Materiale didattico
per la formazione
dei Rappresentanti
dei Lavoratori
per la Sicurezza
(RLS)
Rischi
“Cultura della sicurezza”
patrimonio comune
del mondo del lavoro:
impresa, lavoratori
e parti sociali.
Il testo unico sulla
sicurezza sul lavoro
mette in evidenza il
cuore delle politiche del
lavoro: “la tutela della
salute e la sicurezza sul
lavoro”.
Ebilforma
RISCHI
ambienti, illuminazione e microclima
Con il termine “ambiente di lavoro” si intende l'area in cui gli addetti operano
svolgendo le proprie mansioni, sia questa confinata o all'aperto. Sono da
considerare luoghi di lavoro sia i locali direttamente necessari allo svolgimento
della propria mansione, sia i locali ausiliari (servizi igienici, spogliatoi, refettorio
o mensa aziendale, locale di riposo).
Nei luoghi di lavoro utilizzati da lavoratori portatori di handicap le barriere
architettoniche devono essere eliminate o aggirate mediante opportuni
provvedimenti; ciò non è obbligatorio negli edifici già utilizzati prima del 1
gennaio 1993 dove dovranno comunque essere adottate misure che rendano
possibile l'accesso ai locali di uso e accessori anche a questi lavoratori.
L'Allegato IV del Testo unico (“Requisiti dei luoghi di lavoro”) definisce i requisiti
minimi degli ambienti di lavoro perché siano mantenute le condizioni di sicurezza e igiene basilari; è chiaro che questi parametri non sono in sé sufficienti a
garantire l'effettivo benessere degli occupanti, poiché questo dipenderà
essenzialmente dalle caratteristiche dell'attività che vi viene svolta,
dall'organizzazione della stessa, dall'affollamento di persone e oggetti negli
ambienti, ecc. Dunque, il reale strumento di prevenzione è sempre la valutazione dei rischi.
I requisiti minimi dei locali confinati destinati al lavoro nelle aziende industriali
che occupano più di 5 lavoratori sono i seguenti (salvo diverse disposizioni
definite dalla normativa urbanistica vigente e in particolare dal Regolamento
Locale di Igiene):
a) altezza netta non inferiore a 3 metri;
b) cubatura lorda non inferiore a 10 metri quadrati per lavoratore;
c) ogni lavoratore occupato in ciascun ambiente deve disporre di una superficie
lorda di almeno 2 metri quadrati;
d) adeguati rapporti aero-illuminanti ottenuti con mezzi naturali.
Quando vi siano particolari necessità tecniche aziendali, l'Organo di Vigilanza
competente per territorio può consentire l'autorizzazione in deroga ai requisiti
standard e prescrivere che siano adottati adeguati requisiti sostitutivi, quali
impianti di illuminazione artificiale o mezzi di ventilazione dell'ambiente.
In linea generale è vietato adibire a lavori continuativi i locali chiusi che non siano
ben difesi contro gli agenti atmosferici e provvisti di un isolamento termico
sufficiente, che non abbiano aperture sufficienti per un rapido ricambio d'aria.
Anche i luoghi di lavoro esterni (all'aperto) devono essere protetti dalla caduta di
oggetti e per quanto possibile contro gli agenti atmosferici, illuminati artificialmente, realizzati in modo da evitare scivolamenti e cadute, facilmente evacuabili.
È vietato adibire al lavoro anche i locali chiusi sotterranei o semi-sotterranei;
questi possono essere destinati al lavoro solo qualora ricorrano particolari
esigenze tecniche, ma in tali casi si deve provvedere con mezzi idonei alla
aerazione, alla illuminazione e alla protezione contro l'umidità.
Le superfici dei pavimenti, delle pareti, dei soffitti devono essere in materiale
che possa essere pulito agevolmente, in modo da ottenere condizioni adeguate
di igiene. I pavimenti dei locali devono essere esenti da protuberanze, cavità o
piani inclinati pericolosi, e essere fissi, stabili e antisdrucciolevoli; qualora
permangano bagnati per necessità del lavoro, sarà necessario realizzare grate
per il deflusso dei liquidi o palchetti sopraelevati.
Le pareti trasparenti o traslucide, in particolare le pareti completamente
vetrate, nei locali o nelle vicinanze dei posti di lavoro e delle vie di circolazione,
devono essere chiaramente segnalate e costituite da materiali di sicurezza fino
all'altezza di almeno un metro dal pavimento, in modo che i lavoratori non
possano rimanere feriti qualora esse vadano in frantumi; tale altezza minima è
elevata quando ciò è necessario.
Le finestre, i lucernari e i dispositivi di ventilazione devono poter essere aperti,
chiusi, regolati e fissati dai lavoratori in tutta sicurezza. Quando sono aperti essi
devono essere posizionati in modo da non costituire un pericolo per i lavoratori.
Le porte dei locali di lavoro devono consentire, in base a numero, dimensioni,
posizione e materiali di realizzazione, una rapida uscita delle persone e essere
agevolmente apribili dall'interno durante il lavoro. In funzione del numero di
lavoratori e della natura dell'attività lavorativa svolta, sono stabiliti un numero
minimo di porte e una larghezza minima della luce di passaggio. Le porte e i
portoni apribili nei due versi devono essere trasparenti o essere muniti di
pannelli trasparenti. Sulle porte interamente trasparenti deve essere apposto
un segno indicativo all'altezza degli occhi.
Le porte scorrevoli devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro
di uscire dalle guide o di cadere. Le porte e i portoni che si aprono verso l'alto
devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di ricadere. Le
porte e i portoni a azionamento meccanico devono funzionare senza rischi di
infortuni per i lavoratori; devono inoltre essere muniti di dispositivi di arresto di
emergenza identificabili e accessibili e poter essere aperti anche manualmente,
salvo che la loro apertura possa avvenire automaticamente in caso di mancanza
di energia elettrica.
Le vie di circolazione (tutti i passaggi che collegano fra loro differenti ambienti di
lavoro) devono essere adeguatamente progettate in funzione del numero di
lavoratori e mantenute sgombre da arredi e depositi di materiale. Inoltre, se
sono destinate a un utilizzo promiscuo da parte di persone e veicoli o mezzi
meccanici, occorre separare i percorsi mediante l'utilizzo di apposita segnalazione orizzontale o di barriere materiali e garantire una opportuna distanza di
sicurezza. Eventuali ostacoli non rimuovibili posti sul percorso di passaggio (es.
sporgenze, zone in pendenza canaline a pavimento) devono essere segnalati
mediante la segnaletica a strisce giallo-nere.
I punti con scarsa visuale (angoli, porte non trasparenti o non dotate di oblò)
devono essere segnalati e per quanto possibile migliorati; per esempio non sono
certamente il posto migliore dove collocare attrezzature, oggetti o mensole ad
altezza uomo.
Le scale, a causa della frequenza degli infortuni che vi avvengono, sono considerate vie di circolazione particolarmente pericolose: occorre che siano provviste
di parapetti e corrimano adatti a sostenere il peso di una persona in caso di
scivolamento; inoltre i gradini devono essere puliti e resi non scivolosi, anche
mediante l'apposizione di strisce adesive vicino al margine.
Per quanto concerne i servizi igienici, questi devono essere distinti fra i due sessi
(salvo che il numero totale degli addetti non superi le 10 unità, o qualora sussistano particolari vincoli urbanistici o architettonici), dotati di acqua corrente
calda, riscaldati e provvisti di mezzi igienici per la detersione e l'asciugatura; se
necessario (lavorazioni cosiddette “insudicianti”) i lavoratori devono anche
poter usufruire di docce con acqua calda e mezzi detergenti e asciuganti.
Qualora per lo svolgimento delle attività siano richiesti specifici indumenti di
lavoro, è obbligatorio predisporre locali spogliatoio (distinti per i due sessi, a
eccezione di quanto detto sopra) provvisti di armadietti individuali dove conservare gli indumenti civili e gli effetti personali. Per le lavorazioni cosiddette
“insudicianti” gli armadietti personali devono essere del tipo “a doppio scomparto” di modo che sia sempre garantita una rigida separazione fra indumenti di
lavoro e indumenti civili onde evitare la contaminazione di questi ultimi e
l'estensione del rischio anche ai familiari degli esposti.
E obbligatorio prevedere locali di riposo qualora l'attività lavorativa svolta non
offra equivalenti possibilità di riposo (come invece accade nel caso di uffici). In
questo caso il locale deve essere di sufficienti dimensioni e provvisto di sedili con
schienale; dovrebbe anche essere garantita la tutela dei non fumatori. Le
lavoratrici in gravidanza e in allattamento devono avere la possibilità di interrompere la propria attività lavorativa e riposare in posizione distesa e in condizioni adeguate.
I luoghi di lavoro direttamente necessari e accessori all'attività produttiva
devono sempre essere tenuti in buone condizioni igieniche; il datore di lavoro
deve provvedere, per quanto possibile, a far eseguire la pulizia al di fuori
dell'orario di lavoro e in modo da ridurre al minimo il sollevamento della polvere
nell'ambiente. È però anche compito del lavoratore accertarsi dell'effettivo
mantenimento delle condizioni di pulizia.
L'RLS, con la collaborazione dei lavoratori, può esaminare
visivamente le condizioni di agibilità degli ambienti di lavoro e nel caso sia necessario (per esempio strutture complesIN PRATICA se o molto affollate, o in cui l'attività può essere molto
diversificata) strutturare sopralluoghi periodici, che potrebbero essere svolti anche insieme al SPP. È opportuno organizzare le segnalazioni giunte e i riscontri dei sopralluoghi effettuati, per esempio
con dei moduli predefiniti (si veda la sezione “La valutazione dei rischi”).
microclima
Con il termine “microclima” si intende l'insieme delle condizioni ambientali
(temperatura, umidità e ventilazione dell'aria) all'interno dei luoghi di lavoro.
Come si vedrà di seguito, questi tre parametri sono strettamente legati fra loro e
una valutazione del microclima che non consideri questa interazione reciproca
non è metodologicamente corretta.
Fra il nostro corpo e l'ambiente circostante si ha un continuo trasferimento di
calore dal corpo più caldo verso quello più freddo: questo scambio termico è
influenzato dalla temperatura dell'aria, dalla temperatura dell'organismo e da
quella del contesto, dalla umidità e dalla velocità dell'aria, dal vestiario adottato
e dal livello di attività fisica svolta nel contesto lavorativo.
Con l'aumento dello sforzo fisico aumenta l'intensità del metabolismo rispetto al
“metabolismo basale” e di conseguenza aumenta la temperatura corporea
esterna; per garantire l'omeotermia è necessario eliminare il calore in eccesso
attraverso lo scambio termico con l'ambiente circostante. Inoltre il benessere
termico è una sensazione influenzata da parametri puramente soggettivi e
almeno in parte imponderabili durante una valutazione.
La zona di benessere termico consigliata per lavori di tipo sedentario, e con
vestiario normalmente in uso in Italia, è stata determinata come da tabella nella
pagina successiva.
Le valutazioni soggettive dei lavoratori sono interpretabili attraverso la norma
tecnica ISO 10551 (valutazione del benessere termico soggettivo con scale di
giudizio standard).
È quindi evidente che attraverso opportuni mezzi tecnici si dovrà agire
principalmente sull'ambiente di lavoro, nella stagione fredda innalzando la
Benessere termico in condizioni di lavoro sedentario e vestiario di stagione
ESTATE
TEMPERATURA (C°) 19 -24 (22 valore raccomandato)*
UMIDITÀ RELATIVA (%) 40-60
VELOCITÀ DELL'ARIA (m/sec) < 0.2
INVERNO
TEMPERATURA (C°) 17.5-21.5 (19.5 valore raccomandato)
UMIDITÀ RELATIVA (%) 40-60
VELOCITÀ DELL'ARIA (m/sec) < 0.2
*è necessario riferirsi anche alla temperatura esterna e evitare di discostarsi da questa per più
di 7°C; eventualmente si andrà invece a ridurre maggiormente l'umidità
temperatura media del locale e abbassandola in quella calda. Nella regolazione
della temperatura ambiente, è importante che non si vengano a creare
situazioni di eccessivo dislivello termico fra l'interno e l'esterno degli ambienti di
lavoro, specialmente nel periodo estivo.
Negli ambienti in cui a causa della attività svolte non sia possibile intervenire
sulle condizioni climatiche dell'ambiente (es. celle frigorifere, forni, ambienti
esterni) è indispensabile che il datore di lavoro fornisca ai lavoratori opportuni
indumenti isolanti e protettivi, che in questo caso costituiscono Dispositivi di
Protezione Individuale.
In relazione all'attività svolta, è opportuno inoltre scegliere un abbigliamento
che favorisca lo scambio di calore con l'ambiente esterno.
Anche l'umidità relativa dell'aria (vapore acqueo che non condensa contenuto
in un ambiente) è un importante parametro da considerare: infatti al suo
aumentare il corpo incontra maggiore difficoltà a scambiare calore con
l'esterno, così si accresce la sensazione di caldo o di freddo direttamente
riferibile alla temperatura dell'ambiente.
Occorre considerare anche quanto segue:
¥ un basso grado di umidità negli ambienti di lavoro provoca secchezza delle
mucose e facilita i processi infiammatori a carico delle prime vie
respiratorie;
¥ un'umidità eccessiva crea senso di costrizione alle vie respiratorie (specie in
soggetti allergici); inoltre ambienti eccessivamente e costantemente umidi
hanno sicuramente effetti primari a lungo termine sulla salute, legati a
patologie come l'insorgenza di malattie osteoarticolari;
¥ valori elevati di umidità relativa (> 65%) favoriscono inoltre la formazione e
la riproduzione di muffe e il rilascio di composti organici volatili, specie
all'aumentare della temperatura.
La zona di benessere consigliata per lavori di tipo sedentario è:
inverno: compresa tra il 40% e il 60% di umidità relativa,
estate: compresa tra il 40 e il 50% di umidità relativa.
È quindi evidente che si dovrà agire sull'ambiente di
lavoro attraverso opportuni mezzi tecnici: nella
stagione calda è opportuno rimuovere l'umidità in
eccesso (deumidificatori) mentre in quella fredda a
causa degli impianti di riscaldamento è facile che il
valore di umidità relativa nell'aria scenda al di sotto del
40% e è quindi opportuno umidificare i locali
(evaporatori di acqua). Molte volte (es. nella stagione
calda) è opportuno agire essenzialmente sull'umidità
per garantire un miglior comfort termico senza abbassare eccessivamente la
temperatura dell'ambiente rispetto a quella esterna.
Infine, anche la ventilazione ha un'influenza importante sulla termoregolazione
corporea, dal momento che una maggiore velocità dell'aria accelera lo scambio
termico fra organismo umano e ambiente. Inoltre una data immissione di aria
fresca nei luoghi di lavoro è indispensabile in quanto le attività metaboliche
generano la produzione di metaboliti emessi nell'aria e in modo particolare di
anidride carbonica, mentre parallelamente si ha la diminuzione della quantità di
ossigeno presente. Per questo motivo all'atto dell'agibilità di un locale viene
definito il numero di ricambi orari minimi sufficienti per un determinato
ambiente (in base al volume e al numero di occupanti), che possono esser
garantiti preferibilmente mediante l'aerazione naturale (finestre e prese d'aria)
integrata da aerazione artificiale (sistemi di ventilazione forzata). La portata del
ricambio dovrebbe risultare di almeno di 8,5 m3/h/persona; l'eventuale riciclo di
aria prelevata dall'interno deve mantenersi sempre inferiore al 30%.
Onde evitare un repentino raffreddamento dell'organismo e la formazione di
correnti moleste è però necessario evitare velocità di circolazione dell'aria
troppo elevate (in generale si suggerisce un valore medio inferiore a 0,2 m/sec).
Per non alterare le condizioni microclimatiche regolate attraverso gli impianti di
condizionamento, è importante non ostruire le bocchette di aerazione; la
taratura di questi sistemi deve essere affidata a tecnici specializzati.
La regolare pulizia e disinfezione delle griglie esterne e delle condotte di
adduzione, filtrazione e raffreddamento dell'aria è fondamentale per
scongiurare il pericolo della proliferazione microbiologica che causerebbe il
rilascio di batteri, tossine e spore insieme all'aria immessa nell'ambiente. Gli
impianti dovrebbero essere accompagnati da documentazione del costruttore
che definisce anche la periodicità di pulizia e sanificazione raccomandata in
funzione delle caratteristiche dell'impianto stesso.
¥
¥
Gli aspetti microclimatici sono estremamente influenzati
IN PRATICA
da variabili soggettive; si tratta di elementi difficili da
oggettivare anche nella VdR. Il contributo dell'RLS può
essere essenziale in questo campo per migliorare il percorso di prevenzione. Il
primo approccio sarà quello di esaminare come la problematica è stata
valutata nel DVR. Nel momento in cui il disagio termico è sentito, è possibile
verificarlo direttamente coi lavoratori utilizzando scale di valutazione
soggettiva come nell'esempio:
+3 eccessivamente caldo
+2 caldo
+1 leggermente caldo
0 termicamente accettabile
-1 fresco
-2 freddo
-3 eccessivamente freddo
In questo modo si ottiene una mappatura completa della problematica che
non è più soggettiva, perché esprime l'insieme dell'esperienza concreta delle
persone che occupano quel determinato ambiente. I successivi passaggi
potranno richiedere un confronto con il SPP e il DL. Nel caso di controversie, o
quando si vuole chiarificare le cause del problema, può essere opportuno
proporre la pianificazione di misure specifiche dei parametri microclimatici.
illuminazione
La luce naturale è costituita da un insieme di radiazioni elettromagnetiche con
uno spettro di frequenze particolarmente adatto alla visione umana e alla
conformazione dell'occhio.
A causa della variabilità stagionale e all'interno della stessa giornata, l'intensità
della luce naturale può non essere adeguata: in particolare a un aumento nella
precisione necessaria all'attività che occorre svolgere deve corrispondere un
aumento dell'intensità luminosa (grandezza che rimisura in lux: quantità di luce
che colpisce un metro quadrato della zona di lavoro).
Per questo motivo occorre dotare i locali di lavoro anche di impianto di
illuminazione artificiale.
Una illuminazione inadeguata per intensità, colore o posizionamento:
¥ determina affaticamento visivo e può provocare a breve termine irritazioni
oculari (bruciori, secchezza) e stati di malessere (specie cefalee), a lungo
termine può causare o aggravare situazioni permanenti di scompenso visivo;
¥ riduce l'efficienza produttiva e la qualità dell'attività lavorativa;
¥ accresce la probabilità di compiere errori e diminuisce la capacità globale di
attenzione, il che può provocare l'accadere di incidenti.
I valori di intensità luminosa consigliati dalla normativa tecnica sono sempre
riferiti alla tipologia di lavoro e possono presentare una certa variabilità anche
per permettere un adattamento alla sensibilità dell'operatore.
tipo di locale
intensità luminosa media (lux)
aree di passaggio, corridoi
100 - 200
scale, ascensori
100 - 200
magazzini, depositi
50 - 150
uffici generici, dattilografia,
sale computer
300 - 750
uffici per attività manuali fini
(progettazione)
500 - 1000
sale per riunioni
300 - 750
Nelle zone di passaggio tra un locale e l'altro o anche fra due diversi punti
all'interno dello stesso locale è importante assicurare una gradualità dell'intensità
luminosa, specie se la differenza fra i due ambienti è notevole: infatti un contrasto
eccessivo e brusco è molto affaticante per gli occhi. Per contro un contrasto troppo
contenuto non permette una buona visione in quanto appiattisce i profili degli
oggetti non permettendo quindi di distinguerne i contorni.
Inoltre, per garantire un buon rapporto qualitativo tra luce emessa da un corpo
illuminante e luminosità dell'ambiente, è sempre consigliabile che le pareti dei
locali siano di tonalità chiara, dal momento che questa finitura assorbe solo in
piccola quota la radiazione incidente e quindi aumenta l'efficienza luminosa
permettendo al contempo di contenere i costi.
Un elemento importante per il comfort visivo è rappresentato dal colore della
luce: nei luoghi di lavoro sono generalmente indicate le tonalità bianca neutra o
bianca calda, mentre è sconsigliata la tonalità bianca fredda che dovrebbe
essere scelta solo in funzione di particolari esigenze dell'attività (esempio:
ospedali), o ancora in generale è sconsigliabile l'utilizzo delle tonalità diverse dal
bianco che possono essere adatte per far risaltare meglio alcuni colori secondo il
principio della resa di colore (per esempio un macellaio può utilizzare a banco
una illuminazione di colore tendente al verde o al blu per far risaltare il colore
rosso della merce che intende vendere).
Una volta scelto il tipo di illuminazione più adeguata, per il mantenimento della
qualità illuminante è necessario provvedere con regolarità alla pulizia dei corpi
illuminanti che in seguito a depositi di polvere possono vedere ridotta l'intensità
emessa anche del 40%. Naturalmente anche le superfici finestrate devono
essere regolarmente pulite per garantire la massima efficienza illuminante.
Al fine di garantire una corretta illuminazione dei luoghi di lavoro, è però
fondamentale non solo assicurare una adeguata intensità luminosa, ma anche
controllare la presenza di fenomeni di abbagliamento. Quando la luce colpisce
una superficie liscia viene in parte riflessa e, se questo raggio interessa la regione
visiva del lavoratore, si crea una sensazione di disturbo. Per questo motivo è
importante che nelle attività lavorative, specialmente in quelle che comportano
intenso sforzo visivo le pareti e i materiali di arredo abbiano una finitura opaca e
siano posizionati in maniera coerente rispetto alle fonti di luce: questo implica
anche una progettazione preliminare dei luoghi di lavoro in funzione dell'attività
che dovrà esservi svolta. Gli elementi illuminanti dovranno essere dotati di
schermature o contenuti in corpi avvolgenti, o ancora dotati di lampade
opacizzate. In alternativa si dovrà provvedere a orientare opportunamente il
corpo illuminante verso il soffitto o le pareti, in modo da ottenere in ambiente
una radiazione riflessa.
Le superfici finestrate dovranno essere protette contro l'insolamento diretto
attraverso apposite tende regolabili dall'interno (come per esempio le tende
veneziane) o da pellicole adesive riflettenti che permettono comunque di
vedere verso l'esterno dei luoghi di lavoro.
Nei locali di lavoro è necessario disporre un apposito impianto di illuminazione
di sicurezza quando a causa dell'interruzione dell'erogazione elettrica si
possono originare situazioni di pericolo per i lavoratori (scale, presenza di
ostacoli, ecc.). In questi casi deve entrare automaticamente in funzione
l'impianto di emergenza che deve possedere una alimentazione autonoma e
garantire una intensità sufficiente a distinguere i contorni dei locali e delle
attrezzature (solitamente 5 lux). Nei luoghi di lavoro non destinati a presenza
fissa di lavoratori può essere sufficiente dotare gli addetti che devono accedervi
di una torcia di cui venga regolarmente verificato il funzionamento.
Anche in questo caso, come nel precedente, la percezione
soggettiva influenza notevolmente il rischio. Dovrebbe
essere consentita una certa flessibilità per consentire per
IN PRATICA esempio, sulle specifiche postazioni individuali, di avere punti
luce localizzati e livelli di illuminazione più marcati rispetto al
livello generale. I lavoratori dovrebbero essere invitati a
segnalare quelle situazioni dove, nonostante la buona volontà, è difficile regolare i
parametri (schermature, orientamento delle sorgenti, livello di intensità) in modo
che tutte le persone siano soddisfatte.
In ogni caso è importante rimarcare – anche attraverso la proposta di piccoli incontri
formativi dedicati – la funzione delle misure di prevenzione (es. non lavorare con
una forte sorgente vicina agli occhi e il resto dell'ambiente buio, come può accadere
quando si guarda la televisione a luce spenta; utilizzare le schermature delle finestre
predisposte) e verificare che queste siano presenti e applicate.
attrezzature di lavoro
Con il termine “attrezzatura di lavoro” si intende qualsiasi utensile, apparecchiatura, macchina, impianto utilizzato durante l'attività lavorativa.
Questi elementi del processo di lavoro sono considerati specificamente per
quanto riguarda il loro uso nel Titolo III Capo I del Testo unico; per i requisiti
costruttivi di sicurezza vige invece il D. Lgs. n. n. 17/2010 e successive modifiche
e integrazioni, che recepisce nell'ordinamento italiano la cosiddetta “Direttiva
Macchine” nei suoi aggiornamenti al progresso tecnico.
Il datore di lavoro ha l'obbligo di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee ai fini della sicurezza; ciò può significare:
1) per le attrezzature utilizzate antecedentemente al recepimento della “Direttiva macchine” devono essere garantiti i requisiti di sicurezza stabiliti dalla legislazione previgente e in modo particolare dal DPR 547/55 (i principali riguardano la segregazione della zona pericolosa e degli organi in movimento,
l'obbligo di dispositivi di comando atti a evitare l'avviamento accidentale, la
presenza di dispositivi per l'arresto di emergenza);
2) le attrezzature messe in servizio o modificate per un uso non previsto dal
costruttore dopo il recepimento della “Direttiva macchine” devono rispondere ai requisiti essenziali di sicurezza lì stabiliti, ciò significa che il prototipo
della macchina viene verificato da un organismo certificato che ne attesta la
conformità e autorizza l'immissione in commercio dell'attrezzature, che dovrà
recare impressa la marcatura CE e essere sempre accompagnata dalla dichiarazione CE di conformità ai suddetti requisiti essenziali di sicurezza, oltre al
manuale di uso e manutenzione che indichi le condizioni di uso previste, le
istruzioni per l'installazione, l'uso ordinario, la manutenzione e la riparazione,
lo smontaggio e il montaggio, il trasporto.
I requisiti essenziali di sicurezza non sono però sufficienti a garantire l'effettiva
sicurezza durante l'uso, che deve sempre essere specificamente valutata
nell'interazione con l'uomo, l'ambiente, l'operatività della mansione. Ogni
attrezzatura, oltre a essere intrinsecamente sicura rispetto a quanto detto sopra,
deve essere utilizzata in modo che non vengano a alterarsi le sue caratteristiche
previste di funzionamento; perciò a ogni lavoratore addetto a attrezzature di
lavoro deve sempre essere garantita un'opportuna informazione e formazione e
l'addestramento in relazione alla sua mansione. Il supporto indispensabile e procedurato di tale adempimento dovrebbe essere in forma scritta, a integrazione
del libretto d'istruzione o di uso e manutenzione. Gli Accordi del 22 febbraio
2012 prevedono inoltre, per alcune tipologie di apparecchiature e macchine (tra
cui i carrelli elevatori), l'obbligo di addestramento teorico-pratico certificato e da
ripetersi periodicamente.
Ogni attrezzatura deve essere sottoposta a un regolare programma di manutenzione preventiva e periodica secondo le istruzioni del fabbricante; per alcune
macchine o componenti di macchine è esplicitamente stabilito un obbligo di verifica di prima installazione o di successiva installazione e le verifiche periodiche o
eccezionali, al fine di assicurarne l'installazione corretta e il buon funzionamento
(allegato VII Testo unico, integrato da ulteriori provvedimenti e circolari).
Le operazioni di manutenzione significative anche ai fini della sicurezza dovrebbero essere annotate in apposito registro delle manutenzioni controfirmato
dall'addetto a tali operazioni. a ogni modo, una documentazione che attesti
l'avvenuta manutenzione periodica deve essere conservata per un periodo minimo di cinque anni e accompagnare la macchina in caso di utilizzo in luogo diverso
da quello di prima installazione.
In questo caso siamo in presenza di un rischio estremamente
tecnico e specialistico.
L'RLS, salvo dove abbia una specifica competenza
IN PRATICA professionale, può certamente richiedere di visionare i manuali
delle apparecchiature e i registri di manutenzione e richiedere
per i lavoratori addetti una specifica e approfondita formazione e
l'addestramento all'uso. Parlando con gli addetti esperti potrà comprendere gli
eventuali limiti di funzionamento dell'apparecchiatura che possono costituire un
rischio, e verificare come questi aspetti siano stati valutati nel DVR.
impianti elettrici
I rischi di origine elettrica sono essenzialmente imputabili a carenze dei relativi
impianti e punti di distribuzione, di messa a terra e di protezione contro le scariche atmosferiche e a operazioni improprie da parte di personale non autorizzato.
I danni che si possono produrre si distinguono in due categorie.
Effetti diretti
In seguito a folgorazione, i danni diretti dipendono dall'intensità della corrente,
dal tempo di contatto e dalla facilità/difficoltà a attraversare l'organismo umano
(la cosiddetta resistenza del corpo umano, a sua volta influenzata dalla presenza
di acqua, oli, dal tipo di vestiario e in modo particolare di calzature indossate,
dall'età del soggetto e dal suo stato di salute generale).
Generalmente gli effetti del passaggio di corrente nell'organismo umano sono
comunque gravi:
è ustioni dovute al calore generato dalla resistenza del corpo al passaggio di corrente;
è tetanizzazione della muscolatura, in seguito alla sua contrazione involontaria (non controllabile) a opera della corrente - ciò rende inoltre difficile se
non impossibile il movimento che permetterebbe alla vittima di cessare il
contatto con la corrente;
è arresto della muscolatura intercostale che controlla il regolare movimento
dell'inspirazione e della espirazione, con conseguente blocco della respirazione;
è fibrillazione della muscolatura cardiaca, in quanto dopo che si è verificato
un certo passaggio di corrente le fibre muscolari del cuore, che sono particolari rispetto alle altre fibre muscolari, iniziano a contrarsi disordinatamente e non consentono quindi la regolare contrazione del cuore che gli
permette normalmente di svolgere la sua funzione di pompa del sangue;
questo processo una volta innescato prosegue anche al cessare del passaggio di corrente.
Effetti indiretti
In seguito a incidente che coinvolga la corrente elettrica si possono verificare
diversi avvenimenti, quali:
è infortunio dell'operatore dovuto alla reazione fisica alla scossa elettrica,
specialmente con corrente a alto voltaggio;
è incidenti di varia natura dovuti all'improvvisa mancanza di corrente elettrica nelle attrezzature e nei luoghi di lavoro non provvisti di illuminazione di
emergenza;
è incendi di materiale combustibile o infiammabile conseguenti all'innesco
da cortocircuito, esplosioni dovute a scintille sviluppatesi in ambienti con
presenza di gas o vapori infiammabili.
Il contatto con la corrente elettrica può essere
diretto: avviene un contatto con una parte dell'impianto elettrico normalmente in tensione;
¥ indiretto: avviene un contatto con una parte metallica di un'apparecchiatura collegata all'impianto elettrico ma non dotata di collegamento con l'impianto di
messa a terra, oppure il cui collegamento si è guastato, o ancora è l'impianto elettrico dell'edificio a non possedere tale impianto di messa a terra.
Per ridurre il rischio di contatti sia diretti sia indiretti con la corrente elettrica è importante che siano messe in atto alcune misure di tipo tecnico e comportamentale.
¥
Gli impianti elettrici e tutti i loro componenti devono essere conformi alle
norme CEI o CEN, e costruiti in modo tale da evitare qualsiasi contatto accidentale (dichiarazione di conformità dell'installatore ai sensi della L. n. 46/90
o del successivo D.M. n. 37/2008);
sugli impianti elettrici deve essere montato un interruttore differenziale a alta sensibilità (c.d. “salvavita”) che interrompa il flusso della corrente quando si verifichino
cadute di tensione che potrebbero essere imputabili a dispersioni (cortocircuito, guasto o contatto);
i cavi elettrici devono essere di idonea resistenza rispetto ai luoghi di lavoro, e devono essere contenuti in apposite canaline facilmente ispezionabili dagli addetti alla
manutenzione degli impianti; sono da evitare il più possibile prolunghe e fili volanti,
specie sui luoghi di passaggio;
sono da evitare il più possibile ciabatte, prese volanti, riduttori; se per uso occasionale devono essere di tipo adeguato e protette contro il surriscaldamento locale;
gli interruttori, le prese e i quadri elettrici devono essere costruiti con un idoneo grado di protezione a seconda del rischio degli ambienti di lavoro (protezione contro l'entrata di polveri, di liquidi, di vapori) di modo da mantenere
sempre l'isolamento verso l'esterno;
le spine devono essere costituite in modo tale da rendere impossibile un contatto accidentale con le parti in tensione durante l'inserimento e il disinserimento della spina nella presa;
è obbligatoria la presenza dell'impianto di messa a terra: secondo le disposizioni del DPR n. 462/2001 deve essere provvisto di omologazione tramite dichiarazione di conformità, da inviare all'ASL competente, e essere verificato ogni 5
anni (ogni 2 nei luoghi a maggior pericolo) da ASL o organismi privati abilitati;
impianto di protezione dalle scariche atmosferiche (se previsto): secondo le
disposizioni del DPR n. 462/2001 deve essere provvisto di omologazione tramite dichiarazione di conformità, da inviare all'ASL competente, e essere verificato ogni 5 anni (ogni 2 nei luoghi a maggior pericolo) da ASL o organismi privati abilitati;
nei luoghi con pericoli maggiori di incendio e esplosione, le protezioni devono
essere adeguate sempre secondo quanto previsto dalla “regola d'arte” (norme
CEI e CEN) e in questo caso l'omologazione deve essere richiesta all'ASL o
all'ARPA competenti per territorio;
gli impianti elettrici delle apparecchiature devono essere adeguatamente isolati
e accessibili solo al personale specialistico di manutenzione, segnalando quindi
con apposita cartellonistica il divieto di accesso al personale non autorizzato.
Anche qui siamo in presenza di un rischio estremamente
tecnico e specialistico.
La verifica visiva di situazioni di rischio palese è sempre
IN PRATICA utile e può essere svolta richiedendo collaborazione ai
lavoratori delle diverse zone. Inoltre potranno essere
visionati i documenti inerenti lo stato dell'impianto
elettrico e le regolari manutenzioni periodiche. Particolare importanza hanno
le segnalazioni e le registrazioni di eventi significativi (malfunzionamenti,
guasti, ecc.) anche dove non abbiano originato infortuni.
fatica fisica e posture
Tra le patologie professionali riconosciute in Europa, maggiore importanza hanno
i seguenti gruppi diagnostici: malattie muscolo-scheletriche, malattie neurologiche, malattie polmonari, malattie degli organi di senso e malattie della pelle. Tra
queste, i problemi muscolo-scheletrici contribuiscono alla maggior parte delle
malattie professionali riconosciute e, nell'ultimo quindicennio, hanno mostrato
un costante incremento generale. Un andamento analogo si può riscontrare nella
popolazione lavorativa italiana: inserite solo recentemente nell'elenco delle
malattie professionali, le patologie muscoloscheletriche da sovraccarico biomeccanico hanno soppiantato malattie storiche come le ipoacusie e sono diventate la
prima causa di malattia professionale.
In generale, si può affermare che non
esista in assoluto una postura
“giusta”: la postura che il nostro
corpo predilige è quella dinamica,
con alternanza di posizioni (es.
seduto-in piedi) in modo che le
strutture di volta in volta coinvolte possano alternare il carico e lo scarico. Ciò
detto, è anche vero che alcune posture sono più sfavorevoli di altre:
è perché costringono la struttura a una forma del tutto innaturale;
oppure
è perché non permettono un utilizzo efficace della forza applicata: bisogna
usarne di più, con maggior fatica e con maggior sovraccarico.
Le posture incongrue, siano
statiche o dinamiche, possono
non solo essere imposte dal
tipo di attività da svolgere, ma
anche essere adottate dai lavoratori perché percepite “più
comode” e anche in relazione
alle proprie caratteristiche
individuali e al proprio vissuto.
È sufficiente osservare le differenti modalità di camminata
delle persone, o il portamento
del busto e delle spalle, per
rendersi conto di quanto questo elemento può influire come ulteriore fattore di rischio nelle attività già gravose dal punto di vista ergonomico. Si tratta ovviamente di modalità assunte
in modo automatico, spesso senza alcuna consapevolezza. La sensibilizzazione e l'addestramento dei lavoratori è dunque in sé fondamentale per ridurre
le possibilità di insorgenza di patologie muscoloscheletriche.
Il fattore decisivo per queste patologie è il sovraccarico biomeccanico generato
da attività con posture statiche o incongrue mantenute a lungo e/o movimenti
ripetitivi e/o fatica fisica e movimentazione manuale.
Se il rischio da movimentazione manuale dei carichi può essere stato almeno in
parte caratterizzato e affrontato – anche se non certo omogeneamente –
attraverso un'opportuna razionalizzazione delle attività di lavoro e dei materiali
provvisti dai fornitori, la fornitura di ausili (carrelli manuali, tavole elevatrici,
manopole per la presa, ecc.) e l'opportuno addestramento degli operatori,
risulta invece esservi stata minore attenzione verso un'attenta progettazione
ergonomica dell'intera attività, in modo particolare rispetto alle posture assunte
e alla ripetitività dei movimenti.
priorità di intervento prevista dal Testo unico
per i rischi ergonomici
Il rischio è normato dal Titolo VI del Testo unico, che tuttavia si riferisce
esplicitamente alla sola attività di movimentazione manuale di carichi, definita
come l'insieme delle “operazioni di trasporto o di sostegno di un carico a opera di
uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare,
portare o spostare un carico”. Il rischio sanitario esiste a partire da 3kg, in
funzione degli altri elementi di rischio (Allegato XXXIII Testo unico) inerenti:
Il rischio è normato dal Titolo VI del Testo unico, che tuttavia si riferisce
esplicitamente alla sola attività di movimentazione manuale di carichi, definita
come l'insieme delle “operazioni di trasporto o di sostegno di un carico a opera di
uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare,
portare o spostare un carico”. Il rischio sanitario esiste a partire da 3kg, in
funzione degli altri elementi di rischio (Allegato XXXIII Testo unico) inerenti:
1. le caratteristiche del CARICO (pesante – ingombrante – difficile da
afferrare – in equilibrio instabile – pericoloso)
2. le caratteristiche dell'AMBIENTE (spazio ristretto – punto di appoggio
scivoloso, con dislivelli, instabile – microclima inadeguato)
3. le caratteristiche dell'ATTIVITÀ (distanze di sollevamento e di trasporto –
frequenza – durata – ritmo non modulabile)
4.
le caratteristiche del LAVORATORE (formazione e addestramento –
idoneità -indumenti da lavoro)
Una specifica norma tecnica, la UNI ISO 11228:2009, indica le metodologie
suggerite per la valutazione dei rischi ergonomici sotto carico.
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
eliminare
ausiliare
organizzare
RIDUZIONE
DEL
RISCHIO
SORVEGLIANZA
SANITARIA
formare
Per le azioni di movimentazione manuale di carichi, cioè sollevamento,
trasporto, deposizione di un carico, per la quantificazione del rischio e
l'individuazione punti degli elementi critici si utilizzerà la metodologia messa a
punto dal NIOSH, confrontando l'indice ottenuto con i limiti di peso (25kg per gli
uomini adulti sani, 20kg per le donne adulte sane) suggeriti in funzione delle
diverse popolazioni lavorative.
Esistono anche strumenti di valutazione più intuitivi e sui quali ogni lavoratore
può misurare le circostanze di rischio: nell'esempio qui riportato (Suva,
www.suva.ch) le aree individuate sono quelle di massimo carico consentito a
seconda delle caratteristiche dell'oggetto (dimensioni e peso) e del sesso del
lavoratore (caratteristiche muscoloscheletriche differenti).
Nel caso ricorrano le condizioni per poter
parlare propriamente di movimenti ripetitivi, il rischio dovrebbe essere valutato
(come suggerito dalla recente norma tecnica UNI ISO 11228 parte 3 “Movimentazione
di bassi carichi a alta frequenza”) facendo
uso della metodologia OCRA (“Occupational Repetitive Actions”, Unità di ricerca Ergonomia della Postura e del Movimento, Milano, http://www.epmresearch.org/) messa
a punto in Italia e che intende definire,
mediante la quantificazione dei parametri
di rischio, un valore di rischio da confrontare con valori di riferimento.
A titolo di esempio, possono essere utili i seguenti indicatori che individuano
situazioni di rischio:
¥ frequenza delle azioni ripetitive superiore a 45-50 azioni al minuto;
¥ impiego di forza che supera il 50% della massima forza sviluppabile dal soggetto;
¥ postura dell'articolazione che supera il 50% del range di movimento articolare, mantenuta per tempi prolungati;
¥ lavoro con le braccia mantenute, per tempi prolungati (un'ora continuativa o
due ore complessive nel turno di lavoro), a altezza delle spalle o più in alto;
¥ uso della mano come attrezzo;
svolgimento di compiti ripetitivi sovraccaricanti per durate significative;
assenza o scarsità di adeguate interruzioni durante la giornata lavorativa:
diversi studi mostrano che – specialmente nei compiti ripetitivi e monotoni
con affaticamento fisico e mentale – sia più funzionale e produttivo adottare
piccole pause frequenti (per esempio, 5' ogni ora di lavoro) piuttosto che la
classica pausa di 10' a metà mattinata o pomeriggio.
Tra gli interventi diretti alla prevenzione e protezione volti alla riduzione dei
rischi da posture di lavoro si consiglia di:
¥ progettare e disporre in modo ottimale il lay-out degli ambienti di lavoro e
delle postazioni in modo da evitare o ridurre l'assunzione di posture estreme;
¥ scegliere preventivamente strumenti di lavoro ergonomici, specialmente
ove correlati a sforzo fisico rilevante (attrezzi e utensili vari);
¥ progettare ergonomicamente il lavoro (ritmi, pause, rotazioni su compiti
alternativi, tempi di recupero).
La sorveglianza sanitaria è necessaria in presenza di un superamento dei valori di
rischio accettabili; gli accertamenti e la periodicità sono di competenza del Medico competente.
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È fondamentale la rilevazione di pareri da parte dei lavoratori addetti, e di dati (pesi, frequenze, distanze e condizioni ambientali) necessari a circostanziare il rischio nelle
diverse attività. Utile anche il coordinamento col RSPP per
IN PRATICA la verifica degli elementi oggettivi di rischio, e col Medico
competente per permettere una migliore evidenziazione
delle problematiche sanitarie, se presenti, legate ai rischi di
tipo ergonomico: spesso un semplice mal di schiena, se diffuso in un gruppo di
persone esposte a questi rischi, può fornire indicatori utili per la prevenzione di
un problema non ancora conlamato – anziché essere interpretato come una
“normale” sollecitazione.
Gli strumenti qui sopra presentati possono essere adottati anche dagli RLS per
caratterizzare il rischio presente in quanto non richiedono un approccio estremamente tecnico, mentre risulta fondamentale l'accurata conoscenza del
lavoro. Il metodo NIOSH è relativamente semplice, la sola difficoltà consiste
nel dover collezionare diverse serie di dati: può essere quindi utile semplificare
prendendo le circostanze più presenti o testare la check-list su poche situazioni
estreme in modo da poter affinare in seguito se necessario. Il metodo OCRA è
certamente più complesso e richiede anche conoscenze specialistiche, tuttavia sul sito è disponibile una check-list semplificata.
attività a videoterminale
Con il termine “videoterminale” (VDT) si intende uno schermo alfanumerico o grafico, a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato.
L'attività a videoterminale è normata dal Titolo VII del Testo
unico; numerose specifiche tecniche e organizzative per le
postazioni a VDT si trovano nell'Allegato XXXIV. L'art. 172 definisce il campo di applicazione della norma e le relative esclusioni che riguardano essenzialmente display utilizzati per la
sola visualizzazione di elementi e che non richiedono interazione continua. Il computer portatile, quando utilizzato in
modo non temporaneo, dev'essere considerato VDT e di conseguenza adattato dal punto di vista ergonomico (docking
stations o altri ausili).
Il posto di lavoro a VDT viene considerato come l'insieme che
comprende le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione
dati, ovvero software per l'interfaccia uomo-macchina, gli
accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l'unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il
supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché
l'ambiente immediatamente circostante. Il posto di lavoro a
VDT deve sempre essere ergonomico, a prescindere
dall'intensità di utilizzo di quella postazione e da chi la occupi.
È invece molto importante per l'applicazione di alcune specifiche tutele la definizione di lavoratore a VDT (videoterminalista): colui che utilizza una attrezzatura munita di videoterminale in modo sistematico e abituale, per almeno 20 ore settimanali. Questo lavoratore ha diritto:
è alla sorveglianza sanitaria;
è a effettuare delle interruzioni dall'attività a VDT di 15
minuti ogni 2 ore su 4 ore di lavoro continuativo a VDT;
è a informazione e formazione specifiche.
Nell'attività a videoterminale i fattori di rischio non derivano
tanto dallo schermo in sé, quanto da un insieme di fattori
legati alle modalità di lavoro, quali:
è l'intensa sollecitazione a carico del sistema mano-braccio;
è le frequenti posture forzate assunte dalla colonna vertebrale;
è l'affaticamento dell'apparato visivo sulla visione ravvi
è cinata, spesso peggiorato dalle condizioni di illuminazione della
postazione e dal microclima dell'ambiente;
è la ripetitività e monotonia di alcune operazioni;
è il ricorso alla capacità di concentrazione e quindi di astrazione dal contesto;
è la difficoltà di apprendimento e di dialogo con la macchina (nuovi
applicativi; tempi di risposta nell'interazione uomo/macchina; software non personalizzabili; difficoltà di assistenza tecnica; ecc.);
I danni che si possono determinare ascrivibili a questo tipo di attività sono:
è patologie muscolo-scheletriche (rigidità, intorpidimento, lombalgie acute, precoce invecchiamento e atrofizzazione dei dischi intervertebrali, alterazioni permanenti quali artrosi vertebrale, artrosi
cervicale, sciatica, patologie discali; rigidità dei muscoli flessori e
estensori della mano, tendiniti della mano, sindrome del tunnel carpale al polso, epicondiliti e epitrocleiti del gomito, periartrite scapolo-omerale della spalla);
è disturbi circolatori localizzati agli arti inferiori e superiori;
è disturbi oculo-visivi (consistono in una serie di disturbi, che generalmente non sfociano in una vera patologia, ma che sicuramente
possono aggravare le situazioni patologiche individuali già esistenti
o apportare un contributo determinante nello sviluppo di forme
croniche nei soggetti predisposti o particolarmente sensibili);
è disturbi psichici (la ridotta autonomia decisionale può indurre
insoddisfazione e senso di scarsa utilità del proprio lavoro; attività
prolungate al videoterminale determinano isolamento, ridotta possibilità di socializzazione).
Per questo è importante adottare provvedimenti preventivi e protettivi
che possono riguardare essenzialmente l'ergonomia degli spazi di lavoro
e le modalità stesse di svolgimento del lavoro.
ergonomia degli spazi di lavoro
disporre di superficie ampia del piano di lavoro per potervi sistemare tutte le attrezzature e i materiali necessari nonché per consentire
l'appoggio degli avambracci (15 centimetri) durante la digitazione;
¥ disporre di piano di lavoro stabile e di altezza fissa o regolabile tra i
70 e gli 80 centimetri;
¥ la tastiera deve essere inclinabile rispetto al piano di un angolo tra i
5° e i 15°;
¥ la postazione di lavoro deve consentire un comodo alloggiamento
del sedile e delle gambe in posizione semidistesa (è consigliato un
angolo superiore ai 90°C), nonché il loro libero movimento;
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la sedia per videoterminale deve essere del tipo a rotelle antislittamento e
antirovesciamento, stabile e con basamento a cinque razze, regolabile in
altezza (consigliata tra i 40 e i 52 centimetri);
lo schienale deve essere regolabile da seduti in altezza (ovvero deve sostenere l'intera zona lombare) e inclinazione (da 90° a 110° al massimo);
il sedile deve essere anatomico, inclinabile di 3-5° all'indietro, sufficientemente largo da consentire cambiamenti di posizione (circa 40 centimetri),
sufficientemente profondo (tra 38 e 40 centimetri) da sostenere le cosce permettendo nel frattempo la flessione delle ginocchia; deve essere leggermente imbottito ma realizzato con materiali traspiranti;
se necessario, occorre disporre di un poggiapiedi regolabile che consenta
l'appoggio su piano dei piedi dell'operatore; deve essere profondo 30 centimetri, di altezza regolabile tra i 4 e i 15 centimetri, inclinabile di almeno 10°
rispetto al piano orizzontale;
disporre di piano di lavoro sufficientemente profondo da consentire di mantenere una distanza corretta dallo schermo (schermi di grosse dimensioni
richiedono una maggiore profondità del piano di lavoro);
il piano di lavoro deve avere colore chiaro (ma non bianco) e in ogni caso non
deve essere di materiale riflettente (finitura opaca);
le attrezzature devono essere a finitura opaca e di colore possibilmente armonizzato all'ambiente; le pareti devono essere di colore chiaro, non bianco, e
non riflettenti;
lo schermo deve essere esente da sfarfallii o instabilità e regolabile sotto il
profilo dell'illuminazione e del contrasto;
posizionare lo schermo ortogonalmente rispetto alle fonti di illuminazione naturali o
a eventuali pareti traslucide/trasparenti; comunque in modo da evitare riflessi e
abbagliamenti da lampade artificiali, o la creazione di zone eccessivamente in ombra
schermare le fonti di illuminazione naturali (tende o veneziane) e artificiali (lampade schermate); queste ultime devono essere esenti da qualsiasi instabilità;
l'illuminazione localizzata deve essere comunque al di fuori del diretto
campo visivo utilizzato dall'operatore durante l'attività a video, e non deve
originare eccessivo contrasto di intensità luminosa con l'illuminazione generale dell'ambiente e delle superfici circostanti;
durante l'attività di inserimento dati, per evitare l'affaticamento visivo dovuto al continuo passaggio tra diverse distanze e superfici illuminate diversamente, utilizzare un leggio portadocumenti, che va disposto parallelamente
allo schermo mantenendo la stessa altezza e la stessa distanza dagli occhi.
modalità di lavoro
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assumere una postura corretta: piedi ben poggiati, cosce sostenute dal sedile e non schiacciate su di esso di modo da permettere il ritorno venoso,
schiena sostenuta dallo schienale specie nel tratto lombare, appoggio corretto degli avambracci sul piano di lavoro (eventualmente possono essere
utili per un maggior comfort dei braccioli, che devono distare fra loro 50 centimetri e dal sedile tra i 18 e i 26 centimetri);
posizionare lo schermo del video di modo che lo spigolo superiore dello
schermo sia posto leggermente più in basso della linea degli occhi;
eseguire la digitazione o utilizzare il mouse o la trackball senza compiere
movimenti troppo rapidi (frequenze superiori a 45-50 azioni al minuto sono
già indicatori di rischio), senza rigidità, e senza applicarvi più della forza
necessaria;
cambiare spesso posizione, evitare di stare seduti se non è indispensabile
allo svolgimento dell'attività;
eseguire periodicamente esercizi di rilassamento e stiramento degli arti e
della schiena, affiancati da esercizi di ginnastica isometrica (rinforzo delle
muscolature antagoniste);
mantenere una distanza degli occhi dallo schermo compresa tra 50 e 70 centimetri (eventualmente maggiore per chi presenta presbiopia, adeguando
opportunamente lo zoom);
assicurarsi, anche mediante opportuno ingrandimento, che i caratteri sullo
schermo siano ben definiti, che mantengano dimensioni almeno di (lxh)
2x3mm o di 2,2x4,5mm e che la spaziatura tra le righe sia adeguata (dall'80
al 150% dell'altezza);
utilizzare una distribuzione dei colori sullo schermo non troppo contrastante e con colori che non affatichino la vista (colori fluorescenti o contrasto tra
colori molto scuri e molto chiari);
durante le interruzioni previste, non affaticare ulteriormente la vista eseguendo lavori che richiedono un elevato impegno visivo (es. correzione di
un testo scritto, lettura);
se possibile, cercare di distogliere periodicamente (anche ogni 20-30') lo
sguardo dallo schermo e guardare oggetti lontani (oltre 2,5m), al fine di non
utilizzare in modo continuativo la visione ravvicinata; quotidianamente,
effettuare esercizi di rilassamento oculare;
se prescritti, durante l'attività a videoterminale utilizzare i mezzi di correzione della vista;
la pulizia dello schermo in particolare (e comunque di tutte le altre componenti) deve essere effettuata periodicamente e in modo da non originare
aloni sullo schermo stesso.
organizzazione del lavoro
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l'attività a videoterminale dovrebbe essere alternata con altre esclusivamente NON a schermo (archiviazione, dossier, correzione manuale testi,
ecc.) che rompano la monotonia e la ripetitività del lavoro, e consentano
anche di assumere altre posture, non sedute;
programmazione preliminare delle attività comuni e individuali;
potere di autonomia discrezionale del lavoratore rispetto alla organizzazione del proprio lavoro;
rispetto delle interruzioni previste dalla legge, che consentono di alleggerire
il carico di lavoro e possono predisporre alla socializzazione;
il software deve essere adeguato alla mansione e permetterne il corretto
svolgimento; in generale dovrebbe essere di facile uso, in ogni caso devono
essere garantiti l'addestramento, l'informazione e la formazione, da fornire
a ogni dipendente all'assunzione e al cambio di mansioni;
rispetto da parte del lavoratore delle istruzioni ricevute e delle eventuali procedure informatiche attivate;
in caso di anomalie del software e/o dell'hardware è molto importante poter
contare su un referente tecnico che possa prendere in carico il problema;
nessun dispositivo o controllo quantitativo o qualitativo può essere utilizzato all'insaputa dei lavoratori.
in sintesi
I lavoratori a VDT come fin qui definiti devono essere sottoposti alla sorveglianza
sanitaria, che rispetto a questo specifico fattore di rischio consiste in
accertamenti sulla funzionalità dell'apparato oculo-visivo e sulla integrità del
sistema muscolo-scheletrico. Come sempre, la sorveglianza sanitaria deve
essere preventiva (all'atto dell'assunzione) e periodica, con una periodicità
stabilita dalla legge di 5 anni per chi è idoneo senza prescrizioni e di 2 anni per chi
è idoneo con prescrizioni o ha superato i 50 anni di età. Il lavoratore è sottoposto
a controllo oftalmologico a sua richiesta, ogniqualvolta sospetti una
sopravvenuta alterazione della funzione visiva, confermata dal Medico
competente, oppure ogniqualvolta l'esito della visita ne evidenzi la necessità.
Su questa tipologia di rischio il contributo dell'RLS insieme agli altri soggetti può essere importante nella direzione di una migliore sensibilizzazione e maggiore consaIN PRATICA pevolezza dei lavoratori specialmente rispetto alle tematiche della postura corretta e dell'importanza delle pause e
degli esercizi di rilassamento. Oltre a verificare le dotazioni
previste e sopra riassunte per le postazioni a VDT, può essere importante promuovere incontri di discussione magari anche utilizzando situazioni reali
riprese sul campo, in collaborazione con i colleghi stessi.
agenti chimici, cancerogeni, mutageni
Questo fattore di rischio è contemplato dal Titolo IX del Testo unico, che si suddivide in:
Capo I “Protezione da agenti chimici”
Capo II “Protezione da agenti cancerogeni e mutageni”
Capo III “Protezione dai rischi connessi all'esposizione a amianto
Alle disposizioni sono soggetti diverse tipologie di agenti chimici:
l le sostanze pericolose per la salute o per la sicurezza ai sensi del
Regolamento CE n. 1272/2008 (cosiddetto “CLP”) in vigore dal 01.12.2010;
l le miscele pericolose per la salute o per la sicurezza ai sensi del D. Lgs. n.
65/2003, in vigore fino al 01.06.2015 (in seguito entrerà in vigore anche per
questa tipologia di agenti chimici il Regolamento CLP);
l gli agenti chimici cui è stato assegnato un valore limite di esposizione
professionale, un cui elenco è negli Allegati XXXVIII (agenti chimici) e
XLIII (agenti cancerogeni o mutageni);
l gli agenti chimici che, pur non essendo classificabili come pericolosi, possono comportare un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di
loro proprietà chimico-fisiche chimiche o tossicologiche e del modo in cui
l sono utilizzati o presenti sul luogo di lavoro (alcuni esempi: oli minerali nebu-
lizzati; polveri sottili da materiali inerti; prodotti criogenici).
I pericoli che un prodotto chimico può presentare sono di tre tipi:
n pericoli per l'ambiente
vecchia
nuova
classificazione4 classificazione5
significato
Pericoloso per l'ambiente Immesso nell'ambiente può
causarvi danni consistenti, immediati o meno, e quindi una
degradazione delle sue componenti.
4
È ancora in vigore per le miscele chimiche (preparati) fino al 1 giugno 2015, quando verrà sostituita
dalla nuova classificazione (Regolamento CLP).
5
Introdotta dal Regolamento CLP, è già in vigore per le sostanze a partire dal 1 dicembre 2010.
n pericoli per la salute
vecchia
nuova
classificazione classificazione
significato
pericoli acuti
pericoli cronici,
degenerativi
Nocivo Provoca effetti immediati (acuti) o a lungo termine (cronici) che possono generare lesioni, malformazioni, patologie.
Rientrano in questa categoria anche i sensibilizzanti per inalazione, che possono provocare nel lavoratore esposto una
“ipersensibilizzazione” che a una successiva esposizione produce una reazione avversa (sindromi asmatiformi, asma bronchiale, shock anafilattico).
Corrosivo A contatto con i tessuti vivi (pelle, mucose, occhi)
origina un'azione distruttiva.
Irritante Pur non essendo corrosivo, esplica sui tessuti vivi una
reazione infiammatoria conseguentemente a un contatto prolungato (o breve ma ripetuto). Fanno parte di questa categoria
anche i sensibilizzanti in cui l'effetto si esplica attraverso il solo
contatto con la pelle (dermatiti).
n pericoli per la sicurezza
vecchia
nuova
classificazione classificazione
significato
Esplosivo In determinate condizioni, sotto sollecitazione di urti
o attriti, può deflagrare in modo rapido e improvviso, oppure
esplodere in seguito a riscaldamento in condizioni di parziale
contenimento.
Estremamente infiammabile Presenta punto di infiammabilità
estremamente basso (inferiore a 0°C) e basso punto di ebollizione (inferiore o pari a 35°C).
Facilmente infiammabile Ha punto di infiammabilità basso (inferiore a 21°C ma superiore a 0°C).
Infiammabile Ha un punto di infiammabilità basso
(compreso tra 21°C e 55°C).
(senza simbolo)
Comburente A contatto con prodotti infiammabili o combustibili,
provoca una violenta reazione con sviluppo di calore che ne può
causare l'accensione e in alcuni casi l'esplosione. Coinvolto in un
incendio ne aumenta le dimensioni, per sviluppo di ossigeno.
pericoli acuti
Molto tossico In caso di inalazione e/o ingestione e/o contatto
con la pelle, anche in minime quantità e dopo una sola e breve
esposizione, provoca effetti immediati (acuti) o a lungo
termine (cronici) che possono risultare letali o che generano
lesioni, malformazioni, patologie gravi e irreversibili.
pericoli cronici,
degenerativi,
cancerogeni,
mutageni
Tossico Provoca effetti immediati (acuti) o a lungo termine
(cronici) che possono risultare letali o generare lesioni,
malformazioni, patologie gravi e spesso irreversibili. Di questa
categoria fanno parte anche i prodotti cancerogeni (che
possono provocare il cancro o aumentarne la probabilità),
mutageni (che possono provocare mutazioni genetiche
ereditarie o aumentarne la probabilità), e tossici per il ciclo
produttivo (effetti sulla fertilità o, per esposizione durante la
gestazione, sul nascituro).
Esaminando una etichetta troviamo, oltre alle informazioni riguardanti la ditta
produttrice, il nome del prodotto e uno o più simboli di pericolo che indicano la
tipologia dei pericoli principali. Accanto a questi simboli sono riportate alcune
frasi che specificano le modalità di azione del prodotto pericoloso: per esempio
“nocivo per inalazione”. Queste frasi sono dette “frasi di rischio” o frasi R (frasi H
nel nuovo sistema di etichettatura CLP). Troviamo anche una concisa indicazione
delle precauzioni da prendere quando si manipola quel prodotto: per esempio
“non respirare le polveri”. Queste frasi sono le cosiddette “frasi S” (frasi P nel
nuovo sistema di etichettatura CLP) o “consigli di prudenza”.
Queste informazioni danno un'indicazione di base sul rischio chimico, che dovrà
comunque essere approfondita che per i prodotti pericolosi attraverso la scheda
di sicurezza. La scheda informativa in materia di sicurezza, comunemente detta
“scheda di sicurezza” (SDS) o a volte “scheda tossicologica”, è il principale veicolo di informazioni dettagliate che l'utilizzatore di un prodotto chimico può ottenere rispetto alla sua potenziale pericolosità e quindi impiegare per valutarne i
rischi e introdurre le opportune precauzioni sia durante il normale utilizzo e lo
stoccaggio, sia nelle situazioni impreviste. Presso l'azienda ( e a disposizione di
tutti i lavoratori) devono essere conservate le SDS in italiano dei prodotti in uso o
in deposito, anche per attività non di diretta competenza dei lavoratori (es. prodotti per le pulizie utilizzati dall'impresa appaltatrice che siano depositati presso
l'azienda).
L'obbligo di valutare i rischi chimici presenti (e eventualmente quelli cancerogeni e mutageni) vige per tutte le attività di lavoro dove siano presenti agenti chimici “pericolosi”: quindi in tutti gli ambiti di produzione di beni e servizi, manipolazione, immagazzinamento. Per l'applicazione delle misure previste non è perciò necessario che gli agenti chimici siano stati acquistati per soddisfare le specifiche esigenze produttive: rientrano infatti nel campo di applicazione anche quegli agenti chimici presenti come rifiuti e intermedi o sottoprodotti del ciclo produttivo e delle attività a esso accessorie, o gli agenti chimici sviluppatisi come
prodotti di processi non intenzionali (esempi: decomposizione termica di materiali; prodotti da reazioni accidentali).
Sono escluse le sostanze pericolose solo per l'ambiente e una serie di materiali
normati da specifici provvedimenti (es. materiali radioattivi).
Una volta rilevata la presenza nel proprio processo di lavoro di agenti chimici rientranti nel campo di applicazione - come sopra definiti - il Datore di lavoro è tenuto a effettuare una specifica valutazione dei rischi derivanti dalla presenza o
dalla manipolazione di agenti chimici, prendendo in considerazione in particolare i seguenti elementi:
a) le proprietà pericolose degli agenti chimici;
b) le informazioni sulla salute e sicurezza comunicate dal produttore o dal fornitore tramite la relativa scheda di sicurezza;
c) il livello, il tipo e la durata dell'esposizione;
d) le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti, compresa la
quantità degli stessi;
e) i valori limite di esposizione professionale e i valori limite biologici;
f) gli effetti delle misure preventive e protettive adottate o previste;
g) se disponibili, le conclusioni tratte da eventuali azioni di sorveglianza sanitaria
già intraprese.
Anche rispetto a questo specifico “fattore di rischio” è fondamentale che vengano
valutati TUTTI I RISCHI. Ove possibile, un agente pericoloso dovrebbe essere sostituito da uno meno pericoloso (classificazione ed etichettatura) o meno biodisponibile (meno dispersivo); inoltre le circostanze d'uso (durata, frequenza, quantitativi) devono sempre essere ridotti al minimo attuabile.
La sorveglianza sanitaria può essere omessa quando il livello di rischio è documentato come “basso o irrilevante”; negli altri casi andrà effettuata almeno una volta
all'anno, con accertamenti specifici definiti come sempre dal medico competente.
Questo tipo di rischio richiede – sia per quanto richiesto
dalla normativa sia per le specificità di azione dei diversi
prodotti chimici – un certo grado di competenze tecniche
non semplici da acquisire per l'RLS e anche, a volte, per lo
IN PRATICA stesso RSPP. In genere, infatti, questa VdR è stata affrontata tramite software o check-list che utilizzano punteggi
standardizzati da attribuire di diversi fattori di pericolosità
dell'agente chimico e di intensità dell'esposizione. Non sempre questi sistemi
si sono rivelati accurati nella valutazione; come sempre, l'obiettivo dovrebbe
essere però quello di gestire nel modo migliore i rischi presenti e l'RLS può
orientarsi in questa direzione piuttosto che addentrarsi nello specifico dei punteggi di rischio attribuiti nel DVR. In questo senso è essenziale conoscere le
schede di sicurezza (SDS) e verificarne la presenza e l'aggiornamento: si tratta
di documentazione preziosa per comprendere se le procedure adottate permettono di gestire in modo appropriato il rischio presente sia durante le attività di lavoro che nello stoccaggio, e se i DPI forniti sono adeguati come livello e
tipo di protezione.
rumore e vibrazioni
I fattori di rischio “rumore” e “vibrazioni” sono originati dalla stessa situazione:
l'oscillazione della materia all'interno di un corpo solido genera vibrazioni meccaniche, quando questa oscillazione di materia incontra l'aria vi si trasmette
determinando una serie di compressioni e decompressioni dell'aria che origina
un suono. L'oscillazione meccanica viene perciò arrestata solo dal vuoto.
In realtà, il fatto che noi associamo a questa situazione un suono è dovuto alla
particolare struttura del nostro orecchio: e infatti noi non percepiamo tutte le
onde sonore, ma solo quelle per le quali il nostro orecchio è strutturato (da 20 Hz
a 16.000 Hz, con un picco di sensibilità intorno ai 4.000 Hz che corrisponde alle
frequenze del parlato).
Le onde sonore sono caratterizzate da due parametri: la frequenza (numero di
oscillazioni al secondo), espressa in Hertz (Hz) e che individua la tonalità del
suono (es. suono acuto come un urlo, suono grave come un rombo); e l'intensità
o pressione sonora, che si misura in decibel (dB) in modo particolare riferiti alla
curva della sensibilità uditiva (dBA).
FONTE DEL RUMORE
Voce sussurrata
Ventola di raffreddamento del PC
Stampante laser
Conversazione telefonica
Fotocopiatrice
Voce parlata
Stampante a getto d'inchiostro
Tono di voce alta
Autovettura in moto
Traffico stradale medio/intenso
Veicoli pesanti
Metropolitana
RUMOROSITÀ MEDIA
20dBA
30 dBA
30 dBA
40 dBA
50 dBA
50 dBA
50 dBA
60 dBA
60/70 dBA
70-80/90 dBA
90 dBA
100 dBA
L'effettivo danno uditivo non viene percepito immediatamente ma procede in
più tappe:
1. ridotta capacità uditiva temporanea (sensazione di orecchie ovattate, fischi,
fruscii, cefalea, intontimento) che può presentarsi durante le prime
settimane di esposizione a rumore;
2. apparente stato di benessere (recupero uditivo) che può permanere anche
per anni: solo una audiometria può rilevare precocemente l'avvenuto danno;
3. difficoltà a percepire i toni acuti (es. squillo del telefono) o nel comprendere
le parole di una conversazione che si svolge in ambiente non silenzioso;
4. difficoltà a percepire le conversazioni con compromissione palese degli
scambi verbali: si è instaurata una ipoacusia.
Lo spostamento della sensibilità ai suoni (misurazione della soglia audiometrica)
è in genere bilaterale e simmetrico, irreversibile anche dopo la cessazione
dell'esposizione a rumore.
È possibile misurare l'esposizione individuale al rumore attraverso uno strumento chiamato fonometro. Per rappresentare in modo realistico la quantità di energia sonora assorbita dall'orecchio durante una giornata lavorativa è stato introdotto il livello sonoro equivalente (Leq) che attraverso una media ponderata
sulla durata complessiva dell'esposizione rappresenta il livello di un rumore che
si ipotizza o si rende costante in un intervallo di tempo. Si ritiene che vi possa
essere un danno uditivo con notevole probabilità quando il livello costante di
esposizione al rumore (ponderato su 8 ore giornaliere e 40 ore settimanali) raggiunge 80 dBA (valore inferiore di azione), che corrisponde a una prima soglia di
rischio dove il Datore di lavoro dovrà programmare degli interventi di riduzione
del rischio e nel frattempo potrà far utilizzare agli esposti idonei DPI (otoprotettori). Al raggiungimento di 87dBA) (valore superiore di azione) il rischio di contrarre un danno uditivo è elevato: in questa circostanza il Datore di lavoro è tenuto a intervenire immediatamente.
2) barriere
3) inteventi sul lavoratore
sicurezza
1) interventi sulla sorgente
La valutazione può essere effettuata per misura o per stima del livello di esposizione
in base ai dati del costruttore dell'attrezzatura.
Il rumore anche a basse dosi è un fattore di stress (effetti extrauditivi) su cui è bene
intervenire, potendo indurre, a lungo andare, disturbi caratteristici dello stress.
La sorveglianza sanitaria è obbligatoria quando il livello di esposizione raggiunge il
valore superiore di azione, mentre è a richiesta al superamento del valore inferiore.
Anche l'esposizione a vibrazioni sopra determinate soglie di intensità può rappresentare un fattore di rischio rilevante per i lavoratori. Occorre distinguere tra:
¥ vibrazioni trasmesse all'intero corpo (WBV, Whole Body Vibrations): riguardano per esempio conducenti e operatori di macchinari mobili che lavorano
in posizione seduta e sono correlate alla comparsa di lesioni dorso-lombari,
cervico-brachialgie, disturbi all'apparato gastrointestinale, effetti verso il
sistema riproduttivo, lesioni circolatorie, effetti cocleo-vestibolari;
¥ vibrazioni trasmesse al solo sistema mano-braccio (HAV, riguardano principalmente gli utilizzatori di utensili a impugnatura manuale) che provocano
disturbi della vasomotilità locale e angiopatie (sindrome di Raynaud), alterazioni osteoarticolari e tendinopatie, neuropatie.
Il Testo unico pone l'obbligo di valutazione del rischio, attraverso la quantificazione del livello di intensità dell'accelerazione locale (ponderato su 8 ore giornaliere e 40 ore settimanali) e il confronto con valori-limite di esposizione differenziati per le due tipologie di vibrazioni.
La valutazione può essere effettuata per misura o per stima del livello di esposizione in base ai dati del costruttore dell'attrezzatura o a quelli presenti nella
Banca dati messa a punto da INAIL (http://www.portaleagentifisici.it/).
Questi due rischi sono in genere ritenuti estremamente
tecnici, e come tali in genere trattati. Non per questo il
contributo dell'RLS è poco importante, perché genera
IN PRATICA informazioni e risorse confrontandosi con l'esperienza di
chi opera a diretto contatto con le sorgenti di rumore o
vibrazioni nel luogo di lavoro. Può essere utile organizzare
le segnalazioni giunte e i riscontri dei sopralluoghi effettuati in modo da costituire una serie di dati che non sono meno utili di quelli che derivano da misure
effettuate. L'RLS può chiedere di visionare i libretti di uso delle apparecchiature nel caso riportino livelli di emissione sonora e di accelerazione, in modo da
confrontarli con quelli indicati nel DVR. È anche opportuno precisare che le
misure, per essere significative, devono essere svolte nelle effettive condizioni
di esposizione; quando c'è grande differenza nei livelli espositivi a seconda
delle attività svolte, andranno effettuate più serie di misure differenziate oppure in via conservativa la misura nelle condizioni peggiori.
radiazioni ottiche e elettromagnetiche
Nello spettro delle radiazioni in grado di causare danni all'uomo, un posto di rilievo è stato recentemente dato alle radiazioni ottiche e a quelle elettromagnetiche. Si tratta di radiazioni non ionizzanti, a differenza delle radiazioni tradizionalmente considerate come rischio (es. raggi X).
ROA
CEM
radiazioni ottiche artificiali (ROA)
Questo rischio è di recente normazione, contemplato al Titolo VIII Capo V del
Testo unico, che ne richiedeva la valutazione entro il 26 aprile 2010.
Si tratta di una problematica connessa alla presenza di sorgenti artificiali che
emettono radiazioni nei campi dell'ultravioletto (UV), del visibile (VIS) o
dell'infrarosso (IR), che possono arrecare danni principalmente a livello cutaneo
e oculare.
regione spettrale
Ultravioletto C
(100÷280 nm)
Ultravioletto B
(280÷315 nm)
occhio
Fotocheratite
Fotocongiuntivite
Ultravioletto A
(315÷400 nm)
Cataratta fotochimica
Visibile
(400÷780 nm)
Lesione fotochimica
e termica della retina
Infrarosso A
(780÷1400 nm)
Cataratta
Bruciatura della retina
Infrarosso B
(1400÷3000 nm)
Cataratta
Bruciatura della cornea
Infrarosso C
(3000 nm÷1 mm)
Bruciatura della cornea
cute
Eritema
Tumori cutanei
Invecchiamento
accelerato
Reazione di
fotosensibilizzazione*
vasodilatazione
eritemi
ustioni
* possibilità accentuata dall'esposizione concomitante a agenti chimici che inducono fotosensibilizzazione cutanea
La normativa prevede che la valutazione del rischio espositivo a radiazioni ottiche artificiali possa essere effettuata per stima – per esempio per mezzo dei dati presenti
nella Banca dati messa a punto da INAIL (http://www.portaleagentifisici.it/) – o per misura; il dato dev'essere confrontato con le differenti tipologie di valori-limite di esposizione, a seconda del tipo di radiazione e della tipologia di esposizione (occhi, cute,
ecc.).
radiazioni elettromagnetiche (CEM)
I campi elettromagnetici (CEM) interagiscono con la materia biologica polarizzando le molecole presenti nei tessuti a maggior contenuto di acqua (sangue,
liquidi organici, organi interni, cute, muscoli) e potendo così indurre:
l la formazione di correnti interne;
l il riscaldamento localizzato del tessuto coinvolto;
l modifiche nei meccanismi cellulari e molecolari dei tessuti.
Sono definiti valori-limite occupazionali che riguardano esposizioni intense e
proteggono da effetti acuti:
l effetti locali transitori (percezioni dolorose, contrazioni muscolari, ecc.),
sul sistema cardiovascolare (aritmie, asistolia, fibrillazione,ecc.), sul
sistema nervoso (contrazioni neuromuscolari, magnetofosfeni, ecc.):
riguardano i campi a elevata potenza;
l effetti termici (colpo di calore, ustioni, cataratta, sterilità temporanea maschile, …).
La valutazione può essere effettuata per misura o per stima del livello di esposizione in
base ai dati del costruttore dell'attrezzatura) o a quelli presenti nella Banca dati messa a
punto da INAIL (http://www.portaleagentifisici.it/).
Tra gli effetti ipotizzati a lungo termine (IARC – International Agency for Research on Cancer), per i quali non sono disponibili valori-limite di esposizione, spicca la valutazione
come “possibile cancerogeno per l'uomo” attribuita ai campi magnetici prodotti dai cellulari wireless. È necessario precisare che per le normali apparecchiature la potenza è
ridotta, dunque il campo EM decade a brevi distanze; invece nel normale uso dei cellulari la distanza non è sufficiente a abbattere i valori di campo e è dunque consigliabile
utilizzare un auricolare col cavo (no bluetooth).
IN PRATICA
L'RLS può fornire un contributo significativo
nell'identificazione delle sorgenti di rischio. La valutazione di queste tipologie di rischio è opera di esperti, ma il
piano di miglioramento o di monitoraggio periodico può
invece coinvolgere efficacemente l'RLS.
fatica psichica e stress
Negli ultimi anni si sono verificati notevoli miglioramenti nel campo della prevenzione dei danni occupazionali causati da agenti di natura fisica, chimica e biologica; parallelamente sono aumentate le problematiche legate allo stress lavoro-correlato, anche legate ai continui mutamenti del mondo del lavoro. Nel
2005, più del 20% dei lavoratori dei 25 Stati membri dell'Unione europea riteneva che la sua salute fosse a rischio a causa dello stress sul lavoro.
La tutela della salute in ambito lavorativo richiede, secondo l'art. 28 del Testo unico, anche l'analisi di “rischi particolari”, tra cui anche quelli di “stress lavorocorrelato” secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004.
Tuttavia, spesso quando ci si riferisce alla problematica si parla in termini semplificatori di “stress da lavoro”, riferendosi quindi in modo omnicomprensivo alle
svariate possibili conseguenze patologiche, spesso aspecifiche o indirette, generate da una serie di agenti (che possiamo definire “fattori di stress”) presenti nel
processo di lavoro, e capaci di mettere l'individuo in uno stato di tensione (“strain”) che tuttavia, in un primo momento, può non essere nocivo anzi fornire la giusta "stimolazione" necessaria all'individuo.
fattori di rischio psico-sociale (elenco non esaustivo)
a.
b.
c.
d.
e.
f.
g.
h.
i.
j.
k.
l.
m.
n.
o.
p.
ambienti inadeguati (es. spazi, illuminazione, microclima, rumore, igiene, ecc.);
insicurezza del posto di lavoro, fase di incertezza o stagnazione;
ambiguità del ruolo o della mansione e dei compiti correlati
carente comunicazione, mancanza di interfacce di riferimento;
incertezza dell'attività in seguito a mancanza di programmazione;
eccesso di responsabilità;
monotonia e ripetitività della mansione (elevata parcellizzazione del lavoro e
scarsa autonomia decisionale);
affidabilità, disponibilità, efficacia di strutture e attrezzature di lavoro;
eccesso di compiti/mansioni, elevati carichi di lavoro (es. dovuti a carenze di
organico), ritmi eccessivi e non modulabili; sottocarico di lavoro;
sottocarico di lavoro, sottoutilizzo delle capacità, insufficiente valorizzazione
delle conoscenze e competenze, mancanza di significato del compito svolto;
orari di lavoro poco flessibili, imprevedibili, troppo lunghi;
lavoro per turni, lavoro notturno, lavoro isolato;
contatto col pubblico e sollecitazioni dall'utenza;
rischio violenze;
eccessiva competitività fra colleghi;
oppressioni gerarchiche, controllo esasperato, forme persecutorie.
L'evento patologico (“stress”) potrà verificarsi solo dopo il travalicamento delle
capacità individuali di opporsi o adattarsi all'azione del fattore di rischio. In tale
processo intervengono numerosi fattori, individuali e non, che ne modulano
l'esito conclusivo. In questo "equilibrio" grande importanza hanno anche i fattori di compensazione, sia del lavoro (es. orari flessibili, gratificazioni, supporto
sociale), sia individuali (es. capacità di ritrovare elementi positivi anche nelle
situazioni di sollecitazione).
Si tratta infatti di una valutazione non semplice da effettuare, poiché rischia di
muoversi su un versante poco oggettivo. Le Linee-Guida del Coordinamento tecnico sul tema propongono un percorso di valutazione in più fasi successive:
1. rilevazione della presenza non occasionale, ma strutturata, di uno o più
fattori di rischio nel processo di lavoro;
2. analisi collettiva degli indicatori oggettivi di stress (collezionati su 3 anni
di storicità), che evidenziando meccanismi di fuga o di esaurimento
delle risorse indicano una situazione stressogena non bilanciata nel
gruppo degli esposti ai fattori di stress:
à turnover
à assenteismo
à lamentele
infortuni
malori
…
3. analisi approfondita (analisi organizzative; rilevazioni di clima; questionari mirati; focus-group; colloqui individuali), attuata con l'ausilio di personale specializzato.
La valutazione dovrebbe essere periodicamente ripetuta in funzione
dell'evoluzione dei vissuti e anche delle condizioni organizzative; indicativamente una revisione dovrebbe essere effettuata almeno ogni 2 anni.
à
à
à
Gli interventi possono essere strutturati a livello:
1. collettivo (progettazione e organizzazione del lavoro, valorizzazione delle
risorse umane, ricerca del clima partecipativo, informazione e formazione)
2. individuale (formazione al benessere, diagnosi precoce, supporto psicologico o decisionale)
Su un rischio così delicato e di recente formulazione normativa, un primo e importante livello di azione dell'RLS
sta nel cercare di comprendere se e come la problematica
IN PRATICA sia
sentita dai colleghi ma senza “dimenticare” il piano
dell'analisi collettiva. Non si tratta quindi di un livello di
intervento semplice, poiché sono coinvolte concezioni estremamente
soggettive della tematica e anche vi è sempre la possibilità che vi siano delle
distorsioni. In rete si possono reperire diversi possibili questionari di indagine,
che possono essere riadattati alla propria specificità e utilizzati per un primo
sondaggio del clima. Questa prima fase, unitamente alla capacità di sensibilizzazione e ascolto dell'RLS, può orientare un successivo passaggio di approfondimento focalizzato sulle aree tematiche che mostrano le maggiori criticità.
Un livello di intervento più accurato può prevedere strumenti più dettagliati,
quali questionari mirati o incontri tematici, ma su questo punto in questa sede
è difficile fornire orientamenti perché la linea di azione più opportuna dipende
anche dalla conoscenza e dalla rappresentatività che l'RLS stesso sente di
avere nel contesto. Certamente dopo una prima fase di conoscenza del clima
sarebbe opportuno ricercare la collaborazione degli altri soggetti per comprendere meglio i disagi presenti (per esempio attraverso i dati collettivi e anonimi forniti dal medico competente) e come poter impostare una VdR efficace
(insieme alle conosce specifiche del RSPP o di un eventuale specialista della
materia).
lavoratrici gestanti e in allattamento
Il datore di lavoro valuta i rischi propri dell'attività lavorativa che possono
risultare pregiudizievoli in caso di gravidanza o allattamento. Una specifica
normativa, il decreto n. 645/96, definisce le tutele applicabili a questa
particolare condizione di vita.
“La gravidanza non è una malattia ma un aspetto
della vita quotidiana”, tuttavia “condizioni
suscettibili di essere considerate accettabili in
situazioni normali possono non esserlo più
durante la gravidanza così come nel periodo di
allattamento sino al settimo mese dopo il parto”.
In definitiva, alcuni elementi di rischio presenti nell'attività di lavoro possono
risultare a rischio maggiore in queste condizioni, in quanto possono comportare
lesioni del feto e/o provocare il distacco della placenta o compromettere la salute del bambino. Il Decreto riporta dunque un elenco indicativo dei fattori di
rischio, che se presenti dovranno essere specificatamente valutati:
è colpi o vibrazioni meccaniche;
è movimentazione manuale di carichi che comportano rischi;
è sollecitazioni termiche;
è spostamenti, fatica mentale e fisica e altri disagi connessi all'attività svolta;
è lavoro che comporta la stazione eretta protratta oppure la postura assisa protratta e/o in postazioni anguste;
è lavoro in orari notturni (h 24-6);
è rumore;
è esposizione “non irrilevante” a agenti chimici;
a
a
è agenti cancerogeni, mutageni, tossici per il ciclo riproduttivo di 1 , 2 e
a
3 categoria;
è agenti biologici dei gruppi 2-3-4;
La normativa specifica che le misure per la tutela della sicurezza e della salute si
applicano alle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di
età del figlio, che abbiano informato il datore di lavoro del proprio stato, conformemente alle disposizioni vigenti. La tutela si applica anche alle lavoratrici che
hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento, fino al settimo mese di età
del figlio. Tale tutela si differenzia rispetto al normale “congedo di maternità”
che dispone l'astensione dal lavoro della lavoratrice durante i due mesi precedenti la data presunta del parto e durante i tre mesi successivi alla data effettiva
del parto.
Il Datore di lavoro che impieghi lavoratrici donne ha quindi gli obblighi seguenti:
1. preventivamente, valuta i rischi per la sicurezza e la salute - fermo
restando il divieto di adibire la lavoratrice ai lavori vietati;
2. preliminarmente, informa le lavoratrici e i loro rappresentanti sui rischi
valutati per la gestazione e l'allattamento;
3. in collaborazione con RSPP, RLS e MC, valuta la possibilità di adattare la
mansione a rischio o la ricollocazione a altra mansione esistente;
4. qualora ciò risulti impossibile, informa l'Ispettorato del Lavoro competente, che può disporre l'astensione obbligatoria per lavoro a rischio
(congedo di maternità anticipato).
La lavoratrice che, preventivamente informata sui rischi per la propria sicurezza
e salute, intende avvalersi della tutela deve mettere a conoscenza il Datore di
lavoro del suo stato di gravidanza consegnandogli il certificato di gravidanza.
quando si presenta una gravidanza a rischio
Si tratta di una situazione ben diversa da quella di una maternità per lavoro a
rischio, in quanto riguardante una situazione individuale (complicanze nella
gestazione o patologie pregresse che rendano a rischio il portare a termine la
gravidanza), anziché una incompatibilità specifica tra il lavoro svolto e la condizione di gravidanza o puerperio.
In questi casi la lavoratrice o collaboratrice, dopo aver ottenuto il certificato
medico che attesti la gravidanza e la concomitanza di tali condizioni, dovrà:
¥ inoltrare alla Direzione Provinciale del Lavoro (DPL) di propria appartenenza la
richiesta di astensione anticipata dal lavoro per motivi di gravidanza a rischio;
¥ presentare al Datore di lavoro la ricevuta della domanda inoltrata alla DPL.
Le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l'effettuazione di
accertamenti sanitari durante l'orario di lavoro.
L'azione dell'RLS è naturalmente incentrata sulla VdR:
l se è presente preventivamente alla presenza di
IN PRATICA lavoratrici in gestazione;
l se l'analisi dei rischi è coerente con quanto si verifica
oggettivamente nella situazione;
l se le misure adottate in ogni mansione possano effettivamente cautelare in
modo efficace una lavoratrice che si trovi in gestazione o allattamento;
l se la valutazione e le misure intraprese siano state portate a conoscenza di tutte le
lavoratrici impiegate in mansioni a rischio, attraverso appositi incontri informativi.
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