CONVEGNO INTERNAZIONALE
VIVA V.E.R.D.I.
La musica dal Risorgimento all’unità d’Italia
Pistoia - Biblioteca San Giorgio (Auditorium Terzani)
15-17 settembre 2011
organizzato da
Comune di Pistoia
Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini
PROGRAMMA
1
ORGANIZZATO DA
Comune di Pistoia
IN COLLABORAZIONE CON
Amici di Groppoli
CON IL PATROCINIO DI
Provincia di Pistoia
CON IL CONTRIBUTO DI
Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini
www.luigiboccherini.org
VIVA V.E.R.D.I
La musica dal Risorgimento all’unità d’Italia
Convegno internazionale
15-17 settembre 2011, Biblioteca San Giorgio
(Auditorium Terzani) via Sandro Pertini snc - Pistoia
organizzato da
Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini
Comune di Pistoia
in collaborazione con
Amici di Groppoli
con il patrocinio della
Provincia di Pistoia
e il contributo di
Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia
So.Crem Pistoia
Cassa di Risparmio di Orvieto
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Comitato Scientifico
Lorenzo Frassà, Lucca
Roberto Illiano, Lucca
Fulvia Morabito, Lucca
Luca Sala, Paris/Poitiers
Massimiliano Sala, Pistoia
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Keynote Speakers
Philip Gossett, Roma/Chicago
Fiamma Nicolodi, Firenze
GIOVEDÌ 15 SETTEMBRE
ore 10.00-10.30: Registrazione e accoglienza
10.30-11.30: Apertura dei lavori
• Massimiliano Sala (Presidente Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini)
• Mirco Vannucchi (Assessore alla cultura del Comune di Pistoia)
• Chiara Innocenti (Assessore alla cultura della Provincia di Pistoia)
• Vannino Chiti (Vice Presidente del Senato della Repubblica)
• Gian Piero Ballotti (Presidente Amici di Groppoli)
11.45-12.45: Session 1: Musica e identità nazionale: aspetti sociologici ed estetici
(Chair: Massimiliano Sala)
• Giovanni Guanti (Università di Roma Tre): Männerchöre, Satyrchöre e cori operistici
patriottici: Nietzsche e Mazzini compagni di viaggio sul Gottardo nel febbraio 1871
• Giuseppe Tumminello (Università di Parma): La patria come nostalgia di una moderna
cittadinanza comune. Musica come religione popolare unitaria
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13.00 Pranzo
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15.00-16.00: Keynote Speaker 1
• Philip Gossett (Università di Roma “La Sapienza” / University of Chicago): The Effect of
the Censors on Verdi’s Operas between 1848 and 1861
Pausa caffè
16.30-18.30 Session 2: Il melodramma italiano e la politica
(Chair: Philip Gossett)
• Francesca Vella (King’s College, London): Verdi and Politics: The Case of 1859
• Anna Cicatiello (Università di Roma “La Sapienza”): La censura borbonica dei libretti di
Verdi: alcuni casi di revisione
• Maria Birbili (Maison des Sciences de l’Homme, Paris): Il conflitto fra Stato e Chiesa nelle
opere risorgimentali di Verdi. Modelli francesi politicizzanti nell’opera italiana
• Chloe Valenti (University of Cambridge): Adulation and Appropriation: Verdi’s Political
Image in 1860s England
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20.30 Cena
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VENERDÌ 16 SETTEMBRE
9.30-11.00: Session 3: Nazionalismo e patriottismo nell’opera dell’Ottocento
(Chair: Fiamma Nicolodi)
• Víctor Sánchez Sánchez (Universidad Complutense de Madrid): «Nabucco» senza
Risorgimento. Il furore verdiano in Spagna
• Cristina Aguilar Hernández (Universidad Complutense de Madrid): Il «Don Carlo» e
la leggenda nera: un’immagine negativa della Spagna. Patriottismo e politica delle prime
rappresentazioni nei teatri spagnoli
• Federico Gon (Università di Padova): Gli ‘eroi dei due mondi’: Rossini, Donizetti, Bellini e Verdi
***
11.30-13.00: Session 3: Nazionalismo e patriottismo nell’opera dell’Ottocento
(Chair: Philip Gossett)
• Basil Considine (Boston University): «La Fille du Régiment» and the Construction of
French Patriotism and Identity in the Inter-Empire Period
• Joseph E. Morgan (New England Conservatory): Nationalism and the Italian Style in
Nineteenth-Century German Opera
• Gregor Kokorz (Kommission für Musikforschung Österreichische Akademie der
Wissenschaften, Vienna): Verdi contra Lickl – Opera and National Identity in Trieste 1848
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13.30 Pranzo
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15.00-16.00: Keynote Speaker 2
• Fiamma Nicolodi (Università di Firenze): La produzione operistica dell’Italia post-unitaria
Pausa caffè
16.30-18.30: Session 4: Sentimenti risorgimentali: un approccio interdisciplinare
(Chair: Luca Sala)
• Angela Bellia (Università di Bologna): Simboli musicali nell’iconografia del Risorgimento
• Renato Ricco (Università di Salerno): «La musica è la fede d’un mondo di cui la poesia non
è che l’alta filosofia»: presupposti storici e finalità sociali de «La filosofia della musica» di
Giuseppe Mazzini (1836)
• Olga Jesurum (Università di Roma “La Sapienza”): «O tu Palermo o cara». L’iconografia
della guerra del Vespro da Hayez a Verdi
• Marina Mayrhofer (Università di Napoli “Federico ii”): Citazioni verdiane e coscienza
storica del Risorgimento in due film di Luchino Visconti: «Senso» e «Il Gattopardo»
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20.30 Cena
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SABATO 17 SETTEMBRE
9.30-11.00: Session 5: L’identità italiana e le istituzioni musicali
(Chair: Roberto Illiano)
• Giuseppe Montemagno (Catania): «Gridando: lealtà!» Una stagione risorgimentale al
Teatro Comunale di Catania
• Raffaella Bianchi (Zirve University, Turkey): The Cultural Struggle of the Risorgimento
at La Scala (1814-1848)
• Carmela Bongiovanni (Conservatorio “N. Paganini” di Genova): Impegno civile e scelte
musicali nelle istituzioni della Genova di età risorgimentale
11.30-13.00 Session 5: L’identità italiana e le istituzioni musicali
(Chair: Fulvia Morabito)
• Enrica Donisi (Napoli): Il Risorgimento, le bande militari e un capitano d’eccezione:
Raffele Trabucco
• Antonio Caroccia (Università di Perugia): L’istruzione musicale pre e post-unitaria, tra
regolamenti e riforme degli studi
• Annamaria Bonsante (Conservatorio “N. Sala” di Benevento): Addio del passato. Musica
e clausura nel Regno delle Due Sicilie
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13.30 Pranzo
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15.30-16.30 Session 6: Musicisti e contesto socio-politico dal Risorgimento all’Unificazione
(Chair: Fulvia Morabito)
• Jehoash Hirshberg (Hebrew University, Jerusalem): The Private and the Collective in
Patriotic and in Socially Reprimanding Italian Operas in the 1860s
• Mariateresa Dellaborra (Conservatorio “G. Verdi” di Torino): «Sia grande l’Italia, sia
libera ed una»: il contributo di Saverio Mercadante alla ‘causa’ risorgimentale
Pausa caffè
15.30-16.30 Session 6: Musicisti e contesto socio-politico dal Risorgimento all’Unificazione
(Chair: Massimiliano Sala)
• Pinuccia Carrer (Conservatorio “G. Verdi” di Milano): Per Cristina Trivulzio Belgiojoso:
canti di guerra e canti d’elogio
• Marcelo Campos Hazan (Columbia University): «Nabucco»’s Band
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20.00 Cena
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Abstracts
Keynote Speakers
• Philip Gossett (Università di Roma “La Sapienza” / University of Chicago)
The Effect of the Censors on Verdi’s Operas between 1848 and 1861
After the return of the Austrians, once the season of the ‘Cinque giornate’ was over in
Milan, censorship in Italy became ever more difficult. Afterwards, Verdi sought to find a
difficult path within a highly perilous political world. So, it was not possible to present his
operas La battaglia di Legnano (1848) and Stiffelio (1850) as he had conceived them. The
censors suggested disastrous modifications in his Rigoletto (1851) and would have done
worse, if possible. Verdi also was not able to present his Les Vêpres siciliennes (1855) in
the form originally planned for France. But the worst was the situation with Un ballo
in maschera (1859), originally conceived for Naples (1858), first as Gustavo iii, then as
Una vendetta in domino, as the Swiss-American scholar Andreas Giger has demonstrated.
It should not come as a surprise that after Ballo Verdi refused to write a new opera for Italy
until his Otello of 1887. My talk (in English) will speak mostly of the period from 1848
through 1861, when censorship had its heaviest effect on the operas of Verdi.
[ Dopo il ritono degli austriaci, passata la stagione delle ‘Cinque giornate’ milanesi, la censura in Italia
divenne sempre più difficile. Opera dopo opera, Verdi faticò a trovare la sua strada all’interno di un mondo
politico pericolosissimo. Pertanto, non fu possibile rappresentare le sue opere «La battaglia di Legnano»
(1848) e «Stiffelio» (1850) nel modo in cui egli le aveva concepite. La censura fece delle modifiche
disastrose al suo «Rigoletto» (1851), e avrebbe voluto fare modifiche peggiori; allo stesso modo, non fu
possibile rappresentare «Les Vêpres siciliennes» (1855) come Verdi li aveva originariamente pensati per
la Francia. Ma il colmo fu la situazione di «Un ballo in maschera» (1859), originariamente concepito
come «Gustavo iii» e successivamene, per Napoli (1858), intitolato «Una vendetta in domino», come ha
dimostrato lo studioso svizzero-americano, Andreas Giger. Non sorprende dunque che dopo il «Ballo»
Verdi abbia sempre rifiutato di scrivere nuove opere per l’Italia, fino all’«Otello» del 1887. La presente
relazione (in inglese) avrà come argomento principalmente il periodo dal 1848 al 1861, quando le opere
di Verdi subirono gli effetti più profondi da parte della censura. ]
• Fiamma Nicolodi (Università di Firenze)
La produzione operistica dell’Italia post-unitaria
Sistema produttivo: La relazione inizia prendendo in rassegna la situazione parlamentare
negli anni 1860-1867, quando il governo decide la ‘facoltà’ e non più l’‘obbligo’ di provvedere
ai finanziamenti dei teatri ‘demaniali’ e di quelli di corte, per avviare le pratiche di cessioni
ai rispettivi municipi. Ciò che comporterà accese discussioni politiche, notevoli decurtazioni
economiche e anche la forzata chiusura di alcune istitituzioni che erano state di primaria
importanza, aggravate adesso dalle lotte interne fra ‘palchettisti’ e comuni. Prospettiva
geografica ed economica dei teatri nell’Italia unita: Verrà considerata la differenza esistente
fra i teatri del Nord e quelli del Sud Italia, i processi di ristrutturazione che porteranno a
includere il pubblico più ‘allargato’ dei ceti medi (in virtù dell’esproprio dei palchi di prima fila,
la soppressione di quello ‘reale’, la trasformazione dei palchi degli ultimi ordini in ‘lubbioni’
e una diversa politica dei prezzi ). Si terrà conto anche dei provvedimenti legislativi sul diritto
d’autore (1865, 1875, 1882, alla cui prima stesura parteciparono attivamente Verdi e l’editore
Ricordi). Il repertorio: Si affronterà quindi il problema del repertorio, che se prosegue
nell’offerta del patrimonio ‘serio’ dell’Italia pre-unitaria (Rossini, Bellini, Donizetti Verdi),
assiste in pari tempo alle riprese dell’opera comica settecentesca (fra i titoli più fortunati del
Settecento e della prima metà dell’Ottocento: Il matrimonio segreto e Giannina e Bernardone di
Cimarosa, Crispino e la comare di Federico Ricci, ecc. ). Riprese e novità: Mentre proseguono
i grands opéras (già sulle scene italiane fin dagli anni ’40: Meyerbeer, Halévy, Auber), a essi
si affiancano i maggiori successi degli operisti italiani andati in scena a Parigi (I puritani di
Bellini, La favorita di Donizetti, I vespri siciliani e Aida di Verdi, ecc.), ripresi nel nostro paese.
Se c’è un genere che connota la novità produttiva nell’Italia post-unitaria questo è proprio
quello indigeno della grande opera (verranno esaminate Mefistofele (1868) di Boito, Ruy
Blas (1869) di Marchetti, Il Guarany di Gomes (1870), e La Gioconda (1876) di Ponchielli,
che diventa lo status symbol dell’epoca, ansiosa di una promozione sociale, di una chiara
affermazione cosmopolitica, esperita dagli ascoltatori della piccola e media borghesia nei
suoi aspetti più edonistici e appariscenti (colpi di scena, sontuosità degli apparati scenici,
orecchiabilità delle melodie, gradevole miscela degli ingredienti: cori, balli, arie, duetti,
concertati, intermezzi orchestrali, pezzi caratteristici). Il grand opéra si afferma capillarmente
dai capoluoghi fino alle città di provincia, trovando rispondenza al suo carattere grandioso
anche nell’architettura monumentale del tempo, incline all’ampliamento di piazze e di edifici
pubblici, alla costruzione di spaziose gallerie, mentre nell’arredo urbano (monumenti, statue)
vengono glorificati eventi simbolici e personaggi della storia nazionale (a cominciare da
Dante). Molti i riscontri ‘realistici’ fra la recitazione del teatro di prosa e l’interpretazione
scenico-vocale. Più in ombra, ma non assente (semmai confinata a circuiti lirici minori o a
località specifiche: Napoli), l’opera buffa (ricordiamo almeno, i successi dei fratelli Ricci – per
tutti, Crispino e la comare –, Cagnoni, ecc.). Grande diffusione è assicurata all’opera anche dal
genere della parodia e dall’adattamento dei testi al repertorio per marionette.
Partecipanti
• Cristina Aguilar Hernández (Universidad Complutense de Madrid)
Il Don Carlo e la leggenda nera: un’immagine negativa della Spagna. Patriottismo e
politica delle prime rappresentazioni nei teatri spagnoli
Nell’Ottocento la Spagna fu il paradigma che stimolò con più successo l’immaginazione
romantica europea. Al di là della tipica concezione esotica della Spagna, il Don Carlo vuole
mettere in risalto, come scrisse lo stesso Verdi in una sua lettera, l’esacerbata religiosità e
tirannia dell’epoca di Filippo ii, la cosiddetta ‘leggenda nera’. Il seguente studio, oltre ad
approffondire il fenomeno della leggenda nera nell’Ottocento europeo e la sua presenza nel
Don Carlo, ha come obiettivo l’analisi della ricezione di quest’opera in Spagna, non solo
dalla sua prima rappresentazione a Madrid (1872), ma già dal momento in cui i giornalisti
spagnoli ne vennero a conoscenza, nel 1867. Si cercheranno di evidenziare le connessioni
col romanticismo e il patriottismo spagnolo presenti nelle critiche all’opera, ancora piú
contrarie e mordaci in un’epoca nella quale la figura del re era ancora rispettata, come
accadeva negli anni della prima rappresentazione dell’opera a Parigi – durante i quali il
governo spagnolo era retto dalla regina Elisabetta ii (1867) –, critiche diverse da quelle che
appaiono a partire della rivoluzione liberale del ’68.
• Angela Bellia (Università di Bologna)
Simboli musicali nell’iconografia del Risorgimento
L’iconografia musicale costituisce un campo privilegiato di indagine per comprendere il
ruolo della musica nell’ambito del suo contesto di produzione e fruizione, documentandoci
aspetti e ambientazioni delle pratiche musicali che ci permettono di definire cosa la musica
e il far musica rappresentino all’interno di un preciso contesto storico e culturale. Lo studio
delle immagini ci consente di comprendere il ruolo di uno strumento musicale o di un
personaggio impegnato a suonarlo e dunque di cogliere il «messaggio» musicale delle scene.
Un esempio di questo approccio allo studio delle immagini è offerto dalla lettura di una
serie di opere di artisti definiti ‘pittori soldati’ che parteciparono da protagonisti alle vicende
storiche comprese nell’arco di tempo che va dal 1848/1849 al 1878. Sono quadri, alcuni
dei quali realizzati su commissione regia, che oggi hanno assunto la dignità della grande
‘pittura di storia’ e che documentano, in maniera quanto mai eloquente, la specificità degli
avvenimenti del nostro Risorgimento. Le opere dei ‘pittori soldati’ sono documenti vivi di
una creatività messa al servizio dell’impegno morale e civile. Nei loro dipinti gli strumenti
musicali suonati dai protagonisti delle scene non svolgono una funzione subalterna o
decorativa ma sono emblemi degli intimi affetti e delle passioni di popolo, della commozione
e dell’emozione verso il riscatto e la liberazione.
• Raffaella Bianchi (Zirve University, Turkey)
The Cultural Struggle of the Risorgimento at La Scala (1814-1848)
This paper focuses on the confrontational events taking place at La Scala during Restoration
up to the Battle of the Five Days. Milan was the main centre of development of the
Romantic movement, which was the milieu of the intellectuals of the Risorgimento. La
Scala as a meeting place for civil society in Milan, provided an ideal terrain for the struggle
to emerge. The intellectual struggle developed into open political conflicts when the editors
of Il Conciliatore engaged in a political conspiracy in 1821 which was discovered by the
secret police at La Scala, and when performances become overtly political demonstrations.
It was the season of arie da Belisario. By the 1830s and 1840s, conflicts had become more
explicit and divided the audiences into two fronts, those who either supported or opposed
particular performers who held specific political positions. This is particularly evident in the
confrontation between the two performers of Norma, Giuditta Pasta and Maria Malibran.
Indeed, also became part of the cultural struggle between two camps, the Austrophiles and
the patriots. The famous Austrian dancer Fanny Ellser had to leave Milanese stages because
of her political connotations. Rather than focusing on operatic performances of the time,
the paper analyses original archival sources regarding the organisation of the opera house,
the management of the impresarios and of the theatre direction, rules of attendance, and
matters like doors, keys and curtains. New rules for the attendance of performances had
been implemented, and the Habsburg authorities enforced new changes to improve the
effectiveness of police control at La Scala: improving lighting and strictly supervising the
regulation of access to the opera house. This reflects the highly politicised atmosphere at La
Scala on the brink of the uprising of 1848. The battle of the Five days of Milan was the first
important military event of the Risorgimento. Visual sources of the barricades of 1848 next
to the opera house will conclude the analysis.
• Maria Birbili (Maison des Sciences de l’Homme, Paris)
Il conflitto fra Stato e Chiesa nelle opere risorgimentali di Verdi. Modelli francesi
politicizzanti nell’opera italiana
La presente relazione vuole esaminare la retorica politicizzante propria della rivoluzione
francese che Verdi ha attinto dal modello rossiniano del Guillaume Tell nella sua Battaglia di
Legnano, la trasformazione di I Lombardi alla prima Crociata in Jérusalem sotto l’influenza del
grand opéra francese, il messaggio ambiguo della cabaletta di Giselda nel ii atto di quest’opera,
il sogno profetico dell’incontro di Attila con il pontefice – che appare come situazione
drammatica analoga anche nel Prophète di Giacomo Meyerbeer – e, in conclusione, il conflitto
fra stato e chiesa inserito nel Don Carlos, che conobbe diversi cambiamenti e modifiche a
partire dal concepimento sino a giungere alle diverse versioni finali.
• Carmela Bongiovanni (Conservatorio “N. Paganini” di Genova)
Impegno civile e scelte musicali nelle istituzioni della Genova di età risorgimentale
È possibile seguire – tramite le carte, le memorie, i registri, i documenti diversi conservati
presso l’Archivio Storico del Comune di Genova – i diversi momenti del fare musica in
pubblico e l’evoluzione prudente nelle scelte delle massime istituzioni teatrali musicali
della prima metà dell’Ottocento a Genova, vale a dire il Teatro Carlo Felice e il teatro
di Sant’Agostino, in un periodo di grande sommovimento politico. La programmazione
non riguarda solo spettacoli melodrammatici, s’intende, ma anche cantate, accademie, feste
diversificate e inoltre eventi non musicali. Dai registri della commissione dei teatri, tra le
discussioni in merito a richieste e proposte differenti, si evince il nome del compositore
al quale in origine si era pensato di commissionare il melodramma di inaugurazione del
neo-erigendo Teatro Carlo Felice, vale a dire Meyerbeer. Tra le altre iniziative pervenute
al Teatro c’è la richiesta, all’inizio degli anni ’40 dell’Ottocento, da parte degli stessi
musicisti componenti l’orchestra del teatro, di istituire un’orchestra civica: tale richiesta
– più tardi divenuta realtà – venne inizialmente respinta dalla Commissione dei Teatri
per mancanza di finanziamento. Dai registri manoscritti c’è insomma uno spaccato della
vita dei teatri non solo musicale: nella seduta del 9 settembre 1848 della direzione dei
Teatri di Genova, per esempio, viene data lettura di una lettera dell’impresario dei teatri
Sanguineti «colla quale fa presente come il Sig.r Avv.to Ottavio Lazotti Vice presidente
del Circolo Italiano viene chiedendogli la concessione del Teatro da S.t Agostino per sito
di riunione del circolo suddetto». La commissione dei teatri accetta ma a patto che «il
Sig.r Sanguineti si renda garante di tutti i danni e conseguenze che potessero derivare da
questa concessione medesima». Anche il ridotto del Carlo Felice è teatro di riunioni del
Circolo Nazionale, come risulta dai registri dell’amministrazione. A fianco delle istituzioni
civili, si muovono quelle religiose; tra le principali abbiamo la chiesa di Sant’Ambrogio,
con orchestra e cantanti propri gestiti e finanziati dalla famiglia dei nobili Pallavino di
Genova: qui si continua a proporre musica secondo una immutata organizzazione secolare,
apparentemente impermeabile ai rivolgimenti in atto.
• Annamaria Bonsante (Conservatorio “N. Sala” di Benevento)
Addio del passato. Musica e clausura nel Regno delle Due Sicilie
La relazione sintetizza ricerche in corso sul rapporto tra musica e clausura nel Mezzogiorno
ancien régime, presentando documenti relativi ad alcune prestigiose comunità regolari
femminili del Regno delle Due Sicilie, nel periodo che va dal Decennio francese
all’unificazione d’Italia. Le raffinate monache-gentildonne vivono in magnifiche dimore,
e, da ricche art-matrons, promuovono sapere, arte, musica, secondo i codici e gli stili alla
moda. Nel xix secolo s’innova la vita artistico-musicale delle istituzioni e si evidenzia un
atteggiamento nostalgico che protegge il ‘repertorio’ e i fasti del Settecento napoletano. Nel
contempo le religiose coltivano l’opera, spesso grazie a trascrizioni per tastiera. In tal modo
molte pagine teatrali si suonano anche in chiesa, e i pot-pourri ricavati dai melodrammi
contemporanei si gustano, fuori dalla liturgia, nel privato e consueto ‘salotto’ musicale delle
reverende monache. Non mancano ‘scritture’ di maestri di banda, né marce, inni, canzoni
napoletane, monferrine, polke, che oltrepassano le grate insieme a libri di Guicciardini e
Colletta, e, dal 1848, ai giornali. Il legame delle comunità con il Re è tenace, non solo per
ragioni familiari, ma anche per i risentimenti originati dalle varie cacciate e spoliazioni subite
per mano di francesi e ‘liberali’. Nondimeno, tra queste donne così colte (si negava alle figlie
la libertà ma non l’istruzione, in particolare musicale) troviamo esempi di patriote, come la
nobile Enrichetta Caracciolo (sua l’autobiografia bestseller del 1864), che dopo vent’anni di
monacazione diventa cospiratrice e dopo l’unità d’Italia un personaggio politico.
• Antonio Caroccia (Università degli Studi di Perugia)
L’istruzione musicale pre e post-unitaria, tra regolarmenti e riforme degli studi
Il contributo intende fornire spunti e riflessioni sull’istruzione musicale italiana
dell’Ottocento, attraverso lo studio e l’esame dei molteplici regolamenti dei Conservatori
di Milano e Napoli alla luce, anche, dei progetti di riforma compiuti dai vari governi pre
e post-unitari, in cui l’ordinamento di studio e i programmi di esame con il loro processo
di elaborazione, rimangono il momento centrale delle varie riforme. Si esaminerà poi
dettagliatamente l’attività legislativa legata all’istruzione musicale, all’interno del panorama
nazionale, con ampi riferimenti alle differenziazioni scolastiche e didattiche. In modo
particolare si approfondiranno le analogie, le differenze e le scelte didattiche compiute
a Milano e a Napoli in epoca pre-unitaria e i lavori di riorganizzazione dell’istruzione
musicale attuati su scala nazionale dopo l’unificazione d’Italia. Soprattutto si analizzerà
la bozza del ‘Regolamento scolastico’ elaborato dalla commissione nominata dal Ministro
Correnti sotto la presidenza di Giuseppe Verdi.
• Pinuccia Carrer (Conservatorio “G. Verdi” di Milano)
Per Cristina Trivulzio Belgiojoso: canti di guerra e canti d’elogio
«Le donne occuperanno molte belle pagine nella storia della patria rigenerata, il dì che si potrà
squarciare senza alcun ritegno il velo che cela quanto hanno fatto per noi […] Persone salve,
secreti rimasti inviolabili, favori ottenuti per loro indefessa insistenza. […] Nobili amiche
noi vi conosciamo: vergini, vedove, spose! […] I vostri cuori palpitando di carità di patria,
rendono più celere il vostro respiro, ed un amabile velo di rose tinge subitamente il vostro
viso […] Persone che si esposero per noi […] La modestia continui ma non ascondete il
vostro cittadinismo: è finito il tempo in cui mostrare animo cittadino era delitto». (Pietro
Maroncelli, Parigi, 1831). Una donna che ben risponde al profilo di Maroncelli, anche se
non precisamente ascrivibile alla categoria ‘vergini, vedove, spose’, è Cristina di Belgiojoso,
principessa alla conquista del suo essere cittadina: più di tante italiane benemerite, essa ha
carpito l’attenzione dei contemporanei e dei posteri per i suoi gesti, estrosi e spesso provocatori,
sempre coraggiosi. Cristina Trivulzio di Belgiojoso è dedicataria e promoter, a differenza di
altre patriote musiciste e compositrici (Elisa Barozzi, Clara Carpani o Carlotta Ferrari, per
esempio): noti i suoi rapporti con Bellini e Liszt (vedi Hexaméron) e l’attività svolta a Parigi.
A lei si collega un interessante esempio di musica risorgimentale: La crociata italiana: canto
di guerra / di Luigi Carrer; musica di Giuseppe Winter, Milano, F. Lucca, ca. 1848, dedicato
«Alla generosa donna Cristina Trivulzio Belgiojoso». Nelle composizioni di seguito citate,
ancora legate alle forme dell’inno e della cantata d’occasione, più che dedicataria, Cristina è
onorata. I brani mettono a fuoco il rapporto con le classi sociali ‘inferiori’. Emerge un aspetto
assai sentito nella storia italiana al femminile e non: la beneficenza. Le idee della Belgiojoso
sono particolarmente apprezzate per la loro lungimiranza ed efficacia dal pedagogista Ferrante
Aporti. Inno di sole voci di soprani e contralti: Op. 85 / musica espressamente composta da Luigi
Truzzi, Milano, Giovanni Ricordi, [1846], «dedicata alla nobile dama D.a Cristina principessa
di Belgiojoso nata Marchesa Trivulzio»; Cantata, eseguita da contadini e contadine, Op. 86.
Musica espressamente composta da Luigi Truzzi, Milano, Giovanni Ricordi, [1846], «dedicata
alla Nobile Dama D.a Rosina Poldi nata marchesa Trivulzio». La musica ancora una volta
riflette azioni individuali e storia collettiva.
• Anna Cicatiello (Università di Roma “La Sapienza”)
La censura borbonica dei libretti di Verdi: alcuni casi di revisione
La frammentazione in stati, più o meno grandi, del territorio italiano alla metà del secolo
xix ebbe riflessi nella politica culturale dei principali teatri. Di conseguenza, le commissioni
di censura ebbero ruolo determinante nella prospettiva di eventuali allestimenti di molte
opere. La censura scaturiva da provvedimenti che venivano emessi nel nome di un’autorità
politica spesso influenzata dagli enti ecclesiastici. Per questo motivo, l’adattamento di un
libretto poteva approdare a stesure spesso tra loro differenti. Il Regno delle Due Sicilie
si distinse per l’atteggiamento severo e rigido dei suoi organismi di revisione teatrale,
imposto anche a libretti il cui potenziale sovversivo era effettivamente minimo. Altro caso
è quello della censura europea, che interveniva sostanzialmente sulla traduzione del libretto
falsando i contenuti espressi nei versi italiani, nella consapevolezza che ben pochi avrebbero
compreso l’originale. Quattro sono le opere su cui verte l’indagine. 1) Attila. Si propone
una sinossi tra diverse versioni dello stesso libretto: il libretto della prima rappresentazione
veneziana sarà confrontato con altri due documenti, la versione tagliata dai censori
ecclesiastici e politici (Cavaliere Ruffa e Cavaliere Royer) per la rappresentazione di Napoli
del 1848 e il libretto Gli Unni e i Romani, rielaborazione palermitana del melodramma del
1854/1855. Si individueranno i motivi (storici, politici e sociali) per cui, ben sette anni
dopo la rappresentazione nella capitale del regno, si rese necessario epurare ulteriormente
il libretto sottolineando, soprattutto, come le autorità palermitane abbiano modificato la
trama per ridimensionare il ruolo della protagonista femminile, che appare così sottomessa
ai comprimari maschili. 2) I Masnadieri. Si espone una sorta di analisi comparata di
determinate parti del libretto tra la traduzione inglese della prima, per la quale punto di
riferimento sono gli studi di R. Montemorra Marvin e il libretto edito per la rappresentazione
del 1849 al San Carlo. In tal caso si indicheranno le similitudini o le differenze tra gli
atteggiamenti dell’autorità censoria in due contesti diversi: la Londra vittoriana e il Regno
delle Due Sicilie. 3) Luisa Miller. Il libretto del melodramma scritto espressamente per
Napoli nel 1849 presenta notevoli discrepanze lessicali rispetto alle successive versioni
stampate da Ricordi per il Nord Italia (ben nove databili tra il 1850 per il Teatro Carcano e
il 1851). La fantasiosa e sistematica epurazione terminologica, tutta partenopea, evidenzia
l’ossessione dei borbonici per singole parole che potessero lontanamente turbare i rapporti
con lo Stato Pontificio e con Pio ix, che dopo i moti del 1848 si rifugiò a Gaeta, parte del
territorio borbonico. 4) Stiffelio Un ultima riflessione scaturisce dal confronto tra Guglielmo
Wellingrode, adattamento circolato nel Regno borbonico (Palermo, Teatro Carolino stagione
1854/1855; Napoli, Teatro San Carlo, stagione 1855) e un libretto di Stiffelio destinato a
una rappresentazione di Barcellona del 1856. Quest’ultimo presenta la versione italiana
con traduzione a fronte in castigliano, piuttosto congruente con l’originale triestino, la cui
proibizione a Napoli è motivata da alcune testimonianze dell’epoca.
• Basil Considine (Boston University)
«La Fille du Régiment» and the Construction of French Patriotism and Identity in the
Inter-Empire Period
The world premiere of Gaetano Donizetti’s opera La Fille du Régiment (1840) captivated
Parisian audiences. The opera’s rich score and vibrant melodies quickly conquered a place in
theatres and concert halls across the world, but its military and patriotic themes gave it particular
resonance and life in France. Set against the backdrop of Napoleon’s great victory at the Battle
of Marengo, it recalled to audiences a lost age of military glory, fraternity, and patriotism – an
aura that the ‘Citizen King’ of France, Louis-Philippe, sought earnestly to revive. The Bourbon
restoration in France recreated the monarchy on the ashes of the French Republic and Empire.
The suppression of Republican ideas and loss of imperial glory left a population bereft of the
identity it had worn for a whole generation. This disestablishment and disenfranchisement fed
a bitter divide between monarchists and royalists, a feud that erupted in the 1830 revolution
that overthrew Charles x. His successor, Louis-Philippe, sought to bridge this divide by creating
a new ‘French’ identity that embraced, rather than rejected, its Napoleonic past. At the same
time, however, the Citizen King’s international ambitions required rapprochement with the
traditional enemies of France, a policy furthered by the censor. The glorification of Napoleonic
history in La Fille du Régiment is a revisionist one, idealized and carefully crafted for political and
practical expediency. The success of its 1840 premiere in Paris (a success downplayed by critics,
notably Hector Berlioz) was a validation of the propaganda policies of Louis-Philippe and his
government. This paper examines the military, nationalistic, and patriotic content of La Fille
du Régiment in the context of 1840 France. It discusses the opera’s reception domestically and
abroad, including the nationalistic criticisms leveled against the work by Hector Berlioz – and
how elements inspired by La Fille du Régiment nevertheless appeared in some of Berlioz’s own
later work. The paper explores the development of French identity in the inter-Empire period,
particularly how the work of Donizetti, an Italian composer, became an integral and influential
part of French national identity. Alterations made to opera for its Italian audiences are also
discussed. The paper concludes with a brief summary of the opera score’s association with the
French military for more than a century.
• Mariateresa Dellaborra (Conservatorio “G. Verdi” di Torino)
«Sia grande l’Italia, sia libera ed una»: il contributo di Saverio Mercadante alla ‘causa’
risorgimentale
Attiva fu la partecipazione di Saverio Mercadante alla causa risorgimentale e attestato il suo
coinvolgimento a fianco dei protagonisti di quell’ora. Per il tramite di diverse composizioni
espressamente concepite – melodrammi, inni per coro (Inno guerriero, Inno popolare, Inno a
Vittorio Emanuele ii re d’Italia), sinfonie e marce per orchestra e per banda dai titoli allusivi
o dichiaratamente inneggianti a personaggi, a luoghi o a episodi significativi – diede il suo
significativo contributo arricchendo nel contempo il repertorio musicale. Molti di questi brani,
oltre a godere di una popolarità propria, furono trascritti e adattati per organici differenti da
diversi musicisti del tempo (Ponchielli in primis). Oltre a focalizzare l’attenzione sul catalogo
mercadantiano legato alla tematica in oggetto, arricchitosi da poco tempo di nuovi rinvenimenti
presso il Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli, la relazione intende soffermare
l’attenzione sulle opere strumentali per rimarcarne la tipologia e confrontare la versione originale
con le trasformazioni subite, investigare i motivi dell’adattamento e testimoniarne la fortuna.
• Enrica Donisi (Napoli)
Il Risorgimento, le bande militari e un capitano d’eccezione: Raffaele Trabucco
La musica ha dato un notevole contributo all’unità d’Italia durante il Risorgimento: ha unito
gli italiani in una lotta comune; è stata di conforto ai militari in battaglia. I compositori
militari hanno scritto musiche di notevole qualità. La presente ricerca mette in luce alcune
caratteristiche delle bande militari, attraverso cenni sulla loro formazione e sulla loro
storia dagli anni Venti agli anni Settanta, con particolare riguardo alle bande dell’esercito
borbonico. Sarà proposta, in particolare, una ricostruzione biografica e professionale di
Raffaele Trabucco, studente di corno nell’Orfanotrofio di S. Lorenzo di Aversa, durante
gli anni in cui il S. Lorenzo vantava ottime scuole di musica. Dopo gli studi, Trabucco
entra nelle fila del Reggimento Ussari dell’esercito borbonico. Nel 1848, spinto dai fervori
rivoluzionari, diserta e aderisce ai combattenti volontari. La sua vita è interamente dedicata
alla musica e alla patria.
• Federico Gon (Università di Padova)
Gli ‘eroi dei due mondi’: Rossini, Donizetti, Bellini e Verdi
La miccia insurrezionale e indipendentista innescata dalla Rivoluzione francese ebbe
l’effetto domino di ispirare in pochi anni le rivolte libertarie ed egualitaristiche in gran parte
del globo, Italia compresa. E così come alla presa della Bastiglia seguì la produzione di canti
patriottici ad hoc («La Marsigliese», «La Carmagnòle», «Ça Ira», per citarne alcuni), ogni
moto rivoluzionario nazionale ebbe la propria colonna sonora: a noi italiani sono ben noti, ad
esempio, il nostro inno nazionale, «Il canto degli Italiani», ma anche «L’inno di Garibaldi» o
«Addio mia bella addio», etc… Una situazione particolarmente interessante è rappresentata
dai paesi dall’America del Sud che, a partire dai primi anni dell’Ottocento, ottennero uno
dopo l’altro la completa emancipazione dalla monarchia spagnola e portoghese, producendo
una serie di canti d’ispirazione patriottica che divennero di lì a poco – e fino ai nostri giorni
– gli inni ufficiali delle neonate nazioni. Caratteristica peculiare di questi inni (composti per
la maggior parte tra il 1813 e il 1866 sia da autori locali che da emigranti) è la medesima
che denota i canti del Risorgimento, ossia l’essere strutturati nella metrica del testo ma
soprattutto nella forma musicale come veri e propri brani d’opera, sullo stile di Rossini,
Donizetti, Bellini e Verdi (l’opera italiana era presente nei teatri sudamericani sin dai tempi
di Paisiello e Cimarosa), quasi fossero stati questi ultimi, ben prima di Garibaldi, i veri “eroi
dei due mondi”, contribuendo in maniera determinante tanto in ambito latinoamericano
quanto sulle scene italiane. La ricerca spiega come gli inni sudamericani subirono la chiara
influenza del melodramma italiano allora in auge e circolante in quelle zone (in particolare a
Buenos Aires, Rio de Janeiro, Santiago del Cile), focalizzando la ricerca su due distinti poli,
quello analitico dei brani in questione e quello storiografico sulla diffusione del repertorio
operistico. Se il Risorgimento e le rivolte indipendentiste dell’America Latina hanno avuto
la loro inconfondibile musica, lo si deve principalmente all’opera italiana.
• Giovanni Guanti (Università di Roma Tre)
Männerchöre, Satyrchöre e cori operistici patriottici: Nietzsche e Mazzini compagni di
viaggio sul Gottardo nel febbraio 1871
Nietzsche conobbe Mazzini durante un viaggio in diligenza da Basilea a Lugano, e l’incontro
lasciò in lui una profonda impressione, come testimoniano i suoi scritti. Nietzsche – il quale
nei primi mesi del 1871 era impegnato nella redazione della Nascita della tragedia, e quindi
anche nella ridefinizione concettuale del ‘coro satiresco’ – aveva inoltre molta familiarità coi
Männerchöre, in cui spesso e volentieri fu attivo sia come corista e organizzatore sia come
compositore di partiture ad hoc. Alcune insospettate analogie tra le corali virili, tipiche della
cultura germanica ottocentesca, e il grido degli arcaici seguaci di Dioniso saranno illustrate
usando come tertium comparationis le riflessioni sul coro melodrammatico contenute nella
Filosofia della musica (1836) di Mazzini: uno scritto che – ci piace pensarlo – il vecchio
apostolo del Risorgimento raccomandò al giovane filologo nella loro comune Winterreise.
• Marcelo Campos Hazan (Columbia University)
Nabucco’s Band
On and offstage bands are routinely featured in the operas of Giuseppe Verdi. Scholars
allege two particular motivations for Verdi’s adherence to the stage band tradition. The first
is his provincial background directing and composing for bands, which supposedly carried
over to his operatic career. The funereal march in Nabucco (1842), most tellingly, is said to
derive from his bandmaster years. The second alleged motivation is the militaristic character
of his early-period operas, for which the performance of brassy marches by parading bands
was particularly suited. To the extent that these early operas, notably Nabucco, have been
interpreted by musicologists as covertly patriotic, stage bands have been accordingly viewed as
symptomatic of Verdi’s commitment to the Risorgimento. Taking Nabucco as a paradigmatic
case, I argue that Verdi’s motivations are more adequately understood when connected
to wider sociopolitical circumstances. I begin by examining a neglected autobiographical
anecdote describing Nabucco’s La Scala premiere. Based on this examination, I identify
the Austrian First Infantry Regiment band as the one hired for Nabucco’s premiere. Next,
following band historian Antonio Carlini, I discuss the general role of municipal and
military bands in Ottocento society, highlighting the importance of the Austrian regimental
bands stationed in Lombardy-Venetia at the time. Finally, drawing on Italian- and Germanlanguage scholarship, I discuss both the make up of First Infantry Regiment band and its
role in disseminating Nabucco beyond the theatrical sphere, thus illuminating the opera
respectively from a performance practice and a transmission history perspective. I conclude
that Nabucco’s band does not foreground Verdi as a composer attached to his bandmaster
background or interested in channeling Risorgimento patriotism, but rather as one who
was finely attuned to local aesthetics and performance circumstances.
• Jehoash Hirshberg (Hebrew University, Jerusalem)
The Private and the Collective in Patriotic and in Socially Reprimanding Italian
Operas in the 1860s
My research concerns Italian operas in the seria genre by Verdi’s contemporaries composed
and produced in the 1860s, that is, during the arduous process of national unification.
I will focus on two of the categories which I have discerned in the new operas: 1) The
achievement of liberation from foreign rule notwithstanding, patriotic operas with lieto
fine continued to be composed, although more infrequently, such as Achille Peri’s Giuditta
(1860), Paolo Giorza’s Corrado, Console di Milano and Agostino Mercuri’s Adello (both
1861). This included patriotic operas with tragic ending such as Franco Faccio’s I profughi
fiamminghi (1863). 2) At the same time, operas turned to critical issues, most importantly
the threat of corrupt or dictatorial rule, which was hinted at through historical plots such as
Carlo Pedrotti’s Isabella d’Aragona (1859) and Mazeppa (1861), Achille Montuoro’s Fieschi
(1869), and Flippo Marchetti’s Ruys Blas (1869). When asked whether opera should prefer
public or private topics, composer Costantino Parravano replied that «io credo doversi
allontanare i primi, perché, essendo conosciutti da tutti, se ne prevedono le circostanze e
riescono di minore effetto. Si cerchino sempre fatti privati, e dove c’entra l’immaginazione
e l’invenzione ci si metta, poiché la musica non rifugge da esse. Lasciamo la politica e
la filosofia al gabinetti ed alle scuole» (Gazzetta musicale di Napoli, 10 October, 1865).
Parravano’s approach has been my point of departure in the study of the musical aspects of
the two categories mentioned, in which the correct balance between collective and private
issues was of prime importance. In Giuditta the collective aspect is presented through the
contrasting choruses of the besieged residents of Betulia and the drunk Babylonian soldiers.
Yet, the brutal Oloferne falls in love with Giuditta, who wakens in him true emotions
for the first time in his life. The music of Giuditta features a combination of the two
contemporary compositional styles: lo stilo fiorito e lo stilo enfatico (review of Ponchielli’s
Lina. La Perseveranza, 18 November1877). For example, in the grand duet of Giuditta and
Oloferne their simulaneous fiorito singing suggests that Giuditta cannot resist her attraction
to the wild fighter. Yet, when he asks her repeatedly m’ami? Di! The duet halts with a four
chord chromatic progression in the orchestra and Giuditta whispers, unaccompanied, si
in the manner of the stilo enfatico (in the manner of Luisa in the Quartetto). The much
discussed issue of the modification of the solita forma for dramatic purposes will be
illustrated by Pedrotti’s Mazeppa. The opera depicts the overambitious ruler, who bring
disaster on his beloved adopted daughter Natalia and finally on himself (in the manner
of Verdi’s Macbeth). In the extended final scene Mazeppa’s demented state is presented
by an arioso yet with no cantabile, and after a short cabaletta the scene closes with a brief
cantabile (in the manner of Nabucco-Abigail duet). The paper will be illustrated by two or
three brief recorded examples.
• Olga Jesurum (Università di Roma “La Sapienza”)
«O tu Palermo o casa». L’iconografia della guerra del Vespro da Hayez a Verdi
Quando Les Vêpres Siciliennes giunse sui palcoscenici italiani (1856), l’argomento della
guerra del Vespro era stata già oggetto di varie forme d’arte, dalla pittura, alla letteratura
al teatro. Nel 1822 apparve il primo quadro di Francesco Hayez dedicato all’argomento,
nel 1830 Niccolini pubblicò la tragedia Giovanni da Procida, rappresentata a Firenze nel
Teatro di Via del Cocomero, seguito dall’omonimo dramma di Poniatowski, rappresentato
al Teatro del Giglio di Lucca nel 1840; nel 1842 Michele Amari pubblicò a Palermo Un
periodo delle istorie siciliane del secolo xiii; infine nel 1846 Hayez completa la seconda tela
sullo stesso soggetto. L’insieme tali interpretazioni contribuì alla definizione di una chiave
di lettura del fatto storico, che sottintendeva l’identificazione del popolo siciliano oppresso
di allora con gli italiani dell’epoca di Verdi e la comune ricerca di una identità nazionale.
Verdi stesso ne era consapevole, tanto da opporsi, già nel corso della stesura della versione
francese, a qualsiasi accenno che potesse offendere il popolo italiano. A questo stato di cose
la censura tentò di opporsi e modificare la ricezione dei contenuti dell’opera trasformandola
in Giovanna de Guzman e trasferendo l’azione dalla Sicilia del 1282 al Portogallo del 1640,
versione circolata in Italia dal 1856 sino all’unificazione della penisola del 1861, anno
in cui l’opera potè essere finalmente rappresentata nella sua versione originale tradotta.
La relazione intende illustrare le diverse interpretazioni della guerra del Vespro in Italia
che concorsero alla definizione di un’unica chiave di lettura del fatto storico in chiave
risorgimentale, punto di partenza per gli scenografi dell’Ottocento. Da qui il percorso
proseguirà illustrando più da vicino l’iconografia dell’opera, dalla Giovanna de Guzman a I
Vespri Siciliani: dalle scene e costumi di Filippo Peroni per il Teatro alla Scala di Milano, a
Giuseppe Bertoja per il Teatro alla Fenice di Venezia, a Romolo Liverani per i Teatri delle
Marche, per approdare agli allestimenti della versione originale di Carlo Ferrario per La
Scala nel 1876 e di Ferdinando Manzini per il Teatro Comunale di Modena nel 1880.
• Gregor Kokorz (Kommission für Musikforschung Österreichische Akademie der
Wissenschaften, Vienna)
Verdi contra Lickl – Opera and National Identity in Trieste 1848
The paper will address the question of music and Italian national identity in the context
of the 1848 revolution in Trieste, focusing on two main operatic productions which
were premiered in the city’s Teatro Grande that very year: Ägidius Lickl’s La disfida
di Barletta and Giuseppe Verdi’s Il Corsaro. A keen look at these two operas – taking
into consideration both production and reception – will serve as prism to focus on the
contribution of opera to the political discourse and to the formation of national identity
in a culturally pluralistic environment at the periphery characterized by the ‘convivenza’ of
several ethnic groups. The 1848 revolution can be interpreted as the first important rupture
of the multicultural identity of the Hapsburg Empire, which was brought to a crisis by the
new and fast rising paradigm of ‘nation’. Even though it has never being considered a hot
spot of the revolution, Trieste’s identity was at stake precisely because of its ethnically and
culturally diverse population and the growing internal necessity of reshaping its identity
in the light of the new paradigm. Whereas other cities were dominated by insurgency and
military reaction, culture (particularly represented by language and music) became the
major battleground for the formation of Trieste’s new national identity/identities. In this
specific context, the theatre as one of the major public places of Trieste´s Italian speaking
bourgeoisie enters the political sphere and becomes part of expressing and constructing
the city’s ‘italianità’. How this politicization of culture takes place against a predominant
purely aesthetic understanding of music will be one of the major topics analysized. Both
operas indeed have a strong connection to the political events of 1848. Even though it
was premiered in February, Lickl’s La disfida di Barletta played an important role during
the days of the March revolution in Trieste, while the premiere of Verdi’s Il Corsaro on
the 25th of October fell on the eve of the military occupation of Vienna, where political
authorities had lost control over the capital since the revolution restarted at the beginning
of the month. By introducing a comparison between these two operatic productions, the
paper hopes to broaden the discourse on the opera in the Risorgimento, which in the
past has been limited to the big names. Shading light on operas such as Lickl’s Disfida di
Barletta, based on Massimo d’Azeglio popular novel of the 1830s, can help to come to
a more detailed understanding of the relation between politics and music in this crucial
period. Moreover, framing Verdi’s 1848 production in the musical and political context of
Trieste adds indeed a new facet to the controversial discourse about Verdi’s political role.
Finally, as it focuses on Trieste, the paper offers the opportunity to discuss the importance
of the periphery for the 19th century production of national identity.
• Marina Mayrhofer (Università di Napoli “Federico ii”)
Citazioni verdiane e coscienza storica del Risorgimento in due film di Luchino
Visconti: «Senso» e «Il Gattopardo»
La misura in cui le melodie verdiane seppero emotivamente suscitare il senso d’identità
nazionale in coloro che vissero di persona gli anni della più forte esaltazione patriottica
risorgimentale è stata ed è argomento di discussioni critiche (ad es., in Verdi 2001,
i contributi di M. Sawall, G. Procacci. L. Bianconi, S. Castelvecchi, J. Rosselli). Un
retaggio di questa recezione, maturata in una fase storica in corso di svolgimento fino al
fatidico 1861, è tuttavia riconoscibile, nel secolo successivo, in alcuni prodotti dell’arte
nuova che in Italia, tra le due guerre e negli anni critici che seguirono a esse, andò
affermandosi, in modo esemplare e secondo specifiche modalità stilistiche, nei contributi
di alcuni registi. Nel cinema di Luchino Visconti la musica ha ruolo determinante, perché
arriva a incidere sulla stessa struttura e sul ritmo narrativo delle pellicole. Ne fanno fede,
oltre la diretta testimonianza del maestro, alcuni saggi (G. Poggi, F. Korte, N. Premuda)
dedicati a un tema che merita d’esser esplorato in molteplici direzioni. La rivisitazione
del Risorgimento, come tesi da sviluppare sugli scenari del periodo appena precedente
il conseguimento dell’unità, trova spazio in due film che il regista realizzò, traendone i
soggetti da altrettante opere letterarie, una novella di Boito e il romanzo di Tomasi di
Lampedusa. In Senso (1954) e Il Gattopardo (1963), le colonne sonore presentano, in
alcuni luoghi, citazioni desunte da opere di Verdi. Sono scelte funzionali all’articolazione
di drammaturgie che, attraverso quelle musiche, ripropongono un’epoca in cui il sentire
collettivo si rispecchiò nel melodramma e, attraverso esso, coltivò passioni e adottò
comportamenti. Visconti inquadra la prima sequenza di Senso nel Teatro La Fenice
di Venezia in cui si sta rappresentando Il Trovatore. Queste immagini iniziali offrono
la chiave di lettura di tutto il film: sentimenti d’amore e slanci eroici si producono
conflittualmente in palcoscenico, così come nella vita della protagonista passioni e ideali
patriottici naufragheranno in un tragico destino. A scandire le fasi della rovina morale di
Livia Serpieri, le note della Sinfonia n. 7 di Bruckner segneranno un netto contrasto con
il clima sonoro iniziale. Per Il Gattopardo è ancora la musica di Verdi – un valzer inedito
– a far da sfondo alla scena più importante del film: il principe danza con Angelica e il
ritmo travolgente della melodia diventa metafora di un divenire inarrestabile, memoria
storica di un’epoca in cui ai nobili non resta che cedere il passo ai nuovi ricchi. Ma
due altre citazioni, da La Traviata, sono inserite in scene precedenti. L’impressione che
producono, nel contesto in cui sono immesse, segnala un’alterazione dei significati più
autentici dell’opera, unitamente al tempo trascorso dalla sua prima esecuzione. L’indagine
che s’intende proporre si baserà, principalmente, sul raffronto tra scrittura musicale e
immagini, per analizzare, attraverso l’interrelazione di questi due parametri, il ‘discorso
sul Risorgimento’ che il grande regista modula con il supporto della musica di Verdi.
• Giuseppe Montemagno (Catania)
«Gridando: lealtà!» Una stagione risorgimentale al Teatro Comunale di Catania
La sera del 17 febbraio 1848, al termine di una giornata storica per la città di Catania,
quella della liberazione dalle truppe borboniche, «piantato lo stendardo tricolore
sulle mura formidabili del Castello Ursino», la cittadinanza, dopo aver reso «grazie
all’Altissimo», si recò al Teatro Comunale. Ad accogliere Ernani di Verdi fu tutto «un
agitar di fazzoletti, uno sventolar di bandiere, un luccicar di brandi», finché il Finale iii,
trasformato in un inno in onore di Pio ix, venne eseguito da tutto il pubblico, desideroso
di esprimere «la gioja di un popolo che rompe le sue catene». Esito trionfale riscossero
pure I Puritani, eseguiti la sera del 25 marzo per celebrare l’insediamento, a Palermo, del
General Parlamento di Sicilia, con carattere costituente, nato per dare un nuovo assetto
politico-amministrativo all’isola. Nei «fervidi petti dei Catanesi», l’esecuzione dell’opera
belliniana venne accolta «con grandissimo entusiasmo», e il duetto dei due bassi, «Suoni
la tromba e intrepido», fu ripetuto tre volte «fra il cozzare di mille e mille acciari».
Inaugurata il 18 novembre 1847 con Il proscritto ossia Il corsaro di Venezia, la stagione
lirica promossa dall’impresario Cesare Tornambene contribuì a fare del Teatro Comunale
di Catania, inaugurato nel 1821, un tassello centrale nello strutturarsi ottocentesco dello
spazio urbano, moderna agorà di un idem sentire dove manifestare nuove prospettive di
partecipazione politica. Il precipitare degli eventi, sin dagli inizi del 1848, aveva fatto
del teatro lirico etneo il contraltare laico di celebrazioni intensamente vissute, che la
stampa coeva – soprattutto quella democratica, a cominciare da L’amico del popolo –
registrava con interesse ed entusiasmo. Dal racconto delle serate, in filigrana, è possibile
scorgere i nuovi – precari – equilibri che i moti del Quarantotto instaurano in Sicilia, a
cominciare dalla singolare intesa con la rappresentanza diplomatica e militare britannica,
venuta a sostenere la rivolta contro Napoli. Vedette incontrastata della stagione, il soprano
Elisabetta Parepa Archibugi, «nata inglese ma educata al bel sole italiano», diventerà
simbolo della amicizia anglo-siciliana. Lo studio della stagione 1847-1848 del Comunale
di Catania, eco puntuale e fedele degli accadimenti storici dell’epoca, è interessante anche
sotto il profilo musicologico, perché consente di approfondire la storia della ricezione
di Ernani e I Puritani alla luce di quei falsi – per usare la definizione di Fabrizio Della
Seta – imposti dalla censura borbonica. L’opera verdiana, infatti, era stata presentata
al pubblico etneo dapprima come Elvira d’Aragona, nel 1845, ma in questa veste era
subito entrata nel novero delle Opere teatrali proibite, il cui elenco si conserva nei fondi
dell’Archivio di Stato di Catania. Solo a seguito del debutto parigino dell’opera, Ernani
era stato autorizzato nel Regno delle Due Sicilie nel 1847 come Il proscritto ossia Il corsaro
di Venezia, versione che proprio nella stagione 1847-1848 aveva debuttato a Catania.
Sorte non dissimile era toccata ai Puritani, che Palermo aveva visto sin dal 1835 come
Elvira ed Arturo, ma che a Catania sarebbe approdata quattro anni più tardi, in una
versione emendata che avrebbe restituito al pubblico quel «soffio di cielo» spirato in terra
grazie alla «celeste» melodia belliniana.
• Joseph E. Morgan (New England Conservatory)
Nationalism and the Italian Style in Nineteenth-Century German Opera
In 1817, Carl Maria von Weber set French and Italian operatic music apart from that of
Germany through both a cosmopolitan ideal and an effort towards autonomy: «Both the
Italians and French have evolved a form of opera in which they move freely and naturally.
This is not true of the Germans, whose peculiarity it has been to adopt what seems best in
other schools, after much study and steady development: but the matter goes deeper with
them. Whereas other nations concern themselves chiefly with the sensuous satisfaction of
isolated moments, the German demands a self-sufficient work of art, in which all the parts
make up a beautiful and unified whole» (Carl Maria von Weber, Writings on Music, New
York, Cambridge University Press, 1981, pp. 206-207). In his unfinished autobiography,
Weber also ascribed the autonomous ‘self-sufficient’ work to the French, leaving Germany
with one idiosyncratic characteristic – the cosmopolitan ideal. During the next three
decades, this ideal evolved into the insularist myth of German Universalism. By tracing
the appearance and reception of the Italian style in works by German composers; my paper
reveals the process by which this evolution from a cosmopolitan ideal to universalist myth
was achieved. Through a close reading of Weber’s writings and an analysis of his music,
the discussion begins by demonstrating Weber’s cosmopolitan ideal and his references
to the Italian style in his music. This is followed by a discussion of the controversy in
Dresden’s popular press concerning Giacomo Meyerbeer’s Italian opera Emma di Resburgo,
and his German opera Wirth und Gast which were both produced there in the same week
in 1820. This discussion demonstrates that Weber’s criticism of Meyerbeer’s Italian operas
was based not on the apparent influence of an Italian style in his work, but because of
his perception that Emma di Resburgo lacked any other influence. This is to be contrasted
with the ‘pro-Italian’ German critics who argued that Meyerbeer’s Italian works lacked
originality, stating that Meyerbeer has «…stolen Rossini’s happiest ideas». This part of the
discussion is supported by a brief comparative analysis of Meyerbeer’s Cavatina «Nur in der
Dämmerung Stille» from Wirth und Gast and his Cavatina from Emma di Resburgo titled
«Di gioja, di pace». Finally my paper turns to the speech that Richard Wagner gave at his
celebration of the return of Weber’s remains from their original resting place in London to
their final destination in Dresden in 1844. In this speech Wagner, despite the overt foreign
influence in his own compositional style, shifted the construction of German identity to an
insular conception and positioned Weber a champion of this conception, contrasted with
Meyerbeer, who Wagner described as «…one of those chill seekers after fame, who own no
fatherland, to whom that plot of earth is dearest where ambition finds the rankest soil in
which to thrive». Thus, my paper is a study of Nineteenth-Century Opera and Patriotism as
revealed by the reception of the Italian style within early Romantic German works.
• Renato Ricco (Università di Salerno)
«La musica è la fede d’un mondo di cui la poesia non è che l’alta filosofia»: presupposti
storici e finalità sociali de La filosofia della musica di Giuseppe Mazzini (1836)
La relazione mira sia a fornire un’adeguata contestualizzazione storico-artistica del saggio
mazziniano sia a sviscerarne le principali finalità sociali. Per il primo aspetto saranno
analizzate le relazioni vigenti con altri scritti dello stesso autore (Fede e avvenire, scritto un
anno prima de La filosofia della musica, Byron e Goethe [1840], ma anche alcuni passaggi
de I protocolli de La Giovine Italia e di diverse missive): particolare attenzione verrà data
ai rapporti di analogia e/o differenza con una serie di trattati, relativi a problematiche
drammaturgiche e musicali, scritti da Jacopo Martello, Gian Rinaldo Carli, Andrea Mayer,
Saverio Mattei, Antonio Planelli, Pietro Verri e Pietro Metastasio. Per il secondo aspetto,
dopo aver messo in luce interessanti elementi in comune con alcuni scritti di Liszt (De la
situation des artistes, et de leur condition dans la société [1833], Lettre d’un bachelier ès musique
[1837]) specie in riferimento alle teorie sansimoniste, si cercheranno di comprendere le
regioni delle aspre critiche mazziniane nei confronti della categoria degli ‘improvvisatori’,
unitamente ai pareri espressi su vari protagonisti del melodramma italiano e europeo.
• Victor Sánchez Sánchez (Universidad Complutense de Madrid)
Nabucco senza Risorgimento. Il furore verdiano in Spagna
Nel 1844 la musica di Verdi irrompe con forza nei teatri operistici spagnoli, causando un
autentico furore tra il pubblico. A Madrid, Barcellona, Cadice o Valencia si eseguono, in pochi
mesi, Nabucco, I Lombardi ed Ernani, ai quali seguiranno con regolarità altri successi. Verdi
si configura così come la grande figura del panorama operistico in Spagna. Nonostante la
storiografia verdiana abbia associato queste prime opere con il Risorgimento, fuori dall’Italia
il contesto era molto differente. Il successo delle opere di Verdi risiedeva nella forza musicale
mentre gli elementi patriottici passavano inosservati. A tale proposito risulta significativa
l’assenza di qualsiasi riferimento al famoso coro «Va pensiero». Attraverso l’analisi delle
cronache coeve pubblicate nei periodici spagnoli, si intende riflettere sul contesto storicomusicale spagnolo nel quale si innestarono i primi successi di Verdi tra il 1844 e il 1850.
Gli spettacoli operistici in Spagna, che godevano di una grande tradizione, erano promossi
dall’aristocrazia che poteva vantare figure quali il Marchese di Salamanca o la stessa famiglia
reale. L’assenza di un sentimento nazionalista indirizzò l’interesse del pubblico sugli aspetti
formali e sociali dell’opera, non lasciando spazio agli elementi ideologici.
• Giuseppe Tumminello (Università di Parma)
La patria come nostalgia di una moderna cittadinanza comune. Musica come religione
popolare unitaria
Come noto, la musica è uno straordinario medium comunicativo di emozioni e sentimenti,
personali e collettivi. Essa è stata, pertanto, una protagonista della formazione della nostra
coscienza risorgimentale. Proprio per questo, alla luce del secolo e mezzo di storia patria
che il nostro paese ha attraversato, dall’Ottocento al Novecento, sino alla svolta dell’anno
2000, il nuovo processo di globalizzazione sembra imporci di tornare a chiarire la natura
profonda del legame patrio originario, fra atavismo e patriottismo civile. Il genio verdiano
può aiutarci in questo compito odierno.
• Chloe Valenti (University of Cambridge)
Adulation and Appropriation: Verdi’s Political Image in 1860s England
The popular portrayal of Verdi as a political composer has been much debated in Verdi
scholarship, yet little work has been focused on the role of critics from outside Italy
in the creation and dissemination of Verdi’s image as the ‘bard of the Risorgimento’.
This paper seeks to address this by exploring changing perceptions of Verdi in England
in the late 1850s and 1860s, focusing on how a number of factors in this period
came together to create a politicised understanding of Verdi in the minds of English
critics, an image they then helped to propagate further. While news of Verdi’s election
to the Italian senate formed the foundations of his new, ‘political’ image, one factor
unique to England notably affected the English understanding of Verdi: the visit of
Garibaldi in 1864. Not only was this a climactic point in England’s longstanding
fascination (and involvement) with Italian politics and culture, it was a moment when
politics and theatre mixed on a level not previously seen in England, particularly
during Garibaldi’s visits to the London opera houses. These events created a shift in the
minds of English critics who, just twenty years earlier, had been deeply sceptical of any
association between politics and opera. The increasing receptiveness of English critics
to the association encouraged them further in their depiction of Verdi as a political
composer. They referred to the ‘Viva V.E.R.D.I.’ acrostic repeatedly during the 1860s,
augmenting its significance far beyond its original, short-lived appearance in late 1850s
Italy. Furthermore, while Verdi was still a controversial figure in the English press,
English critics responded to his position as the foremost Italian composer of his day
by looking back on his early works and rewriting his career from their new political
perspective, thus further encouraging the formation and dissemination of Verdi’s nowfamiliar political image.
• Francesca Vella (King’s College, London)
Verdi and Politics: The Case of 1859
My paper examines the historical-cultural context in which the acrostic ‘Viva VERDI’
first became popular, albeit for a brief period of time, in the months preceding Italy’s
second war of independence, in 1859. It does so with the aim of understanding further
the resonances on Verdi’s political persona of the slogan and its dissemination. Drawing
on accounts from both the foreign and domestic press, as well as on previous research by
Michael Sawall, I address the subtle changes in meaning that the acrostic, first reported
in newspapers in December 1858, underwent during subsequent months in northern
Italy. My principal argument is that the slogan started life as little more than a fortuitous
correspondence (‘V.E.R.D.I.’ standing for ‘Vittorio Emanuele Re D’Italia’), and was
by no means intended or received as an indication that Verdi’s operas were particularly
relevant politically. Rather, the cry expressed the increased popularity achieved by the
Piedmontese monarch in the northern part of the peninsula, and served as a tool for
enhancing a sense of community among the Italian population in the flow of events that
led to war. However, a further important factor is that the period of the acrostic’s greatest
popularity was immediately followed by a phase in Verdi’s life which saw his increasing
commitment to philanthropic work and engagement in politics. This combination of
circumstances, as well as the changing needs of the Italian population as the war broke
out, may be responsible for subtle changes in the way the cry started to be understood
from late 1859 onwards. Verdi’s early works were not, during this period, taken as any
more deeply ‘patriotic’ than those of other Italian composers (the vogue for Bellini’s
Norma, particularly the chorus «Guerra, guerra!», was much greater than for any Verdi
opera). However, the gradual emergence of a political aura around ‘the man’ Verdi might
be what ultimately led to the elevation of his early operas as symbols of Italy’s patriotic
activity and to his construction as a ‘political composer’.
ORGANIZZATO DA
Comune di Pistoia
IN COLLABORAZIONE CON
Amici di Groppoli
CON IL PATROCINIO DI
Provincia di Pistoia
CON IL CONTRIBUTO DI
Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini
www.luigiboccherini.org
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