ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
ALIENI IN ITALIA
Servizio Debellatori
di Fabrizia Pizzuti
© 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
Via dei Cairoli, 57 - 50131 Firenze
- Estratto promozionale gratuito
1
ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
Lo Shvedese
1.
Quel giorno quando tornai a casa e vidi mia madre di sfuggita, pensai che fosse insolito
che girasse per casa in accappatoio. Sì, insomma, strano. Non mi sembrava che avesse i capelli
avvolti nell'asciugamano, né che fossero bagnati, tra l'altro, ma lì per lì non ci feci troppo caso.
Ero più preoccupata a temere che la divisa mi si fosse sciolta addosso per il caldo, così andai in
soffitta a prendere dei vestiti puliti, e trovai mia madre, col suo usuale grembiule da casa, che
stirava. Ci voleva il coraggio suo per stirare con 30 gradi all'ombra, ma non fu quello che mi
turbò.
«Ma tu non eri di sotto?»
Mia madre giustamente mi guardò per un attimo come se fossi pazza, poi passò all’empatia
mentre pensava semplicemente “il caldo l’ha rincoglionita”.
«’more de mamma, non sarà mica il caso di mettersi un cappello quando vieni a casa?» mi
disse infatti con una punta di ilarità, ma anche con tutta l’amorevolezza possibile.
E rincoglionita pensai d’esserlo pure io (non era poi così improbabile), fino a quando
arrivai al pianerottolo coi vestiti puliti e vidi Elena, mia sorella, tornata a casa dal turno in
ospedale, che salutava l’altra madre (quella con l’accappatoio addosso, per intenderci) con
uno sguardo un po’ stranito. «Perché vai in giro così?» Allora non ero matta, cazzo.
La madre in accappatoio non rispose, piuttosto spostò la sua attenzione verso di me.
«Mammaaaa...» chiamai, con una certa urgenza nella voce.
La madre in accappatoio rispose «Sì, tesoro?»
La madre in soffitta, invece, col suo usuale, tamarrissimo: «Oòh1?»
In dialetto le dissi di venire giù, mentre comunicavo a cenni facciali con Elena. Mentre io
dicevo alla madre in soffitta di sbrigarsi, mia sorella spinse con una scusa la confusa mamma
in accappatoio in cucina.
Trovai un martello che mio padre teneva sul pianerottolo insieme ad altri attrezzi, poi
spinsi mia madre ad andare in cucina insieme a Elena e la madre in accappatoio.
Mia madre ebbe una strana reazione al vedere l’altra. «Ma che è un...?» ci chiese.
«Mi sa.» rispose Elena.
«Embè in accappatoio? Guarda là, mi si vede tutto!»
Non era vero che si vedeva tutto, ma tant'è. «Cazzo ne so, ma’, questi cosi sono tutti
strani.» risposi io.
La mamma in accappatoio non fece una piega.
«Alla tv non sono così tranquilli. Cioè, guardala, non dice niente.» disse Elena.
«In accappatoio!» insistette mia madre, evidentemente turbata dalla scelta
d'abbigliamento della sua sosia.
«Ma scherzi, c’è da farla fuori!» esclamai io.
«Ho capito che c’è da farla fuori, ho solo detto che non sono così pericolosi come dicono in
tv.» ribatté Elena.
«COPRITELA!» strepitò ancora mia madre.
1
Tipo “ahò”, però con più o.
2
ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
Elena la ignorò2, ed andò a prendere qualcosa di tagliente, per verificare come diceva la tv
che fosse veramente lei la copia. La mamma in accappatoio continuò a non fare una piega. La
madre in grembiule continuò con l’agitazione.
Io tenevo d’occhio un po’ tutti, forte del mio bel martello.
Elena uscì dal cucinino. «Coltello.» annunciò.
«Okay, vai.» la incoraggiammo.
Annuì. S’avvicinò alla madre in accappatoio, ma prima di effettivamente fare il taglietto,
esitò. «Ma se non è lei?»
«Dai che è lei.» la incitai.
«Tanto è un taglietto.» concordò.
«Ecco, brava, vai.»
Avvicinò di nuovo la lama ma ecco che mi viene l’ansia e «Oddio, ‘spetta, ferma! E se non è
lei?».
«Ma mi hai appena detto che...» si interruppe esasperata. «E poi è solo un taglietto!»
Per evitare altre interruzioni, mia sorella fece il taglietto. Ripresi a respirare quando ne
uscì un sangue giallastro, opaco e viscoso, che dopo mezzo minuto gocciolò a terra. La tipa non
aveva comunque fatto una piega, non un urlo, non si era neanche ritratta. Era strano. In tv si
vedevano lotte quasi disperate contro di loro, invece quella, anche se stava per essere fatta
fuori, non disse niente, non si ribellò, non pregò. Mi guardò e basta. E anche così, non era
affatto mia madre.
«Da’ qua, ci penso io.» disse Elena. «Voi andate a chiamare lo svedese.»
«Non ci provare.3» dissi, stringendomi il martello al petto. «TU vai a chiamare lo svedese.»
Elena alzò gli occhi al cielo e andò in corridoio. Indugiai un secondo per capire dove era
meglio colpirla per farla morire velocemente, sempre che questo fosse possibile. Gettai uno
sguardo alla madre in grembiule e di nuovo alla mamma in accappatoio. Sapevo benissimo che
quella vera era la madre in grembiule (voglio dire, quando mai mia madre mi aveva risposto
“sì, tesoro?” con quel tono così soave? Mia madre non era soave. Mai stata soave in tutta la sua
vita), ma mi faceva brutto comunque.
«Ancora stai così? O lo fai subito o fallo fare a me.» mi sollecitò Elena, col cordless
all’orecchio.
Vabbè. Era abbastanza facile per noi. Pensai ai servizi dei tg che mostravano lotte
disperate contro quei cosi, e considerai quanto invece noi eravamo state fortunate, com’era
facile eliminare il pericolo. Presi un respiro e cominciai con la testa, chiudendo gli occhi per
non dover guardare quella che effettivamente sembrava mia madre prima che la uccidessi, mi
prendeva troppo male. Diedi una martellata e fui investita da un’ondata di melma gialla 4.
Mi incoraggiò, quella roba di sicuro non era mia madre. Colpii le gambe per far crollare la
sua brutta copia a terra, e continuai finché non fu un ammasso di accappatoio e giallume.
«Mamma mia, è andato su tutti i muri. E mo chi lo ripulisce questo?» si lamentò mia madre.
Una massaia ha strane priorità. Di là mia sorella aveva appena chiuso il telefono.
2 Chi non ignora la propria madre quando è inutilmente petulante alzi la mano. Giù quelle mani, state
mentendo.
3
4
NO.
BLEAH
3
ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
Cinque minuti dopo, già tutta la via sapeva che avevamo avuto una visitina, la prima del
quartiere. Ma appurato che il livello di pericolo che avevamo corso era sostanzialmente pari a
zero, e mentre il resoconto si sparpagliava con un sistema a piramide – metodo che
generalmente finiva per creare delle modifiche della storia originale tali da stravolgerla già al
secondo isolato – la curiosità dei livelli più alti della piramide si spostò su un altro argomento:
«Elisavé’, che l’avete chiamato lo shvedese5?» chiese la vicina.
«Sì, l’ha chiamato Elena. Ha detto che ammò arriva.»
Lo svedese. Il nostro svedese di provincia. Nessuno sapeva che faccia avesse, perché era
riuscito a sfuggire a qualsiasi microfono e qualsiasi telecamera, nonostante il grande interesse
che aveva suscitato il suo arrivo, mesi prima. Tutte le descrizioni che ci facevano quelli che
l’avevano visto non è che dettagliassero molto il quadro e si accordavano solo in due
particolari – “è alto e biondo”, praticamente metà della popolazione scandinava.
La caciara s'era acquietata di botto, e nella via calò il silenzio, una volta scorto un muso blu
metallizzato di un furgoncino che appariva all'incrocio. Occhi dalle portefinestre, dai cancelli,
dai portoni di casa, dai balconi seguirono ogni singola manovra del furgoncino mentre
parcheggiava. Lo sportello si aprì e i colli si allungarono. L’anticipazione si tagliava, più o
meno come l’umidità. Un paio di gazze facevano la parte degli avvoltoi. Un gattuccio ruzzola
graziosamente attraverso la strada come l’erba volante. Combattei la tentazione di fischiettare
Ennio Morricone.
«Oh, ma’, non pare proprio un vichingo?» sentii dire da mia sorella, dal balcone. Mia madre
ridacchiò.
Non aveva torto. Era uno stangone biondo con spalle larghe, bei muscoli sulle braccia, gli
occhiali da sole e aveva la faccia abbronzata male, come succede spesso a quelli con il suo tipo
di pelle. Addosso aveva una divisa grigia e azzurra con fasce catarifrangenti, la canottiera
grigia sintetica e impermeabile e i pantaloni sorretti da bretelle di quel materiale che
associavo ai volontari delle ambulanze o alla protezione civile. Abbastanza ben messo da
potersi permettere le bretelle senza sembrare un coglione. Mi immaginavo mancasse una
giacca dello stesso tessuto dei pantaloni, ovviamente improponibile alle impietose
temperature di agosto. Beh, in realtà qualunque cosa non fosse un costume o al più una
canottiera di cotone e pantaloncini era improponibile a quelle temperature, ma in compenso
aveva un'aria molto professionale.
Comunque, ignorando bellamente il suo pubblico silenzioso e francamente inquietante,
aprì la porta laterale del furgoncino, coprendo una scritta a caratteri cubitali “Andersson
Debellatori”, ne tirò fuori un borsone, guardò un attimo un foglietto, alzò la testa e si accorse
che ero abbarbicata al cancello.
«Salve.» saluto, allegra, come se la mia divisa da lavoro non fosse ornata di schizzi di clone
massacrato. Mi sentivo una serial killer che usciva alla luce del sole con le prove dei suoi
omicidi addosso.
Ma lo svedese non era tipo da fare troppi convenevoli. «Dov’è?» disse subito, con un
accento un po’ distorto. Mi vennero in mente i suoi connazionali che avevo visto in tv: ragazzi
e ragazze vestiti in modo simile, sorridenti, sempre inquadrati sotto il sole a camminare per
5
Pron. /ʒve.’de:.se/
4
ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
raggiungere chissà quale posto; ma non ordinati come soldati, rilassati, come se stessero
andando a fare una passeggiata. Il nostro, di svedese, non dava l’idea di totale serenità dei suoi
connazionali, ma sembrava comunque annoiato, o per lo meno per niente toccato dal lavoro
che lo aspettava.
«Al piano di sopra.» risposi.
« L’avete già eliminato.» constatò dopo avermi squadrato e notato che ero ricoperta di
melma dalla testa ai piedi. Wow Sherlock, complimenti.
«Sì. Volevamo ripulire ma abbiamo pensato che probabilmente ci vogliano mezzi
particolari.»
«I vestiti dovrai bruciarli.»
Uhm. Se il capo non mi licenziava, non sarebbe stato comunque contento di questo.
«Scusi il casino.» dissi imbarazzata, lasciandolo entrare in casa. Una volta dentro si tolse gli
occhiali da sole, rivelando un viso stanco, il segno bianco degli occhiali e due occhiaie scure
come un pugile che le ha prese di santa ragione. Non era proprio bello, ma aveva un viso
interessante.
«Non ti preoccupare.» disse, noncurante.
Quando era entrato in cucina, lo svedese aveva osservato rapidamente la stanza,
localizzato la massa informe e giallastra, e poi aveva guardato mia madre.
«Chi è stato attaccato?» chiese voltandosi verso di noi.
«Nostra madre.»
Guardò ancora una volta mia madre. Lo svedese aggrottò la fronte. «Strano. Cos’è quello?»
indicò il tessuto di spugna inzaccherato che spuntava dai resti dell’intrusa.
«Un accappatoio. L’aveva addosso quel coso.»
«Uhm...»
«C’è qualche problema?»
«Beh è un po’ anomalo. È strano che fosse vostra madre anziché una di voi. E l’accappatoio,
poi.»
«Ma è grave?»
«È solo strano. Per il resto direi che siete state fortunate.» commentò lo svedese. Si guardò
attorno, valutando gli schizzi nella stanza. «Procederei a pulire, se per voi va bene.»
«Oh, certo.»
Lo svedese ripulì e sterilizzò6 meticolosamente la nostra cucina senza battere ciglio,
ignorando un po’ stoicamente il nostro sguardo inquisitore. Era un po’ strano, un omone come
quello, un vichingo, che passava l’aspirapolvere a vapore coi guanti di lattice. Quasi mi pentii
di aver fatto fuori io l’intruso, quel tipo al lavoro doveva essere uno spettacolo.
Gli facemmo qualche domanda cui rispose quasi telegraficamente, come si chiamava
(Erik), da dove veniva, esattamente (dal nord della Svezia, una regione chiamata Norrbotten)
e da quanto lavorava come debellatore (ormai due anni e mezzo).
«Due anni e mezzo? Ma quindi sei un veterano.»
6 Mia sorella ci tiene che io precisi che sterilizzare è impossibile, e ci sono alcuni batteri che non possono essere
uccisi da comuni disinfettanti ma devono essere inattivati con disinfettanti speciali o esponendoli a temperature molto
alte.
5
ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
Ah, ecco perché era così disinvolto. Due anni e mezzo di esperienza era parecchio, nel
campo della caccia agli alieni.
«Tutti quelli della task force sono come dici tu, “veterani”. Per fare richiesta per l’estero
bisognava avere esperienza.» spiegò, mentre passava una spugna sul muro per togliere uno
schizzo. Ma come aveva fatto a imparare l’italiano così bene? Non l’avevo sentito sbagliare un
congiuntivo. Non gli scoppiava la testa per lo sforzo?
«Tu come hai cominciato?» azzardai.
«Mi sono offerto volontario.» rispose, casuale. «Dovresti toglierti quei vestiti e lavarti.»
aggiunse.
Fui così spedita a farmi una doccia caldissima, che in piena estate non era esattamente la
mia attività preferita, ma almeno io non avrei dovuto affrontare lo stesso fato della mia divisa,
richiusa in un sacco insieme ai resti semisolidi del nostro intruso, e destinata all’inceneritore.
Quando uscii dal bagno, vestita di tutto punto ma paonazza, sentii mia sorella conversare
tranquillamente con lo svedese, appoggiata al muro. «E come mai hai scelto l’Italia?» gli
chiese.
«Nessun motivo in particolare.»
Voleva farmi credere che per caso aveva scelto uno degli stati più disorganizzati, che aveva
negato l’evidenza fino all’ultimo, smentito che la cosa fosse sfuggita di mano fino all’ultimo?
Ah, e anche l’unico in cui la task force, dislocata a spese metà nostre e metà dell’Unione
Europea per farci un favore, era stata accusata di avere scopi di conquista da alcuni
complottisti7 e anche da certi politici che volevano attenzione o dar contro a tutti i costi all’UE
che ne aveva esposto l’incapacità. Quindi, o era sfiga, o masochismo. Una delle due, per forza.
«Mi scusi, ha detto che era strano che avesse scelto me e non una delle mie figlie...
perché?» chiese mia madre.
«Generalmente scelgono persone sulla ventina, massimo la trentina.» spiegò. «Ma c’è
decisamente qualcosa di strano, anche l’accappatoio mi sembra una scelta insolita. Meno
danno nell’occhio meglio è, e di solito non ne fanno di questi errori. A meno che lei non sia
abituata a girare in accappatoio, ovviamente.»
«No, mai.» s’affrettò ad assicurare mia madre. Non sia mai che fosse investita dell’onta di
girare per casa in accappatoio!
Finito, mia madre insistette perché lo svedese mangiasse o almeno bevesse qualcosa. Si
limitò ad accettare un panino da mangiare in piedi per paura di sporcare, ma non esagero
quando dico che avevamo tirato fuori la bottiglia grande per lui e per la fine del suo veloce
pasto si era scolato due litri d’acqua. Dopo il suo piccolo pranzo, il vichingo ci fece diverse
domande sull’essere che aveva appena ripulito, tipo se fosse particolarmente aggressivo o
particolarmente passivo e indifferente, se parlasse bene o no. Apparentemente eravamo state
fortunate. La nostra intrusa, per qualche ragione, era piuttosto confusa, e non era riuscita a
copiare in modo corretto nostra madre, senza contare che il suo obiettivo naturale saremmo
state noi, e non lei.
Non si fece neanche pagare per intero, perché metà del lavoro era già fatto. Chiusi in un
sacco che faceva tantissimo CSI, il cadavere melmoso, l’accappatoio e la mia divisa vennero
7
Ahhhh, le teorie del complotto! Sempre una sana fonte di risate! La risata della settimana è dedicata al NWO.
6
ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
caricati sul furgoncino blu. Ovviamente, visto che eravamo tornati all’aperto, c’erano di nuovo
gli spettatori che lo osservavano dall’alto, ma alcuni degli avvoltoi s’erano avvicinati perché
volevano parlare con il tipo. Sembrava di giocare a un-due-tre stella.
«Scusi.» esordì il dirimpettaio. «volevamo sapere... la quarantena...»
Ah sì, la quarantena. Quando su un nuovo quartiere o una nuova città si faceva vedere uno
di quegli strani sosia, generalmente una zona più o meno vasta veniva quarantenata.
«Eh, dovrò dichiararla il prima possibile.»
«Sa che zona comprenderà?»
«Questo dipende dalle suddivisioni già stabilite dall’amministrazione e dalla posizione
delle tane... Comunque non vi preoccupate, tutti i servizi essenziali saranno compresi.»
«Voglio sapere se posso andare a lavorare.»
«Non si preoccupi, l’assenza per quarantena è coperta. E poi diversi punti della città fanno
parte delle aree già colpite, quindi è possibile che possiate comunque andare al lavoro.»
«Non sa ancora?»
«Mi dispiace, devo fare dei calcoli, prima. Vi verrà segnalato quanto prima, entro stasera.»
«Non può farli ora?»
«Mi dispiace. Devo prima raccogliere dati e andare a vedere alcuni posti. È davvero molto
importante che io sia preciso. Le assicuro che lo farò entro qualche ora e lo comunicherò
quanto prima al comune.»
«Va bene, grazie lo stesso.» disse il mio vicino, poi fece una risata nervosa. «Ma che sia il
prima possibile!»
Il vichingo annuì e si voltò dopo che il tipo s’era allontanato. Come all’inizio non si dilungò
in convenevoli: lo ringraziai, mi salutò, salì sul furgone e partì a tutta birra.
La sera un’auto della protezione civile passò ad annunciare la quarantena sul quartiere,
enunciando tutte le vie comprese, le aree raggiungibili attigue già infette e fermandosi di
quando in quando ad affiggere la lista e una mappa su tutti i pannelli dei necrologi.
Uscì fuori che della famiglia solo io ero tagliata fuori. Fortunatamente, sì, ma già temevo
cosa ne sarebbe stato del mio lavoro, in realtà. Dovetti chiedere ad Elena di stringermi una
mano mentre chiamavo il mio titolare, sperando comprensione.
Cercai di girarci attorno, raccontando quello che era successo, dell’indegna fine fatta dalla mia
divisa e infine, quando proprio non potevo evitarlo, parlare della quarantena: «... e quindi non
posso venire a lavorare questo mese. Non pretendo di essere...»
«Il mese prossimo vieni per la paga che ti spetta finora.» mi interruppe, frenando qualsiasi
mio possibile tentativo di ragionare. Non era uno che ci girava attorno, alle cose: poche parole
per implicare che il mio contratto sarebbe stato terminato per assenza ingiustificata anche se
era più che giustificata, ed era espressamente vietato licenziare un lavoratore bloccato da una
quarantena. Ma fare ricorso non mi avrebbe portato a niente, anzi, magari c'era pure il rischio
che potesse danneggiarmi, se avessi cercato lavoro in zona8.
«Bbbeeh, Betta, dicevi che volevi un po’ di riposo, no?» azzardò mia sorella, senza neanche
sentire il verdetto da me.
Sì che volevo un po’ di riposo, ma non in modo permanente.
8 Questo è un ragionamento che ho sentito davvero fare e l’ho trovato tragico. Devo dire che non ne conosco la
fondatezza ma non mi sembra così improbabile.
7
ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
Il giorno seguente, dopo pranzo, sentimmo la voce della figlia di una famiglia della via che
stava chiamando me dalla strada. In pratica voleva che io la seguissi ma senza dirmi perché.
Salii a casa sua, ma la madre, Rita, lasciò entrare solo me.
«Federica dovrebbe stare a lavorare.» spiegò, e indicò la figlia maggiore. «Perché questa
invece sta qua?»
Un'altra copia confusa, a giudicare dal volto struccato, dall’abbinamento dei vestiti e il
modo con cui si guardava attorno. Da piccola avevo sempre ammirato Federica, perché era
sempre impeccabile. «Mi sa che è uno di quei cosi.»
«E adesso che gli facciamo?»
«Chiamiamo lo svedese.»
«Non puoi farlo tu?»
«Anche se lo faccio io lo svedese dovremmo chiamarlo comunque.»
La signora Rita mi gettò un'occhiata ansiosa. «Non possiamo far senza?»
«No. Se non pulisce lui rischiano di tornare un'altra volta.» O almeno così avevano detto in
tv.
«Va bene, lo chiamo.»
Cinque minuti dopo ecco apparire il Vichingo sul pianerottolo. Mi guardò stranito. «E tu
che ci fai qui?»
«Rita ha mandato la figlia a chiamarmi, prima.»
«E perché?»
«Perché ha saputo che ne avevamo già fatto fuori uno. Non voleva chiamarti per un falso
allarme e allora ha mandato la figlia per capire.» O meglio, quella era la mia supposizione.
«Hai fatto già qualcosa?»
«No.»
Il Vichingo, con calma, cominciò a fare a Rita delle domande mentre tirava fuori gli attrezzi
dal borsone e si metteva i guanti in lattice: perché pensava che quella non fosse la figlia, se
avesse fatto qualcosa per controllare e che cosa aveva fatto la presunta figlia, cosa aveva
toccato, da quando era rientrata in casa. Ottenute le risposte, mandò Rita a chiamare la figlia
per controllare che fosse al lavoro dove doveva essere, ma mi diede più l'impressione che
stesse cercando di distrarla.
«Posso darti una mano con qualcosa?» chiesi visto che non mi piaceva restare lì ferma in
mezzo al passo.
«No. L'unica cosa che ti chiedo è di restare sulla soglia, lontano dagli schizzi, altrimenti sai
che fine dovrebbero fare i tuoi vestiti. E quando torna la signora per favore mandala a fare
qualcos'altro.»
Evviva, non mi aveva mandato via! Tirò fuori una specie di taglierino con una minuscola
lama coperta di plastica, tolse il sigillo e si avvicinò piano alla ragazza. Stette un po' fermo a
osservare attentamente come si comportava.
«Che cosa vuoi?» chiese quella strana, sciatta Federica in uno strano tono aggressivo. Era
tutto sbagliato. Federica non era mai maleducata.
«Mi chiamo Erik.»
8
ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
La copia di Federica squadrò il Vichingo, sembrò realizzare qualcosa e d'un tratto gli
sorrise. «È una bella giornata.» disse con un tono che, beh, diciamo che fosse più adatto ad un
approccio in discoteca.
«Molto bella.» concordò il Vichingo, tranquillissimo. «Come ti chiami?»
«Sì. Trentasei.»
Sembrava afasica. O fatta. Ma più afasica.
«Strano.» disse il Vichingo, ma parlava più con me che con la ragazza.
«Federica sta a lavorare.» mi disse Rita, dal corridoio.
«Il Vi... Il signor Andersson vuole che vada a controllare anche Nina, dice che non si sa
mai.» le buttai giù la prima frottola che mi venne in mente.
«Controllare?»
«Parlaci. Se ti risponde normalmente è lei.» mi affrettai mentre vedevo che stava
cominciando l'azione. Erik afferrò la mano della ragazza e pungolò un dito con la lama. Ne uscì
sangue giallastro. Gli passai il martello che aveva tirato fuori dal suo borsone. Dovetti
impiegare tutte e due le mani, perché era enorme; ne avevo visto uno simile in un film, quella
roba serviva a buttare giù i muri.
«Grazie. Stai indietro.»
Avevo ragione: il Vichingo al lavoro era una figata. Con tre colpi sicuri fece fuori la seconda
Federica senza fare troppi schizzi. Meticolosamente aspirò la melma, chiuse il corpo in un
sacco, ripulì e sterilizzò gli schizzi, il tutto in un'oretta scarsa.
«Ho fatto, signora.» annunciò togliendosi i guanti. «Sua figlia sta bene?»
«È al lavoro tranquilla.»
Il Vichingo le mostrò come controllarla quando arrivava in casa. «È una cosa che deve
imparare a fare, controllare le persone quando le perde di vista. Non serve molto: basta
cercare una cicatrice sopraelevata o incavata, rossori... vede questo?» mostrò il rimasuglio di
un taglio sulla mano «Questo loro non possono imitarlo perfettamente. Già all'occhio sembra
finto e se lo tocca non si sente nulla. Guardi, le lascio il volantino9.»
«Ah non serve, di questo ne abbiamo già uno.»
In effetti un volantino e un libretto sui toni dell’azzurro e scritti da cani per guidarci in questo
periodo di incertezza e paura erano stati recapitati a tutte le famiglie, un po’ come
l’euroconvertitore10, però più utili. O meglio, almeno in teoria, visto che, come dimostrava il
comportamento di Rita, nessuno li aveva letti con attenzione.
Ad ogni modo, Rita ringraziò e pagò il Vichingo. Nina, finalmente libera di entrare in casa,
guardò lo svedese che passava con tanto d'occhi, poi si voltò verso di me per cercare la mia
complicità in un apprezzamento silenzioso. Spalancai anche io gli occhi e annuii senza che lo
svedese mi vedesse.
Restai qualche giorno con la speranza che l’episodio si ripetesse. Non lo fece. Di nuovo
padrona di una larga fetta del mio tempo libero, in circostanze normali avrei affogato la
tristezza in estensive esposizioni al sole alternate a nuotate al fine di sfinirmi nel breve
9 E voi, ce l’avete il volantino?
10 Ma ve lo ricordate l’euroconvertitore? È stato un righello fantastico.
9
ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
termine e diventare dorata e croccante per la fine dell’estate.
Siccome le circostanze erano quelle che erano, e il confine est dell’area di quarantena non
comprendeva il mare, dovetti trovarmi attività da svolgere per preservare la mia sanità
mentale. Riempii il mio blog11 di post e lavorai febbrilmente con le cartine per scovare lo
stretto ballatoio che mi avrebbe portato a toccare finalmente l’acqua dell’Adriatico in una città
verso nord con una spiaggia accessibile, al costo di finire in un’altra provincia. Trovato il
passaggio, presi un’amica, un ombrellone e la borsa da mare e mi fiondai verso la terra
promessa. Il tragitto aggirava la statale passando per alcune stradine collinose e sbeccate
dell’interno, e chiunque conosca quelle strade meglio di me avrebbe capito che era una cattiva
idea. Il viaggio d’andata durò un’ora tra stradine piene, macchine agricole e posti di controllo.
Ne valse la pena soltanto perché riuscii a farmi una nuotata. Ovviamente quel poco relax che
avevo trovato nell’acqua fu cancellato immediatamente dal viaggio di ritorno. Dopo aver
sprecato un casino di benzina, arrivai a casa ancora più incazzata e stressata di prima.
Dopo questo tentativo, pur di non impazzire in casa uscii spesso; i miei orari preferiti
erano la mattina sul presto e il tardo pomeriggio, quando il caldo non era più tanto soffocante.
In questo mio erratico vagare incrociai spesso il Vichingo. Una mattina lo incontrai al bar
ancora un po’ mezzo insonnolito e stropicciato di sonno che beveva una tazza da cappuccino
di caffè nero. Quando lo salutai si limitò a balbettare qualcosa nella mia direzione, quindi lo
bollai come ancora troppo addormentato per interagire e tirai dritto.
La sera dopo invece scambiammo due chiacchiere mentre metteva a posto l’attrezzatura e si
scusò un momento mentre trangugiava una lattina di bevanda energetica. Avevo
l’impressione che la caffeina fosse l’unico motivo per cui il tipo si reggesse in piedi.
Ma non ero l’unica della famiglia che aveva notato lo stato generale di torpore dello
scandinavo: mia madre sembrava averlo preso in simpatia, così, quando lo pescò al mini
market con a suo dire la più triste spesa mai fatta a memoria d’uomo, quella sera ce lo
ritrovammo in giardino a cenare insieme a noi. Notai che era per lo più taciturno, rispondeva
alle domande e alle sollecitazioni, ma non creava mai lui stesso l’occasione di parlare. L’unica
cosa spontanea che disse furono i ringraziamenti che balbettò prima, durante e dopo la cena.
La mattina dopo andai al bar per prendere delle paste e vidi il furgoncino del debellatore
parcheggiato lì vicino.
Dentro, sbracato a testa indietro sul sedile del guidatore, addormentato e con la bocca aperta,
c’era il vichingo. La mia mente registrò il fatto come strano, ma ero troppo addormentata pure
io per capire perché era strano. Scegliendo la pasta il mio cervello al rallentatore capì cosa
c’era di sbagliato: il tipo aveva dormito in auto.
Così feci una telefonata a casa, presi un caffè doppio da portare via e tornai al furgoncino dove,
incurante di tutto il mio rimuginare, Erik ancora se la ronfava. Ci pensai un po’ prima di
svegliarlo perché non avevo idea di a che ora fosse andato a dormire e, a giudicare dalle
occhiaie che aveva, poteva anche essere riuscito ad chiudere gli occhi solo un’ora prima. Fu la
sveglia a risolvere la mia indecisione, così lo guardai stiracchiarsi ed aprire gli occhi con un
pugno ad un centimetro dal vetro. Mi sentivo un po' una stalker.
11 Un blog? Perché, c’è un blog di Betta? :O
10
ALIENI IN ITALIA Servizio Debellatori - di Fabrizia Pizzuti © 2013 Eterea Comics & Books S.r.l.
Si voltò verso di me confuso, quindi gli mostrai il caffè e gli feci segno che era per lui. Lo
conquistai: era libidine quella che aveva negli occhi quando adocchiò il bicchiere. Mi aprì lo
sportello.
«Buongiorno. Caffè?» esordii.
«Sì, grazie.»
Gli passai il bicchierino. «Ti ringrazio.» ripeté chiudendo gli occhi e annusando il caffè
fumante. «Sembra ottimo.»
«Lo è.» dissi ridendo. «Ho preso lo zucchero se lo vuoi.»
«No, va bene così.» Ma certo. Ovviamente lo beveva amaro, perché già non era abbastanza
vichingo duro e puro.
Se lo portò alle labbra e prese un sorso. Mentre lo beveva rimasi in silenzio, per lasciarlo
solo col suo caffè. L’idillio finì insieme alla droga nera, e riprese a parlare. «Grazie del caffè.
Quanto ti devo?»
«Nah, offro io. Caffè di benvenuto. Piuttosto... perché stai dormendo qui?»
«I bed and breakfast dentro la quarantena sono pieni per almeno un paio di settimane e
sfortunatamente gli ospiti non hanno intenzione di andare via prima, nonostante non possano
andare al mare. Quello più vicino all'interno dell'area già infetta è troppo lontano.»
«E allora dormi qui dentro?»
«Non c'è un altro posto. Ho anche chiesto se qualcuno affitta informalmente una stanza.
Niente.»
Immaginavo, per quello avevo chiamato mia madre e le avevo chiesto se sarebbe stato
possibile ospitare il poveraccio. «Beh, noi non lo facciamo, ma a casa abbiamo un divanoletto.
È comodissimo, mi ci sono fatta certe dormite che non immagini neanche. Ho già parlato con i
miei12, e sono d’accordo. Non dovrai neanche pagare l’affitto. Dormi da noi.»
«Non so che dire... Siete stati già molto gentili con me. » rispose, incerto.
«Erik, non va bene che passi la notte nel furgoncino quando noi abbiamo un posto letto
disponibile. Magari non è il massimo, ma è sempre meglio del sedile, no?»
Non mi rispose subito, ma la sua espressione mi dava ragione. «Va bene, ma voglio
pagare.»
«Va bene. Di questo parliamo più tardi. Quando hai il tempo, sai dove abito. Tanto non è
che abbia granché da fare.»
12 È andata più o meno così. “Mamma ho trovato un vichingo abbandonato. Possiamo ospitarlo? Possiamo
tenerlo? POSSO MAMMA POSSO???”
11
Scarica

alieni in italia