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IL SOSTEGNO
AGLI ALLIEVI DISABILI
La tutela dei diritti garantiti dalla legge quadro 104 del 192 è un
vanto dell’Italia: la legge, nel giro di pochi anni, ha aiutato a cambiare
l’atteggiamento della società italiana nei confronti dei portatori di
disabilità. Ma la sua applicazione presenta luci e ombre
L’Italia lungimirante:
una scuola per tutti
L’articolo 34 della vigente Costituzione recita: “La
scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I
capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno
diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Tralasciando il discorso relativo all’obbligo scolastico (lungimirante, alla luce degli sviluppi degli ultimi
anni, è quell’“almeno” contenuto nell’articolo), la
Legge 104 del 1992 riprende l’idea della scuola aperta a tutti e del diritto all’istruzione in ogni ordine e
grado, quando nell’articolo 12 si legge: “E’ garantito
il diritto all’educazione e all’istruzione della persona
handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle
classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie”.
Se l’articolo 12 della Legge-quadro può essere considerato la conciliazione più chiara e definitiva, almeno
in ambito normativo, tra un diritto fondamentale e il
concetto di integrazione, in mezzo ci sono una serie
di atti normativi e provvedimenti regolamentari che
assumono un ruolo principale in vista dell’avvenuta
conciliazione. La Legge-quadro, per sua stessa definizione, li raccoglie come testo unico. Riassumendole, in ordine cronologico, si tratta dei seguenti:
Legge 118 del 1971 sull’assistenza, la mobilità e
l’inserimento scolastico;
Legge 517 del 1977 sull’integrazione scolastica
nella scuola dell’obbligo;
DPR 616/77 sull’assistenza scolastica;
Circolare Ministeriale 199/79 sulle forme particolari di sostegno;
Legge 270 del 1982 riguardante l’integrazione
nella scuola materna;
Circolari Ministeriali 258/83 e 250/85 sulle
intese tra scuola ed enti locali;
Circolare Ministeriale 1/88 sulla continuità
educativa.
Oltre a tali provvedimenti vanno ricordate la Legge
833 del 1978 che disciplina la riforma sanitaria (ci
limitiamo in questa sede a menzionarla come uno
dei riferimenti della L. 104; il discorso sui rapporti
fra enti locali, scuola e servizio sanitario - trattato anche nella Circolare Ministeriale 262/88, che cerca di
andare oltre le intese di cui alla CM 258/83 - meriterebbe un esteso approfondimento a parte) e la Sentenza della Corte Costituzionale n. 215/87.
Il giudizio costituzionale riguardava un ricorso al
TAR del 1986, intentato da una studentessa bocciata
a cui un istituto aveva negato la ripetenza dell’anno.
Il ricorso fu vinto, in quanto la decisione dell’istituto
andava contro gli articoli 2, 3, 34 e 38 della Costituzione italiana. La sentenza n. 215/87 risulta importante perché riafferma alcuni principi basilari: in età
evolutiva nessuna persona può essere ritenuta irrecuperabile e l’integrazione scolastica costituisce un
importante fattore di recupero. Ai fini dell’apprendimento e della socializzazione, ricorda la sentenza, è
necessario tenere conto delle peculiarità individuali
anche perché, per salvaguardare il principio di ugua-
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glianza sancito dell’articolo 2 della Costituzione, a
situazioni diverse occorre rispondere con soluzioni
diverse.
La sentenza fu seguita dalla Circolare Ministeriale
22 settembre 1988 n. 262, che ne disciplinò l’applicazione, istituendo tra l’altro un osservatorio permanente sull’integrazione scolastica. L’attuazione della
sentenza, grazie alla suddetta Circolare, è importante perché assicura ai disabili il percorso di studi
superiori. La Circolare Ministeriale 4 gennaio 1988
n. 1, sulla continuità educativa nel processo di integrazione, dà disposizioni per l’accoglienza dell’allievo disabile nel passaggio dall’uno all’altro ordine di
scuola, suggerendo la possibilità che l’insegnante di
sostegno della scuola di provenienza affianchi per
un certo periodo quello della nuova classe.
Il docente di sostegno:
chi e per chi
Per avere una prima definizione di “insegnante di
sostegno” occorre attendere la Circolare Ministeriale n. 199 del 28 luglio 1979. La dicitura viene presentata come “ormai invalsa nell’uso comune”, anche se la Legge 517 non ne parlava in tali termini.
La Circolare auspica una organica qualificazione dei
cosiddetti “insegnanti di sostegno”, dato che occorre
personale che sia in grado di “rispondere ai bisogni
educativi degli alunni con interventi calibrati sulle
condizioni personali di ciascuno”. Ulteriori disposizioni riguardanti tale figura professionale sono
contenute nella Legge 20 maggio 1982 n. 270, nella
quale alle dotazioni organiche dei ruoli provinciali
vengono aggiunti i posti di sostegno in ragione di
uno ogni quattro allievi certificati.
Quanto agli “interventi calibrati sulle condizioni personali di ciascuno”, un passo importante è costituito dalla Circolare Ministeriale 22 settembre 1983 n.
258: in essa è contenuto il riferimento al piano educativo individualizzato, il quale viene predisposto in
un contesto di sempre maggiore intesa tra le autorità scolastiche e sanitarie ai fini dell’integrazione,
perché ognuno possa attuare “la piena realizzazione
del diritto allo studio” (C.M. 358/83, allegato I, 1).
Nei “Criteri generali” della Circolare appena citata,
è scritto che il PEI non deve sostituire la scheda di
valutazione o il libretto sanitario, ma deve “favorire
gli interventi interprofessionali previsti dalla legge
517/77”.
Interviene nella medesima direzione la Circolare
Ministeriale 3 settembre 1985 n. 250, che intende,
fra l’altro, orientare la diagnosi funzionale ai fini
dell’integrazione, in modo che da essa emergano e
siano valorizzate le peculiari potenzialità dell’individuo. La Circolare n. 250, riprendendo un’esigenza
manifestata nella precedente, sollecita le intese fra
enti locali, scuola e sanità, in modo che agli allievi
disabili siano garantiti materiali e sussidi didattici
necessari. Inoltre, tutti i docenti devono farsi carico
dell’attuazione e della verifica del piano individualizzato.
La Legge-quadro fa tesoro di tutte le conquiste sin
qui enunciate, arricchendole di precise indicazioni
procedurali ed elencando gli strumenti per l’attivazione dell’integrazione scolastica. Si tratta:
dell’individuazione dell’alunno disabile come
tale, derivante da un accertamento clinico
specialistico;
della diagnosi funzionale a corredo della certificazione, che evidenzi le potenzialità dell’allievo;
del profilo dinamico funzionale, redatto dai
docenti curricolari e specializzati e sottoposto
a verifica periodica;
del piano educativo individualizzato;
degli accordi di programma che devono sottoscrivere i servizi territoriali rivolti agli handicappati;
dei gruppi di lavoro a livello provinciale (GLIP
e Gruppi H) e di quelli di studio e lavoro presso i circoli didattici e gli istituti.
“Negli ultimi anni il quadro normativo è cambiato: le
competenze si sono sempre più spostate verso gli enti
locali, sanitari, le scuole in regime di autonomia”
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“La figura dell’insegnante di sostegno si è arricchita di competenze e ha
consolidato un ruolo attivo sulla strada dell’integrazione. Ma spesso
viene trattato dagli altri docenti come un semplice sorvegliante”
Negli ultimi anni il quadro normativo è cambiato:
sono state abrogate le norme sul numero minimo di
alunni e sul numero minimo di insegnanti di sostegno; sono stati soppressi i Provveditorati agli Studi e
le Sovrintendenze Scolastiche; le competenze si sono
sempre più spostate verso gli enti locali, sanitari, le
scuole in regime di autonomia (Cfr. S. Nocera, Il diritto all’integrazione, cit., pag. 23). Dal prossimo anno,
infine, i genitori dovranno fare riferimento per le certificazioni direttamente all’INPS.
Merita di essere ricordata anche la Legge 28 gennaio 1999 n. 17, ad integrazione e modifica della Legge 104, che disciplina l’integrazione a livello di studi
universitari, istituendo la figura del tutor, il quale, fra
l’altro, propone prove equipollenti per il superamento degli esami universitari; garantisce sussidi tecnici
e didattici specifici agli studenti handicappati; istituisce una figura di docente coordinatore delle attività
e delle iniziative che l’università mette in opera per
favorire l’integrazione.
Una mentalità che si è evoluta
insieme alla legge
Nel giro di relativamente pochi anni è dunque cambiato l’atteggiamento della società italiana e delle sue
principali istituzioni nei confronti dei portatori di disabilità. Sembra incredibile, ma ancora poco più di
trenta anni fa, anche in realtà socio-culturalmente
non disagiate, esistevano luoghi di vera e propria segregazione degli “handicappati”.
La battaglia contro i luoghi separati e separanti ha
luogo negli anni Settanta del Novecento e investe
anche i manicomi; fino a quel momento resisteva,
ed era riconosciuta anche a livello ufficiale, l’idea che
potessero esistere persone non educabili, oppure persone educabili ma non scolarizzabili. La segregazione
e la separazione cominciano a scomparire quando si
presuppone che tutte le persone siano scolarizzabili
e che non si dà crescita se non attraverso la relazione
con gli altri.
Il diritto di tutti i disabili a ricevere un’istruzione in
scuole comuni è sancito dalla Legge 18 del 1971, che
tra l’altro contribuisce a porre in discussione l’efficacia educativa delle scuole speciali e delle classi differenziate.
Nel corso degli anni, la legislazione italiana ha compiuto ulteriori passi avanti: una sentenza della Corte Costituzionale, nel 1987, ha disciplinato l’accesso
degli handicappati alle scuole superiori, puntando sul
passaggio da inserimento ad integrazione. Perché ciò
fosse possibile, si rendeva necessario un ripensamento della didattica della classe.
La pratica: luci ed ombre
Se è vero che la figura dell’insegnante di sostegno si è
via via arricchita di competenze e ha consolidato un
ruolo attivo sulla strada dell’integrazione, è altrettanto vero che egli è troppo spesso vissuto dalla scuola
come uno schermo. Sono infatti frequenti i casi in cui
l’insegnante di sostegno viene trattato dagli altri docenti come un semplice sorvegliante, che deve portare il disabile fuori dalla classe per evitare disturbo alle
regolari lezioni.
In teoria, dovrebbe accadere esattamente il contrario, cioè che l’insegnante si sostegno potesse lavorare
con la classe; questo permetterebbe di mettere in atto
quelle tecniche di gestione finalizzate poi a facilitare il
rapporto fra la stessa classe e l’allievo disabile.
“Capita sempre più spesso che l’insegnante specializzato (e non) per il sostegno venga utilizzato per sostituire colleghi assenti, consentendo così un “risparmio” da parte del circolo o dell’istituto” notava Sergio
Neri, ispettore didattico a cui molto deve la scuola italiana in fatto di integrazione. “Mi riferisco, evidentemente, ai casi in cui si provveda, tramite l’impiego del
docente per il sostegno, a supplire colleghi assenti di
altre classi, non coinvolte nel processo di integrazione
che interessa classe e alunno di assegnazione del docente per il sostegno.
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“le scuole non prestano sempre la dovuta attenzione all’assegnazione dei
casi ad inizio anno, anche perché la notevole precarizzazione del personale
comporta spesso avvicendamenti nella titolarità da un anno all’altro”
In quest’ultimo caso si tratta di verificare se e come
la sostituzione rientri in un serio e preventivo piano
organizzativo della classe. Altrimenti, sarebbe lecito
supporre che l’assegnazione del docente di sostegno
costituisca una risorsa utile ma non indispensabile”.
Se poi si considerano le cattedre portate a diciotto ore
e i fondi di istituto sempre più esigui, si comprende
come mai molti docenti di sostegno finiscano di questi tempi per fare le veci degli introvabili supplenti.
Inoltre, la battaglia legislativa e culturale che ha portato i docenti di sostegno ad essere di diritto e di fatto
membri a pieno titolo dei consigli di classe, non sembra essere stata recepita proprio da tutti. Così riporta
la professoressa Eleonora Campana, docente di sostegno alla Scuola Media di Argenta e referente del CTH
di Portomaggiore per l’USP di Ferrara: “Credo che i
problemi maggiori che i docenti debbano affrontare
ancora oggi restino:
la difficile relazione con i colleghi di classe che
purtroppo sempre più spesso per “ignoranza
delle diverse disabiltà” e “poca modestia” non
accettano i nostri consigli e molto spesso rendono veramente ostico il nostro lavoro;
fatto che le classi siano sempre più numerose e non
sempre tengano conto della presenza di uno o più
disabili; il timore che il passaggio delle competenze
all’INPS si traduca in una “stretta” delle certificazioni
e in un allungamento dei tempi per l’evasione delle
pratiche.
Meriterebbe un’attenta riflessione anche la formazione dei docenti di sostegno, affidata attualmente a corsi dai contenuti carenti e generici, alla fine dei quali
non conta, ai fini delle graduatorie, il voto in uscita.
Questo si traduce in un sostanzioso difetto di competenze, che si scontra con l’esigenza reale di affiancare
gli allievi nelle diverse discipline. Mentre nelle scuola
secondarie di secondo grado le classi di insegnamento
sono divise per aree disciplinari, nella secondaria di I
grado questo non accade. Succede così che, per ipotesi, un docente specializzato nel sostegno ma abilitato
in lettere, si trovi a dover insegnare materie scientifiche, linguistiche, tecniche etc. con le comprensibili
difficoltà.
il rapporto conflittuale con quelle famiglie
che, non consapevoli delle reali potenzialità del
figlio, hanno aspettative troppo alte e vanificano il nostro progetto di integrazione;
Dall’altro lato, le scuole non prestano sempre la dovuta attenzione all’assegnazione dei casi ad inizio
anno, anche perché la notevole precarizzazione del
personale comporta spesso avvicendamenti nella titolarità da un anno all’altro; precarizzazione arrivata
ad un punto tale che sono sempre più numerosi i casi
di docenti non abilitati convocati per incarichi anche
annuali sul sostegno.
la scarsa considerazione del ruolo che potrebbe avere, all’interno di una classe, il docente
specializzato in didattica, visto che sempre di
più i ragazzi di oggi, a prescindere dalla disabilità, hanno notevoli difficoltà di attenzione e
apprendimento”.
Tutto ciò senza dimenticare che, se per la legge l’Italia
è una, nei fatti ce ne sono almeno due. Restano enormi differenze nella dotazione di attrezzature e ausili,
o persino di edifici, e di risorse disponibili: un insano
federalismo di fatto, che è quanto di più lontano appaia dall’idea di integrazione.
Se dunque l’Italia rappresenta a livello europeo una
realtà d’avanguardia (non accade spesso) nelle politiche dell’integrazione scolastica, le urgenze e i disagi
quotidiani della scuola rischiano, se non di vanificare,
di ostacolare la piena realizzazione delle conquiste.
Vanno in questa direzione anche la tendenza a limitare gli organici sulla base delle risorse finanziarie; il
Michele Borsatti
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il sostegno agli allievi disabili - Rassegna dell`Autonomia Scolastica