incontri formativi dedicati – la funzione delle misure di prevenzione (es. non lavorare con una forte sorgente vicina agli occhi e il resto dell'ambiente buio, come può accadere quando si guarda la televisione a luce spenta; utilizzare le schermature delle finestre predisposte) e verificare che queste siano presenti e applicate. attrezzature di lavoro Con il termine “attrezzatura di lavoro” si intende qualsiasi utensile, apparecchiatura, macchina, impianto utilizzato durante l'attività lavorativa. Questi elementi del processo di lavoro sono considerati specificamente per quanto riguarda il loro uso nel Titolo III Capo I del Testo unico; per i requisiti costruttivi di sicurezza vige invece il D. Lgs. n. n. 17/2010 e successive modifiche e integrazioni, che recepisce nell'ordinamento italiano la cosiddetta “Direttiva Macchine” nei suoi aggiornamenti al progresso tecnico. Il datore di lavoro ha l'obbligo di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee ai fini della sicurezza; ciò può significare: 1) per le attrezzature utilizzate antecedentemente al recepimento della “Direttiva macchine” devono essere garantiti i requisiti di sicurezza stabiliti dalla legislazione previgente e in modo particolare dal DPR 547/55 (i principali riguardano la segregazione della zona pericolosa e degli organi in movimento, l'obbligo di dispositivi di comando atti a evitare l'avviamento accidentale, la presenza di dispositivi per l'arresto di emergenza); 2) le attrezzature messe in servizio o modificate per un uso non previsto dal costruttore dopo il recepimento della “Direttiva macchine” devono rispondere ai requisiti essenziali di sicurezza lì stabiliti, ciò significa che il prototipo della macchina viene verificato da un organismo certificato che ne attesta la conformità e autorizza l'immissione in commercio dell'attrezzature, che dovrà recare impressa la marcatura CE e essere sempre accompagnata dalla dichiarazione CE di conformità ai suddetti requisiti essenziali di sicurezza, oltre al manuale di uso e manutenzione che indichi le condizioni di uso previste, le istruzioni per l'installazione, l'uso ordinario, la manutenzione e la riparazione, lo smontaggio e il montaggio, il trasporto. I requisiti essenziali di sicurezza non sono però sufficienti a garantire l'effettiva sicurezza durante l'uso, che deve sempre essere specificamente valutata nell'interazione con l'uomo, l'ambiente, l'operatività della mansione. Ogni attrezzatura, oltre a essere intrinsecamente sicura rispetto a quanto detto sopra, deve essere utilizzata in modo che non vengano a alterarsi le sue caratteristiche previste di funzionamento; perciò a ogni lavoratore addetto a attrezzature di lavoro deve sempre essere garantita un'opportuna informazione e formazione e l'addestramento in relazione alla sua mansione. Il supporto indispensabile e procedurato di tale adempimento dovrebbe essere in forma scritta, a integrazione del libretto d'istruzione o di uso e manutenzione. Gli Accordi del 22 febbraio 2012 prevedono inoltre, per alcune tipologie di apparecchiature e macchine (tra cui i carrelli elevatori), l'obbligo di addestramento teorico-pratico certificato e da ripetersi periodicamente. Ogni attrezzatura deve essere sottoposta a un regolare programma di manutenzione preventiva e periodica secondo le istruzioni del fabbricante; per alcune macchine o componenti di macchine è esplicitamente stabilito un obbligo di verifica di prima installazione o di successiva installazione e le verifiche periodiche o eccezionali, al fine di assicurarne l'installazione corretta e il buon funzionamento (allegato VII Testo unico, integrato da ulteriori provvedimenti e circolari). Le operazioni di manutenzione significative anche ai fini della sicurezza dovrebbero essere annotate in apposito registro delle manutenzioni controfirmato dall'addetto a tali operazioni. a ogni modo, una documentazione che attesti l'avvenuta manutenzione periodica deve essere conservata per un periodo minimo di cinque anni e accompagnare la macchina in caso di utilizzo in luogo diverso da quello di prima installazione. In questo caso siamo in presenza di un rischio estremamente tecnico e specialistico. L'RLS, salvo dove abbia una specifica competenza IN PRATICA professionale, può certamente richiedere di visionare i manuali delle apparecchiature e i registri di manutenzione e richiedere per i lavoratori addetti una specifica e approfondita formazione e l'addestramento all'uso. Parlando con gli addetti esperti potrà comprendere gli eventuali limiti di funzionamento dell'apparecchiatura che possono costituire un rischio, e verificare come questi aspetti siano stati valutati nel DVR. impianti elettrici I rischi di origine elettrica sono essenzialmente imputabili a carenze dei relativi impianti e punti di distribuzione, di messa a terra e di protezione contro le scariche atmosferiche e a operazioni improprie da parte di personale non autorizzato. I danni che si possono produrre si distinguono in due categorie. Effetti diretti In seguito a folgorazione, i danni diretti dipendono dall'intensità della corrente, dal tempo di contatto e dalla facilità/difficoltà a attraversare l'organismo umano (la cosiddetta resistenza del corpo umano, a sua volta influenzata dalla presenza di acqua, oli, dal tipo di vestiario e in modo particolare di calzature indossate, dall'età del soggetto e dal suo stato di salute generale). Generalmente gli effetti del passaggio di corrente nell'organismo umano sono comunque gravi: è ustioni dovute al calore generato dalla resistenza del corpo al passaggio di corrente; è tetanizzazione della muscolatura, in seguito alla sua contrazione involontaria (non controllabile) a opera della corrente - ciò rende inoltre difficile se non impossibile il movimento che permetterebbe alla vittima di cessare il contatto con la corrente; è arresto della muscolatura intercostale che controlla il regolare movimento dell'inspirazione e della espirazione, con conseguente blocco della respirazione; è fibrillazione della muscolatura cardiaca, in quanto dopo che si è verificato un certo passaggio di corrente le fibre muscolari del cuore, che sono particolari rispetto alle altre fibre muscolari, iniziano a contrarsi disordinatamente e non consentono quindi la regolare contrazione del cuore che gli permette normalmente di svolgere la sua funzione di pompa del sangue; questo processo una volta innescato prosegue anche al cessare del passaggio di corrente. Effetti indiretti In seguito a incidente che coinvolga la corrente elettrica si possono verificare diversi avvenimenti, quali: è infortunio dell'operatore dovuto alla reazione fisica alla scossa elettrica, specialmente con corrente a alto voltaggio; è incidenti di varia natura dovuti all'improvvisa mancanza di corrente elettrica nelle attrezzature e nei luoghi di lavoro non provvisti di illuminazione di emergenza; è incendi di materiale combustibile o infiammabile conseguenti all'innesco da cortocircuito, esplosioni dovute a scintille sviluppatesi in ambienti con presenza di gas o vapori infiammabili. Il contatto con la corrente elettrica può essere diretto: avviene un contatto con una parte dell'impianto elettrico normalmente in tensione; ¥ indiretto: avviene un contatto con una parte metallica di un'apparecchiatura collegata all'impianto elettrico ma non dotata di collegamento con l'impianto di messa a terra, oppure il cui collegamento si è guastato, o ancora è l'impianto elettrico dell'edificio a non possedere tale impianto di messa a terra. Per ridurre il rischio di contatti sia diretti sia indiretti con la corrente elettrica è importante che siano messe in atto alcune misure di tipo tecnico e comportamentale. ¥ Gli impianti elettrici e tutti i loro componenti devono essere conformi alle norme CEI o CEN, e costruiti in modo tale da evitare qualsiasi contatto accidentale (dichiarazione di conformità dell'installatore ai sensi della L. n. 46/90 o del successivo D.M. n. 37/2008); sugli impianti elettrici deve essere montato un interruttore differenziale a alta sensibilità (c.d. “salvavita”) che interrompa il flusso della corrente quando si verifichino cadute di tensione che potrebbero essere imputabili a dispersioni (cortocircuito, guasto o contatto); i cavi elettrici devono essere di idonea resistenza rispetto ai luoghi di lavoro, e devono essere contenuti in apposite canaline facilmente ispezionabili dagli addetti alla manutenzione degli impianti; sono da evitare il più possibile prolunghe e fili volanti, specie sui luoghi di passaggio; sono da evitare il più possibile ciabatte, prese volanti, riduttori; se per uso occasionale devono essere di tipo adeguato e protette contro il surriscaldamento locale; gli interruttori, le prese e i quadri elettrici devono essere costruiti con un idoneo grado di protezione a seconda del rischio degli ambienti di lavoro (protezione contro l'entrata di polveri, di liquidi, di vapori) di modo da mantenere sempre l'isolamento verso l'esterno; le spine devono essere costituite in modo tale da rendere impossibile un contatto accidentale con le parti in tensione durante l'inserimento e il disinserimento della spina nella presa; è obbligatoria la presenza dell'impianto di messa a terra: secondo le disposizioni del DPR n. 462/2001 deve essere provvisto di omologazione tramite dichiarazione di conformità, da inviare all'ASL competente, e essere verificato ogni 5 anni (ogni 2 nei luoghi a maggior pericolo) da ASL o organismi privati abilitati; impianto di protezione dalle scariche atmosferiche (se previsto): secondo le disposizioni del DPR n. 462/2001 deve essere provvisto di omologazione tramite dichiarazione di conformità, da inviare all'ASL competente, e essere verificato ogni 5 anni (ogni 2 nei luoghi a maggior pericolo) da ASL o organismi privati abilitati; nei luoghi con pericoli maggiori di incendio e esplosione, le protezioni devono essere adeguate sempre secondo quanto previsto dalla “regola d'arte” (norme CEI e CEN) e in questo caso l'omologazione deve essere richiesta all'ASL o all'ARPA competenti per territorio; gli impianti elettrici delle apparecchiature devono essere adeguatamente isolati e accessibili solo al personale specialistico di manutenzione, segnalando quindi con apposita cartellonistica il divieto di accesso al personale non autorizzato. Anche qui siamo in presenza di un rischio estremamente tecnico e specialistico. La verifica visiva di situazioni di rischio palese è sempre IN PRATICA utile e può essere svolta richiedendo collaborazione ai lavoratori delle diverse zone. Inoltre potranno essere visionati i documenti inerenti lo stato dell'impianto elettrico e le regolari manutenzioni periodiche. Particolare importanza hanno le segnalazioni e le registrazioni di eventi significativi (malfunzionamenti, guasti, ecc.) anche dove non abbiano originato infortuni. fatica fisica e posture Tra le patologie professionali riconosciute in Europa, maggiore importanza hanno i seguenti gruppi diagnostici: malattie muscolo-scheletriche, malattie neurologiche, malattie polmonari, malattie degli organi di senso e malattie della pelle. Tra queste, i problemi muscolo-scheletrici contribuiscono alla maggior parte delle malattie professionali riconosciute e, nell'ultimo quindicennio, hanno mostrato un costante incremento generale. Un andamento analogo si può riscontrare nella popolazione lavorativa italiana: inserite solo recentemente nell'elenco delle malattie professionali, le patologie muscoloscheletriche da sovraccarico biomeccanico hanno soppiantato malattie storiche come le ipoacusie e sono diventate la prima causa di malattia professionale. In generale, si può affermare che non esista in assoluto una postura “giusta”: la postura che il nostro corpo predilige è quella dinamica, con alternanza di posizioni (es. seduto-in piedi) in modo che le strutture di volta in volta coinvolte possano alternare il carico e lo scarico. Ciò detto, è anche vero che alcune posture sono più sfavorevoli di altre: è perché costringono la struttura a una forma del tutto innaturale; oppure è perché non permettono un utilizzo efficace della forza applicata: bisogna usarne di più, con maggior fatica e con maggior sovraccarico. Le posture incongrue, siano statiche o dinamiche, possono non solo essere imposte dal tipo di attività da svolgere, ma anche essere adottate dai lavoratori perché percepite “più comode” e anche in relazione alle proprie caratteristiche individuali e al proprio vissuto. È sufficiente osservare le differenti modalità di camminata delle persone, o il portamento del busto e delle spalle, per rendersi conto di quanto questo elemento può influire come ulteriore fattore di rischio nelle attività già gravose dal punto di vista ergonomico. Si tratta ovviamente di modalità assunte in modo automatico, spesso senza alcuna consapevolezza. La sensibilizzazione e l'addestramento dei lavoratori è dunque in sé fondamentale per ridurre le possibilità di insorgenza di patologie muscoloscheletriche. Il fattore decisivo per queste patologie è il sovraccarico biomeccanico generato da attività con posture statiche o incongrue mantenute a lungo e/o movimenti ripetitivi e/o fatica fisica e movimentazione manuale. Se il rischio da movimentazione manuale dei carichi può essere stato almeno in parte caratterizzato e affrontato – anche se non certo omogeneamente – attraverso un'opportuna razionalizzazione delle attività di lavoro e dei materiali provvisti dai fornitori, la fornitura di ausili (carrelli manuali, tavole elevatrici, manopole per la presa, ecc.) e l'opportuno addestramento degli operatori, risulta invece esservi stata minore attenzione verso un'attenta progettazione ergonomica dell'intera attività, in modo particolare rispetto alle posture assunte e alla ripetitività dei movimenti. priorità di intervento prevista dal Testo unico per i rischi ergonomici Il rischio è normato dal Titolo VI del Testo unico, che tuttavia si riferisce esplicitamente alla sola attività di movimentazione manuale di carichi, definita come l'insieme delle “operazioni di trasporto o di sostegno di un carico a opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico”. Il rischio sanitario esiste a partire da 3kg, in funzione degli altri elementi di rischio (Allegato XXXIII Testo unico) inerenti: Il rischio è normato dal Titolo VI del Testo unico, che tuttavia si riferisce esplicitamente alla sola attività di movimentazione manuale di carichi, definita come l'insieme delle “operazioni di trasporto o di sostegno di un carico a opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico”. Il rischio sanitario esiste a partire da 3kg, in funzione degli altri elementi di rischio (Allegato XXXIII Testo unico) inerenti: 1. le caratteristiche del CARICO (pesante – ingombrante – difficile da afferrare – in equilibrio instabile – pericoloso) 2. le caratteristiche dell'AMBIENTE (spazio ristretto – punto di appoggio scivoloso, con dislivelli, instabile – microclima inadeguato) 3. le caratteristiche dell'ATTIVITÀ (distanze di sollevamento e di trasporto – frequenza – durata – ritmo non modulabile) 4. le caratteristiche del LAVORATORE (formazione e addestramento – idoneità -indumenti da lavoro) Una specifica norma tecnica, la UNI ISO 11228:2009, indica le metodologie suggerite per la valutazione dei rischi ergonomici sotto carico. VALUTAZIONE DEL RISCHIO eliminare ausiliare organizzare RIDUZIONE DEL RISCHIO SORVEGLIANZA SANITARIA formare Per le azioni di movimentazione manuale di carichi, cioè sollevamento, trasporto, deposizione di un carico, per la quantificazione del rischio e l'individuazione punti degli elementi critici si utilizzerà la metodologia messa a punto dal NIOSH, confrontando l'indice ottenuto con i limiti di peso (25kg per gli uomini adulti sani, 20kg per le donne adulte sane) suggeriti in funzione delle diverse popolazioni lavorative. Esistono anche strumenti di valutazione più intuitivi e sui quali ogni lavoratore può misurare le circostanze di rischio: nell'esempio qui riportato (Suva, www.suva.ch) le aree individuate sono quelle di massimo carico consentito a seconda delle caratteristiche dell'oggetto (dimensioni e peso) e del sesso del lavoratore (caratteristiche muscoloscheletriche differenti). Nel caso ricorrano le condizioni per poter parlare propriamente di movimenti ripetitivi, il rischio dovrebbe essere valutato (come suggerito dalla recente norma tecnica UNI ISO 11228 parte 3 “Movimentazione di bassi carichi a alta frequenza”) facendo uso della metodologia OCRA (“Occupational Repetitive Actions”, Unità di ricerca Ergonomia della Postura e del Movimento, Milano, http://www.epmresearch.org/) messa a punto in Italia e che intende definire, mediante la quantificazione dei parametri di rischio, un valore di rischio da confrontare con valori di riferimento. A titolo di esempio, possono essere utili i seguenti indicatori che individuano situazioni di rischio: ¥ frequenza delle azioni ripetitive superiore a 45-50 azioni al minuto; ¥ impiego di forza che supera il 50% della massima forza sviluppabile dal soggetto; ¥ postura dell'articolazione che supera il 50% del range di movimento articolare, mantenuta per tempi prolungati; ¥ lavoro con le braccia mantenute, per tempi prolungati (un'ora continuativa o due ore complessive nel turno di lavoro), a altezza delle spalle o più in alto; ¥ uso della mano come attrezzo; svolgimento di compiti ripetitivi sovraccaricanti per durate significative; assenza o scarsità di adeguate interruzioni durante la giornata lavorativa: diversi studi mostrano che – specialmente nei compiti ripetitivi e monotoni con affaticamento fisico e mentale – sia più funzionale e produttivo adottare piccole pause frequenti (per esempio, 5' ogni ora di lavoro) piuttosto che la classica pausa di 10' a metà mattinata o pomeriggio. Tra gli interventi diretti alla prevenzione e protezione volti alla riduzione dei rischi da posture di lavoro si consiglia di: ¥ progettare e disporre in modo ottimale il lay-out degli ambienti di lavoro e delle postazioni in modo da evitare o ridurre l'assunzione di posture estreme; ¥ scegliere preventivamente strumenti di lavoro ergonomici, specialmente ove correlati a sforzo fisico rilevante (attrezzi e utensili vari); ¥ progettare ergonomicamente il lavoro (ritmi, pause, rotazioni su compiti alternativi, tempi di recupero). La sorveglianza sanitaria è necessaria in presenza di un superamento dei valori di rischio accettabili; gli accertamenti e la periodicità sono di competenza del Medico competente. ¥ ¥ È fondamentale la rilevazione di pareri da parte dei lavoratori addetti, e di dati (pesi, frequenze, distanze e condizioni ambientali) necessari a circostanziare il rischio nelle diverse attività. Utile anche il coordinamento col RSPP per IN PRATICA la verifica degli elementi oggettivi di rischio, e col Medico competente per permettere una migliore evidenziazione delle problematiche sanitarie, se presenti, legate ai rischi di tipo ergonomico: spesso un semplice mal di schiena, se diffuso in un gruppo di persone esposte a questi rischi, può fornire indicatori utili per la prevenzione di un problema non ancora conlamato – anziché essere interpretato come una “normale” sollecitazione. Gli strumenti qui sopra presentati possono essere adottati anche dagli RLS per caratterizzare il rischio presente in quanto non richiedono un approccio estremamente tecnico, mentre risulta fondamentale l'accurata conoscenza del lavoro. Il metodo NIOSH è relativamente semplice, la sola difficoltà consiste nel dover collezionare diverse serie di dati: può essere quindi utile semplificare prendendo le circostanze più presenti o testare la check-list su poche situazioni estreme in modo da poter affinare in seguito se necessario. Il metodo OCRA è certamente più complesso e richiede anche conoscenze specialistiche, tuttavia sul sito è disponibile una check-list semplificata. attività a videoterminale Con il termine “videoterminale” (VDT) si intende uno schermo alfanumerico o grafico, a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato. L'attività a videoterminale è normata dal Titolo VII del Testo unico; numerose specifiche tecniche e organizzative per le postazioni a VDT si trovano nell'Allegato XXXIV. L'art. 172 definisce il campo di applicazione della norma e le relative esclusioni che riguardano essenzialmente display utilizzati per la sola visualizzazione di elementi e che non richiedono interazione continua. Il computer portatile, quando utilizzato in modo non temporaneo, dev'essere considerato VDT e di conseguenza adattato dal punto di vista ergonomico (docking stations o altri ausili). Il posto di lavoro a VDT viene considerato come l'insieme che comprende le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione dati, ovvero software per l'interfaccia uomo-macchina, gli accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l'unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l'ambiente immediatamente circostante. Il posto di lavoro a VDT deve sempre essere ergonomico, a prescindere dall'intensità di utilizzo di quella postazione e da chi la occupi. È invece molto importante per l'applicazione di alcune specifiche tutele la definizione di lavoratore a VDT (videoterminalista): colui che utilizza una attrezzatura munita di videoterminale in modo sistematico e abituale, per almeno 20 ore settimanali. Questo lavoratore ha diritto: è alla sorveglianza sanitaria; è a effettuare delle interruzioni dall'attività a VDT di 15 minuti ogni 2 ore su 4 ore di lavoro continuativo a VDT; è a informazione e formazione specifiche. Nell'attività a videoterminale i fattori di rischio non derivano tanto dallo schermo in sé, quanto da un insieme di fattori legati alle modalità di lavoro, quali: è l'intensa sollecitazione a carico del sistema mano-braccio; è le frequenti posture forzate assunte dalla colonna vertebrale; è l'affaticamento dell'apparato visivo sulla visione ravvi è cinata, spesso peggiorato dalle condizioni di illuminazione della postazione e dal microclima dell'ambiente; è la ripetitività e monotonia di alcune operazioni; è il ricorso alla capacità di concentrazione e quindi di astrazione dal contesto; è la difficoltà di apprendimento e di dialogo con la macchina (nuovi applicativi; tempi di risposta nell'interazione uomo/macchina; software non personalizzabili; difficoltà di assistenza tecnica; ecc.); I danni che si possono determinare ascrivibili a questo tipo di attività sono: è patologie muscolo-scheletriche (rigidità, intorpidimento, lombalgie acute, precoce invecchiamento e atrofizzazione dei dischi intervertebrali, alterazioni permanenti quali artrosi vertebrale, artrosi cervicale, sciatica, patologie discali; rigidità dei muscoli flessori e estensori della mano, tendiniti della mano, sindrome del tunnel carpale al polso, epicondiliti e epitrocleiti del gomito, periartrite scapolo-omerale della spalla); è disturbi circolatori localizzati agli arti inferiori e superiori; è disturbi oculo-visivi (consistono in una serie di disturbi, che generalmente non sfociano in una vera patologia, ma che sicuramente possono aggravare le situazioni patologiche individuali già esistenti o apportare un contributo determinante nello sviluppo di forme croniche nei soggetti predisposti o particolarmente sensibili); è disturbi psichici (la ridotta autonomia decisionale può indurre insoddisfazione e senso di scarsa utilità del proprio lavoro; attività prolungate al videoterminale determinano isolamento, ridotta possibilità di socializzazione). Per questo è importante adottare provvedimenti preventivi e protettivi che possono riguardare essenzialmente l'ergonomia degli spazi di lavoro e le modalità stesse di svolgimento del lavoro. ergonomia degli spazi di lavoro disporre di superficie ampia del piano di lavoro per potervi sistemare tutte le attrezzature e i materiali necessari nonché per consentire l'appoggio degli avambracci (15 centimetri) durante la digitazione; ¥ disporre di piano di lavoro stabile e di altezza fissa o regolabile tra i 70 e gli 80 centimetri; ¥ la tastiera deve essere inclinabile rispetto al piano di un angolo tra i 5° e i 15°; ¥ la postazione di lavoro deve consentire un comodo alloggiamento del sedile e delle gambe in posizione semidistesa (è consigliato un angolo superiore ai 90°C), nonché il loro libero movimento; ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ la sedia per videoterminale deve essere del tipo a rotelle antislittamento e antirovesciamento, stabile e con basamento a cinque razze, regolabile in altezza (consigliata tra i 40 e i 52 centimetri); lo schienale deve essere regolabile da seduti in altezza (ovvero deve sostenere l'intera zona lombare) e inclinazione (da 90° a 110° al massimo); il sedile deve essere anatomico, inclinabile di 3-5° all'indietro, sufficientemente largo da consentire cambiamenti di posizione (circa 40 centimetri), sufficientemente profondo (tra 38 e 40 centimetri) da sostenere le cosce permettendo nel frattempo la flessione delle ginocchia; deve essere leggermente imbottito ma realizzato con materiali traspiranti; se necessario, occorre disporre di un poggiapiedi regolabile che consenta l'appoggio su piano dei piedi dell'operatore; deve essere profondo 30 centimetri, di altezza regolabile tra i 4 e i 15 centimetri, inclinabile di almeno 10° rispetto al piano orizzontale; disporre di piano di lavoro sufficientemente profondo da consentire di mantenere una distanza corretta dallo schermo (schermi di grosse dimensioni richiedono una maggiore profondità del piano di lavoro); il piano di lavoro deve avere colore chiaro (ma non bianco) e in ogni caso non deve essere di materiale riflettente (finitura opaca); le attrezzature devono essere a finitura opaca e di colore possibilmente armonizzato all'ambiente; le pareti devono essere di colore chiaro, non bianco, e non riflettenti; lo schermo deve essere esente da sfarfallii o instabilità e regolabile sotto il profilo dell'illuminazione e del contrasto; posizionare lo schermo ortogonalmente rispetto alle fonti di illuminazione naturali o a eventuali pareti traslucide/trasparenti; comunque in modo da evitare riflessi e abbagliamenti da lampade artificiali, o la creazione di zone eccessivamente in ombra schermare le fonti di illuminazione naturali (tende o veneziane) e artificiali (lampade schermate); queste ultime devono essere esenti da qualsiasi instabilità; l'illuminazione localizzata deve essere comunque al di fuori del diretto campo visivo utilizzato dall'operatore durante l'attività a video, e non deve originare eccessivo contrasto di intensità luminosa con l'illuminazione generale dell'ambiente e delle superfici circostanti; durante l'attività di inserimento dati, per evitare l'affaticamento visivo dovuto al continuo passaggio tra diverse distanze e superfici illuminate diversamente, utilizzare un leggio portadocumenti, che va disposto parallelamente allo schermo mantenendo la stessa altezza e la stessa distanza dagli occhi. modalità di lavoro ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ assumere una postura corretta: piedi ben poggiati, cosce sostenute dal sedile e non schiacciate su di esso di modo da permettere il ritorno venoso, schiena sostenuta dallo schienale specie nel tratto lombare, appoggio corretto degli avambracci sul piano di lavoro (eventualmente possono essere utili per un maggior comfort dei braccioli, che devono distare fra loro 50 centimetri e dal sedile tra i 18 e i 26 centimetri); posizionare lo schermo del video di modo che lo spigolo superiore dello schermo sia posto leggermente più in basso della linea degli occhi; eseguire la digitazione o utilizzare il mouse o la trackball senza compiere movimenti troppo rapidi (frequenze superiori a 45-50 azioni al minuto sono già indicatori di rischio), senza rigidità, e senza applicarvi più della forza necessaria; cambiare spesso posizione, evitare di stare seduti se non è indispensabile allo svolgimento dell'attività; eseguire periodicamente esercizi di rilassamento e stiramento degli arti e della schiena, affiancati da esercizi di ginnastica isometrica (rinforzo delle muscolature antagoniste); mantenere una distanza degli occhi dallo schermo compresa tra 50 e 70 centimetri (eventualmente maggiore per chi presenta presbiopia, adeguando opportunamente lo zoom); assicurarsi, anche mediante opportuno ingrandimento, che i caratteri sullo schermo siano ben definiti, che mantengano dimensioni almeno di (lxh) 2x3mm o di 2,2x4,5mm e che la spaziatura tra le righe sia adeguata (dall'80 al 150% dell'altezza); utilizzare una distribuzione dei colori sullo schermo non troppo contrastante e con colori che non affatichino la vista (colori fluorescenti o contrasto tra colori molto scuri e molto chiari); durante le interruzioni previste, non affaticare ulteriormente la vista eseguendo lavori che richiedono un elevato impegno visivo (es. correzione di un testo scritto, lettura); se possibile, cercare di distogliere periodicamente (anche ogni 20-30') lo sguardo dallo schermo e guardare oggetti lontani (oltre 2,5m), al fine di non utilizzare in modo continuativo la visione ravvicinata; quotidianamente, effettuare esercizi di rilassamento oculare; se prescritti, durante l'attività a videoterminale utilizzare i mezzi di correzione della vista; la pulizia dello schermo in particolare (e comunque di tutte le altre componenti) deve essere effettuata periodicamente e in modo da non originare aloni sullo schermo stesso. organizzazione del lavoro ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¥ l'attività a videoterminale dovrebbe essere alternata con altre esclusivamente NON a schermo (archiviazione, dossier, correzione manuale testi, ecc.) che rompano la monotonia e la ripetitività del lavoro, e consentano anche di assumere altre posture, non sedute; programmazione preliminare delle attività comuni e individuali; potere di autonomia discrezionale del lavoratore rispetto alla organizzazione del proprio lavoro; rispetto delle interruzioni previste dalla legge, che consentono di alleggerire il carico di lavoro e possono predisporre alla socializzazione; il software deve essere adeguato alla mansione e permetterne il corretto svolgimento; in generale dovrebbe essere di facile uso, in ogni caso devono essere garantiti l'addestramento, l'informazione e la formazione, da fornire a ogni dipendente all'assunzione e al cambio di mansioni; rispetto da parte del lavoratore delle istruzioni ricevute e delle eventuali procedure informatiche attivate; in caso di anomalie del software e/o dell'hardware è molto importante poter contare su un referente tecnico che possa prendere in carico il problema; nessun dispositivo o controllo quantitativo o qualitativo può essere utilizzato all'insaputa dei lavoratori. in sintesi I lavoratori a VDT come fin qui definiti devono essere sottoposti alla sorveglianza sanitaria, che rispetto a questo specifico fattore di rischio consiste in accertamenti sulla funzionalità dell'apparato oculo-visivo e sulla integrità del sistema muscolo-scheletrico. Come sempre, la sorveglianza sanitaria deve essere preventiva (all'atto dell'assunzione) e periodica, con una periodicità stabilita dalla legge di 5 anni per chi è idoneo senza prescrizioni e di 2 anni per chi è idoneo con prescrizioni o ha superato i 50 anni di età. Il lavoratore è sottoposto a controllo oftalmologico a sua richiesta, ogniqualvolta sospetti una sopravvenuta alterazione della funzione visiva, confermata dal Medico competente, oppure ogniqualvolta l'esito della visita ne evidenzi la necessità. Su questa tipologia di rischio il contributo dell'RLS insieme agli altri soggetti può essere importante nella direzione di una migliore sensibilizzazione e maggiore consaIN PRATICA pevolezza dei lavoratori specialmente rispetto alle tematiche della postura corretta e dell'importanza delle pause e degli esercizi di rilassamento. Oltre a verificare le dotazioni previste e sopra riassunte per le postazioni a VDT, può essere importante promuovere incontri di discussione magari anche utilizzando situazioni reali riprese sul campo, in collaborazione con i colleghi stessi. agenti chimici, cancerogeni, mutageni Questo fattore di rischio è contemplato dal Titolo IX del Testo unico, che si suddivide in: Capo I “Protezione da agenti chimici” Capo II “Protezione da agenti cancerogeni e mutageni” Capo III “Protezione dai rischi connessi all'esposizione a amianto Alle disposizioni sono soggetti diverse tipologie di agenti chimici: l le sostanze pericolose per la salute o per la sicurezza ai sensi del Regolamento CE n. 1272/2008 (cosiddetto “CLP”) in vigore dal 01.12.2010; l le miscele pericolose per la salute o per la sicurezza ai sensi del D. Lgs. n. 65/2003, in vigore fino al 01.06.2015 (in seguito entrerà in vigore anche per questa tipologia di agenti chimici il Regolamento CLP); l gli agenti chimici cui è stato assegnato un valore limite di esposizione professionale, un cui elenco è negli Allegati XXXVIII (agenti chimici) e XLIII (agenti cancerogeni o mutageni); l gli agenti chimici che, pur non essendo classificabili come pericolosi, possono comportare un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di loro proprietà chimico-fisiche chimiche o tossicologiche e del modo in cui l sono utilizzati o presenti sul luogo di lavoro (alcuni esempi: oli minerali nebu- lizzati; polveri sottili da materiali inerti; prodotti criogenici). I pericoli che un prodotto chimico può presentare sono di tre tipi: n pericoli per l'ambiente vecchia nuova classificazione4 classificazione5 significato Pericoloso per l'ambiente Immesso nell'ambiente può causarvi danni consistenti, immediati o meno, e quindi una degradazione delle sue componenti. 4 È ancora in vigore per le miscele chimiche (preparati) fino al 1 giugno 2015, quando verrà sostituita dalla nuova classificazione (Regolamento CLP). 5 Introdotta dal Regolamento CLP, è già in vigore per le sostanze a partire dal 1 dicembre 2010. n pericoli per la salute vecchia nuova classificazione classificazione significato pericoli acuti pericoli cronici, degenerativi Nocivo Provoca effetti immediati (acuti) o a lungo termine (cronici) che possono generare lesioni, malformazioni, patologie. Rientrano in questa categoria anche i sensibilizzanti per inalazione, che possono provocare nel lavoratore esposto una “ipersensibilizzazione” che a una successiva esposizione produce una reazione avversa (sindromi asmatiformi, asma bronchiale, shock anafilattico). Corrosivo A contatto con i tessuti vivi (pelle, mucose, occhi) origina un'azione distruttiva. Irritante Pur non essendo corrosivo, esplica sui tessuti vivi una reazione infiammatoria conseguentemente a un contatto prolungato (o breve ma ripetuto). Fanno parte di questa categoria anche i sensibilizzanti in cui l'effetto si esplica attraverso il solo contatto con la pelle (dermatiti). n pericoli per la sicurezza vecchia nuova classificazione classificazione significato Esplosivo In determinate condizioni, sotto sollecitazione di urti o attriti, può deflagrare in modo rapido e improvviso, oppure esplodere in seguito a riscaldamento in condizioni di parziale contenimento. Estremamente infiammabile Presenta punto di infiammabilità estremamente basso (inferiore a 0°C) e basso punto di ebollizione (inferiore o pari a 35°C). Facilmente infiammabile Ha punto di infiammabilità basso (inferiore a 21°C ma superiore a 0°C). Infiammabile Ha un punto di infiammabilità basso (compreso tra 21°C e 55°C). (senza simbolo) Comburente A contatto con prodotti infiammabili o combustibili, provoca una violenta reazione con sviluppo di calore che ne può causare l'accensione e in alcuni casi l'esplosione. Coinvolto in un incendio ne aumenta le dimensioni, per sviluppo di ossigeno. pericoli acuti Molto tossico In caso di inalazione e/o ingestione e/o contatto con la pelle, anche in minime quantità e dopo una sola e breve esposizione, provoca effetti immediati (acuti) o a lungo termine (cronici) che possono risultare letali o che generano lesioni, malformazioni, patologie gravi e irreversibili. pericoli cronici, degenerativi, cancerogeni, mutageni Tossico Provoca effetti immediati (acuti) o a lungo termine (cronici) che possono risultare letali o generare lesioni, malformazioni, patologie gravi e spesso irreversibili. Di questa categoria fanno parte anche i prodotti cancerogeni (che possono provocare il cancro o aumentarne la probabilità), mutageni (che possono provocare mutazioni genetiche ereditarie o aumentarne la probabilità), e tossici per il ciclo produttivo (effetti sulla fertilità o, per esposizione durante la gestazione, sul nascituro). Esaminando una etichetta troviamo, oltre alle informazioni riguardanti la ditta produttrice, il nome del prodotto e uno o più simboli di pericolo che indicano la tipologia dei pericoli principali. Accanto a questi simboli sono riportate alcune frasi che specificano le modalità di azione del prodotto pericoloso: per esempio “nocivo per inalazione”. Queste frasi sono dette “frasi di rischio” o frasi R (frasi H nel nuovo sistema di etichettatura CLP). Troviamo anche una concisa indicazione delle precauzioni da prendere quando si manipola quel prodotto: per esempio “non respirare le polveri”. Queste frasi sono le cosiddette “frasi S” (frasi P nel nuovo sistema di etichettatura CLP) o “consigli di prudenza”. Queste informazioni danno un'indicazione di base sul rischio chimico, che dovrà comunque essere approfondita che per i prodotti pericolosi attraverso la scheda di sicurezza. La scheda informativa in materia di sicurezza, comunemente detta “scheda di sicurezza” (SDS) o a volte “scheda tossicologica”, è il principale veicolo di informazioni dettagliate che l'utilizzatore di un prodotto chimico può ottenere rispetto alla sua potenziale pericolosità e quindi impiegare per valutarne i rischi e introdurre le opportune precauzioni sia durante il normale utilizzo e lo stoccaggio, sia nelle situazioni impreviste. Presso l'azienda ( e a disposizione di tutti i lavoratori) devono essere conservate le SDS in italiano dei prodotti in uso o in deposito, anche per attività non di diretta competenza dei lavoratori (es. prodotti per le pulizie utilizzati dall'impresa appaltatrice che siano depositati presso l'azienda). L'obbligo di valutare i rischi chimici presenti (e eventualmente quelli cancerogeni e mutageni) vige per tutte le attività di lavoro dove siano presenti agenti chimici “pericolosi”: quindi in tutti gli ambiti di produzione di beni e servizi, manipolazione, immagazzinamento. Per l'applicazione delle misure previste non è perciò necessario che gli agenti chimici siano stati acquistati per soddisfare le specifiche esigenze produttive: rientrano infatti nel campo di applicazione anche quegli agenti chimici presenti come rifiuti e intermedi o sottoprodotti del ciclo produttivo e delle attività a esso accessorie, o gli agenti chimici sviluppatisi come prodotti di processi non intenzionali (esempi: decomposizione termica di materiali; prodotti da reazioni accidentali). Sono escluse le sostanze pericolose solo per l'ambiente e una serie di materiali normati da specifici provvedimenti (es. materiali radioattivi). Una volta rilevata la presenza nel proprio processo di lavoro di agenti chimici rientranti nel campo di applicazione - come sopra definiti - il Datore di lavoro è tenuto a effettuare una specifica valutazione dei rischi derivanti dalla presenza o dalla manipolazione di agenti chimici, prendendo in considerazione in particolare i seguenti elementi: a) le proprietà pericolose degli agenti chimici; b) le informazioni sulla salute e sicurezza comunicate dal produttore o dal fornitore tramite la relativa scheda di sicurezza; c) il livello, il tipo e la durata dell'esposizione; d) le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti, compresa la quantità degli stessi; e) i valori limite di esposizione professionale e i valori limite biologici; f) gli effetti delle misure preventive e protettive adottate o previste; g) se disponibili, le conclusioni tratte da eventuali azioni di sorveglianza sanitaria già intraprese. Anche rispetto a questo specifico “fattore di rischio” è fondamentale che vengano valutati TUTTI I RISCHI. Ove possibile, un agente pericoloso dovrebbe essere sostituito da uno meno pericoloso (classificazione ed etichettatura) o meno biodisponibile (meno dispersivo); inoltre le circostanze d'uso (durata, frequenza, quantitativi) devono sempre essere ridotti al minimo attuabile. La sorveglianza sanitaria può essere omessa quando il livello di rischio è documentato come “basso o irrilevante”; negli altri casi andrà effettuata almeno una volta all'anno, con accertamenti specifici definiti come sempre dal medico competente. Questo tipo di rischio richiede – sia per quanto richiesto dalla normativa sia per le specificità di azione dei diversi prodotti chimici – un certo grado di competenze tecniche non semplici da acquisire per l'RLS e anche, a volte, per lo IN PRATICA stesso RSPP. In genere, infatti, questa VdR è stata affrontata tramite software o check-list che utilizzano punteggi standardizzati da attribuire di diversi fattori di pericolosità dell'agente chimico e di intensità dell'esposizione. Non sempre questi sistemi si sono rivelati accurati nella valutazione; come sempre, l'obiettivo dovrebbe essere però quello di gestire nel modo migliore i rischi presenti e l'RLS può orientarsi in questa direzione piuttosto che addentrarsi nello specifico dei punteggi di rischio attribuiti nel DVR. In questo senso è essenziale conoscere le schede di sicurezza (SDS) e verificarne la presenza e l'aggiornamento: si tratta di documentazione preziosa per comprendere se le procedure adottate permettono di gestire in modo appropriato il rischio presente sia durante le attività di lavoro che nello stoccaggio, e se i DPI forniti sono adeguati come livello e tipo di protezione. rumore e vibrazioni I fattori di rischio “rumore” e “vibrazioni” sono originati dalla stessa situazione: l'oscillazione della materia all'interno di un corpo solido genera vibrazioni meccaniche, quando questa oscillazione di materia incontra l'aria vi si trasmette determinando una serie di compressioni e decompressioni dell'aria che origina un suono. L'oscillazione meccanica viene perciò arrestata solo dal vuoto. In realtà, il fatto che noi associamo a questa situazione un suono è dovuto alla particolare struttura del nostro orecchio: e infatti noi non percepiamo tutte le onde sonore, ma solo quelle per le quali il nostro orecchio è strutturato (da 20 Hz a 16.000 Hz, con un picco di sensibilità intorno ai 4.000 Hz che corrisponde alle frequenze del parlato). Le onde sonore sono caratterizzate da due parametri: la frequenza (numero di oscillazioni al secondo), espressa in Hertz (Hz) e che individua la tonalità del suono (es. suono acuto come un urlo, suono grave come un rombo); e l'intensità o pressione sonora, che si misura in decibel (dB) in modo particolare riferiti alla curva della sensibilità uditiva (dBA). FONTE DEL RUMORE Voce sussurrata Ventola di raffreddamento del PC Stampante laser Conversazione telefonica Fotocopiatrice Voce parlata Stampante a getto d'inchiostro Tono di voce alta Autovettura in moto Traffico stradale medio/intenso Veicoli pesanti Metropolitana RUMOROSITÀ MEDIA 20dBA 30 dBA 30 dBA 40 dBA 50 dBA 50 dBA 50 dBA 60 dBA 60/70 dBA 70-80/90 dBA 90 dBA 100 dBA L'effettivo danno uditivo non viene percepito immediatamente ma procede in più tappe: 1. ridotta capacità uditiva temporanea (sensazione di orecchie ovattate, fischi, fruscii, cefalea, intontimento) che può presentarsi durante le prime settimane di esposizione a rumore; 2. apparente stato di benessere (recupero uditivo) che può permanere anche per anni: solo una audiometria può rilevare precocemente l'avvenuto danno; 3. difficoltà a percepire i toni acuti (es. squillo del telefono) o nel comprendere le parole di una conversazione che si svolge in ambiente non silenzioso; 4. difficoltà a percepire le conversazioni con compromissione palese degli scambi verbali: si è instaurata una ipoacusia. Lo spostamento della sensibilità ai suoni (misurazione della soglia audiometrica) è in genere bilaterale e simmetrico, irreversibile anche dopo la cessazione dell'esposizione a rumore. È possibile misurare l'esposizione individuale al rumore attraverso uno strumento chiamato fonometro. Per rappresentare in modo realistico la quantità di energia sonora assorbita dall'orecchio durante una giornata lavorativa è stato introdotto il livello sonoro equivalente (Leq) che attraverso una media ponderata sulla durata complessiva dell'esposizione rappresenta il livello di un rumore che si ipotizza o si rende costante in un intervallo di tempo. Si ritiene che vi possa essere un danno uditivo con notevole probabilità quando il livello costante di esposizione al rumore (ponderato su 8 ore giornaliere e 40 ore settimanali) raggiunge 80 dBA (valore inferiore di azione), che corrisponde a una prima soglia di rischio dove il Datore di lavoro dovrà programmare degli interventi di riduzione del rischio e nel frattempo potrà far utilizzare agli esposti idonei DPI (otoprotettori). Al raggiungimento di 87dBA) (valore superiore di azione) il rischio di contrarre un danno uditivo è elevato: in questa circostanza il Datore di lavoro è tenuto a intervenire immediatamente. 2) barriere 3) inteventi sul lavoratore sicurezza 1) interventi sulla sorgente La valutazione può essere effettuata per misura o per stima del livello di esposizione in base ai dati del costruttore dell'attrezzatura. Il rumore anche a basse dosi è un fattore di stress (effetti extrauditivi) su cui è bene intervenire, potendo indurre, a lungo andare, disturbi caratteristici dello stress. La sorveglianza sanitaria è obbligatoria quando il livello di esposizione raggiunge il valore superiore di azione, mentre è a richiesta al superamento del valore inferiore. Anche l'esposizione a vibrazioni sopra determinate soglie di intensità può rappresentare un fattore di rischio rilevante per i lavoratori. Occorre distinguere tra: ¥ vibrazioni trasmesse all'intero corpo (WBV, Whole Body Vibrations): riguardano per esempio conducenti e operatori di macchinari mobili che lavorano in posizione seduta e sono correlate alla comparsa di lesioni dorso-lombari, cervico-brachialgie, disturbi all'apparato gastrointestinale, effetti verso il sistema riproduttivo, lesioni circolatorie, effetti cocleo-vestibolari; ¥ vibrazioni trasmesse al solo sistema mano-braccio (HAV, riguardano principalmente gli utilizzatori di utensili a impugnatura manuale) che provocano disturbi della vasomotilità locale e angiopatie (sindrome di Raynaud), alterazioni osteoarticolari e tendinopatie, neuropatie. Il Testo unico pone l'obbligo di valutazione del rischio, attraverso la quantificazione del livello di intensità dell'accelerazione locale (ponderato su 8 ore giornaliere e 40 ore settimanali) e il confronto con valori-limite di esposizione differenziati per le due tipologie di vibrazioni. La valutazione può essere effettuata per misura o per stima del livello di esposizione in base ai dati del costruttore dell'attrezzatura o a quelli presenti nella Banca dati messa a punto da INAIL (http://www.portaleagentifisici.it/). Questi due rischi sono in genere ritenuti estremamente tecnici, e come tali in genere trattati. Non per questo il contributo dell'RLS è poco importante, perché genera IN PRATICA informazioni e risorse confrontandosi con l'esperienza di chi opera a diretto contatto con le sorgenti di rumore o vibrazioni nel luogo di lavoro. Può essere utile organizzare le segnalazioni giunte e i riscontri dei sopralluoghi effettuati in modo da costituire una serie di dati che non sono meno utili di quelli che derivano da misure effettuate. L'RLS può chiedere di visionare i libretti di uso delle apparecchiature nel caso riportino livelli di emissione sonora e di accelerazione, in modo da confrontarli con quelli indicati nel DVR. È anche opportuno precisare che le misure, per essere significative, devono essere svolte nelle effettive condizioni di esposizione; quando c'è grande differenza nei livelli espositivi a seconda delle attività svolte, andranno effettuate più serie di misure differenziate oppure in via conservativa la misura nelle condizioni peggiori. radiazioni ottiche e elettromagnetiche Nello spettro delle radiazioni in grado di causare danni all'uomo, un posto di rilievo è stato recentemente dato alle radiazioni ottiche e a quelle elettromagnetiche. Si tratta di radiazioni non ionizzanti, a differenza delle radiazioni tradizionalmente considerate come rischio (es. raggi X). ROA CEM radiazioni ottiche artificiali (ROA) Questo rischio è di recente normazione, contemplato al Titolo VIII Capo V del Testo unico, che ne richiedeva la valutazione entro il 26 aprile 2010. Si tratta di una problematica connessa alla presenza di sorgenti artificiali che emettono radiazioni nei campi dell'ultravioletto (UV), del visibile (VIS) o dell'infrarosso (IR), che possono arrecare danni principalmente a livello cutaneo e oculare. regione spettrale Ultravioletto C (100÷280 nm) Ultravioletto B (280÷315 nm) occhio Fotocheratite Fotocongiuntivite Ultravioletto A (315÷400 nm) Cataratta fotochimica Visibile (400÷780 nm) Lesione fotochimica e termica della retina Infrarosso A (780÷1400 nm) Cataratta Bruciatura della retina Infrarosso B (1400÷3000 nm) Cataratta Bruciatura della cornea Infrarosso C (3000 nm÷1 mm) Bruciatura della cornea cute Eritema Tumori cutanei Invecchiamento accelerato Reazione di fotosensibilizzazione* vasodilatazione eritemi ustioni * possibilità accentuata dall'esposizione concomitante a agenti chimici che inducono fotosensibilizzazione cutanea La normativa prevede che la valutazione del rischio espositivo a radiazioni ottiche artificiali possa essere effettuata per stima – per esempio per mezzo dei dati presenti nella Banca dati messa a punto da INAIL (http://www.portaleagentifisici.it/) – o per misura; il dato dev'essere confrontato con le differenti tipologie di valori-limite di esposizione, a seconda del tipo di radiazione e della tipologia di esposizione (occhi, cute, ecc.). radiazioni elettromagnetiche (CEM) I campi elettromagnetici (CEM) interagiscono con la materia biologica polarizzando le molecole presenti nei tessuti a maggior contenuto di acqua (sangue, liquidi organici, organi interni, cute, muscoli) e potendo così indurre: l la formazione di correnti interne; l il riscaldamento localizzato del tessuto coinvolto; l modifiche nei meccanismi cellulari e molecolari dei tessuti. Sono definiti valori-limite occupazionali che riguardano esposizioni intense e proteggono da effetti acuti: l effetti locali transitori (percezioni dolorose, contrazioni muscolari, ecc.), sul sistema cardiovascolare (aritmie, asistolia, fibrillazione,ecc.), sul sistema nervoso (contrazioni neuromuscolari, magnetofosfeni, ecc.): riguardano i campi a elevata potenza; l effetti termici (colpo di calore, ustioni, cataratta, sterilità temporanea maschile, …). La valutazione può essere effettuata per misura o per stima del livello di esposizione in base ai dati del costruttore dell'attrezzatura) o a quelli presenti nella Banca dati messa a punto da INAIL (http://www.portaleagentifisici.it/). Tra gli effetti ipotizzati a lungo termine (IARC – International Agency for Research on Cancer), per i quali non sono disponibili valori-limite di esposizione, spicca la valutazione come “possibile cancerogeno per l'uomo” attribuita ai campi magnetici prodotti dai cellulari wireless. È necessario precisare che per le normali apparecchiature la potenza è ridotta, dunque il campo EM decade a brevi distanze; invece nel normale uso dei cellulari la distanza non è sufficiente a abbattere i valori di campo e è dunque consigliabile utilizzare un auricolare col cavo (no bluetooth). IN PRATICA L'RLS può fornire un contributo significativo nell'identificazione delle sorgenti di rischio. La valutazione di queste tipologie di rischio è opera di esperti, ma il piano di miglioramento o di monitoraggio periodico può invece coinvolgere efficacemente l'RLS. fatica psichica e stress Negli ultimi anni si sono verificati notevoli miglioramenti nel campo della prevenzione dei danni occupazionali causati da agenti di natura fisica, chimica e biologica; parallelamente sono aumentate le problematiche legate allo stress lavoro-correlato, anche legate ai continui mutamenti del mondo del lavoro. Nel 2005, più del 20% dei lavoratori dei 25 Stati membri dell'Unione europea riteneva che la sua salute fosse a rischio a causa dello stress sul lavoro. La tutela della salute in ambito lavorativo richiede, secondo l'art. 28 del Testo unico, anche l'analisi di “rischi particolari”, tra cui anche quelli di “stress lavorocorrelato” secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004. Tuttavia, spesso quando ci si riferisce alla problematica si parla in termini semplificatori di “stress da lavoro”, riferendosi quindi in modo omnicomprensivo alle svariate possibili conseguenze patologiche, spesso aspecifiche o indirette, generate da una serie di agenti (che possiamo definire “fattori di stress”) presenti nel processo di lavoro, e capaci di mettere l'individuo in uno stato di tensione (“strain”) che tuttavia, in un primo momento, può non essere nocivo anzi fornire la giusta "stimolazione" necessaria all'individuo. fattori di rischio psico-sociale (elenco non esaustivo) a. b. c. d. e. f. g. h. i. j. k. l. m. n. o. p. ambienti inadeguati (es. spazi, illuminazione, microclima, rumore, igiene, ecc.); insicurezza del posto di lavoro, fase di incertezza o stagnazione; ambiguità del ruolo o della mansione e dei compiti correlati carente comunicazione, mancanza di interfacce di riferimento; incertezza dell'attività in seguito a mancanza di programmazione; eccesso di responsabilità; monotonia e ripetitività della mansione (elevata parcellizzazione del lavoro e scarsa autonomia decisionale); affidabilità, disponibilità, efficacia di strutture e attrezzature di lavoro; eccesso di compiti/mansioni, elevati carichi di lavoro (es. dovuti a carenze di organico), ritmi eccessivi e non modulabili; sottocarico di lavoro; sottocarico di lavoro, sottoutilizzo delle capacità, insufficiente valorizzazione delle conoscenze e competenze, mancanza di significato del compito svolto; orari di lavoro poco flessibili, imprevedibili, troppo lunghi; lavoro per turni, lavoro notturno, lavoro isolato; contatto col pubblico e sollecitazioni dall'utenza; rischio violenze; eccessiva competitività fra colleghi; oppressioni gerarchiche, controllo esasperato, forme persecutorie. L'evento patologico (“stress”) potrà verificarsi solo dopo il travalicamento delle capacità individuali di opporsi o adattarsi all'azione del fattore di rischio. In tale processo intervengono numerosi fattori, individuali e non, che ne modulano l'esito conclusivo. In questo "equilibrio" grande importanza hanno anche i fattori di compensazione, sia del lavoro (es. orari flessibili, gratificazioni, supporto sociale), sia individuali (es. capacità di ritrovare elementi positivi anche nelle situazioni di sollecitazione). Si tratta infatti di una valutazione non semplice da effettuare, poiché rischia di muoversi su un versante poco oggettivo. Le Linee-Guida del Coordinamento tecnico sul tema propongono un percorso di valutazione in più fasi successive: 1. rilevazione della presenza non occasionale, ma strutturata, di uno o più fattori di rischio nel processo di lavoro; 2. analisi collettiva degli indicatori oggettivi di stress (collezionati su 3 anni di storicità), che evidenziando meccanismi di fuga o di esaurimento delle risorse indicano una situazione stressogena non bilanciata nel gruppo degli esposti ai fattori di stress: à turnover à assenteismo à lamentele infortuni malori … 3. analisi approfondita (analisi organizzative; rilevazioni di clima; questionari mirati; focus-group; colloqui individuali), attuata con l'ausilio di personale specializzato. La valutazione dovrebbe essere periodicamente ripetuta in funzione dell'evoluzione dei vissuti e anche delle condizioni organizzative; indicativamente una revisione dovrebbe essere effettuata almeno ogni 2 anni. à à à Gli interventi possono essere strutturati a livello: 1. collettivo (progettazione e organizzazione del lavoro, valorizzazione delle risorse umane, ricerca del clima partecipativo, informazione e formazione) 2. individuale (formazione al benessere, diagnosi precoce, supporto psicologico o decisionale) Su un rischio così delicato e di recente formulazione normativa, un primo e importante livello di azione dell'RLS sta nel cercare di comprendere se e come la problematica IN PRATICA sia sentita dai colleghi ma senza “dimenticare” il piano dell'analisi collettiva. Non si tratta quindi di un livello di intervento semplice, poiché sono coinvolte concezioni estremamente soggettive della tematica e anche vi è sempre la possibilità che vi siano delle distorsioni. In rete si possono reperire diversi possibili questionari di indagine, che possono essere riadattati alla propria specificità e utilizzati per un primo sondaggio del clima. Questa prima fase, unitamente alla capacità di sensibilizzazione e ascolto dell'RLS, può orientare un successivo passaggio di approfondimento focalizzato sulle aree tematiche che mostrano le maggiori criticità. Un livello di intervento più accurato può prevedere strumenti più dettagliati, quali questionari mirati o incontri tematici, ma su questo punto in questa sede è difficile fornire orientamenti perché la linea di azione più opportuna dipende anche dalla conoscenza e dalla rappresentatività che l'RLS stesso sente di avere nel contesto. Certamente dopo una prima fase di conoscenza del clima sarebbe opportuno ricercare la collaborazione degli altri soggetti per comprendere meglio i disagi presenti (per esempio attraverso i dati collettivi e anonimi forniti dal medico competente) e come poter impostare una VdR efficace (insieme alle conosce specifiche del RSPP o di un eventuale specialista della materia). lavoratrici gestanti e in allattamento Il datore di lavoro valuta i rischi propri dell'attività lavorativa che possono risultare pregiudizievoli in caso di gravidanza o allattamento. Una specifica normativa, il decreto n. 645/96, definisce le tutele applicabili a questa particolare condizione di vita. “La gravidanza non è una malattia ma un aspetto della vita quotidiana”, tuttavia “condizioni suscettibili di essere considerate accettabili in situazioni normali possono non esserlo più durante la gravidanza così come nel periodo di allattamento sino al settimo mese dopo il parto”. In definitiva, alcuni elementi di rischio presenti nell'attività di lavoro possono risultare a rischio maggiore in queste condizioni, in quanto possono comportare lesioni del feto e/o provocare il distacco della placenta o compromettere la salute del bambino. Il Decreto riporta dunque un elenco indicativo dei fattori di rischio, che se presenti dovranno essere specificatamente valutati: è colpi o vibrazioni meccaniche; è movimentazione manuale di carichi che comportano rischi; è sollecitazioni termiche; è spostamenti, fatica mentale e fisica e altri disagi connessi all'attività svolta; è lavoro che comporta la stazione eretta protratta oppure la postura assisa protratta e/o in postazioni anguste; è lavoro in orari notturni (h 24-6); è rumore; è esposizione “non irrilevante” a agenti chimici; a a è agenti cancerogeni, mutageni, tossici per il ciclo riproduttivo di 1 , 2 e a 3 categoria; è agenti biologici dei gruppi 2-3-4; La normativa specifica che le misure per la tutela della sicurezza e della salute si applicano alle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio, che abbiano informato il datore di lavoro del proprio stato, conformemente alle disposizioni vigenti. La tutela si applica anche alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento, fino al settimo mese di età del figlio. Tale tutela si differenzia rispetto al normale “congedo di maternità” che dispone l'astensione dal lavoro della lavoratrice durante i due mesi precedenti la data presunta del parto e durante i tre mesi successivi alla data effettiva del parto. Il Datore di lavoro che impieghi lavoratrici donne ha quindi gli obblighi seguenti: 1. preventivamente, valuta i rischi per la sicurezza e la salute - fermo restando il divieto di adibire la lavoratrice ai lavori vietati; 2. preliminarmente, informa le lavoratrici e i loro rappresentanti sui rischi valutati per la gestazione e l'allattamento; 3. in collaborazione con RSPP, RLS e MC, valuta la possibilità di adattare la mansione a rischio o la ricollocazione a altra mansione esistente; 4. qualora ciò risulti impossibile, informa l'Ispettorato del Lavoro competente, che può disporre l'astensione obbligatoria per lavoro a rischio (congedo di maternità anticipato). La lavoratrice che, preventivamente informata sui rischi per la propria sicurezza e salute, intende avvalersi della tutela deve mettere a conoscenza il Datore di lavoro del suo stato di gravidanza consegnandogli il certificato di gravidanza. quando si presenta una gravidanza a rischio Si tratta di una situazione ben diversa da quella di una maternità per lavoro a rischio, in quanto riguardante una situazione individuale (complicanze nella gestazione o patologie pregresse che rendano a rischio il portare a termine la gravidanza), anziché una incompatibilità specifica tra il lavoro svolto e la condizione di gravidanza o puerperio. In questi casi la lavoratrice o collaboratrice, dopo aver ottenuto il certificato medico che attesti la gravidanza e la concomitanza di tali condizioni, dovrà: ¥ inoltrare alla Direzione Provinciale del Lavoro (DPL) di propria appartenenza la richiesta di astensione anticipata dal lavoro per motivi di gravidanza a rischio; ¥ presentare al Datore di lavoro la ricevuta della domanda inoltrata alla DPL. Le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l'effettuazione di accertamenti sanitari durante l'orario di lavoro. L'azione dell'RLS è naturalmente incentrata sulla VdR: l se è presente preventivamente alla presenza di IN PRATICA lavoratrici in gestazione; l se l'analisi dei rischi è coerente con quanto si verifica oggettivamente nella situazione; l se le misure adottate in ogni mansione possano effettivamente cautelare in modo efficace una lavoratrice che si trovi in gestazione o allattamento; l se la valutazione e le misure intraprese siano state portate a conoscenza di tutte le lavoratrici impiegate in mansioni a rischio, attraverso appositi incontri informativi.