Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Relazioni degli esperti A cura dei Coordinatori della Conferenza di Consenso Allegato de “Il Sole24Ore Sanità. I Quaderni di Medicina. CONFERENZA “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”. N.7, 24 feb.-2mar.2015. Relazioni degli esperti_Allegato Sommario TEMA 1 _ Qual è la definizione di medicina narrativa? .............................................................................. 3 Abstract .................................................................................................................................................... 4 Introduzione ............................................................................................................................................. 5 Excursus .................................................................................................................................................... 6 Implicazioni ............................................................................................................................................. 18 Commenti ............................................................................................................................................... 21 Conclusioni ............................................................................................................................................. 24 Bibliografia .............................................................................................................................................. 26 TEMA 2 _ Quali sono le metodologie e gli strumenti utilizzati nell’ambito della medicina narrativa? . 29 Abstract .................................................................................................................................................. 30 Introduzione ........................................................................................................................................... 31 Excursus sulle metodologie e tecniche utilizzati nell’ambito della medicina narrativa ......................... 32 Implicazioni ............................................................................................................................................. 40 Commenti ............................................................................................................................................... 42 Conclusioni (con proposta di condizioni da rispettare nella scelta della metodologia) ......................... 44 Bibliografia .............................................................................................................................................. 46 TEMA 3 _ Quale può essere l’utilità della medicina narrativa? In quali ambiti può essere utilizzata, facendo riferimento alle esperienze applicative ad oggi realizzate? ....................................................... 49 Abstract .................................................................................................................................................. 50 Introduzione ........................................................................................................................................... 51 Excursus .................................................................................................................................................. 52 Implicazioni ............................................................................................................................................. 56 Commenti ............................................................................................................................................... 58 Conclusioni ............................................................................................................................................. 59 Bibliografia .............................................................................................................................................. 60 2 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” TEMA 1 _ Qual è la definizione di medicina narrativa? Autori Guido GIARELLI, Università Magna Graecia, Catanzaro Gaia MARSICO, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Chieti Domenica TARUSCIO, Centro Nazionale Malattie Rare, Istituto Superiore di Sanità, Roma Co-autori Marta DE SANTIS, Centro Nazionale Malattie Rare, Istituto Superiore di Sanità, Roma Francesca SCAPINELLI, Ufficio Stampa, Istituto Superiore di Sanità, Roma Mirella TARANTO, Ufficio Stampa, Istituto Superiore di Sanità, Roma 3 Relazioni degli esperti_Allegato Abstract L’espressione “Medicina Narrativa” comporta l’accostamento di due termini che nella cultura occidentale moderna appartengono a campi semantici tradizionalmente lontani e separati (la medicina alle scienze naturali; la narrazione alle scienze umane), introducendo immediatamente una difficoltà di ordine epistemologico, evidenziata nell’Introduzione, che consiste nell’impossibilità di classificare i due termini adottati in tale espressione in un unico sistema concettuale di riferimento, dal momento che la scissione cartesiana fra res cogitans e res extensa, mente e corpo, non consente tale accostamento. Al fine di affrontare tale problema, il punto focale da cui partiremo per analizzare nel nostro Excursus le diverse definizioni di medicina narrativa che i quattro approcci teorici presi in considerazione propongono è consistito nell’individuare in che misura e con quali modalità tali definizioni permettono più o meno esplicitamente di ricomporre la frattura epistemologica prodotta dal dualismo cartesiano in una concezione unitaria della natura interna umana e, conseguentemente, della salute, della malattia e della medicina. Poiché la comprensione del significato delle proprietà dell’espressione di medicina narrativa implica necessariamente una loro interpretazione, ciò pone una seconda difficoltà di ordine ermeneutico, che consiste nella necessità di specificare il “punto di vista” ed il soggetto di tale interpretazione: al fine di affrontare anche questo secondo problema, abbiamo cercato di individuare nelle Implicazioni i diversi punti di vista ed i soggetti professionali e non ad essi sottesi che in ciascuna definizione di medicina narrativa è possibile riscontrare. Abbiamo quindi evidenziato nei Commenti i punti di forza e di debolezza, le potenzialità ma anche i limiti e i rischi che ciascuno dei punti di vista comporta in termini di concrete ricadute operative per i servizi sanitari e socio-sanitari nei diversi ambiti che li caratterizzano. Infine, sulla scorta di tale percorso, nelle Conclusioni abbiamo cercato di pervenire ad una definizione di medicina narrativa che, tenendo conto del pluralismo teorico riscontrato nel corso dell’excursus relativo alle diverse definizioni, nonché della pluralità dei punti di vista che le diverse implicazioni ad esse sottese ci hanno consentito di individuare, possa risultare la più comprensiva possibile ma anche la più adeguatamente operazionalizzabile in termini di concreta operatività dei servizi sanitari e socio-sanitari e dei professionisti in essi operanti, con particolare riferimento alle malattie rare e cronico-degenerative. Parole chiave: Medicina basata sulla Narrazione, approccio terapeutico, approccio umanisticonarratologico, approccio fenomenologico-ermeneutico, approccio socio-antropologico, metodologia d’intervento clinico-assistenziale, illness/disease/sickness. 4 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Introduzione Se, come affermava Aristotele, una definizione è la dichiarazione dell’essenza di una cosa, allora il problema della definizione di “medicina narrativa” consiste nell’individuazione delle caratteristiche o proprietà essenziali sottese a tale espressione e nella comprensione del loro significato in termini di implicazioni operative e comportamentali per i soggetti coinvolti. Il problema fondamentale che tale compito comporta è quindi di duplice natura: 1. l’appartenenza dei due termini accostati in tale espressione nella cultura occidentale moderna a campi semantici tradizionalmente lontani e separati (la medicina alle scienze naturali; la narrazione alle scienze umane) introduce immediatamente una difficoltà di ordine epistemologico, che consiste nell’impossibilità di classificare i due termini adottati in tale espressione in un unico sistema concettuale di riferimento, dal momento che la scissione cartesiana fra res cogitans e res extensa, mente e corpo, non consente tale accostamento. Al fine di affrontare tale problema, il punto focale da cui partiremo per analizzare nel nostro Excursus le diverse definizioni di medicina narrativa che i vari approcci teorici presi in considerazione propongono consisterà nell’individuare in che misura e con quali modalità tali definizioni permettono più o meno esplicitamente di ricomporre la frattura epistemologica prodotta dal dualismo cartesiano in una concezione unitaria della natura interna umana e, conseguentemente, della salute, della malattia e della medicina; 2. in secondo luogo, poiché la comprensione del significato delle proprietà di tale espressione di medicina narrativa implica necessariamente una loro interpretazione, ciò pone una seconda difficoltà d’ordine ermeneutico, che consiste nella necessità di specificare il “punto di vista” ed il soggetto di tale interpretazione: al fine di affrontare anche questo secondo problema, cercheremo di individuare nelle Implicazioni i diversi punti di vista ed i soggetti professionali e non ad essi sottesi che in ciascuna definizione di medicina narrativa è possibile riscontrare; per evidenziare poi nei Commenti i punti di forza e di debolezza, le potenzialità ma anche i limiti ed i rischi che ciascuno di tali punti di vista comporta in termini di concrete ricadute operative per i servizi sanitari e socio-sanitari nei diversi ambiti che li caratterizzano. Infine, sulla scorta di tale percorso, nelle Conclusioni cercheremo di pervenire ad una definizione di medicina narrativa che, tenendo conto del pluralismo teorico riscontrato nel corso dell’excursus relativo alle diverse definizioni, nonché della pluralità dei punti di vista che le diverse implicazioni ad esse sottese ci hanno consentito di individuare, possa risultare la più comprensiva possibile ma anche la più adeguatamente operazionalizzabile in termini di concreta operatività dei servizi sanitari e socio-sanitari e dei professionisti in essi operanti, con particolare riferimento alle malattie rare e cronicodegenerative. 5 Relazioni degli esperti_Allegato Excursus Ogni definizione di un oggetto che si voglia scientifica sottende una questione epistemologica fondamentale: la natura di “verità” della conoscenza proposta, di un sapere autentico empiricamente fondato. Per poter affrontare il problema della definizione di “medicina narrativa” in maniera adeguata occorre quindi analizzare anzitutto come tale problema epistemologico sia stato risolto nella cultura, nella scienza e nella medicina occidentale per poter comprendere le motivazioni dell’emergere della medicina narrativa (1). A partire dalla cosiddetta “rivoluzione scientifica” del XVII secolo, la nascita della scienza moderna affonda le proprie radici sulla scissione cartesiana fra res cogitans e res extensa, mente e corpo: sulla cui base si assegna alla scienza il secondo termine di tale dualismo, secondo una prospettiva di tipo riduzionistico che considera la verità scientifica il prodotto dell’applicazione del pensiero logico-matematico e delle leggi della fisica e della chimica ai fenomeni della vita. La visione meccanicistica del corpo umano e, conseguentemente, della medicina, che ne è risultata, ha assegnato all’anatomia patologica un superiore valore gerarchico di giudizio finale inappellabile rispetto alla clinica nel percorso che porta alla verità diagnostica, in virtù di una sua presunta maggior prossimità ad una concezione del corpo assimilabile al funzionamento di una macchina (2). Nella seconda metà del secolo scorso, tale concezione è entrata in crisi a causa soprattutto dell’emergere delle nuove teorie relativistiche post-einsteiniane e dello sviluppo della prospettiva della complessità (3) nelle stesse scienze fisico-chimiche e naturali quale vero e proprio spartiacque fra le precedenti concezioni della scienza e della causalità di tipo deterministico, lineare e riduzionistico ed una nuova concezione di verità scientifica che sia in grado di riconoscerne il carattere di molteplicità plurale, fondata su di una necessaria integrazione mente-corpo, di contestualità socialmente, culturalmente e storicamente determinata, nonché di relatività e di incertezza. Alla luce di questa necessaria premessa epistemologica, quali sono le diverse definizioni di medicina narrativa oggi in campo e in che misura ciascuna di esse è in grado di tener conto della prospettiva della complessità indicata? Dall’analisi degli articoli messi a disposizione, è stato possibile individuare almeno quattro diversi approcci alla medicina narrativa: 1. un APPROCCIO TERAPEUTICO, secondo il quale la narrazione assume un significato ed una valenza operativa direttamente terapeutica, per lo più di tipo psicologico, psicoterapeutico, psicanalitico, psichiatrico, neurologico e neuropsichiatrico, per cui possiamo parlare di una “terapia narrativa” vera e propria. L’utilizzo della narrazione ha una lunga tradizione in neurologia, psichiatria e neuropsichiatria: la loro stessa origine affonda le proprie radici nella narrazione clinica; e la descrizione clinica continua in gran parte ad essere fondata sul potere esplicativo delle storie di pazienti. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, la funzione della narrazione si è evoluta dalla classica descrizione clinica a scopo per lo più formativo al percorso terapeutico, e vi è stata un’esplosione di letteratura da parte di malati con problemi neurologici (4): utilizzata da queste persone per raccontare la propria autobiografia, il percorso terapeutico diviene un tentativo di ricostruzione congiunta di narrazioni interrotte da parte del malato e del professionista insieme. 6 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Un altro esempio di questo approccio è il saggio della Facoltà di Psicologia dell’Università di Varsavia (5) che propone una forma di terapia narrativa di tipo psicologico sistemico, con particolare riferimento alle persone con stili di attaccamento problematici. In tale ambito, si suggerisce l’utilizzo del genogramma quale tecnica di terapia familiare classica come strumento chiave per stimolare nel paziente l’esplorazione e la ri-narrazione delle storie familiari al fine di una loro ridefinizione narrativa orientata al riposizionamento del soggetto narrante. L’analisi del genogramma consente di condurre una conversazione mnemonica sulla base della metafora del “club di vita”, che considera la famiglia come un insieme di diverse storie anziché un sistema. La narrazione, che equivale qui ad una forma di psicoterapia di tipo familiare, presuppone un approccio di tipo costruzionista sociale che analizza le modalità con cui le narrazioni familiari modellano la percezione reciproca dei membri della famiglia. Un ulteriore esempio di questo approccio è costituito da uno studio clinico sulla guarigione da trauma del College of Nursing dell’Università del Tennessee (6) nel quale si affronta l’esperienza delle donne sopravvissute con successo al trauma causato da un grave maltrattamento infantile utilizzando un approccio integrato di tipo narrativo, costruttivista e femminista. I complessi resoconti di recupero dal trauma costituiscono delle “narrazioni di salute” (health narrative) che evidenziano le lotte ed i successi ottenuti da queste donne in un percorso riabilitativo definito “diventare risoluta”. I diversi contesti ed i relativi percorsi che conducono a tale recupero dal trauma vengono analizzati a diversi livelli: traiettorie di vita, relazioni chiave, cambiamenti percepiti e pattern mnemonici, auto-strategie, interventi e risultati terapeutici. Un articolo pubblicato da ricercatori dell’Università della Virginia (7) riferisce l’esperienza di persone con malattia a cellule falciformi e, estendendo le osservazioni a tutte le condizioni di patologia, si sofferma sulla fase di avvio del rapporto medico/paziente, sul “dovere dell’accoglienza nei confronti del paziente” e sulla necessità dello sviluppo, da parte del medico, diunattitudine “che consente un’attenzione sincera e un’apertura verso l’altro che sono essenziali per la cura appropriata ed empatica”. La buona risposta terapeutica, è la conclusione, non si esaurisce nella diagnosi appropriata e nel trattamento: non può prescindere dall’accoglienza, dal riconoscimento e dal rispetto delle storie del malato in tutte le loro forme e qualunque sia la loro coerenza. Tale valenza operativa della medicina narrativa in ambito terapeutico emerge con nit anche da un lavoro dell’Università di Milano-Bicocca con l’Ospedale San Gerardo di Monza (8) riferito all’esperienza condotta da due associazioni (associazione per la tutela del bambino con malattie metaboliche e associazione italiana mucopolisaccaridosi). L’alleanza terapeutica, sottolineano gli autori, passa attraverso il racconto e la comunicazione. Si riferisce all’ambito oncologico, e all’impiego terapeutico delle narrazioni in questo campo, la revisione di due studiosi inglesi, apparsa sull’European Journal of Cancer Care (9), che offre una panoramica di lavori condotti tra il 1980 e il 2003. Le narrazioni permettono ai pazienti di sviluppare le capacità di coping (risoluzione dei problemi) e contribuiscono al miglioramento della pratica sanitaria. L’esperienza di storytelling di malati di cancro è anche nell’articolo di Pelusi e Krebs (10) che pone l’accento sul valore sociale del racconto di storie di malattia, che promuove la circolazione delle informazioni e la consapevolezza: condividere con gli altri il proprio percorso è una responsabilità verso se stessi e verso la comunità ed è parte integrante del processo di cura. Interessante la riflessione di Romanoff et al. che si sviluppa nel contesto delle cure palliative. Gli autori sostengono l’importanza del creare e raccontare storie come “atto sociale e una delle principali strategie familiari utilizzate per dare senso alla malattie e alla morte”. Per questo, continuano, “è importante che i 7 Relazioni degli esperti_Allegato membri dell’équipe terapeutica riconoscano il valore terapeutico del raccontare e siano preparati ad accompagnare il paziente nel cammino attraverso la memoria e il significato” (11). Una definizione della medicina narrativa rispetto alle storie di vita e all’etica narrativa nella cura delle persone con disabilità intellettive si può trovare in una revisione della letteratura olandese e inglese ad opera di Meininger (12), la cui premessa è che l’approccio narrativo è nato come tentativo di compensare la “autorialità del disabile” senza trascurare l’identità personale del caregiver. La dimensione narrativa è al centro della revisione di Benaglio (13), che passa in rassegna le riflessioni di diversi autori per una epidemiologia a partire dalle forme narrative di pensiero: significativi i riferimenti a Zannini (14), che parla di cura come aiuto nella costruzione di un significato, e a Giarelli et al. (15), che avvalorano l’“integrazione possibile” tra medicina narrativa, intesa come strumento di analisi per trasformare le storie di malattia in storie di cura, e medicina basata sulle evidenze. Di narrazione delle storie come componente qualitativa e personalizzante delle epidemiologie, ancora, parla un editoriale di Tognoni (16), che osserva che “la metodologia della narrazione […] per farsi cultura deve avere le caratteristiche dell’epidemiologia e dei grandi studi per EBM”. Continua affermando che “la narrazione delle storie è la componente qualitativa e personalizzante delle epidemiologie: quella che rende abitate le tabelle, invita-obbliga a guardare al di là dei numeri, ri-stabilisce un rapporto personale e responsabile tra le conoscenze basate sulla EBM/EBN e le persone che [non] ne possono essere destinatarie, fa degli operatori non più solo degli spettatori-esecutori, ma coloro che si prendono cura. Raccontare significa infatti non accontentarsi di descrivere una realtà, ma farla propria, e comunicabile,scambiabile al di là delle cerchie professionali, capace di divenire parte di un linguaggio comune, che può appartenere a tutti”. Com’è noto, in questa prospettiva le narrazioni dei pazienti hanno continuato a svolgere un ruolo centrale nel processo psicoterapeutico in quanto scambio di significati. Sin dai tempi di Freud, una serie di metodi sono stati proposti per l’analisi delle narrazioni dei pazienti, molti dei quali focalizzati sui contenuti delle trascrizioni verbali delle sedute psicoterapeutiche quale modalità per individuare i significati clinicamente rilevati. La pluralità del repertorio metodologico a disposizione dello psicoterapeuta evidenzia l’intrinseca multidimensionalità di significati che riflette i vincoli entro cui il lettore costruisce la propria interpretazione: i testi non hanno dunque un significato unico, vero e fisso, ma una pluralità di significati possibili, che dipendono dal punto di vista adottato dall’interprete. Un gruppo di ricercatori dell’Università del Salento e di Padova (17) propone il Dynamic Mapping of the Structures of Content in Clinical Settings (DMSC) quale metodo di analisi del contenuto da essi sviluppato di tipo trans-teorico (non basato su di un’unica teoria clinica) e non clinicamente specifico (che considera anche dimensioni non cliniche) fondato su di una teoria generale del significato di tipo semiotico e dialogico, che considera la mente come incorporata all’interno dei processi di creazione di senso intersoggettivi. Un metodo dialogico di analisi che presuppone tre caratteristiche fondamentali dei significati: contingenza, sistematicità e dinamicità. Questi tre aspetti della contestualità dei significati hanno importanti conseguenze metodologiche per la mappatura dei contenuti nel setting clinico che fondano la logica del modello di analisi del contenuto proposto: l’adozione di categorie di analisi altamente generalizzate e astratte, l’analisi dei pattern sistemici di combinazioni nelle costruzioni di senso, un’analisi sequenziale dei pattern diacronici di combinazione dei contenuti. Infine, il lavoro di tre psicologi inglesi (18) ci aiuta a rispondere al quesito di cosa sia la “terapia narrativa” e di come venga utilizzata al fine di poterne poi successivamente valutare l’efficacia, con 8 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” particolare riferimento all’approccio di White e Epston (19). A tal fine vengono presentati i risultati di una ricerca via Internet basata sul metodo Delphi (n=7) e sulla Q Methodology (n=33) rivolta a psicologi britannici esperti e praticanti il suddetto approccio alla terapia narrativa nell’ambito del counselling e del lavoro di comunità. Alla luce della distinzione operata da Bruner (20) fra le due componenti di una buona storia – il paesaggio dell’azione ed il paesaggio della coscienza – vengono individuati otto caratteristiche chiave della terapia narrativa, distinguendole fra tecniche e pratiche di azione terapeutica, di filosofia e teorie relativi alla coscienza ed enfatizzanti l’interconnessione fra i due paesaggi. Il grado di concordanza/discordanza rilevato sui diversi elementi evidenzia il pluralismo esistente sulla definizione di terapia narrativa, anche se è possibile identificare una serie di concetti, valori e tecniche sui quali esiste un grado di consenso sufficiente a identificarli quali caratteristiche chiave della terapia narrativa. 2. un APPROCCIO DI TIPO UMANISTICO-NARRATOLOGICO, che nasce dall’incontro fra medicina e Medical Humanities (e narratologia in particolare) e che ha indubbiamente in Rita Charon della Columbia University la sua esponente più nota, oltre che l’autrice della definizione stessa di medicina narrativa. Ne ripercorriamo lo sviluppo del pensiero a partire dai quattro articoli esaminati. La Charon stessa (21) ne ricostruisce l’origine a partire dal 2000, quando esso scaturisce dalla unificazione della sua formazione in letteratura inglese con la sua pratica di internista. Dallo studio della teoria narrativa e della struttura della storia, l’autrice acquisisce la capacità di attenzione a ciò che “si viene narrando” (narrating) nel contesto clinico e la utilizza per trasformare la pratica stessa grazie alla nuova consapevolezza e al sapere che la lettura e la scrittura delle storie produce. La medicina narrativa rappresenta quindi un’arte di tipo umanistico, la componente artistica della medicina: o, come meglio precisato in un altro articolo (22), “una medicina praticata con la competenza narrativa per riconoscere, interpretare ed esser spinti all’azione dalle difficoltà degli altri”. Una pratica medica umana ed efficace, rimarca Charon, richiede “abilità nel conoscere, assorbire, interpretare ed agire in base alle storie e alle difficoltà degli altri”, ovvero le cosiddette competenze narrative. Se la malattia e la guarigione sono, almeno in parte, atti narrativi, allora la narrazione offre al paziente le parole per contenere il caos della malattia aiutandolo ad affrontarla meglio; mentre al medico rivela un tipo di comprensione della propria pratica clinica che non sarebbe altrimenti percepibile. La capacità umana di comprendere il senso ed il significato delle storie si fonda sul sapere narrativo, riconosciuto come critico per una efficace pratica medica: un sapere di tipo idiografico (locale e particolare) che utilizza modalità cognitive di tipo simbolico ed affettivo in contrapposizione al sapere di tipo logico-scientifico e nomotetico (che trascende il particolare per ricercare leggi universali (23). In un quarto articolo (24) la Charon sembra oltrepassare una lettura puramente narratologica delle illness narratives per accedere ad una prospettiva più prossima alle scienze sociali, che trascende la mera umanizzazione delle cure propria delle Humanities, attraverso la metafora dell’attivazione della membrana cellulare che rappresenta la trasformazione del testo in azione: la teoria e la pratica della medicina narrativa forniscono un metodo disciplinato e rigoroso per comprendere come le storie funzionano e per rivelare come le azioni dei protagonisti delle storie aiutino a comprendere il processo di cura. Una sistematica messa a punto di questo approccio ci viene offerto in un bel saggio di un gruppo di narratologi americani (25) che riconsidera criticamente l’esplosione d’interesse e la risultante proliferazione di pubblicazioni sulla narrazione in medicina verificatasi negli ultimi anni. Particolarmente 9 Relazioni degli esperti_Allegato interessati alle questioni definitorie, essi rilevano come l’utilizzo di concetti derivanti dalla narratologia letteraria non sia stato sempre rigoroso; dall’altra, come la stessa narratologia abbia prestato attenzione quasi esclusiva alla narrativa di tipo letterario, ipostatizzandola quale modello per eccellenza di tutta la narrazione tout court. Gli autori rilevano quindi la tensione che la “verità” derivante dalle storie di malattia introduce nella medicina nel momento in cui non risulta più subordinata alla “verità più oggettiva” dei dati biologici ottenuti grazie alle tecnologie diagnostiche e, più di recente, alla ricerca statistico-epidemiologica (EBM). Una tensione che mette in crisi l’approccio positivistico alla pratica clinica aprendola gradualmente ad un approccio olistico, che riconsidera il valore di prova di natura idiosincratica e aneddotica offerto dalla storia del paziente. La “svolta narrativa” in medicina può dunque beneficiare di un utilizzo rigoroso dei concetti narratologici a beneficio del paziente e del medico: viene quindi proposta una tassonomia di tali concetti in grado di contribuire in tal senso esaminandoli criticamente nel dettaglio, che può risultare di grande aiuto per orientarsi nell’ambito delle diverse modalità che le storie di malattia possono assumere nella medicina narrativa. Per un’interessante applicazione dell’approccio narratologico ad un ambito apparentemente assai lontano, è poi possibile considerare l’articolo di un genetista canadese (26) sulla medicina narrativa nella pratica delle genetica clinica. Il lavoro adotta la definizione di medicina narrativa della Charon e la applica nello specifico al contesto della genetica clinica considerandola come uno strumento che aiuta a migliorare ed espandere le capacità del medico di prestare ascolto alle voci dei propri pazienti con problematiche genetiche, per le quali le cure sono rare e le malattie sono croniche. La competenza narrativa - fondata sulle tre abilità dell’attenzione, della rappresentazione e dell’affiliazione riprese dalla Charon - costituisce già, secondo l’autore, parte integrante della pratica genetica clinica corrente nel momento in cui essa si interessa alle storie dei propri pazienti: si tratta di affinare e migliorare tale competenza attraverso l’ascolto delle storie dei pazienti e l’utilizzo della scrittura riflessiva da parte dei medici al fine di migliorare la comprensione dei propri pazienti e, in ultima istanza, la qualità delle cure stesse. Ciò dovrebbe consentire anche di approfondire il legame con il paziente e di diminuire il sovraccarico emozionale che il genetista clinico spesso subisce. Si occupa del concetto di medicina integrativa, poi, un articolo in rivista targato Università di Firenze (27), utile nel portare l’attenzione sull’idea di “personalizzazione” della medicina. Sulla scorta delle 4 “p” del marketing (prodotto, prezzo, posto, promozione), la medicina delle 4 “p” è predittiva, preventiva, personalizzata e partecipatoria. La medicina narrativa, sostiene l’autore, sviluppa empatia e capacità di comprendere i bisogni del malato. La personalizzazione, in particolare, integra la classica patofisiologia e richiede partecipazione nel senso della comprensione di tutti gli elementi che rappresentano la persona che necessita di cura. La medicina che integra, secondo un approccio olistico al paziente, può offrire indicazioni aggiuntive per il miglioramento dell’assistenza medica e per il miglioramento della qualità di vita. Il focus di un lavoro condotto all’Università di Tel Aviv sono le storie dei medici di medicina generale (28). Vengono riportati episodi come “Il paziente nascosto” (storia di un medico di famiglia che per anni presta attenzione al marito cardiopatico di una signora mentre è la moglie che, a causa dello stress, si suiciderà) e la “Storia della camera sigillata” di Borkan, esperienza di un parto imminente durante i bombardamenti in Israele nel 1991, narrata dal medico stesso. Gli autori suggeriscono una cornice che combina la NBM con la EBM e i racconti del personale sanitario: è la MENCH (assistenza sanitaria centrata su racconti). I racconti e le storie hanno un potenziale notevole ai fini della pratica clinica, dell’insegnamento e della ricerca e gli autori ipotizzano per il futuro trial clinici di terapie narrative. 10 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Di un certo interesse è anche l’articolo di un medico di famiglia statunitense (29), che non contiene una definizione diretta di medicina narrativa, ma affronta una questione strettamente connessa: quella dell’autenticità della “voce del paziente” che le narrazioni contengono. L’autrice da una parte prende le distanze da quelle letture naïve delle narrazioni che le assumono come resoconti oggettivi di “ciò che è veramente accaduto”, contrapponendo all’ideologia scientista che tende ad assolutizzare la voce dell’esperto l’ideologia dell’esperienza personale spacciata per verità oggettiva. Dall’altra, vengono criticati quegli approcci postmoderni recenti che tendono a svalutare sia le narrazioni dirette in prima persona che quelle indirette in terza persona di tipo convenzionale come inattendibili e inautentiche quando non si presentino come contro-narrazioni trasgressive e oppositive rispetto all’establishment medico-sanitario dominante. La definizione implicita delle narrazioni che l’autrice assume è quella ritenuta equilibrata che le considera nella loro complessità di rappresentazioni consapevoli e inconsapevoli influenzate sia da motivi personali che da meta-narrazioni culturali e sociali e forme di performance che non rappresentano mai semplicemente e direttamente la realtà della malattia, in quanto “la storia della cosa non è mai la cosa stessa”. Ciò comporta un approccio fondato su di un atteggiamento di “umiltà narrativa” che, pur considerando criticamente insidie e limiti di autenticità e attendibilità delle narrazioni, le guardi con il rispetto dovuto alla loro natura di testimonianze empatiche del contesto di sofferenza a cui esse fanno riferimento. La questione della autenticità delle narrazioni viene sollevata anche in uno stimolante articolo (30) che evidenzia la difficoltà di una precisa definizione di “narrazione” ed i diversi usi del termine in letteratura per comprendere l’esperienza di malattia, nonché i dibattiti da esso suscitati nell’ambito sia delle Medical Humanities che delle Scienze Sociali, puntualizzando sette diversi pericoli: 1) il “rischio etico” relativo al valore di verità delle narrazioni; 2) la possibilità che, in determinate situazioni, siano utilizzate in modo dannoso; 3) un uso impropriamente estensivo del termine che tende ad includere ogni forma espressiva (pittura, danza, poesia, ecc.); 4) la mancata distinzione fra i diversi tipi di narrazioni e le loro funzioni nei diversi contesti; 5) l’assenza di una classificazione adeguata del genere narrativo sulla base delle tre dimensioni testuali della organizzazione formale, della struttura retorica e del contenuto tematico; 6) la sottovalutazione delle dimensioni culturali e storiche, che porta ad indebite generalizzazioni transculturali e transtoriche di determinate narrazioni come forme dell’esperienza umana; 7) l’implicita presupposizione, in tali generalizzazioni, di uno specifico modello di personalità – autonoma, attiva, riflessiva – come universale. Tutto ciò rimette in discussione gli stessi fondamenti filosofici alla base della personalità e dell’identità del narratore, come evidenzia il saggio del filosofo Galen Strawson “Against narrativity” (31), nel quale si critica l’assunzione fondamentale dell’ortodossia narrativa relativa alla coestensività delle narrazioni con l’esperienza soggettiva. Strawson attacca sia la tesi della “narratività psicologica” – che ritiene gli esseri umani vivano la loro vita come narrazione – sia la tesi della “narratività etica” – che valuta come intrinsecamente positiva ed essenziale una visione narrativa per una vita ben vissuta ed una personalità autentica. Pur non condividendo le critiche di Strawson, l’autrice ritiene che il suo saggio sollevi alcune questioni fondamentali per la salute-malattia ancora non sufficientemente discusse, a cominciare dai limiti stessi della forma narrativa e dall’interrogativo sulla sua permanenza quale forma privilegiata di espressione e interpretazione dell’esperienza. La presupposizione di una identità narrativa astorica soggiacente alle narrazioni considerate quale modalità universale di espressione dell’esperienza soggettiva viene criticata come tipicamente occidentale e rimessa in discussione nell’intento di riconoscere i limiti culturali della forma 11 Relazioni degli esperti_Allegato narrativa e stimolare la esplorazione di forme alternative non-narrative di espressione dell’esperienza di malattia e del suo impatto sulla personalità (metafora, fenomenologia, fotografia, ecc.). Anche l’articolo dell’americano Coulehan (32) prende le mosse dalla negazione della medicina narrativa operata da Susan Sontag nel libro Illness as Metaphor (33) per distanziarsene. L’analisi di Coulehan evidenzia la centralità della competenza narrativa e della metafora in medicina, legate inestricabilmente alla componente tecnica e fisiologica, come i due serpenti simbolo della professione medica. Le dimensioni di Esculapio (Dio della medicina) e di Ippocrate (padre della medicina scientifica) sono potenzialmente sinergiche: le competenze narrative conducono a migliori risultati clinici, diagnosi più accurate, aderenza alla terapia e maggior soddisfazione da parte del paziente. Per rifarsi al significativo titolo di un editoriale del senior clinical lecturer John Launer (“Narrative-based medicine: a passing fad or a giant leap for general practice?”), la medicina narrativa non è una “moda passeggera” ma una nuova cornice concettuale, in grado di fornire alla medicina appropriate fondamenta intellettuali per il 21° secolo e di far compiere alla EBM “passi da gigante” (34). 3. un APPROCCIO DI TIPO FENOMENOLOGICO-ERMENEUTICO, che affonda le proprie radici nella fenomenologia di Husserl e di Heidegger, nell’ermenuetica di Gadamer, nella fenomenologiaermeneutica di Ricoeur e nella filosofia ermeneutica di Taylor; e che ha trovato applicazione all’ambito della medicina ad opera di diversi autori sia anglosassoni che nordamericani. Fra gli articoli considerati, il saggio di due studiosi californiani (35) che parte da una critica della concezione definita come “oggettivista” dominante nella medicina scientifica circa l’utilizzo delle narrazioni di malattia quale mero dato grezzo e neutrale privo di significato nella anamnesi e nella valutazione clinica, per proporre un approccio alternativo fondato sul concetto di “phronesis clinica” sulla base del concetto di Charles Taylor di “valutazione forte” o “radicale”. La tesi principale del saggio è che le storie di malattia abbiano la potenzialità sia di aiutare il paziente sia di danneggiarlo con effetti iatrogenici veri e propri, a seconda di come la storia venga narrata e compresa. Conseguentemente, le storie non sono semplicemente “belle storie”, gesti catartici o meri supplementi alle procedure scientifiche e decisionali della pratica clinica: esse orientano invece il soggetto ai significati fornendogli un contesto esplicativo per la valutazione dell’episodio di malattia e del percorso terapeutico. La comprensione di tali significati fornisce indicazioni per l’azione e per le sue scelte: essa implica dunque una responsabilità etica sia del paziente che del professionista per come la storia viene narrata e per le scelte dei corsi d’azione che produce. Alcuni articoli affrontano questioni legate all’etica e, rifacendosi anche ai testi più volte citati di Charon, rimarcano che i medici con consapevolezza degli aspetti narrativi della loro pratica clinica ed etica sono destinati a diventare clinici ed eticisti migliori. Le tecniche narrative, sottolinea ad esempio lo statunitense Jones (36), possono rivelare la comprensione di diverse prospettive in dilemmi di tipo etico. Alla base dell’etica medica, si legge poi nell’articolo di Charon, Brody, Clark et al. (37), sta anche il raggiungimento di una buona comunicazione tra paziente, famiglia e team medico. I metodi tratti dall’analisi letteraria, questa la premessa, aiutano medici e pazienti a ricavare una comprensione contestuale di esperienze umane, agevolando il riconoscimento del significato di eventi complessi. Fra le possibili applicazioni di questo approccio al campo medico, si evidenzia l’esperienza umana del dolore cronico, che costituisce una combinazione multidimensionale di esperienze sensoriali, cognitive ed affettive. La sensazione di dolore intenso spesso interferisce con la vita quotidiana, la performance dei ruoli, delle attività e della relazioni sociali, con effetti debilitanti sulla personalità e l’identità del 12 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” sofferente definiti come un “assalto al sé”. Lo studio israeliano considerato (38) costituisce un tentativo, sulla base di un’analisi fenomenologica interpretativa di sei interviste, di far luce sulle difficoltà particolari che il sofferente sperimenta, trovandosi a dover fronteggiare un problema esperito come totalizzante ma, allo stesso tempo, sfuggente e ingannevole. La condizione che ne deriva, definita dagli autori di “afflizione narratologica” (narratological distress), si caratterizza per il conflitto interiore fra due narrazioni ugualmente indesiderate: da una parte, il discorso medico e pubblico che tende a delegittimare e ignorare il dolore cronico a causa della sua invisibilità indiagnosticabile; dall’altra, la narrazione che riconosce il dolore, ma solo al prezzo di riconoscersi come “malato” o “disabile”. Il concetto di “afflizione narratologica” implica una concezione non pacificata, conflittuale di narrazione, che il sofferente di dolore cronico sperimenta nell’intento di attribuire un significato alla propria esperienza dualistica, superando i propri dubbi e le difficoltà nel costruire una narrazione coerente. Anche se non direttamente considerati, è il caso poi di aggiungere l’orientamento ermeneutico applicato alla medicina assunto da altri autori come il filosofo americano Drew Leder (39), che enfatizza la natura interpretativa della comprensione clinica: benché la moderna medicina si ritenga fondata su di un approccio di tipo empirista-positivista, essa incorpora infatti anche elementi di natura extrascientifica quali l’expertise acquisito dal professionista nelle procedure cliniche o le abilità intuitive (l’occhio clinico, ecc.) - che ne fanno fondamentalmente un’arte non esclusivamente basata sull’oggettività ma che richiede anche elementi di soggettività, di ambiguità e di incertezza. Anche i curatori della celebre raccolta di saggi del British Medical Journal sulla “Narrative based Medicine” Trisha Greenhalgh e Brian Hurwitz (40) sono fondamentalmente orientati verso una lettura dell’incontro clinico in chiave ermeneutica, considerato come uno spazio transazionale fortemente strutturato nel quale sia il comportamento del medico che quello del paziente sono condizionati dalle aspettative sociali reciproche. L’incontro clinico viene così interpretato come un testo, anzi una molteplicità di testi, che include il testo esperienziale del paziente, il testo narrativo della storia medica, il testo fisico o percettivo dell’esame obiettivo del corpo del paziente, il testo strumentale dei risultati degli esami diagnostici ed il testo narrativo del piano terapeutico e della sua implementazione. La natura interattiva e dialogica di questi testi richiede di prestare attenzione anche alla narrazione dei processi decisionali e del grado di condivisione che essi comportano. 4. un APPROCCIO DI TIPO SOCIO-ANTROPOLOGICO, frutto dell’applicazione delle scienze sociali e, in particolare, della sociologia e dell’antropologia culturale allo studio della medicina, che ha trovato nell’analisi delle narrazioni di malattia (illness narrative) proposto dalla Harvard Medical School il punto di riferimento fondamentale. Ispiratori di tale approccio sono un medico-psichiatra ed un antropologo come Arthur Kleinman (41) e Byron Good (42): entrambi considerano la medicina, ogni tipo di medicina, come un sistema culturale, vale a dire un insieme di significati simbolici che modellano sia la realtà che definiamo clinica che l’esperienza che di essa il soggetto malato fa. Salute, malattia e medicina divengono così dei sistemi simbolici costituiti da un insieme di significati, di valori e di norme comportamentali e delle reciproche interrelazioni fra queste componenti che in tutte le società funzionano come dei sistemi di significato che strutturano l’esperienza della malattia. Su queste premesse, Kleinman (41) opera una fondamentale distinzione in relazione a ciò che definiamo “malattia” tra disease, illness e sickness: laddove disease è la malattia intesa in senso biomedico come lesione organica o aggressione di agenti esterni, evento oggettivabile e misurabile mediante una serie di 13 Relazioni degli esperti_Allegato parametri organici di natura fisico-chimica (temperatura del corpo, alterazioni nella composizione sanguigna, ecc.); illness costituisce l’esperienza soggettiva dello star male vissuta dal soggetto malato sulla base della sua percezione del malessere sempre culturalmente mediata, dal momento che non è possibile alcun accesso diretto cosciente al proprio vissuto corporeo; e sickness si definisce come “la comprensione di un disordine nel suo significato generale all’interno di una popolazione in relazione alle forze macrosociali (economiche, politiche, istituzionali)”. Questa triade ormai ben nota costituisce la base di riferimento fondamentale di questo approccio per la comprensione della medicina narrativa. È a questo punto che si inserisce infatti il ruolo della narrazione nella costituzione della malattia e della sua esperienza intesa come illness: le “storie di malattia” costituiscono frammenti di storie di vita la cui struttura temporale organizza gli eventi il cui significato viene ricompreso dall’individuo sulla base di ciò che definisce “malattia”. La malattia come illness viene così ricostruita e ricompresa fenomenologicamente in forma di “trama” all’interno di una struttura narrativa che tende a conferirle senso sulla base di uno specifica “rete semantica della malattia (sickness)” (42) culturalmente definita che tende a interconnettere i singoli significati soggettivi. Da questo punto di vista le storie non si limitano a descrivere e raccontare esperienze ed eventi di malattia, ma li “costruiscono” nel momento stesso in cui conferiscono loro quel particolare significato che la malattia assume in ogni specifico contesto culturale sulla base di peculiari strutture di rilevanza. Un secondo filone di questo approccio è espressione invece della sociologia qualitativa e, in particolare, dagli studi di etnometodologia e di analisi della conversazione: gli studi di Elliot Mishler sul dialogo medico-paziente (43) e di critica della tecnica d’intervista basata sulla sua analisi (44) sono due esempi tra i più noti di questo tentativo di costruire nuove strategie di ricerca per studiare il discorso medico e la dialettica dell’intervista relativa alle narrazioni della malattia. Il contributo forse maggiore di Mishler (45) è però legato alla sua successiva tipologia dei modelli di analisi narrativa, che egli distingue a tre diversi livelli in riferimento ai tre problemi centrali della ricerca narrativa: il riferimento e la conseguente relazione tra ordine temporale degli eventi e loro rappresentazione narrativa; la struttura e coerenza testuale e come queste vengono acquisite mediante le diverse strategie narrative; le funzioni delle narrazioni in rapporto ai diversi contesti sociali, psicologici e culturali. Un terzo filone è rappresentato, infine, dalle ricerche antropologiche come quella di Mattingly (46) che fanno l’uso più esplicito e più ampio della teoria della narrazione per capire la relazione storia/esperienza e l’uso delle narrazioni cliniche da parte degli stessi medici al fine di organizzare le proprie pratiche e le esperienze dei pazienti in cura, da cui appare evidente la strutturazione narrativa del lavoro clinico, il ruolo dei medici nel costruire la trama dell’esperienza della malattia e il lavoro terapeutico in cui sono impegnati i pazienti. Sulla base di una ricerca durata cinque anni con terapisti occupazionali operanti in un contesto ospedaliero per acuti, Mattingly sposta il focus della sua attenzione dalla narrazione come “testo” già scritto o raccontato (che prevale negli altri autori), alla narrazione come struttura dell’azione clinica, come esperienza vissuta dai partecipanti all’incontro clinico. Il suo punto fondamentale diviene così il concetto di “therapeutic emplotment”: ovvero, la costruzione delle trame terapeutiche che, nell’incontro clinico, coinvolge professionista sanitario e paziente in un processo continuo di creazione e negoziazione di una struttura di significati nell’ambito del tempo clinico. Ispirandosi soprattutto all’approccio ermeneutico di Ricoeur relativamente al rapporto fra temporalità e narrazione, Mattingly mette a fuoco direttamente la struttura narrativa dell’azione sociale, evidenziandone il carattere fragile e mutevole e la natura sempre negoziata delle trame costruite fra tutti gli attori sociali coinvolti. 14 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” La natura sociale dell’azione narrativa è così il risultato di una creazione multipla tra gli attori coinvolti nell’incontro clinico, che consente di considerare la narrazione come una co-costruzione tra il paziente ed il terapeuta: in questa prospettiva la narrazione clinica non è più semplicemente il risultato di una rielaborazione individuale dell’esperienza della malattia, ma il risultato di un processo di “negoziazione di significati” tra l’operatore sanitario ed il paziente e le rispettive versioni alternative delle storie, dal cui incontro è possibile creare una nuova comprensione della malattia grazie al rimodellarsi delle rispettive interpretazioni. Va a situarsi nell’ambito dei lavori che testimoniano un approccio socio-antropologico alla medicina narrativa anche l’articolo di un team di studiosi dell’ateneo di Bournemouth (47) che si focalizza sui colloqui conoscitivi con il paziente e sulle tecniche di ascolto finalizzate al miglioramento della qualità del trattamento e dell’assistenza sanitaria. L’operatore, sottolineano gli autori, può interpretare i racconti dei pazienti e dei carer sulla scorta delle proprie esperienze cliniche, professionali e di vita e ciò va nella direzione della creazione di migliori o nuovi modi per incontrare i bisogni individuali del malato o di chi gli è accanto. Numerosi altri articoli esaminati prendono in esame il ruolo del personale infermieristico, strategico nel percorso di “negoziazione di significati” di cui si è detto poco sopra e nella creazione di un’alleanza in grado di far evolvere la condizione del paziente. L’approccio narrativo da parte della categoria degli infermieri, in particolare, comporta la consapevole intenzione di ascoltare, l’accettazione del codice linguistico dell’interlocutore e l’impiego di una cornice di domande atte a stimolare il racconto (ad es. 48, 49). Non viene tralasciato il delicato tema della privacy e della confidenzialità delle storie di vita (50) e attenzione particolare è rivolta anche allo specifico ambito della medicina di emergenza e all’unicità del contributo della parte infermieristica, che riconcilia prospettive scientifiche e umanistiche (51). Sempre in ambito infermieristico sembra interessante citare l’articolo di Mitty (52). “Raccontare - vi si legge - può essere terapeutico, può comportare riconciliazione e avere un potere trasformativo. Il narrare storie può descrivere come e perché una persona ha compiuto una scelta nell’ambito della salute. Partendo dall’idea che tutti hanno una storia da raccontare e che una persona con una malattia è un ”narratore ferito”, l’autrice sostiene che esiste una sorta di imperativo morale. La persona malata ha il dovere di raccontare la propria storia per farsi voce di chi non ha voce. La persona malata è un “testimone” della verità circa la malattia. Nella “medicina narrativa d’urgenza” si addentra la revisione sistematica di Hawkins (53), che ne indica sei generi: autobiografia medica, racconti clinici, narrazioni creative, narrazioni extra ospedaliere, esposizioni per un pubblico non professionale e fotogiornalismo. La narrazione clinica, viene ribadito, può essere il modo più utile ed efficace per trasmettere criticità e conoscenza medica da un operatore all’altro e dovrebbe dunque ricevere adeguato rilievo in contesti accademici e di formazione. Un interessante dibattito di natura epistemologica e metodologica suscitato da questo approccio viene ricostruito in un interessante articolo di una sociologa inglese della Lancaster University (54) che presenta un resoconto interpretativo stimolato dalla pubblicazione nel 1997 del saggio di Paul Atkinson (55) in cui si avanzano due critiche principali al modo con il quale i diversi autori hanno considerato le illness narrative: averle ritenute fonti privilegiate dei sentimenti autentici e delle esperienze dei soggetti rispetto ad altre fonti, e conseguentemente, avere ricavato una visione romantica e sentimentale fuori luogo delle stesse. L’autrice non condivide queste critiche, che considera espressione di una posizione sociologica tradizionale di tipo scientista che ritiene le narrazioni come fatti sociali da interpretare 15 Relazioni degli esperti_Allegato oggettivamente e condivide invece le risposte dei diversi autori, che colloca nell’ambito della sociologia critica postmoderna. Così Bochner (56) mette in luce le “virtù delle narrazioni” derivanti dalla loro natura di costruzioni dialogiche di significato, che non è mai puramente immanente al testo ma è sempre anche un prodotto dell’interpretazione. In quanto tali, esse rappresentano l’espressione dello spazio negoziato dal soggetto fra i modelli culturali dominanti e la comprensione situata della propria esperienza. Arthur Frank (57), come Kleinman, considera poi la narrazione come una risorsa terapeutica che richiede di “pensare con” la storia e non “della storia”, in quanto testimonianza empatica di sofferenza nel contesto clinico. Anche Elliot Mishler (58) condivide la priorità etica che l’approccio alla narrazione richiede, consistente nel riconoscere le relazioni di potere asimmetriche soggiacenti alle rappresentazioni narrative. Das Guptan (59), partendo dall’esperienza di bambini e genitori, riflette sull’importanza delle storie di malattia alla luce dei concetti centrali di A. Frank. In particolare riprende l’idea che le storie di malattia restituiscano voce a esperienze che prima erano narrate solo dall’establishment medico. Le storie di malattia “parlano” laddove una volta era solo silenzio. Le storie di malattia sono intrinsecamente sociali e richiamano l’attenzione alle relazioni di chi racconta e chi ascolta, di chi soffre e dei caregiver, dei pazienti e dei medici. I medici hanno il raro privilegio di prendersi cura dei pazienti e di far sì che essi diventino i nostri insegnanti, ci educhino all’attenzione, alla consapevolezza, alla presenza, all’interdipendenza, all’empatia. L’autore riconosce che è un atto di profonda umiltà capovolgere i ruoli di potere, ascoltare le voci e i silenzi di bambini e adulti di cui ci prendiamo cura. Tutto questo favorisce una medicina più consapevole. L’uso delle storie e del raccontare come strategia emergente per comunicare ai consumatori i dati provenienti dalla ricerca scientifica è messo in evidenza in un articolo di alcuni anni fa sul potere del racconto (60).In questo lavoro si sottolinea il fatto che tradizionalmente l’uso del racconto è sempre stato un modo per trasferire conoscenze e condividere esperienze all’interno dell’ambito sanitario tra professionisti. La medicina narrativa invece si è sviluppata più recentemente con l’idea di migliorare le relazioni con i pazienti. Ma l’uso di storie e racconti offre prospettive nuove; in particolare la possibilità di essere una strategia innovativa per trasferire le prove scientifiche provenienti dalla ricerca a pazienti e famiglie. Le storie e gli aneddoti possono personalizzare, illustrare, semplificare e trasferire la ricerca presentandola in un modo comprensibile al consumatore. Gli autori precisano che “un semplice aneddoto o una storia può persuadere in modo più efficace le persone ad adottare un particolare approccio alla salute più che i risultati della ricerca rigorosa”. A questo proposito presentano uno studio - che coinvolge genitori di bambini affetti da croup - finalizzato a testare questa ipotesi: l’uso di storie (in questo caso un libretto illustrato contenente storie di genitori integrate dai più efficaci approcci terapeutici) riduce l’ansia, migliora lo scambio di conoscenze scientifiche e aiuta a compiere scelte più informate. Sempre in quest’ottica, Jack (61) sostiene che “il raccontare è un modo per raccogliere dati, uno degli approcci più ricchi della ricerca qualitativa, e permette ai pazienti, ai caregiver, al personale sanitario di raccontare la loro storia per come realmente è. Questa possibilità mette in condizione il ricercatore di acquisire una conoscenza della ricchezza di un evento personale e dei fattori contestuali. Per i pazienti il raccontare può avere un valore terapeutico ed offrire un mezzo per sviluppare la resilienza personale” 16 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Raccogliere e condividere storie di malattia è un modo per condividere difficoltà e soluzioni, in breve confrontarsi sulle realtà della cura. Nella raccolta e analisi di storie di caregiver di Benbow, Ong, Black e Garner (62), si sottolinea che “i professionisti dalle narrazioni traggono un aiuto significativo nel conoscere meglio l’impatto che può avere il prendersi cura delle famiglie, così come la realtà dei servizi socio-sanitari. Uno dei più grandi contributi delle storie, per i professionisti, risiede nell’identificare difficoltà e lacune nei servizi. Le narrazioni coinvolgono caregiver e pazienti nell’insegnamento e nella formazione continua. È importante che pazienti e caregiver abbiano la possibilità di incidere sui servizi e su chi li eroga”. L’articolo sottolinea il ruolo attivo delle storie di malattia; assegna ad esse un valore pedagogico ed epidemiologico. Alla luce di questa esperienza proposta (raccolta di storie di caregiver) la medicina narrativa assume il ruolo di strumento utile per la valutazione e nel miglioramento dei servizi. Interessante e valida l’esperienza del gruppo fondato da Herxheimer (63). In un lavoro del 2008 mettevano in evidenza che le esperienze dei pazienti non sono un’alternativa alla evidence based medicine, ma sono parte di essa. “Scartarle per il loro carattere aneddotico è un serio equivoco. Esistono metodi rigorosi fondati sulla tradizione delle scienze sociali che possono essere utilizzati per fare ricerca sulle esperienze dei pazienti. La malattia è un paese straniero. Molte persone hanno bisogno di una guida e di un traduttore, specialmente nei primi stadi di una malattia. Spesso i pazienti sentono che solo le persone che hanno vissuto le loro stesse esperienze possono aiutarli a capire e orientarsi. Ciò che è sempre avvenuto informalmente è diventato qualcosa di più strutturato nel ventesimo secolo con lo sviluppo di organizzazioni di pazienti e gruppi di supporto. Le interviste qualitative sono largamente riconosciute come il più appropriato metodo per identificare le esperienze dei pazienti. Se chi lavora in ambito medico riesce a riconoscere il ruolo delle storie di malattia, comprenderà la potenzialità che risiede nelle voci dei pazienti e nella condivisione delle esperienze di malattia.” Gli autori propongono riflessioni alla luce dell’esperienza condotta dal gruppo di ricerca “Health Experiences Research Group” di Oxford che raccoglie, con un metodo rigoroso, esperienze di pazienti affetti da diversi tipi di patologie (http://healthtalkonline.org). Per quanto attiene al valore “politico” del raccontare e raccogliere storie possiamo menzionare alcuni articoli. Il primo, di Kaplan (64), in cui si parte dalla consapevolezza che in antropologia medica si sostiene che le storie di malattia non sono meri resoconti dei sintomi ma meccanismi attraverso cui le persone diventano consapevoli e danno senso alle loro esperienze. In questo senso, la “narrativizzazione” agisce come un meccanismo riflessivo e terapeutico che riesce a trasformare le persone che hanno sperimentato la malattia. “Quando noi promuoviamo la medicina narrativa dobbiamo essere coscienti del carattere politico del raccontare perché le storie da chiunque siano raccontate e in qualunque modo e forma, sono fondamentalmente radicate nella politica, nella storia, nella cultura”. Partendo dalle riflessioni proposte da A. Frank, Kirkpatrick (65) riflette sul ruolo delle storie di malattia nel dare senso e voce alle esperienze personali. A differenza delle storie di malattia, precisa che “le contro-narrazioni sono intrinsecamente politiche. Questo tipo di narrazioni oppone resistenza alle narrazioni dominanti, implicitamente ed esplicitamente, cercando di sostituire un’identità opprimente (operativa ad esempio nelle malattie mentali mediante lo stigma e la discriminazione) con un’identità che esige rispetto”. 17 Relazioni degli esperti_Allegato I diritti dei membri di qualsiasi gruppo iniziano con la possibilità di raccontare storie personali. Perché queste hanno il potenziale di sfidare le storie dominanti. Malattia e oppressione tolgono voce; per questa ragione, raccontare una storia personale genera empowerment e aiuta il processo di guarigione. D’altro canto, le storie in ambito sanitario offrono al personale infermieristico la possibilità di entrare in un “altro mondo” e creare empatia. Comprendere la storia di una persona permette di prendere sul serio il punto di vista del paziente nella sua unicità. Le storie dunque possono essere usate per cambiare il sistema e vedere, udire, percepire in modo diverso. L’autrice sottolinea la specificità del ruolo che in tutto questo può avere il personale infermieristico; “può testimoniare in favore dei pazienti favorendo lo sviluppo di una voce collettiva che vinca l’oppressione, la povertà, la discriminazione e lo stigma, attraverso la formazione di gruppi di consumatori e gruppi di auto-aiuto. Inoltre, il personale infermieristico si trova in una posizione forte per sostenere cambiamenti del sistema lavorando nelle organizzazioni professionali”. Implicazioni Come anticipato nell’Introduzione, cercheremo qui di analizzare le diverse implicazioni che i quattro approcci esaminati nell’Excursus comportano a partire da una considerazione relativa al grado in cui ciascuno di essi tiene conto della prospettiva della complessità come premessa per il superamento del dualismo cartesiano; per individuare quindi quale sia il punto di osservazione privilegiato ed i soggetti professionali e non professionali sottesi che in ciascun approccio è possibile riscontrare: 1. Approccio terapeutico: la definizione di “terapia narrativa” risulta non essere univoca fra gli stessi terapeuti, anche se è possibile identificare una serie di elementi condivisi quali la rilevanza del significato dei sintomi in connessione con l’esperienza del paziente, la necessità di una loro interpretazione sullo sfondo del contesto socio-culturale di appartenenza del paziente e l’opportunità di passare da un approccio alla narrazione centrato su di un disturbo cognitivo o un deficit neurologico e focalizzato sui problemi ad uno centrato sulla ricostruzione della narrazione e aperto all’emergere di storie alternative (18). Una serie altri elementi rimangono invece materia di discussione non condivisa quali la valenza politica e di giustizia sociale della terapia, il ruolo del terapeuta in qualità di esperto e la relazione fra terapia narrativa e altri tipi di terapia, quale quella sistemica (18). Le difficoltà che quest’ultimo aspetto, in particolare, solleva evidenziano come la prospettiva della complessità non risulti ancora patrimonio comune fra i sostenitori di questo approccio; ed anche il dualismo mentecorpo appare scarsamente problematizzato, dal momento che la terapia narrativa sembra autoconfinare se stessa nei limiti di una focalizzazione esclusiva sulla dimensione mentale e neurologica, nella quale il punto di vista privilegiato rimane, pur con qualche eccezione, esclusivamente quello del terapeuta. 2. Approccio umanistico-narratologico: forse anche per il suo carattere più recente, questo approccio risulta senz’altro più omogeneo e compatto del precedente al proprio interno, nonché in grado di offrire una definizione coerente di medicina narrativa come quella proposta dalla Charon basata sulla competenza narrativa. È sempre quest’ultima (23) a identificare le quattro situazioni narrative complesse nelle quali tale competenza narrativa ha modo di dispiegarsi come un modello di riferimento: 18 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” quella del coinvolgimento empatico nella relazione medico-paziente, quella di una pratica riflessiva del professionista con se stesso, quella della relazione del professionista con i colleghi e, infine, quella della relazione medico-società improntata ad una relazione di fiducia. Implicitamente, il punto di vista resta esclusivamente quello del medico; ed il sapere biomedico non pare rimesso in discussione ma anzi rinforzato dalla riconferma della netta divisione cartesiana del lavoro fra scienza e “humanities”. Un’ulteriore implicazione di questo approccio riguarda quello che è stato definito il “ritorno narrativo” in medicina (66) dopo che il diffondersi di sofisticate tecnologie diagnostiche ed il sorgere dell’Evidencebased Medicine nell’era post-flexneriana aveva oscurato e marginalizzato l’importanza delle narrazioni (ridotte ad “aneddotica”) in medicina. La medicina narrativa comporta, infatti, in senso ampio lo sviluppo di un “senso della storia” (67) fra i professionisti sanitari, intesa come apprezzamento del fatto che la medicina rappresenta “un’impresa narrativa”. I tre elementi fondativi della medicina narrativa secondo la Charon (68) – attenzione, rappresentazione e affiliazione – comportano anche una riscoperta dell’importanza della scrittura narrativa sia da parte del paziente che del professionista. Da quest’ultimo punto di vista, la medicina narrativa rappresenta qualcosa di più della semplice riproposizione della aneddotica clinica tradizionale: la scrittura riflessiva implica la riconsiderazione e l’interpretazione delle proprie esperienze al fine di acquisire una più profonda comprensione del loro significato e di orientare i comportamenti futuri. Il suo scopo è quello di sviluppare il pensiero e l’analisi critica, una migliore comprensione delle proprie e altrui emozioni, ed una capacità di organizzare e attribuire significato a situazioni moralmente complesse e ambigue. In tal senso, essa può risultare sia trasformativa nella direzione di nuove esperienze di intuizione e comprensione, sia confermativa nella direzione della validazione e della riproposizione di determinati valori e convinzioni. Di un certo interesse, infine, il modello di integrazione fra medicina narrativa ed EBM elaborato da un’équipe brasiliana coordinata dalla Charon (69) a partire dai tre elementi costitutivi della medicina narrativa (attenzione, rappresentazione e affiliazione), entro la cui cornice vengono poi delineati i problemi clinici, le azioni, le scelte e gli obiettivi terapeutici al fine di definire le quattro componenti dell’interazione clinica (diagnosi, terapia, prognosi e danno) secondo un modello integrato nel quale preferenze, bisogni e priorità sono generati dall’ambito interpersonale della relazione clinica. 3. Approccio fenomenologico-emeneutico: il punto di partenza di questo approccio è costituito da una critica radicale della modalità riduzionistica con cui l’approccio positivista-empirista in medicina ha tradizionalmente separato fatti e valori, pretendendo di mascherare le proprie scelte basate sui secondi dietro la presunta oggettività dei primi. In tal modo, esso crea le premesse per un superamento del dualismo cartesiano mente-corpo e soggetto-oggetto a partire dalla critica della presunta neutralità oggettiva del dato empirico sulla base del riconoscimento della natura fondamentalmente interpretativa del processo clinico. Ciò implica la possibilità di una pluralità di significati interpretativi, non più mascherati dietro presunti dati oggettivi, frutto dell’incontro e dell’elaborazione più o meno consapevole da parte del soggetto con la complessa rete semantica in cui tali significati sono inseriti nel proprio come nell’altrui universo socio-culturale di riferimento. La pluralità dei significati interpretativi possibili rimanda quindi alla pluralità dei punti di vista espressi nelle narrazioni, che come tali vanno considerati non come predefiniti ma come una possibilità narrativa aperta (70). Le narrazioni che si intrecciano nel setting clinico sono quindi delle “co-costruzioni”, che dipendono in buona parte dal comportamento del medico e dal grado di comunicazione e di empatia instaurato con il paziente. Diviene quindi importante per il medico imparare a superare la propria tendenza a limitare e controllare 19 Relazioni degli esperti_Allegato l’interazione clinica agli aspetti strettamente biomedici se vuole evitare che ciò concorra ad aumentare la possibilità di errori diagnostici e terapeutici. La pratica della mindfulness – intesa come consapevolezza non giudicante, momento per momento, dell’interazione con l’altro – rappresenta una proposta di metodo per focalizzare l’attenzione del medico sulla narrazione del paziente e sugli elementi che essa può offrire per la pratica clinica. Un caso interessante di tale “possibilità narrativa” è relativa all’ambito della disabilità e al problema delle difficoltà che incontrano le persone disabili a comunicare ed interagire con gli altri attraverso le proprie narrazioni per condividere esperienze e conoscenze. Uno stimolante saggio svedese basato su precedenti esperienze di ricerca (71) suggerisce che all’origine di tale problema vi siano le nome date per scontate e implicite utilizzate per considerare e analizzare le unità discorsive e testuali come caratterizzate da coerenza argomentativa e temporale: per cui le storie che non soddisfano tali caratteristiche sono inevitabilmente considerate come deficitarie ed i loro narratori meno competenti e dotati di soggettività. Gli autori propongono quindi una ridefinizione di narrazione sulla base di una concezione “incorporata” (embodied) delle narrazioni considerate come co-costruzioni prodotte nell’evento narrativo, testo ed azione insieme. In tal modo è possibile apprezzare anche quelle narrazioni prodotte da persone con disabilità comunicative (problemi neurologici, demenze, ecc.) che non si conformano necessariamente alle aspettative convenzionali relative a ciò che costituisce una narrazione: analizzando la relazione fra storia ed evento narrativo e introducendo la distinzione fra “narratore principale” (primary storyteller) e “narratore vicario” (vicarious storyteller), diviene così possibile riconoscere le modalità spesso creative con cui i narratori con disabilità comunicative inventano modalità originali per presentare se stessi come narratori competenti pur nella difficoltà di articolare storie strutturate e coerenti. L’idea di una definizione “incorporata” di narrazione appare di grande interesse non soltanto per una piena comprensione delle storie di persone con disabilità ma anche per un ripensamento complessivo del rapporto fra testo e azione, narrazione ed evento narrativo. 4. Approccio socio-antropologico: se l’approccio fenomenologico-ermeneutico riconosce la pluralità dei punti di vista come una possibilità aperta, questo approccio rimanda alla pluralità degli attori coinvolti nell’incontro clinico (il medico ma non solo: gli altri professionisti, il paziente, stesso, i suoi caregiver, ecc.) che sono i portatori di tali punti di vista. Anziché concentrarsi sul processo interpretativo dei significati che esprimono tali punti di vista, ci si focalizza quindi sui contenuti culturali di tali significati e sulla pluralità di narrazioni alternative che essi esprimono in connessione con i diversi ruoli sociali cui fanno riferimento. La triade illness-disease-sickness diviene così lo strumento fondamentale sia per i superamento del dualismo cartesiano che per il riconoscimento preliminare della pluralità dei punti vista possibili nell’incontro clinico. La natura di costruzione sociale di ogni narrazione così evidenziata permette quindi di collocare la pluralità di generi e tipi narrativi possibili entro una cornice di riferimento che consente di analizzarli in riferimento al contesto sociale di produzione. La classificazione tripartizione di tipologie narrative proposta da Arthur Frank (63) – storie di restituzione, di caos e di ricerca – costituisce un esempio di come i costrutti narrativi possano essere analizzati in relazione al contesto sociale e culturale di riferimento. Una interessante applicazione di tale tipologia è quella proposta da uno studio inglese (64) che, sulla base dell’idea che le narrazioni non si riferiscono esclusivamente all’esperienza passata, ma possono servire a creare esperienze in chi le ascolta (che evidenzia la natura performativa delle storie), muove dalla considerazione della narrazione come forma 20 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” di azione sociale e dell’atto del narrare come forma di attività sociale coinvolgente i partecipanti in risposte narrative alla storia ascoltata. Il lavoro si focalizza quindi sulle diverse risposte che la storia di un uomo con una lesione al midollo spinale che gli ha provocato disabilità permanente suscita negli ascoltatori: è quella che, nei termini di Frank (63) si può classificare come “narrazione di caos”, ovvero che ritiene la vita non potrà più migliorare. Gli autori identificano quattro tipi di risposta a questo tipo di narrazione quali copioni (script) culturalmente a disposizione dei propri membri: 1) storie di restituzione mediante terapia della depressione; 2) storie di restituzione mediante un intervento biotecnologico (cellule staminali); 3) storie socialmente modellate dalla rimozione delle barriere; 4) storie di conforto mediante l’ascolto empatico. Dopo aver evidenziato i limiti di ciascun tipo di risposta, gli autori si focalizzano sulle complesse assunzioni che informano la loro costruzione e sul possibile impatto che esse producono sia sul narratore che sull’ascoltatore. Seguendo Riessman (65), essi cercano quindi di mettere a fuoco sia i problemi del “raccontare” – quale attività sociale che prevede un narratore che racconta una storia a degli ascoltatori che divengono co-narratori che rispondono con proprie reazioni, domande o storie – che della “raccontabilità” – inteso come lo spazio discorsivo che si colloca fra il limite inferiore dell’ovvio ed il limite superiore dell’imbarazzante e dello spaventoso. Di particolare interesse in questo approccio è poi il concetto di “costruzione della trama terapeutica” (therapeutic emplotment) proposto da Mattingly (45), che implica una definizione di narrazione fondata sulla connessione fra storia narrata e azione sociale e sulla similarità fra strutture narrative e modalità di dispiegarsi della vita nel tempo (non lineare, con punti di svolta, ecc.). Esso si fonda su due presupposti filosofici: la connessione fra discorso e azione (filosofia morale e politica) e la natura socialmente e linguisticamente mediata dell’esperienza umana (fenomenologia ed ermeneutica). Su tali premesse, Mattingly ritiene che il significato delle narrazioni non stia tanto nel loro essere raccontate quanto nel loro divenire strumenti per creare esperienze nella pratica clinica. Mediante la creazione di trame terapeutiche, le narrazioni divengono così strumenti nelle mani dei professionisti sanitari per modellare le loro interazioni con i pazienti con malattia cronica co-costruendole assieme ad essi (66). Commenti Quali sono dunque i punti di forza e di debolezza, le potenzialità ma anche i limiti ed i rischi che ciascuno dei quattro approcci descritti alla medicina narrativa comporta in termini di concrete ricadute operative per i servizi sanitari e socio-sanitari e per i professionisti in essi operanti? 1. L’approccio alla medicina narrativa in termini di terapia narrativa appare strettamente interconnesso al contesto di tipo psicologico, psicoterapeutico, psicanalitico, psichiatrico, neurologico e neuropsichiatrico nel quale è nato ed è stato sviluppato: in tal senso, esso si qualifica come tale, ovvero come una forma di terapia alternativa o complementare (a seconda del paradigma adottato: psicoanalitico-psicodinamico, sistemico-relazionale, cognitivo-comportamentale, fenomenologicoesistenziale, ecc.) rispetto ad altre forme di terapia (di tipo farmacologico, ipnotico, ecc.) individuali o di gruppo utilizzate nel contesto della diagnosi, cura e riabilitazione del disagio psichico o dei disturbi mentali. I criteri di valutazione dei punti di forza e di debolezza di tale forma terapeutica rinviano dunque a tale ambito e non risultano di stretta pertinenza delle finalità perseguite in questo lavoro. Pur 21 Relazioni degli esperti_Allegato nella piena consapevolezza delle indubbie ricadute terapeutiche che l’utilizzo della narrazione può avere nel corso della consultazione clinica e del contributo che essa può offrire all’efficacia del percorso di guarigione, la terapia narrativa risulta infatti perseguire finalità strettamente connesse alla cura del disagio psichico o del disturbo mentale sostanzialmente diverse da quelle perseguite per la cura delle malattie rare e cronico-degenerative. Appare quindi opportuno operare una chiara distinzione fra la terapia narrativa in senso stretto, che persegue finalità direttamente terapeutiche della malattia mentale, e la medicina narrativa in quanto metodologia d’intervento clinico, i cui eventuali effetti terapeutici di tipo collaterale o secondario sono da considerarsi conseguenze intenzionali delle finalità di altra natura primariamente perseguite. La definizione di tali finalità può essere messa a punto, dopo questo preliminare distinguo, grazie alla valutazione degli altri tre approcci individuati. 2. L’approccio di tipo umanistico-narratologico è quello al quale si deve la definizione stessa di “Medicina Narrativa”: come tale, va quindi sottolineato anzitutto il suo valore pionieristico consistente nell’aver colto per primo la valenza sia euristica che operativa che l’incontro fra medicina e narratologia poteva assumere. In particolare, è la considerazione della medicina stessa come “impresa narrativa” proposta dalla Charon a consentire di gettare le basi per una riconsiderazione della consultazione clinica nella quale la dimensione narrativa non risulti meramente collaterale, puro orpello ornamentale, ma divenga centrale per una comprensione più approfondita delle modalità di operare della consultazione stessa. Come dimostra il modello di integrazione fra medicina narrativa ed EBM messo a punto da un’équipe brasiliana coordinata dalla Charon (69), è infatti possibile partire dai tre elementi costitutivi della medicina narrativa (attenzione, rappresentazione e affiliazione) da lei proposti per ridefinire i problemi, le azioni, le scelte e gli obiettivi delle quattro componenti dell’interazione clinica (diagnosi, terapia, prognosi e danno) secondo un modello integrato nel quale preferenze, bisogni e priorità sono generati mediante l’utilizzo della narrazione. Significativo punto di forza di questo approccio anche l’aver identificato le quattro situazioni nelle quali la “competenza narrativa” ha modo di dispiegarsi come un modello di riferimento: quella del coinvolgimento empatico nella relazione medico-paziente, quella di una pratica riflessiva del professionista con se stesso, quella della relazione del professionista con i colleghi e, infine, quella della relazione medico-società improntata ad una relazione di fiducia. Essa ci consente così anche di ampliare l’orizzonte della ricaduta operativa della medicina narrativa al di là della stessa consultazione clinica per investire le relazioni interprofessionali ed il rapporto fra medicina e società. I principali punti di debolezza di questo approccio ci sembrano invece essere fondamentalmente tre. Anzitutto, il punto di vista adottato nella definizione della Charon di medicina narrativa resta esclusivamente quello del medico: al fine di sviluppare una definizione più comprensiva, inclusiva anche di tutti gli altri soggetti professionali (infermieri, terapisti della riabilitazione, tecnici, ecc.) e non (caregiver, ecc.) implicati nella consultazione clinica, si rende quindi necessaria una operazione di “pluralizzazione dei punti vista” che il successivo approccio socio-antropologico renderà possibile. In secondo luogo, il limite epistemologico forse maggiore è dato dal fatto che il sapere biomedico non pare rimesso in discussione da questo approccio ma, anzi, rinforzato dalla riconferma della netta divisione cartesiana del lavoro fra scienza e “humanities”. La medicina narrativa introduce infatti in un mondo dominato dall’EBM e dalla sua logica fondamentalmente di tipo positivistico un tipo di conoscenza alquanto diverso che questo approccio non consente di tematizzare adeguatamente, dal momento che non possiede gli strumenti per poterlo fare: la narratologia si limita infatti a leggere l’incontro clinico 22 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” come trama narrativa e ad analizzarla in quanto tale, mentre questa operazione diviene invece possibile grazie all’apporto del successivo approccio fenomenologico-ermeneutico. Infine, il terzo limite di questo approccio è rappresentato dai rischi in termini di conseguenze negative inintenzionali che la diffusione e disseminazione della scrittura riflessiva può avere per i pazienti, sia in termini di una loro stereotipizzazione in personaggi delle storie, sia di violazione della loro privacy; ma anche per i professionisti sanitari non adeguatamente formati all’utilizzo della medicina narrativa, che considerino in modo naïve le narrazioni dei pazienti come autentiche “voci dei pazienti”, resoconti oggettivi dell’esperienza personale spacciata per verità oggettiva anziché quali forme di mediazione simbolica del vissuto esperienziale necessariamente influenzate da una serie di fattori soggettivi, sociali e culturali. 3. L’approccio fenomenologico-ermeneutico ha il merito di partire proprio dalla considerazione della consultazione clinica come forma d’interazione fondamentalmente interpretativa, di “incontro fra interpretazioni” che, riconoscendo la natura interpretativa della comprensione clinica, consenta il superamento di un approccio di tipo empirista-positivista che si illuda di poter cogliere la verità dei “dati di fatto” senza mediazioni interpretative, pretendendo di fondarsi esclusivamente su di una loro presunta “oggettività”, dietro la quale in realtà si nascondono elementi di soggettività, di ambiguità e di incertezza propri di ogni atto interpretativo umano. Una lettura dell’incontro clinico in chiave fenomenologico-ermeneutica non può quindi che iniziare con una premessa di “umiltà gnoseologica” consistente in quella che Husserl definisce epoché, ovvero sospensione del giudizio, ammissione di indigenza conoscitiva rispetto ad ogni pretesa di esser portatori di una presunta “verità scientifica” esclusiva, e presa di coscienza dei propri pregiudizi e precomprensioni. Solo così diviene possibile interpretare poi l’incontro clinico come un testo, anzi come una molteplicità di testi, che include il testo esperienziale del paziente, il testo narrativo della storia medica, il testo fisico o percettivo dell’esame obiettivo del corpo del paziente, il testo strumentale dei risultati degli esami diagnostici ed il testo narrativo del piano terapeutico e della sua implementazione: in tal modo, il riconoscimento della natura narrativa dell’incontro clinico comporta necessariamente un ridimensionamento ed una relativizzazione del sapere professionale biomedico, considerato non più come esclusivo ma come una componente di cui la stessa narrazione biomedica si avvale unitamente ad altre componenti di natura extrascientifica (culturali, esperienziali, valoriali, ecc.). La pluralità dei significati interpretativi possibili rimanda quindi alla pluralità dei punti di vista espressi nelle narrazioni, che come tali vanno considerati non come predefiniti ma come una possibilità narrativa aperta il cui esito è legato alle modalità con cui tali narrazioni si intrecciano nel setting clinico: il risultato saranno quindi delle “co-costruzioni”, che dipendono in buona parte dal comportamento del medico e dal grado di comunicazione e di empatia instaurato con il paziente e gli altri attori eventualmente partecipanti. L’unico punto di debolezza di tale approccio appare quello di una insufficiente elaborazione del rapporto fra testo e azione, della natura fondamentalmente interattiva e dialogica dei testi clinici, che richiede di prestare attenzione anche alla narrazione dei processi decisionali e del grado di condivisione che essi comportano. 4. Su quest’ultimo limite interviene però l’ultimo approccio di tipo socio-antropologico che, a partire dal riconoscimento della natura di costruzione sociale di ogni narrazione, compresa quella terapeutica, individua la pluralità degli attori coinvolti nell’incontro clinico (il medico, gli altri professionisti sanitari, eventualmente i professionisti sociali, il paziente stesso, il/i suo/i caregiver) in quanto portatori di una conseguente pluralità di punti di vista, tutti egualmente socialmente legittimi nei loro contenuti culturali 23 Relazioni degli esperti_Allegato e nella diversità di narrazioni alternative che essi esprimono in connessione con i diversi ruoli sociali a cui fanno riferimento. La triade illness-disease-sickness consente in tal modo di superare il dualismo cartesiano nell’incontro clinico, permettendo di andare al di là di ogni semplicistica separazione corpomente entro una nuova cornice di riferimento che sposta l’attenzione principalmente sulla molteplicità di connessioni possibili fra le diverse dimensioni (biologica, psicologica, sociale, economica, politica, ecc.) implicate in ogni episodio di malattia. La natura processuale, interattiva e dialogica della consultazione clinica viene così necessariamente ad integrarsi come quella interpretativa, di cocostruzione testuale proposta dall’approccio fenomenologico-ermeneutico. Di particolare valore, in questo approccio, appare il concetto di “costruzione della trama terapeutica” in quanto strumento di connessione fra discorso e azione, storia narrata e agire sociale, nonché di espressione della natura socialmente e linguisticamente mediata dell’esperienza umana: il che permette di utilizzare, ad esempio, la possibilità di “messa al congiuntivo” delle trame terapeutiche (ovvero, di costruzione di trame alternative possibili di guarigione o di riabilitazione) per creare nuove esperienze e percorsi terapeutico-riabilitativi nella pratica clinica co-costruendoli fra professionisti sanitari, sociali, malati e caregiver. Conclusioni A conclusione del nostro percorso, cercheremo di pervenire ad una definizione di medicina narrativa che, tenendo conto del pluralismo teorico riscontrato nel corso dell’excursus relativo alle diverse definizioni, nonché della pluralità dei punti di vista che le diverse implicazioni ad esse sottese ci hanno consentito di individuare, possa risultare la più comprensiva possibile ma anche la più adeguatamente operazionalizzabile in termini di concreta operatività dei servizi sanitari e socio-sanitari e dei professionisti in essi operanti, con particolare riferimento alle malattie rare e cronico-degenerative. Essa è strutturata in un preambolo, in tre assiomi, nella definizione in senso stretto e in un corollario. PREAMBOLO. È opportuno anzitutto operare un distinguo terapia narrativa e medicina narrativa, al fine di evitare ogni possibile equivoco conseguente: la narrazione può essere infatti intesa e utilizzata in senso stretto come terapia narrativa, ovvero come una forma di terapia alternativa o complementare (a seconda del paradigma adottato) rispetto ad altre forme di terapia (di tipo farmacologico, ipnotico, ecc.) individuali o di gruppo utilizzate nel contesto della diagnosi, cura e riabilitazione del disagio psichico o dei disturbi mentali. La terapia narrativa risulta quindi perseguire finalità strettamente connesse alla cura del disagio psichico o del disturbo mentale sostanzialmente diverse da quelle perseguite per la cura delle malattie rare e cronico-degenerative: per cui si rende opportuno operare una chiara distinzione fra la terapia narrativa in senso stretto, che persegue finalità direttamente terapeutiche della malattia mentale, e la medicina narrativa in quanto metodologia d’intervento clinico-assistenziale, i cui eventuali effetti terapeutici di tipo collaterale o secondario sono da considerarsi conseguenze intenzionali secondarie delle finalità di altra natura primariamente perseguite. Al fine di rafforzare tale distinguo, si consiglia di utilizzare la dizione europea di “Medicina basata sulla 24 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Narrazione” (Narrative based Medicine), che appare maggiormente auto-evidente e meno equivoca di quella americana di “Medicina Narrativa” (Narrative Medicine). ASSIOMA N.1. La consultazione clinica è un sistema d’interazione sociale prodotto dall’evento-malattia al quale partecipano la persona sofferente, uno o più professionisti della salute legittimati ad intervenire dal loro sapere esperto ed altri eventuali soggetti sociali che intervengono a vario titolo (caregiver, badanti, ecc.). Ciascuno di questi tre tipologie di soggetti è portatore di un diverso punto di vista sulla malattia fondato su una differente prospettiva che viene denominata illness nel caso della persona sofferente (prospettiva esperienziale), disease nel caso del/i professionista/i (prospettiva esperta) e sickness nel caso di altri soggetti sociali coinvolti (prospettiva profana). I tre tipi di prospettiva producono e sono allo stesso tempo espressione di tre diversi tipi di saperi (esperienziale, esperto e profano) che danno luogo ad altrettanti diversi tipi di narrazioni, tutte egualmente legittime e complementari, dalla cui interazione si origina e si sviluppa il processo della consultazione clinica nelle sue diverse fasi (diagnosi, terapia, prognosi). ASSIOMA N.2. La dimensione interpretativa è quindi strettamente connaturata alla consultazione clinica in quanto incontro di differenti narrazioni e dei relativi significati attribuiti alla malattia, di per sé affatto autoevidente, che richiede quindi per una sua piena comprensione olistica la messa in atto di un dialogo ermeneutico che consenta la piena valorizzazione della pluralità di saperi coinvolti per una loro integrazione finalizzata alla realizzazione di una adeguata relazione di cura (care). ASSIOMA N.3. Al fine di definire la Medicina basata sulle Narrazioni è fondamentale sottolineare con forza che: la “buona medicina” oggi non può prescindere dall’ascolto delle narrazioni. Le persone e le storie oggi sempre più chiedono di essere protagoniste del processo di cura affinché questo aderisca il più possibile all’ideale di vita buona e di qualità di vita. Le narrazioni sono un modo per rendere “presenti” le persone; ascoltare le narrazioni del paziente e dei caregiver è una conditio sine qua non della medicina contemporanea fondata sulla scelta (vedi la rivoluzione introdotta dal consenso) e sulla partecipazione attiva dei soggetti che coinvolge. DEFINIZIONE. Sulla base dei due precedenti assiomi, definiamo come “Medicina basata sulla Narrazione” (Narrative based Medicine): una metodologia d’intervento clinico-assistenziale che considera la narrazione come uno strumento fondamentale di acquisizione e comprensione della pluralità di prospettive che intervengono nell’evento-malattia, finalizzata ad un’adeguata rilevazione della storia della malattia che, mediante la co-costruzione di una possibile trama alternativa, consenta la definizione e la realizzazione di un percorso di cura efficace, appropriato e condiviso (storia di cura); uno strumento dal valore epidemiologico che può dare visibilità ai diritti violati, ai bisogni inevasi, integrare i dati quantitativi raccolti attraverso questionari su accessibilità ai servizi e qualità della cura e della vita; 25 Relazioni degli esperti_Allegato un momento-atto politico come momento di presa di coscienza e conquista-restituzione di diritti, in particolare del diritto ad avere voce, che può favorire situazioni di empowerment e promuovere una “cultura di partecipazione e di diritto”; una metodologia dal grande valore pedagogico per medici e sanitari, pazienti e caregiver: promuovere Medicina basata sulle Narrazioni implica costruire percorsi educativi e progetti che prevedano la partecipazione attiva di pazienti, familiari, associazioni e abbiano rilevanza in termini di salute pubblica. COROLLARIO. La messa in atto della suddetta metodologia d’intervento clinico presuppone una adeguata “competenza narrativa” sia da parte dei professionisti della cura che degli altri attori coinvolti (pazienti e caregiver) che si esplica sia sul piano della conoscenza della diversa prospettiva dell’altro (sapere), che sul piano degli atteggiamenti di ascolto empatico e comprensione (sapere essere) e su quello delle abilità pratiche di messa in atto delle azioni di cura (saper fare). L’acquisizione di tale competenza narrativa diffusa da parte dei soggetti coinvolti nella consultazione clinico-assistenziale comporta la realizzazione di percorsi formativi sia specifici dei rispettivi ruoli che congiunti e incentrati sulle tecniche narratologiche, fenomenologico-ermeneutiche e socio-antropologiche necessarie a sviluppare un approccio dialogico-narrativo alla consultazione clinica. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. Materia E, Baglio G. Medicina e verità: tra scienza e narrazione. Recenti progressi in medicina 2009;100, 7-8: 365-70. Giannetta P, Federspil G. Epistemologia dell’errore clinico. Arco di Giano 2008; 55: 11-30. Bocchi G, Ceruti M. (a cura di) La sfida della complessità. Milano: Feltrinelli, 1985. Sachdev P. The narrative in neurology and psychiatry. Neuropsychiatry 2011; 24: 215-8. Chrzastowski SK. A narrative perspective on genograms: revisiting classical family therapy methods. Clinical Child Psychology and Psychiatry 2011; 16, 4: 635–644. Hall JM. Narrative Methods in a Study of Trauma Recovery. Qualitative Health Research 2011; 21, 1:3–13. Mohrmann ME, Shepherd L. Ready to listen: Why welcome matters. Journal of Pain and Symptom Management 2012; 43, 3: 646-650. Rubessa R, Bertoglio F, Parizzi F et al. Nostro figlio ha una malattia metabolica rara. Medico e Bambino 2012; 31, 6: 371-374. Carlick A, Biley FC. Thoughts on the therapeutic use of narrative in the promotion of coping in cancer care. European journal of cancer care 2004; 13, 4: 308-17. Pelusi J, Krebs L. Understanding cancer-understanding the stories of life and living. Journal of cancer education: the official journal of the American Association for Cancer Education 2005; 20, 1: 12-6. Romanoff BD, Thompson BE., Meaning Construction in Palliative Care: The Use of Narrative, Ritual, and the xpressive Arts, Am J Hosp Palliat Care. 2006 Aug-Sep; 23(4): 309-16. Meininger HP. Narrative ethics in nursing for persons with intellectual disabilities. Nursing philosophy : an international journal for healthcare professionals 2005; 6, 2: 106-18. Benaglio C. Per una epidemiologia a partire dalle storie di malattia. Una guida all'approfondimento dell'approccio narrativo in medicina e delle storie di malattia. Assistenza infermieristica e ricerca AIR 2005; 24, 3: 136-41. Zannini L. Salute, malattia e cura. Teorie e percorsi di clinica della formazione per gli operatori socio-sanitari. Franco Angeli 2001. 26 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” 15. Giarelli G, Good BJ, Del Vecchio Good M-J, Martini M, Ruozi C. Storie di cura. Medicina narrativa e medicina delle evidenze: l’integrazione possibile. Franco Angeli 2005. 16. Tognoni G. Aneddoti, blob, storie e persone. La narrazione come priorità infermieristica? Assistenza infermieristica e ricerca AIR 2005; 24, 3: 110-2. 17. Salvatore S, Gennaro A, Auletta A. et al. Dynamic Mapping of the Structures of Content in clinical settings (DMSC). A new coding system for analysing the patient’s narratives. Psychology and Psychotherapy: Theory, Research and Practice 2012; 85: 391–423. 18. Wallis J, Burns J, Capdevila R. What Is Narrative Therapy and What Is It Not? The Usefulness of Q Methodology to Explore Accounts of White and Epston’s (1990) Approach to Narrative Therapy. Clinical Psychology and Psychotherapy 2011; 18: 486–497. 19. White M, Epston D. Narrative means to therapeutic ends. New York: Norton, 1990. 20. Bruner J. Actual minds, possible worlds. Cambridge (MA): Harvard University Press, 1986. 21. Charon R. Narrative medicine in the international education of physicians. La Presse Médicale 2013; 42, 1: 35. 22. Charon R. Narrative medicine: Form, function, and ethics. Annals of Internal Medicine January 2001; 134, 1: 83-7. 23. Charon R. Narrative Medicine. A model for empathy, reflection, profession, and trust. JAMA 2001; 286, October 17: 1897-1902. 24. Charon R. At the membranes of care: Stories in Narrative Medicine. Academic Medicine 2012; 87, 3:342–347. 25. Holmgren L, Fuks A, Boudreau D. et al. Terminology and praxis: Clarifying the scope of narrative in medicine. Literature and Medicine 2011; 29, 2: 246-273. 26. Nowaczyk MJM. Narrative medicine in clinical genetics practice. American Journal of Medical Genetics 2012; Part A, 158A: 1941-7. 27. Gensini GF Integrative medicine in the perspective of P4 Medicine. European Journal of Integrative Medicine 2012; 4, 1: 7. 28. Borkan J, Reis S, Medalie J. Narratives in family medicine: Tales of transformation, points of breakthrough for family physicians, Families, Systems and Health 2001; 19, 2: 121-134. 29. Shapiro J. Illness narratives: reliability, authenticity and the empathic witness. Medical Humanities December 2011; 37, 2: 68–72. 30. Woods A. The limits of narrative: provocations for the medical humanities. Medical Humanities. 2011; 37: 738. 31. Strawson G. Against narrativity. Ratio 2004; 17: 428-52. 32. Coulehan J. Metaphor and medicine: narrative in clinical practice. The Yale journal of biology and medicine 2003; 76, 2: 87-95. 33. Sontag S. Illness as metaphor. Paperback 1978. 34. Launer. Narrative-based medicine: a passing fad or a giant leap for general practice? The British journal of general practice: the journal of the Royal College of General Practitioners 2003; 53, 487: 91-2. 35. Schultz DS., Flasher LV. Charles Taylor, phronesis and medicine: Ethics and interpretation in illness narratives. Journal of Medicine and Philosophy 2011; 36: 394-409. 36. Jones AH. Narrative based medicine: narrative in medical ethics. BMJ (Clinical research ed.)1999; 318, 7178: 253-6. 37. Charon R, Brody H, Clark MW, Davis D, Martinez R, Nelson R M. Literature and ethical medicine: five cases from common practice. The Journal of medicine and philosophy 1996; 21, 3: 243-65. 38. Lavie-Ajayi M., Almog N., Krumer-Nevo M. Chronic pain as a narratological distress: a phenomenological study. Chronic Illness 2012; 8, 3: 192–200. 39. Leder D. Clinical interpretation: the hermeneutics of medicine. Theoretical Medicine 1990;11:9-24. 40. Greenhalgh T, Hurwitz B. Narrative based medicine. Dialogue and discourse in clinical practice. London: BMJ Books, , 1998. 41. Kleinman A. The illness narratives: Suffering, healing, and the human condition, New York: Basic Books, 1988. 42. Good BJ. Narrare la malattia. Lo sguardo antropologico sul rapporto medico-paziente, Edizioni di Comunità, Milano, 1999 (ed. orig.: Medicine, rationality, and experience: An anthropological perspective, Cambridge University Pres, Cambridge, MA, 1994). 43. Mishler EG. The discourse of medicine: dialectics of medical interviews. Norwood (NJ): Ablex, 1984. 44. Mishler EG. Research interviewing: context and narrative. Cambridge (MA): Harvard University Press, 1986. 27 Relazioni degli esperti_Allegato 45. Mishler EG. Models of narrative analysis: A typology. Journal of Narrative and Life History 1995; 5, 2: 87-123. 46. Mattingly C. The concept of therapeutic ‘emplotment’, Social Science and Medicine 1994; 38, 6: 811-22. 47. Wilcock PM, Brown Geraint Ceri S, Bateson J, Carver J, Machin S. Using patient stories to inspire quality improvement within the NHS Modernization Agency collaborative programmes. Journal of clinical nursing 2003; 12, 3: 422-30. 48. Overcash JA. Narrative research: a viable methodology for clinical nursing. Nursing forum 2004; 39, 1: 15-22. 49. Sakalys Jurate A. Restoring the patient's voice. The therapeutics of illness narratives. Journal of holistic nursing: official journal of the American Holistic Nurses' Association 2003; 21, 3: 228-41. 50. Milton CL. Stories: Implications for Nursing Ethics and Respect for Another. Nurs Sci Q 2004; 17: 208. 51. Nairn S. Emergency care and narrative knowledge. J Adv Nurs. 2004; 48, 1:59-67. 52. Mitty E. Storytelling, Geriatr Nurs. 2010 Jan-Feb; 31 (1): 58-62. 53. Hawkins SC. Emergency medicine narratives: a systematic discussion of definition and utility. Academic emergency medicine : official journal of the Society for Academic Emergency Medicine 2004; 11, 7: 761-5. 54. Thomas C. Negotiating the contested terrain of narrative methods in illness contexts. Sociology of Health & Illness 2010; 32, 4: 647-60. 55. Atkinson P. Narrative turn or blind alley? Qualitative Health Research 1997; 7, 3: 325-44. 56. Bochner AP. Narrative’s virtues. Qualitative Inquiry 2001 ; 7, 2: 131-57. 57. Frank AW. The standpoint of storyteller. Qualitative Health Research 2000; 10: 354-65. 58. Mishler EG. Patient stories, narratives of resistance and the ethics of human care: a la recherché du temps perdu. Health 2005; 9,4: 431-51. 59. Das Gupta S. Between stillness and story: lessons of children's illness narratives, Pediatrics. 2007 Jun; 119(6):1384-91. 60. Scott SD, Hartling L, Klassen TP. The power of stories: using narratives to communicate evidence to consumers, Nurs Womens Health. 2009 Apr; 13(2): 109-11. 61. Jack B. Giving them a voice: the value of qualitative research, Nurse Researcher. 17, 3, 4-6. 62. Benbow SM, Ong YL, Black S, Garner J. Narratives in a user and carers' group: meanings and impact, International Psychogeriatrics 2009; 21: 33-39. 63. Ziebland S, Herxheimer A., How patients' experiences contribute to decision making: illustrations from DIPEx (personal experiences of health and illness), J Nurs Manag. 2008 May; 16(4): 433-9. 64. Kaplan-Myrth N. Interpreting people as they interpret themselves. Narrative in medical anthropology and family medicine, Can Fam Physician. 2007 August; 53(8): 1268–1269. 65. Kirkpatrick H. A Narrative Framework for Understanding Experiences of People With Severe Mental Illnesses, Arch Psychiatr Nurs. 2008 Apr; 22(2):61-8. 66. Shapiro J. Narrative medicine and narrative writing. Family Medicine 2012; 44, 5:309-11. 67. Charon R, Hermann N. A sense of story, or why teach reflective writing? Acad Med 2012; 87, 1: 5-7. 68. Charon R. Narrative medicine: honoring the stories of illness. New York: Oxford University Press, 2006. 69. Silva SA, Charon R, Wyer P. The marriage of evidence and narrative: scientific nurturance within clinical practice. Journal of Evaluation in Clinical Practice 2011; 17: 585-593. 70. Connelly J. Narrative possibilities. Using mindfulness in clinical practice. Perspectives on Biology and Medicine 2005; 48: 84-94. 71. Hydén LC, Antelius E. Communicative disability and stories: Towards an embodied conception of narratives. Health 2011; 15, 6: 588-603. 72. Frank A. The wounded storyteller: body, illness , and ethics. Chicago: University of Chicago Press, 1995. 73. Smith B, Sparkes AC. Exploring multiple responses to a chaos narrative. Health 2011; 15, 1: 38–53. 74. Riessman C. Narrative methods for the Human Sciences. London: SAGE, 2008. 75. Tropea S. “Therapeutic emplotment”: a new paradigm to explore the interaction between nurses and patients with a long-term illness. Journal of Advanced Nursing 2001; 68, 4: 939-47. 28 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” TEMA 2 _ Quali sono le metodologie e gli strumenti utilizzati nell’ambito della medicina narrativa? Autori Pierluigi BRUSTENGHI, ASL 2 Umbria, Foligno Lorenza GARRINO, Università degli Studi di Torino, Torino Co-autori Francesco COREA, ASL 2 Umbria, Foligno Valerio DIMONTE, Università degli Studi di Torino, Torino Silvano GREGORINO, Università degli Studi di Torino, Torino Paola MONTANARI, Università degli Studi di Torino, Torino Elisa PICCO, AUSL Valle d'Aosta, Aosta 29 Relazioni degli esperti_Allegato Abstract Introduzione. La medicina narrativa porta a valorizzare la storia, l’esperienza ed il punto di vista della persona assistita in un processo di coinvolgimento e condivisione nelle cure e rappresenta il riconoscimento della complessità della persona e della sua testimonianza come malato. Lo scopo che ci si prefigge è comprendere attraverso lo studio della letteratura come si realizzi l’attuale orientamento della medicina narrativa attraverso l’analisi delle metodologie e degli strumenti di cui si avvale nella pratica clinica, anche con riferimento alla ricerca ed allo sviluppo della competenza narrativa Metodologia: è stata effettuata una analisi della letteratura a partire da una ricerca sulle principali banche dati. A partire da 1669 articoli, sono stati selezionati 36 articoli tra quelli maggiormente improntati alle metodologie e tecniche riguardanti l’approccio narrativo. Sono stati inoltre individuati i testi maggiormente rappresentativi i cui autori rappresentano il pensiero fondante e che hanno ampiamente contribuito allo sviluppo medicina narrativa. Sono stati anche indicati alcuni siti di interesse legati a progetti che sono stati realizzati negli ultimi anni. Risultati: Sono state individuate numerose metodologie e tecniche di tipo narrativo. Le storie di malattia, raccolte attraverso colloqui ed interviste orali, scritte, videoregistrate, attraverso la diaristica o approcci più specifici, dove viene sottolineata la diade intervistatore-intervistato, consentono di accedere alla rappresentazione e alla legittimizzazione del significato soggettivo della sofferenza in particolare nelle patologie croniche e nelle malattie rare. La raccolta delle storie si indirizza anche ad approfondire l’aspetto della ricerca sulle cure e sui percorsi di malattia ed all’aspetto formativo-educativo. Conclusioni: Il paradigma narrativo assume un particolare valore nell’approccio ai soggetti con malattie cronico-degenerative, dove il malato e la sua famiglia entrano a pieno titolo come protagonisti e co-autori del percorso di cura. L’utilizzo dell’approccio narrativo attraverso la sua componente riflessiva, risulta strettamente legato all’aspetto formativo-educativo, anche nel suo orizzonte di progettualità, ed al costante ed auto-rigenerante sviluppo della competenza narrativa. Parole chiave: medicina narrativa, narrative based medicine, intervista narrativa, narrative illness, narrative inquiry, lived experience, competenza narrativa. 30 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Introduzione Il concetto di malattia, nel tempo attuale, non può più essere visto e interpretato in senso unimodale e strettamente biologico, ma richiede un approccio olistico al cui interno siano analizzabili tutti i significati, palesi o latenti, che una patologia nel suo presentarsi produce. Il riduzionismo scientifico, se da un lato ha apportato alcune sicurezze, dall’altro ha eccessivamente semplificato il significato del perdere salute, trascurando aspetti di non secondaria valenza. Esistono malattie acute e croniche, curabili e non, alcune risolvibili in breve tempo, altre no, ma, indipendentemente dall’outcome, chi risulta soggetto di qualsivoglia interruzione del flusso esistenziale è la persona malata, la sua famiglia e la società in cui vive. La malattia è innanzitutto una esperienza umana, qualunque sia la sua eziologia, e si carica di significati legati al contesto ed alla personale storia del paziente. Non è possibile comprendere un individuo senza capire i “mondi” di quella persona e la rete di significati nei quali questa persona vive. Le parole e le trame delle storie hanno un ruolo importante nella esperienza di malattia. L’ascolto di queste narrazioni ci dà la possibilità di comprendere una realtà complessa, spesso non definibile solo nella prospettiva biomedica tradizionale. È illusorio o quanto meno ingenuo sostenere che una buona pratica clinica, per essere tale, debba fare affidamento sulla semplice osservazione di linee guida, sulla “best practice”, sulla verità emersa dai trial randomizzati, escludendo da ciò la componente dei vissuti interiori del soggetto, il suo parere, il giornale di bordo che ogni giorno, più o meno consapevolmente, compila chi è malato. Il viaggio all’interno di una o più malattie è comparabile al binario del treno, esso è costituito da due simmetriche ed equidistanti barre di ferro che fedelmente ricalcano una traiettoria mutevole, una delle componenti può essere identificata nel diario clinico di malattia, l’altra in quello esistenziale e relazionale. Entrambe sono essenziali e non escludibili, pena il deragliamento. Un viaggio sicuro presuppone, quindi, la coesistenza delle due modalità e chi è interessato alla sicurezza e all’arrivo a destinazione, deve curarsi di entrambi. La Narrative Based Medicine (NBM) nasce come binario parallelo alla Evidence Based Medicine (EBM). Una malattia condensa in una rete di esperienze significative e simboliche gli aspetti che i clinici devono dedurre per comprendere il contesto del comportamento del paziente. Focalizzare l’attenzione su queste esperienze, forti ed emotivamente cariche, piuttosto che unicamente sul significato biomedico, aiuterà il clinico a comprendere la realtà del paziente. La medicina narrativa porta a valorizzare la storia, l’esperienza ed il punto di vista della persona assistita in un processo di coinvolgimento e condivisione nelle cure e rappresenta il riconoscimento della complessità della persona e della sua testimonianza come malato. Il paradigma narrativo assume un particolare valore nell’approccio ai soggetti con malattie cronicodegenerative, dove il malato e la sua famiglia entrano a pieno titolo come protagonisti e co-autori del percorso di cura. La Narrative Based Medicine (NBM) nasce con questo precipuo obiettivo e risulta quanto mai essenziale conoscerne le metodologie e le tecniche applicative. Ognuno nel suo ambiente applica pennellate di narrazione talora illudendosi che tale approccio sia solo un approfondimento umanizzato e sensibilizzato alla malattia. La medicina narrativa richiede approcci metodologici di comprovata utilità, confrontabilità e riproducibilità in base ai principi di efficacia ed efficienza. Da questa 31 Relazioni degli esperti_Allegato esigenza/necessità nasce questo lavoro indirizzato all’analisi accurata della letteratura più significativa a riguardo. Lo scopo che ci si prefigge è comprendere attraverso lo studio della letteratura come si realizzi l’attuale orientamento della medicina narrativa attraverso l’analisi delle metodologie e degli strumenti di cui si avvale nella pratica clinica, anche con riferimento alla ricerca ed allo sviluppo della competenza narrativa. Excursus sulle metodologie e tecniche utilizzati nell’ambito della medicina narrativa Lo sviluppo della medicina narrativa si basa su un duplice riconoscimento, ovvero che la malattia umana è fondamentalmente semantica e densa di significati e che tutta la pratica clinica è intrinsecamente interpretativa ed “ermeneutica” (1). Questo implica il fatto che, come afferma Charon (2-4), il medico indaghi con mente creativa, aperta e con coraggio, le multiple relazioni causali tra i sintomi e le complesse situazioni che il malato presenta, mettendo in connessione eventi ed elementi diversi e tra loro distanti, per costruire una trama che renda la malattia qualcosa che abbia un senso per lui. L’intersoggettività nasce dall’incontro tra un narratore ed un ascoltatore attraverso un testo, una trama intesa come struttura che connette gli eventi tra loro secondo nessi causali significativi. Charon afferma che le relazioni terapeutiche sono basate su testi complessi, che comprendono parole, silenzi, aspetti fisici ed immagini. La narrazione può portare colui che racconta ad esporre aspetti e parti di sé riservate ed intime. La professionalità del curante implica un atteggiamento etico, di ascolto rispettoso ed attento nell’accogliere i racconti della persona assistita, evitando di porre domande intrusive e di ricercare informazioni non strettamente utili, forzando il racconto che la persona sta facendo. La narrativa ha a che fare con gli individui. Inoltre concerne cosa questi individui provano e cosa gli altri provano rispetto a loro, o più semplicemente cosa essi fanno o viene fatto per loro. Tutti elementi che concorrono a fornire un quadro di insieme della persona e del contesto, degli aspetti sociali, psicologici, e non solo, ma anche degli aspetti biologici e fisici (5). Da queste considerazioni nasce l’approccio NBM. La medicina narrativa non è solo finalizzata a comprendere meglio il paziente e la sua malattia, ma diventa un elemento fondante l’atto diagnostico e di cura; nell’incontro clinico narrative based si co-costruisce una storia di malattia, esplorandone tutte le dimensioni: il medico e più in generale l’operatore sanitario entra dunque con tutto se stesso, al fine di costruire una conoscenza del paziente, inteso come soggetto unico e irripetibile (6). Nella medicina narrativa appaiono adatti allo scopo e particolarmente rilevanti alcuni strumenti: la conversazione – chiaramente diversa dall’interrogazione – tra medico/operatore sanitario e persona assistita sulle sue esperienze di malattia; il racconto scritto e comunicato da parte del paziente sulla sua 32 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” esperienza di malattia; la comunicazione e discussione tra medico/operatore sanitario e persona assistita sulle perplessità e difficoltà che l’attuale malattia comporta. La ricostruzione delle vicende e dell’intero contesto in cui si inserisce, obbliga a ricomporre, a integrare in modo critico, in una visione di insieme, gli elementi che l’analisi tende a scindere. Il solo modo di far quadrare la malattia dei libri di testo (che è un concetto astratto e probabilistico) con quella che abbiamo definito la malattia come un problema individuale è quello di esplorare l’universo di significati che costituisce il mondo dell’altro. Il mondo dell’altro ci viene rivelato attraverso la narrazione. L’esplorazione è un intervento antropologico mediante il quale ci si avventura con estrema delicatezza in un territorio ignoto, ma dove termini e concetti che potrebbero sembrare condivisi hanno invece significati profondamente diversi. Il medico dice “diabete” ed ha in mente una patologia definita: il malato dice “diabete” ed ha in mente un problema complesso e sfumato, che coinvolge lui, la sua famiglia, il suo lavoro, il suo presente, il suo futuro (7). Rita Charon (4) identifica cinque aspetti che costituiscono gli elementi narrativi nella relazione con la persona assistita: la temporalità, l’unicità, la causalità, l’intersoggettività e l’etica. La temporalità riguarda lo sviluppo nel tempo della storia del paziente e il riconoscimento della soggettività nel valore attribuito al tempo. L’unicità della persona e della sua esperienza implicano il riconoscere nelle parole del paziente il senso da lui attribuito alla malattia. Questo consente di impostare una relazione terapeutica basata sul dialogo, sulla comprensione e sulla condivisione. Nella prospettiva della medicina narrativa le domande per individuare gli elementi della rete semantica di malattia del paziente, secondo la concezione antropologica di Byron Good (1) possono essere: quando ha avuto inizio il problema? Quali altre cose sono successe nella sua vita? Come pensa possano essere legate al suo problema? Quali precedenti esperienze ha avuto con questa malattia? Quali problemi ha comportato la malattia nella sua vita? A che cosa ha dovuto rinunciare a causa della malattia? Conosce altre persone che hanno vissuto la medesima condizione? Quali problemi ha causato loro? Quanto pensa possa aggravarsi la malattia in futuro? Quali sono le più difficili o significative esperienze che può associare a questo problema? Tali esperienze sono particolarmente significative per lei e per la sua famiglia (gruppi sociali, etnici)? Cosa pensano le altre persone rispetto al suo problema? Come hanno reagito nei suoi confronti? Come si è sentito rispetto a queste reazioni? I curanti possono avvalersi di annotazioni parallele, parallel charts, che si uniscono alla descrizione fatta dalla persona assistita e che consentono di fissare ed esaminare i vissuti, i sentimenti, le emozioni che caratterizzano il lavoro di cura. Rita Charon (4) afferma di utilizzare questo strumento a scopo didattico dal 1993, dopo averlo personalmente sperimentato. Charon sottolinea di aver cominciato questa pratica scrivendo le storie dei pazienti più problematici o che avevano creato in lei difficoltà e sconcerto e questo aveva consentito di approfondire la conoscenza di sé e del paziente stesso, che altrimenti sarebbe rimasta inaccessibile. Afferma inoltre di sottoporre i propri scritti ai pazienti stessi. Se il mio scritto costituisce una ipotesi di una forma di ricerca intersoggettiva, solo il paziente può testare questa ipotesi. (…) In una visita successiva io invito il paziente a leggere ciò che io ho scritto e a darmi un rimando se ho scritto la storia correttamente. John Launer (8) sottolinea alcuni aspetti della pratica clinica narrative based: il colloquio è esso stesso terapeutico e non solo uno strumento relazionale, il curante deve aiutare il paziente a far emergere il 33 Relazioni degli esperti_Allegato significato della sua storia di malattia, al di là delle proprie pre-comprensioni riguardanti una sua prima ipotesi diagnostica, il colloquio deve considerare il contesto in cui la relazione di cura si situa e deve essere finalizzato a dare una risposta ai problemi dei pazienti. Le narrazioni dei pazienti rappresentano per i pazienti stessi un importante mezzo di costruzione di senso delle esperienze di malattia, per ristabilire una connessione con il sé. Questa posizione di ascolto favorisce inoltre una relazione che a sua volta incoraggia la comunicazione dei vari aspetti dell’esperienza nei confronti dei curanti. Il potere terapeutico delle narrazioni e le sue implicazioni vengono ampiamente riportati in letteratura (9). Le storie di malattia consentono di accedere alla rappresentazione e alla legittimizzazione della sofferenza in particolare nella patologie croniche. Spesso lo spunto di partenza è la richiesta all’intervistato di raccontare la propria storia, in particolare dal momento dell’irrompere della malattia. L’invito a raccontarsi può essere stimolato a partire dalla semplice domanda: “Raccontami come si è presentata la tua malattia” (10). Il ricorso ad interviste narrative semi-strutturate è connesso al tentativo di dare voce all’esperienza, ai vissuti e alle rielaborazioni delle persone intervistate attraverso una guida maggiormente articolata, utile a sondare il significato di sensazione e tempo nella ricostruzione dell’esperienza di malattia (11-14). L’intervista può comprendere in un primo momento domande aperte per permettere ai pazienti di raccontare la loro esperienza e successivamente una serie di domande specifiche sul processo diagnostico, i trattamenti e l’influenza della malattia nelle loro relazioni, nel lavoro e in altri aspetti della loro vita (15). In uno studio focalizzato a esplorare il significato di malattia in soggetti affetti da una malattia cronica esordita almeno da dieci anni le domande utilizzate riguardavano la storia di malattia, il significato della diagnosi, il mutamento di vita dopo la diagnosi, il ruolo della spiritualità, i supporti ricevuti, la disgregazione della vita, la costruzione di un significato. I pazienti elaborando i temi riguardanti la memoria, la speranza e il significato hanno sviluppato maggiore resilienza alla malattia stessa e hanno identificato il passato come una vera fonte di apprendimento (16). Un ulteriore utilizzo dello strumento narrativo riguarda l’analisi delle esperienze vissute dalla diade narratore/ascoltatore durante l’esposizione di un evento traumatico. Al primo viene posta la domanda: “Dimmi cosa hai provato nel narrare la tua storia”, al secondo: “Dimmi cosa hai provato nell’ascoltare questa storia”. In tal modo tra narratore ed ascoltatore si instaura un processo adattativo-collaborativo: nell’ambito della diade narratore-ascoltatore viene sottolineato l’aspetto terapeutico relativo ai pattern di reattività all’ascolto e dell’essere ascoltati, del rendersi presenti, resilienti, sul burn-out e sulla fatica da compassione (17). Una strategia di cura interattiva basata su un approccio narrativo storytelling viene presentata nell’ambito delle cure a lungo termine con la finalità di migliorare i rapporti reciproci tra curanti e ospiti residenti. Lo Story Sharing Intervention (SSI) è una strategia che sviluppa gli aspetti umani e la reciprocità nelle cure. Prevede infatti non solo lo storytelling da parte del soggetto ma uno scambio comunicativo dove entrambi curante e curato si raccontano in un processo reciproco di dare e avere, attraverso un mutuo scambio. Questo approccio deriva da una cultura in cui i soggetti “escono dal loro ruolo” e nel rapporto di cura viene incoraggiato il senso di amicizia. Lo Story Sharing ha come 34 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” presupposti teorici la “Theory of Caring” di Watson (1988,1999) e l’approccio ermeneutico fenomenologico di Heidegger (1927/1962). E’ stato anche esaminato l’utilizzo dello SSI come strategia educativa che conduce ad una autoriflessione e sull’abilità di leggere e comprendere la storia della persona assistita (18). Modalità narrative e relazionali proprie delle persone disabili affette da cerebropatie vengono poste in evidenza da due autori Hydén e Antelius (19). Nel loro studio dimostrano che le persone con disabilità comunicative sono spesso coinvolte in narrazione che non sono necessariamente conformi alle aspettative convenzionali rispetto a ciò che costituisce una narrazione. Analizzando il rapporto tra storia e narrazione dell’evento, esaminano la relazione tra quello che potrebbe essere chiamato il narratore primario e il narratore vicario, che aiuta ricostruire le esperienze utilizzando ciò che altrove è stata definita una “strategia puzzle” della comunicazione. Gli autori evidenziano che narratori con disabilità comunicative sono spesso molto inventivi nel trovare modi di presentarsi come narratori competenti, anche se possono avere alcuni problemi nell’animare una storia coerente e strutturata. Nell’approccio narrative based devono essere messe in conto ed esaminate le difficoltà narrative dei oggetti con lesione cerebrale traumatica quali la riduzione della velocità di linguaggio, gli errori paragrammatici, le maggiori violazioni di coesione, coerenza e regole, la riduzione delle unità informative, i problemi cognitivi nell’organizzazione semantica piuttosto che deficit linguistico specifico, importanti deficit attentivi. Lo studio rafforza l’importanza, in termini di competenza narrativa, delle analisi del linguaggio del narratore (unità semantiche e loro ripetibilità, narrazione in I e III persona ecc) (20). L’utilizzo di storie scritte da genitori di bambini affetti da malattie rare metaboliche è stato realizzato con l’obiettivo di cogliere aspetti del vissuto di malattia che non trovano spazio nella cartella clinica. Il progetto di raccolta storie è iniziato nel 2009 su invito delle relative associazioni che stimolava i genitori a scriverle con la massima libertà narrativa. L’esperienza scritta viene stimolata secondo dei punti precisi quali la comunicazione della diagnosi, la difficoltà di gestione della terapia, i problemi socio-assistenziali, il vissuto di malattia per la famiglia intera. La metodologia mira a mettere in luce se nel percorso di cura siano presenti o meno i seguenti aspetti: la scarsa capacità di ascolto da parte dei medici, le difficoltà dei genitori nel comprendere la malattia, l’invito ai medici di fornire informazioni realistiche ma non eccessivamente cariche di pessimismo, potenziare il concetto di qualità di vita, la disponibilità di ascolto da parte delle istituzioni, gli ostacoli burocratici, il ruolo positive delle associazioni, il senso di angoscia quotidiano, lo sviluppo di resilienza, il valore terapeutico della narrazione, la valenza della narrazione sulla complessità della malattia rara e cronica, la denuncia di decurtazione del tempo dedicato a tali malattie (21). La metodologia Pedagogia dei Genitori propone tre azioni, la cui realizzazione permette di far emergere, utilizzare e socializzare l’enorme giacimento costituito dagli itinerari di crescita promossi dalle famiglie che assistono bambini con malattie croniche e gravi disabilità. La prima consiste nella raccolta, pubblicazione, diffusione delle narrazioni degli itinerari educativi dei genitori, la seconda nella formazione degli esperti che si occupano di rapporti umani (insegnanti, educatori, medici, infermieri, giudici, assistenti sociali) tramite il racconto dei percorsi formativi delle famiglie, inseriti in un quadro epistemologicamente corretto, la terza nell’analisi e nello studio delle narrazioni genitoriali e nella 35 Relazioni degli esperti_Allegato diffusione della Metodologia. Le narrazioni degli itinerari educativi genitoriali si iscrivono nei fondamenti culturali dell’International Classification of Functioning (ICF), nelle premesse della nascente medicina cognitiva e all’interno della Narrative Based Medicine (NBM). Lo strumento della Metodologia Pedagogia dei Genitori Con i nostri occhi, che si avvale della presentazione dei figli da parte dei genitori, è diventato strumento funzionale al Patto educativo famiglia professionisti (22). Una tecnica di intervista a pazienti con malattie croniche realizzata attraverso la self presentation ed il concetto di social support viene presentata come metodo per ottenere narrazioni delle esperienze di malattia in cui intervistatori e intervistati contribuiscono insieme alla costruzione del discorso prodotto dalle interviste (23). L’approccio narrativo indica un nuovo modo di guardare alle cure, come un luogo in cui i pazienti portano ‘storie spezzate’ e invitare professionisti per aiutarli a risolvere. Launer invita a vedere il ruolo professionale del medico come “Story-makers” (24). La narrazione di una storia illustrata anziché la libera conversazione, come per esempio un libro illustrato per bambini come Frog, Where Are You? è stata utilizzata in pazienti con Progressive nonfluent aphasia (PNFA), con Semantic dementia (SemD), e Nonaphasic patients with a disorder of social comportment and executive functioning (SOC/EXEC). Questa metodologia è indicata in quanto le immagini possono permettere di determinare con più accuratezza il risultato rispetto all’obiettivo prefissato. Dalle storie utilizzate sono escluse quelle di fate perché l’aspetto sovrannaturale di queste storie potrebbe confondere la capacità dei ricercatori nell’individuare le difficoltà di organizzazione narrativa dei pazienti. Non è richiesto di descrivere una singola scena perché sarebbe materiale insufficiente per individuare eventuali deficit di organizzazione del discorso. Gli elementi significativi per valutare la completezza delle narrazioni per questo tipo di studio sono l’orientamento, la complessità delle azioni e la risoluzione presenti in ognuno degli episodi del libro prescelto (in questo caso). Gli episodi sono articolati in eventi. La codificazione delle narrazioni è realizzata usando la struttura di tutti gli eventi come standard per la valutazione. Procedura. Ad ogni soggetto è chiesto di sfogliare il libro per familiarizzare con la storia. Quando pronto è chiesto di iniziare a raccontare la storia come se la stesse raccontando a un bambino, seguendo la successione delle immagini. Le narrazioni sono registrate digitalmente. Le registrazioni sono trascritte dettagliatamente da trascrittori addestrati usando Praat. Tutte le trascrizioni sono analizzate da due soggetti indipendenti. Si codificano le seguenti variabili: la durata del racconto; il numero di enunciati; il numero di parole; la difficoltà lessicale; la completezza dei contenuti; la descrizione delle azioni; le interconnessioni globali e le interconnessioni locali. L’assegnazione dei pazienti ai sottogruppi è basata sul consenso di due valutatori indipendenti revisionando una storia neurologica semistrutturata, un esame neurologico completo e un esame dettagliato dello stato mentale. Criteri di esclusione sono altri casi di demenza, di tipo metabolico, endocrinologico, vascolare, strutturale, nutrizionale, di origine infettiva e disordini psichiatrici primari. Esclusi anche pazienti con difficoltà visive percettive che limitano la loro capacità di percepire le immagini (25). 36 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Hassling (26) presenta l’uso della videointervista come metodo utile per cogliere gli aspetti salienti di una narrazione stante il “live” che ne deriva. Dallo studio emerge però, che una semplice videocamera, sebbene orientata in momenti salienti della giornata di una persona malata, non riesce da sola a fornire elementi di sicuro interesse descrittivo se non associata ad altre metodologie. Queste ultime appaiono essere: il diario scritto, il diario elettronico su personal computer, interviste separate dalla ripresa delle immagini. La videocamera deve riprendere momenti strutturati e ben precisi della giornata di un malato quali il trattamento giornaliero della patologia, il benessere psicologico esperito durante la giornata, le relazioni sociali, i farmaci, le istruzioni per la scuola (se trattasi di minore), le misurazioni dei parametri di malattia, la figura familiare che riprende il video e non estranea al nucleo medesimo. Il dato metodologico che ne emerge si riferisce prevalentemente alla lettura delle espressioni corporee e in particolare di quelle mimiche che più testimoniano il dato narrativo della esperienza. Altro elemento risulta essere l’eventuale uso pubblico a scopo educativo e divulgativo del video che sembra offrire una maggiore valenza e penetranza informativa rispetto a fotografie o slogan associate alla semplice immagine. Il punto di debolezza della sola videoregistrazione consiste nella mancata narrazione verbale autoriflessiva su tematiche preordinate che invece offre l’intervista separata dall’immagine. Il sentirsi ripresi infatti può indebolire l’elaborazione dei contenuti profondi di malattia stante un sentimento di intrusività e il pensiero di essere visti da altri in un secondo tempo. Da ciò il dubbio sul rispetto della privacy, sebbene richiesta sempre come liberatoria prima della registrazione. Le narrazioni di malattia delle persone affette da patologie rare e dei professionisti della cura che li hanno in carico sono state condotte attraverso interviste semi strutturate presso un Centro clinico italiano per malattie rare. Partendo dalla raccolta e dal confronto delle storie dei malati e dei curanti sono state identificate le possibili aree di miglioramento dei servizi sanitari attualmente offerti. Nello specifico l’intento è stato quello di analizzare per comprendere la percezione soggettiva della qualità assistenziale e per studiare le strategie mediante cui sono attivati gli itinerari terapeutici (27). L’elaborazione di una tecnica di intervista in profondità viene proposta come metodo per far emergere il punto di vista dei pazienti sui servizi di cura. L’obiettivo sotteso è di arrivare a migliorare i servizi partendo dall’analisi del percepito dei pazienti, basandosi su elementi più completi e ricchi di un semplice questionario di soddisfazione che spesso non aiuta a comprendere veramente le difficoltà presenti in un servizio o in un percorso di cura (28). In uno studio riguardante il ritorno al lavoro di persone affette e curate per cancro i racconti sono stati identificati sulla base di un’osservazione del linguaggio di tipo cognitivo, secondo gli studi di George Lakoff, utilizzati per creare categorie più generali e per suddividere le tipologie dei pazienti narranti : i casi tipici, più rappresentativi, usati per trarre conclusioni circa normali membri della categoria, i casi “Nightmare” che esemplificano i risultati che si potrebbe sperare di evitare, i casi Ideal “o casi “inspirational” usati come standard o benchmark che mostrano quello che potrebbe essere possibile in circostanze eccezionali (29). La metodologia del Time Slips si basa su un approccio terapeutico, narrativo, formativo-esistenziale. I dati sono stati inseriti in una banca dati informatica per l’analisi utilizzando il software SAS v9. I Si sono messi a confronto due gruppi di persone con demenza. Un gruppo è stato trattato secondo la metodologia del Time Slips, l’altro, gruppo di controllo, no. Si è studiato gli effetti della procedura e del 37 Relazioni degli esperti_Allegato dispositivo Time Slips, un programma di narrazione di gruppo a livello nazionale per la cura di Pazienti con Demenza (PWD) che incoraggia narrazione aperta in modo da stimolare l’immaginazione piuttosto che basarsi su reminiscenza di fatto. Principi portanti sono il basarsi sulle capacità creative piuttosto che sulla memoria in modo che i partecipanti non siano frustrati dai deficit cognitivi. La comunicazione avviene in modo naturale, spontaneo, come contributi individuali incoraggiati, riconosciuti e validati in un ambiente collaborativo (30). L’aspetto riguardante le metodologie e gli strumenti della Medicina narrativa si interseca costantemente in letteratura con ricerche di tipo narrative inquiry. Le interviste narrative sono state rivolte ad approfondire tematiche all’interno di un approccio interpretativo fenomenologico o di tipo etnografico. Le interviste in profondità sono condotte face-to-face in una stanza riservata, in ospedale o a casa del partecipante e sono audio registrate. Le registrazione sono trascritte da un professionista della trascrizione e revisionate dal ricercatore per garantire l’accuratezza del testo. Il ricercatore incoraggia i partecipanti a raccontare dettagliatamente storie che siano particolarmente significative, facendo riferimento il più possibile all’esperienza vissuta e meno agli aspetti teorici. Ciascun partecipante è intervistato una sola volta e ogni intervista dura da una a due ore. Il ricercatore pone domande agli operatori per comprendere quanto questi colgano ciò che sta succedendo, quali siano le preoccupazioni più importanti verso i pazienti e familiari che orientano i loro interventi, il modo in cui valutano l’impatto delle loro azioni sui pazienti e familiari e come gli aspetti emozionali figurano nelle loro percezioni ed azioni (31). Docherty (32) in uno studio fenomenologico realizza quattro interviste narrative audio registrate e trascritte della durata di 1,5-2 ore nei confronti di persone affette da malattie croniche (severa cardiopatia, sclerosi multipla in diversa fase di malattia, malattia degenerativa cerebrale). Una volta iniziata l’intervista, i partecipanti raccontavano la loro storia da soli nel modo che più sentivano appropriato. Le interviste sono state, revisionate e codificate in base ai temi salienti che emergevano: le reazioni emotive vissute al momento della diagnosi e descritte come “peak experience”, il ruolo dello stress come fattore precipitante dei sintomi o della malattia, la visione della morte, la malattia come filosofia di vita. Il McGill Illness Narrative Interview (MINI) è un protocollo per la conduzione di interviste narrative per raccogliere narrazioni di esperienze di malattia nell’ambito della ricerca sanitaria. L’intervista MINI è suddivisa in tre parti principali: la raccolta di informazioni in ordine cronologico, relativamente alla malattia e sintomi; la raccolta di informazioni su concettualizzazioni della malattia attuale in relazione a esperienze precedenti proprie o di familiari e amici, notizie dei mass media; i modelli esplicativi di trattamenti, evoluzione della malattia. Un’altra sezione del MINI mira a raccogliere informazioni sui percorsi di cura, le aspettative relative al trattamento, l’aderenza alla terapia, l’impatto della malattia sulla propria identità, percezione del sé e relazione con gli altri. Le narrazioni che derivano dalle interviste condotte con il metodo MINI possono essere sottoposte a diverse strategie interpretative che derivano dall’antropologia medica, sociologia, psicologia. (33) Overcash (34) attraverso una revisione di letteratura fornisce una definizione di ricerca narrativa per un “pubblico” clinico che non ha familiarità con la tecnica narrativa, avvalendosi di esempi di ricerche 38 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” narrative nel settore sanitario. Vengono portati numerosi esempi come il caso in cui sono state sviluppate strategie per aiutare i malati e le loro famiglie ad affrontare la diagnosi ed il percorso di malattia, attraverso la raccolta delle loro percezioni e vissuti. Lo stesso autore in un successivo editoriale (35) descrive le opinioni degli autori su come intraprendere ricerche in ambito di medicina narrativa con la finalità di familiarizzare gli infermieri con il concetto di ricerca narrativa. Sottolinea l’importanza dell’intervista narrativa come chiave per ottenere dati dei pazienti e gli aspetti che differenziano la narrazione maschile e femminile. Le donne tendono ad identificare i concetti attorno a un tema principale mentre i maschi descrivono gli eventi con una successione lineare. L’utilizzo dello strumento narrativo presuppone nel professionista della cura competenze narrative che si possono sviluppare attraverso percorsi formativi con differenti livelli di approfondimento e finalità. Rita Charon (36) effettua un commentario che ha la finalità di commemorare il 10° Academic Medicine’s Teaching and Learning Moments feature (TLM) della Academic Medicine, e nello specifico ad un seminario interprofessionale chiamato “Cultures of Health, Illness, and Health Care”, che si tiene ogni settimana del semestre primaverile. Partecipano al seminario studenti e docenti di quattro scuole diverse: dental, medical, nursing, and public health della Columbia University. Insieme, studenti e docenti, si confrontano e imparano sulle differenti culture, sulla malattia e sulle cure, a partire da una riflessione sui loro vissuti e sulle loro esperienze. I partecipanti trovano che la loro capacità di esaminare e scrivere a partire dalle loro esperienze vissute contribuisce a migliorare la loro capacità di comprendere i pazienti. Confrontarsi sulle storie dei pazienti e di loro stessi, come lettori e scrittori evidenza quanto profonda sia l’origine dentro di sé del loro impegno nelle cure. E come questo contribuisca a renderli membri effettivi dell’equipe di cura. L’analisi di storie scritte da studenti di medicina durante un programmi formativi consentono di identificare il paziente come figura di integrazione multidisciplinare, la conoscenza della sua storia migliora la qualità dei temi a lui sensibili, il longitudinal care si adatta sia al paziente acuto che complesso-cronico, le pluripatologie vengono ad essere meglio gestite, un forte legame tra studente e paziente su base empatica che permette di dare stimolo alla cura e alla riflessione su se stessi, una maggiore responsabilizzazione dello studente (37). I docenti possono utilizzare il metodo narrativo interpretativo per esaminare le questioni relative al reclutamento e il mantenimento lavorativo degli operatori sanitari per il suo potere nel suscitare narrazioni complete dei partecipanti, e per le possibilità che offre per l’analisi. L’intervista narrativa semi-strutturata presenta le seguenti domande: Parla della tua esperienza come studente. Quanto ti ritieni preparato? Perché hai deciso di diventare infermiere? Perché hai scelto questa università? Come i programmi possono venire incontro alle esigenze degli studenti ? (38) Trento et al. (44) hanno posto in evidenza gli aspetti concettuali della biografia narrativa come elemento della centralità del paziente e strumento di formazione. Il percorso formativo si basa su aspetti teorici, interazione con i malati ed esplora il vissuto di malattia. Sono stati raccolti gli elaborati scritti degli studenti ai quali era stato chiesto di descrivere l’attività osservata e raccontare il vissuto personale. Nel corso di questa procedura formativa e pedagogica gli autori sottolineano come gli studenti imparino a cogliere nei pazienti aspetti relazionali ed emotivi. 39 Relazioni degli esperti_Allegato Nello studio di Greenhalgh (39) viene applicata la metodologia di Delphi dopo la lettura di articoli di letteratura inerenti aspetti teorici e metodologici sulla medicina narrativa. Tramite discussioni via mail i partecipanti (ricercatori volontari di varie figure professionali sanitarie) producevano un elaborato preliminare in base alla scala di Likert a 9 punti (1: fortemente contrario, 9: fortemente a favore). Ogni partecipante riceveva poi, per ogni item, il risultato del gruppo al fine di compararlo con il proprio. Dopo ripetizione di 2 confronti tutti i dati venivano elaborate su Excel. Una simile metodologia permette di analizzare gli standard qualitativi riguardo la scelta delle storie, l’interpretazione e analisi delle storie da divulgare a fini scientifici, l’ originalità e chiarezza, la valenza dei quesiti di ricerca, l’ appropriatezza e rappresentatività del campione prescelto, la robustezza dei processi di collezione dei dati, il rigore e trasparenza dei dati, la logica e coerenza dei collegamenti tra dati e conclusioni, la consapevolezza dei ricercatori in merito agli errori, il collegamento delle storie a dati empirici (esami, decorso clinico di malattia ecc.) e a revisioni della letteratura, il coinvolgimento dell’intersoggettività, il principio di non maleficenza, il consenso, la confidenzialità. Da rimarcare l’utilità del linguaggio e delle immagini digitali, audio interviste, video interviste, disegni, sculture,poesie, collage, sondaggi, file MP3, musica, URL, mail, focus group,chat room, siti web, blog, Facebook e Twitter. A tal fine fa citata una esperienza italiana (www.stanzenarrative.it) (40). La narrazione si presenta anche come strumento di socializzazione. Le comunità on-line di malati permettono loro di esprimere in modo anonimo la loro esperienza. Così facendo offrono sostegno e competenza di gestione per esserci dentro nonché alto valore terapeutico. Tali contenuti non dovrebbero restare nascosti agli operatori sanitari, che anzi dovrebbero attingere da essi, spunti riflessivi ed operativi, sino alla costruzione di una “ banca dati” dei problemi più frequentemente citati. Nel Regno unito è stato creato un data-base basato sull’esperienza individuale dei malati dal 2001 (DIPEx, www.dipex.org) (41), mentre in Italia va citata l’esperienza del “Viverla tutta” del quotidiano La Repubblica (www.viverlatutta.it) (42), continuata con il progetto “Laboratorio sperimentale di medicina narrativa” coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità. Implicazioni La medicina narrativa può diventare un vero e proprio procedimento indirizzato all’identificazione dei problemi della persona assistita, a partire da un processo di autentica comprensione del malato, in una pratica clinica volta non solo a spiegare, ma a comprendere i significati dell’esperienza di malattia. Le descrizioni della malattia forniscono un avvicinamento ai problemi in modo globale e, attraverso l’interpretazione della storia autobiografica del paziente, facilitano e orientano scelte diagnostiche e terapeutiche. Inoltre le storie di malattia sono un mezzo per educare pazienti e professionisti della salute e possono anche espandere ed arricchire ipotesi di ricerca. Gli atti clinico-assistenziali che veramente vogliano entrare in una dimensione di cura utilizzano efficacemente modelli esplicativi ed un approccio centrato sui significati. L’approccio narrativo consente di individuare i contenuti inerenti la dimensione sociale della malattia e fa evidenziare in senso della rappresentazione della malattia in quel soggetto e la legittimizzazione della sofferenza (10). 40 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Il malato che racconta la propria storia di malattia espone, secondo un criterio di priorità, gli elementi a lui più rappresentativi, mettendo al primo posto le cose che sente di più. La medicina narrativa deve quindi tenere in considerazione anche il criterio di presentazione della storia secondo un ordine prioritario di esposizione. Al primo posto, saremo così sicuri di trovare i dati più significativi e rappresentativi del momento indirizzando in modo mirato gli interventi. Inoltre, una narrazione cui segue un follow-up garantito, consente di monitorare l’evoluzione, migliorativa o meno, della persona malata. L’intervista narrativa non va confusa con l’anamnesi poiché quest’ultima è dominata da schemi rigidi e meno discorsiva. Si sottolinea come nell’approccio narrativo debba essere data la possibilità alla persona di porre domande e non solo riceverle. È sempre utile una guida durante l’intervista per non rendere la stessa confusa e disorganizzata, ma dotata di coerenza cronologica e di significato dei vissuti. Non basta una sola seduta di narrazione ma una serie di incontri per monitorare gli sviluppi e per ottenere informazioni più complete sia dai pazienti che dai caregiver. Un elemento di sicuro interesse riguarda il periodo temporale di anni all’interno del quale le storie scritte vengono raccolte. Ciò consente ai professionisti della cura di fotografare nel divenire e non in maniera statica i vissuti di malattia. Questo aspetto viene sottolineato del lavoro di Rubessa (21) che ha come narratori i genitori di bambini affetti da malattie rare metaboliche e si pone come obiettivo duplice quello di evidenziare il vissuto di malattia sia dei pazienti che dei familiari. L’uso della videointervista può apparire un metodo suggestivo ed estremamente realistico per cogliere gli aspetti salienti di una narrazione stante il “ live” che ne deriva. Dagli studi emerge, che una semplice videocamera, sebbene orientata in momenti salienti della giornata di una persona malata, non riesce da sola a fornire elementi di sicuro interesse descrittivo se non associata ad altre metodologie. Queste ultime appaiono essere: il diario scritto, il diario elettronico su personal computer, interviste separate dalla ripresa delle immagini (26). Un’attenzione particolare deve essere rivolta alle modalità narrative e relazionali proprie delle persone disabili affette da cerebropatie, sottolineando il ruolo del narratore primario e vicario ed evidenziando il concetto di co-costruzione narrativa. Viene sottolineata l’importanza della “narrazione corporea” da associare a quella tradizionale e del contesto sociale e culturale (19). Dall’analisi di centinaia di pratiche di Medicina narrative applicate alle Scienze infermieristiche emergono sette dimensioni di cura: significato personale della cura, compassione, spiritualità, senso di comunità, fornire conforto, intervento nelle crisi, ridurre le distanze. Questo aspetto può essere utile a fornire un quadro concettuale di riferimento alle azioni di cura realizzate nella pratica quotidiana. Gli operatori possono interrogarsi anche a partire da una analisi riflessiva costante e quotidiana rispetto all’assistenza fornita sia intermini individuale che da tutto il gruppo professionale dei curanti (43). Ascoltare le storie e condividerle, a volte rivivere la stessa esperienza traumatica significa anche mutazione temporale della stessa sia dal punto di vista fisico, mentale, emozionale e spirituale come fenomeno di adattamento e mette in guardia gli ascoltatori nel percepire uno “stress” che può determinare un calo di ascolto e di interesse come meccanismo difensivo. Avverte quindi della necessità di una sorta di resilienza da parte del curante (17). 41 Relazioni degli esperti_Allegato I metodi di analisi delle interviste proposti in letteratura sono molteplici. Alcuni utilizzano un approccio fenomenologico (11) o fenomenologico interpretativo-IPA (15). Altri ricorrono alla discourse analysis (12) o propongono un’analisi del linguaggio realizzata a più livelli (13). La qualità del team risulta essere un elemento fondamentale per la gestione di una long term care basata sulla relazione arricchita attraverso la valorizzazione delle storie, promozione di crescita e sviluppo (18). Negli studi viene ribadito il valore del team assistenziale attraverso la pianificazione degli interventi che diventa al contempo progettualità ed educazione, alleanza terapeutica, abbandono di preconcetti (44). Nell’utilizzo dell’intervista come tecnica di ricerca qualitativa si individuano alcune indicazioni di cui tenere conto: confrontare le narrazioni considerando genere, età e status sociale; confrontare le narrazioni dei malati e dei soggetti sani; prestare più attenzione agli elementi discordanti nelle narrazioni dei pazienti; prestare più attenzione alle motivazione dei pazienti; prestare più attenzione a come i pazienti modificano le loro presentazione a secondo del contesto (23). L’analisi della letteratura offre spunti metodologici importanti sulla qualità nella ricerca, ma spesso la ricerca narrativa risulta orientata ad un “pubblico” clinico che non ha familiarità con la tecnica narrativa. Tale possibilità viene sottolineata da esempi di ricerche narrative nel settore sanitario evidenziandone la loro validità ed analisi. Può essere utile diffondere maggiormente tale approccio di ricerca evidenziano agli operatori come la metodologia narrativa sia orientata all’oggettivare i vissuti attraverso la narrazione, per evidenziarne i problemi sottesi, con risvolti ed implicazioni importanti nella pratica professionale (25, 35). Commenti L’analisi della letteratura effettuata consente di porre in risalto alcune importanti considerazioni. Dai lavori emerge come il racconto, spontaneo o guidato, rappresenti una delle vie più utilizzate per dare senso ad una storia di malattia ove l’esperienza in sé, viene filtrata in base a molteplici parametri, individuali e non. I criteri metodologici proposti invitano a lasciare libero l’intervistato nell’usare la modalità narrativa a lui più confacente e spontanea non influenzando dall’esterno il contenuto rappresentativo dell’informazione già allo stadio iniziale del suo formarsi. Una ulteriore modalità ricorrente negli studi consiste nell’adottare una traccia di intervista per approfondire la conoscenza dell’esperienza e dei vissuti di malattia della persona assistita, anche attraverso percorsi di ricerca. L’approccio narrativo si dimostra utile sia durante la fase diagnostica che terapeutica. Il narratore crea, attraverso il racconto, un quadro di se stesso modificato dall’esperienza di malattia, sensazioni, preoccupazioni, progettualità, problematiche sociali e familiari. I dati qualitativi che ne derivano permettono di accedere alla “illness” attraverso un procedimento empatico. L’oggettivazione dei vissuti sembra essere uno dei focus di validità della narrazione anche come tecnica relazionale ed anamnestica, nella misura in cui permettono di cogliere il significato che il soggetto fornisce alla propria esperienza. 42 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” La narrazione serve inoltre all’operatore sanitario per comprendere la qualità della sua pratica clinica, valorizzando le testimonianze delle persone assistite e degli operatori. La metodologia narrativa ha una precisa articolazione che procede per stadi: stimolare la narrazione, raccoglierne i contenuti, marcare e indicizzare gli stessi, costruire dei significati, elaborare il linguaggio narrativo, valutare in base all’impatto. Nelle domande di tipo decostruttivo lo scopo è quello di arrivare alla radice del problema, in quelle di tipo prospettico aiutare la persona malata a comprendere il suo problema. Tre sono gli elementi basilari della narrazione: attenzione, rappresentazione e affiliazione. Per gli operatori sanitari un metodo utile può essere rappresentato dal “reflective writing”. La medicina narrativa diventa quindi un modo reale e concreto di condivisione della storia di malattia e offre al curante la possibilità di attivare un percorso riflessivo e di autocomprensione riguardante la relazione terapeutica con la persona assistita. La crescente attenzione alle pratiche di tipo riflessivo nella formazione in ambito sanitario hanno sollecitato il dibattito sull’utilizzo di metodologie e strumenti che aiutino il discente ad apprendere, valorizzando l’esperienza realizzata nella pratica clinica (45-48). Gli studiosi di medicina narrativa hanno osservato che le connessioni fra la riflessione e l’empatia viaggiano su due direzioni che riguardano emotivamente sia chi elargisce la cura, sia chi la riceve, e si alimentano vicendevolmente. Quando i professionisti o gli studenti riflettono sulle proprie esperienze di vita ed esaminano le relazioni che si sono innescate nel prendersi cura dei malati, diventano tanto più disponibili ed utili per i pazienti. La narrazione può esprimersi attraverso il linguaggio orale, scritto o corporeo. Da rimarcare l’utilità del linguaggio e delle immagini digitali, audio interviste, video interviste, disegni, sculture, poesie, collage, sondaggi, file MP3, musica, URL, mail, focus group, chat room, siti web, blog, Facebook e Twitter. La narrazione andrebbe inserita nei progetti di miglioramento della qualità di ogni azienda sanitaria. Le esperienze fin qui condotte hanno utilizzato come strumenti l’intervista narrativa che fornisce in dettaglio elementi sul funzionamento del sistema sanitario, la raccolta della storia naturale, il caso aziendale che tipizza il contesto locale, costruzione di un senso comune attraverso la logica del team operativo fatto di figure multidisciplinari. La classificazione internazionale sul funzionamento e la disabilità (ICF) secondo il modello biopsicosociale di salute ha trovato un suo fertile campo di azione nelle malattie croniche e nelle malattie rare in particolare per gli aspetti riabilitativi (22, 49-50). Il Paziente complesso ovvero affetto da tre o più patologie, può dalla medicina narrativa essere seguito nei processi di cura attraverso nuove strategie meta cognitive e meta-comunicative, colmando i vuoti da essa lasciati irrisolti da un approccio unicamente EBM. La narrazione ha in sé anche un ruolo terapeutico non solo finalizzato all’ottimale controllo delle strategie curative strettamente biologiche, ma anche dal punto di vista emozionale. La sfera emotiva della persona malata può essere indagata e indirizzata in senso migliorativo grazie all’apporto della narrazione. Se ne deduce quindi un ruolo psicoterapeutico di non secondaria importanza. Ne consegue che molti sforzi andranno fatti per migliorare le abilità comunicative degli operatori sanitari, specie di quelli che si ritengono interessati alla narrazione. Talora definirsi portati verso una metodologia non equivale ad esserne competenti. La necessità di un training comunicativo dovrebbe appartenere al bagaglio formativo di ogni operatore sanitario. Percentuali fredde sulla malattia e narrazione indicano che sempre più frequentemente il medico usa termini numerici per indicizzare l’evoluzione di un malattia in una persona. Spesso quindi il malato viene identificato con un 43 Relazioni degli esperti_Allegato numero (guarigione, recidiva, complicazioni, morte ecc.). La narrazione permette di utilizzare un diverso modo di comunicazione evitando che “l’ethos” sia umiliato in nome del “bios” e che il medico per suo comportamento errato acuisca il dolore della persona anziché lenirlo. Il corpo del malato, in un ambulatorio medico e soprattutto in un Ospedale, è completamente consegnato nella sua estrema fragilità ai gesti e alle parole del medico che talora può farlo soffrire, ancora più di quanto già non faccia la malattia, con la sua indifferenza emozionale e con la sua tecnica gelidamente applicata. Quando si sta male, non posso non ribadirlo, cresce istantaneamente la sensibilità interiore alle cose ma, anche, la rabdomantica captazione dei significati e delle allusioni, queste ancora più insostenibili, che si nascondono nelle parole e nei gesti del medico (51). Pierluigi Brustenghi riporta una sua esperienza nell’assistere i malati di sclerosi multipla. Fra i vari problemi per questi malati, risulta presente quello della fatica. Il disturbo non è di poco conto e sebbene farmacologicamente possa essere trattato, modifica l’endurance della giornata del malato e la sua progettualità. Un paziente ebbe modo di rappresentare tale vissuto pubblicamente e si espresse nel modo seguente: “noi che siamo malati di sclerosi assomigliamo ad una pila caricata a metà, quando ti svegli al mattino sai che non puoi consumare tutta la batteria ma devi distribuirla nell’arco della giornata. Non devi illuderti al mattino di poter esagerare nel fare le cose ma devi avere il controllo della distribuzione delle forze. Solo facendo così arriverai a sera non distrutto”. Un’altra paziente riferì: “ io mi sento come una gelatina che cammina e si sposta, quando mi muovo sono traballante come un budino, dall’esterno questo non si vede o si vede poco, ma io sono così e vivo muovendomi con questa sensazione che sempre mi accompagna”. Un’altra paziente, a proposito dei disturbi di coordinazione disse: “noi donne malate di sclerosi non possiamo truccarci in piedi, altrimenti si sbaffa tutto il viso, ma dobbiamo sederci per evitare che il tremore ci faccia andare storti... così facendo abbiamo la possibilità di essere come le altre donne sane e di avere un viso con trucco appropriato, anche questo aiuta a sentirsi meno malate”. Un altro paziente espresse: “La mattina non posso fare la barba in piedi perché in quella posizione devo fare due cose: controllare l’equilibrio e gestire la lametta sul viso. O faccio una cosa o faccio l’altra, farle assieme mi è impossibile. Così ho imparato che la barba la posso fare da seduto in modo da abolire la concentrazione sul controllo dello stare in piedi, in questo modo non mi taglio più il viso né lascio zone non rasate”. Queste espressioni così vivide e veritiere appartengono alla narrazione del quotidiano, ma si collegano anche direttamente, sebbene con un linguaggio non medico-scientifico, alla clinica: sono i sintomi che vengono descritti da chi li vive come persona. Questo importante repertorio non si trova descritto nei libri di medicina ma solo nelle autobiografie dei malati incoraggiati ad aprirsi. La medicina narrativa deve interessarsi anche a ciò. Le persone malate che hanno ascoltato queste esperienze, hanno provato un senso di benessere nel sentire quelle modalità espressive, che erano anche loro, ma che prima di quel momento non avevano trovato valida voce descrittiva. Conclusioni (con proposta di condizioni da rispettare nella scelta della metodologia) L’analisi della letteratura effettuata presenta una disamina delle principali metodologie e degli strumenti di cui si avvale la medicina narrativa presenti in letteratura, con particolare attenzione alla cronicità ed alle malattie rare. Il lavoro consente di porre in risalto alcune importanti considerazioni. Dai lavori emerge come il racconto, spontaneo o guidato, rappresenti una delle via più utilizzate per dare senso ad 44 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” una storia di malattia ove l’esperienza in sé, viene filtrata in base a molteplici parametri, individuali e non. I criteri metodologici proposti invitano a lasciare libero l’intervistato nell’usare la modalità narrativa a lui più confacente e spontanea non influenzando dall’esterno il contenuto rappresentativo dell’informazione già allo stadio iniziale del suo formarsi. Launer sottolinea che la sfida dell’approccio narrativo sta nel contenere la dimensione del racconto, che deve essere finalizzato ad un risvolto operativo nelle cure con concrete azioni di accompagnamento. Lucia Zannini (6) esamina questo aspetto problematico che concerne il rapporto tra disponibilità di tempo e approccio narrativo nella relazione con il paziente. Il fissare dei limiti al tempo del racconto può essere utile nella pratica quotidiana, ma non risolutivo, nel senso che i vantaggi dell’eventuale allungamento dei tempi richiesti deve essere considerato in relazione al complessivo percorso di cura. Nelle malattie cronicodegenerative una relazione terapeutica narrative-based può favorire una maggiore adesione al trattamento ed un migliore controllo delle complicanze, con esiti completamente differenti dall’approccio biomedico. Una componente molto importante della medicina narrativa è la cosiddetta “Narrative inquiry”. Una modalità molto ricorrente che consiste nell’adottare tracce di intervista semi-strutturata all’interno di approcci di ricerca qualitativi, per approfondire la conoscenza dell’esperienza e dei vissuti di malattia della persona assistita. A questo proposito, vi è una costante tensione nella ricerca giustificativa della validità dell’approccio narrativo. Molti articoli riportano in modo puntuale l’adozione di metodologie di ricerca “miste”: quantitative e qualitative. In tal senso sembra emergere che sia possibile per talune patologie, per lo più croniche, oncologiche o legate alla prevenzione, indagare l’uso di metodologie e tecniche narrative in modo misto. Metodologie solo quantitative che colgano il percepito dei pazienti non sembrano efficaci. Lo sforzo è il tenere saldo il timone di una correttezza metodologica che possa legare un esito nomo tetico a quello idiografico. Nello studio sono state anche indagate lo sviluppo delle competenze narrative attraverso percorsi formativi. Il concetto di competenza narrativa, non può più essere considerata un optional ma uno degli strumenti basilari su cui si fonda la “good practice” di ogni figura sanitaria. A tal fine, andrebbero promosse capillari iniziative, ad ogni livello, finalizzate all’approccio nel suo complesso. L’esperienza formativa attraverso la narrazione si caratterizza come un processo di “costruzione di significato”, non solo di acquisizione di conoscenze, e riflette un atteggiamento formativo di tipo clinico finalizzato ad affrontare le situazioni per capirne dal di dentro i processi e le dinamiche. L’approccio narrativo consente di operare continue ristrutturazioni del proprio sapere attraverso una modalità pedagogica caratterizzata dall’apprendimento attivo per scoperta. Attraverso la pratica della narrazione, la continua costruzione di significati consente di interpretare la realtà sanitaria a partire dalle proprie esperienze di cura e dalle vicende di malattia con una prospettiva innovativa di formazione e di cura. La maggior parte degli articoli vede coinvolte diverse figure professionali, con una ridotta rappresentanza della categoria medica. Il dato conferma quanto ancora si debba fare in termini operativi per incoraggiare la cultura della narrazione dentro i centri di cura, ancora troppo adesi all’approccio medico-biologico, onde anche evitare che si strutturi la convinzione che la metodologia narrativa sia di solo pertinenza di altre figure socio-sanitarie. I luoghi della narrazione non necessariamente devono essere quelli ospedalieri, ma comprendere ogni ambiente ove il malato vive la 45 Relazioni degli esperti_Allegato sua malattia, domicilio compreso, ove si presume egli possa esperire il massimo grado di confort espressivo. La medicina narrativa offre la possibilità di prestare attenzione in modo preciso al linguaggio che il paziente usa, aiutando le persone a trovare il modo di rivelare se stessi, non necessariamente in una unica e coerente storia, ma anche in termini di discontinuità, instabilità. Mentre la medicina centrata sul paziente indica un cambiamento nel comportamento di consulenza, l’approccio narrativo richiama l’attenzione al modo in cui che le credenze, i sistemi di valori e la differenti culture siano sempre profondamente radicata nel linguaggio che usiamo e in ciò che sentiamo o non sentiamo. In molti modi, la NBM, capovolge l’approccio biomedico tradizionale e anche l’approccio patient-centered. Invece di ascoltare la storia del paziente per decidere che cosa fare, il professionista della cura contribuisce nel miglioramento della narrazione del paziente. Implicazioni per la pratica possono riguardare una attenzione alla circolarità del colloquio ed alla cocostruzione della storia di malattia, costantemente alimentata di feedback e da riformulazioni del discorso. Il team operativo rappresenta per la Medicina narrativa un sicuro veicolo interpretativo di tipo fenomenologico-deduttivo. Scopo del team è quello di creare una mente collettiva in base al detto: “more eyes, see more”. Uno strumento essenziale del team è il briefing quotidiano all’interno del quale ogni figura professionale offre il suo aggiornamento narrativo su una storia di malattia. Sarebbe consigliabile la costruzione di un diario narrativo di team la cui compilazione andrebbe lasciata aperta a tutte le figure ad esso afferenti. Partendo dalle testimonianze dei malati e delle loro famiglie sarebbe auspicabile la realizzazione di un testo clinico descrittivo, per ogni malattia cronico-degenerativa o rara, fatto riportando le originali espressioni delle persone malate. Launer (24) si interroga se la Narrative Based Medicine sia una moda passeggera o un “passo da gigante” per la Medicina. Sottolinea come il grande valore aggiunto sia il nuovo quadro concettuale che porta allo stesso livello la medicina con le scienze sociali e umanistiche. Sottolinea la necessità per i medici e altri operatori sanitari di proporre nuove e più utili narrazioni per i pazienti e analizza il modo in cui i medici cercano di orientare i pazienti verso «Trame terapeutiche». Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Good BJ, Del Vecchio Good M J. Il significato dei sintomi: un modello ermeneutica culturale per la pratica clinica, in Storie di cura (a cura di), Giarelli G. et al. Franco Angeli, Milano: 2005. Charon R. Narrative Medicine: Form, Function, and Ethics. Ann Intern Med 2001; 134: 83-87. Charon R. Narrative and medicine. N Engl J Med 2004; 350; 862. Charon R. Narrative medicine - Honoring the Stories of Illness. Oxford University Press, New York: 2006. Greenalgh T, Hurwitz B. Narrative Base Medicine. BMJ Books, London:1998. Zannini L. Medicina Narrativa e Medical Humanities. Cortina, Milano:2008. Bert G. Medicina narrativa. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma:2007. Launer J. Narrative-based Primary Care. A practical guide, Radclife Medical Press, Abington:2002. 46 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. Sakalys JA. Restoring the patient’s voice. The therapeutic of illness narratives. J Holist Nurs 2003; 21(3): 22841. Girard E, Cedraschi C, Rentsch D, Luthy C, Allaz AF. Approche narrative des attribuitions causales dans la fibromjalgie. Rev Med Suisse 2001;7(3):1569-74. Kierans C. Narrating kidney disease: the significance of sensation and time in the emplotment of patient experience. Culture,_Medicine_and_Psych 2005; 29: 341-59. Caeymaex L, Speranza M, Vasilescu C, et al. Living with a crucial decision: a qualitative study of parental narratives three years after the loss of their newborn in the NICU. PLoS ONE 2011; 6(12). Williams SL. How telling stories helps patients to recover psychologically after intensive care. Nursing Time 2010; 106: 5, 20-3. Sachdev P. The narrative in neurology and psychiatry. Curr Opin Psychiatry 2011: 24,215-218. Lavie-Ajayi M, Almog N, Krumer-Nevo M. Chronic pain as a narratological distress: a phenomenological study. Chronic Illness 2012; 8(3) :192–200. Jacobi S, MacLeod R. Making sense of chronic illness. J Primary Health Care 2011;3(2):136-141. Cummings J. Sharing a traumatic event. Nursing Res 2011; 60, (6) 386-392. Heliker D. Enhancing relationship in long therm care througt story sharing. J. Gerontological Nursing 35,6,2009: 43-49. Hydén LC, Antelius E. Communicative disability and stories: Towards an embodied conception of narratives. Health 2011: 15(6) 588–603. Marini A, Galetto V, Zampieri E, Vorano L, Zettin M, Carlomagno S. Narrative language in traumatic brain injury. Neuropsychologia 2011;49:2904-2910. 21. Rubessa R, Bertoglio F. Parizzi F. Furlan F. Santus F . Nichelli F. Parini R, Masera G. Nostro figlio ha una malattia metabolica rara. Medico e Bambino 6, 2012: 371-374. Zucchi R, Moletto A, Garrino L. La Metodologia "Pedagogia dei Genitori" per il patto educativo terapeutico famiglia e sanità. Quaderni ACP 2013; 20(6): 260-264. Miczo N. Beyond the ''Fetishism of Words'': Considerations on the Use of the Interview to Gather Chronic Illness Narratives. Qual Health Res 2003;4:469-90. Launer J. Narrative-based medicine: a passing fad or a giant leap for general practice? Brit J Gen Pract 2003, 91-93. Ash S, Moore P, Antani S, McCawley G, Work M, Grossman M. Trying to tell a tale Discourse impairments in progressive aphasia and frontotemporal dementia. Neurology 2006; 66:1405-16. Hassling L, Nordfelt S, Eriksson H, Timpka T. Use of cultural probes for representation of chronic disease experience: Exploration of an innovative method for design of supportive technologies. Technol Health Care 2005; 13:87-95. Finiguerra I. Garrino L. Picco E. Simone P. Narrare la malattia rara. Esperienze e vissuti delle persone assistite e degli operatori. Edizioni Medico-Scientifiche, Torino: 2012. Wilcock PM, Brown GCS, Bateson J, Carver J, Machin S. Using patient stories to inspire quality improvement within the NHS Modernization Agency collaborative programmes. J Clin Nurs 2003;12:422-430. Steiner JF, Nowels CT, Main DS. Returning to Work after Cancer: Quantitative Studies and Prototypical Narratives. Psychooncology 2010; 19(2):115–124. Phillips LJ, Reid-Arndt SA, Pak Y. Effects of a creative expression intervention on emotions, communication, and quality of life in persons with dementia. Nurs Res 2010;59(6):417-25 Chan Garrett K. Trajectories of Approaching Death in the Emergency Department: Clinician Narratives of Patient Transitions to the End of Life. J. Pain Symptom Manage. 2011; 6: 864-81. Docherty D, McColl MA. Illness Storie: themes emerging through narrative. Soc Work Healt Care 2003; 37(1):19-39. Groleau D, Young A, & Kirmayer LJ. The McGill Illness Narrative Interview (MINI): an interview schedule to elicit meanings and modes of reasoning related to illness experience. Transcult Psychiatry 2006; 43(4): 67191. Overcash JA. Narrative research: a review of methodology and relevance to clinical practice. Crit Rev Onc Hemat 2003;48:179–184. Overcash J. Narrative research. Nursing Forum 2004;39(1):15-22. Charon R. Commentary: Our Heads Touch: Telling and Listening to Stories of Self Acad Med. 2012;87:1154– 1156. 47 Relazioni degli esperti_Allegato 37. Ogur B, Hirsh D. Learning through longitudinal patient care-narratives from the Harvard Accademic Education 2009; 84, 844-850. 38. McQueen L, Zimmermann MA. Using the interpretive narrative research method in interdisciplinary. JNE 2006;45(11):375-378. 39. Greenhalgh T. Wengral T. Collecting stories: is it research? Is it good research? Preliminary guidance based ok a Delphi study. Med Ed 2008;42:242-247. 40. www.stanzenarrative.it, Retrieved from http://www.stanzenarrative.it/default.htm, accessed 13 Aprile 2014 41. www.dipex.org, Retrieved from http://healthtalkonline.org/ accessed 13 Aprile 2014 42. www.viverlatutta.it, Retrieved from http://www.viverlatutta.it/ accessed 13 Aprile 2014 43. Hudacek S. Documenting dimensions in caring using narratives. Nurse Educator 2008;33,17-8. 44. Trento M, Borgo E. Semperboni L. Cirio L. Dimonte V. Porta M. La narrazione e la rilettura delle esperienze personali come strumento di formazione in ambito sanitario. G It Diabetol Metab 2009;29:151-155. 45. Garrino L. La medicina narrativa nei luoghi di formazione e di cura. Edi.Ermes- divisione Centro Scientifico Editore, Milano: 2010. 46. Cox LM, & Logio LS. Patient safety stories: a projects utilizing narratives in resident training. Acad Med 2011; 86: 1473-78. 47. DasGupta S, Charon, R. Personal illness narratives: using reflective writing to teach empathy. in Acad Med 2004;79(4):351-356. 48. Hatem D, Ferrara E. Becoming a doctor: fostering humane caregivers through creative writing. Patient Educ Couns 2001; 45:13-22. 49. Brustenghi P, Zampolini M, Medicina Narrativa. SIMFER. Ricerca e Riabilitazione. Edizioni Minerva Medica, Torino 2013. 50. Steiner WA, Ryser L, Huber E, Uebelhart D, Aeschlimann A, Stucki G. Use of the ICF model as a clinical problem-solving tool in physical therapy and rehabilitation medicine. Phys Ther, 2002; 82:1098-107. 51. Borgna E. Come in uno specchio oscuramente. Feltrinelli, Milano: 2007:198. 48 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” TEMA 3 _ Quale può essere l’utilità della medicina narrativa? In quali ambiti può essere utilizzata, facendo riferimento alle esperienze applicative ad oggi realizzate? Autori Roberto LALA, Ospedale Infantile Regina Margherita, Città della Salute e della Scienza di Torino, Torino Mariella LOMBARDI RICCI, Facoltà Teologica, Torino Co-autori Anna Maria DELPIANO, ASL 2 Liguria, Savona Giorgia FENOCCHIO, Ospedale Infantile Regina Margherita, Città della Salute e della Scienza di Torino, Torino Ilaria LESMO, Dipartimento Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, Università degli Studi Milano-Bicocca, Milano Patrizia RUSTIGHI, ASL 2 Liguria, Savona 49 Relazioni degli esperti_Allegato Abstract Introduzione. Le narrazioni in medicina possono essere considerate le principali strutture logicorelazionali sulle quali si basa l’attività clinica, sebbene in modo spesso inconsapevole. Le storie di cui si occupa la medicina narrativa diventano reale strumento terapeutico se i clinici sono dotati di competenza ermeneutica. Metodologia. La Narrative Based Medicine (NBM) si declina in diversi ambiti: la pratica e la relazione clinica, l’attività di ricerca e produzione di conoscenza, l’attività di formazione di operatori e pazienti. Per rispondere al quesito posto ci siamo soffermati prevalentemente sul primo ambito. Il processo durante il quale si crea una sintesi co-costruita tra le narrazioni dell’operatore e quelle del paziente è l’incontro clinico. Esistono poi altre esperienze applicative quali l’integrazione delle narrazioni nella cartella clinica, i diari auto-biografici, le interviste aperte, i colloqui telefonici, le comunicazioni attraverso dispositivi elettronici, i videotape, le attività di gruppo, le performance teatrali. I principali esiti riscontrati in letteratura rispetto alle esperienze applicative della medicina narrativa nella pratica e nella relazione clinica sono: maggiore compliance, maggiore empowerment, consapevolezza e migliorata percezione della qualità della vita dei pazienti, maggiore soddisfazione degli operatori, miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi sanitari, migliorata percezione della qualità della vita. I rischi rispetto alle esperienze applicative della medicina narrativa nella pratica e nella relazione clinica sono: l’utilizzo delle narrazioni a scopo manipolatorio: da parte del paziente, da parte dell’operatore, da parte di privati che si appropriano di narrazioni pubbliche (aziende farmaceutiche, cliniche private, singoli professionisti). Conclusioni. Il significato più importante della NBM è fornire, attraverso la personalizzazione degli interventi, motivazioni e scopi alla medicina basata sull’evidenza (EBM), ampliando così le possibilità di diverse opzioni terapeutiche e dando alla EBM caratura scientifica in senso popperiano, perché offre una cura misurata sulla singolarità del paziente. Parole chiave: narrazioni, utilità, utilizzo, ambiti, esperienze applicative. 50 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Introduzione Le narrazioni in medicina possono essere considerate le principali strutture logico-relazionali sulle quali si basa l’attività clinica, sebbene in modo spesso inconsapevole. Questo perché il mondo umano è un mondo intessuto di storie. L’uomo si ri-conosce in quanto racconta le sue esperienze e accoglie quelle dell’altro. La sua è un’identità narrativa che non smette di farsi e disfarsi. Le storie permettono di costruire la pratica clinica fornendo materiale e strumenti per raccogliere evidenze ed esperienze passate, connetterle con il vissuto attuale attribuendo così un senso cognitivo ed emotivo, costruire dal vissuto attuale la programmazione futura. In accordo con Griffiths (1) nelle patologie croniche è possibile individuare una traiettoria di malattia intercalata da momenti di costruzione clinica, in cui si delineano le proprietà emergenti dell’esperienza del malato. In questi momenti si evidenziano le proprietà di adattamento e trasformazione dell’esperienza della persona con malattia cronica. Definire l’utilità delle narrazioni in medicina significa attribuire ad esse scopi specifici: l’individuazione delle caratteristiche dello stato di sofferenza di un paziente, delle influenze reciproche tra questo ed il contesto personale e sociale, del potere trasformativo delle narrazioni condivise nell’incontro clinico. Ciò consente di raggiungere un adattamento che integri la sofferenza in un vissuto quotidiano il più positivo possibile. Perché ciò avvenga è indispensabile che la medicina recuperi la dimensione etica che la connota (2). La clinica richiede di cogliere la singolarità di ogni paziente e, specularmente, di tener conto di quella di ogni curante. Si interviene per il bene del paziente sulla base del suo caso, unico e mutevole lungo la traiettoria di malattia. Non si deve dimenticare che la clinica è impresa morale in quanto legata all'esperienza esistenziale di ogni singolo soggetto coinvolto nella relazione terapeutica. Nel processo clinico, infatti, intervengono elementi eticamente significativi: l'esperienza del paziente, la narrazione del suo sentirsi malato, la scelta di procedere ad esami fisici e test di laboratorio, la partecipazione del medico alla nuova storia co-costruita. Le storie di cui si occupa la medicina narrativa diventano reale strumento terapeutico se i clinici sono dotati di competenza ermeneutica (3,4). In altre parole, è necessario che si conosca la tipicità umana sia dal punto di vista ontologico (il soggetto è, in quanto si riconosce negli atti che compie lungo la sua esistenza e nel racconto che ne fa) sia epistemologico. La capacità ermeneutica aiuta il clinico a comprendere il paziente grazie all’ascolto attivo, uno spazio dove il paziente può dare un senso alla nuova situazione esistenziale di persona malata, rinarrandola (5). Ogni nuova situazione esistenziale, e la malattia lo è, esige una ri-lettura del proprio esistere (6). I racconti di malattia permettono così di dare all’EBM una prospettiva olistica anziché limitarsi ad applicare principi etici astratti a casi clinici spersonalizzati (5,6). L’NBM integrata con la EBM vitalizza l’arte della medicina nel perseguimento di una comprensione più profonda e più appropriata della pratica clinica. I racconti di malattia risentono sia della interpretazione soggettiva del paziente sia del contesto socio-culturale, per questo è possibile lo sviluppo di una categorizzazione attraverso l’individuazione di temi ricorrenti in analoghe esperienze (1). L’utilizzo della medicina narrativa descrive l’insieme delle pratiche e dei linguaggi narrativi applicati nel contesto clinico. Si tratta di pratiche e linguaggi molteplici e spesso difformi: letterario-poetico, 51 Relazioni degli esperti_Allegato ermeneutico, biografico-etnografico, sociologico, etico, strutturale-lessicale, biomedico-scientifico. La consapevolezza dell’importanza delle narrazioni in ambito clinico consente a pazienti, operatori sanitari e cittadini di utilizzare con senso critico il forte potere culturale e sociale del narrare per meglio determinare le prospettive di cura ed evitare rischi di manipolazione. Excursus AMBITI DELLA MEDICINA NARRATIVA La medicina narrativa si declina in diversi ambiti: la pratica e la relazione clinica, l’attività di ricerca e produzione di conoscenza, l’attività di formazione di operatori e pazienti. Per quanto questi ambiti siano strettamente interrelati, per rispondere al quesito posto ci soffermeremo prevalentemente sul primo, cioè la pratica e la relazione clinica, considerando soltanto gli aspetti di ricerca e formazione più strettamente correlati ad esse. Pratica e relazione clinica si basano su un’attività ermeneutica che mette in luce le rappresentazioni della realtà attraverso la selezione di elementi ritenuti significativi. Durante l’incontro clinico il paziente narra frammenti della propria storia in base a quanto gli viene richiesto e ritiene possa essere utile all’operatore. L’operatore è portatore delle rappresentazioni della realtà costruite in base alle narrazioni mediche, farmacologiche (3) e infermieristiche filtrate dall’esperienza personale (7). Durante l’incontro clinico si crea una sintesi co-costruita tra le narrazioni dell’operatore e quelle del paziente, su cui si basa l’efficacia delle pratiche di cura. Una maggiore consapevolezza di queste prassi permette di implementare il processo ermeneutico: l’operatore diviene consapevole delle narrazioni di cui è portatore in quanto esperto di un certo sapere; i pazienti possono estendere le proprie narrazioni, lasciando spazio a dettagli che favoriscano un’attività ermeneutica co-costruita, piuttosto che prodotta in modo paternalistico. Ciò avviene principalmente nell’incontro ma anche attraverso varie esperienze applicative quali l’integrazione delle narrazioni nella cartella clinica, i diari auto-biografici scritti direttamente dal paziente, le interviste semi o non strutturate, i colloqui telefonici (8), le comunicazioni attraverso dispositivi elettronici, i videotape, le attività di gruppo, le performance teatrali (7). ESITI DELLA MEDICINA NARRATIVA I principali esiti riscontrati in letteratura rispetto alle esperienze applicative della medicina narrativa nella pratica e nella relazione clinica sono: 52 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Maggiore compliance Nel lavoro di Ahlsen (9) è stato indagato il senso che la partecipazione ad un programma di riabilitazione assume nella vita di uomini affetti da dolore cronico. Sono state analizzate interviste qualitative usando un metodo narrativo per connettere la storia individuale passata con la situazione presente e le aspettative per il futuro, in una prospettiva sensibile al genere degli intervistati. Nella loro vita individuale, il lavoro riabilitativo non è solamente destinato al recupero delle funzioni corporee ma assume un significato rispetto al bisogno profondo di ricostruire il senso di sé, di essere confortati e in relazione con gli altri. Esaminando le storie dei pazienti al di fuori della clinica riabilitativa, si evidenzia che il significato dell’adesione al programma terapeutico si estende al di là dell’identificazione della causa del dolore e del recupero della forza fisica. In particolare il significato di intraprendere un progetto riabilitativo viene valutato in relazione alla delegittimazione sociale di persone che lamentano dolori di non chiara origine ed alla loro esperienza di essere abbandonati ed isolati. Essere accolti in un programma che fornisce un senso alla loro sofferenza è parte integrante del processo riabilitativo. Secondo Charon (10), parte essenziale della responsabilità del medico, oltre a fornire attento esame e trattamento professionale, è anche di accompagnare i pazienti attraverso i territori della malattia. Lo studio di Ahlsen (9) pone in rilievo alcuni limiti dell’EBM che, facendo prevalere categorizzazioni e diagnosi, rinuncia a valorizzare la necessità delle persone di essere accolte ed aiutate a ricostruire il senso di sé e la connessione con il tessuto sociale. In particolare evidenzia la condizione di coloro che, come i sofferenti di dolore cronico, non ricevendo una chiara diagnosi possono essere accusati di debolezza morale e di uso improprio dei servizi socio-sanitari. Inoltre sottolinea le particolarità di genere di questa specifica sofferenza, facendo riferimento alle norme sociali relative a come il genere maschile dovrebbe fronteggiare il dolore. Nel lavoro di Griffiths (1), si sviluppa un approccio all’analisi della patologia cronica che considera il malato come un sistema complesso che si adatta al contesto e subisce ripetute trasformazioni. Esaminando i risultati degli interventi attuati nell’ambito delle cure primarie ai pazienti con condizioni croniche, quali depressione, diabete e patologie muscolo-scheletriche, si evidenziano in media benefici modesti, poiché alcuni individui ottengono benefici sostanziali ed altri non ne ottengono affatto. Queste osservazioni hanno dato origine alla ricerca di analisi statistiche centrate sulla persona. L’approccio metodologico proposto da Griffiths considera l’individuo affetto da patologia cronica come un “caso” in senso sociologico, per il quale salute e malattia sono solo una parte della sua individualità. Questo individuo è in costante trasformazione e la sua individualità emerge attraverso relazioni dinamiche con il contesto, che evolvono nel tempo. Tale concezione dell’individuo lo assimila ad un sistema complesso aperto con proprietà emergenti in potenziale trasformazione. La “traiettoria di malattia” è un elemento che attraversa l’esistenza dell’individuo, definita da molte altre traiettorie di vita interconnesse. In una traiettoria di malattia si possono individuare diversi momenti, caratterizzati da proprietà emergenti. Queste ultime sono il risultato della complessità delle interrelazioni esperite in quel momento, che portano ad un aggiustamento della traiettoria di malattia e all’adattamento ad essa. Utilizzando questo approccio teorico, Griffiths ha condotto ed analizzato interviste a pazienti con condizioni croniche, come esemplificato in tabella. Rendere esplicita l’analisi delle condizioni di adattamento ed aggiustamento alla malattia 53 Relazioni degli esperti_Allegato attraverso la narrazione del paziente ha il potenziale di permettere la pianificazione degli interventi assistenziali in base al momento della traiettoria di malattia specificamente individuato. Tabella 1 - Una traiettoria di malattia di depressione ed artrite [1, modificato] Tempo Prima della depressione 10 anni or sono Tempo intermedio Ultimi 18 mesi Descrizione di dolore/funzione Interazione con il contesto Aggiustamento ed adattamento Matrimonio a 17 anni Inizio della depressione Si aggiunge artrite colonna e ginocchia Aumento di peso Tempo attuale I problemi continuano Futuro I problemi continueranno Divorzio/mancanza di denaro Con il dolore alla schiena non potevo fare esercizio Sensazione di non essere supportata da medici/famiglia/amici “mi sento orribile” ma mi sento meglio al lavoro e se posso scappare dalla città In pensione tra 18 mesi Inizio della traiettoria di malattia Combinazione distruttiva di depressione ed artrite E’ allora quando sono stata veramente male Sentirsi “orribile” ma anche avere supporto e distrazione Maggiore empowerment dei pazienti Nel lavoro di Piana (11) si introduce un approccio narrativo-autobiografico nella care ed educazione di adolescenti con diabete di tipo 1, osservando gli effetti di tale approccio sulla autoconsapevolezza, sull’attenzione all’auto-cura e sul benessere. L’analisi qualitativa dei questionari e dei diari autobiografici prodotti, centrati sull’esperienza personale di malattia, ha messo in evidenza l’empowerment dei pazienti, basato sulla maggiore autoconsapevolezza, sul miglioramento del rapporto con gli altri e con la malattia. L’integrazione dell’autobiografia nella presa in carico del paziente diabetico, attraverso il potere liberatorio e la possibilità di condivisione dell’autobiografia stessa, ha permesso agli adolescenti di contrastare la propria sensazione di diversità, di apportare cambiamenti relativi alla consapevolezza, maturità, accettazione della malattia e responsabilità nell’autotrattamento. Maggiore soddisfazione degli operatori Nel lavoro di Tropea (12), si fa riferimento al concetto dell’“emplotment terapeutico” di Mattingly (13) che trae origine dall’interpretazione linguistica dell’esperienza umana. Mattingly sottolinea l’importanza delle narrazioni nel creare esperienze cliniche pratiche. Nell’“emplotment terapeutico” le narrazioni diventano strumenti nelle mani dei professionisti sanitari per plasmare e costruire le relazioni con i pazienti affetti da malattie croniche. Ciò introduce un cambiamento nella modalità con cui i professionisti, comprese le infermiere, vivono la propria pratica professionale. L’“emplotment terapeutico” migliora la consapevolezza nella pratica comunicativa e relazionale degli operatori, determinando maggiore aderenza alla propria pratica professionale. Nell’articolo di Stempsey (14), si evidenzia l’inadeguatezza dei singoli modelli proposti sul ragionamento clinico, poiché essi non riescono a rendere conto della complessità di questo tipo di 54 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” ragionamento. Si suggerisce piuttosto l’utilizzo di un approccio combinato che evidenzi la multidimensionalità del ragionamento clinico e illustri come la conoscenza clinica dipenda dal contesto, dalla relazione medico-paziente, dal linguaggio naturale e dall’attribuzione di senso ai concetti. Il modo in cui un problema è inquadrato non dipende solo da un impegno teorico, ma anche dalla personalità dell’operatore sanitario e dalle caratteristiche socio-culturali del contesto. Maggiore consapevolezza dei pazienti Nel lavoro di Angel (15) si analizza la percezione che i pazienti hanno dell’intervento di counselling effettuato in un programma di trattamento. Inoltre si esaminano le modalità con le quali essi integrano le informazioni ottenute nelle proprie biografie personali. Un gruppo di interviste a pazienti sono state analizzate utilizzando il metodo di analisi testuale di Ricoeur (16). La teoria di Bury (17) sulla malattia cronica come agente distruttore della biografia personale, è stata usata come cornice teorica interpretativa dei dati. La partecipazione attiva dei pazienti nel creare nuovi orizzonti esplicativi dei sintomi è stata cruciale per accrescere i benefici ottenuti dagli interventi. Se i partecipanti riuscivano a cambiare i propri comportamenti relativi alla salute venivano trasformati da vittime passive del dolore ad agenti attivi e capaci di controllo. Al contrario i pazienti che avvertivano di essere incapaci di aderire e promuovere un trattamento efficace si sentivano stigmatizzati, ponendosi in una posizione di disgrazia ai propri stessi occhi ed allo sguardo di coloro che offrivano ad essi il proprio aiuto. Miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi sanitari, che evitano prestazioni inutili e scarsa compliance dei pazienti La capacità narrativa può diventare strumento clinico per migliorare l'assistenza e la ricerca. La definizione degli obiettivi di cura richiede la costruzione di una visione condivisa del problema a cui il professionista contribuisce con conoscenze tecniche sulla malattia e con l’apporto delle narrazioni ricevute dai pazienti in tempi precedenti, mentre l’attuale paziente contribuisce con l’esperienza della sua malattia (18). Jacobi (19), attento al ruolo della memoria quale lente attraverso cui si struttura l’interpretazione della vita, afferma che, tra differenti approcci terapeutici studiati, è grazie al metodo narrativo che la resilienza, ossia la capacità reattiva della persona, si rafforza e la compliance migliora. È possibile un’azione educativa del paziente cronico attraverso il Chronic Care Model mediante chiamate telefoniche, per motivare il paziente al cambiamento di comportamenti, aumentarne la consapevolezza e raggiungere maggiore aderenza alla terapia. Risultato parallelo è stato anche un abbattimento dei costi sanitari (8). Migliorata percezione della qualità della vita La capacità di ascolto e l’atteggiamento narrativo permettono di condurre i pazienti non soltanto a maggiore consapevolezza di sé ma anche a riattribuire un senso alla loro vita. Colpisce che analogo risultato sia ottenuto sia in pazienti adolescenti (11) sia in anziani affetti da demenza ai primi stadi (20). 55 Relazioni degli esperti_Allegato RISCHI RISPETTO ALLE ESPERIENZE APPLICATIVE DELLA MEDICINA NARRATIVA NELLA PRATICA E NELLA RELAZIONE CLINICA Utilizzo delle narrazioni del paziente a scopo manipolatorio da parte dell’operatore che vi ricorre per accrescere la propria influenza sul paziente. Taussig (21) evidenzia che talvolta i professionisti della salute, attribuendo una posizione privilegiata alla definizione che il paziente elabora del suo problema, la utilizzano per appropriarsene strumentalmente. In questo modo essi strappano il controllo al paziente e lo definiscono non più come un partner in un processo di scambio, ma come oggetto del proprio discorso. Utilizzo delle narrazioni a scopo manipolatorio da parte del paziente: il racconto di elementi falsi, se non intercettati, può mettere a rischio l’adeguatezza delle pratiche di cura. L’articolo di Woods (22) mette in luce il rischio che le storie raccontate dai pazienti non descrivano realmente ciò che accade. Woods suggerisce di non ridurre la capacità narrativa all’accogliere e assorbire storie in quanto ‘fatto verbale puro’ ma di prestare attenzione anche al linguaggio non verbale. Woods cita Gabriel (23) che afferma che “mentre le storie possono essere veicolo di contestazione, opposizione ed auto-empowerment, esse possono anche agire come veicoli di oppressione, auto-delusione e dissimulazione”. Utilizzo delle narrazioni pubbliche a scopo manipolatorio da parte di privati (per esempio aziende farmaceutiche, cliniche private, singoli professionisti). Nel lavoro di Lewis (3) viene citata l’esperienza di Matheson (24), il quale ha utilizzato la sua posizione di ricercatore farmaceutico ed etnografo per mostrare come alcuni significati narrativi siano co-creati fin dall’inizio dall’industria con la partecipazione di ricercatori e professionisti di marketing. Il ruolo del marketing nel processo non può essere svelato attraverso i normali metodi evidence based, perché l’industria farmaceutica introduce le narrazioni a monte nell’ambito del discorso medico-scientifico allo scopo di creare il consenso al prodotto. Implicazioni Il lavoro condotto ha evidenziato l’utilità della medicina narrativa per potenziare i seguenti ambiti pratici: efficacia diagnostica La possibilità di integrare nell’anamnesi le evidenze prodotte dalle narrazioni dei pazienti può fornire un valore aggiunto al processo diagnostico. In particolare alcuni elementi relativi alla consistenza personale e socio-culturale dei sintomi possono orientare nella valutazione qualitativa e quantitativa degli effetti della malattia. Per fare emergere questi elementi è necessario un riposizionamento dell’operatore sanitario sulla valorizzazione dell’ascolto attivo come strumento di 56 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” lavoro e sulla promozione dell’autonomia del paziente come soggetto attivo e portatore di valori specifici. efficacia terapeutica Nel produrre un progetto terapeutico assume fondamentale importanza la collocazione dei trattamenti previsti nel mondo soggettivo, emotivo, culturale, pratico e fisico del paziente. La terapia quindi non può essere considerata un prodotto standard derivante unicamente dalle prove espletate su di una popolazione affetta dalla specifica malattia. Le indicazioni dell’EBM relative ai progetti terapeutici devono essere personalizzate in base ai bisogni, alle percezioni e ai progetti di vita del singolo. Il valore delle narrazioni ai fini diagnostici e terapeutici è una caratteristica insita da sempre nella pratica medica che si è andata progressivamente affievolendo a causa della ipertecnologicizzazione, del difensivismo medico-legale, della burocratizzazione del rapporto medicopaziente e dell’impostazione economico-finanziaria dell’assistenza medica. E’ necessario porre nuovamente l’accento sugli aspetti narrativi della medicina che possono rivitalizzare e reindirizzare l’attività clinica verso una più soddisfacente pratica intersoggettiva. funzionamento dell’equipe Caratteristica della medicina moderna è la multi-specialità e la multi-professionalità. Il lavoro d’equipe necessita di un’interrelazione tra vari membri che utilizzano narrazioni di diversa natura. L’analisi delle narrazioni prodotte nelle equipe permette di implementare la produzione di progetti coerenti ed efficienti, ma anche di migliorare il clima lavorativo. conoscenza da parte dell’operatore sanitario di sé e del proprio mondo emotivo L’importanza di saper ascoltare anche le proprie risonanze emotive nella pratica clinica permette all’operatore di vivere meglio la relazione terapeutica e professionale. conoscenza dei rapporti sociali interfamiliari e delle posizioni delle persone significative per il paziente Attraverso le narrazioni è possibile esplorare e conoscere punti di vista e posizioni delle persone significative per i pazienti. Molte attività diagnostiche e terapeutiche richiedono la partecipazione e la collaborazione di familiari e persone significative. La narrazione è lo strumento privilegiato per ottenere questo coinvolgimento e ridurre la conflittualità tra i vari soggetti coinvolti. comunicazione intra-ospedaliera (cartella clinica narrativa…) All’interno dell’attività ospedaliera si generano narrazioni esplicite ed implicite. Spesso le narrazioni implicite, quali i passaggi di consegne verbali o i contenuti verbali di riunioni collegiali contengono elementi indispensabili per la comprensione della sofferenza dei malati e delle loro aspettative. La possibilità di registrare e formalizzare queste narrazioni costituisce un arricchimento dell’attività di cura intra-ospedaliera. 57 Relazioni degli esperti_Allegato economia di sistema L’individuazione di obiettivi di cura mirati e precisi, che si può realizzare con un corretto uso delle narrazioni prodotte nell’attività clinica, costituisce sicuramente un importante elemento per favorire l’economia di sistema, riducendo interventi inappropriati e non desiderati. senso critico rispetto a narrazioni mediatiche La riflessione sul potere delle narrazioni mediatiche e sull’influenza che esse hanno sulla politica del corpo sia a livello sociale, sia a livello individuale, assume un significato rilevante per la difesa dell’autonomia di pensiero e di un’espressione democratica. senso critico rispetto a proposte narrative di mercato Il ruolo delle forze di mercato nell’orientare i processi di cura e nel fornire opzioni terapeutiche è innegabile. E’ importante accrescere la consapevolezza dei cittadini sottolineando i rischi che le narrazioni promosse dal mercato influenzino le loro scelte di salute. Commenti Scarsa attenzione al paradigma in uso in medicina Dalla letteratura emerge l’importanza di attivare una metodica clinica della complessità e quindi l’urgenza di modificare il paradigma lineare, attualmente ancora molto diffuso, con il paradigma della complessità sia a livello clinico sia formativo. Se ciò non avviene, il rischio è che la medicina perda sempre di più la dimensione antropologica che la connota. Non solo, ma gli interventi clinici rischiano di rimanere scollegati tra loro, rendendo così la pratica terapeutica parcellizzata. Incertezze nella scelta dei criteri di valutazione delle ricerche qualitative Dalla letteratura emerge il tentativo di validare i risultati secondo i criteri della metodologia della EBM. Le difficoltà di validazione danno l’impressione agli Autori che lo studio sia ancora fragile e suscettibile di ulteriori ricerche. Da parte nostra, suggeriamo di annotare ulteriormente i risultati e i commenti dei ricercatori sugli studi qualitativi al fine di trovare criteri appropriati all’approccio e alla validazione della situazione patologica nella sua singolarità. Scarsa letteratura sull’incontro medico-paziente Dall’analisi della letteratura scientifica messa a disposizione emerge una rilevante carenza della documentazione diretta relativa alle narrazioni prodotte nell’incontro medico-paziente. Costituendo queste narrazioni il fulcro dell’attività clinica è auspicabile un incremento della ricerca in questo ambito. 58 Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Scarso rilievo riconosciuto agli aspetti narrativi già presenti nell’attività clinica e nel contesto sanitario È importante bilanciare l’evoluzione degli aspetti documentari relativi all’attività sanitaria che attualmente sono volti principalmente a raccogliere informazioni quantitative riguardo ai parametri vitali e alle attività fisiologiche dei pazienti e riguardo ai flussi delle prestazioni economiche. Ciò può avvenire integrando le precedenti informazioni con le narrazioni degli aspetti di vita dei pazienti e delle considerazioni dei professionisti, attraverso cui tali informazioni acquisiscono un significato. Dalle narrazioni risulta un racconto liberatorio, positivo, efficace per il malato Dall’analisi degli articoli e dalla letteratura è emerso quanto la narrazione, attraverso varie forme, esprima non solo il dato clinico, ma anche aspetti sociali, psicologici ed antropologici del paziente. Necessità di introdurre nei percorsi formativi il metodo narrativo È necessario introdurre nei percorsi formativi degli operatori sanitari una sensibilità alla narrazione in medicina in tutti i suoi aspetti e ambiti di applicazione. La finalità è di fornire all’operatore sanitario una sensibilità e competenza narrativa da utilizzare nel rapporto con i pazienti, con i loro familiari, con gli altri operatori, con l’opinione pubblica, le istituzioni sanitarie e le industrie farmaceutiche. È opportuno sensibilizzare i responsabili dei luoghi di cura della necessità di una formazione continua attraverso lezioni teoriche e lezioni-laboratorio, per portare la mentalità narrativa anche nel personale curante. Conclusioni L’analisi della letteratura ha dimostrato l’utilità della medicina narrativa intesa come il corpus delle narrazioni che a vario titolo e in varia misura costituiscono la struttura portante dell’attività clinica. Va rafforzato anche l’aspetto della medicina narrativa come atteggiamento mentale, perché è quello che permette di sopperire al fatto che molto spesso l’utilizzo di tali narrazioni è in gran parte inconsapevole e quindi necessita di essere registrato, conosciuto e valorizzato. Le applicazioni pratiche sono molte: dal miglioramento dell’efficacia diagnostica e terapeutica attraverso la doverosa personalizzazione di questi interventi, alla valorizzazione delle prospettive interfamiliari e relazionali dei pazienti, al miglioramento delle attività di equipe, alla maggiore economicità ed efficienza di tutto il sistema sanitario. Il significato più importante della medicina narrativa è fornire, attraverso la personalizzazione degli interventi, motivazioni e scopi alla EBM, ampliando così le possibilità di diverse opzioni terapeutiche. Si può sottolineare l’importanza di attivare una metodologia clinica della complessità, senza la quale si resta nella logica lineare, perdendo la dimensione antropologica propria della medicina. 59 Relazioni degli esperti_Allegato Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. Griffiths F, Borkan J, Byrne D, et al. Developing evidence for how to tailor medical interventions for the individual patient. Qual Health Res 2010; 20(12): 1629-41. Casarett DJ. Moral perception and the pursuit of medical philosophy. Theor med bioeth 1999; 20(2): 125-39. Lewis B. Narrative and psychiatry. Curr Opin Psychiatr 2011; 24: 489-94. Charon R. Narrative Medicine – a model for empathy, reflection, profession and trust. American medical association. Jama 2001; 286: 1897-902. Wiklund-Gustin L. Narrative hermeneutics: in search of narrative data. Scand J Caring Sci 2010; 24(1):32-7. Ricoeur P. L’identité narrative. Esprit 1988; 7-8: 295-304. Paget M. A complex sorrow. Reflection on cancer and an abbreviated life. Temple University Press, U.S: Philadelphia PA, 1994. Roth AM, Ackermann RT, Downs SM, et al. The structure and content of telephonic scripts found useful in a medicaid chronic disease management program. Chronic illness 2010; 6(2):83-8. Ahlsen B, Mengshoel AM, Solbraekke KN. Shelter from the storm; men with chronic pain and narratives from the rehabilitation clinic. Patient Educ Couns 2012; 89: 316-20. Charon R. Narrative medicine: honoring the stories of illness. New York: Oxford University Press, 2006. Piana N, Maldonato A, Bloise D, et al. The narrative-autobiographical approach in the group education of adolescents with diabetes: a qualitative research on its effects. Patient educ couns 2010; 80(1): 56-63. Tropea S. “Therapeutic emplotment”: a new paradigm to explore the interaction between nurses and patients with a long-term illness. J Adv Nurs 2012; 68 (4) 939-47. Mattingly C. The concept of therapeutic “emplotment”. Special issue: narrative representations of illness and healing. Soc Sci & Med 1994; 38(6):811-822. Stempey WE. Clinical reasoning: new challenges. Theor med bioeth 2009; 30(3):173-9. Angel S, Jensen LD, Gonge BK, Maribo T, Schiottz-Christensen B, Buus N. Patients’ interpretations of a counselling intervention for low back pain: A narrative analysis. Int J Nurs Stud 2012: 49(7): 784-92. Ricoeur P. Interpretation theory. Discourse and the surplus of meaning. Fort Worth, TX: Texas Christian University Press, 1976. Bury M. Chronic illness as biographical disruption. Sociol Health Illness 1982; 4(2):167-82. Sestini P. Epistemology and ethics of evidence-based medicine: putting goal-setting in the right place. J Eval Clin Pract 2010; 16: 301-5. Jakobi S, MacLeod R, Making sense of chronic illness –a therapeutic approach. J Prim Health Care 2011; 3(2): 136-41. Steeman E. Living with dementia from the perspective of older people: is it a positive story? Aging Ment Health 2007; 11(2): 119-30. Taussig MT. Reification and the consciousness of the patient. Soc Sci & Med. 1980; 14b:3-13. Woods A. The limits of narrative: provocations for the medical humanities. Med Humanit. 2011; 37(2): 73-8. Gabriel Y. The voice of experience and the voice of the expert – Can they speak to each other?. Hurwitz B, Greenhalgh T, Skultans V, eds. Narrative Research in Health and illness. London: Blackwell, 2004. Matheson A. Corporate science and the husbandry of scientific and medical knowledge by the pharmaceutical industry. Biosocieties 2008; 3:355-82. 60