Cibo, salute, Dio e… luganeghe Canti di questua del periodo natalizio nell’area provinciale bellunese in relazione ai Sacri canti della raccolta Michi, con annotazioni sulla parallela presenza dei medesimi canti nelle comunità di origine triveneta residenti nel sud del Brasile Gian Luigi Secco 1. Canti e riti di Questua nel bellunese Il rito della questua è da considerare una delle più rappresentative espressioni della religiosità popolare calata nel sociale. In un periodo, quello invernale, dedicato popolarmente all'auspicio della fertilità, dominano i simboli del dono e del cibo abbinati alla gioventù. I protagonisti di tali avvenimenti, nella provincia di Belluno, erano, un tempo, prevalentemente, i maschi. I dati raccolti sembrano identificarli in tre gruppi fondamentali in ragione dell’età. Il primo gruppo è quello dei bambini (fino alla pubertà); il secondo quello dei giovani fino all’età della coscrizione, il terzo quello dei coscritti, affiancati eventualmente dai coscritti anziani celibi. Con modalità diversa a seconda dell’occasione, i questuanti, nella vigilia delle feste o nelle giornate più significative, se ne andavano di casa in casa ad augurare salute e abbondanza per l’avvenire, raccogliendo offerte in natura (uova, farina, burro, lardo, ricotta) con cui poi si realizzava una marenda (pranzo o cena) in comune. Le pietanze comunemente consumate erano gnocchi o lasagnine da condire con burro fuso e ricotta o frittate e, talvolta, dei piccoli dolci. Le questue dei bambini erano mattutine o pomeridiane, quelle dei giovanotti, prevalentemente serali. In ogni caso il gesto esprimeva la potenzialità dei suoi rappresentanti: l’innocenza e il divenire dei bambini 1, la forza dei giovani presto nuovi protagonisti e responsabili del so- 1mmAll’interno della famiglia, con un significato propiziatorio similare nel senso, per mano di uno specifico Santo protettore, si facevano arrivare, altrimenti, doni ai più piccini (agli innocenti che credevano in ciò). Nella tradizione veneta, viva ancor oggi, i benefattori protagonisti, a seconda delle zone di influenza, sono San Nicola e Santa Lucia. Recentemente, per confusione consumistica, si sono inseriti altri nuovi miti come Babbo Natale equivalente al Santa Klaus nordico (è San Nicolaus che si festeggia a fine dicembre) e persino la Befana, un tempo anche “Redò∫ega, vècia Marantega Donàza o Donàcia”, strega maligna e assai poco benevola, almeno nella credenza più popolare della montagna veneta del nord-est. 159 stegno vitale alla comunità. La potenza latente della gioventù, ancora inespressa e pertanto intatta, motivava il riconoscimento dell’augurio e la sua accettazione comune tanto che i casi di rifiuto, da parte dei visitati, erano davvero rari. Le principali questue rilevate nella zona in oggetto sono quelle di San Martino (nell’Agordino e nel Bellunese, da parte dei bambini), Natale, Capodanno, Epifania, fine Carnevale, Mezza Quaresima, con accenni anche nei periodi estremi come ai Morti, all’Ascensione, alla vigilia di San Giovanni 2. Al giorno d’oggi esse persistono debolmente solo in alcuni ambienti paesani di montagna, anche se si segnalano tentativi di recupero della tradizione. Le questue, che pure mostrano un evidente contenuto ‘pagano’, risultano spesso collegate agli avvenimenti del calendario liturgico cristiano ma non è facile datare tale abbinamento né, a livello locale, si sono finora trovati precisi riferimenti in merito. 2. Nella moltitudine dei segni Nell’esaminare il complesso delle manifestazioni tradizionali ci si trova, infatti, continuamente di fronte ad elementi arcaici pagani vestiti con elementi cristiani che coincidono nell’esemplarità dei segni e ciò, nel nostro mondo occidentale, per voluta integrazione con la percezione religiosa precedente. A partire dal quarto secolo la Chiesa cristiana assorbì infatti la festa delle divinità supreme del paganesimo (dies natalis solis invicti) trasformandola nella celebrazione della nascita di Cristo, luce e vita del mondo. Elementi di religiosità personale e di religione ufficiale sono sempre convissuti, nonostante i ripetuti interventi delle chiese costituite, tesi nel tempo e in diversi modi, a ricondurre le manifestazioni “spontanee” popolari negli alvei ortodossi. Una parte notevole di queste manifestazioni era orientata a cercare garanzie per la continuità della vita in un ambito agricolo che coinvolgeva la stragrande maggioranza della popolazione. La dipendenza diretta e immediata della sopravvivenza dal rapporto con la natura sembra motivare molti degli atteggiamenti in questione. Il momento più adatto a questa dedizione è quello inverna- 2mmCfr. Secco, G. Mata: la tradizione popolare e gli straordinari personaggi dei carnevali arcaici delle montagne venete, Neri Pozza, 2001, (in fase di edizione). 160 le (da novembre in poi) non solo perché consente un maggior tempo di riflessione e dedizione (per la sospensione dei lavori agricoli) ma perché il ciclo produttivo precedente si è concluso ed anche la natura pare sospesa, in attesa di riprendere, di rinnovarsi. L’uomo sente allora la necessità di partecipare alla nuova tensione affinché, con l’aiuto soprannaturale, l’esito della rinascita sia il più proficuo possibile. A scandire i passi verso questo rinnovamento è la rivoluzione degli astri cadenzata dal calendario dei santi, la cui protezione funzionale è espressa in molti detti popolari, anche se non sempre viaggianti in perfetta sincronia. Il solstizio invernale è una delle due porte del cielo e consente di intravvedere il tempo crescente; agli antipodi, l’altra porta del tempo (solstizio d’estate), quello discendente, è dominata dalla figura di San Giovanni Battista. In prossimità delle porte del cielo, poco prima o poco dopo, è possibile cercare e individuare i segni premonitori dell’andamento meteorologico futuro e non solo di quello. I giorni endegari, cioè indicatori, stanno all’interno delle calende, periodi di 12 giorni che individuano progressivamente i mesi dell’anno di cui rispecchieranno l’andamento. Ad ogni calenda (o calendra) ne può seguire una seconda (impropria) con scopo di verifica, in cui l’ordine dei mesi viene considerato invertito. La concordanza d’esito dei segni sul mese è indicativo di certa previsione. Se si considerano i tre cicli di calende (13-25 dicembre; 25 dicembre-6 gennaio; 1-12 gennaio) e le loro estensioni di verifica (altri dodici giorni in ogni caso), relazionandole ai proverbi popolari sui Santi, si comprende meglio il senso globale delle previsioni. Nei giorni chiave delle calende si fanno anche i pronostici personali che spesso riguardano aspettative amorose, oltre che la salute, la fortuna e, consuetamente l’abbondanza di cibo. Il rito tende a verificare le probabilità di successo dell’auspicio nell’arco dei mesi a venire. Perciò nelle dodici notti delle calende si ottengono risposte ai quesiti cari potendo interpretare, di primo mattino, la posizione assunta dalla chiara d’uovo versata in un bicchier d’acqua la sera prima oppure il risultato estetico di una goccia di piombo fuso lasciata cadere nell’acqua. Ai segni celesti di rivoluzione si accompagna la fantasmagorica interpretazione popolare di un passato esausto che stenta ad andarsene, personificato dalla vecchia strega, la redò∫ega, maràntega, befana e dai suoi dodici figli, i redode∫egot (i mesi dell’anno) su cui sembrano concentrate le forze del male per cancellare il quale si usano i fuochi di purificazione che servono nel contempo ad eliminare i pochi scarti di casa e dei campi e a richiamare con forza la luce. Di seguito, con riti d’acqua, si pu161 rificano e benedicono le cose predisponendole al nuovo ciclo (la casa, gli alberi, gli angoli dei campi, gli incroci delle vie ecc.). La nascita di Gesù, luce della speranza umana, fatta cadere nel periodo solstiziale, rappresenta la nuova chiave spirituale di lettura della porta del cielo e si inserisce in modo perfetto nel mondo di segni più antichi; così pure la festa dell’Epifania legata, secondo la chiesa romana, all’arrivo dei Magi a Betlemme. Nei primi due secoli del cristianesimo le due feste sostanzialmente coincidevano e la loro separazione è attribuita, da molti studiosi, a papa Giulio I, nell’anno 354; così il 6 gennaio divenne in Oriente festa destinata a celebrare il battesimo di Gesù (Epifania orientale) mentre in Occidente fu dedicata all’adorazione dei Magi (Epifania occidentale). Questa separazione tornerà di attualità undici secoli dopo, all’epoca della Riforma, influenzando, e si vedrà poi come, lo sviluppo di una particolare forma di religiosità popolare legata ai riti di questua e a particolari canti sacri, tra cui molti ispirati alla saga dei Re Magi. 3. Cibo e questua L’elemento augurale basilare, utilizzato per rappresentare la richiesta di continuità e prosperità, è il cibo. Non vi è festa “religiosa” o vigilia, da noi, che non lo trovi al centro dei propri riti: per i morti, i dolci (a forma di fava o d’ossa), minestre di fave o fagioli (la cui forma embrionale preconizza la rinascita), polentine bigie come la tòiba zoldana (fatta di grano saraceno e fave); per San Martino l’oca arrosto e i Sanmartini in bozolà forte (dolcetti a forma del santo a cavallo), le castagne e il vino; a Natale i bìgoi in saór, le trippe in bianco e i s-ciós co la bi∫ata (chiocciole con l’anguilla); a Capodanno il maiale; la pinza e la gallina per l’Epifania; i cróstoli, le frittelle e l’agnello per carnevale. L’oggetto dell’auspicio per essere valido presuppone la condivisione e, possibilmente, la distribuzione del bene a tutti, specie ai non abbienti. Il dono del cibo è l’aspettativa fondamentale dei riti di questua che intenzionalmente sottolineano questa speranza attribuendole o abbinandola ad un valore sacrale. Nel Bellunese abbiamo testimonianza precisa sulle questue auspicatorie di capodanno e dell’Epifania attraverso gli scritti poetici dialettali del notaio bellunese Bartolomeo Cavassico, che ci dà una precisa descrizione dei contenuti e delle modalità dei riti in voga in città ai primi del ’500: la bonaman, per capodanno e il pa162 nevin per l’Epifania, entrambi ancora superstiti, pur se rarefatti nella tradizione locale. Nel componimento intitolato Dio te dae l bondì, la bonaman del Cavassico è precisamente ricordata nell’augurio, anche se non risultano evidenziate le frasi di richiesta. Ancor oggi i questuanti si presentano alle porte, di buon’ora al mattino del capodanno, augurando Bondì, bon an, e a mi la bonaman (Belluno) o canticchiando Bon an, bon dì e la bonaman a mi (Cadore); Bon an, bon dì e la bambona a mi (Alto Agordino, Laste) o Bon dì, bon ano; bon tenp, bon forment; bone feste, bone minestre; boni caponi … auguri a i paroni! (Alpago) Bondì, bon ano, na giupa de pano, botoni de ardento, bon pan de formento; lugànega e vin, par al San Martin; pan e lat par la papa a i to∫at; ont, formai e fa∫ói par i parói; la polenta su l fondal: viva viva carneval! (Belluno). Le padrone di casa sperano che i questuanti siano i primi ospiti del giorno poiché certamente maschi e quindi portatori del segno di fertilità. La vista del maschio augurale è d’altronde consueta in molte altre circostanze in cui vi sia la tensione al concetto di rinnovo o ripresa (es. il primo incontro fuori casa della puerpera). Riportiamo di seguito anche una versione della bonaman raccolta in Brasile da discendenti di origine nostrana che ne canticchiano tuttora una versione par talian, il dialetto d’origine veneta usato ancora come lingua familiare da migliaia di persone discendenti dei nostri emigrati di fine Ottocento. La località di raccolta è Cerquilho, nello Stato di Sao Paulo (Soccol Solange S.-Secco G. 1998). Le famiglie che lo cantano portano i cognomi De Nadai, Dorighello, Grando, Gaioto e Reginato. Bonin bonan, bon capo de l an! Siora parona, me véndela la pitona? Ben ben, vegnarò anca sto ano che vien; vegnarò co la cariola, a menar via la vostra fiola; vegnarò col cariolón, a menar via l vostro parón. Se me darè sinquanta, me impieniso la pansa; se me darè du∫ento, andarò via pì contento. Bonan bonan, co la sacheta in man, co l agneleto rosto, el pan sensa la grosta: lo magnaria anca mi! Na borsa de oro, e na borsa de argento … démene sinque schèi che me contento! 163 Bartolomeo Cavassico, notaio bellunese ODE LXXII (cfr. Salvioni C. 1894:269, 272) DIO TE DIA EL BON DI Dio te dia el bon dì, el bon mes, el bon an, e po’ una buona man, da meter coca; Dio Ti dia il buongiorno, il buon mese, il buon anno, e un aiuto a metter chioccia; Da Ognisènt un’oca, da Sen Martin un porcel, da Carnaval un agnèl bon e ben gras; Per Ognissanti un’oca, per San Martino un maiale, per Carnevale un agnello buono e ben grasso; E po’ la sènta pas si sia con ti a ogn’ora con una rustióra de castegne; E poi la santa pace sia con te ad ogni ora con una padellata di castagne; Bon fuoc e bone legne, bon star e bon zir bon let da dormir, coltrà e lenzuò. Buon fuoco e buona legna, buon restare e buon viaggiare, buon letto da dormire, coltri e lenzuola. Le fede, cavre e buò, Crist le guarde da mal; le galline col gal e i gattolin. Pecore, capre e buoi, Cristo le preservi dai malanni; (anche) le galline col gallo ed i pulcini. Bon pan e bon vin, ben vestida e [mié] calzada, sanità parechiada e puoc fastilli; Buon pane e buon vino, buoni vestiti e migliori scarpe, salute preparata e pochi fastidi; De ducat die∫e milli, de soldin [u]na caretta, né de sòlt de debetta con nigum; Diecimila ducati, una carretta di soldi, né debiti in denaro con nessuno; Biè guardar, [e] biè costum, con la zent[e] puoche zanze, e bone alnoranze sora el tut; Belli sguardi, bei modi, con la gente poche chiacchiere, e grandi regali, soprattutto; 164 Né pantan, ne trop sut; cusì, la via de mez... e un bon carnier de bez da tuor salata... Né pantano, né troppo asciutto; così, una via di mezzo, e una buona borsa di soldi, per comprar l’insalata... e una buona pignata da cuo∫er carne e zòzol; e de istà un bel garofol de quei ros! e una buona pignatta per cuocere carne e ciccioli; e d’estate un bel garofano di quelli rossi! Méi, pome, pere e nós, gnochi, la∫agne e cassoncié, miel da far gnoc[hi], tortiéi con uva seca... Miglio, mele, pere e noci, gnocchi, lasagne e cassoncelli, miele per condire i maccheroni, tortelli con l’uva passa; Sanità senza pèca, vestida con onor, e sempre un bel color sul vis e santi; Salute senza fallo, portata con dignità e sempre un bel colore sopra il viso; E una roca de tanti vo’ che file [a] so posta; e del pan senza crosta da far soppa... E una rocca di tanti vorrei filasse da sola; e del pane senza crosta, da inzuppare. Fil, tela, lin e stoppa, lat, ∫malz e formai da Carnaval di bai e da Pasqua de i vof; Filo, tela, lino e stoppa, latte, burro e formaggio a Carnevale dei balli e a Pasqua delle uova; Ogni cosa da nuof, ma non rogna, né stiza, ma si ben una pliza per [l] invèr... Ogni cosa rinnovata, ma non preoccupazioni o arrabbiature, ma invece una pelliccia per l’inverno; Zòcoi, scarpe e cu∫liér e tole co[n u]na balla; un cortel, [un ces] e una scalla da vendema; Zoccoli, scarpe e calzascarpe e letto con scaldino (o con pagliericcio); un coltello, un cesto e una scala per la vendemmia; Un bon cuor senza tema, con una ciera aliegra e [u]na gorgiera negra alla gonella; Un buon cuore senza paura, con un’aria spensierata ed un bell’orlo nero alla gonnella; 165 Forfe, dedal, gu∫ella, zòi, dàlmede e scarpet e po’ [u]n bel zovenet… che utu pì? Forbice, ditale ed ago, gioielli, zoccoli e scarpette di panno e poi un bel giovanetto... che vuoi di più? Dio te dia el bon dì! Dio ti dia il buon giorno! 4. Panevin e questua dell’Epifania Per quanto riguarda il panevin, il rito è rimasto radicato nell’area bellunese e, soprattutto, in quella trevigiana (panevin, panaìn, rièl, copedèl, fogheràta, buberàta), come pure nell’area veronese e vicentina col brugnelo e friulana col pignarul, dove ha raccolto, successivamente e parzialmente, l’influsso di altri riti simili, specialmente quello riferito al culto dei Re Magi o della Stella. Le poesie dedicate al rito della questua epifanica dal Cavassico sono più d’una e credo valga la pena di riportarle, a partire proprio da quella in cui il panevin risulta più volte citato prevedendo, con probabilità, una partecipazione corale degli astanti alla declamazione della strofetta ripetitiva pan e vin a sti pitoch, dàme zòzol e un baldón. Il codice autografo del Cavassico si trova presso la Biblioteca Civica di Belluno e l’incartamento riporta la canzone citata alla carta 181. Il termine pan e vin (pane e vino) esemplifica la tensione al cibo attraverso i suoi prodotti più preziosi e sacri (le specie divine) per cui la stessa denominazione parrebbe colta dalla religione cristiana. In montagna i fuochi si chiamano più arcaicamente Pagarùoi o Favarùoi (Zoldano e Agordino), Pearvò (in Ampezzo) con riferimento alla fava, legume portante dell’economia domestica (sostitutivo, una volta macinato, o integrativo, del frumento per fare il pane). Le poesie successive sono tratte dal volume Le rime di Bartolomeo Cavassico, curato da Carlo Salvioni ed edito a Bologna nel 1849 (vol. II). I componimenti risalgono ai primi del ’500 (1508-1515 circa) e, visti nella loro globalità, ci consentono di fare interessanti considerazioni sul tema delle questue dell’Epifania. 166 Bartolomeo Cavassico, notaio bellunese CANZON (data probabile 1510) PAN E VIN A STI PITOCH Pan e vin a sti pitoch, dame zòzol e un baldón, dame ancor un luganón, manda zo un cadin de gnoch. Pane e vino a questi poveretti, dammi ciccioli e un sanguinaccio, dammi anche un salsiccione, manda giù un catino di gnocchi! Pan e vin a sti pitoch, dame zòzol e un baldón. Pane e vino a questi poveretti, dammi ciccioli e un sanguinaccio, Manda zo a noi qualche zucha manda zo un pez de fumada vien a impì questa zucha, porta zo un cadin de jada, vien pur zo, sarai ba∫ada e farón noi tich e toch. Mandaci giù qualche zucca, manda giù un pezzo di carne affumicata; vieni a riempire questa fiasca (di zucca); porta giù un catino d’agliata. Vieni, dai, vieni che sarai baciata e balleremo assieme! Pan e vin a sti pitoch, dame zòzol e un baldón. Pane e vino a questi poveretti, dammi ciccioli e un sanguinaccio, Le formig(h)e là g(h)en nascha e magnar le possa i sorz, le to baffe e mala Pasqua si te vegna, che de orz tu me das pan che é de scorz e no g(h)en magnerà i loch. Ci nascano le formiche e le possano divorare i sorci le tue baffe; e la sfortuna ti venga poiché di scorze d’orzo ci dai pane che non mangerebbero neppure gli allocchi! Pan e vin a sti pitoch, dame zòzol e un baldón. Pane e vino a questi poveretti, dammi ciccioli e un sanguinaccio, Non me dar de la prim acqua, dame un può del to vin dolz, ch’ogni sas che cate incapa; da un può molzi la to vaca, manda zo n cadin de lat ché son stanch tant hei qua stat a cantar cum fa i pitoch. Non mi dare dell’acqua schietta, dammi un poco del tuo dolce vino che mi inciampi in ogni sasso; Poi mungi la tua mucca, manda giù un catino di latte che sono stanco d’essere stato qui tanto a cantare come fanno i poveretti! Pan e vin a sti pitoch, dame zòzol e un baldón, dame ancor un lunganon, manda zo un cadin de gnoch. Pane e vino a questi poveretti, dammi ciccioli e un sanguinaccio, dammi anche un salsiccione, manda giù un catino di gnocchi! 167 Bartolomeo Cavassico, notaio bellunese Anno 1509 ODE LII (cfr. Salvioni C. 1894:163, 164) FÉ LA BONA USANZA F[a]∫é la bona u∫anza, Misser Luvis Delfin: da∫éne pan e vin come se suol, Fate la “buona usanza”, Messer Luigi Delfin, dateci pane e vino come si suole. Fa∫é tirar el col a tre [o] quatro capón e qualche luganón da∫éne a près: Fate tirare il collo a tre, quattro capponi e qualche salsicciotto dateci assieme: Un agnel rost, un les, dolce misser gratios, magnific, ulios, ric e possént! Un agnello arrosto, uno lesso, dolce signore grazioso, magnifico, possente, ricco e potente. So che no stimà nient doi scàtol[e] de confèt, doi oche, un barilet [e] del vin negre; So che per Voi è niente... due scatole di confetti, due oche, un bariletto di vino nero; Schiantis, seràve liégre, se mandessà doi torte... se ghe n é pite morte, doi de quelle, Fulmini, sarei felice se mandaste due torte... se ci son galline cotte (morte), due di quelle... Zòzol e mortandelle, bozolà [e] marzapan: cussì na volta [a] l’an se suol far quest. ciccioli e sanguinacci, ciambelle e marzapane, così, una volta all’anno, si usa fare. Dolce misser alnest, da∫éne qualche nia, perché sta Epifania volon trunfar. Dolce Signore Onesto, dateci qualcosina, perché in questa Epifania vogliamo far baldoria (trionfare); Volon impir el car de qualche companà∫ec, e sie capon marzà∫ec e chilòn[e]ga. Vogliamo riempire il carro con qualche companatico e sei capponi marzolini o giù di lì. 168 Qualche mula bi∫lón[e]ga, m avis ne serà dat: sei che no darè imbrat, voi che sé ric. Qualche sanguinaccio bislungo credo ci sarà dato: sò che non ci metterete in imbarazzo voi che siete ricco. Misser bel magnific, mandà zo ben adéstre se son lassame estre [se] impiron [la] panza. Signore bello, Magnifico, mandate giù e in quantità, che finalmente ci riempiremo la pancia. Misser, fé [la] bona usanza. Signore, fate la “buona usanza”! Bartolomeo Cavassico, notaio bellunese ODE LI (cfr. Salvioni C. 1894: 161,162) MADONE, OMI DA BEN Madone, omi da ben, fa∫eve un puoc d’alnor, mandà zo al cantadór un pèz de baffa Madonne, uomini dabbene, fatevi un poco onore! mandate giù al cantore un pezzo di lardo da ùnzerne la zaffa; mandà tuti un capon, cum qualche luganón e qualche lonza! per ungere la gola; mandateci un cappone, con qualche salsiccione e qualche lonza. Deh, fìstola ve ponza, ve vegna l’angonàia se de quel vin che ∫maia no inpì [le] zuche. Che una fistola vi infastidisca, che vi venga l’ernia inguinale se di quel vino che inebria non riempite le zucche. Su, fantesche mazuche, deh, pota del schiantis. portà de quel che fis... beé beé beé! Su, fantesche pigrone, su, per mille fulmini, portate di quello che faceste, bevete, bevete, bevete! Dighe agnei o cavre a quist dal car triunfant: per voi pregarei [i] sant, dighe san Bia∫i Date agnelli o capre a questi del “carro trionfante”: per voi pregherò i Santi, dico, San Biagio. 169 Done, m’ avis che asqua∫i che daré quanche nia. A quist bièi fent che spia, se mandà zo Donne, ho quasi l’impressione che darete qualche “niente”. A questi bel giovani che guardano si mandan giù lugàneghe de bo, barsuole de porcèl; orsù, bochin me bel, che stao a far? salsicce di bue, braciole di maiale... orsù boccucce mie belle, che aspettate? No ne fa∫é cantar de bant co muò babiói: mandà zo de i capòi, de le galline. Non fateci cantare per niente, come babbei: mandate giù dei capponi, delle galline. Milli bone matine tutti possao aver, madone, e voi misser, e bona Pasqua. Mille buone mattine tutti possiate avere, Madonne e Voi, Signori, e buona Pasqua (Epifania). Un fi a l’an ve nasca, in sanità, allegreza, e po nel ciel ve dreza, amen. Un figlio all’anno vi nasca, in salute e allegria e che il cielo vi guidi ... amen. Dall’insieme delle poesie del Cavassico si evince una struttura della richiesta comprendente: a) la domanda di doni (generi alimentari) b) l’augurio di abbondanza per la famiglia visitata c) l’augurio di benedizione divina d) il rimbrotto minacciato in caso di mancata concessione di doni. L’attenzione maggiore è riservata alla richiesta di generi alimentari, specificati dall’Autore con enfasi e notevole compiacimento. L’elemento religioso appare marginale se pur esistente ora nella presentazione, ora negli auspici. Si augura e ci si augura, con insistenza, abbondanza di cose da mangiare, di beni che stanno alla base della salute e sono in mano a Dio e alla natura da Lui dominata. Il trinomio dei bisogni vitali cibo-salute-Dio, emblemi delle necessità psicofisiche umane, era evidentemente noto anche senza il conforto della scienza moderna. Semmai, il Cavassico omette di citare i falò propiziatori che rappresentano il fulcro dei riti popolari 170 epifanici, ma ciò deriva probabilmente dal suo obiettivo extra poetico, dalle destinazioni colte cui i versi erano primariamente destinati. Vale però la pena di rammentare le caratteristiche del rito del bru∫ar el panevin così come sono state rilevate fino a pochi anni or sono, anche come esempio del menzionato tentativo di rivestire riti di origine pagana con motivazioni cristiane. L’importanza del rito di fuoco dei panevin, pagarúoi o favarúoi, è confermata dalla sua notevole persistenza in tutte le zone agricole o pastorali della nostra regione. La scelta del luogo del rogo coincideva col campo più produttivo e comodo (rito arcaico imitativo di abbondanza); esso doveva poi essere in posizione elevata, prossima cioè al cielo, al divino, e dominante possibilmente gli altri campi su cui doveva essere irradiata la luce benefica (altrimenti si diceva che la sua visibilità avrebbe meglio indicato la via ai Re d’Oriente). I pali di supporto attorno ai quali venivano accatastate le fascine e gli sterpi erano normalmente da uno a tre, (numero sacro pagano ma anche cristiano, come la Trinità e, nel caso, i tre Re Magi), legati tra di loro e di taglio fresco cioè vivi (auspicio arcaico di vitalità); il falò veniva edificato dagli stessi giovani protagonisti delle questue, che pure giravano per le famiglie a farsi dare sterpame e stoppie con la questéta (piccola questua o questua minore). Il fuoco doveva essere generato con pietre focaie (proprio come quello sacro della liturgia cristiana nella Settimana Santa) e il compito dell’accensione era demandato al più anziano capofamiglia, all’Autorità patriarcale (che, in alcune zone, preventivamente lo benediva). Quando le fiamme erano alte i veci traevano gli auguri, gli auspici per la novella annata, guardando la direzione presa dalle fulische, le faville, il fumo e la sua densità: Se l fun va matina, ciol su l sac a va a farina (o polenta pochetina, auspicio negativo); se l fun va a medodì, polenta cusì e cusì (annata mediocre); se l fun va verso sera, piena la caliéra (auspicio di abbondanza); se l fun va invèrs la basa, piena la casa (ancora abbondanza). Dalla velocità di sviluppo del fumo si traevano anche auspici di carattere meteorologico: fun galivo (incapace di muoversi, di sollevarsi) tenp cativo; fun zavarià (fumo arrabbiato, veloce), bon tenp sarà! Se poi tornava in basso, gli astanti se ne facevano investire poiché ciò era considerato benaugurale per la salute (il fumo preserva, conserva). Alla fine del rogo, i giovani cercavano di saltar le bronze, di oltrepassare col salto le braci (prova di forza dal sapore iniziatico). I canti fatti attorno al falò assomigliano più a cantilene che a veri propri canti. Tutti sono invocatori di cibo e salute: che Dio ne dae la sanità, el pan e l vin! e ancora pan, vin e lugànega! Occorre notare come gli accenni al rappor171 to intercorrente tra panevin e riti che ricordano i Re Magi risulti debole e forzato; alla specifica domanda sulla possibile presenza di figuranti dei Magi presso il panevin, le risposte sono generalmente state negative, come pure rari sono i cenni sull’esecuzione di canti attinenti al rito della stella. A conferma di ciò, si è verificato che, nelle zone montuose del Bellunese in cui si festeggiano i pagarùoi o favarùoi, non si praticano altri riti paralleli. GRIDA DEL PANEVIN Lezione di Cison e S. Antonio de Tortal 1978, Archivio Audio Secco G. BCDM36/06 CISON DI VALMARINO (TV) E S. ANTONIO DE TORTAL (BL) El pan …e vin, la pinza su l larin, la lugànega su l bachét, eviva l vècio Simonet! Buberata pan e vin, e la torta (pinza) su l camin, la polenta su l fondal … eviva carneval! Il panevin, la torta sul focolare la salsiccia appesa alla stanga, evviva al (nome del padrone di casa)! Fuocone del panevin la torta sul caminetto, la polenta sul taffiere… viva il carnevale! FALCADE, BL, 1973 Pavarùi e pavarèle che la biave vègne bèle! Pavarui ben pasui, Pasche Tofánui, polenta e lugànega, pan e vin... du par camin! Pavarùi e pavarèle che i cereali vengano belli! Pavarùi ben pasciuti, Pasqua Epifania, polenta e salsiccia, pane e vino … giù per il camino! COLLE SANTA LUCIA, BL, 1979 Pan e bóia, pan e vin la marenda su l ciamin, na ciaudiéra de bon vin, pan e bóia... pan e vin! Pane e sugo, pane e vino la merenda su l camino, un paiolo di buon vino, pane e sugo, pane e vino! ROCCAPIETORE, BL, 1981 Pagarùoi e pagarèle, che le biave vegne bèle, che l forment vegne bon, su la ponta de l piron! Pagarùoi e pagarèle, che le messi vengano belle, che il frumento sia buono, fino alla punta della forchetta! 172 FORNO DI ZOLDO, BL, 1978 Paarùoi e paarèle, biave bone e biave bele; paarèle e paarùoi, orz, fava e fa∫ùoi! Paarùoi e paarèle, biade buone, biade belle; paarèle e paarùoi, orzo, fava e fagioli! GARNA D’ALPAGO, BL, 1978 Pan e vin pa sto San Martin pita grosa par al dì de Pasqua; Pasqua Tofania, torta lugànega, quatro boi, do par gros... tira fora l car da l fos. Quatro vache da lat par la papa de i to∫at. Bon an... che vegne n altro an! Pane e vino per il prossimo San Martino; gallina grossa per il giorno dell’Epifania; Pasqua Epifania, torta salsiccia, quattro buoi, due paia grandi che tirino fuori il carro dal fosso. Quattro mucche da latte per dar da mangiare ai piccoli. Buon anno... Fino a che arriverà un altr’anno I capi famiglia asportavano quindi un tizzone con cui andavano ad accendere il fuoco di casa (fuoco sacro). Con le braci di quei fuochi casalinghi si cuoceva la pinza, il dolce propiziatorio fatto con tutti gli elementi gastronomici di cui si auspicava l’abbondanza: con farina di granoturco come base, con farina di frumento, zucca cotta, fichi secchi, uva appassita, grasso di maiale o ciccioli, noci e quant’altro. La pinza poi si distribuiva a tutti i familiari, ai vicini, ai cari che si volevano far partecipare all’auspicio, ai poveri per rispetto del loro stato e per esorcizzare la povertà con la generosità (la divisione era spesso fatta in tre, sette o dodici pezzi, o loro multipli) e un boccone si ritornava anche al fuoco stesso. Con le ceneri del panevin le donne si sporcavano ventre o mammelle per auspicare fertilità o abbondanza di latte materno ed il mattino seguente gli uomini andavano ad incinerare le piante, a benedirle con l’acqua e a batterle con un bastone tolto per tempo dal rogo, al grido di carga e mantién pa st ano che vien! (carica e mantieni per il prossimo anno) o càrgate ben pa st ano che vien (caricati bene per l’anno che viene). Il bastone andava poi a finire nel recinto delle galline o nel loro ricovero (punèr), per propiziare la produttività delle uova. La notte della vigilia, cruciale per qualsiasi calendra, era adattissima a compiere i riti divinatori. L’andamento delle riserve familiari di granoturco o di fave, ad esempio, si poteva prevedere ponendo in fila sulla pietra del larin dodici semi che si coprivano con la cenere del fuoco “sacro” e quindi con poche braci. Scoppiando per il calore, se i chicchi andavano verso il fuoco, ciò era segno di abbondanza, se verso l’esterno di carestia, se rimanevano sul posto di fortuna mediocre nei mesi contrassegnati da sinistra a destra, in ordine crescente. Il fuoco della vigilia dell’Epifania concorda con un altro avvenimen173 to importante della nostra tradizione che, nella stessa notte del fuoco, vede aggirarsi per ogni dove la torva Redò∫ega (Redòde∫a), la peggiore di tutte le strighe, detta altrove anche Vècia Maràntega (forse da mater antiqua). Per ciò dopo il rito del panevin, ci si doveva ben chiudere in casa sprangando ogni possibile entrata, camini compresi; non si dovevano fare lavori da “vecchia”, come filare, usare fusi, pentole o altri richiami. La Redò∫ega allora passava, assieme ai suoi dodici redode∫egòt e portava via i suoi malefici non sapendoli dove abbandonare (a chi lasciare). Si allontanava poi a lunghi passi e alle prime luci, superando il primo torrente, svaniva nel nulla; quel pasar le aque, in grado di cancellare la sue essenza maligna, lasciava intendere che la fonte era, in quella notte, privièla o sarinèla cioè rinnovatrice. Sulle sponde delle acque della purificazione la leggenda vuole che, la mattina seguente, crescessero fiori bianchi. Le donne potevano quindi andare sul greto a sciacquare (rinnovare) le pentole e scrostare le catene del larin con la speranza di avere abbondanza di cibo e salute per tutto l’anno. Cerimonie di senso analogo al rogo del panevin (e riti d’acqua) si ripetono qua e là anche a fine carnevale (bruciare il carnevale) e a metà quaresima, allorché si arde la vecchia 3, come pure alla vigilia di San Giovanni (con i fuochi e il lancio delle zidèle o rotelle infuocate). Durante questi avvenimenti si pubblicizzano anonimamente vicende che interessano la comunità, usando un tono apparentemente scherzoso, ma che hanno anche valenza sanzionatoria oltre che liberatoria (charivari). mmIl rito ha un aspetto meno mitico e, pur mantenendo il medesimo senso, richiama il modello del processo e del rogo cui venivano condannate le accusate di stregoneria ai tempi dell’Inquisizione. Le accuse alla vecchia, senza possibilità o necessità di difesa, esprimono la volontà assoluta di caricare sul simbolo le nequizie del passato che va bruciato per conseguire un futuro migliore. Talmente è chiaro il rito auspicatorio che spesso, una volta bruciata la vecchia (o segata, come si usa(va) nel veneziano) dai suoi resti vengono fatti comparire dolcetti, frutta secca o quant’altro possa rappresentare un piccolo dono augurale per i bimbi. Occorre dire che, dove non si arde la vecchia per metà quaresima, si usa magari bruciarla a fine Carnevale o, in alternativa, si incendia un pupazzo che impersona il Carnevale stesso a conclusione della sua vita (periodo). L’occasione è in ogni caso adatta a far parlare la Collettività attraverso la maschera in modo da pubblicizzare, attraverso le malefatte della vecchia, i segreti più scomodi dei singoli, quelli normalmente indicibili, le verità sui più potenti (normalmente appena bisbigliate), sugli amori nascenti, su possibili trame d’amanti, su interessi segreti o altro che coinvolga pur di riflesso la Comunità. Le stesse cose, insomma, che caratterizzano lo charivari e per cui si cantano ancora il marzo o il maggio o che si gridavano nello Sceibà Ampezzano o con le s-ciòne agordine e cadorine nella notte di San Giovanni, anch’essa piena di fuochi (siamo al solstizio d’estate), lanciando le invettive dai colli insieme alle zidèle (le rotelle impeciate e accese che si scagliavano contro il cielo e che, come stelle cadenti, riportavano l’eco delle notizie interpretate dal gioco della Maschera nella notte [grida al buio]). 3 174 5. Sulla diffusione delle questue a sfondo religioso Verificata la precisa presenza delle questue nel Bellunese ai primi del ’500, e constatatone lo stampo prettamente venale, non sapevamo comprendere il motivo dell’espansione del rito che ha portato al reperimento in zona delle molte tipologie a sfondo religioso, diverse per soggetto del canto e melodia, rimaste ben vive fino a pochi anni or sono e comunemente note e praticate almeno fino alla metà di questo secolo. Molte di queste poi, risultano presenti, con la medesima matrice, in una più ampia area che va dal Ticino alla Slovenia comprendendo i territori alpini e prealpini della Lombardia, del Trentino-Alto Adige (Dreikönigslieder), di Veneto, Friuli e Istria “veneta”. Evidentemente il fenomeno generatore di una simile diffusione dei canti di questua devozionali doveva essere qualitativamente importante. Un contributo notevole alla comprensione di questo sviluppo è stato fornito dallo studioso tedesco Dietz Rüdiger Moser che, analizzando la pratica della questua dei tre Re e la sua diffusione nelle zone centro-europee, l’ha interpretata come risposta della Controriforma contro il dilagare della eresia “epifanica” luterana. Lutero infatti volle riportare la festa dell’Epifania al significato da lui ritenuto originario, cioè il battesimo di Gesù (Epifania orientale) e ciò in contrasto con la visione “romana”, già accennata in precedenza, legata alla immagine dei Magi. A conferma di questa tesi ci sono poi le ricerche dello studioso austriaco Hans Moser che, col reperimento di documenti circostanziati, ha potuto individuare nei Gesuiti i promotori del rito della Stella dei tre Re, adottata nella sua formula rappresentativa (spettacolare, quasi teatrale) per l’evidente favorevole impatto sul pubblico ed il conseguente efficace aspetto propagandistico (Morelli 1998: 173-176). Da Hans Moser apprendiamo che la prima citazione sulla Stella, cantata da studenti dei Gesuiti, risale ad una delibera del consiglio comunale di Innsbruck datata 30 dicembre 1568. In un inerente documento successivo (probabilmente di fine secolo), ci sono altre interessanti indicazioni. Si tratta di una supplica rivolta al Principe Durchlaucht dagli studenti della scuola di Innsbruck i quali chiedono di poter riprendere a cantare la Stella (dalla qual cosa erano evidentemente stati interdetti) in alternativa o in parziale sovrapposizione agli studenti dei Gesuiti pure se quelli “si vantano di aver creato una stella e già prima di questa di essere andati in giro con la scuola di canto a cantare la stella”. A maggior titolo di supplica i richiedenti ricordano che molti di loro “devono servire tutto l’anno per portare la legna o la posta senza ricevere in cambio par175 ticolari vantaggi o qualche ricompensa se non quella che riescono a prendere con la stella in un periodo del resto già limitato…” (Morelli 1998: 174). Abbiamo così anche la conferma dell’usanza di gratificare con doni i cantori ossia dell’aspetto questuale del rito. Pare quindi accertato che questa, adottata dalla Controriforma, sia stata una strategia di ampio respiro, tesa a stimolare la fede popolare attraverso l’uso di espressioni di preghiera e canti di più facile comprensione e partecipazione emotiva. Ciò per contrastare più efficacemente l’eresia proveniente dal nord-Europa i cui promotori si servivano più modernamente degli strumenti di comunicazione pubblicando libretti di canto riformati, sia luterani che calvinisti, in lingua volgare italiana, ladino-romancia, francese e tedesca. Dopo il concilio di Trento cominciò dunque a svilupparsi questo nuovo fenomeno musicale che prevede la produzione di “laudi a travestimento spirituale” che vanno edite e diffuse con ogni mezzo. Il libretto Sacri canti, maggiormente noto come raccolta Michi, è attualmente quello che contiene la più antica attestazione di un gruppo di canti natalizio-epifanici molti dei quali sopravvissuti ed adattati a canti di questua (Morelli 1998: 165-171). L’analisi dei testi è ancor più interessante in quanto l’area bellunese è confinante, a nord, con le valli di Fiemme e Fassa in cui il sacerdote Giambattista Michi nacque e operò verso la fine del ’600 (1651-1690). Il libretto contiene 36 canti di cui 18 in latino e 18 in volgare. Di questi ultimi, quattro sopravvivono nel bellunese con notevole diffusione e diverse versioni. Tre sono brani prettamente natalizi: Verbum caro, Bel Banbin, Dolce felice notte. Uno è tipico della vigilia dell’Epifania, essendo presso di noi noto col titolo di Noi siamo i tre Re Magi. L’area del Bellunese in cui sono presenti i brani Verbum caro, Bel bambin e Noi siamo i tre Re è quella del nord della provincia (Agordino, Ampezzano, Cadore, Comelico) mentre il Dolce felice notte è raro e si trova solo in Val Belluna e nel Feltrino quasi fosse risalito dalla Valsugana o dal Vicentino in cui risulta tra i canti più noti. È stupefacente verificare come, nel complesso, i testi siano rimasti vivi nella loro sostanziale integrità ma è altrettanto evidente come si siano popolarmente arricchiti di strofe profane adatte a completarli in funzione del rito di questua, integrando perfettamente il modello già visto nel Cavassico. La nuova struttura si presenta sequenzialmente nel seguente modo: a) presentazione dei cantori e loro motivazione cristiana; 176 b) narrazione dell’avvenimento religioso (che può estendersi dalla nascita alla morte di Cristo); c) richiesta dei beni propiziandi; d) richiamo di abbondanza sulla casa; e) richiamo della benedizione divina e arrivederci all’anno successivo; f ) effettuazione dell’eventuale rimbrotto in caso di mancata offerta. L’importanza dei riti pagani preesistenti e già considerati in occasione del periodo che sta a cavallo tra Natale ed Epifania, spiega il successo dei molti “canti sacri” che vi si sono integrati. La raccolta Michi li contiene in parte, dato che le tipologie rinvenute, solo nel Bellunese, sono assai più numerose. Certamente si può affermare che il tema più ricorrente è quello dei tre Re e della Stella accompagnatrice che illustra una vicenda, misteriosa, accattivante e vicina alla mentalità popolare, che si presta alla drammatizzazione e conserva il fascino dell’esotico, del diverso e mitico, con il travestimento dei Magi e la realizzazione di modelli di stelle in legno e carta, spesso illuminate dal retro o fatte girare con dei marchingegni a manovella; inoltre l’esecuzione casalinga (lontano dai luoghi delle celebrazioni ufficiali) consentiva una certa libertà interpretativa attraverso le possibili integrazioni personali alle parti sacre dei testi ecclesiastici. Col nome generico di Stelle si individuano perciò, popolarmente, anche altri canti del periodo, non necessariamente riferiti all’avvenimento dei tre Re. Una parte di questi canti è specificatamente locale ed è dovuta alla solerzia di parroci o a quella di qualche fedele di buona cultura, in vena di esprimere in tal senso la loro presunta vena poetica e/o musicale, cosa che accade, peraltro, anche al giorno d’oggi. 177 6. La raccolta Michi e la tradizione orale bellunese Riportiamo, di seguito, alcune versioni bellunesi dei canti presenti nella raccolta Michi, per consentire gli opportuni paragoni. Per lo stesso motivo, riferiamo anche su alcune versioni raccolte nel Brasile del Sud (Rio Grande do Sul), dovute a discendenti di nostri emigrati in quelle terre a partire dalla tre quarti dell’Ottocento. Alcune versioni sono fatte risalire, dai cantori, ad antenati di ceppo feltrino; in qualsiasi caso, ci sembrano testimonianzanze importanti ed attendibili. La nostra tradizione popolare è miracolosamente sopravvissuta in quei luoghi tanto lontani grazie al grande numero degli emigrati ed al relativo isolamento da loro vissuto rispetto alle culture limitrofe. Ancor oggi, dopo 125 anni di separazione dalla madrepatria, vi sono persone che, nelle zone rurali decentrate (negli Stati del Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paranà), parlano correntemente un dialetto di tipo veneto-trentino, chiamato talian, conoscendo a malapena la lingua brasiliana! Per lo stesso motivo, si pratica ancora il filò, si raccontano fiabe e leggende e si usano canti che intimamente ci appartengono; si sono persino conservate notevoli tracce sugli usi e costumi della religiosità popolare, nonostante i riti si collochino in periodi stagionali falsati (invertiti) per la dislocazione nell’altro emisfero terrestre. Si pensi che i falò del panevin sopravvivono, in piena estate brasiliana, in diverse località degli stati citati. Così pure sono superstiti i riti di questua ed alcuni canti ispirati ai tre Re. Prima di iniziare la descrizione dei singoli canti attinenti alla raccolta Michi, raccolti in area bellunese, si premettono alcune precisazioni. Le versioni sonore documentate, per tipologia di canto, sono spesso più di una e talvolta parziali. Abbiamo quindi scelto la strada di integrare il materiale riconducibile ad ogni singolo canto, tendendo ad una sua ricostruzione virtuale. Ciò, ben inteso, dove non si sia trovata documentazione scritta, o la versione sia l’unica raccolta. 6.1. Noi siam li tre Re d’Oriente Con riferimento al canto Lode sopra i tre Re magi della lezione Michi, si riporta, per prima, la Stella di Pozzale di Cadore che, per numero di strofe, sembra la più estesa. A Pieve di Cadore il canto è del tutto simile ma con interpretazione canora più lenta. Il canto è più noto, in tutta l’area, col nome di Noi siamo i tre Re Magi. 178 NOI SIAMO I TRE RE MAGI lezione di Pozzale di Cadore, BL, 1978, Archivio Audio Secco G. BCDM66/08 q. Pozzale di Cadore (BL) 1978 & b 68 j œ = 100 1. Noi & b œœ a 24 œ . J ‰ j œœ j œœ .. ‰ & b 68 œœ .. Œ sa œ J œ. J - - .. œj œ . re j œ œ 2. Noi r j œœ œœ .. r œœ lu - tar la gen œ œ. R J œ R œ Œ. ∑ - r j œœ œœ .. r Daœ 1 a 12 œ . œ. œœ œ J lu - tar la gen œ œ. R J œ R œ re gno .. 24 œ - - j j œ œ œ œ j œ œ ve œœ j j œ œ œ œ .. 24 œœ sia - mo i tre ‰ ma - gi, 13. re; ? 6 b 8 œ. a j œ œ tre sa œ J b œ 12 mo i Œ re ? - q = 100 rien - te, 8 sia j ‰ j 24 œœ .. œ j & b œ œ. 4 ? b Œ. j œ œ œ - œœ .. J œœ R te per œ. J œ R œœ R te per œ. J œ R œœ .. J œœ œœj .. R chi voi - al œ. J œ œj . R nu - ti da l j œœ .. r œœ œœ il Si - gno j œ. r œ œ j œœ .. r œœ œœ il Si - gno j œ. r œ œ 1. Noi siamo i tre re magi, venuti da l oriente, a salutar la gente per il Signore; 4. E l é nato da Maria, Ge∫ù Cristo in carne pura, (noi) andiamo a la ventura per il pecato; 2. Noi siamo i tre re magi, che abian visto la gran stela, la qual porta novèla e de l Signore; 5. E abian molto cavalcato, seguitando la gran stela, la qual porta novela e de l Signore; 3. Qua l é nato l Salvatore, Redentor di tuto l mondo, (qua) l é nato in questo giorno per il pecato; 6. Noi andiam pe sto contorno, se posiamo ritrovare, (noi) andian per adorare quel gran Signore; tri l bro r œ œ - 6 8 - 6 8 U ˙˙ r œœ œœ - o - - do! U ˙ 179 7. E ancor per fargli onore, volian fare un bel dono, in mira incenso e oro rapresentare; 9. In sta ca∫a sia la pace, di alegreza e sanitare, la roba in quantitare Madre Maria; 8. Perché Dio ce l à mandato, siamo qua fratèli miei, (noi) dobiamo seguitare la nostra via; 10. Se ringrazia buona gente, se ringrazia de l bon cuore, e insieme co l Signore la bona note! Segue poi, sullo stesso tono la richiesta di doni; nel caso addirittura... gnocchi! Noi siamo i tre re magi, venuti da l oriente per spa∫emár sta gente in questa sera; Daréme quatro scagni, che se sentemo ∫o∫o: e a noialtri i gnochi voialtri l brodo! Meté(me) su la caldiéra, faremo quatro gnòchi, farémeli sui fiochi che avemo fame; Di testo simile alle precedenti, ma diversa nella costruzione ritmica, è la Stella di Lozzo. 180 NOI SIAMO I TRE RE MAGI 1ezione di Lozzo di Cadore, BL, 1978, Archivio Audio Secco G. BCDM66/06 1. E noi siamo i tre re magi tre re magi de l oriente abiam visto una gran stela ([de] la qual porta novela) e de l Signore. 4. Egli é nato da Maria; Ge∫ù Cristo in carne pura; noi andiamo a la ventura per il pecato. 2. E l é nato l Salvatore, Salvator di tuto l mondo; Egli è nato in questo giorno per il pecato. 5. Vi ringrazio buona gente, vi ringrazio de l buon cuore, torneremo un altro ano se piace a Dio Signor. 3. E abiam(o) tanto cavalcato, seguitando la gran stela e la qual porta novèla e de l Signore. 6. Vi ringrazio del buon cuore, vi ringrazio de l pre∫ente, torneremo un altro ano, se pia∫e a Dio Signor. Le altre versioni cadorine si diversificano nell’uso parziale o leggermente modificato dei vari campi del testo già visto; modifiche che non riportiamo poiché insignificanti e difformi tra loro, tendenti comunque alla stesura nota. Nella versione di Calalzo è particolare l’accentuazione dell’augurio di abbondanza e salute. NOI SIAMO I TRE RE MAGI lezione di Calalzo, BL, 1978, Archivio Audio Secco G. BCDM 66/11 1. Noi siamo i tre re magi, che abian visto la gran stela l oriente in questa sera, la nòte e il giorno; 3. In questa ca∫a sia la pace, la pace in sanitare, la roba in quantitare, la Vergine Maria. 2. Noi sian per questo contorno, noi posiamo ritrovare, la roba in quantitare, la Vergine Maria; 4. E noi vi ringraziamo, de le grazie e de i favori, insieme co l Signore la buona note! A Lorenzago di Cadore il canto assume tono più solenne pur mantenendosi melodicamente in linea col precedente. Alcune narratrici ricordano, in particolare, le questue dei Magi che venivano dal Comelico e che si spingevano fin fuori valle inalberando bellissime stelle tanto da suscitare spesso reazioni tra i bimbi locali cui re181 stava solo il gusto di una acida scimiottatura canticchiando, parallelamente agli ospiti, parole con significato diverso del tipo …la stela de l oriente che à perso duti i dente! Le versioni di Lorenzago differiscono nel solo testo. La prima prevede un verso in più della quartina, forse per rafforzarne la consistenza. NOI SIAMO I TRE RE MAGI Lezione I di Lorenzago di Cadore, BL, 1980, Archivio Audio Secco G. BCDM66/12 Noi siamo i tre re magi, venuti da l oriente, guidati da una stela portando la novela che è nato il Redentor. NOI SIAMO I TRE RE MAGI Lezione II di Lorenzago di Cadore, BL, 1980 q . = 66 j œ 6 & b 8 œœ œ Lorenzago di Cadore (BL) 1980 1. Noi ? 6 œj b 8 j & b œœ œœ 4 9 œ œ b J 1.2.3. &b œ ?b œ 182 œ per di - œ ‰ œ œ J J œ œ J na - to il - j j œœ ‰ œœ œœ rien - te ? sia j œœ œœ j œ œ. j œ œ . .. œœj œ œ œœ J tre re ma - gi ve œ J œ œ J .. œ œ J œ ‰ œ J J j œœ œœ j œœ œœ .. œœ œœ J œœ te, per re a o - œ œ J Œ gen j œœ œœ œ J - œ. œ J 2. Noi Œ gni œ - di - j œ œ re a o - j œ œ sia - mo i tre re œ œ .. œ J nu ti da l œ œ J gni - gen - si - j œ te, che è j œ œ j œ j œ ˙. œ œ J j œ œ œ J j œ œ j œ œ a o - j œ œ rit. bo - ve e l - œ j œœ œœ 4. j œ œ . œ œœ œ œ œ . œ J œ œ J j œ œœ œœ œ œœJ j œœ ‰ œj œœ œ mo i Re - den - tor. j œ œ œœ nèl. j œ ˙ . 1. Noi siamo i tre re magi, venuti da l oriente, per dire a ogni gente che è nato il Redentor. 2. Noi siamo i tre re magi, abian visto la gran stela la qual porta novèla novèla de l Signor. 3. Abiamo caminato, e monti scavalcato, per racontare a l mondo che è nato il Redentor 2 v. 4. Ge∫ù Banbino è nato, è nato in una stala e giace su la pàlia fra l bove e l a∫inèl 2 v. 2 v. 2 v. In Comelico esiste almeno un’altra versione musicale della medesima Stella. I questuanti, vestiti da Re Magi, una volta ricevuta l’offerta ringraziavano col dire: pregheremo Dio e i Santi che sta ca∫a vada avanti! In caso contrario si sfogavano con l’invettiva: pregheremo i Santi e Dio... che sta ca∫a vada indrio! Nel basso Bellunese e sulla pedemontana trevigiana, il canto Noi siamo i tre Re Magi, ricollegandosi all’inizio della versione Michi (Noi siamo li tre Re d’Oriente) è nota col nome de I lorienti o I tre lorienti. Il testo è lo stesso pur con qualche versione che assorbe brani di origine diversa. Riportiamo una lezione che si ritrova nella zona prealpina, tra la sinistra Piave e la Marca Trevigiana (Mazzotti 1970: 44; Secco 1986: 91-92). I TRE LORIENTI lezione di Sant’Antonio de Tortal, BL, 1987 1. Siamo qua da i tre lorienti che abian visto la gran stela; i tre lorienti in questa sera, la note e l giorno. 4. Noi pasian per questo contorno, se posiàmo ritrovare, la roba in quantitare, co la gran stela! (la Vergine Maria) 2. Siamo qua per sto contorno, noi vogliamo fare un dono: oro e mira incenso e bron∫o per pre∫entare 5. Perché Idìo ce l à mandata. siamo qua fratèli miei; noi dobiamo seguitare la nostra via. 3. Qua l é nato l vero Mesìa (qua l é nato da Maria) Ge∫ù Cristo in carne pura noi veniamo a la ventura per adorarlo. 6. Siamo qua per ringraziarlo di una grazia, di un favore; un altro ano ritorneremo se ghe pia∫arà a l Signore. I questuanti dei Tre Re, provenienti dalla zona prealpina del bellunese, e talvolta sconfinanti nei vicini paesi dell’opposto versante, sono probabilmente ricordati nei versi modificati di una stella trovata nell’alto trevigiano (Bellò 1994: 123): Siamo 183 qua da i tre lorienti, che abian visto la gran stela; mai più visto cosa bela, vegner zo dal Vi∫entin (il col Vi∫entin separa il Bellunese dal Vittoriese). 6.2. Dolce Felice notte Passiamo ad un altro canto natalizio riportato dal Michi nel suo libretto. La fonte laudistica più antica di Dolce Felice notte pare essere il Libro Primo delle Laudi spirituali del sacerdote fiorentino Serafino Razzi (1563), ciò a conferma che l’opera del Michi non fu fondamentalmente quella di autore dei brani della raccolta da lui firmata ma piuttosto quella di raccoglitore (in tutto o in parte) di canti già noti altrove, da pubblicizzare e stabilire in zona come iniziativa pastorale. Di Dolce Felice notte, oltre ad una versione bellunese cittadina di Borgo Prà, nota col titolo leggermente modificato di Chiara felice note (Secco 1986: 99), riporto una ulteriore versione nel talian del Brasile. Nel bellunese il canto non pare molto popolare, salvo che nel capoluogo, per cui se ne ipotizza un utilizzo circoscritto. Esso è però ben noto nel corrispondente versante pedemontano della Trevigiana (Bellò 1994: 124) e in tutto il resto dell’area veneta, anche col soprannome di Ciarstela, La chiara Stella ecc. 184 CHIARA, FELICE NOTE lezione Borgo Prà, BL, 1980 Archivio Audio Secco G. BCDM99/11 1 q = 86 & b 24 Œ œ Borgo Prà 1980 ? b 24 Œ 7 . & b œœ . sei ? chia œ œ ˙˙ del gior b œ. - ra fe œœ - no; œ Da 1 a 6 cia - ra - ste ˙˙ - ? j j œ b œ œ Œ la! ˙ - li - j j œ œ .. œ . ˙ j j œ b & œ œœ œœ 13 1. Oh œœ J j œ j j œœ œœ .. œœ .. œœ ve j j œ œ ce no œœ .. - diam œ. T j j œ œ œ œ 2. A - scol - Œ ˙˙ j œ j j œœ œœ noi j œœ te j j œ œ œ œœ - te, ˙ œ j œœ œœ .. la lu j œ œ. j j œœ œœ œœ .. che più j œœ - ce a - j œ me bo - na - no j j j j œ œ .. œ œ œ 1. Oh chiara felice note, che più chiara sei del giorno; noi vedian la luce atorno: la ciarastela! 4. E dói angioli desende, sende sora la capana; cantaremo tuti o∫ana la grolia in celo! 2. Oh Regina Madre bela che per tuto l mondo rege; il pastor de l divino grege, Giu∫epe Santo! 5. Dio l é qua co l so Vangelo a scaldare i nostri cuori: stiamo qua con i pastori e co i nocenti! 3. Ascoltéme che mi canto, ascolté queste parole; su ne l cel si mira l sole, la tera splende! 6. Oh che gran ralegramenti aver visto la gran stela! e la qual porta novela e de l Signore! tor œ - ra j œ œœ œœ J J œ œ - no: la j j œ œ U ˙˙ rit. 7. j œj .. œj œj œ œ œ œ œœ œ - chia j j œ œ œ. œœ J - te! U ˙ 185 7. Dio l é nato il Salvatore, redentor di tuto l mondo; é venuto a salvare l mondo da il pecato! 9. Fin a st altra Epifania e po dopo vegneremo: a cantar ritorneremo questo bel canto! 8. Ge∫ù Verbo incarnato noi andiamo ad anunciare, per potere seguitare la nostra via! 10. E ve ringraziamo tanto de la grasia e de l buon cuore, dèso ndemo co l Signore... e bonanote! DOLCE FELICE NOTE lezione di Sao Marcos, RS, Brasile Sorelle Bianchi 1996, Archivio Audio Secco G. BCDM36/03 1. Dolce felice note, piú chiaro che nel giorno per aver la luce e il giorno la chiara stela. 5. Cantiamo co gran zelo, (col Vangelo) lontan de i nostri cuori, cantiamo co i pastori. e bene sia. 2. Madre de l òchio ibèla, che tuto el mondo rege; pastor che piú non crede; Giu∫epe Santo. 6. (Da) la Madre Maria, tre Magi de l Oriente ognun che si presenta e se ne inchina. 3. Ah, Madre da l òchio santo, scolté le mie parole, perché la luna, e l sole, in tera splende. 7-8. De la Madre divina zé nato el bambinelo, co∫ì grasio∫o e belo, in bracio de Maria. Oh Voi clemente e pia, oh casa benedeta, che Dio ve la mantegna, che sanitá ve vegna e piú legreza! 4. Due àngeli che tende, che è sopra la capana: cantiamo tuti o∫ana e Gloria in celo. Rileviamo una ulteriore matrice di Stelle che pare ispirata a Dolce felice notte (in cui si citano i ragi o la tanta luce atorno) e che si aggancia, qua e là, a materiale già visto. La testimonianza è interessante anche per la corrispondenza trovata in Brasile, a Caxias, e a Serafina Correa, nel Rio Grande do Sul, dove il pezzo si canta ancora in occasione delle feste natalizie. Lo si trova anche nell’Alto Vicentino (BrianZamboni 1997: 109-117), nel Trevigiano, in Trentino e in Istria. 186 L É QUA LA NOVA STELA lezione I di Quero, BL, 1956 1. L é qua la nova stela con tanti ragi atorno prima che spunta l giorno e la risplende; 4. Tra l bov e l a∫inèlo su fieno fu racolto; tra lino e pani avolto, il cel ci lascia. 2. Ge∫ù verbo incarnato de Maria Verginèla; sona la canpanèla e gloria in celo; 5. Signor ve ringrasiemo de le grasie e dei favori, e insieme co i pastori, andemo in pace. (la bonanote) 3. Levate su pastori a ritrovar Ge∫ù, e non tardate più che Dio l é nato; 6. In compagnia restate di Ge∫ù e di Maria: e arivederci a st altra Epifania! 187 ZÉ QUA LA NOVA STELA lezione di Caxias do Sul, RS, Brasile, Coral Stella Alpina, 1997, Archivio Audio Secco G. BCDM55/13 1. Zé qua la nova stela co santi ragi atorno ∫veglia, che sìpia l giorno che la risplende; ∫veglia, che sìpia l giorno che la risplende; 3. Ge∫ù verbo incarnato de Maria Verginèla; sona la canpanèla e gloria in celo; sona la canpanèla, e gloria in celo; 2. Levate su pastori a ritrovar Ge∫ù, e non tardate più che Dio l é nato; e non tardate più che Dio l é nato! 4. E n antri ringrasiamo de le grasie e dei favori, e insieme co i pastori, e bonanote: e insieme co i pastori e bonanote! ZÉ QUA LA NOVA STELA lezione di Serafina Correa, RS, Brasile, Comunità di Serafina Correa, 1996, Archivio Audio Secco G. BCDM55/04 Zé qua la nova stela con tanti ragi atorno, (2 v.) e perché nasca l giorno (3 v.) e la risplende! (2 v.) E Ge∫ù verbo incarnato, de Maria verginela; (2 v.) e de una campanela (3 v.) (capanèla) gloria in celo! (2 v.) Levate su pastori a ritrovar Ge∫ù, (2 v.) e non tardate più (3 v.) che un Dio zé nato! (2 v.) E perché ne abiamo de la pietà nel celo. (2 v.) E pe l vostro Vangelo, (3 v.) andiamo in pace! 188 6.3. Dormi dormi bel Bambin Tra le melodie natalizie più note nell’area triveneta rimane anche questa conosciuta col nome di bel Banbin o Dormi dormi bel Banbin. Nonostante la lunghezza del testo, abbiamo trovato più di una persona che ancora la ricorda completamente. La versione del Michi è praticamente la stessa che ho ritrovato nell’area provinciale bellunese, eccezion fatta per una certa dialettizzazione e normalizzazione del testo nei punti critici, eccessivamente dotti o poco chiari. Il popolo predilige in modo particolare questo tipo di narrazione a campi (quasi a puntate). La preghiera è molto coinvolgente: una dolcezza piena d’amore e di tristezza pervade il canto poiché la Madonna, appena madre, già vede e piange la passione e la morte del proprio Figliolo. Forse per l’incombenza del dramma, per questa sofferenza che sente propria, la gente più umile è rimasta legata al brano. Queste nenie, alcune melodicamente pregevoli, erano cantate, in Cadore e nell’Agordino, la notte ed il giorno di Natale davanti al presepe, in chiesa o anche, da piccoli gruppi, per strada. Nelle zone dei Cadore il canto è usato per la questua di Natale, proprio come accadeva anche nel Veneziano (Ronchini 1990: 64). Erano i più piccoli, in particolar modo le più giovani, ad andà co l Banbin cioè andare col bambino. La cosa è inconsueta in quanto i riti di questua erano solitamente praticate dai soli maschi. Penso perciò che l’usanza di questua sia relativamente fresca, probabilmente ottocentesca. Le bambine ponevano una bambola o altro simulacro in un cestello foderato di fieno e, cantando, cercavano l’offerta. Riportiamo la sola versione del bel Banbin di Campolongo di Comelico, in cui le strofe sono molto numerose e al completo. 189 BEL BANBIN lezione di Campolongo di Comelico, 1980 lezione cantata di Valle di Cadore, BL 1982, Archivio Audio Secco G. BCDM99/06 lezione cantata di Pieve di Cadore, BL 1982, Archivio Audio Secco G. BCDM66/03 q = 116 & b 24 Œ 1 Valle di Cadore (BL) 1980 1. Dor j œ. ? b 24 Œ j & b œœ .. j œœ œœ .. R 5 dor ? b œj . 9 mi ciel, fan r j œ œ. Da 1 a 9 & b œœ ? - j œ. - ci mio mi bèl la j œ. j œœ .. gra - zio j œ. na r j œ œ. j œ. - bin, r œ .. œ œœ .. J na j œ. so e gi r j œ œ r œœ œœ Re di œœ œœ .. R J - na ca r j œ œ. r j œœ œœ - j œœ .. j œ. - - - œœ R œœ .. J ro fi r j œ œ. vin, - re lio. sin su fa la na œœ .. - ˙˙ na. œ. ˙ mi, r œ r œœ lio, del Re j œ. Œ - j œœ œ . R œ. 2. Sè œ. r j r j r j œ œ. œ œ. œ œ j œ. r œ r œœ j œœ .. rit. - dor r j œ œ. Œ r œœ j œœ .. r œ œ œœ .. j j r j œœ œœ .. œœ œœ .. œœr œœ R j œœ .. co Ban r œ œœ œœj .. R bel r œ r œœ .. œœ r j œ œ. fa lin; r œ œ ? œj . œr œj . œr .. œ b 190 - to - to te dor r j œ œ. r œœ j œ j r . 10. b œ & œ .. Rœ œœ .. œœ . œœ - mi, j œœ .. 13 ò - r œœ œœ r œœ j œœ .. tan b œ - j œœ œœ .. R r j œœ œœ .. j œœ .. - ra i r œ q = 108 b 2 &b b 4 Œ 1 Pieve di Cadore (BL) 1982 1. Dor ? b 2Œ bb 4 r j œœ œœ .. j œœ .. - œ. J mi, dor œ R œ. J b j r j r & b b œœ .. œœ œœ .. œœ œœ ? bb œ . b J mo fan ciel, ? bb œ b bb 25 & b œœ sin ? bb œ b - œ œ. R J Da 1 a 24 b & b b œœ 10 15 - - œ. J to to - lin; fa la œ œ R œ. J œ œ R gra - zio œ œ. R J œ œJ . R rit. r œœ ve œ. J - zo œ R - - r œœ .. œœ bèl Ban œ œ. R J r œœ œœ bel j œœ .. 1. Dormi, dormi bèl Banbin, Re divin, dormi, dormi fantolin; fa la nana caro filio Re de l cel, tanto bel grazio∫o e gilio. mi na - r j r j r œœ œœ .. œœ œœ .. œœ œ œ j œœ .. tan - j œœ .. 5 dor r œœ œœj .. so e gi - bin, œ .. œ R r œœ œœ Re di - œ. J œ R j œœ œœ œœ œœ J na ca - ro fi œ œ J œ J œ œ œ œ R 2. Sè œ œ œ r j œœ œœ .. r œœ œœ sin su la na œ. J œ œ. R J œ R œ - - r œœ j œœ .. vin, dor - mi, œ œ. J œ R œœ j œœ .. r œœ lio, Re del œ j œ. œ R r j r j r œœ œœ .. œœ œœ .. œœ .. j œœ .. œ lio. j œœ .. fa - j œœ .. - ra i œ. J ò - ci mio te œ œ . œ œ . œ .. R J R J R ˙ na. œ ˙ 2. Sèra i òci mio te∫òr, dolce amor, de quest anima Signor; fà la nana règio infante, sora l fien, caro ben celeste amante. 191 3. Dormi, dormi bel mio ben, co l mio vél, io Ti copro re de l cel; fa la nana règio infànte, sora l fien, caro ben celeste amante. 9. La ferita guarirà, sanerà, anche l mal con tua bontà. Fà la nana e la sua mano ti darà, salverà, Ge∫ù sovrano. 4. Dormi, dormi bel mio ben co l mio vél, io ti copro Re del cel fá la nana dolce spo∫o, bel banbin, core∫in tuto amoro∫o. 10. Strasinàto a la colòna per viltà, Tu sarai con crudeltà; fà la nana o flagelato; co gran guai paserai soto Pilato. 5. Perché piangi banbinèl, è forse l gel? ti dà noia l a∫inèl? Fa la nana ói Paradi∫o del mio cuor, Redentor ti bacio il vi∫o. 11. Anche Eròde enpio e crudél e rubèl, ti farà, con bianco vél, vergognar come uno stolto, sputachiar bestemiar sopra il Tuo volto. 6. Così presto vuoi provar a penar, a vagir e sospirar. Fa la nana e verà l giorno di patir, di sofrir vergogna e scorno. 12. Quando poi l enpio rabìn il tuo crìn cingerà de acuto spin, fa la nana si bel volto coprirai, baterai come stravòlto. 7. Dormi, dormi ti convien caro ben, sagerài altro velen di cordòlio e di tormento di dolor di rancor e tradimento. 13. Porterai con di∫onor, con dolor, la grande cro∫e o Redentor; fa la nana in confu∫ione di provar, tolerar anche il ladróne. 8. Il disèpolo rubèl, infedel, e quel popolo crudel, mentitori e finti amici ti daran ne le man de i tuoi nemici. 14. Mio Ge∫ù che gran dolor, che tremór sentirai mio Redentór quando, Re del Paradi∫o, tu sarai stréto, pre∫o e crocefiso. 192 15. La tua madre piangerà, ∫vegnirà quando in cro∫e ti vedrà; fà la nana quando il fiele ti daran ed avrai dolor crudele. 21. Eco vengono i pastor con i cuor riverenti a te Signor; fà la nana mio dileto, dóna a quel un agnèl ed un capréto. 16. Morirai con gran dolor del mio cuor; la Tua morte, mio Signor; fa la nana che l lanzìno ferirà, t aprirà quel sen divino. 22. Così ormai dolce Filiòl, de l Tuo duòl, ne l baciarti mi consól, fa la nana che i Re Magi te veràn e saràn tuoi sèrvi e pagi. 17. Anche mòro a imaginar, a pensar, mentre stento di baciar; fa la nana Te mio Dio, sopra il suòl, nel lenzuòl, caro ben mio. 23. Io ti pìlio nel mio sen d amor pien e lo ∫guardo tuo seren; fà la nana pargoleto si gentil, che in april sarai dileto. 18. Alor più non canterò tacerò ed insieme morirò; fà la nana buon Pastore che stentar e penar vuoi per amore. 24. Bevi il late del mio sen d amor pien, per baciarti unico ben; fa la nana mentre canto dormi Tu, bon Ge∫ù sóto quel manto. 19. Dormi intanto, non vagir, no languir; verà il tenpo de i sospìr; fà la nana nel pre∫èpe, bel Banbin, tuo padrin èco Giu∫epe. 25. Dormi a centro del mio cuor, dolce amor, dormi, caro l mio te∫or, in si pòvera capana vezo∫in su fa la nana. 20. Nel rigór de la stagion Ge∫ù bon, nase a l mondo il suo padron; fà la nana e ti contenti d abitar, ripo∫are fra i giumenti. 193 6.4. Verbum Caro Il Verbuncaro trae spunto dalle parole iniziali della omonima preghiera in latino Verbum caro factum est de Virgine Maria, la quale veniva recitata durante tutto il periodo di Natale. Lo svolgimento ha carattere molto popolare e questo ha decretato il grande successo del canto utilizzato per la questua (da Natale all’Epifania). Nei Sacri canti del Michi sono riportati un Verbum caro interamente in latino ed una versione in italiano di sedici strofe; solamente quest’ultima è presente nella tradizione orale bellunese. L’uso di questo canto di questua si riscontra particolarmente nel Cadore, nel basso Comelico, nello Zoldano e nell’Agordino, pur se in forma musicale diversa e con campi più o meno numerosi (a Cortina e noto come la ciantadura). L’andare di porta in porta si dice dì a ciantà Berbuncaro o dì a ciantà la Spiera cioè la Stella. Un bellissimo Verbum caro si canta anche a Erto e a Claut nella vicina Valtellina (PN), dove più è evidente il rito di questua. VERBUM CARO lezione di Venas di Cadore, Comunità di Venas, BL 1982, Archivio Audio Secco G. BCDM66/15 Verbun caro factum est et in Vergine Maria. In questa ca∫a sia la pace in alegreza e sanità oppure e che la pace e la roba sia et in Vergine Maria et in Vergine Maria. 194 VERBUM CARO lezione di Zoppè di Cadore, BL, 1978, Archivio Audio Secco G. BCDM35/02 q = 100 U j œj œ j j œ 2 … œ . œj œ 4 ‰ œj œj œj œ œ œ. œ œ. œ # # & # # c Ó Recitativo libero Zoppè di Cadore (BL) 1978 1. Ver - bum # ## & # œ Ma fac - tum est j j j j œ œ œ œ œ œ ne ca - ro - ri - a e da la e œ Ver - gi - œ œ ne Ma da la - gi ri - c a. U # # j & # # c Œ ‰ œj œ . œj œ œ œj œ . œj .. œ … œ . j œ 24 ‰ œj œj œj œ œ 2. I tre # # & # # œ #### - gi U j œ œ. ri - a. de gen - te in - gi - no œ œ Ver & gran #### Ma - gi l O - rien j j j j œ œ œ œ œ con & Re - œ œ ne Ma chiar te œ œ - - - si in - ri - a e da con gran con - ti - be - a - ta San - ta gi e da œ œ ne Ma la Da 2 a 6 œ œ la Ver j j j j. 2 œ. œ œ œ œ œ. œ . 4 œ 3. Oh - nen - te - gi - U j œ œ. 7. c Ó œ sa j j j j œ œ œ œ œ œ j j j j œ œ œ œ - e - U œ. j œ - œ Ver Ver œ - gi - œ œ ne Ma - ri - a. Verbum caro factum est e da la Vergine Maria e da la Vergine Maria. 1. I tre Re Magi de l Oriente e con gran sagi e con gran gente inginochiàsi incontinente da la Vergine Maria, e da la Vergine Maria. 2. Oh beata Santa Dona, che di vertù siete colona e di bontà siete Madona, e da la Vergine Maria, e da la Vergine Maria. 3. E da Maria l é nato un Re, che più potente di Lui non n è e da la Vergine Maria e da la Vergine Maria! 4. E da Maria l é nato un fiore che mai si muta di colore e da la Vergine Maria, e da la Vergine Maria. 195 - VERBUM CARO lezione di Claut, Valcellina, PN 1997, Archivio Audio Secco G. BCDM36/01 entrata Verbum caro factum est de Virgine Maria, e de Virgine Maria. 1. Bel infante picolino de lo Spirito divino ogi è nato l Dio Bambino da la Vergine Maria, da la Vergine Maria. 2. O pastori lasciate stare le vostre pecore a guardare, Ge∫ù venite ad adorare con la Vergine Maria, con la Vergine Maria. 3. San Giu∫èpo vechierello governator di Ge∫ù belo che foste dato per donzelo a la Vergine Maria. a la Vergine Maria. 4. ringraziamento E ora noi Vi ringraziamo de l pre∫ente e de l onore; un altr ano torneremo se co∫ì piace a l Signore e a la Vergine Maria, a la Vergine Maria! uscita Verbum caro factum est De Virgine Maria. Al Berbuncaro di Borca e San Vito di Cadore, come pure a quello del Comelico, si affiancano spesso delle strofe tratte da una lunghissima e complicata canzonetta “poetata” nei primi anni del secolo scorso dal Pievano Osvaldo Varetoni (Borca 1804 - Candide 1853). Non a caso i reperti del canto si ritrovano circoscritti alle zone citate. Il Varetoni scrisse molti inni tra cui questo natalizio che venne pubblicato più volte a partire dal 1820. Il libretto, consuetamente intitolato Canzoni Morali e Sacre, era dedicato a Mons. Emanuele Lodi, vescovo di Udine, e aveva lo scopo di far cantare i parrocchiani montanari, descritti quasi come fanatici della melodia. Il Varetoni così li descriveva: di giorno, di notte, nei villaggi, sulle montagne, sotto la sferza del sole, e tra i crudi orrori del gelo, atterrando alberi nella selva e trasportando fieni dai prati, rompendo e diradando cespugli, sempre ed ovunque cantano. Di fatto dei 67 campi originali pochi sono sopravvissuti nella memoria popolare. Così il canto, prendendo spunto dalle prime parole delle strofe più significative, ha assunto connotazioni e titoli un po’ diversi a seconda del luogo. Nella Val Boite è più noto come I∫áia Emanuele conservando gli originali campi 13-20-3-5 dialettizzati. È immaginabile che la maggior parte si sia persa, oltre che per usura del tempo, anche per incompatibilità di carattere con l’animo popolare incapace di far proprie argomentazioni troppo complicate ed erudite. 196 Non a caso la frase più gradita è tuttora quel passeggiare tra le stelle dal senso poetico ampio e gioioso. Al termine della parte cantata torna comunque il richiamo al Verbum caro e alla questua (Secco 1986:109). ISAIA EMANUELE (VERBUNCARO) lezione (parziale) di S. Vito di Cadore, BL, 1978, Archivio Audio Secco G. BCDM66/09 1. I∫aìa, Emanuèle, pasegiar sopra le stéle, per vestir l umana pèle per salvar l uomo ribèle, il buon filio di Maria; buonanòte Epifànìa! 3. E la tera galegiante, e pentàpoli fumante, e I∫raèl peregrinante e Siòn chiedéa tremante dov è il filio di Maria; buonanòte Epifànìa! 2. Mansuéto come agnèlo, inocente al par di quélo, trasinato è al macèlo, e tacér soto il coltèlo, il buon filio di Maria; buonanòte Epifanìa! 4. Per cagion de l vechio Adamo, a la gola pre∫o a l amo, stava l mondo, aih dura sorte, di Satàn fra le ritòrte, e fra l onbra de la morte; buonanòte Epifania! poi, in tono scherzoso, si continuava. Benbucaro de jenaro, la polenta su l tajaro... e l formài metélo ìa par al dì de l Epifanìa! se gli inviti non erano fruttuosi il canto proseguiva coi consueto rimbrotto Quanti ciòdi in questa porta, tanti dia(v)oli che i ve porta. quanti sasi in questo muro tanti bruschi ve vegna a l culo! 197 In Comelico persiste l’uso della strofa originale iniziale, a seguito dell’entrata, per cui il canto è noto con l’assai poco nome natalizio di Sterminio (Secco 1986: 110). STERMINIO (VERBUNCARO) Lezione del Comelico, Candide, BL, 1980. entrata Verbum caro factum est de Virgine Maria; Verbum caro factum est de Virgine Maria. A sterminio de i deliti e a salvar li eterni driti cento oracoli eran scriti ch ògi è nato per li afliti fora l filio di Maria... Seguono gli altri campi (di solito quelli già citati in precedenza). Nel volumetto intitolato Canzoni Morali e Sacre edito in quinta edizione nel 1899 dalla Premiata Tipografia Tiziano Cadore, oltre al Verbum Caro “sterminio", sono riportate altre due composizioni del Varetoni dal titolo A Dottrina su venite (pag. 21) e Scendi scendi, vieni vieni (pag. 29), ancor oggi rarissimamente intonato e meglio noto col sottotitolo di O tu Vergine Paolina (originariamente O tu, Lucia Pia Eroina), così citata da D. Claudio Sacco tra i canti Sacri dei Comelico (Sacco 1982). 198 7. La Nuova operetta spirituale A diversa matrice appartiene un altro gruppo di Stelle note col nome di I tre Re o Noi siamo i tre Re. Il testo, che prende spunto dal medesimo avvenimento, pare più recente. Se ne trova traccia in uno dei librini di canti “sacri” editi dai Remondini di Bassano e fatti circolare con successo assieme alle famose stampine, anche a soggetto religioso, per mano di ambulanti che oggi si direbbero specializzati in un lavoro di “porta a porta” che rappresentava un canale di comunicazione fondamentale rivolto alle classi popolari. Il volumetto, che porta il titolo di Nuova operetta spirituale sopra la venuta dei Santi tre Re Magi (cfr. appendice), non reca purtroppo la data di stampa ma lo si suppone edito alla fine del ’600 o ai primi del ’700, visto che lo si ritrova in diverse ristampe del periodo (Morelli 1996: 160-165). La Stella de I tre Re è ben attestata, come la precedente menzionata (Noi siamo i tre Re Magi) nell’area triveneta e in Istria. La sua presenza è documentata anche in Brasile, con le integrazioni di questua particolarmente evidenziate ed un testo straordinariamente fedele al reperto più antico. Di seguito troviamo il canto come raccolto a Bolzano Bellunese e la versione in “talian”, da me raccolta in Brasile (RS), a Caxias, in linea, per altro, con quella riportata da Rovilio Costa, per lo stesso territorio (Costa Battistel 1983: 693; per le parti musicali dei brani: Secco 1986: 95). 199 I TRE RE lezione di Bolzano bellunese, BL, 1970, Archivio Audio Secco G. BCDM99/15 q . = 76 j 6 &b 8œ œ Bolzano (BL) 1970 1. Noi nu - ti da l ?b œœ .. o - rien - j j œ œ œ œ œ. 11 & b œœ .. tut - mo b œ. re, noi .. te a œ j j j œ œ œ œ œ vi - si - tar j œ œ sia - mo ∑ j j œœ œœ œœ œœ œœ œœ . . J i j œ œ. tre ve - œœ œœ œœ œœ œœ œœ .. J J J Œ Ge - sù, che è il Œ œ. re Œ. ∑ re œœ J Œ de i Su - pe - rio - j j j œ œ œ œ œ œ. Œ j œ œœ œœ J ri, di œ j œ j j j œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœj œœ œœj œœj œœ Œ œœ ti i ti ma - gio - ri œ j œœ œœ j j œœ œœ œœ fu ro - no gia - ma - i. j œ œ j j œ œ œ ? œ b tre œœ 1.2.3. - i j œ œ Œ j j œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ .. j œ œ œ. & b œœ 1. Noi siamo i tre re, noi siamo i tre re venuti da l oriente a vi∫itar Ge∫ù; che è il re de i Superiori, di tuti i magióri di quanti che a l mondo ne furono giamai, ne furono giamai. 200 - j . œ . œ. ∑ & b œœ œœ œœ œœ J J 17 sia ? b 68 ‰ 5 ? j œ œ di quan - j œ œ. jŒ œ - j œ œ œ. j j œœ ‰ œ œ 2. E che al mon noi j œ œ che ci ∑ do ne œ j j j j œ œ œ œ œ œ fu - ro - no rit. 4. j œœ œœ j. œ . œœ chia pa .. œ - dre j œ œ 2. E noi che ci chiamò, e noi che ci chiamò mandando una stela che ci condùse qua, dov è il banbinèlo grazio∫o e bèlo in bracio a Maria che è madre di Lui, che è madre di Lui. gia - ma - i, j j œœ œœ œœ di Lu - i. j j œ œ œ œ ne Œ œj U œœ .. U œ. 3. E adèso siamo qua, e adèso siamo qua e il buon Re divino posiamo adorar; perciò abian portato incenso odorato e di oro, di mira in dono a l Signore, in dono a l Signore. 4. E noi ce ne andian, e noi ce ne andian ai nostri pae∫i da cui venuti sian; e qua resta l cuore in mano a l Signore in bracio a Maria e al padre di Lui e al padre di Lui. I TRE RE lezione di Caxias do Sul (RS) Brasile (Costa-Battistel 1983: 693) (trascritta come rilevata) 1. Noi siamo i tre Re, noi siamo i tre Re venuti da l Oriente per adorar Ge∫ù; di un Re superiore di tutti maggiore di quanti al mondo ne furono giammai. (3 volte) 4. Quell’oro che portiamo, quell’oro che portiamo soccorre, o Maria, la vostra povertà. D’incenso l’odore ne toglie il fedore di stalla, al mondo, in cui troviam Ge∫ù. (3 volte) 2. Chi fu che ci chiamò, chi fu che ci chiamò mandando la stella che ci conduce qui; dove è il Bambinello, grazio∫o e bello in braccio a Maria che è Madre di lui. (3 volte) 5. E questa è mirra; E questa è mirra; sia segno del Bambino la vera umanità. Sia un segno di passione, d’amore e il buon cuore, (l’amara passione) per noi la soffrirà. (3 volte) 3. L amabile Signor, l amabile Signor si merita i doni insieme ai nostri cuor. Perciò gli abbiam portato l’incenso dorato e mirra e d oro: è un dono al Re divin. (3 volte) 6. E noi ce ne andiam, e noi ce ne andiam ai nostri pae∫i, da cui venuti siam, il vostro buon cuore, in mano al Signore, in mano al Bambino, il Bambino Ge∫ú. (3 volte) 201 7. Signor ce ne andiam, Signor ce ne andiam: salute e pace a voi auguriam. Addio Signori, la notte della Epifania, la notte della Epifania, del Bambinel Ge∫ù. (3 volte) 8. Vi ringrazio genitor, Vi ringrazio genitor, del favore ricevuto nel nome del Signor. Il vostro buon cuore sia grato al Signore sia grato al Signore sarà felice in ciel. (3 volte) Amen. I TRE RE variante al finale, raccolto a Serafina Correa (RS) Brasile da Soccol S. e Secco G. 1997 7. E adèso ce ne andian, e adèso ce ne andian salute di pace a v altri augurian; e noi ce ne torniamo dove venuti siamo e tornerén n antr ano se pia∫erà a l Signore! (3 volte) 202 8. Ve ringrasiemo ancor, ve ringrasiemo ancor de quel che n avé dato in nome de l Signor. Il vostro buon cuore sarà del Signore de questa Epifania del banbinèl Ge∫ù! (3 volte) 8. Ancora cibo salute e Dio: i canti delle lugàneghe Non tutti i canti natalizi o di questua presenti nel Bellunese sono citati in questo studio che ha, per obiettivo, l’analisi dei brani locali in qualche modo attinenti alla raccolta Michi. Molti altri pezzi adottati nel periodo sono riportati nel volume Da Nadal a Pasqueta (Secco 1986) al quale si rimanda, anche per la consultazione delle partiture musicali. In alcune zone del Bellunese, forse per un certo isolamento geografico, sono sopravvissuti altri canti di questua che, fino ad ora, non ho ritrovato altrove. I brani sono localmente e genericamente noti come Cantar le lugàneghe anche se poi ciascuno ha un proprio sottotitolo riferito alla particolare occasione. Gli specifici riferimenti al cibo, al di là di un prologo che contempla la narrazione religiosa, avvicina molto questi canti alle questue del Cavassico. Si riporta il pezzo noto come Cantar le lugàneghe, tipico della pedemontana bellunese. CANTAR LE LUGANEGHE lezione I di Quantin, BL, 1985, Archivio Audio Secco G. BCDM35/13 lezione II di Quantin, BL (adattamento dei Belumat da fonte originale), 1980, Archivio Audio Secco G. BCDM99/09 q = 92 # # & # c œœ Quantin di Ponte nelle Alpi (BL) 1985 1. Son ? ### c œ œœ œœ œœ œœ gné - sti pa can œ œ œ œ # # r r r rr r & # œœ œœ œœ œœ œœ œœ ‰ Œ œœ 4 Da 1 a 11 tu - ti quan - ti tu - ti. 2. Pri - ? ### r r r r r r‰ Œ œ œ œ œœ œ œ .. œr œr œr œr œr œr ‰ Œ œ œ œ œ œ œ - tar e po par dàr- ghe .. œ œ œ œ œ œ ‰ Œ R R R R R R œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ la bo - na - se - ra a œ œ œ œ œ r r r r r œœ œœ œœ œœ .. œ œ œ œ œ œ œ œ . ‰ 12. ma l pa - ron che Cri- sto be - ne - de- to… œ œ œ œ .. œR œR Rœ œR œR œ œ œ . ‰ œœ œ œœ œ œ œ œ œ J J Pre - sto pre - sto pa - œ œ œ œ œ J J 203 # # œ & # œ œœ œœ œœ œœ œœ œœ J J J J J J œœ ‰ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœ Œ œœ œœ œœ J J J J J J J J J J J ro - na che l fre - do vien da i pié œ j j j j j j œ œ œ œ œ œ œ œ 8 ? ### # # œ & # œ 12 mu ? ### œœ - se e œ œ ¿ sbasa le lu ¿ Son gnésti pa cantar e po par darghe la bonasera a tuti quanti, a tuti, prima a l paron che loga te sta ca∫a, a la paróna e po a quei altri tuti. La note de Nadal che Dio fu nato, fu nato Idio Nostro Signore; Nostro Signor è morto su la croce e la Madona piange ad alta voce: Santo Doàni poia su la scala e la Madona su la se ne andava; la se ne andava su da l suo Filiolo, baciava il vi∫o bianco tuto solo; suo Filio morto che no l ghe n podéa, tre can giudei che a baso lo batéa; stava Maria tuta straziata, piena de làgreme, tuta bagnata. Dice sarà, chi sarà mai quest uomo, sarà quest uomo quel di tera Santa; O Croce Santa, Cros di duro legno, questa è la Croce de l Signor benigno. Ben dir, ben far par trentatrè matine e da la morte no potrà falire. E troverò, e troverò un bilieto davanti a Ge∫ù Cristo benedeto. ¿ U ¿ - ganeghe! ¿ e voi che sé su l le - to no me cre - da - ré; j j j j j j j j j j œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ Œ œ œ œ U ¿ Siamo venuti per cantare e per dare la buonasera a tutti quanti, a tutti, prima a l padrone di casa, alla padrona e dopo a tutti gli altri. La notte di Natale Iddio è nato, è nato Iddio, nostro Signore; Nostro Signore è morto sulla croce e la Madonna piange ad alta voce: San Giovanni appoggia la scala e la Madonna se ne andava su; se ne andava su dal suo Figliolo, baciava il viso bianco tutto solo; suo Figlio morto che non poteva far nulla, mentre tre cani giudei da basso lo battevano; stava Maria tutta straziata, piena di lacrime, tutta bagnata. Dice: chi sarà mai quest’uomo, sarà quest’uomo quello della terra Santa; O Croce Santa, Croce di duro legno, questa è la Croce del Signore benigno. A ben dire quest’orazione par trentatre mattine, al momento della morte non si potrà sbagliare. E troverò, e troverò un biglietto davanti a Gesù Cristo benedetto. Ritornello della questua Presto presto parona, che l fredo vien da i pié, e voi che sé su l leto no me credaré … alza le mu∫e ∫basa le lugàneghe! 204 al - za le Presto presto padrona, che il freddo vien su dai piedi, e voi che siete a letto non mi crederete … alza il viso e abbassa le salsicce! segue la rampogna in caso di mancata o scarsa disponibilità alla questua: Quanti ciodi pa ste porte, quanti bus pa sti mur... tanti brusch ve vegne a l cul: preghe Dio, Ge∫ù e Maria... che no i ve vae pi via! Quanti chiodi su queste porte, quanti buchi su questi muri ... tanti foruncoli vi vengano al culo: prego Dio, Gesù e Maria... che non vi vadano più via! Il canto viene ancor oggi eseguito dai ragazzi di dodici e tredici anni; i maggiori sono maestri, per tradizione, dei più giovani mentre le persone anziane, almeno un tempo, controllavano severamente la corretta conservazione del rito. I canterini si presentano alla porta dei visitandi abbracciandosi in stretto cerchio, tutti col capo rivolto verso il centro e ben tenuto in basso (lo solleveranno alla fine del canto di questua, dove inizia il verso alza le mu∫e (cioè alza il viso, il muso) e abbassa le lugàneghe (le salsiccie che stanno appese in alto). All’inizio della finale richiesta di cibo i ragazzi battono velocemente e a ritmo i piedi sul pavimento quasi in una specie di danza attinente peraltro al senso del testo. La melodia è semplice e differente tra la parte del racconto cristiano e quello della questua. La narrazione viene svolta a mo’ di nenia e il dettato musicale è solamente indicativo poiché la lunghezza delle note varia, a volte, in funzione delle esigenze del testo di cui si sono trovate altre varianti non significative. Abbiamo racolto una versione a memoria di alcune persone anziane di Quantin ed una diretta del rito dei giovani, leggermente più confusa e con qualche riferimento in meno. Entrambe sono molto suggestive. 9. Canti del Bon santo an Nella zona alta dell’Alpago, a Tambre, verso il Cansiglio, il Cantar le lugàneghe è sostituito, con analogo senso, dal Bon santo an. Anche qui si annuncia la nascita del Messia e se ne narrano vita e passione. La parte centrale è molto simile (a tratti identica) a quella dell’altra Stella nota col nome de La bonasera l Signor ve done di Fener (vedi canti successivi), assai conosciuta nella pedemontana vicentina con diversi nomi (Brian Zamboni 1997: 22, 54). Sacro e profano si confondono poi nel ritornello della questua invocante, anche questa volta, le lugàneghe. I canterini si annuciano, bussando di porta in porta, tutti insieme gridando cantóne o no cantóne? 205 (cantiamo o non cantiamo?) nel chiaro intento di saggiare la disponibilità degli ascoltatori. Ricevuta risposta affermativa entrano, si inginocchiano ed iniziano con un recitativo: in nomine Patri, Filio, Spirito Santo... BON SANTO AN lezione di Tambre d’Alpago, 1978, ArchivioAudio Secco G. BCDM35/08 q r j r j r j 3 b & 4 Œ ‰ . œ œ . œ œ œ . œ œJ . œR œ œj . œr œj . œr œj . œr œ œ . œr œj . œr . œ œ œ = 156 1 Tambre di Alpago (BL) 1978 1. La bo - na - se - ra a voi qua den- tro, pri- ma al pa - ron de ca- sa o - gni mo- men - to: no - te de Na - da - le che Dio fu j r na - to, al di de San - ta Ej- ler- naj fur baj - ter- sa r j r j r r j ‰. œ . œ œ œj œr œj œr œj œr œ . œ œ . œ œ . œ œ . ˙.. œ. & b ˙. œ œ . œ œ . œ ˙. œ . œ ˙. . ˙. la - 6 to; œ œ U j r œœ . œ œ j r j r j r j r 1. œ œ œ œ . . . . ‰ b œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ . & œ œ. œ J R œ .. œ œ .. œ œ œ .. œœ œœ .. œœ œœ .. œœ ˙˙ R J R 11 per ba - te sa - re No - stro Si - gno - re, e cre - se - ma - re il pe - ca - to j r j r j r j r ? Œ ‰. œ œ. œ œ. œ œ. œ b R J R œ œ. œ œ. œ œ J R J R œ œ. œ œ. œ œ 2. r j r j r & b Œ ‰ . œ œ . œ œ œ . œ œJ . œR .. œœ .. œœ ˙˙ 16 2. San- ta ? Ma - ri - a, ∑ b no a- ver ∑ pa ce - lo; .. œ ˙ j r j r j r j r & b œœ .. œœ œœ .. œœ œœ .. œœ œœ œœ .. œœ œœ .. œœ œœ .. œœ ˙˙ 21 na - to, co la fla - ge - la fu fla - ge - la ? œ . œ œj . œr œj . œr œ œj . œr œj . œr œ b 206 - to, ˙ la co - lo - r j r Œ ‰. œ œ . œ œ co - ro r j r œ ‰. œ œ . œ œ na ˙ - fu in- co - lo - j r j r œ. œ œ. œ j œœ .. r j r œœ ‰ . œœ œœ .. œœ œœ co la re j r j r œœ .. œœ œœ .. œœ Œ ‰ . œœr œœj .. œœr œœ a - na j œ. r j œœ œœ .. fu in co r j œ œ. r œœ - ro - r œ j r j r j r j r & b œ .. œœ œœ .. œœ œœ .. œœ œœ œœ .. œœ œœ .. œœ œ .. œœ ˙˙ œ œ na - to, e co la lan - cia poi fu lan - cia ? b œ . œ œj . œr œj . œr œ œj . œr œj . œr œ 31 & b œœ j r j r œœ .. œœ œœ .. œœ œœ san - gue, ?b œ ma o - io to; no l'e - ra de la ˙ Qua - re - a r j r œ ‰. œ œ . œ œ j r j r r œœ .. œœ œœ .. œ œj . œœ ˙˙ œ œ. San - to j r j r œ. œ œ. œ œ - j r œœ .. œœ œœJ .. œœ ‰ . œœ œœ .. œœ œœ RJ R 26 se - ma. j r j r j r œ. œ œ. œ œ. œ ˙ - qua, no l'e œœ R - j j Œ œœ œœ œœ œœ œœj .. œœr œœj .. œœr Bon San - to an, San - to an U j r œ. j r j r j r j r j r & b œœ ‰ . œœ œœ .. œœ œœ œœ .. œœ œJ . œœR œœ .. œœ œœ .. œœ œœ .. œœ œœ œœ .. œœ œœ .. œœ œ .. œœ ˙˙ œ J R R J R Pa- ron, pa - ron de que - la ca - ne- va por- té - me fo - ra u - na lu - ga - ne - ga. U ?b ‰ . œr œj . œr œ œj . œr œj . œr œj . œr œj . œr œj . œr œ œj . œr œj . œr œj . œr ˙ œ j r œ. j r j r j r j r & b œœ ‰ . œœ œœ .. œœ œœ œœ .. œœ œJ . œœR œœ œœ .. œœ œœ .. œœ œœ œœ .. œœ œœ .. œœ œ .. œœ ˙˙ œ R J R 41 Pa- ron, pa - ron del ca - ne - vin, por- té - me fo - ra n bo - cal de vin! ? œ ‰ . œr œj . œr œ œj . œr œj . œr œ œj . œr œj . œr œ œj . œr œj . œr œ . œ ˙ b rit. 46 &b Œ œœ Bon ? Œ b œ j j œœ œœ œœ San - to an, j j œ œ œ U j r j r ˙ . . œœ . œœ œœ . œœ ˙ .. San - to an del del Œ œ œj œj œ œj . œr œj . œr 36 bon! ra j r j r œ. œ œ. œ bon! j r j r U œ. œ œ. œ ˙ . 207 1. La bonasera a voi qua dentro, prima a l paron de ca∫a ogni momento: La buonasera a voi qui dentro, prima di tutto al padrone di casa: 2. la note de Nadal che Dio fu nato, a l di de Santa Elena fu bate∫ato; la notte di Natale è nato Iddio, il giorno di Sant’Elena fu battezzato; 3. per bate∫are Nostro Signore, e cre∫emare il pecatore; per battezzare Nostro Signore, e cresimare il peccatore; 4. Santa Maria, no aver paura; Santa Maria fu spaurata; Santa Maria, non aver paura; Santa Maria fu confortata; 5. (nell’originale, invertito con la strofa 6) il Re de l celo in corpo è stato per nove me∫i sensa pecato; il Re del cielo è stato nel suo corpo per nove mesi senza peccato; 6. no siamo mica noi cani giudei ma siamo angeli su ne l celo; noi non siamo cani giudei ma siamo angeli su nel cielo; 7. a la colona fu incolonato, co la flagela fu flagelato, alla colonna fu incolonnato, con la flagella fu flagellato, 8. (a volte le strofe 7 e 8 sono compresse, come nell’originale) co la corona fu incoronato, e co la lancia poi fu lanciato; con la corona fu incoronato, e con la lancia poi fu colpito; 9. (nella versione riportata la strofa è omessa) no l era aqua, no era sangue, ma oio Santo per la Quaré∫ema. non era acqua, non era sangue, ma olio Santo per la Quaresima. Ritornello Bon Santo an, Santo an del bon! Buon Santo anno, Santo anno davvero! Canto di questua Paron, paron de quela càneva, porteme fora una lugànega. Padrone, padrone di quella cantina, portatemi fuori una salsiccia. Paron, paron de l canevin, porteme fora n bocal de vin! Padrone, padrone di quel cantinino, portatemi fuori un bicchier di vino. Ritornello Bon Santo an, Santo an de l bon! 208 Buon Santo anno, Santo anno davvero! Una versione del canto, intermedia tra le due in precedenza citate, è la seguente, intitolata La bonasera o Bon e Santo An cantata dai ragazzi di San Martino di Alpago. Anche questa presenta talvolta un recitativo gridato il cui senso sembra piuttosto satirico ed estraneo alle frasi successive: Se l òn l é tananai, la fémena ghe vende lugànega e peze de formai! BON E SANTO AN lezione di San Martino d’Alpago, 1996, Archivio audio Secco G. BCDM36/09 1. Ve don la bonasera a voi che sté qua rento, prima a l parón de ca∫a ogn ora e ogni momento. Bon e Santo an, e bon e Santo an! Diamo la buonasera a voi che siete qui dentro, prima al padrone di casa ad ogni ora e ogni momento. Buon e Santo anno, e buon e Santo anno! 2. E dentro de ste porte ghe nasca na corona: crese le robe bone davanti a la paróna. Bon e Santo an, e bon e Santo an! Dentro queste porte nasca una corona: crescano le cose buone davanti alla padrona. Buon e Santo anno, e buon e Santo anno! 3. E dentro de ste porte ghe nasca na radi∫a: crese la roba bona davanti la nuiza. Bon e Santo an, e bon e Santo an! Dentro queste porte nasca una radice: crescano le cose buone davanti alla novizza. Buon e Santo anno, e buon e Santo anno! 4. E dentro de ste porte ghe nasca un gremelin: crese la roba bona davanti a l fantolin. Bon e Santo an, e bon e Santo an! Dentro queste porte nasca un grembiulino: crescano le cose buone davanti al fanciullino. Buon e Santo anno, e buon e Santo anno! 5. Paron de questa caneva, portéme na lugànega; parón de l canevin, porté n bocal de vin. Bon e Santo an, e bon e Santo an! Padrone di questa cantina, portatemi una salsiccia; padrone del cantinino, portate un boccale di vino. Buon e Santo anno, e buon e Santo anno! 209 6. Cioléme la cariola, paréla là de fora, paréla su la schena, laséme andar a zena. Bon e Santo an, e bon e Santo an! Prendetemi la carriola, spingetela la fuori, mettetela sulla schiena, lasciatemi andare a cena. Buon e Santo anno, e buon e Santo anno! 7. Ciolé al cortelón taié(me) an bel pesón, no sté a taiar al oso, che ro∫egar no poso. Bon e Santo an, e bon e Santo an! Prendete un coltellone, tagliatemi un grosso pesce, non tagliatelo all’osso, che non posso rosicchiarlo. Buon e Santo anno, e buon e Santo anno! 8. Ciolé la roncadela, taié da bas, in tera, se no podé da voi, aséne far a noi. Bon e Santo an, e bon e Santo an! Prendete un roncola, tagliate in basso, a terra, se non potete farlo da voi, lasciate fare a noi. Buon e Santo anno, e buon e Santo anno! 9. Pé-ston! Pestó-on! che mi ò fret a i pié, oàltri sié su l leto, a mi no me credé... Bon e Santo an, e bon e Santo an! Pestiamo pestiamo! che ho freddo ai piedi, voi siete a letto, e a me non credete... Buon e Santo anno, e buon e Santo anno! 10. Alza la mu∫a e ∫basa le parade, tira le coltrine le pute inamorade! Bon e Santo an, e bon e Santo an! Alza il viso e abbassa le stanghe (delle salsiccie), tirano le tendine le ragazze innamorate! Buon e Santo anno, e buon e Santo anno! 11. Dare o non dare che qua no s à da stare; altri ne speta e noi dobiamo andare. Bon e Santo an... e arivéderse a un altro an! Dare o non dare che qui non dobbiamo stare; altri ci aspettano e noi dobbiamo andare. Buon e Santo anno… e arrivederci a un altr’anno! 210 Altro canto di medesima matrice, bellissimo per la sua umanità, è noto nel basso bellunese (Fener, Quero) e nella fascia prealpina trevigiana col nome di La Bonasera o La bonasera l Signor ve done (la buona sera il Signore vi doni) che in taluni luoghi diventa La bonasera signore done (la buona sera alle signore donne), quasi un saluto alla famiglia che si va a visitare portando l’annuncio. Si ritrovano, nel testo, frasi comprese sia nel Cantar le lugàneghe che nel Bon santo an appena visti, pure se il caso presente sembra il più completo. L’allusione finale alla stella dell’oriente, lega poi questo gruppo di canti a quelli riferiti più specificatamente all’annuncio stellare e alla testimonianza dei Re Magi . Non a caso i canterini si presentano inalberando la stella, illuminata posteriormente da candele. Per la maggior parte dei canto si alternano due diversi cori o coro e solista che esegue, nel caso, i versetti dispari. LA BONA SERA L SIGNOR VE DONE lezione di Fener (BL) 1960, (adattamento dei Belumat da fonte originale), Archivio Audio Secco G. BCDM99/12 q = 63 3 # 2 j j j j jœ œ œ & 4 œœ œœ œœ œœJ œœ œœ œJ œJ œœJ .. œ 1 Fener (BL) 1980 1. La bo - na se- ra l ? # 24 Si- gnor ve ∑ do .. ∑ 3 j j j j j œœ œœ œœ œœ œœ œœ œœJ œœ œœ J J J œœ .. œœ œœ ˙˙ - ne, ∑ la ∑ bo - na se - ra l Si- gnor ve œ œ œ œ œ J J J J J œ œ œ œ J J J J 3 Da 1 a 12 # & œœ 7 do ?# ˙ œœ .. œœ œœ ˙˙ - ne; ˙ j 3j j j j œ œœ œœ œœ œœ œœ œœ Jœ Jœœ œœ .. œœ J J 13. rit. che de Na - dal, ∑ Si - gnor l é ∑ do .. ˙ U œœ .. œœ œœ ˙ - ne. U ˙ 211 La bona sera l Signor ve done; la bona sera l Signor ne done; che de Nadal, Signor l é nato; Pasqua Pifània fù bate∫ato: solo nel tenpo (tenpio) l era sperduto, in me∫o a l mondo l àn ritrovato; per trenta soldi l àno tradito, a la colona streto e legato; davanti a Erode l àno batuto; e su la Croce l àno metuto; po co tre ciodi l àno inciodato; e co la lancia l àno lanciato; no l era aqua, no l era sangue ma l olio Santo di quela piaga; per bate∫are Nostro Signore e cre∫emare il pecatore; Santa Maria no aver paura che siamo noi li Angeli Dei; il Re de l celo in corpo è stato per nove me∫i sensa pecato; e co l é nato na grande stela se ne conparve da oriente bèla, e per mostrare Ge∫ù inocente; questa l é ca∫a de bona zente; vegnemo inànzi siore paróne: la bonasera Signor ve done. La buona sera il Signore vi doni; la buona sera il Signore vi doni; che di Natale, il Signore è nato; all’Epifania fu battezzato: solo nel tempio s’era sperduto, in mezzo al mondo l’han ritrovato; per trenta soldi l’hanno tradito, alla colonna stretto e legato; davanti a Erode l’hanno battuto; e sulla Croce l’hanno messo; poi con tre chiodi l’hanno inchiodato; e con la lancia l’han trapassato; non era acqua, non era sangue ma olio Santo quel che usciva dalla piaga; per battezzare Nostro Signore e cresimare il peccatore; Santa Maria non aver paura che siamo noi gli Angeli di Dio; il Re de l cielo in corpo è stato per nove mesi senza peccato; e quando è nato, una grande stella se ne comparve dall’oriente, bella, e per mostrare Gesù innocente; questa è una casa di buona gente; veniamo innanzi signore padrone: la buonasera il Signore vi doni. 10. Stelle d’altri tempi e luoghi Mi sembra interessante riportare, a questo punto, due altri modelli di Stella, trovati in Brasile. La prima sembra provenire dalla zona feltrina di Fonzaso, indicata come quella di provenienza dei bisavoli dei cantori. La seconda, che ha termini chiaramente presi dalla parlata vicentina, sembra la più completa e contiene interessanti accenni ai balli popolari d’epoca (furlana e polesana). La persistenza di questa tipologia di canto (Stella profana) anche nel Vicentino è ben documentata (Brian Zamboni 1997: 100-107). In entrambi i brani, la parte religiosa è pressoché inesistente ma vi è una bella descrizione della stella brandita dal capogruppo. La straordinaria contiguità dei due pezzi col dettato del Cavassico impone di sottolineare come la parte profana dei riti, quella riferita al cibo, rimanga sempre in primo piano nella visione popolare dei canti di questua. 212 CARE DONE L É QUA LA STELA (LA STELA DE LEGNO) lezione di Serafina Correa (RS) Brasile 1997, Archivio Audio Secco G. BCDM55/02 q = 124 1. Ca - b j r & b œ . œ œ. re do 6 ta ∑ b œ &b œ œœ J 11 dé œ de car ? b b - - j œœ b œœ œœ œ œ & b J J œJ Jœ œœ 16 che bel in - dé ? b b œj œj œj œj œ j œ. 2. Se r œ œ - mo qua ∑ la ˙ - gno: ∑ œœ œœ œ dé l è qua ∑ œ J ? bb ste le œ J & ne ta e ma ? bb œ - œ na bb œ œ gno, 21 j r œ . œ œ . œ .. œ b 2 j r &b 4 œ . œ œ 1 Serafina Correa (RS) 1997 - ra - œœ J - j œœ 1.2.3.4. œœ na ma œ J œ J œ ∑ œœ J oh var j œ ˙˙ - ˙ œœ œœ ra œ - œœ vé - œœ bo - na no œ œ fa - - dé che bel in - j j j j œ œ œ œ œœ .. œœ J oh var j œ ˙˙ ia œ œœ zé œœ œœ œ œ J J œJ œJ œ. œ rit. .. œ la œœ .. 5. œ .. œœ la; ia, œ gno, na gran - j r œ. œ œ œ. œœ vé œ j r œ . œ œ. co œœ - ˙ - œ ˙ œœ ˙˙ te! œ ˙ 213 - Care done l é qua la stela; la zé fata de carta e legno: oh vardé che bel indégno, na meravilia, oh vardé che bel indégno, na meravilia! Care donne è arrivata la stella; è fatta di carta e legno: oh guardate che marchingegno, una meraviglia! oh guardate che marchingegno, una meraviglia! Semo fati de una familia, e di quatro o di sei compagni: se faremo de i guadagni, li spartiremo; se faremo de i guadagni, li spartiremo! Siamo qui con una grande famiglia, di quattro o di sei compagni: se faremo dei guadagni, li spartiremo; se faremo dei guadagni, li spartiremo! Il documento sonoro registrato termina a questo punto. I successivi versi sono stati rilevati in seguito. De no∫èle no ghe n volémo parché avemo i denti ciari, noi volemo bosoladi e de le fugase; noi volemo bosoladi e de le fugase! Nocciole non ne vogliamo perché abbiamo i denti radi, noi vogliamo ciambelline e focacce; noi vogliamo ciambelline e focacce! E se ancora no ve bastase, dene pura n bicer de vino, ma di quelo mar∫emino che l bevarémo; ma di quelo mar∫emino che l bevarémo! E se ancora non vi bastasse, dateci pure un bicchier di vino,, ma di quello marzemino che lo berremo; ma di quello marzemino che lo berremo! E noaltri ve ringrasiemo de la grasia e de l favore ed insieme co l Signore la bona note; ed insieme co l Signore la bona note! E noi vi ringraziamo del dono e del favore ed insieme col Signore, la buonanotte; ed insieme col Signore, la buonanotte! 214 CARE DONE É QUA LA STELA lezione di Saõ Marcos (RS) Brasile 1997, Sorelle Bianchi; Archivio Audio Secco G. BCDM55/1 q = 90 # j j j j j j j j r r j & 24 ‰ œr œr œ œ œ œ œj œ œ .. œ œ œ œ œ œj œ 1 San Marcos (RS) Brasile 1997 1. Ca- re 6 & # j. œ œ œ œœ . œ œ œ R J J oh ? # œJ . var - dé do - ne che bel œ œ œ R J J in - dé - gno, na & ?# 8. œ J œ J vé - E se no l œ. J œ œ œ R J J ? # œ. J ra - vé œ J œ - se no l fa fa œ œ œ R J J ia! oh œ. J œ fa - rà le va œ œ œ œ œ œ J J J R R J œ J œ va - ca - ro fa - rà le va œ œ œ œ œ œ J J J R R J œ J œ œ œ œ R J J var - dé che œ œ œ R J J la me fa - me - ia .. ∑ œ J œ va - ca - ro co ∑ rà l gno: j j œj œr œr œj œj œ œj .. œ 2. Son qua œ J rà l - œ. J œ œ œ œ œ œ J J J R R J - le ˙˙ ‰ œ Jœ œJ Rœ œR œ J J - car - ta e ˙ rit. œ œ œ R J J de ˙ te! E œœ ia! œ œ œ œ R J J ˙ œœ J ˙ œ. J # . & œJ ma - fa - ta Da 1 a 7 œ ˙ 21 ste - la in - dé - gno, na ma - ra - ? # œJ œJ Jœ œR œR œ J # la œ œ œ œ œ œ J J J R R J # œ œ œ œ œ œ & J J J R R J 16 qua œœ œœ œœ œœ œœ œœ J J J R R J 11 bel ze ˙ ˙ - che! ˙ U ˙ - che! U ˙ 215 Care done xé qua la stela fata de carta e legno: oh vardé che belo indégno, na maravéia! Care donne è qui la stella fatta di carta e legno: oh guardate che bel marchingegno, una meraviglia! Son qua co la me faméia de i dóde∫e conpagni: e i guadagni che faremo, li spartiremo! Sono qui con la mia famiglia di dodici compagni: i guadagni che faremo, li spartiremo! No∫èle no ghe n volémo parché gh émo i denti ciari, (ma) de i grostolini amari e de le fugase! Nocciole non ne vogliamo perché abbiamo i denti radi, ma dei galani senza zucchero e delle focacce! Son qua co le mie ragase, per fare una forna∫a (furlana) e po dopo na polegana (polesana) par justar tuto! Sono qui con le mie ragazze, per ballare una furlana, ed anche una polesana per finire la serata! Du soldi de parsuto e una panseta grasa, e se la ve pare masa … tiré pa l spago! Due soldi di prosciutto e una pancetta grassa, e se vi sembra troppo … risparmiate sullo spago! Du soldi de formaio de quelo pe∫entino (pia∫entino); e do bote de bon vino de (quelo) moscatèlo! Due soldi di formaggio di quello Piacentino e due botti di buon vino di quello moscatello! Due lóndre de vedèlo, par fate (pasade) de soto banca, e na colombina bianca (par fata) de sucro e late! Due lonze di vitello, magari prese sottobanco, e una colombina bianca di zucchero e latte… e se no l farà l vacaro l farà le vache, e se no farà l vacaro l farà le vache! e se non lo farà il vaccaro lo faranno le vacche, e se non lo farà il vaccaro lo faranno le vacche! Sempre in Brasile, a Guaporè (Rio Grande do Sul), abbiamo recuperato un altro canto che attiene in qualche modo al modello appena accennato essendo introdotto però da una strofa presa da un’altra stella natalizia assai famosa, nota con svariati nomi: da La pastorèla a Siamo qui co la gran Stela, da Caminando giorno e note a Questa note è nato in terra (Secco 1986: 80-85; Brian-Zamboni 1997: 117-123), peraltro presente anch’essa in Brasile (Costa-Battistel 1983: 760) col nome di La Stela. 216 SEMO QUA CON LA GRAN STELA lezione raccolta da Soccol S. e Secco G. nel 1988 (testo recitato) da Candida Cataneo Mercalli di Guaporè, Rio Grande do Sul, Brasile Archivio Audio Secco G. BCDM54/24 1. Semo qua con la gran stela par dorar Maria e Ge∫ù, semo qua co la novèla che zé nato el re del cel. Siamo qui con la grande stella per adorare Maria e Gesù, per portare la novella che è nato il Salvatore. 2. No∫e e no∫ele no ghin volemo parché ghemo i denti ciari: volemo carne da becari o salami ben insacà, Noci e nocciole non ne vogliamo perché abbiamo i denti radi, vogliamo carni da macellai o salami ben insaccati, 3. o sinò luganeghéte o sinò quel che volì, o panseta o bre∫ole qualche co∫a porté qua. o sennò delle salsiccine, oppur quello che volete, siano pancette o braciole purché portiate qualcosa. 4. Se par ca∫o no gh é gnente, deme pure na palanca: co la drita o co la sanca co na man, portela qua! Se per caso non c’è niente (da mangiare), datemi pure del denaro: con la destra o la sinistra non importa con che mano, ma portatelo! 5. E noantri cari paróni ve ringrasiemo tanto de la grasia e del fagoto e se min dése n antro goto semo belche incontentà. E noi, cari padroni di casa, vi ringraziamo tanto della gentilezza e del donato e se ci deste un altro bicchiere di vino, saremmo già contenti. Vi è ancora una ulteriore Stella trovata di qua e di là del mare. L’interpretazione popolare di questa Natività è significativa coniugando, nel canto, aspetti di favola, com’è nella prima parte con la figura di San Giuseppe pronto a difendere, con piglio quasi militare, l’ampliata famiglia, ed altri pieni di poesia com’è nell’immagine dei cammelli che si inginocchiano per mettere a disposizione le dèrle, le gerle piene di doni. È curioso osservare come si siano ottimamente integrati gli elementi storici originali e quelli locali (lo schioppo, le gerle). Il motivo del canto, noto col titolo di Cosa l é sta carovana, appare assai semplice, quasi una ninna-nanna ed è probabile sia stato utilizzato anche con questa finalità. In Brasile è utilizzato come canto di questua pur non prevedendo richieste specifiche. 217 LA CAROVANA lezione di, Mel, BL, 1992 , (adattamento dei Belumat da fonte originale), Archivio Audio Secco G. BCDM99/04 q . = 62 j 6 Œ. b ‰ œœ œœ œœ & 8 J Mel (BL) 1992 ? 6 Œ. b 8 j & b œœ œœ 5 ? b œj œ 9 & b œœ .. là. ? b œ. 13 & b œœ .. 218 œ. œ San Giu se œ J San Giu ‰ œœ J - j œœ 2. Nien - te œ J - œ J ca cia - pe cia - œœ nien œ œœ pa l s_cio - te, pa l s_cio j œ sta œ œ J - po el ghe di di j œ œ j œ œ - j œœ j œœ œœ ra tan j œ œ - j œœ œœ j œœ ti ga - de œ œ J - se al to j œ - - bon. ˙. to j œ œ j œ j œ œœ œ j œœ se al j œ œ ˙˙ .. j œ j œœ j œœ œœ 1.2.3.4.5. ghe te le œœ el rit. j œ .. œ œœ J œœ j œœ .. œœ van - œ œœ J po œ vien j œ œ j œœ œœ - œœ ‰ œJ œJ j œ œ 6. - che j œœ œœ œ œœ j œœ œœ va - na œœ J œœ J j œ œ œ - j œ j œœ œœ - ro j œ .. œj œ j œ œ œ se - œ J œ pe œœ œ J j j œ œ ‰ - sta j œœ œœ œœ j j œ œ ‰ là. ?b ‰ Jœ œJ œœ J ‰ ‰ lè œœ J ‰ lo - po? 1. Co - sa j ‰ œœ œœ J j . j œœ . œœ œœ j œœ œœ 1 - to j œ Co∫a l é sta carovana che vien vanti de galopo? San Giu∫epe ciapa l s-ciopo e l ghe di∫e alto là. Cos’è questa carovana che viene avanti al galoppo? San Giuseppe prende lo schioppo e poi dice: alto là. Niente niente, state buoni, che noi siamo i tre Re Magi, molto onesti e molto sagi e crediamo nel Signor. Niente niente, state buoni, che noi siamo i tre Re Magi, molto onesti e molto saggi e crediamo nel Signore. Abian leto ne le carte, abian leto ne le stele, che tra l popol d I∫raele era nato il Redentor. Abbiamo letto nelle carte, abbiamo letto nelle stelle, che tra il popolo d’Israele era nato il Redentor. I cameli se indenocia, i descarga do le dèrle, i de∫monta oro e perle... mira e argento i tira do. I cammelli si inginocchiano, scaricano le loro gerle, scaricano oro e perle... mirra e argento tirano giù. I ghe porta tuto quanto a l banbin che dorme chiéto ne la grepia, povereto, e che l era tanto bon. Portano tutto quanto al bambino che dorme quieto nella greppia, poverino, e che era tanto buono. 219 LA CAROVANA (LA PASTORELA) lezione di Nova Araçà, Rio Grande do Sul- Brasil raccolta da Soccol S. e Secco G. nel 1998 dalla voce di Assunta Frigo Spadotto Archivio Audio Secco G. BCDM54/12 Su pastori e pastorèle, adoremo l Redentor che vien zo da le so stele come nostro Salvator. Su pastori e pastorelle, adoriamo il Redentore che viene giù dalle sue stelle come nostro Salvator. El zé nato a Betelème ne la stala de splendor. I Re Magi porta gème: oro, argento e mira ancor; È nato a Betlemme nella stalla di splendore. I Re Magi portano gemme: oro, argento e mirra ancor; Cosa zé sta carovana che vien vanti de galopo? San Giu∫epe ciapa l s-ciopo e l ghe dize chi va là. Cos’è questa carovana che viene avanti al galoppo? San Giuseppe prende lo schioppo e le dice: chi va là. Niente niente, resta chieto, che noi siamo i tre Re Magi, semo vèci e semo sagi e adoremo l Redentor. Niente niente, resta quieto, che noi siamo i tre Re Magi, siamo vecchi e siamo saggi e adoriamo il Redentor. 220 Riferimenti bibliografici ANGOLETTA, L. 1924. Tradizioni Venete, Treviso. BERNARDI, U. 1975. Una cultura in estinzione, Venezia. ––– 1981. Abecedario dei villani, Editoriale Altri Segni. BERNONI, G. B. 1875. Tradizioni popolari veneziane, Venezia. BELLÒ, E. 1994. El panevin, Treviso. BRIAN, M. e ZAMBONI D. 1997. La buona sera signori e done. Canti e tradizioni natalizie in provincia di Vicenza, Bassano del Grappa. CHIOCCHETTI, F. (a cura di) 1995. Musica e canto popolare in Val di Fassa = Mondo ladino XIX. CHIOCCHETTI, F. (a cura di) 1996. Musica e canto popolare in Val di Fassa = Mondo ladino XX. CIBELE NARDO, A. 1887. Tradizioni popolari bellunesi, Palermo. COLTRO, D. 1987. Cante e cantàri, Venezia. ––– 1976. Paese perduto (vol. II-III), Verona. CORNOLDI, A. 1968. Ande, bali e cante del Veneto, Padova. COSTA, R. e BATTISTEL, A. 1983. 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