Renzo Radice
La genia di Adamo
tra passato e futuro
I buchi neri della storia né lunga
né unica su Madre Terra di una civiltà al capolinea per
la crisi globale che ne ha investito le fondamenta.
I tremori per l’immediato e l’attesa di un nuovo inizio
Di sicuro non ci siamo per caso ma siamo arrivati per primi? Si
favoleggia di un mitico inizio, l’era felice, di un sogno interrotto,
Atlantide, e di un spartiacque - il diluvio universale - seguito da
migliaia di anni di buio pesto, fino al miracolo di popolazioni nomadi
convertitesi in una manciata di secoli alla civiltà che, con secondarie
varianti, ci si porta dietro da cinque millenni. Mah!
Oggi questa civiltà, nata zoppa per l’eccesso di disuguaglianze che
provoca, è al capolinea per un mare di ragioni scontate: gli Stati
sovrani sull’orlo della bancarotta; la democrazia rappresentativa
incalzata dal web, dove ci si rappresenta da sé e in tempo reale; il
declino irreversibile del consumismo e tanto altro. Prima ancora lo è
però per un motivo sottaciuto: oltre l’orizzonte non c’è più niente da
arraffare o da sconvolgere. La Terra ha già dato anche troppo.
E allora? Allora il futuro arriverà comunque portandosi dietro la
bufala dell’apocalisse, gli alieni che continueranno a starsene
per i fatti loro con sollievo dei governanti, la robotica e città
intelligenti, care ai futurologi, che si riveleranno roba primitiva
rispetto al chilo e 400 gr circa di neuroni, relative sinapsi e
prolungamenti in testa a ciascuno: una massa innervata
celante potenzialità tali da aprire ai futuri figli di Adamo
prospettive da semidei. Solo a smetterla di affannarsi per il
fuori e a guardarsi dentro.
Anteprima
E’ curioso ma solo da qualche decennio la stragrande
maggioranza di noi umani ha capito – anche se la
scienza non lo ha ancora dimostrato – che la vita è
sparsa in ogni dove e l’intelligenza è un momento
scontato del suo divenire.
Ci si sta anche rendendo conto – sempre con la scienza
un po’ dietro - che non siamo figli unici di Madre Terra
ma gli ultimi nati nel suo grembo.
Infine c’è il dubbio – forte perché a farlo sorgere sono
una infinità di tracce, indizi, riscontri, miti in altro
modo non spiegabili, ai quali è dedicata la prima parte
del libro – che questa nostra civiltà sia stata aiutata a
decollare da gente che ci assomigliava tantissimo, era
qui da un sacco di tempo, aveva conoscenze che non
ammettevano e per diversi aspetti non ammettono
paragoni; dopodiché si era dileguata per ragioni che
probabilmente non sapremo mai.
Pensarlo comunque è importante perché se da un lato
carica il non essere soli, in quanto demitizza lo spazio
infinito e offre all’orizzonte mète e opportunità da non
mancare, dall’altro relativizza le conoscenze acquisite e
la stessa civiltà che da millenni ci portiamo dietro; una
civiltà da rifondare esclusivamente per mano nostra
stavolta.
Ad imporlo ormai in termini ultimativi (se ne parla nella
seconda parte) è la gravissima crisi che sta colpendo i
fondamentali dell’economia, attorno alla quale tutto
ruota sin dall’inizio.
1
Tra passato e futuro
La situazione, specie in Occidente, appare senza sbocchi
al punto che la parola “crescita” rimbalza – a vuoto - da
ogni schermo e dagli uditori più influenti.
Finirà che si riproporranno le invocazioni dei secoli
andati, quando si andava in processione o si recitavano
nelle chiese rosari perché piovesse laddove la siccità
prolungata mandava in malora i raccolti e affamava
uomini e bestie.
L’assenza di prospettive degne di questo nome porta
molti a vedere nero, al punto da immaginarsi disastri
incombenti – ai quali sono dedicati alcuni capitoli della
terza parte – causati da fattori vuoi totalmente inventati
(la presunta apocalisse datata dicembre 2012), vuoi
pendenti sull’umanità di ieri, di oggi e di domani.
E’ perciò inutile stracciarsi le vesti al pensiero di quello
che succederebbe il giorno in cui, per dire, si svegliasse
il vulcano che romba e tuona ma sta per fortuna ancora
sotto il Parco di Yellowstone negli Usa.
Pochi per la verità vedono nel fallimento in arrivo la fine
di un’era ma non della storia umana che, raschiato il
fondo, saprà ripartire anche grazie alle tecnologie di cui
si è dotata, ma soprattutto alle conoscenze che viene
acquisendo su quello che si porta in testa.
Il libro sponsorizza queste tesi anche in ossequio alla
affermazione di Talete per il quale l’immensità è dentro e
non fuori di noi, dove - secolo dopo secolo - si è svilita in
uno sterile confronto spirito/materia diversamente
argomentato.
La convinzione è che quella del grande pensatore sia
fosse stata la premonizione di ciò che si viene scoprendo
2
Tra passato e futuro
sul cervello umano, entità di cui è impossibile segnare i
confini.
Così fosse l’avere non reggerà in futuro il confronto con
l’essere, anche perché a quel punto tutto sarebbe già
cambiato.
Ma si è corso troppo avanti, questa è solo l’anteprima.
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Tra passato e futuro
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Tra passato e futuro
_____________________Prima
parte _____________________
Un passato non solo nostro
Non ci siamo per caso
Il mitico inizio: l’era felice
Il sogno interrotto: Atlantide
Il Diluvio: lo spartiacque
Il Primo Tempo
I “fuori quadro”
Megaliti
“C’erano sulla Terra i giganti ….”
Nazca e la città degli dei
Cosa c’è in fondo al mare?
La Grande Piramide e le altre
Conoscenze senza tempo
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Tra passato e futuro
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Tra passato e futuro
Non ci siamo per caso
La storia della nostra specie di sicuro non decolla
dagli ziggurat dai quali sumeri e babilonesi scrutavano
il cielo o dalle pitture rupestri delle Grotte di Altamira da Picasso ammirate al punto da esclamare, al termine
della visita, che dopo tutto è stato decadenza - e meno
che mai ha le date della Bibbia.
Gli antefatti in particolare sono nebulosi, se non bui.
Gli evoluzionisti – sulla scorta delle tesi di Darwin –
negli ultimi 150 anni li hanno portati molto indietro,
fino ad un tempo di mezzo, un “purgatorio” seguito
al vero e proprio inferno ambientale che provocò la
scomparsa dei dinosauri 65/70 milioni di anni fa. E
guarda caso venne chiamato Purgatorius il topino d’un
paio d’etti, sopravvissuto alla catastrofe, dal quale tutti
discenderemmo.
Decine di milioni di anni dopo, nella infuocata savana
africana, un gibbone – primate della famiglia degli
ominoidi lungo meno di un metro per una decina di
chili di peso – si mise ritto sulle zampe posteriori per
arrivare, con le anteriori lunghe e articolate, a cogliere
dai rami ciò che voleva senza arrampicarsi.
Da questo particolare gli esperti in materia hanno tratto
la convinzione che il gibbone sia di famiglia in quanto
predecessore delle scimmie antropomorfe della quali si
condivide oltre il 90% del Dna.
Le somiglianze del patrimonio genetico non a i u t a n o
tuttavia più di tanto a venire a capo del rebus del
comune passato in termini evolutivi.
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Tra passato e futuro
Lo scimpanzé – per dirne una - lo ha più simile al
nostro che all’orango, suo cugino stretto, ma entrambi –
aspetto non di secondo ordine - pur sapendo lanciare
un sasso o impugnare un bastone, non li conservano
una volta usati.
Solo l’uomo ha p o i l a nozione del tempo e conserva
gli oggetti. Inoltre il corpo umano nei confronti di quello
di una scimmia ha meno componenti minerali, la cui
abbondanza è un inequivocabile segno di anzianità
evolutiva.
Anche lo sviluppo fisico evidenzia le diversità. Dalla
nascita il nostro è lentissimo se paragonato a quello di
specie alle quali si dovrebbe essere contigui e che per
di più si mostrano da subito specializzate: la mano di
uno scimpanzé è perfettamente adatta all’ambiente in
cui è destinato a vivere mentre quella di un essere
umano è universale, nel senso che ha la possibilità di
adattarsi ad una molteplicità di impieghi.
Sempre con riguardo ai nebulosi antefatti, non essendo
la sede per un confronto di tesi tra evoluzionisti,
creazionisti e vie di mezzo più o meno agguerrite, non si
va oltre l’idaltu, il primo nato, venuto al mondo in Africa
molte centinaia se non un milione di anni fa.
Sarebbe lui l’antenato del doppio sapiens, l’espressione
infelice con cui si designa il comune progenitore, che è
stato posto, con una decisione chiaramente di parte,
un gradino sopra Cro Magnon e Neanderthal, con i quali
peraltro deve aver coabitato per lunghi periodi.
Per differenziare il doppio sapiens dai cugini stretti,
supposti un po’ meno sapienti, fondamentalmente ci si
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Tra passato e futuro
basa sulle dimensioni della scatola cranica. Ed è qui
che emerge una contraddizione non di poco peso.
Il cranio dei Neanderthal infatti era più voluminoso di
almeno 100 centimetri cubici.
Perché allora si è messa in giro la diceria che fosse
uno stupidone? E non è neanche vero che avesse una
andatura ciondolante.
L’erronea interpretazione del modo di camminare deriva
da alcune anomalie delle ossa delle ginocchia di uno
dei resti rinvenuti agli inizi del secolo scorso; gli altri è
da presumere camminassero ritti e a testa alta.
Quanto ai Cro Magnon, la loro capacità cranica era dai
200 ai 400 centimetri cubici maggiore della testa che di
norma ci portiamo appresso; e che fossero dotati di un
elevato senso artistico lo confermano i m a g n i f i c i
dipinti – sicuramente di loro mano – rinvenuti in diverse
grotte d’Europa.
Come veramente sia andata la storia tra noi e loro
nessuno è in grado di spiegarlo ma è largamente diffusa
l’opinione che l’apparizione sulla Terra sia nostra che
dei cugini in discorso sia recente, contestuale e non
dovuta al caso.
Il grande matematico e astronomo Emile Borel ha colto il
livello di complessità e insieme le concatenazioni logiche
insite in tali “entrate” nel paradosso a seguire: “Vi sono
tante probabilità che l’uomo si sia originato casualmente
quante ne potrebbe avere una scimmia che - battendo
all’impazzata sui tasti di una macchina da scrivere –
ottenesse come risultato tutto il testo della Bibbia, senza
errori e con punti e virgole al posto giusto”.
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Tra passato e futuro
Molto più terra/terra, si potrebbe osservare che il
pensiero di tutti noi umani si svolge da sempre su
regole ferree date e si evolve per le nuove conoscenze
che preleva dal suo cantiere.
Come può tutto questo trarre origine da combinazioni
fortuite?
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Tra passato e futuro
L’era felice
Tanto porta a supporre che nel lungo corso di Gaia ci
siano state più albe e tramonti con altri Adamo e altre
Eva, chissà se anch’essi privilegiati da un temporaneo
soggiorno in paradisi in terra dei quali è rimasto a noi,
ultimi venuti, il mito.
Esiodo ne “Le opere e i giorni” scrive in proposito: Gli
uomini erano come dei, liberi da fatiche e sventure; né
incombeva la miseranda vecchiaia ma, sempre fiorenti di
forza nelle mani e nei piedi, si rallegravano nei conviti,
lontani da ogni malanno e morivano presi dal sonno”.
E Platone fa dire sul tema ad Aristofane: “Un tempo gli
uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e
non v’era distinzione tra maschi e femmine. Ma Zeus,
invidioso di tale perfezione, li separò”.
Di quel paradiso di pace, abbondanza e uguaglianza
nella area mediterranea si onorava il ricordo con grandi
feste e complicati rituali, dedicati al greco Crono e al
latino Saturno.
Era un modo molto popolare e dunque largamente
sentito di augurarsi il ritorno di quegli anni favolosi,
confortati dagli astrologhi per i quali le stelle e le
costellazioni influivano in modo deciso e ciclico sulle
condizioni di vita.
Se, dicevano in sostanza, all’estate seguono autunno,
inverno, primavera e di seguito un’altra estate, perché
non attendersi – dopo le età dell’argento, del rame e del
ferro - una nuova età dell’oro?
“Ci sarebbe dunque stata, in un passato indecifrabile –
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Tra passato e futuro
come ha scritto Sprague de Camp - non una terra e
piuttosto una condizione la cui scomparsa colpisce le
corde più profonde del cuore per il senso di malinconica
perdita di una cosa meravigliosa, una perfezione felice un
tempo appartenuta al genere umano”.
Ma cosa può averci reso orfani di una tale perfezione?
Il Popol Vuh, vera miniera di tradizioni precolombiane,
suggerisce una intrigante ipotesi riandando, con un
tuffo all’indietro di svariati millenni, ai tempi in cui i
maya ricevettero dai ”primi uomini” di Quetzalcoatl
tutto il loro sapere.
Giaguaro dal Dolce Sorriso, Giaguaro della Notte,
Giaguaro della Luna e Nome Eminente – questi i nomi
dati loro da quell’antico popolo – vengono descritti
come grandi saggi con capacità eccezionali “tanto che
le cose nascoste per la distanza le vedevano tutte”.
A un certo punto però successe il fattaccio perché gli dei
si sarebbero preoccupati fino a chiedersi: “Devono essere
pari a noi, che possiamo abbracciare ogni luogo e tutto
sappiamo e vediamo? Facciamo anche di loro degli dei?
Certo che no, si presume si siano risposti all’unisono. E
così dopo un po’ la vista di quei saggi “si appannò come
quando si soffia sulla lastra di uno specchio e i loro occhi
poterono vedere solo ciò che era vicino”.
E guarda caso anche nell’Antico Testamento il Signore
Iddio pronuncia parole di senso analogo: “Ecco, l’uomo è
diventato come uno di noi ….. Affinché egli non stenda la
mano e non prenda dell’albero della vita, ne mangi e viva
per sempre, sia cacciato dal Giardino di Eden”.
Espressioni a ruota libera? Piuttosto espressioni da
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Tra passato e futuro
interpretare, specie da quando anche dalla scienza
vengono conferme sulle capacità “dormienti” del cervello
di noi umani.
Più avanti si riprenderà l’argomento. In questa sede
basti sottolineare che potrebbero essere tante e – chi lo
sa! – addirittura in grado di riportarci per direttissima
nel Giardino dell’Eden.
Certo, aver avute in perfetta funzione tali capacità – in
piena era felice – e poi essersele perse o dimenticate o
viste sottrarre è una cosa che fa gridare vendetta.
Fosse vera, naturalmente.
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Tra passato e futuro
Il sogno infranto: Atlantide
Perché in tanti continuano a cercare Atlantide?
La risposta è una e incontrovertibile: cambierebbe il
mondo, non solo a costoro, ad avere la prova provata
della esistenza, in un passato remoto, di una società in
cui, a stare al mito, la vita dei comuni mortali era come
tutti la sogneremmo.
Sprague De Camp (ancora lui) lo spiega così: “Pensare
ad Atlantide risveglia in noi una speranza che quasi tutti
portiamo dentro; la speranza tante volte accarezzata e
tante volte delusa che chissà dove e chissà quando
possa esistere una terra di pace e abbondanza, di
bellezza e di giustizia dove da quelle povere creature che
siamo potremmo essere felici”.
Ecco perché Atlantide “tira”. Un catalogo bibliografico
del 1926 le assegnava 1700 titoli, ai quali negli ultimi
ottant’anni non è azzardato ritenere se ne siano aggiunti
almeno altrettanti.
Il problema centrale è rappresentato da dov’era.
Per Platone l’isola “ più grande di Libia e Asia assieme”
(Nord Africa e Asia Minore) si trovava al di là delle
Colonne d’Ercole. Egli aggiunge che là dove si inabissò, a
seguito di ripetuti cataclismi, c’è “bassofondo fangoso,
difficile al passaggio pei naviganti che fanno vela verso
l’alto mare che di là si estende. Ci si deve arrestare,
tanto è forte l’ostacolo”.
Una descrizione in fondo non vaga che peraltro fin qui
non ha portato a niente. Dell’isola scomparsa in un
baleno non è infatti s t a t a t r o v a t a traccia in ogni
14
Tra passato e futuro
angolo del pianeta dove si è provato a c e r c a r n e i
resti.
Nel Mediterraneo hanno avuto i loro momenti d’oro le
ipotesi Azzorre, Cipro, Santorini, la divagazione sarda e
la puntata andalusa, che ha fatto da scalino al
Sahara.
Poi c’è stato il balzo oltre o c e a n o c h e h a t o c c a t o i l
Mar dei Sargassi prima di sbarcare in Sud America e
alla fine al Polo Sud, che in epoche remote avrebbe
effettivamente potuto essere davvero nel bel mezzo
dell’Atlantico.
Malgrado gli insuccessi a ripetizione, il fascino del mito
di Atlantide resta intatto perché chi voglia crederci,
ne scriva o ne cerchi segni, spera non di recuperare
reperti qualsiasi ma di ritrovarsi a tu per tu con una
civiltà d a p a r a d i s o piuttosto che di questa terra. E
avendo finalmente tra le mani quello che ne rimane, si
potrebbe sperare di tornare ad essere com’erano loro, i
figli di Atlantide.
Si sbagliava dunque di grosso Aristotele credendo di
aver posto una pietra tombale sull’argomento con queste
parole: “L’uomo che l’ha sognata, l’ha fatta scomparire”.
Il sogno, nei 2500 anni di cruda realtà succedutisi
all’annuncio, ha invece retto alla grande.
Può darsi che Platone stesso, stregato dal racconto
tratto da fonte ignota, lo abbia voluto collocare in una
dimensione chiaramente da sogno allo scopo di farlo
durare nel tempo.
Pare quasi confessarlo quando colloca la capitale del
regno su un’isola irraggiungibile “per l’invalicabile mare
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Tra passato e futuro
che la circonda”; un mare che saliva – in virtù di una
fantastica canalizzazione – lungo il Sacro Monte fino a
lambire il Tempio che era in cima, dove regnava la luce
essendo rivestito d’argento fuori e di oricalco (!!) al suo
interno.
Gli ingredienti fondamentali del mito della creazione ci
sono tutti: il Monte della Conoscenza e il suo Tempio;
la dimora di Dio che emana luce e ne è pervasa; l’unità
di fondo tra il dentro e il fuori di ogni vivente (argento e
oricalco).
Non solo Platone ma chiunque si staccherebbe a fatica
da questi sogni, per cui è scontato che non si smetterà
mai di cercare Atlantide. Persino in Antartide si sono
organizzate spedizioni con la speranza di annunciare
urbi et orbi: ecco quel che resta di Atlantide!.
E se un giorno, nelle gelide acque della Baia della
Regina Maud, dei sommozzatori si imbattessero per
caso in un numero notevole di massi squadrati, sparsi
sul fondo e un tempo costituenti, indiscutibilmente, la
massicciata di un molo, se ne trarrebbe la conclusione
di trovarsi di fronte ad uno dei porti dell’isola perduta.
Allo stesso modo, se si scoprisse che una collina - al
centro di una vasta piana di una delle due grandi isole
sotto i ghiacci perenni che formano la Groenlandia nasconde un’enorme piramide di duro granito, quale
giornale o telegiornale o sito Internet non darebbe per
giorni evidenza al ritrovamento non di una piramide tra
le tante, se di questo si trattasse, ma di un monumento
legato alla civiltà atlantidea?
Era felice, Atlantide: miti sovrapponibili, accomunati dal
16
Tra passato e futuro
medesimo sogno ancestrale di una dimensione chissà
se veramente vissuta. La ragione dice no ma il mistero
che la precede e l’origina dice si perché non può né
vuole rinunciare a ciò che gli è contiguo: il paradiso che
sa di tenere dentro e non riesce a ritrovare fuori.
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Tra passato e futuro
Il diluvio universale: lo spartiacque
11/12 mila a.C. Uomini troppo simili fin quasi ad essere
in concorrenza con i loro creatori, la decisione di questi
ultimi di sbarazzarsene con un apocalittico diluvio e di
salvare il più remissivo tra quelli perché ammonisse le
generazioni successive a non ritentare la sfida al divino: è
la base condivisa dai miti sul diluvio universale.
Il “prescelto” tenuto in vita era Atrahasis per i sumeri,
Gilgamesh per i babilonesi, Noè per gli ebrei, Yiwa per i
persiani, Dwifa per i celti, Matsia Purana e Shetepatha
Brahamana per gli indù, Nuwah per i cinesi.
Nelle Hawii era Nu-u, in Amazzonia Noa, Tamanduare
in Perù, Tapi in Centro America, Pokawo e Manibusho
tra i pellerossa, Zeukha per gli abitanti (radi) della
Patagonia.
Ce ne saranno ovviamente stati con numeri a tripla
cifra di cataclismi a dimensione planetaria nei miliardi
di anni di vita della Terra ma questo – subìto come
vittime in qualche modo predestinate e raccontato da
testimoni – c’è il fondato sospetto si sia incasellato nel
Dna.
Ad avvalorarlo anche la descrizione della fine dei tempi
fatta da Giovanni nell’Apocalisse, in cui potrebbe aver
richiamato un drammatico incrocio del comune passato.
Dal “diluvio” di Giovanni: “…. e dal cielo cadde una
stella grande e ardente come fiaccola …. e vidi un astro
caduto dal cielo ….. e ne seguirono folgori e grida e
tuoni e gran terremoto, si rovinoso che da quando
l’uomo è sulla Terra non vi fu mai terremoto così
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Tra passato e futuro
grande….. e tutte le isole fuggirono, i monti scomparvero e
grandine grossa come talento cadde dal cielo ….. e tutti i
naviganti, i marinai e quanti trafficano sul mare se ne
stettero alla lontana ….”
Sarà andata così? Forse. Negli ultimi decenni si è fatta
strada l’ipotesi di uno tsunami planetario provocato
dallo slittamento improvviso negli oceani di enormi
masse di ghiaccio sia dell’Antartide che dell’Artide; un
fenomeno che, in proporzioni neanche lontanamente
paragonabili, si sta verificando ai nostri giorni a causa
del progressivo riscaldamento del pianeta.
L’idea di un diluvio che abbia avuto a protagonista un
gigantesco tsunami – o più di uno in contemporanea non è in ogni caso alternativa alla stella grande e
ardente di Giovanni in quanto l’ipotizzato slittamento,
tutti assieme, dei ghiacciai da un capo all’altro del
pianeta deve pur aver avuto una causa scatenante. In
più è in perfetta sintonia con il racconto biblico per il
quale fu “l’esplosione delle fontane del grande abisso” a
precedere “l’apertura delle cateratte “.
Né mancano conferme scientifiche di un evento epocale
a livello planetario, con effetti devastanti sul clima e
sulle condizioni di vita nel pianeta.
Le perforazioni degli strati di ghiaccio ai poli hanno
infatti permesso di “misurare” la quantità di ossigeno
residuo e di stabilire, in relazione a questo, il clima
prevalente al momento della loro formazione.
E’ stato possibile in tal modo datare con certezza quando
la Terra, praticamente dalla sera alla mattina, cambiò
faccia.
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Tra passato e futuro
Prima del diluvio, il Nord Europa fino alle latitudini di
Londra e Berlino era interamente coperto da calotte di
ghiaccio.
Sull’area dell’Hudson, dal Canada orientale a fin dove
sorgerà New York, gravava una coltre ghiacciata spessa
più di 3 chilometri. Per contro, in Alaska e in Siberia
scorazzavano una quantità di specie animali che, per
numero e varietà, non avrà pari: decine di milioni di
mammut, renne, rinoceronti, cavalli, ippopotami, orsi,
leoni, leopardi; e poi castori, bradipi giganti, cervi dalle
grandi corna, persino cammelli e tigri dai denti a
sciabola. Questo mentre in Australia e Nuova Zelanda
faceva molto più freddo di oggi e l’Antartide – almeno sul
versante atlantico – era parzialmente libero dai ghiacci.
Potrebbe legarsi all’apocalisse sopravvenuta anche il
ritrovamento nelle desolate pianure siberiane di mammut
congelati tanto all’improvviso da rimanere irrigiditi
sulle zampe posteriori, taluni mentre attraversavano
il letto di un fiume.
”Avevano nello stomaco pisellini e lattuga” scrisse di
quei ritrovamenti Peter Kolosimo.
Dunque in quei giorni tremendi dell’Era del Leone oltre 12 mila anni fa - le calotte glaciali potrebbero
essere in parte “affondate” negli oceani provocando un
innalzamento improvviso e disastroso del livello dei
mari.
In parallelo debbono esserci state impressionanti
sequenze di esondazioni, alluvioni, perturbazioni di
inaudita violenza che investirono tutti i continenti,
modificandone anche gli assetti.
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Tra passato e futuro
Niente dev’essere stato più com’era il giorno prima
sugli altipiani peruviani (dove Tiahuanaco si perse il
lago), nelle valli dell’Indo, negli arcipelaghi del Mar del
Giappone (che arcipelaghi non erano), in Nord Africa
dove terre rigogliose si ritrovarono prima devastate e
poi, con il tempo, ridotte progressivamente a contenitori
di sabbia infuocata.
La causa prima di tutto questo? P r o b a b i l m e n t e
l’impatto con un asteroide di non meno di cento metri
di diametro, o con la coda di una cometa.
Due le evidenze coerenti con l’ipotesi: lo spostamento
brusco dei poli magnetici e lo strato di iridio al suolo (è
alto più di mezzo metro in certe zone), non altrimenti
spiegabile.
Anche il dopo si caratterizzò per un campionario unico
di criticità: risveglio generalizzato di attività vulcaniche,
terremoti spaventosi – testimoniati dal crollo delle volte
nella maggior parte delle caverne – alluvioni insistite con
decimazione degli animali superstiti, campo magnetico
fortemente perturbato.
Fu per decenni se non per secoli un’angosciosa lotta per
la sopravvivenza. Su altipiani e in territori comunque
distanti dai litorali o dall’alveo di fiumi, le popolazioni
stanziali ebbero qualche possibilità di scamparla; per il
resto, l’azzeramento di ogni traccia di vita non deve aver
fatto eccezioni.
Succedesse qualcosa di analogo nei nostri anni, vengono
i brividi a pensare agli effetti sulle catene del freddo e
sul sistema energetico complessivo.
Occorrerebbe ripartire quasi da zero. Per maya, greci,
21
Tra passato e futuro
libri sibillini, scritture buddiste, tradizioni degli indiani
l’umanità vi è stata più volte costretta.
Anche noi ci riusciremmo, se e quando dovesse riaccadere?
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Tra passato e futuro
Il Primo Tempo
Ai miti della creazione e dell’era felice, la cui vaghezza
da spazio al sogno, sono seguiti - ai quattro angoli del
mondo - resoconti e cronache di tempi meno lontani
in cui è evidente lo sforzo di dare credibilità a fenomeni,
presenze, episodi dagli aloni pur sempre leggendari.
Buona volontà a parte, a prenderle una ad una non si
salverebbe una riga di memorie avvolte in contorni da
favola, mentre il quadro cambia e il giudizio si concede
un punto interrogativo a provare a metterle insieme.
Succede in particolare, per l’area del Medio Oriente,
ponendo a confronto riferimenti biblici e accadici, scritti
di Erodoto, Diodoro Siculo e Manetone; per le Americhe
cronache del Popol Vuh e tradizioni inca, sopravvissute
alle devastazioni dei conquistadores.
Per Diodoro Siculo, lo storico greco che visitò l’Egitto nel
1o secolo a.C. nel tentativo di scandagliare gli abissi di
tempo della sua plurimillenaria storia, “dapprincipio gli
dei e gli eroi governarono il paese per 18 mila anni e
l’ultimo degli dei a regnare fu Horus, figlio di Iside …
Poi vennero re mortali, dicono, per 5 mila anni”.
Sommando i due numeri e tenendo conto dell’epoca in
cui scrive, si va indietro di 23000 anni, con il pianeta in
piena era glaciale e il Nord Africa beneficiario di un
clima quasi identico a quello che si immagina vi sia in
un qualsiasi paradiso terrestre degno di questo nome.
Erodoto, vissuto quattro secoli prima, aveva dato numeri
anche più sbalorditivi. Nelle sue “Storie” parla infatti di
un immenso periodo preistorico della civiltà egizia, che
23
Tra passato e futuro
ad Eliopoli i sacerdoti gli avrebbero quantificato nel
seguente, sibillino modo:
“Mi dissero – h a l a s c i a t o s c r i tto – che il Sole si sviò
quattro volte dall’usato suo corso; due volte sarebbe
spuntato là dove ora tramonta; e dove ora sorge, due
volte sarebbe tramontato”.
Parole mirate a stupire? Nei suoi scritti spesso si è
lasciato prendere la mano ma non sembra questo il
caso, anche perché la frase è circostanziata al punto che
il matematico Schwaller de Lubicz la interpretò come un
riferimento al tempo che serve all’equinozio di primavera
p e r completare un ciclo e mezzo dello Zodiaco.
Vediamo. Negli anni di Erodoto il Sole sorgeva in Ariete
avendo in opposizione la Bilancia. Retrocedendo di sei
“Case zodiacali” (circa 13 mila anni) l’orologio cosmico, il
Sole sarebbe sorto in Bilancia e calato in Ariete. Con
ulteriori 13 mila anni di arretramento ancora un nuovo
capovolgimento: alba in Ariete e tramonto in Bilancia.
Andando infine a ritroso di un identico numero di anni,
alba di nuovo in Bilancia e tramonto in Ariete.
Domanda inevitabile: i sacerdoti sapevano che il Sole
risorge nella medesima costellazione ogni 25920 anni?
Se si, poiché una volta e mezzo detto numero fa 39 mila
(circa), tanto sarebbe durato il Primo Tempo, lo Zep Tepi
precedente i 3000/5000 anni di durata complessiva dei
regni di mortali sulla Casa della Spirito di Ptah, vale a
dire l’Egitto.
Il tema coinvolge anche il Papiro di Torino o Canone
Reale. Arrivato nel capoluogo piemontese danneggiato
da un’improvvida spedizione, vi si elencano i nomi degli
24
Tra passato e futuro
dei che avrebbero retto il paese dagli albori: Ptah, Ra,
Shu, Geb, Osiride, Seth, Horus, Thoth e Maat.
In pratica, è un Diodoro Siculo che va al dettaglio.
Altro riferimento obbligato è l’Aegyptiaca di Manetone,
cronistoria dei re del paese fino ad Alessandro Magno.
L’originale è andato perso ma parti i m p o r ta n t i s i
s o n o r e c u p e r a te dagli epitomi d i Giuseppe Flavio,
Sesto Africano, Eusebio di Cesarea.
Da costoro viene la conferma del lunghissimo periodo
in cui regnarono sull’Egitto dei e semidei, con nomi che
si ripropongono. Ad inaugurarlo è infatti il creatore Ptah
seguito da Rha, il dio Sole, da Geb il dio barbuto e da
Osiride. I seguaci di Horus, ovvero “coloro che seguono
il cammino di Rha”, chiudono l’eletta compagnia.
Anche la divisione delle dinastie storiche ricavabile da
tali frammenti coincide sostanzialmente con quella delle
altre fonti, mentre non quadra il computo degli anni
complessivi di regno dei faraoni: 5 mila per Manetone
e Diodoro Siculo, 3 mila per la cronologia ufficiale.
Solo l’Egitto sarebbe stato governato per così tanto
da esseri uguali a noi ma con conoscenze superiori a
quelle dei mortali di allora? Parrebbe di no.
Con minime varianti ma (va precisato) considerevoli
sbalzi di datazione, leggende dello stesso tenore vengono
da Centro e Sud America, dalle valli dell’Indo e dello
Yangtze, dal delta del Mekong e dalla Mesopotamia.
“Nei tempi antichi sono venuti uomini di grande
portamento che indossavano tuniche di lino nero aperte
sul davanti. Non avevano cappuccio e lasciavano
scoperto il collo”: è l’inizio del racconto ripreso da Juan
25
Tra passato e futuro
de Torquemada dal “Popol Vuh”, libro della comunità
maya della Terra Quiché (l’odierno Guatemala),salvato
cinque secoli fa dall’indice.
La successiva frase, anche più interessante, è dedicata
al capo del gruppo: Quetzalcoatl, il Serpente Piumato di
olmechi, mixtechi, toltechi, aztechi e maya “che riusciva
a vedere quello che c’è sulla Terra senza muoversi …
conosceva ogni cosa e sapeva dei quattro punti della
volta del cielo e della faccia della Terra”.
Sarebbe stato costui (fisicamente somigliava ad un
europeo con la barba) a insegnare ai nativi a costruire
abitazioni, coltivare la terra e “leggere” il cielo.
Pure l’egizio Osiride aveva sembianze umane e veniva
ricordato come un grande riformatore.
Si vuole che abbia vietato il cannibalismo, insegnato
fondamentali pratiche agricole, redatto codici, fatto
costruire argini sul Nilo e canali irrigui,
Aspetto, qualità e meriti analoghi erano attribuiti al dio
Sole Viracocha, lo “Splendore originario” del popolo inca.
“Era l’alba del giorno equinoziale e le stelle cantavano
tutte in coro quando scese sulla Terra la Sovranità
Celeste per creare l’uomo nuovo”: è la Bibbia che da
anche una data all’evento con cui la divina presenza si
rivelò al popolo ebraico, il 7 ottobre del 3671 a.C.
Presenze divine specchiate a noi quanto a sembianze
che venivano a fare, in quei tempi remoti al punto da
rendere impossibile una datazione anche approssimata,
tra primitivi che passavano le notti in fumose caverne e
di giorno cacciavano utilizzando bastoni di legno con
punte di selce?
26
Tra passato e futuro
O si trattava di personaggi nati e cresciuti qui che, per
ragioni ignote, ne sapevano tanto di più? Se così fosse
stato, in quali angoli del pianeta si sarebbero ritagliati
esclusivi resort?
Domande su domande senza ragionevoli risposte. Per
quel che se ne sa, prima della immane catastrofe il
pianeta era semi congelato e quasi disabitato.
40 mila anni prima di Cristo tra una calotta e l’altra,
coprente p i ù d i un terzo delle terre emerse, si e no
una decina di milioni di primitivi, concentrati in
prevalenza nella fascia mediana dell’emisfero boreale, si
spostava di continuo alla ricerca di pascoli e prede.
La loro (e nostra) madre comune era nata e vissuta 100
mila anni prima in Africa, in una regione tra Kenia,
Tanzania ed Etiopia. Lo sappiamo perché il suo Dna
mitocondriale è l’unico che, da quei tempi remoti, si
sia trasmesso immutato di madre in figlia.
Adamo vide invece la luce, sempre in Africa, diverse
decine di migliaia di anni dopo e ne dovettero passare
altrettanti prima che un gruppo con il suo cromosoma
si spostasse dal nucleo originario africano verso l’India
per poi raggiungere - secondo certe ricostruzioni grazie
a Lemuria, il “continente perduto” - il Sud Est asiatico e
l’Australia.
Di un secondo gruppo, sbarcato sull’altra sponda del
Mediterraneo, una piccola parte si sparpagliò in una
Europa semi congelata, convivendo con Neanderthal e
Cro Magnon molto a lungo, mentre il grosso inseguì le
mandrie di animali fin nelle sterminate e rigogliose
pianure siberiane.
27
Tra passato e futuro
Alcuni attraversarono infine la striscia di terra che
all’epoca collegava l’Asia alle Americhe, dove rimasero
in attesa degli antichi confratelli che tanti millenni dopo
arriveranno non per abbracciarli, come forse avrebbero
sperato.
E’ qualcosa tale sapere ma non è credibile che in tanto
tempo sia successo tanto poco.
Si ipotizza così l’esistenza di uno o più territori nella
fascia mediana del pianeta in cui un’altra genia avrebbe
vissuto in un modo neanche lontanamente paragonabile
a quello di quei rozzi migratori. Ma è inutile chiedersi se
presenze di tale livello fossero stanziali o di passaggio:
non ci sono riscontri né in un senso né nell’altro.
Perch é allora se ne parla co n ta n ta insis te nza ?
Perch é non c’è ad esse alternativa, salvo a chiudere gli
occhi e a bloccare i circuiti cerebrali favoleggiando di
“culle” ai piedi dell’Himalaya o in Mesopotamia in cui,
nel giro di una manciata di secoli, popolazioni nomadi
da tempi immemorabili si sarebbero convertite alla vita
cittadina con tanto di strade, scuole, templi e osservatori
astronomici.
Che storietta è mai questa! E’ evidente che una “spinta”,
neanche modesta, deve esserci stata e se non esiste
documentazione al riguardo, qualche segno indiretto c’è.
A cominciare dallo Zodiaco.
Vengono da un cielo antico le sue figure, immaginate a
contorno di stelle visibili solo dal 10o al 20o parallelo
dell’emisfero boreale perché nell’estremo Nord o mano a
mano che ci si avvicina all’equatore si assottigliano fino
a sparire.
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Tra passato e futuro
Si tratta beninteso di grappoli assolutamente anonimi
di stelle, alle quali è stata data un’identità precisa.
Perché?
C’è una spiegazione, meno arrischiata di quanto possa
apparire a prima vista. In assenza di orologi, i non
meglio identificati “dei” decisero di collegare alcuni
addensamenti – scelti in funzione del progetto ad immagini familiari alla quotidianità di scolari
digiuni di ogni conoscenza per facilitarne l’individuazione.
Si inventarono così le “stazioni” da toccare sulla volta
celeste ogni 2160 anni. Forse spiegarono pure che la
Terra dondola sul suo asse, dando luogo al fenomeno
della precessione degli equinozi: una supposizione che
non aggiunge né toglie alcunché al modo elementare ma
tecnicamente perfetto di segnare il tempo e di tenerne
conto.
In conclusione si può affermare con qualche senno che
non soltanto prima ma pure dopo il diluvio è probabile
non ci fossero esclusivamente cavernicoli in giro.
29
Tra passato e futuro
I “fuori quadro”
L’ultima leggenda sul mitico paradiso originario ce l’ha
regalata uno dei più grandi tra gli umani con quel
suo racconto sull’isola sbocciata per incanto in mezzo ad
un immaginifico mare.
Dopodiché è nata la storia, che è allergica ai sogni per
principio, dovendo tenere i piedi in terra.
Prova a farlo anche per epoche in cui il tempo trascorso
ha avuto buon gioco nel cancellare molte se non troppe
sequenze di vissuto.
In tali casi si ingabbia la ricostruzione su schemi
definiti a priori per area, periodo o contesti specifici. Se
i riscontri arrivano in numero congruo, il buco viene
riempito e il registrato entra a pieno titolo nel tracciato
storico.
Cosa succede però se qualcosa di non cercato salta fuori
mettendosi di traverso?
Bisogna dire le cose come stanno: nella più parte dei casi
lo si ripone in un fondo di magazzino e se non fosse
proprio ignorabile si dedicano volumi, filmati, depliant
alla “meraviglia”, ufficializzandola come “fuori quadro”.E
fin qui non è ok ma passi, il dopo no.
Gli esperti del ramo sono infatti tentati, e molto di rado
riescono a sfuggire la tentazione, di dare spiegazioni
intricate a tali “fuori quadro”; spiegazioni finalizzate a
farli rientrare a forza nel tracciato di cui sopra. E il
motivo c’è.
Ammettere che non sia stato Cheope il costruttore della
Grande Piramide; che Colombo doveva per forza disporre
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Tra passato e futuro
di carte ricopiate da mappe sorgenti (di cui si dirà) grazie
alle quali tirò dritto fino alle terre al di là dell’Atlantico;
che Baalbek, i Moai, le linee di Nazca non hanno niente
a che vedere con la nostra storia; ammettere questo
priverebbe i tracciati in questione di ogni credibilità.
Ma una credibilità costruita su un sotterfugio o bufala
che sia – oltre ad essere moralmente riprovevole – non
toglie forse fascino ad una ricostruzione storica che si
imbatta in una perla di mistero?
Capitano a fagiolo in materia uno spezzone di un celebre
film di Kubrick e il vialone di Teotihuacan.
Stanley Kubrick apre “Odissea nello spazio” con la scena
degli ominoidi che si ritrovano in modo inopinato faccia
a faccia, nella savana, con un monolite perfettamente
sagomato e ritto su uno dei suoi quattro angoli in barba
alle leggi di gravità.
Si vede che sono sorpresi da quell’insolita forma capitata
loro davanti girovagando in una savana primordiale; ma
dopo un po’ quei lontanissimi progenitori familiarizzano
con il mistero che hanno davanti, fino ad omaggiarlo con
una danza che ha tutti i crismi del rito. In altre parole
pongono di fatto quell’ignoto su di un altare.
Venendo al vialone di Teotihuacan, vi campeggiano le
Piramidi del Sole e della Luna che hanno quasi a ridosso
i resti di costruzioni realizzate migliaia di anni dopo.
Qui lo stacco di quei giganti che emanano mistero con
ciò che hanno attorno è tale che il visitatore non solo
non li considera “resti” ma ignora il contesto per poterli
ammirare tout court.
Misteri/altari: una liaison che viene istintiva anche ai
31
Tra passato e futuro
giorni nostri nel trovarsi vis a vis con cose orfane di
un come e di un perché, venute da un passato non
databile, che impattano sul presente con tale forza da
rilanciare sul futuro.
Per cui cosa si vuole ingabbiare?
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Tra passato e futuro
Presi dal mazzo
Si fa avanti il numero 12, un protagonista della mitica
alba del genere umano e anche dei primordi della civiltà.
Erano 12 gli dei sumeri, ittiti ed egiziani; 12 quelli di
Ellade, di Roma e dei Veda dove Zeus è Dyaus, Urano
Veruna e via elencando.12 sono i segni zodiacali, gli
apostoli, le fatiche di Ercole, i cavalieri di re Artù, i
titani (sei maschi e sei femmine), i mesi dell’anno, le
porte di Gerusalemme, le tribù di Israele, le riflessioni
dello jainismo, gli anelli della creazione del Buddhismo
Thervada, gli imam dell’Islam, i profeti della tradizione
giudaico/cristiana. Che siano 12 pure i pianeti del
sistema solare?
Il primo a fare l’elenco, dettagliato, dei misteri aleggianti
sugli inizi della nostra e s p e r i e n z a t e r r e n a è stato
Charles Fort (1874/1932) che passò la vita a catalogare
articoli, libri e ogni altra documentazione possibile su
eventi e scoperte che avrebbero dovuto far riflettere sul
chi siamo e da dove veniamo.
Dopodiché il nostro si è avventurato in una ipotesi che
lascia interdetti: l’uomo sarebbe stato reinventato (!!!)
da un potere alieno e indirizzato a un progresso in linea
con gli imperscrutabili fini del potere medesimo.
Ma Santo Iddio, con tutto quel potere di fare e disfare e
le conoscenze conseguenti, che fini degni del loro livello
avrebbero potuto conseguire con i derelitti che eravamo
e sostanzialmente siamo?
E’ il solito tallone d’Achille degli ufologi, impegnati a
stanare questi curiosoni, quasi che ogni intelligenza
33
Tra passato e futuro
evoluta dell’universo (ce ne saranno un’infinità di gran
lunga avanti della nostra) fosse smaniosa di ritrovarsi a
Via Montenapoleone.
Ciò posto, vorremmo tutti essere figli esclusivi, il meglio
del meglio venuto su dal grembo della Grande Madre, luce
e respiro di ogni vivente, che ci ospita concedendo troppo di
sé.
Non è forse umano pensarla così? Si che lo è ma non
al punto da reggere cinquant’anni di bufale tipo l’uomo
di Piltdown, basato su reperti “misti” (un cranio umano
più una mascella scimmiesca) che avrebbero dovuto
rappresentare l’anello che mancava per far quadrare la
teoria sull’evoluzione della specie; anello che manca e c’è
il sospetto di non poterlo mai trovare in qualche osso.
Teniamoci dunque stretti i tanti misteri dai quali siamo
stati e siamo contornati, che talvolta suggestionano e
tal’altra lasciano ammirati. Sono, oltretutto, la probante
conferma di un lunghissimo futuro della specie, perché
non sarebbe da creatore farci passare la mano prima di
avere risolto almeno quelli terra-terra, dei quali segue
un fior da fiore.
Chi ha inventato i geroglifici? Nell’antico Egitto i reperti
risalenti al periodo predinastico non rivelano tracce di
scrittura. Poi, all’improvviso appaiono grafie perfette di
una lingua compiutamente strutturata, con segni riferiti
a suoni specifici e un sistema di simboli numerici.
Nessuno finora è stato in grado di chiarire come mai
quelle grafie fossero fin dall’inizio stilizzate, perfette e
senza evidenze di alcun tipo di una evoluzione da tratti
34
Tra passato e futuro
elementari a vere e proprie opere d’arte.
Da dove viene il sanscrito? Si parlava dalle pendici
himalaiane allo Sri Lanka quando il faro della civiltà,
per le tradizioni di quei luoghi, era il mitico popolo di
Lemuria, i Redin, che leggenda vuole sia scomparso con
le terre in cui prosperava nel grande oceano a seguito di
un immane evento catastrofico. Era il loro idioma?
Non c’è risposta naturalmente ma resta il fatto che la
madrelingua di almeno metà dei popoli del pianeta –
oltre a nascere perfetta come i geroglifici – ha il
primato della complessità: otto declinazioni (una più
del latino arcaico, due più del classico e tre più del
greco); singolare, duale e plurale (solo il greco antico gli
sta al passo) generi maschile, femminile e neutro.
E’ la lingua dei Veda, l’antico sapere: 450 mila parole
formanti 1028 Inni per un totale di 10.589 versi, che i
sacerdoti della religione vedica, evolutasi nell’induismo,
avevano tramandato oralmente per moltissimo tempo.
Essi infatti ritenevano fosse questo il modo migliore di
conservare i suoni originali, ai quali annettevano una
enorme importanza.
A proposito dei Veda, da l’idea dell’approssimazione con
cui talvolta si ricostruiscono vicende del nostro passato
il fatto che, fino a pochi decenni fa, la loro trascrizione
fosse attribuita ad una non meglio precisata popolazione
ariana, piombata nella penisola indiana intorno al 1500
a.C. Ovviamente una colossale panzana, riportata però
nelle enciclopedie e nei libri di scuola.
35
Tra passato e futuro
Reperti impossibili Sul tema il ciarpame abbonda ma
non è il caso dell’Homo Alaoulite, il teschio (6.1 x 3.9
cm) rinvenuto nel deserto di Tafilelet nel giugno del
2005 dallo studioso Mohammed Zarouit. Stava lì da
qualcosa come 360 milioni di anni con gli incavi dei
suoi 32 denti e la posizione dell’osso occipitale dalla
quale è venuta la conferma che camminava. Pertanto,
nonostante le dimensioni mini, la sua appartenenza a
una specie simile alla nostra non può essere messa in
discussione.
Di dimensioni anche più ridotte la mummia delle Pedro
Mountains rinvenuta seduta, con le gambe incrociate e
le braccia raccolte in grembo nell’ anfratto di una parete
a strapiombo: una figura dall’aspetto umano, anche se
incredibilmente minuta (36 centimetri), con una regolare
dentizione e spina dorsale integra.
Gli anni che stava in quel buco? Milioni.
Che dire poi dell’impronta fossile di una calzatura – la
foto fece il giro del mondo - rinvenuta nello Utah? Sul
tacco era impressa la forma di un piccolo crostaceo – il
trilobite – vissuto tra 300 e 600 milioni di anni fa
Non è la sola impronta. Ce ne sono anche di suole con
cuciture vecchie di 250 milioni di anni e pure di piedi
indiscutibilmente umani accanto a quelle di animali
preistorici, dinosauri in particolare.
L’uomo di Vladimir – un elegantone per i suoi tempi – lo
hanno disseppellito dopo 52 mila anni nei pressi della
cittadina r u s s a da cui ha preso il nome. Era non solo
morfologicamente identico ai suoi scopritori ma vestiva
in modo analogo. La ricostruzione dei suoi indumenti è
36
Tra passato e futuro
stata resa possibile dalle placche in avorio recuperate
intatte su corsetto e maniche di quella che doveva
assomigliare a una camicia e sulla chiusura in vita di
calzoni o di un panno di foggia analoga.
Uno scorcio sorprendente di passato viene anche dai
graffiti di Lussac le Chateau in Francia, dove gente che
pare uscita da una stampa ottocentesca – schizzata in
modo magistrale almeno 15 mila anni fa – esibisce
cappelli, pantaloni e sottane, stivaletti e scarpe; gente
che è probabile condividesse – per sconosciuti motivi quegli stessi ambienti con uomini e donne nudi o quasi,
appena in grado di bofonchiare qualche grugnito.
Le pietre di Ica Lo scomparso Javier Cabrera Darquea,
medico e docente di biologia e antropologia all’Università
di Ica, cittadina non lontana dagli Altipiani di Nazca, ha
messo assieme nel corso della sua vita una sterminata
collezione di pietre dalle dimensioni più varie.
Si va da ciottoli a massi di qualche quintale – senza
spigoli, abrasioni o scalfitture - recanti figurazioni che
lasciano interdetti per ciò che descrivono e per le date
loro attribuite.
Il dr Cabrera raccontò di aver avuto la prima in regalo
da un contadino; un omaggio di p o c o valore e in uso in
zona perché da secoli quelle pietre figurate venivano
vendute nei mercatini dei villaggi.
Il futuro collezionista rimase subito colpito dal peso e
dalla forma della pietra, troppo tondeggiante persino per
un ciottolo di fiume. Osservandola meglio, vi notò un
pesce che lì per lì non riuscì ad identificare. Incuriosito,
37
Tra passato e futuro
chiese in giro e venne a sapere che al Museo di Ica ne
tenevano nel sottoscala vari esemplari ritenuti dei falsi,
come confermatagli dallo stesso direttore del Museo,
che non deve averlo convinto.
Cabrera infatti da quel momento decise di andare lui
stesso per mercatini, dando il via ad una collezione che
alla fine conterà 15 mila pietre.
Per datarle la maggioranza degli esperti fa riferimento al
processo di ossidazione: se ha ingrigito pure l’interno
dei solchi e non vi si notano segni di interventi extra,
sarebbe provata l’autenticità del reperto.
E il pesce sconosciuto, qualcuno si domanderà? Era
un agnato, sprovvisto di mascelle ed estinto da 400
milioni di anni. Cabrera riuscì a mettere insieme le
pietre riproducenti il suo ciclo riproduttivo: 205 pezzi!.
Vi sono, nella sua collezione, pietre raffiguranti esseri
con grandi teste su esili corpi a cavallo di dinosauri, i
quali corrono con la coda alta (cosa nota agli addetti ai
lavori solo da pochi anni); vasi sui quali sono riprodotti
sette continenti (i due in più sono situati nel Pacifico e
nell’Atlantico), veri e propri trattati di alta chirurgia.
Alcune pietre arrivano a pesare 500 kg. A trovarlo un
campesino che riesca a portarle in giro per cavar soldi a
turisti vogliosi e creduloni!
Si contesta il fatto che in alcune raffigurazioni spuntino
coltellacci e cannocchiali da giocattolaio, per dire che
gli esecutori materiali dei dipinti erano persone semplici
e chiaramente non all’altezza delle conoscenze esibite.
E chi sostiene il contrario!
Le pietre incise prima che si ossidassero, delle quali è
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Tra passato e futuro
impresa ardua contestare l’autenticità, avevano avuto a
protagoniste mani comunque diverse da quelle della
cultura e della civiltà che intendevano rappresentare o
forse solo raccontare, a loro modo naturalmente.
E doveva trattarsi di una cultura e di una civiltà che
non aveva chiesto di perpetuarsi su ciottoli di fiume.
Le due vie delle Ande Ai conquistadores – più predatori
dei lanzichenecchi, più barbari degli unni, più crudeli
delle orde di Gengis Khan – calati in Sud America a far
polpette ( q u a s i s e n z a c o l p o f e r i r e ) degli Inca,
è mancato il tempo o la voglia di percorrere dall’inizio
alla fine le due strade, tuttora esistenti e con qualche
difficoltà transitabili, che attraversano il continente: una
a Ovest, lungo la costa occidentale; l’altra, parallela,
sulle Ande.
Quel popolo non disponeva di mezzi su ruote e quindi è
impensabile che potesse aver realizzato i due tracciati:
24 mila chilometri complessivi, pianificati per forza a
tavolino, che superano montagne, strapiombi e asperità
di ogni genere.
Saggiamente in tal caso non si è tentato di metter su
l’ennesima congettura su chi avesse realizzato opere di
complessità e portata tali da impegnare, a rifarle, le
tecnologie odierne per decenni. Stanno lì e basta.
Un’atomica su Mohenjo Daro? Immaginiamo di tornare
indietro magari di 6/7 mila anni e di sorvolare, a bordo
di uno dei tanti aggeggi che a momenti si intruppano
oltre l’atmosfera, la regione tra Himalaya, Iran, Delhi e
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Tra passato e futuro
lo Stato indiano Maharashtra. Sotto vedremmo la Terra
pressappoco com’è ma con punteggiature impossibili da
decrittare da quell’altezza, addensate nei pressi di un
corso d’acqua ora a secco - il Saravati - e lungo le valli
dell’Indo e di suoi affluenti.
Scendendo a quote familiari ai voli d’uccello, gli anomali
puntini si rivelerebbero città nient’affatto preistoriche e
apparentemente dello medesimo stampo: stradoni c o n
canali di scorrimento delle acque, intervallati da aree
per il deposito dei rifiuti.
Nella parte alta degli insediamenti colpirebbero l’occhio
grandi palazzi, aree di mercato, piscine e granai; più
sotto, a corona, una miriade di edifici a due/tre piani
tirati su con mattoni cotti al forno, affacciati su stradine
diritte con incroci ad angolo retto, risultato evidente di
un’attenta pianificazione urbanistica.
Harappa, Mohenjo Daro, Dholavira, Lothal, Rakhigarhi,
Ganweriwala,Daimabad, Chanudarho, Sutkagen Dor al
tempo rappresentavano i luoghi più popolati e civili del
pianeta, perché nulla di altrettanto avanzato era ancora
apparso nella pianura mesopotamica e nel bacino del
Fiume Azzurro.
Oggi ne restano veramente poche cose, oltre al mitico
racconto della tragica fine di Mohenjo Daro, la città più
ricca e densamente popolata.
Il Mahabharata,poema epico della tradizione indù, ne
indica la causa: “Si levò all’improvviso un vento che fece
tremare le montagne e si vide un Grande Fuoco navigare
nell’aria. Nel cielo c’era una nube luminosa, con fiamme
di un fuoco ardente”.
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Tra passato e futuro
Le campagne di scavi h a n n o r i p o r ta to a l l a l u c e la
metà di quella che, all’epoca, era una metropoli e fatto
registrare una sconcertante anomalia: con i resti di
molti animali, sono stati recuperati s o l o una ventina di
s c hel e tri umani, per di più in un’area circoscritta e
non accasciati ma letteralmente schiacciati al suolo,
come se fossero stati vittime di un evento di inaudita
forza.
Cosa poteva averli ridotti così? Nello stesso luogo, una
striscia di mattoni lunga diverse decine di metri deve
essere stata irradiata. Ne ha i segni, come i pavimenti di
molte abitazioni: vetrificati, al pari delle suppellettili in
ceramica su tavole ancora apparecchiate, quasi non ci
fosse stato il tempo di portare via alcunché.
Da notare infine che alcuni degli oggetti r i n v e n u t i
risultano radioattivi, con emissioni di uranio, plutonio
e potassio 40/50 volte superiori al normale.
Il Bhagavad Gita, che fa parte del Mahabharata, una
indicazione la offre: “Se la luce di mille Soli potesse
splendere di colpo nel cielo, sarebbe come lo splendore
del Grande Fuoco che diventa distruttore di mondi”.
I segreti del Vymanika Shastra Sempre a Mohenjo Daro
una trentina d’anni fa David William Davenport – conte
di nascita ed esperto come pochi di sanscrito (aveva
iniziato a studiare la lingua in India all’età di quattro
anni) pubblicò un libro contro già dal titolo di copertina:
“2000 a.C.: distruzione atomica”.
Partendo da reperti recuperati personalmente nell’area
in cui sorgeva la città e collegando ciò che sapeva alle
41
Tra passato e futuro
narrazioni dei Veda, arrivò all’ipotesi allora temeraria
e oggi affascinante, intrigante, persuasiva che il titolo
anticipa.
A distruggere la città sarebbe stato il grande fuoco che
diventa morte, secondo lui un’atomica tattica lanciata da
un vimana, un uccello artificiale che vola (dal prefisso
vi = uccello/volare e dal suffisso man = luogo artificiale).
Non gli bastò perché successivamente diede alle stampe
“Scienza dell’aeronautica” in cui non si limita a tradurre
il testo vedico Vymanika Shastra ma lo interpreta.
Riferito a esperienze risalenti a tempi non quantificabili
ma precedenti di molto quello in cui venne trascritto
(1200 a.C.), vi sono illustrati i 32 congegni che i piloti
dovevano dimostrare di saper impiegare prima di essere
autorizzati a guidare quegli straordinari uccelli volanti.
DWD li ha riproposti sulla falsariga di un libretto di
istruzioni, corredato da spiegazioni. E la cosa fantastica
è che quasi sempre combaciano alla perfezione, oggi più
di ieri, con le nostre conoscenze sul volo.
Spulciando dal testo, c’è il capitolo Antaraala su come
evitare danni nelle regioni atmosferiche battute dal vento.
In tali frangenti occorreva “arrestarsi e proseguire con
prudenza”. In effetti alla fine degli anni trenta si scoprì
che a circa 12 mila metri ci sono correnti molto forti,
sfruttate dai jet nei voli intercontinentali.
In Goodha si ricorda che per nascondere il vimana è
indispensabile attrarre i contenuti bui dei raggi solari.
Pure qui l a s c i e n z a c o n f e r m a : l’occhio percepisce
una banda ristretta (dal rosso al violetto) delle vibrazioni
di frequenza della luce. Probabilmente i piloti dovevano
42
Tra passato e futuro
azionare determinate leve per consentire ai velivoli di
riflettere solo le frequenze “cieche”, rendendosi in tal
modo invisibili.
In Paroksha la forza che si genera entrando nel secondo
strato delle nubi andava sfruttata “attraendone il potere
con uno degli specchi di attrazione del vimana”.
Conoscevano e erano in grado di utilizzare la carica
elettrica dei cumulonembi?
In Sankocha si legge: “Quando il vimana sta prendendo
velocità con le parti completamente stese, le parti stesse
possono essere fatte contrarre”. Dunque accelerando ali
e coda rientravano.
Il Mahaashabda Vimohana tratta gli effetti di una forte e
continua onda sonora sul sistema nervoso.
Nelle istruzioni ai piloti si legge: “Concentrando la forza
dell’aria nei tubi del vimana e azionando l’interruttore ci
sarà un crescendo di tonante rumore che farà tremare la
gente stordendola e rendendola insensibile”.
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Tra passato e futuro
Megaliti
Doveva esserci qualcosa più della volontà di professare
una fede a indurre genti forse di un’altra storia, vissute
comunque prima di essere capaci o di volerla scrivere, a
costruire templi con pietre enormi, appena sgrossate,
trasportate da luoghi anche molto distanti e conficcate
in terra non si sa in che modo, considerati i tempi e gli
attrezzi in uso: si va da massi messi insieme a formare
filari o circoli, ad architetture complesse, alle vertigini di
pietra di Stonehenge e agli altari al cospetto del cielo di
Machu Picchu e del Monte Miwa.
Aggirandosi in quei siti – sorti nella notte dei tempi in
punti considerati caldi della rete energetica avvolgente
il pianeta – alcuni ritengono di avvertire un mantra (dal
sanscrito manas, mente, e trayati, liberare) evocante un
suono particolare che sarebbe in grado di affrancare la
mente dai pensieri del quotidiano.
Tali colossi vengono da un remoto passato, sono stati
realizzati da popoli di cui non si sa praticamente nulla
e si trovano in ogni parte del pianeta.
In Europa possono essere menhir, pietre isolate poste
in verticale; circoli (Stonehenge e Avebury in Inghilterra,
Callanish in Scozia); dolmen, pietre sormontate da una
lastra solitamente coperta di terra a formare un
tumulo.
I megaliti polinesiani, melanesiani e della Micronesia –
ciclopici anch’essi ed eretti senza alcun legante – hanno
spesso pareti e coperture in roccia grezza. I più noti,
per originalità e arditezza esecutiva, sono: il Trilite di
44
Tra passato e futuro
Mua, nell’arcipelago delle Tonga; le piattaforme presenti
nell’isola di Pasqua; le Tinian delle Marianne, colonne
coniche di strati di corallo.
Ce ne sono di straordinari anche in Sardegna e a due
passi da casa, a Malta, dove viene da chiedersi perché
questo puntino sulla cartina d’Europa abbia ospitato
complessi tanto imponenti.
Mancano – a colpo d’occhio – territorio, popolazione, e
risorse per giustificarli. Se un tempo li aveva, doveva
essere ben dietro i 5000/5500 anni fa, quando il mare
era decine di metri più basso e c’era tanta più terra.
In particolare, all’interno di alcuni templi maltesi vi
sono modellini dalle linee dritte e intersezioni a angolo
retto che non hanno niente a che vedere con le forme a
uovo dominanti i grandi complessi di Ggantija, Mnajdra,
Tarxien,Skorba,Ta’Hagrat, fino all’ipogeo di Hal Saflieni:
un labirinto sotterraneo con un alveare di caverne a più
livelli formatesi prima di essere ampliate da interventi
umani.
L’interrogativo è: quei modelli geometrici, chiaramente
affini alla nostra cultura, sono rimasti progetti o li
avevano in precedenza costruiti e giacciono da un sacco
di millenni sui fondali del Mediterraneo?
I sacerdoti scintoisti di Miwa in Giappone sottopongono
a elaborate cerimonie di purificazione i pellegrini che
intendano scalare la montagna. La salita richiede un
paio d’ore d’arrampicata lungo un crinale fiancheggiato
da un ruscello.
Una volta in cima l’impatto con i megaliti disposti in
cerchio suscita emozioni inspiegabili perché non vi sono
45
Tra passato e futuro
arcate spettacolari o altro degno di nota: è roccia pura,
disadorna. Sarà il cielo che la incorona a suggestionare
quanti arrivano fin lassù col fiatone, al punto da farli
sentire avvolti in un’aura di insondabile e appagante
mistero? Ci siamo persi quel qualcosa o non è mai stata
farina del nostro sacco?
L’idea, non nuova, per la quale la civiltà umana avrebbe
avuto molti inizi e altrettante cadute trova in Estremo
Oriente l’ennesima, intrigante sponda.
Qui una stirpe ritenuta di origine “divina” – vale a dire
(al solito!) con conoscenze straordinarie - avrebbe avuto
rapporti stretti con popolazioni Cro Magnon: carnagione
chiara, alti, grandi orecchie, capelli a crocchia e fisici
possenti.
A costoro la genia avrebbe svelato come erigere, a mani
nude, colossali costruzioni, ricavare grotte in posizioni
impossibili, scavare profonde gallerie.
E meraviglia delle meraviglie c’è riuscita perché è opera
loro quanto si può ammirare in Cina a Luoyan, Longme,
Dunhuang e soprattutto a Yungang dove 252 caverne
sembrano intagliate col laser sulla parete di roccia viva:
una straordinaria prova di destrezza, forza e tecnica che
sfila per un chilometro davanti all’affascinato visitatore
dei nostri giorni.
Nelle cosiddette “Grotte dei mille Buddha” di Dunhuang
sono dipinte scene con personaggi barbuti e d enormi
orecchie, vestiti da monaci, con capelli rossicci e occhi
azzurri. Qual è la storia che intendevano immortalare?
Nella regione afgana dell’Hazarajat, abitata dagli Hazara
(di pelle chiara), in enormi nicchie scavate sulle alte
46
Tra passato e futuro
pareti rocciose di vallate impervie quanto belle da
togliere il respiro, gigantesche statue (poi distrutte dai
talebani) in origine rappresentavano, per le leggende del
luogo, enigmatici civilizzatori.
Ritocchi di epoche successive le hanno trasformate in
Buddha. Alla più grande di queste, scolpita a Bamiyan
in Afganistan, non sono però riusciti a eliminare il
mantello, che L’Altissimo mai avrebbe indossato.
A proposito di gallerie, i superstiti di una razza vissuta
tra Tibet e Nepal - l’Aryavartha dei Veda - a seguito di
uno spaventoso cataclisma si sarebbero rifugiati nelle
viscere della terra, dando vita sotto il deserto dei Gobi al
Regno dell’Agarthi, l’Inaccessibile.
E il mito vuole che una fitta rete di gallerie sotterranee lo
colleghi al mondo intero, con ingressi ben occultati in
luoghi strategici o simbolici.
Sui Moai dell’Isola di Pasqua merita almeno un cenno
il quadrato di pietra dagli angoli smussati di colore
rosso vivo che ciascuno di loro ha in testa. Si riteneva
fosse un originale “copricapo”. In realtà si tratterebbe
della loro capigliatura.
Quei giganti avevano i capelli rossi.
47
Tra passato e futuro
“C’erano sulla Terra i giganti …”
22 metri di lunghezza per almeno 1200 tonnellate di
peso: è il più grande blocco di pietra lavorata esistente e
giace in una cava nei pressi dell’antichissima Baalbek,
in Libano, dove il Tempio di Giove - costruito in epoca
romana - poggia su un piano terrazzato composto da
massi di non meno di 300 tonnellate cadauno.
A che doveva servire la gigantesca piattaforma?
Zecharia Sitchin ha ipotizzato che fosse una base di
atterraggio e di decollo di navicelle spaziali. Ammesso e
non concesso pure questo, perché impiegare pietre di
tale peso? Con le tecniche che non dovevano far difetto
agli occupanti dei veicoli alieni, si sarebbe potuto in un
batter d’occhio spianare e pavimentare quel sito con un
composto da far invidia al cemento.
L’interrogativo di fondo dunque ritorna: a cosa serviva
una tale esibizione di forza senza senso apparente?
Domanda questa che bisognerebbe porsi anche per
Machu Picchu, Cuzco e Tiahuanaco.
Per la vulgata, gli autori degli exploit in questione erano
i giganti: meno intelligenti, meno capaci di adattarsi ai
cambiamenti, meno organizzati e molto più ingenui di
quelli che arrivavano si e no alla loro cintola e alla fine
li hanno fatti fuori.
Comunque hanno segnato un’epoca: si va dai titani ai
ciclopi, agli izdubar della Caldea, ai danava e daitia
d e l l a m i t o l o g i a i n d i a n a , ai rakshasa di Ceylon, ai
grandi uomini dei maya, dai nomi impronunciabili nella
lingua d’origine, fino agli xelua dell’antico Messico.
48
Tra passato e futuro
La Bibbia fa ripetuti accenni ai giganti. In Genesi 4,1-4
il riferimento più esplicito:
“E avvenne che gli uomini cominciarono a moltiplicarsi e
nacquero loro d e l l e figlie. I figli di Dio videro che le
figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle
che vollero. C’erano sulla Terra i giganti a quei tempi e
anche dopo, quando i figli di Dio si univano alle figlie
dell’uomo e queste partorivano dei figli che divennero
uomini potenti e furono celebri eroi dell’antichità”.
Da notare che l’inciso – “ C’erano sulla Terra i giganti a
quei tempi e anche dopo” – se tolto non altera il senso
del discorso; è una pura presa d’atto.
Il primo reperto gigante ad essere oggetto di seria analisi
è stato lo scheletro rinvenuto nel 1577 nei pressi di
Lucerna, in Svizzera. La commissione di esperti che lo
esaminò, guidata da un anatomista di riconosciuto
valore, concluse che si trattava senza ombra di dubbio
di resti umani, anche se di dimensioni ciclopiche.
Nel 1810, in California, fu trovato uno scheletro gigante
con sei dita; nel 1870 in zona limitrofa vennero estratti
teschi di 60 centimetri di diametro. A Glozel – nei pressi
di Vichy, in Francia – fece il giro del mondo nel 1925 il
rinvenimento di ossa, crani e impronte assolutamente
fuori norma, il tutto datato 17/15 mila anni prima di
Cristo.
A Gargayan nelle Filippine venne riportato alla luce uno
scheletro di 5,8 metri di altezza. A Shemya, nelle Isole
Aleutine, genieri militari scoprirono per caso nel 1943
ossa e crani di dimensioni abnormi, che successivi
esami hanno certificato appartenere ad individui alti 7
49
Tra passato e futuro
metri.
Si potrebbe proseguire per pagine su pagine elencando i
reperti con i quali dimostrare in modo incontrovertibile
la presenza sulla Terra, in tempi neppure troppo remoti,
di una o persino più razze giganti; e ciononostante non
si modificherebbe di un niente ciò che è scritto nei libri,
in particolare dei nostri ragazzi.
Il muro di gomma che si crea invariabilmente su tali
argomenti ha infatti dell’incredibile. Un esempio fra i
tanti.
L’impagabile Peter Kolosimo provò a spiegare in “Terra
senza tempo” cosa successe in Martinica quando, nel
1902, esplose Mont Pelè e i gas vulcanici liberati non
diedero scampo agli abitanti dell’area circostante: per
più di 20 mila di loro fu una fine terribile.
“Dopo un po’”, scrive Kolosimo, ”la vita non solo tornò
prepotente ma cani, gatti, tartarughe, lucertole, persino gli
insetti divennero grossi come mai erano stati e crebbero
ulteriormente di generazione in generazione”.
Gli stessi scienziati francesi, che avevano attrezzato un
laboratorio di ricerca ai piedi del vulcano, avanzarono
l’ipotesi che l’abnorme crescita dipendesse da radiazioni
emesse dalle rocce portate in superficie dall’eruzione;
anche perché loro stessi ne davano la prova vivente: il
capo della spedizione era cresciuto di 6 centimetri e il
suo maturo assistente di 5 e mezzo.
Ebbene, nessuno si è filato né Kolosimo né i dati degli
scienziati cresciuti loro malgrado.
50
Tra passato e futuro
Nazca e la città degli dei
Che ci fanno sullo squallido altipiano di Nazca i disegni
– visibili solo dall’alto - realizzati con ciottoli nerastri,
disseminati un po’ dappertutto, che danno rilievo sul
terreno sabbioso a figurazioni svariate: animali, piante,
spirali complesse, rette prolungate per miglia e miglia
senza sgarrare di un niente? E come hanno fatto a
realizzarli senza una guida in quota stabile?
Questi interrogativi se li deve essere posti più di
ogni altro l’archeologa dell’Università di Amburgo Marie
Reich, che per larga parte della sua vita si è dedicata
(invano) al rompicapo.
Tante per contro le supposizioni: si va da linee guida
per l’atterraggio di velivoli alieni a rappresentazioni
religiose, a calendari metereologici. Ma andiamo!
Per far atterrare un Ufo, celebrare un rituale, stare al
passo con le stagioni non era necessario ad esempio far
vedere l’organo riproduttore di un ragno mai sognatosi
di fornicare sul desolato altipiano.
Per fare un discorso serio intanto bisognerebbe poterle
datare queste linee: hanno 2000, 10.000 o 50.000 anni?
Una volta appurato questo, ci si potrà esercitare in
ipotesi varie. Fino ad allora perché non le ammiriamo e
basta?
Garcilaso de la Vega – detto El Inca, per e ssere figlio
del conquistador Sebastian e della principessa inca
Isabel – nei “ Commentari regi sugli Inca”, ai quali deve
la sua fama in Sud America e qualche rigo sui libri di
storia, offre un paio di saggi esemplari su come porsi
51
Tra passato e futuro
davanti al mistero.
Il primo Scrive El Inca ricordando l’emozione provata
davanti alla fortezza di Sacsahuaman, poco a Nord di
Cuzco, in Perù: “Le sue proporzioni sono inconcepibili se
non la si è vista con i propri occhi; e una volta guardata
da vicino risulta tanto straordinaria da far pensare che
qualche magia abbia governato la sua costruzione, che
sia opera di demoni anziché di esseri umani.
“E’ fatta di pietre talmente grandi e numerose che ci si
chiede come gli indios abbiano potuto non solo estrarle
ma trasportarle e in contemporanea spaccarle e metterle
una sull’altra con tanta precisione.
“Non disponevano di arnesi di ferro con cui perforare la
roccia, tagliare e levigare le pietre; non avevano né carri
né buoi anche se in tutto il mondo non esistono davvero
carri e buoi in grado di realizzare una tale impresa, tanto
enormi sono queste pietre e aspri i sentieri di montagna
sui quali si sarebbe dovuto farle transitare …”
Il secondo Lo dedica a Tiahuanaco, non ancora offesa e
degradata dagli oltraggi e dagli indiscriminati saccheggi
degli ultimi secoli. Annota: “C’è una collina artificiale
molto alta, eretta su fondamenta di pietra in modo che la
terra non frani; ci sono figure giganti scolpite nella pietra
e molto consumate, il che dimostra che sono antichissime;
ci sono mura con massi così grandi che è impossibile
braccia umane abbiano potuto collocarli; e ci sono resti
di strane costruzioni, tra le quali la più eccezionale è un
portale di pietra, sbozzato nella roccia viva, che poggia su
di un basamento lungo circa nove metri, largo quattro e
spesso quasi due. Il tutto ricavato da un unico, gigantesco
52
Tra passato e futuro
pezzo …”
“In che modo e con l’uso di quali strumenti e arnesi sia
stato possibile realizzare tali opere sono domande a cui
non si è in grado di rispondere”.
Per far combaciare i massi uno sull’altro avrebbero i n
e f f e t t i dovuto issarli una prima volta per verificare le
congiunzioni sopra, sotto e di lato; poi sarebbe stato
necessario spostarli uno a uno di fianco quello che
bastava per realizzare le scanalature, prima di elevarli
nuovamente per poi calarli nella posizione definitiva.
Il loro peso? 50/100 tonnellate cadauno. Semplice, no?
Non bastasse, su quelle ciclopiche mura sono scolpiti
volti dai tratti africani, asiatici, caucasici e semitici.
Che si sia voluta dare una rappresentazione dell’Onu del
tempo?
53
Tra passato e futuro
Cosa c’è in fondo al mare?
20 mila anni si poteva andare a piedi dalla Inghilterra
alla Francia e viceversa; il Golfo Persico non esisteva; lo
Sri Lanka era tutt’uno con l’India; Malaysia, Indonesia e
Filippine facevano continente e sé, al pari di Australia,
Nuova Guinea e Tasmania; il banco delle Bahamas era
un altipiano assolato collegato a Florida, Yucatan e
Nicaragua; sulle pianure del Sahara dominava il verde.
Un numero quantifica le differenze: c’erano al tempo 25
milioni di chilometri quadrati di terre in più lungo le
coste, avendo la glaciazione ridotto il livello degli oceani
al suo picco di 100/120 metri.
Nei millenni successivi la deglaciazione portò spesso alla
formazione di enormi bacini di acque di scioglimento a
ridosso di enormi dighe di ghiaccio che, all’improvviso,
cedevano provocando giganteschi tsunami.
Siffatte ricostruzioni di emergenze climatiche avvenute
nel passato danno credibilità crescente alla tesi per la
quale, se non si trovano tracce di civiltà sviluppatesi
sulla Terra in tempi relativamente recenti, è perché
ciò che ne resta si trova sotto decine se non centinaia
di metri d’acqua.
Sia o no questa la causa dell’assenza totale di riscontri,
è comunque impensabile che i nostri lontani avi abbiano
vissuto per decine di migliaia di anni come raccoglitori e
cacciatori per poi decidersi in contemporanea, e solo
qualche millennio fa, di operare il gran salto in aree del
globo ben definite.
Deve per forza esserci stato un prima, un percorso in
54
Tra passato e futuro
virtù del quale si siano affinate progressivamente e in
ogni campo conoscenze che poi hanno fatto sbocciare
la comune civiltà. Ma dove cercare i segni della trafila?
Sono davvero gli oceani a celarli?
A stare solo alle tradizioni Tamil, un intero continente –
Lemuria - sprofondò in una notte nel Pacifico con 64
milioni di esseri umani e le Maldive sarebbero le cime
di terre congiungenti 20 mila anni fa Madagascar, India
e Australia.
Questo “buco” della storia fa il paio con il pezzo di strada
sommersa a una profondità di 5/7 metri dalla superficie
un chilometro a Sud di Punta Paradiso, a Bimini nelle
Bahamas.
A mezzo secolo dalla scoperta continuano a restare un
affascinante mistero quei massi a forma di guanciale,
con angoli e margini arrotondati, che non si comprende
come madre natura abbia potuto disporre in modo tanto
linearmente organizzato.
Ancora. Al largo dell’isola Yonaguni, la più a Sud delle
Ryukyu, c’è la “Tartaruga”, una struttura rocciosa di
forma rettangolare, lunga 150 metri e alta 40, con la
cima a soli 5 metri dalla superficie del mare. In tempi
remoti, quando per le tradizioni locali era all’asciutto,
l’avrebbero ritoccata per utilizzarla nei rituali.
Impressionano i suoi terrazzamenti. Difficile pensare che
siano il prodotto del gioco delle correnti, pur fortissime.
Fa riflettere anche l’orientamento di due enormi e ben
sagomati megaliti, ciascuno del peso di 100 tonnellate,
che si ergono uno a fianco dell’altro. Sembra studiata
quella posizione, fino a far supporre che, allo scoperto,
55
Tra passato e futuro
nello spazio che li separa si disegnerebbero allineamenti
equinoziali.
Si era ai primi duemila quando, sui fondali prospicienti
la costa dello Stato di Gujarat, nel Golfo di Khambat, in
India, vennero localizzate a circa 40 metri di profondità
strutture megalitiche somiglianti a quelle di Mohenjo Daro
e della contigua Harappa, altra città simbolo della civiltà
dell’Indo.
Successive esplorazioni subacquee a più vasto raggio
portarono a scoprire, a 20 chilometri dalla linea di costa
e alla medesima profondità, altre imponenti strutture.
Vennero anche recuperati manufatti in ceramica e in
legno intagliato che – quanto a datazione - hanno dato
esiti da prima pagina: si va dal 7500 al 31 mila a.C.
Nel luglio del 2000 Paulina Zelitsky e suo marito Paul
Weinzwei stavano esplorando con la loro nave, attrezzata
per la ricerca di relitti da recuperare dalle profondità
marine, i fondali al largo di Capo S. Antonio a Nord
Ovest di Cuba. Un giorno (che non dimenticheranno) i
loro sistemi di rilevamento e monitoraggio testarono a
600 metri di profondità un’area di circa 20 chilometri al
cui interno sembravano esserci strutture artificiali.
Una volta verificati i riscontri schermografici, dovettero
arrendersi all’evidenza: là sotto c’erano enormi massi
dalle evidenti forme geometriche, alcune posizionate in.
modo simmetrico o perfettamente allineate. E poi strade,
muri e altre costruzioni sviluppate come se si fosse in
presenza di un grande e polifunzionale centro urbano.
I due decisero che valesse la pena di vederci chiaro,
per cui mesi dopo venne calato a quella profondità un
56
Tra passato e futuro
robot per filmare ciò che c’era e per raccogliere dal fondo
reperti rocciosi.
Le riprese confermarono l’eccezionalità della scoperta
perché le telecamere inquadrarono blocchi di pietra alti
più di tre metri e di forma geometrica.
Sempre dall’osservazione dei filmati venne un’ulteriore,
decisiva evidenza: il bianco delle superfici dei megaliti
spiccava sullo scuro delle rocce vulcaniche sparse lì
attorno, tanto da far sorgere il sospetto che fossero di
granito, introvabile nell’intera penisola dello Yucatan;
sospetto confermato dai campioni prelevati: era proprio
granito levigato, incrostato da fossili organici che vivono
abitualmente vicino a riva.
57
Tra passato e futuro
La Grande Piramide e le altre
I dati macro Alta inizialmente 146 metri, fu costruita
utilizzando 2.300.000 blocchi di pietra da 2 a 15 ton.
(ce ne sono che superano le 30). In origine era rivestita
di calcare levigato che sotto i raggi del Sole dovevano
farla brillare nello spazio come un diamante.
E’ questo grosso modo l’identikit della più grande delle
tre piramidi di Giza, attribuita al faraone Khufu che nel
2500 a.C. avrebbe impiegato 100.000 operai per venti
anni a tirarla su.
Al suo interno la temperatura si mantiene costante a 68
gradi farhenheit; ha lati di 230 metri con un margine di
errore dello 0,1%; angoli di 900 vicini alla perfezione;
le facce allineate ai punti cardinali con divaricazioni di
tre minuti di grado (0,0015%), risultato difficilmente
ottenibile ai giorni nostri; pareti appena convesse con
un valore di curvatura, in gradi, corrispondente a quello
terrestre.
La piramide si trova all’incrocio tra il meridiano e il
parallelo coprenti la maggior parte delle terre emerse; il
suo peso, moltiplicato per un miliardo di miliardi, è
uguale al peso della Terra; dividendone il perimetro per
il doppio dell’altezza si ricava il phi greco. Ma questi c’è
chi sostiene siano dei numeri al lotto e qualche ragione
ce l’ha.
Un sarcofago o cos’altro? Racconta Graham Hancock:
“All’interno della vasca sembra di stare dentro la cassa
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Tra passato e futuro
armonica di un risonante strumento musicale costruito
per emettere in eterno un’unica nota riverberata”.
L’improbabile sarcofago è lungo 198, profondo 87.3 e
largo 68 centimetri. Collocato in un lato di quella che
dalle guide turistiche viene chiamata la Camera del Re,
è ricavato da un unico blocco di granito con ramature
di feldspato, quarzo e mica; roba che a scalfirla ci vuole
un’attrezzatura da anni duemila.
Per realizzare l’incavo gli egizi avrebbero dovuto disporre
di trivelle in grado di esercitare pressioni di più di una
tonnellata per centimetro; pressioni che non sarebbero
peraltro bastate per le iscrizioni sulle coppe di diorite.
Perché no Khufu La prima meraviglia del mondo viene
attribuita a Khufu sia perché così sosteneva Erodoto, sia
per il rinvenimento nel 1837 di una presunta prova.
Perché presunta? Il dubbio gli egittologi se lo sarebbero
dovuto porre fin da quando, tra le rovine del tempio di
Iside, venne dissepolta una pietra con questa iscrizione:
“Egli (Khufu) fondò la Casa di Iside, Signora della Grande
Piramide, accanto alla Casa della Sfinge”.
Il che significa una sola cosa: la Grande Piramide e la
Sfinge c’erano già!
La “Stele dell’Inventario”, questo il nome che gli venne
dato, aveva tutti i crismi dell’autenticità ma accettarne
il testo significava smo nta re la rico struzione
d a t a a d un momento fondamentale della intera storia
dell’Egitto; cosa che non era e non è proponibile.
Si imbrogliarono quindi le carte e in primis si obiettò
che, da riscontri ortografici, l’iscrizione risultava essere
59
Tra passato e futuro
successiva alla morte del faraone. Anche fosse stato così,
che cambiava? Ci voleva qualcosa di più convincente
che parve arrivare con la pretesa scoperta di segni di
pittura rossa in spazi sigillati sotto la Camera del Re: si
trattava di simboli e geroglifici con il cartiglio di Khufu
nel 18 mo anno di regno.
Senza richiamare i comportamenti gravemente dubbi dei
protagonisti della scoperta nei giorni che precedettero
l’annuncio ufficiale, ecco come l’esperto del Museo del
Cairo smontò all’epoca tale “prova”nella sua relazione:
- i simboli in rosso sulle pietre erano in caratteri lineari,
una forma di scrittura semplificata rispetto agli originari
pittogrammi,venuta in auge svariati secoli dopo il tempo
di Khufu;
- molti geroglifici risultavano confusi, incompleti, fuori
luogo, impiegati in modo sbagliato;
- la sequenza traducibile con benevolo veniva utilizzata
ad indicare il 18mo anno di regno;
- c’erano due nomi di reali e non solo quello di Khufu.
Graham Hancock, in “Impronte degli dei”, va giù netto:
“Quei segni” – scrive – “sono gli unici trovati in una
struttura priva di iscrizioni di qualsiasi genere; per di più
si trovano in un angolo buio e insignificante”.
L’unica risposta possibile al fatto che si sia dato spazio
e credibilità a due emeriti imbroglioni è la seguente: se
la Grande Piramide non era stata eretta nel 2500 a.C.
la data alternativa sarebbe stata il 10500 a.C. con non
solo la storia dell’Egitto ma quella dell’intera umanità
che prenderebbe un’altra piega.
60
Tra passato e futuro
Non è una tomba La tesi che la Grande Piramide sia la
tomba del faraone appare peregrina: non si è trovato
i n f a t t i n u l l a che possa r a g i o n e v o l m e n t e
essere messo in relazione con un corredo funerario e la
“vasca” della Camera del Re a tutto assomiglia fuorché
ad un sarcofago.
I materiali Alcuni massi in granito rosso sono stati
lavorati con una precisione al decimo di millimetro su
lunghezze di svariati metri: impresa difficilissima anche
oggi su grandi blocchi pure con l’impiego di utensili in
acciaio diamantato; e non va dimenticato che all’epoca
l’unico metallo disponibile era il piombo, non in grado
neppure di scalfire il granito.
C’è da fare, sempre a proposito dei materiali utilizzati,
un’aggiunta non da poco. Ai raggi x campioni di granito
- prelevati sia dalle piramidi che dalla Sfinge – hanno
confermato la presenza di centinaia di migliaia di gusci
fossili di protozoi marini, particolarmente diffusi nelle
regioni mediterranee da 30 a 50 milioni di anni fa.
Nella sola Grande Piramide essi rappresentano il 40%
del volume complessivo delle pietre, che non furono
quindi ricavate dalla polverizzazione e dal rimpasto di
materiale calcareo ma vennero estratte nelle dimensioni
volute da rocce sedimentarie emerse dai fondali marini.
Il trasporto Si è ipotizzato che i massi, già predisposti,
siano stati portati a destinazione per via fluviale ma le
migliori chiatte di legno e giunco disponibili al tempo,
per quanto robuste, non avrebbero potuto sostenere
61
Tra passato e futuro
carichi di centinaia di tonnellate. Anche fosse (e non è
pensabile), non ci sono tracce di attrezzature portuali
per il trasbordo dei megaliti che – una volta su terra –
sarebbe stato necessario far slittare fino ai luoghi di
posa in opera a forza di braccia e tiranti.
Il cantiere Pur disponendo dei mezzi della moderna
tecnologia, una tale costruzione avrebbe imposto, per lo
intero perimetro dei lavori, una pavimentazione come
quella del Tempio di Giove a Baalbek, oltre all’impiego
di gru gigantesche.
Energie sconosciute? Napoleone, durante la campagna
d’Egitto, sostò all’interno della Grande Piramide per una
intera notte in completa solitudine. Ne uscì il mattino
seguente visibilmente sconvolto ma non volle confidare
ad alcuno cosa gli fosse successo.
A Sant’Elena, pochi giorni prima di morire, al segretario
che gli chiedeva di parlarne, parrebbe aver replicato: “E’
inutile, nessuno mi crederebbe”.
Da allora molti, reduci da visite più o meno prolungate
all’interno della monumentale struttura, hanno parlato
di energie sconosciute grazie alle quali avrebbero avuto
esperienze straordinarie di proiezione mentale.
Le altre Quante sono? Millenni dopo Giza, all’altro capo
del pianeta gli aztechi si imbatterono, nel corso della
loro espansione in Centro America, in due monumenti
a forma di piramide ai quali abbiamo già fatto cenno.
Collocati ai lati di uno stradone (che probabilmente
62
Tra passato e futuro
tanto tempo prima conduceva ad un porto), non
sapendo come e perché fossero stati costruiti, essi li
attribuirono a entità superiori, dando loro nomi
all’altezza: Piramide del Sole chiamarono la più grande
e Piramide della Luna l’altra.
A Chodula c’è un’enorme agglomerato di pietre di forma
piramidale - 4,5 milioni di metri cubi posizionati su una
base di 500 metri per un’altezza di 67 – che non si ha la
più pallida idea a cosa dovesse, in origine, servire.
Il Castillo di Chichen Itza avrebbe invece una finalità
precisa. Salendo lo scalone, i passi risuonano come se
gocce di pioggia cadessero su un secchio.
Sono onde diffratte nei passaggi interni a provocare tale
risonanza lungo i gradoni ….. chiamando (eccola la
finalità) a raccolta le nuvole per far piovere!!
Allargando l’orizzonte, e senza voler far concorrenza ad
Internet, balza all’occhio che non passa mese senza
notizie di nuovi ritrovamenti. Ormai è una fissa, al
punto che colline ricche di vegetazione richiamanti la
sua forma sono puntate in ogni angolo del globo da
entusiasti ricercatori, il più delle volte assolutamente
neofiti in materia.
Ci sono new entry in Giappone, Albania, Bosnia, persino
a Checco di Brianza dove 60 mila anni fa ne avrebbero
scolpita una nella roccia. In Cina se ne sono aggiunte in
anni recenti decine su decine, mentre in Inghilterra c’è
ancora chi vorrebbe accertare se Silbury Hill sia solo
una collina o celi una piramide, magari con “meraviglie”
pari a quella di Khufu.
63
Tra passato e futuro
Resta in sottofondo, a proposito di piramidi, un grande
interrogativo che precede e contemporaneamente va al
di là dei tanti misteri che le circondano: se le più antiche
e imponenti non erano (a giudizio dei più) tombe, perché
le hanno costruite? A cosa dovevano servire?
64
Tra passato e futuro
Conoscenze senza tempo
Plutarco sapeva,circa 1600 anni prima di Copernico, che
l’universo era infinito; sapeva inoltre, anche a dispetto
di molti di noi oggi, che è popolato da mondi animati.
Prima di lui Platone sapeva che la Terra era a forma di
palla e, in più, riteneva fosse ingabbiata in una griglia
energetica a forma di dodecaedro.
Di punto in bianco i sumeri inventano, 6400 anni fa, il
calendario e un sistema per calcolare lo scorrere del
tempo, tale e quale a quello che ci indica l’orologio al
polso.
Le effemeridi erano tavole in cui venivano, sempre dai
sumeri, indicate le posizioni dei corpi celesti toccate o
da toccare dalla Terra. I calcoli relativi li facevano sulla
base di schemi aritmetici di cui i loro astronomi non
spiegavano la logica.
I Dogon, stanziati sulle costiere del Bandiagara in Malì
da un numero ragguardevole di millenni, sapevano dalla
(loro) notte dei tempi molte cose su tre corpi celesti che
formano il Sistema Sirio.
Strabilianti in particolare sono le informazioni che essi
dichiarano di aver avuto in un insondabile passato sul
più piccolo, Sadula, con una materia talmente pesante
da esigere 480 carichi d’asino per un solo granello.
Sta di fatto che il nominato Sistema è composto da tre
stelle: Sirio A, Sirio B e Sirio C. Quest’ultima - detta Il
Compagno – si è calcolato abbia una densità superiore
50 mila volte a quella dell’acqua!
65
Tra passato e futuro
C’è poi una pelle di gazzella che ha molto da dire in
proposito. La storia che la riguarda è legata alla vita
avventurosa di Muhiddin Piri Ibn Haji Memmed, detto
Piri: pirata in gioventù, ebbe la nomina a ammiraglio da
Solimano II, lo stesso che anni dopo lo farà decapitare
per aver tolto l’assedio a Gibilterra dietro compenso
degli assediati.
Piri doveva la carriera alle battaglie vinte e all’essere un
mito tra i suoi marinai per la conoscenza di anfratti,
baie, bassifondi e correnti dell’ex mare nostrum; tanto
da indurre Solimano I a commissionargli il “Libro del
mare”, pietra miliare della cartografia moderna.
Cosa c’entra la pelle di gazzella?
C’entra perché ai posteri arriverà con parte di quello che
vi aveva messo sopra grazie a una passione coltivata
dalla prima gioventù: le antiche mappe.
Ne circolavano ancora in quantità all’epoca nei maggiori
porti. Provenivano senza alcun dubbio dalla Biblioteca
di Alessandria, la cui distruzione fu guidata di persona
dal patriarca di una cristianità allora in forte ascesa.
Si chiamava Teofilo questo energumeno, lontanissimo
dal sapere e dalle idee di suoi contemporanei del calibro
di Eratostene che, non pago di considerare la Terra una
sfera, andava sostenendo la possibilità di arrivare alle
Indie partendo dalle coste atlantiche della Spagna e
tenendo ferma la rotta verso ovest.
Cosa poteva averlo convinto?
Con ogni probabilità antiche carte geografiche, avute
sottomano nello straordinario reliquiario di conoscenze
66
Tra passato e futuro
della Biblioteca di Alessandria prima che la radessero al
suolo.
Pure Cristoforo Colombo doveva essersene procurato
qualche frammento sopravvissuto allo scempio. Una prova
indiretta viene dall’aver tenuto dritta quella rotta come
fosse un binario e le terre da toccare una stazione di
arrivo già individuata.
Un passaggio del diario di bordo di Padre Las Casas è al
riguardo illuminante: “Si cominciò a vedere gran copia di
erba verdissima che sembrava si fosse da poco staccata
da terra, perciò tutti stimavano di trovarsi vicino a isole;
non però alla terraferma che, per l’ammiraglio, doveva
trovarsi più avanti.”
Tornando alla pelle in questione, Piri come anticipato
ne fece dono a Solimano I il Crudele dopo avervi fatto
riprodurre un mappamondo.
Meno di un terzo dell’originale ci è giunto ma basta a
confermare, anche così ridotto, che non siamo le prime
intelligenze ad aver calcato il suolo terrestre.
Ritrovato nel 1929, nel corso della ristrutturazione del
Museo di Istanbul, raffigura le linee costiere dell’Africa e
di una buona parte del Sud America fino alla Terra del
Fuoco, riprodotta agganciata – lo era f i n o a 13 mila
anni fa – all’Antartide, di cui si conosce l’esistenza dal
1818. Per giunta i contorni del continente australe sono,
secondo studi recenti, quelli di quando era quasi del
tutto sgombro dai ghiacci.
Che il mappamondo fosse stato realizzato con l’ausilio
di più mappe “sorgenti” di diversa datazione lo dimostra
in modo incontrovertibile quello che a una prima lettura
67
Tra passato e futuro
appare un errore: nella mappatura del Sud America non
c’è l’Orinoco e il Rio delle Amazzoni ha due sbocchi al
mare, con il primo sull’isola di Marajo.
Spiegazione: fino a 13 mila anni fa, l’isola di Marajo era
unita al continente e il Rio Orinoco non esisteva.
E’ dunque attendibile la carta? In un documento della
Marina Usa risalente agli anni sessanta si legge:
“La carta di Piri Reis” è una corretta proiezione a griglia
circolare partendo da Il Cairo”.
Gli autori della mappa originale, dalla quale Piri copiò la
sua, dovevano perciò conoscere la trigonometria sferica,
la curvatura della Terra e i metodi di proiezione.
Maurice Chatelein (consulente Nasa) la mette così:
“La mappa è una proiezione della superficie terrestre,
vista posizionati a grande altezza sopra l’Egitto”.
Da sottolineare che quella sulla pelle di gazzella non è la
sola “mappa impossibile”, semmai è la più spettacolare.
Anche Oronzo Fineo, Hadji Ahmed e Mercatore - a citare
i più noti – hanno indicato nelle loro carte ciò che non
poteva esserci, stando alle conoscenze dell’epoca in cui
le avevano stese.
68
Tra passato e futuro
Seconda parte____________________
Una civiltà agli sgoccioli
________________
Si è perso l’orizzonte
Ascesa e declino del consumismo
I pilastri in crisi
Mercato globale e debiti sovrani
Senza ismi
Con Gesù e Buddha
Disuguaglianze allo specchio
69
Tra passato e futuro
Si è perso l’orizzonte
Il mondo per Cristoforo Colombo ed i suoi marinai era
sconfinato, con spazi e risorse da scoprire e fare proprie
avendo capacità da impegnare e spirito di iniziativa.
Questo dava ai migliori fiducia nel domani che avrebbe
potuto regalare – a chi gli fosse andato incontro con
mente aperta e cuore saldo - emozioni degne di un non
anonimo vissuto.
Oggi il mondo è una palla su format di telegiornale e
inquieta il pensiero di essere abbarbicati a una realtà
che - a vederla sullo schermo mentre ti viene incontro
rotolando se stessa – rende manifesto il tanto di limitato
e di provvisorio in cui si vive.
Aggrava tale sensazione l’assistere quotidiano, su media e
web, a ciò che gli succede dentro senza la speranza,
anche a ridursi a lillipuziani, di scoprire un angolo o uno
scorcio che non siano dejà vu.
Sta contestualmente calando il sipario su alcuni degli
orizzonti che si erano dischiusi lo scorso secolo, tipo
l’ammirare, sempre sugli schermi tel evi si vi , Marte o i
fantastici anelli di Saturno, per il rimando delle verifiche
dirette di decine d’anni.
Insomma ci si sente come appesi in modo precario a un
pianeta che da la sensazione netta di fare una fatica
crescente a reggerci, non sembra offrire occasioni e
neppure stimoli ad ulteriori passi in avanti e obbliga ad
una ossessiva ripetitività di comportamenti in situazioni
generalmente scontate.
71
Tra passato e futuro
E’ in tale contesto che acquista corposità la sensazione
di un futuro con ben poco da dire e dare, fatti salvi
avvisi di attenzione a dove posizionarsi nel trionfo di
strade, gallerie, viadotti, parcheggi, quasi fossimo stati
presi da un odio forsennato per la cara e vecchia nuda
terra.
Esagerato in negativo? Forse si perché ad esempio si sta
meglio in salute e c’è il fitness, senza contare lo zapping
su informazione e spettacoli, vera e propria alternativa
virtuale.
Per contro incombe su moltitudini un’indefinibile ansia
chiamata stress, che poi è ansia e basta.
Monta, specie a notte fonda, tra i meno fortunati ai quali
strappa in genere la promessa di un salto l’indomani in
tabaccheria per grattare qualche cartoncino colorato al
fine di donarsi, in cambio della vincita sperata, il sogno
di poter scegliere tra pacchetti di tour e soggiorni in un
mondo servito a più stelle, facendola così una buona
volta finita con un vissuto piatto, se non decisamente
insopportabile, e con la suspense sempre dietro l’angolo
di essere come in bilico su di una catastrofe senza pari.
Da più parti se ne è voluto desumere che sarà anche
perché i cardini della società di un tempo sono nelle
forme ciò che erano mentre nella sostanza non lo sono
più.
Si prendano le nazioni: comprese le più grandi e potenti,
debbono ormai scansare non tanto nemici esterni quanto
gli incombenti rischi di una bancarotta che purtroppo
presto o tardi si verificherà, provocando frane di posti di
lavoro, di sicurezze, di presidi, di servizi entrati a far
72
Tra passato e futuro
parte del collettivo fino ad essere percepiti e pretesi alla
stregua di diritti inalienabili.
La famiglia ha perso l’originaria sacralità, riconoscendosi
i componenti nel valore fondante dell’unione volontaria
ed intima: un gran salto in positivo, che però fa a pugni
con la istituzione del tempo che fu, all’interno della quale
si era – e in qualche misura si è – tutelati ma talvolta
pure costretti.
La stessa natura, anche dove venga curata come meglio
non si potrebbe, sembra reduce da una violenza che l’ha
devastata, facendole perdere irrimediabilmente ciò che
era ed aveva. Per rendersene conto basta andare in un
qualsiasi ben organizzato parco, messo su a modo di
teatrino.
Questo e tanto altro di cui si dirà sono il risultato,
neanche ultimo, del costante specchiarsi in un mondo
voluto a misura, perciò inevitabilmente artificiale e
quindi estraneo se non opposto al progetto originario
per il quale siamo qui.
Ed è inutile, prima che ipocrita, chiedersi da dove
nasca la determinazione ad alterare gli equilibri dati in
funzione di prodotti che non solo non appaiono in grado
di reggere il confronto, ma si stanno rivelando incapaci
di offrire una prospettiva premiante alla stessa specie
che se ne è fatta e se ne fa un vanto.
E’ inutile se possibile in misura anche maggiore
interrogarsi sui motivi per i quali in tanti ci si senta al
capolinea di un percorso non generazionale ma epocale;
un percorso dettato dal pensiero unico che - con un
73
Tra passato e futuro
esercito scelto di padrini al seguito – domina dall’inizio
comportamenti e fini degli umani.
Il pensiero unico, si sa, non ne ammette altri per cui
giocoforza mercato, politica, morale corrente ne hanno
fatto il loro nume tutelare ma, specie negli ultimi tempi,
non gli è bastato.
Così ha imposto – senza che si muovesse foglia contro una comunicazione multimediale che calcasse la mano,
anzi per meglio dire voce e immagini, sugli imperativi che
discendono dai suoi espliciti assunti, del resto mai
contraddetti; al punto che non solo le forze politiche,
economiche e sociali ma pure gli individui nei loro
convincimenti (chiamarli ideali si rischia troppo) hanno
finito per essere contaminati se non lesi dai suoi incipit.
Quando la popolazione dell’intero pianeta sembrava ad
un passo dal ritrovarsi un governo mondiale ovviamente
supino al medesimo, pare che in molti tifassero perché
pensiero unico e dogmi annessi trovassero posto nella
vecchia Bibbia allo scopo, sussurravano con il dovuto
rispetto, di rivitalizzarla e riportarla in auge.
Invece, guarda cosa combina la vita, passano un pacco
d’anni e avviene l’impensabile: ci si viene accorgendo
che l’onnipotente pensiero unico sta franando, anche se
non si può dirlo chiaro per i pericolosissimi (in quanto
incontrollabili) rimbalzi che ciò avrebbe sul sistema già
in affanno.
Ecco allora il preoccuparsi da un lato di tranquillizzare
su quello che succederà nei giorni a venire; dall’altro di
confezionare e mandare in onda ripetitive sequele di
j’accuse su negatività riconosciute e conclamate, senza
74
Tra passato e futuro
peraltro riconoscere che discendono, in linea diretta o
indiretta, dall’onnipotente in questione.
Ne deriva uno sciorinar di cifre e valutazioni “a latere”,
indicate come responsabili del quadro allarmante: la
finanza che viaggia da regina incontrastata, strutture
industriali in sofferenza specie in Occidente per il calo
dei consumi e la sempre più forte concorrenza di
un Oriente impegnato a ritrovare la s u a grande storia.
E poi gli squilibri Nord/Sud, i flussi migratori, le risorse
energetiche più care che mai e globalmente in calo, le
nuove dilanianti povertà, i conflitti regionali.
Problemi veri ma lo erano pure prima, imperante a tutto
tondo il pensiero unico nel plurisecolare e incontrastato
regno che ha finito per travolgere ogni pensiero altro,
ogni tradizione altra, ogni etica altra nella rincorsa ad
un progresso mirabile per i suoi padrini ed escluso agli
altri.
Per cui, se una perplessità viene spontanea è perché
mai alcuni degli altri, oggi in temporaneo recupero,
dovrebbero fermarsi e ridare fiato a chi ha approfittato
di principi e regole pro domo propria. Tant’è che non si
fermano e non ascoltano.
E allora? Allora rieccoci. Serve un miracolo (definirlo in
altro modo sarebbe idiota) che cali sulle nostre teste
in qualche sconosciuto modo per un nuovo inizio, un
cambio radicale di coscienza e di approccio all’esistere.
Ma vallo a decifrare, qui è il punto, quale sia il modo in
virtù del quale realizzare il bramato, fondamentale reset
dalle attuali angustie, causate principalmente dal voler
ridurre quanto di naturale ci accomuna a misura di
75
Tra passato e futuro
piaceri e ambizioni soggettive, ignorando volutamente la
simbiosi di partenza tra l’essere umano e un creato di
cui è suicida ritenersi alternativa.
Se questo essere nella sua inesplorata complessità fosse
r i c o n d o t t o alla casa madre, lo si accreditasse di
quel che esige e se ne seguissero i dettami innati ma
compressi con il medesimo rigore dimostrato nella
osservanza di quelli del pensiero unico, allora si che
l’uomo di domani potrebbe ritrovarsi con due poteri
capaci di ribaltare in positivo l’asfittico trend attuale:
- il potere di sentirsi altro nella biosfera in cui s i
vive, responsabile in prima persona tra prime persone
di un armonico sviluppo di uno spicchio di creato da
non snaturare alterandone gli ecosistemi; un creato che
potrebbe tornare ad essere il paradiso agognato ove si
fosse liberi di scorazzarvi - altri tra gli altri - senza quei
sovraccarichi destinati non a far vivere tutti meglio ma a
far si che alcuni appaiano al meglio nel loro circoscritto
ed esclusivo ambito;
- il potere di sentirsi altro anche nella sfera personale,
da non ritenere prevalente sul resto della società, come
peraltro sancito da principi inderogabili che, sarà una
fatalità, non escono però dalle carte in cui sono scritti
da tempo immemorabile.
Perché diverrebbero poteri smisurati? Perché mentre le
capacità potenziali di singoli, gruppi, nazioni,escono dal
permanente confronto, non solo dialettico, sfinite dagli
schemi antagonisti obbligati dal modello di civiltà in
auge, la somma di intenti individuali non in antitesi
76
Tra passato e futuro
inciderebbe in modo forte, determinato e armonico
sull’esistere in ogni sua espressione.
Come arrivarci? Lo detterà il futuro il modo con cui
lasciare per strada i tanti Genius da Mille e una notte
impegnati a far uscire da magici otri cose del tutto
inutili o superflue, che però continuano ad abbagliare la
gente assiepata alle Fiere della Vanità da essi gestite.
Che c’entrano i Genius? C’entrano. Sono la lunga mano
del pensiero unico e finché anche loro saranno in azione
mancheranno le condizioni di base perché il mai troppo
rimproverato egoismo innato in ciascuno – fatto proprio
da cordate, lobby, nazioni dalla notte dei tempi – sia
impedito a dotarsi dei soliti indecenti imbuti nei quali
convogliare, a proprio esclusivo uso e profitto, gli
optionals offerti da un mercato combinato per lo scopo.
Dunque, per mettere un punto e andare a capo,
l’imperativo è liberarsi a n ch e di tali Genius e farlo al
netto di ogni indulgenza per i giochini di prestigio nei
quali erano e sono maestri, così da non ritrovarseli tra i
piedi con aggiornati abbagli una volta che ci si avventuri
nella nuova e auspicabile dimensione del pensare e del
vivere.
77
Tra passato e futuro
Ascesa e declino del consumismo
Robert Kennedy nel lontano 1968 – tre mesi prima di
essere assassinato – ha dedicato un monologo al Pil, Il
Prodotto interno lordo, e lo ha fatto in un modo che ci si è
ben guardati dal ricordare nelle tante commemorazioni
della sua breve ma brillante stagione politica. Stupisce
perché, non avesse detto o fatto altro, basterebbero
quelle sue parole a renderlo degno di memoria. Eccole.
"Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra
personale, vera soddisfazione nel mero perseguimento del
benessere economico, nell’ammassare senza fine beni
terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla
base dell’indice Dow Jones, né i successi del paese sulla
base del Prodotto interno lordo. Il Pil comprende anche
l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette e le
ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle
carneficine dei fine settimana.
“Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre
porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di
forzarle. Comprende programmi tv che valorizzano la
violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini.
Cresce con la produzione di napalm, missili e testate
nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la
disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli
equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte.
“Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie,
della qualità della loro educazione o della gioia dei loro
momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra
poesia o la solidità dei valori familiari.
78
Tra passato e futuro
“Il Pil non può misurare né la nostra arguzia né il nostro
coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza,
né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.
Misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna
di essere vissuta”.
Robert Kennedy non è stato peraltro il solo a dare una
scrollata al totem dell’economia contemporanea.
Tanti, sia prima che dopo di lui - anche se non con la
medesima, trascinante e benedetta retorica – sono andati
oltre puntando l’indice sul suo principale azionista: la
civiltà, come ci si ostina a definirla, legata a consumi
il cui acquisto non è motivato da bisogni effettivi o da
scelte maturate in proprio.
A incentivare un turn over esasperato di consumi non
connessi a vere necessità sono infatti impulsi dettati da
sofisticate tecniche di mass marketing mirate a stimolare
nell’io reazioni identitarie, specie se di privilegio e di
auto celebrazione.
Victor Lebow, analista di vendite al dettaglio, negli anni
cinquanta dello scorso secolo fotografava il “capitalismo
consumistico”, allora in piena espansione in particolare
negli States, con le annotazioni a seguire.
“L’irresistibile ascesa del modello di vita consumistica
rappresenta il più veloce ed importante cambiamento che
la specie umana abbia mai sperimentato nella vita di tutti
i giorni.
“Nell’arco di un paio di generazioni il quinto più ricco
dell’umanità è diventato automobilista, telespettatore,
frequentatore di centri commerciali e acquirente di
prodotti usa e getta“.
79
Tra passato e futuro
Aggiungeva poi a titolo di commento:”La nostra economia
impone di plasmare sul consumo la nostra stessa vita, di
trasformare in riti l’acquisto e l’uso dei beni materiali, di
fare del consumo la nostra unica fonte di soddisfacimento
spirituale e di auto realizzazione.
“ Si smania indecentemente, a dirla tutta, per consumare,
eliminare,sostituire ogni genere di cose a un ritmo sempre
più rapido”.
Vivesse oggi che dai suoi tre siamo passati a oltre sei
miliardi di popolazione complessiva potrebbe riproporre
integralmente il virgolettato, salvo per quel “quinto di
umanità ricca”, perché si convive tutti ormai con gli usa
e getta su Madre Terra che, a poterlo fare, ce l’avrebbe da
tempo fatta pagar cara.
Walter Benjamin, filosofo di mestiere, percepì l’alba del
consumismo sostando davanti alle Maison parigine e
non solo non ne ricavò una grande impressione ma
andò giù pesante sul tema cogliendo nell’uomo moderno
“aspetti necrofili derivati dalla tendenza ad emozionarsi
alle cose inanimate piuttosto che a persone in carne e
ossa”.
Magari la conclusione è esagerata ma che lo shopping
compulsivo degli ultimi decenni evidenzi comportamenti
del tutto fuori logica è innegabile.
Anzi, a metterla proprio franca, ragione vorrebbe che sia
al limite del demenziale comportarsi a questo modo.
Eppure, il meccanismo del consumo inutile che chiama
consumo inutile ha fatto e farebbe un’eccezionale presa
se le condizioni generali continuassero a permetterlo
nella medesima passata misura.
80
Tra passato e futuro
A tenere a battesimo meccanismo e conseguente civiltà è
stata la rivoluzione industriale, che nasce in Inghilterra
nella seconda metà del 700, arriva nel continente agli
inizi dell’800 e trova alla fine di quel secolo negli Usa beneficati dal West, dalle risorse naturali e dall’etica
protestante - condizioni ideali per la prima, spettacolare
crescita dei consumi voluttuari, estesasi nel Novecento
progressivamente alle aree del pianeta a più elevato
reddito pro capite.
Ribadito ancora una volta che il volano consumo chiama
consumo non riguarda bisogni essenziali - e non scatta
neppure per sostituire ciò che non sia più utilizzabile
o per acquisti ritenuti di migliore qualità – non ci si
può non porre, in via prioritaria, la domanda: perché
il consumatore ci sta?
La sua prima risposta è di solito un sorriso, quasi a
volersi far perdonare. Segue una lieve autocritica del
tipo: Si, non si dovrebbe ma così fan tutti e poi ci sta a
non voler rimanere indietro; senza dire che sono davvero
tanti i richiami e talvolta si può cedere.
Giustificativo aggiunto, sempre a titolo esemplificativo:
E’ sbagliato ma ci si convince che una cosa sarà uscire
l’indomani con jeans ultima moda, strappo incluso,
un’altra con la tristezza del solito gabardine nero fumo
che si scrive gli anni da solo.
Allora sono i consumatori che li vogliono, per le ragioni
descritte, questi consumi labili? Ma va! E’ la superficie,
l’apparenza scambiata per sostanza. Non ci si avventura
oltre perché l’autocritica va bene ma fino ad un certo
81
Tra passato e futuro
punto; e poi il campo è minato, nel senso che per tanti
significherebbe tagliarsi l’erba sotto i piedi.
Ad andare un passo più in là del comodo così fan tutti si
scoprirebbe infatti che il consumatore è un soggetto
costantemente manipolato e indotto ad acquistare beni e
ad avvalersi di servizi dichiaratamente inutili perché lo
affascina stare sull’onda, quale che essa sia; per cui
basta mettere qualunque cosa in cresta ad esse e voilà,
il gioco è fatto.
Pardon, era fatto perché il meccanismo si è rotto, una
stagione ha chiuso i battenti in via definitiva e le
illusioni di una ripresa che faccia leva sulle basi
franate servono soltanto a far passare altro tempo.
Ne discende il bisogno di trovare da subito qualcosa di
fondamentalmente nuovo per ripartire senza guardarsi
indietro e magari pretendere il ritorno di anni in cui, per
dire, le vendite di automobili salivano di cima in cima,
malgrado nulla di sensato ne favorisse l’acquisto, o
argomentate promozioni si omologavano e imponevano
con una facilità impensabile oggi, finendo per inglobare
interessi, propensioni, free time, rapporti interpersonali,
la stessa dimensione vitale dell’individuo. Tutta roba
defunta, con i sogni che restano sogni perché il mattino
è arrivato da un pezzo.
A voler tentare un giudizio non storico sul consumismo
– per il troppo poco tempo trascorso dall’avvio del suo
declino - non appare affatto esagerato considerarlo una
forma di tirannide più penetrante e omnicomprensiva di
tante dittature nate - e per fortuna sepolte - negli ultimi
duecento anni.
82
Tra passato e futuro
L’enorme potere di stordimento e di distrazione, c h e
g l i v e n i v a dalle tecniche di cui si è avvalso, finiva per
coinvolgere il soggetto fino a rubargli spazi e tempi di
riflessione, elevando le promozioni volute al momento
a componenti chissà perché irrinunciabili di un vivere
quotidiano che in caso contrario lo avrebbe fatto sentire
in seconda fila.
Si era in tal modo passati, può darsi senza rendersi
conto del tutto dell’enormità del fatto, dal tradizionale
sfruttamento a scalare di una classe sull'altra allo
sfruttamento sistematico – da posizioni in qualche modo
astratte dal contesto - sull’uomo in quanto tale, ridotto
a oggetto da rifinire e adornare con produzioni a più
sequenze, diversificate ad arte per alimentare altrettante
varietà di desideri in contesti fantasmagorici e senza
concedergli alcuna possibilità di rientro nella propria
responsabilità decisionale.
E persino se in qualche modo e misura si riusciva a
rendersi conto della sudditanza in atto, nonché della
assenza di significato di esistenze imperniate sulla
rincorsa irragionevole al successivo miraggio, spesso era
tardi per età, condizioni fisiche e componenti varie; e
quand’anche non lo fosse stato era il sistema a isolare
da par suo l’improduttivo, il non consumatore, la mosca
bianca, il fuori formato, il comportamento che non era
da esempio.
Ora sul mercato dei consumi, rispetto agli andamenti
registrati per tante stagioni, pure dagli analisti vengono
(sottovoce) i de profundis. Non che essi rappresentino il
verbo, sia chiaro, essendo gli stessi che ogni giorno
83
Tra passato e futuro
spiegano, il più delle volte senza riuscirvi, i motivi delle
improvvise fluttuazioni di Borsa.
Talvolta per la verità lo sanno perché a provocarle sono
stati loro eseguendo ordini di basso profilo. Comunque
c’è chi li ascolta e li ha presi alla lettera anche quando
hanno sostenuto (sbagliando alla grande) che a dare il
via al declino della civiltà che ci ha portato sin qui e al
calo dei consumi in special modo sarebbe stato il
fallimento di grandi istituzioni finanziarie.
Chi non ricorda gli impiegati (sono sempre gli ultimi a
finire sbeffeggiati) ripresi in dirette televisive all’uscita
da palazzi prestigiosi con le proprie cose messe alla
rinfusa in contenitori di cartone?
In realtà quel via era stato dato prima e le cronache in
discorso si sono ridotte a riprendere dettagli canaglia
su eventi che venivano da tempo maturando.
E’ accaduto, senza ulteriori inutili giri di parole, perché
gli strumenti atti a governare una civiltà in ascesa,
in un mondo (che non c’è più) capace di offrire spazi
e opportunità di sviluppo, sono i meno adatti a gestire
la fase opposta, quando vengano meno i confini ulteriori
da varcare senza pagare alcun dazio, le risorse di cui
approfittare perché sono lì e gratis, masse da sfruttare
riconoscendo loro molto meno del dovuto, guerre decise
a tavolino per ampliare o consolidare imperi economici.
Allo stato il pianeta questi spazi, queste opportunità,
queste possibilità di voli in avanti non ne ha più; a meno
che non salti fuori la scoperta delle scoperte: l’energia
illimitata e a un soldo per tutti.
Ma anche ad averlo in portafoglio questo salvatutto,
84
Tra passato e futuro
occorrerebbe andarci prudenti a sbandierarlo prima di
aver avuto garanzie ferree; perché non trabocchetti ma
burroni verrebbero frapposti alla sua messa in opera.
Boccate d’ossigeno vengono e verranno per qualche
tempo dalla delocalizzazione di produzioni un tempo
esclusiva del mondo occidentale e dall’esplosione dei
consumi in aree molto arretrate, che però daranno il
colpo finale al clima globale e alla regressione in atto
dove le esclusive sono venute meno ridimensionando gli
status preesistenti, ritenuti intoccabili, con inevitabile
corredo di drammatici conflitti sociali.
Segnali preoccupanti a quest’ultimo riguardo rimbalzano
da un continente all’altro e a subirne i devastanti effetti
saranno in prevalenza fasce di popolazione con livelli di
istruzione medio/alti e molti anni davanti da vivere in
condizioni precarie o con redditi (se va bene) di pura
sussistenza.
Quel che è anche peggio, si elargiscono loro contentini
conditi da promesse impossibili da mantenere e non ci
vuole molto a capire che se ne faranno fascine per il
grande fuoco planetario che scardinerà quel che resta
del pensiero unico, delle sue inamovibili caste, dei suoi
fallimentari progetti in barba a chi si ostina in alti siti,
per ragioni facilmente intuibili, a non prendere atto della
realtà incipiente.
Non merita un epitaffio il consumismo perché la storia
lo ha condannato senza possibilità di appello; semmai
vanno ricordate, per non ricadere in consimili cadute di
civiltà, le sue due facce: una esibita in modo sfrontato e
in via di sepoltura, l’altra tenuta costantemente sotto
85
Tra passato e futuro
traccia e tuttora in (forzato) tiro.
Per la faccia quasi presentabile si ricalca uno spot
abusato su uno dei consumi principe.
Esterno di vettura ultra accessoriata Sembra di sentire il
respiro profondo e cupo del motore mentre la linea
filante della super car si mangia il rettilineo tra due
file fitte di alberi: forse una vera foresta violentata, forse
una foresta incantata aperta per omaggiare quel mix di
potenza e tecnica.
1o stacco Insistito primo piano delle mani del guidatore,
le cui dita scorrono sui tasti a lato del volante.
2o stacco Si indugia sul confort dell’interno e sui preziosi
gadget fino a lasciar intuire che l’hifi stereo sta facendo
il suo.
Esterno conclusivo Ripresa da dietro, la super car ha
per unico compagno l’orizzonte che è lontano ma alla
portata.
Bello eh! Provare a rifarlo lo spot - stessa macchina,
stesso guidatore, stessa musica, stesso rombo - senza
quell’orizzonte, sostituito magari da una via cittadina
all’ora di punta.
La differenza sta lì. Naturalmente se ne è consapevoli e,
per sopravvivere in questo tempo di mezzo, si punta
sempre più decisi su nicchie privilegiate e sul desiderio
smodato di apparire della totalità di coloro che vi sono
bene accomodati.
Così è un diluvio di promozioni di orologi di gran marca
il cui costo spropositato è l’unica ragione che ne motiva
l’acquisto, al pari dei vestiti firmati e di una vastissima
gamma di offerte che, se non fossero dichiaratamente
86
Tra passato e futuro
d’élite, non varrebbero un accidente.
Ma con le èlite alla lunga si va a sbattere.
La faccia impresentabile la descrive uno spezzone di film
che definire indimenticabile è poco.
L ’ e n t r a t a L e valchirie del Trionfo della Morte tagliano
l’aria con i loro elicotteri d’assalto in formazione: sotto
paludi e capanne di un supino Vietnam in attesa della
apocalisse che arriva puntuale, spudorata, senza freni e
remore.
L’azione La pressione decisa su un pulsante tra i tanti
di una nera tastiera di lato ai neri comandi e tutto
avviene mentre la musica sale e lo spazio si ritrae, quasi
a voler inglobare la tragedia sottostante. L’orizzonte è
anche qui lontano ma sembra pur sempre alla portata.
Scena finale a tutto campo. La musica travolgente, le
eliche rotanti, volanti/comandi/pulsanti che aggiungono
alle mani potere smisurato, l’impatto dissacrante con ciò
che è sotto e non può opporsi o far sentire le grida dei
bruciati vivi.
E’ fatta, anzi era fatta perché se dio vuole non ci sono
più orizzonti per quelle valchirie e per i loro abominevoli
volanti/comandi/pulsanti. Ognuno l’orizzonte lo ha in
casa.
87
Tra passato e futuro
Pilastri in crisi: produzioni alimentari
Per avere consumi medi di beni e servizi e un livello di
vita pro capite pari a quello degli abitanti di Lombardia e
California servirebbero – sulla base degli assetti e delle
tecnologie fruibili – spazi, risorse agricole, minerali ed
energetiche riconducibili ad almeno tre pianeti come la
Terra.
Ora, mentre si discute sui tempi entro i quali sperare di
raggiungere comunque l’obiettivo, fidando su scoperte
rivoluzionarie nei sistemi di produzione e quant’altro, si
da per scontata la linea da seguire: favorire le condizioni
e mettere in atto le iniziative che consentano di elevare –
in termini quantitativi - gli standard di vita laddove
siano al di sotto di quelli presi a riferimento.
Ma si rivelerà davvero così scontata la linea sulla quale
si incamminerà il futuro o sarà perché è molto più facile
presumerla sostanzialmente immutata che la si disegna
a quel modo?
Il contenuto dei due precedenti capitoli fa intuire quale
sia la risposta all’interrogativo.
Per renderla appena un po’ circostanziata prendiamo un
giovane, lo chiamiamo Paolo e lo immaginiamo a vivere
da solo, in questo nostro tempo, in una casetta ad un
piano dalle mura antiche, posta in cima a una collina e
collegata allo stradone che scorre più sotto da uno
sterrato che ne attraversa quasi l’intera proprietà: un
appezzamento di poco più di un ettaro dove nel tempo
che gli lasciano gli impegni di lavoro coltiva di tutto un
po’. Una volta la settimana, ma talvolta ogni due, inforca
88
Tra passato e futuro
la bici e con un bustone a tracolla va fino al paese poco
distante. Da lì con mezz’ora di pullman è in città; due
passi a piedi in pieno centro e lo si ritrova negli uffici di
una Società di marketing dove scarica dal suo Mac
l’impianto grafico del sito commissionatogli per conto di
una ditta intenzionata a promuoversi nel web.
Ha un incarico a progetto Paolo e si dichiara fortunato
per gli euro che mette insieme ogni mese, spesi quasi
tutti per migliorie varie a quel pezzetto di terra che gli
permette di mangiare quasi gratis; e dire che è una
buona forchetta.
Adesso proviamo a vedere come e dove potrebbe vivere
questo Paolo tra vent’anni.
Strano ma sta ancora lì e pure la casa, almeno da fuori,
è la stessa salvo per le antenne sul tetto, sparite. Com’è
dentro? Andando avanti di diversi capitoli ognuno se ne
farà un’idea.
Sempre in esterni c’è un’altra stranezza: lo stradone che
portava al paese è sparito insieme ai tralicci dell’alta
tensione, ma la cosa può sfuggire perché l’occhio cade
sulla cupola, imponente e trasparente, che sovrasta il
podere: molto curato, tanto verde, fiori, addirittura una
grande fontana ma niente pomodorini e lattuga.
Guadagna assai Paolo ma non è questa la ragione per la
quale non si appassiona a veder crescere pomodorini,
zucchine e peperoni. Il fatto è che non mangia più con
le cadenze e la quantità di una volta. Quando mai!
Ogni tanto – un paio di volte al mese nella norma, tre se
esagera – si ritrova la sera con amici preferibilmente in
locali dove propongono assaggini di specialità dei tempi
89
Tra passato e futuro
andati, assenti in toto dal loro quotidiano e che gustano
in tali occasioni per ritrovare odori e sapori di gioventù.
In casa o al lavoro, acqua, qualche frullato, un rapido e
striminzito brunch più un paio di pasticche con dentro
quel che serve all’organismo: bastano e avanzano per
mantenersi in forma, non sentirsi appesantiti o poco
lucidi, non mettere su chili di troppo e non temere
malattie e alterazioni del metabolismo diffusissime nei
tempo passati mica poi da tanto.
Insomma, in quell’immaginario futuro del nostro Paolo
non si spenderebbe praticamente niente per mangiare e
sul piano planetario nemmeno l’ombra dei problemi che
angustiano l’umanità nella fase odierna, come emerge
dal quadro a seguire.
Nella prima decade degli anni duemila il prezzo del
grano è più che triplicato e quello del riso è aumentato
fino a 5 volte.
E’ successo e continuerà a succedere sia perché le
bocche da sfamare crescono ogni stagione di 70/80
milioni di unità, sia soprattutto perché la domanda di
queste e altre produzioni di base dell’alimentazione
umana si trova a fare i conti con un’offerta che non
cresce globalmente, come farebbe presumere il notevole
incremento negli anni della produzione per ettaro, e non
è più in prevalenza “porta a porta” come accadeva in
passato.
Le colture a piccola scala - i classici “fazzoletti di terra”
che fino a pochi decenni fa hanno consentito quasi
dappertutto di produrre quote considerevoli di derrate,
destinate per lo più al fabbisogno di consumatori dietro
90
Tra passato e futuro
l’angolo – sono state infatti progressivamente sostituite
da monoculture a grande scala: vasti appezzamenti le
cui coltivazioni sono gestite a distanza da multinazionali
con l’impiego di tecniche finalizzate a massimizzarne i
quantitativi, incluso l’irradiamento sistematico e l’uso
intensivo di pesticidi e fertilizzanti di sintesi. Dopodiché i
prodotti così ottenuti vengono immagazzinati in attesa
di prendere la via del mercato o dei mercati appetibili.
Due gli effetti altamente negativi: da un lato l’esodo dalle
terre degli avi di milioni e milioni di famiglie, che per la
maggior parte vanno ad ingrossare le invivibili favelas
di congestionate metropoli; dall’altro, la formazione di
cartelli per rialzi governati dei prezzi all’origine, ai quali si
aggiunge la pratica del frequent trade, per la quale lo
stesso stock passa di mano anche quattro/cinque volte
prima della sua movimentazione e quindi al netto delle
ricariche degli intermediari classici e dei rivenditori al
dettaglio.
Ciò avviene specialmente da quando si specula molto
meno sugli immobili (la bolla scotta) mentre vanno alla
grande le cosiddette commodities che – a oro, petrolio,
rame, ferro e argento – hanno aggiunto riso, grano,
cacao, caffè, zucchero e cotone.
E c’è un paradosso, scandaloso in sé: la sponda offerta,
al crescente interesse dei predatori della finanza per
questi comparti, dalle iniezioni di liquidità decise sia
dalla Bce (Europa) che dalla Fed (Usa) per rivitalizzare
le rispettive aree di mercato.
I potenti gruppi di riferimento, ai quali il denaro non
manca, riescono (chissà come!) a rastrellarne quantità
91
Tra passato e futuro
non indifferenti a interessi molto bassi (gli istituti di
credito le incamerano a costo zero) investendole in tali
acquisti virtuali, quindi senza rischi e con la certezza di
immediati guadagni.
Seri problemi si presentano anche nel comparto carni.
Il principale viene dal fatto che popolazioni da sempre a
dieta forzata di cereali, in assoluta prevalenza coltivati
nel proprio campo, stanno mettendola nel piatto, non
proprio quotidianamente ma quasi.
Un esempio macro è la Cina, dove dai 20 kg pro capite
l’anno di un paio di decenni addietro si è passati agli
oltre 80 registrati alla fine della prima decade del nuovo
millennio.
Fenomeni su per giù specchiati si evidenziano in India,
sulle sponde mediterranee dell’Africa e nei paesi del Sud
America a più elevato tasso di sviluppo.
In prospettiva pesa soprattutto la mancanza di terreni
destinabili all’allevamento del bestiame. E pensare che
fino a cent’anni fa ce n’erano a volontà per ragioni tanto
evidenti quanto sottovalutate. Intanto eravamo meno
della metà sul pianeta, di cementificazione neanche a
parlarne, si contavano a centinaia le macchine sbuffanti
nelle principali vie delle capitali occidentali e gli Stati
Uniti non erano ancora la prima potenza industriale,
economica e militare del mondo ma una terra promessa
grazie alle praterie del West e alle opportunità di lavoro
offerte agli emigrati.
Allo stato oltre l’80% delle superfici produttive globali
sono invece impegnate e, anche a voler sacrificare i
residui polmoni verdi del pianeta, non ne verrebbe
92
Tra passato e futuro
granché.
Calice amaro pure sulla “fattoria mare” che ci sta
voltando le spalle e ha ragioni da vendere nel farlo
perché i vistosi cali registrati negli ultimi tempi nella
produzione ittica si devono all’inquinamento massivo e
allo stravolgimento di habitat marini, provocato dalla
pesca di frodo senza regole.
Un dato da la misura delle conseguenze di questo modo
dissennato di rapportarsi con il mare e la sua biologia:
più del 30% delle specie esistenti appena mezzo secolo
fa si sono estinte mentre il continuo peggioramento delle
condizioni indispensabili allo sviluppo delle biodiversità
fanno da acceleratore al declino di specie contigue a
quelle in via di sparizione.
93
Tra passato e futuro
Pilastri in crisi: l’ambiente
Arrivano sul web pretesi scoop del tipo: “In Cina, India
e Stati Uniti” (i tre più grandi produttori al mondo di
cereali) “da tempo si assiste con preoccupazione ad un
costante abbassamento delle falde acquifere”.
“Ciò è dovuto”, spiega in modo allarmato la fonte, “ad un
eccesso di prelievi con pompe diesel“.
Notizie del genere - messe circolo con il vessillo della
difesa dell’ambiente - sono fuorvianti nel senso che, per
cogliere le dimensioni reali del problema, bisognerebbe
parlare di ben altro. Ad esempio degli oltre 3 miliardi di
persone che vivono nei bacini dei fiumi Gange, Indo,
Brahmaputra, Yangtze, Mekong, Salween e Fiume
Giallo.
I ghiacciai della imponente catena montagnosa che
ne alimentano i corsi danno vita al cosiddetto Sistema
himalayano includente Afganistan, Bangladesh, Bhutan,
parti considerevoli di Cina e India, Nepal, Birmania,
Cambogia,Thailandia,Laos, Vietnam, Malesia e Pakistan.
Il solo Gange, a dare un mini parametro, fornisce acqua
potabile e per usi sia industriali che agricoli a territori
popolati da oltre 500 milioni di esseri umani.
Ebbene, entro vent’anni, se la temperatura media del
pianeta continuerà a salire ai ritmi attuali, l’immenso
bacino si ritroverà tappezzato a macchia di leopardo da
zone desertiche sempre più estese.
Ed è scontato che nella maggior parte degli altri alvei
fluviali si presenteranno situazione pressoché analoghe.
Con quali conseguenze? Altro che veder abbassarsi le
94
Tra passato e futuro
falde acquifere a causa di antidiluviane pompe diesel!!
Il primo a collegare allo sviluppo industriale l’aumento
delle emissioni di gas serra nell’atmosfera fu il fisico
Arrhenius all’inizio del 20mo secolo. Egli fece anche delle
rozze stime, non allontanandosi di molto dal vero, sugli
effetti che avrebbe avuto l’aumento della temperatura
media del globo, dovuto a una molteplicità di concause
con l’industrializzazione non rispettosa dell’ambiente in
prima fila.
A chiedersi cosa, da allora, si sia fatto per avviare una
qualche soluzione, finalizzata quantomeno a contenere il
fenomeno, la risposta che ne viene è poco nelle zone più
critiche e assolutamente niente altrove.
Allora cos’è tutto questo casino di proclami sulla difesa
dell’ambiente, stilati nei salotti internazionali in cui
periodicamente usano ritrovarsi i vertici degli 8/14/20
paesi più industrializzati, gli stessi – per intendersi –
che sono i primi corresponsabili della dispersione
nell’atmosfera dei gas serra in questione?
Grandi annunci, dichiarazioni di guerra di no global e
affini, costosissimi interventi di restyling nelle località
ospitanti (ogni ospite tiene a fare la sua figura), migliaia
di poliziotti in assetto anti sommossa e alla fine la firma
solenne di un documento, limato alla virgola da stuoli
di ghost writer, in cui i tagli con percentuali a due cifre
delle emissioni sono rimandati alla riunione successiva,
previa verifica di evenienze, concomitanze e varie
disponibilità.
Si tratta in sostanza di sceneggiate studiate e messe
ogni volta in atto - attorno a un pezzo di carta - dalle
95
Tra passato e futuro
delegazioni presenti all’unico scopo di rassicurare gli
interessi domestici sul nulla di fatto che interverrà.
Questo mentre l’ultima carta in ordine di tempo siglata
s o l e n n e m e n te chi se la ricorderà o avrà interesse a
riproporne il criptico contenuto nella sopravveniente
tornata, di nuovo tutta da sceneggiare?
L’importante è che ad ogni appuntamento internazionale
gli schieramenti siano visibilmente contrapposti: gli uni
a porre l’accento sui rischi che correrà Gaia in assenza
di interventi finalmente adeguati; gli altri a mostrare il
viso dell’armi al minimo accenno a paletti che rallentino
il trend espansivo nei loro territori, quali che siano le
conseguenze sul piano ambientale.
Ai media è infine affidata la spettacolarizzazione di tali
parti in commedia, recitate su entrambi i fronti mentre
si naviga a vista verso un approdo, l’ambiente risanato,
che i troppi esperti gravitanti in scena non fanno certo
fatica, con tali premesse, a giudicare lontano anni - luce
dal tempo che rimarrà da vivere al più giovane tra loro.
Sono parti in commedia anche quelle di una miriade di
grandi e medie aziende che delocalizzano, con il tacito
consenso e l’aiuto sotterraneo dei propri governi, perché
dove ci si insedierà la manodopera costa meno e ha
scarse tutele, i consumi sono in ripida salita e non ci si
preoccupa minimamente di controlli ambientali.
Agli antipodi d e l d i c h i a r a t o anche i traguardi che
si propongono le popolazioni lì residenti, non toccate in
precedenza dai benefit dello sviluppo. Adesso vedono le
tv, leggono i giornali, sentono dai racconti degli emigrati,
ritornati con sudati risparmi, che tanti uomini e donne
96
Tra passato e futuro
uguali a loro vivono molto meglio in altri posti.
Come pretendere che si neghino una analoga prospettiva
in nome di un’aria un po’ più pulita, di meno anidride
carbonica, di un abbassamento appena registrabile della
temperatura media globale, quando del degrado odierno
e delle conseguenze che ne derivano non hanno avuto e
non hanno la benché minima responsabilità?
Ecco perché le sceneggiate continueranno e la tutela
dell’ambiente resterà un sogno da inseguire di rimando
in rimando, finché non si realizzerà l’unica condizione
per ribaltare in positivo la situazione: energia pulita a
gogò per tutti e a bassissimo costo.
Arriverà? Si, se la lasceranno arrivare.
97
Tra passato e futuro
Pilastri in crisi: l’energia
Se in oltre i due terzi del pianeta la gente comune ha
difficoltà a far quadrare il pranzo con la cena, se non c’è
Stato al mondo che non abbia un debito stratosferico o
galattico e se è pura follia pensare possa essere non
azzerato ma ridimensionato prima di porlo a carico delle
generazioni che verranno, se l’incertezza per l’immediato
futuro è tale da ingenerare anche paure prive di senso;
se accade tutto questo e molto altro, che è superfluo
rimarcare in quanto contiguo al comune presente, allora
sarebbe da augurarsi il tempo della formica e non quello
della cicala pure in termini di sfruttamento e di utilizzo
delle risorse energetiche.
Invece non è così perché nel mondo quasi globalizzato
continua a salire la febbre di watt e joule aggiuntivi, che
rappresentano rispettivamente le unità di misura della
potenza e dell’energia.
Succede per motivi più che noti. La maggior parte delle
persone vive in casoni che andrebbero rasi al suolo
perché dentro vi si gela quando fuori è freddo e non si
respira con il caldo. Per riequilibrare un po’ le cose serve
quindi tanta energia.
Inoltre ci si muove quasi esclusivamente all’interno di
scatole di latta e plastica con quattro ruote che puzzano
dagli scarichi, forse una forma di protesta delle foreste
di un tempo che non ci stanno a rivedere la luce a quel
modo.
Certo, il controcanto è facile perché non c’è alternativa
al chiudersi dentro quelle scatole maleodoranti per poi
98
Tra passato e futuro
mettersi disciplinatamente in fila e raggiungere il posto
di lavoro. O a disporsi sempre in fila, a date fisse, con la
scusa di antiche ricorrenze ormai ridotte, per quanti se
lo possono permettere, ad abbuffate di cibo con scambio
regali. O a dirigersi, sempre in lunghe e strombazzanti
file, verso arenili dove sdraiarsi non in fila indiana ma
su più file parallele, con il mare più in là o molto più
in là che si porta odori, sapori e colori di quanto di
nostro ci si butta dentro. O al fare la fila allo skipass, in
attesa di sfrecciare con un paio di sci sulla spianata
posta quasi in prossimità della vetta imbiancata di una
montagna dove l’aria è inquinata come o più del centro
città appena lasciato.
L’alternativa non c’è perché nel recente passato non la
si è cercata con la necessaria continuità e oggi si frena
più che si può – negli ambienti “responsabili”- a dare un
taglio deciso all’utilizzo di risorse energetiche che non
hanno futuro, sono costosissime e condizionano la
vita di tutti i giorni della popolazione nel mondo
intero.
Eppure l’energia – pulita e teoricamente disponibile – è
in ogni dove, con numeri potenzialmente stratosferici:
86000 Terawatt (1Tw = 1012 watt) dal Sole, 870 Tw dal
vento, 32 dal calore che sale da sottoterra.
Ce ne sarebbe d’avanzo – a mettersi d’impegno - per
farsi sberleffi della miseria utilizzata quotidianamente
con le complicazioni ed il degrado ben noti, se non ci
fosse il costante, sotterraneo remar contro dei potentati
economici, interessati all’attuale assetto che da un lato
consente plusvalori giganti sulla commercializzazione
99
Tra passato e futuro
soprattutto di petrolio e metano; dall’altro obbliga a
costruire mega centrali (con finanziamenti conseguenti
da parte dei governi coinvolti) per garantire l’energia che
manca.
Non deve quindi meravigliare se agroenergie, geotermia,
energia idroelettrica, solare, marina ed eolica coprono
appena l’11% del consumo energetico annuo a livello
planetario: la miseria di 18 Tw!
E ancora meno sorprende che - a colmare l’enorme gap ci sia tuttora il fronte delle “sporche”, non rinnovabili e
con riserve ridotte al lumicino.
Il carbone (oltre la metà viene dall’Asia) contribuisce
per il 25% alla copertura del fabbisogno annuale
mentre la produzione attuale di petrolio è dell’ordine di
90 milioni di barili/giorno. Un barile ha una capacità di
159 litri (42 galloni), da cui si ricavano 55 litri di
benzina più una serie di derivati.
Ci si domanda in modo ricorrente: la risorsa petrolio sta
per raggiungere il suo “picco”, oltre il quale la discesa
nell’utilizzo e nella stessa reperibilità saranno repentine,
o ce n’è praticamente per altri mille anni?
La fiera degli esperti del ramo registra fans (magari non
proprio disinteressati) per entrambe le previsioni.
C’è infatti chi favoleggia che esistano nel ventre della
Terra mostruose riserve di idrocarburi e basterebbe, per
trovarli, scavare più in profondità; la maggioranza degli
esperti per contro ne stima al più tardi entro il 2050 il
definitivo esaurimento, con note aggiuntive dedicate agli
sconvolgimenti politici ed economici che provocherà la
sua uscita dal m e r c a t o , dominato per oltre un secolo.
100
Tra passato e futuro
Governi e grande finanza resistono tuttora sulla ridotta
della risorsa nucleare, malgrado i recenti disastri. Da
tale fonte viene grosso modo il 20% dell’energia prodotta
dai 450 reattori in funzione nel mondo. In costruzione
o in procinto di esserlo ve ne erano almeno altri 200
prima dell’inversione di rotta del 2011.
Il nucleare da fissione, malgrado sia visto tuttora con
favore dai poteri forti per gli investimenti colossali che
esige, non potrà comunque essere l’energia del futuro
soprattutto per le conseguenze disastrose nel caso in cui
gli impianti venissero coinvolti in calamità naturali; un
aspetto da pollice verso al quale aggiungere i rischi insiti
nella conservazione delle scorie radioattive, che restano
tali per almeno10 mila anni.
Non rappresentano una concreta alternativa - nel senso
che nella migliore delle ipotesi darebbero un contributo
non risolutivo - le biomasse che, nel caso di reimpianti
n o n immediati (come regolarmente avviene nel terzo
mondo), hanno l’aggravante di lasciarsi dietro deserti.
Anche la prospettiva di trarre energia su vasta scala
dalla fusione cosiddetta calda dell’atomo si allontana
per due ordini di ragioni:
- il permanere di qualche residuo dubbio sulle prove di
laboratorio, anche recenti, dalle quali risulterebbe un
aumento effettivo dell’energia prodotta rispetto a quella
immessa;
- i tempi di costruzione delle centrali in cui “contenere”
temperature dell’ordine di milioni di kelvin e densità del
plasma elevatissime.
101
Tra passato e futuro
Servirebbero a tal fine investimenti tre/quattro volte
superiori a quelli degli impianti a fissione anche se – una
volta realizzati - non vi sarebbe rischio di fughe radioattive
né il problema delle scorie.
Discorso completamente diverso per la fusione fredda,
caratterizzata cioè da pressioni e temperature di gran
lunga inferiori.
Venne alla ribalta mondiale, con relativo scatenamento dei
media, quando i chimici Martin Fleischmann e Stanley
Pons convocarono una conferenza stampa per annunciare
che un elemento di platino e uno di palladio, immersi in
una cella elettrolitica avente a base acqua pesante, erano
in grado di produrre una considerevole quantità di energia
termica in più di quella immessa, con rilascio di un raro
isotopo dell’elio, spiegato come cenere della reazione lì
avvenuta.
Naturalmente dal giorno dopo in centinaia di laboratori fu
un susseguirsi di tentativi di replicazione, andati però
quasi tutti a vuoto. Nei mesi successivi per Fleischmann e
Pons fu un’altalena di ovazioni e feroci critiche, finché dal
MIT ( Massachusetts Institute of Technology) non arrivò la
bocciatura senza appello, con grande e malcelato sollievo
dei produttori delle energie tradizionali.
Solo in anni molto recenti ai due, che non mancò molto
venissero accusati di truffa, ha reso giustizia il capo
dell’ufficio stampa dello stesso MIT: una volta andato in
pensione, ha infatti ammesso l’alterazione all’epoca di
alcuni fondamentali e positivi test “per non rubare scena
e fondi al nucleare classico”.
Sarà infine per la legge del contrappasso se sempre nel
102
Tra passato e futuro
prestigioso Istituto si sia testata con successo, vent’anni
dopo quel disonorevole episodio, una reazione nucleare
a bassa energia (Lern) che sostanzialmente replica la
loro.
E non è la sola, di replica. In Italia in prima fila c’è l’ECat mentre quasi ogni giorno si allunga l’elenco degli
impianti che i rispettivi ideatori dichiarano essere in
grado di garantire l’auto sufficienza energetica senza
cavi e relative bollette.
Ricerca e sperimentazione si fermano qui ma quanto
meno una segnalazione merita il mistero che si ha di
fronte nello scollegare una qualsiasi bobina dalla sua
batteria.
Succede questo: finché il circuito del congegno è chiuso,
la corrente passa regolarmente, generando un campo
magnetico nella bobina medesima e nei suoi immediati
dintorni; quando però viene aperto, tensione e corrente
hanno un “enigmatico” picco prima di interrompersi.
Sembra niente ma capire la ragione per cui si verifica
porterebbe a disporre di fiumi di energia senza costi né
fine.
In conclusione quale sia la strada percorribile, su questo
o su altri versanti, per arrivare all’agognato traguardo lo
dirà al solito il futuro.
Varrebbe veramente la pena esserci quel giorno, anche
per bearsi fermi immagine ed eventuali commenti degli
attuali gestori delle energie disponibili, sporche o quasi
“pulite” che siano, di punto in bianco senza più l’otre
magico da cui traggono illimitati guadagni.
E dopo la soddisfazione di vederli non tanto vinti quanto
103
Tra passato e futuro
finalmente fuori causa, annusare l’aria senza odore di
combusto e godersi Gaia sgombra di fili e transenne che
non le danno tregua, permettendosi di sfregiare il suo
ed il nostro habitat.
Per ora siamo qui a sperarlo il cambio di passo di questo
vecchio, travagliato e discriminante mondo, tuttora
schiavo di un atomo difficile da gestire, oltre che di
petrolio e carbone inquinanti e calanti, con la quasi
totalità degli esseri umani a preoccuparsi di quel che
gli costano quattro ruote, luce e annessi.
104
Tra passato e futuro
Mercato globale e debiti sovrani
Il mercato globale lo volevano due ismi: comunismo e
liberalismo, anche se con prim’attori opposti.
I debiti sovrani non li volevano entrambi ma il destino cinico e baro - ha fatto in modo che le due ideologie si
perdessero prima di vederli gonfiati dall’interfaccia del
pensiero unico; un autentico sollazzo il suo sul quale sarà
d’obbligo tornare dopo un omaggio agli ismi rimasti per
strada, che proprio non meritavano lo sgarbo.
Fu Marx ad aprire per primo alla globalizzazione. Lo
fece dall’assunto per il quale filosofia e politica non
potevano limitarsi a contemplare il mondo; dovevano
invece esporre, fino ad imporle, le linee guida in virtù
delle quali trasformarlo globalmente.
A quella che Antonio Gramsci definirà “la filosofia della
prassi”, il nostro giunse partendo da posizioni condivise
con i giovani hegeliani, i quali radicalizzavano le tesi del
maestro mantenendosi comunque nell’ambito di una
critica teorica.
Marx invece aveva preso conoscenza diretta di ciò che
accadeva in fabbriche e miniere del primo Ottocento: i
lavoratori avevano un compenso misero e variabile in
funzione della quantità del lavoro svolto, dall’alba al
tramonto, per sei giorni lavorativi la settimana.
Rispetto a siffatte ”pratiche”, le posizioni ex cathedra
servivano a ben poco; di qui l’appello a non limitarsi a
commiserare la forza lavoro trattata a quel modo ma ad
attivarsi per renderla consapevole del suo insostituibile
apporto al progredire della specie, facendola crescere
105
Tra passato e futuro
fino a pretendere la condivisione dei frutti del lavoro, da
affrancare dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in un
mondo non spezzettato da confini che frenano il divenire
in ogni sua forma.
Se è questo lo zoccolo duro del materialismo storico,
anche l’antagonista, il liberalismo, nato e cresciuto nel
pensiero occidentale, ha dai suoi inizi avuto l’idea
fissa di poter un giorno operare in un mondo senza
dazi e contingenti all’importazione, che avrebbe dovuto
consacrarne l’insostituibile ruolo e in più legittimarlo in
un contesto appunto globale e irreggimentato in niente,
fatta eccezione per identità e regole di impresa e lavoro.
Andrebbe letta tra le righe (ma non è la sede) la feroce
e ormai superata contrapposizione tra le due tesi globali
finché - a lungo inseguito - il libero mercato mondiale
s’è fatto a modo suo e non è che ci vada leggero.
Divora vecchi imperi industriali e ne disegna di nuovi impiantati in prevalenza in territori con popolazioni che
avevano fame di sviluppo e l’hanno trovato – crea linee
super favorite per gli scambi commerciali, da le cadenze
dei flussi e stabilisce le quotazioni delle materie prime; il
tutto in ossequio alle scelte di 400 istituzioni finanziarie
- l’interfaccia del pensiero unico - con una capacità di
investimento diretto valutabile in più del 50% di quella
in complesso disponibile, che finisce per condizionare
pesantemente la quota residua.
Poveri Karl Marx e liberal d’antan. Anonime serie di
codici e cifre con un unico fine condiviso, in transito
istantaneo nel web, fanno e disfano destini collettivi che
106
Tra passato e futuro
hanno al loro interno vite da un giorno all’altro
ferite o premiate senza uno straccio di perché.
Si chiama grande finanza la regina pigliatutto di
questo mercato fatto di input di acquisto/vendita
trasferiti in tempo reale da Oriente a Occidente e
viceversa, con puntate rapide o soste prolungate
dove loro aggrada; mai per investimenti che portino
a timbrare cartellini di entrata ed uscita da nuove
fabbriche ma per ricavare un margine immediato di
maggiore guadagno: siano quotazioni di Borsa o il
grande mercato parallelo dei titoli di Stato, materia
prima fondamentale di quei debiti sovrani da cui
traggono un mare di soddisfazioni.
Ora, sarà perché la “famigerata” li punta come vittime
predilette dei suoi grandi affari, sarà perché questa
predilezione li sovraccarica oltre il tollerabile, sarà perché
molti Stati sono costretti a far debiti a valanga avendo sul
groppone spese pubbliche esagerate e al tempo stesso
incomprimibili, sarà per molto altro qui impossibile da
dettagliare ma sta di fatto che i paesi un tempo sovrani
non sono più tali, specie in certe aree del pianeta.
A fine 2011, questi i numeri relativi al rapporto debito
pubblico/Pil dei componenti il G7: Giappone 214.3%,
Italia 120.2%, Usa 89.5%, Francia 86%, Canada 81.2%,
Gran Bretagna 81.1%, Germania 79.8%.
Il Fondo monetario è andato oltre con la previsione al
2014 della media di indebitamento (in percentuale sul
Pil) dei paesi rappresentati nel G20, comprendente
potenze economiche in ascesa come Cina,India,Brasile,
Russia e Australia.
107
Tra passato e futuro
Il dato che ne esce le condanna tu tte e, co n e ss e, il
sistema in essere: 106% ! Tecnicamente falliti dal 2014?
Si se la previsione si rivelasse corretta.
Da più parti ci si azzarda anche ad indicare il primo in
lista e c’è di che sobbalzare. Si tratterebbe non del paese
– che in effetti ha ancora tante risorse inespresse – ma
dell’impero Usa destinato, per l’azzardo in questione, a
crollare come un castello di carte per le stesse ragioni
che hanno causato il tracollo del suo antagonista negli
anni ottanta: l’impossibilità di sopportarne i costi.
Gli Usa sono tuttora un paese fenomenale: con il 5%
della popolazione mondiale, formano oltre il 20% del Pil
planetario ma spendono per la difesa e il mantenimento
delle basi sparse sul globo quanto tutti gli altri paesi
rappresentati in sede Onu. Per farlo riempiono di titoli
del loro debito pubblico due terzi dei caveau utilizzati a
tale titolo; in più operano da tempo alla stregua di una
gigantesca banca d’affari, rastrellando depositi a breve
termine da paesi in attivo per investirli in rischiosi
prestiti a lungo termine a se stessi.
Ma i miracoli umani, contrariamente a quelli divini, se
non lasciano il segno alla fine presentano il conto, che
nella fattispecie evidenzia una esposizione finanziaria
quadruplicatasi dalla fine degli anni novanta.
Altri fondamentali campanelli d’allarme: l’apporto diretto
al Pil dell’industria statunitense arrivava al 25% negli
anni settanta, era sceso al 12% nel 2007 e l’incidenza
continua a calare, mentre i l risparmio interno copre
quote ormai minoritarie del debito pubblico, a fronte di
108
Tra passato e futuro
una crescita vistosa di quelle in possesso di Stati esteri,
Cina su tutti.
Che stia davvero per scivolare in un cassettino della
storia la delega in bianco che la Casa Bianca, alla fine
degli anni quaranta del secolo scorso, si è auto concessa
per porsi alla guida prima del mondo cosiddetto libero
(in realtà con dentro di tutto un po’, dittature incluse)
e quindi del mondo tout court?
E fuori da quel cassetto che accadrà? In Occidente,
ma pure in Estremo Oriente e da un po’ persino dove
la crescita era a due cifre (e sta calando), i governi di
ogni peso e colore si fanno notare per l’immobilismo.
Sembrano in permanente stand by e si preoccupano di
mascherarlo con un diluvio di incontri, tavole rotonde,
summit dedicati a questo o quel falso problema, come se
volessero sottrarsi anche a mettere all’ordine del giorno
non le soluzioni ma l’esame comparato dei problemi veri.
Viene il sospetto che siano - chi più chi meno ma per
sfumature - in attesa di un qualche punto di svolta, di
una concatenazione di eventi (non alla loro portata) in
virtù dei quali si apra prima ai paesi amministrati e
quindi al resto dell’umanità una prospettiva che oggi
non vedono o non hanno il coraggio di indicare.
Così finiscono per invocare (ma rivolgendosi a chi?) con
diluvi di parole una globalizzazione che, sull’onda delle
componenti “ricerca” e “nuove tecnologie”, porti alla
magia di una “crescita” generalizzata in un quadro di
ripresa forte e duratura di settori strategici ora in crisi,
di contestuale copertura dei bisogni primari delle fasce
disagiate, di rilancio dei consumi, di revisione ma non di
109
Tra passato e futuro
ridimensionamento degli apparati, lasciando invariate –
per carità - le logiche di sistema.
Non meraviglia, davanti a tali miraggi, che tra la gente
la paura del futuro si tagli a fette come mai prima,
specie in aree dove la globalizzazione, in precedenza
osannata, viene ora vissuta alla stregua di un pericolo
mortale.
Le diffuse situazioni di crisi che si registrano e le
incertezze per il domani si teme possano portare alle
conseguenze più gravi, anche considerando che i primi
a esserne colpiti sono popoli per secoli convinti (dai loro
governanti) di essere titolari inamovibili di una qualità di
vita migliore di quella di altri popoli, non importa se
sfruttati appositamente per garantirla loro.
Non potrà più essere così. Quasi due miliardi e mezzo di
indiani e cinesi sono da pochi anni entrati nell’economia
globale con l’energia e l’ottimismo che da altre parti
stanno venendo meno.
Non solo sanno competere ma le loro imprese hanno
gestioni alleggerite – come si è già notato - da costi di
produzione decisamente inferiori per prodotti spesso di
qualità equivalente; situazioni e risultati, questi, fino a
ieri neppure immaginabili.
E il trend proseguirà perché saranno sempre di più le
attività imprenditoriali trasferite in tali aree nevralgiche
o per dirla in chiaro, premianti per l’impresa grazie al
costo del lavoro molto più basso ( riedizione globale degli
sfruttamenti di marxiana memoria), a tasse ridotte, a
pochi adempimenti burocratici ed a blande verifiche di
funzionalità e sicurezza degli impianti.
110
Tra passato e futuro
Come in un fabbricato il cedimento di una o più delle
strutture portanti è evidenziato da fenditure n e t t e
al centro di reticoli di crepe, così oggi la crisi dei
consumi, pretesi in continua espansione, traccia il
solco più profondo proprio là dove l’idea, e l’industria
che l’ha messa in pratica, è nata e ha portato ad una
plurisecolare crescita.
Si può rimediare mantenendo principio e sistema? No
perché non esistono più le condizioni che avevano reso
possibile quel tipo di sviluppo.
Lo si coglie visivamente il decadimento progressivo nei
quotidiani spot televisivi su produzioni solo qualche
decennio fa prese a simbolo di una superiore qualità del
vivere e ora declassate a oggetti anonimi, standard per
modalità di presentazione e contenuti delle offerte.
E c’è di peggio. Da un passato pieno di contraddizioni e
sprechi, legati a un’abbondanza che si riteneva non
dovesse finire mai, sta venendo in scadenza un’enorme
massa di debiti non procrastinabile oltre il 2014, lo
stesso anno in cui si prevede il corale fallimento dei
debiti pubblici degli Stati più potenti e ricchi al mondo.
Di che si tratta è presto detto.
Nel 2006/2007, prima della grande crisi finanziaria di
cui nessuno sa indicare la fine, la liquidità scorreva
abbondante e l’orizzonte appariva roseo, fatta salva
qualche isolata e sottostimata previsione fosca.
Le banche, in particolare quelle d’affari, erano al top dei
top, autentiche protagoniste di un mercato che l’ avvio
della globalizzazione stava facendo diventare, se non
proprio unico, aperto alle più rosee prospettive.
111
Tra passato e futuro
Mai registrate in precedenza emissioni così massicce e
per lo più a lunga scadenza (2012/2014) di obbligazioni
con rendimenti elevati ma profili di rating che alcuni,
subito zittiti, si erano permessi di definire alquanto
“nebulosi”.
Il senno di poi darà loro ragione bollandole come junk
bond, cioè spazzatura; eppure all’epoca se ne fece una
autentica abbuffata.
Con il sopravvenire della crisi, obbligazioni della stessa
natura ma con scadenze più ravvicinate (2009/2010) –
vennero “ristrutturate” a due/tre anni data, per cui si
andranno a sommare alle precedenti.
Verranno poi a scadere, sempre nel 2014, molti titoli con
i quali le banche centrali di grandi paesi, Fed in testa,
hanno dovuto per forza coprire nel 2008 e nel 2009 i
buchi delle loro banche a causa dei titoli spazzatura che
ne appesantivano i bilanci: 15 mila miliardi di dollari la
cifra complessivamente uscita dalle sole casse Usa per
la copertura dei disavanzi di diversi Istituti di credito di
importanza fondamentale per la loro economia.
Ma non sono solo le banche in crisi. Bisognerà anche
tener conto di quella che è ritenuta la vera palla al piede
dell’Occidente: la sua incapacità, per alcuni ormai
strutturale, di progredire senza indebitarsi; tant’è che
fino al 2010 sono stati rifinanziati 2300 miliardi di
debito pubblico di Usa (1300), Germania (200), Francia
(200), Gran Bretagna (200), Spagna (130), Italia (100); e
va da sé che da qui al 2014 la massa debitoria da
coprire con nuovi prestiti sarà molto più elevata.
E anche a supporre che ci sarà liquidità sufficiente a
112
Tra passato e futuro
rifinanziare i troppi titoli proposti sul mercato, è da
presumere una maggiore cautela dei risparmiatori a
reinvestire nelle situazioni più rischiose, anche se in
presenza della promessa di lauti guadagni.
In chiaro: salterà il banco?
Ecco perché nella società globale, nel mercato globale,
negli incontri dichiaratamente globali dei potenti della
Terra al di là dei discorsi di facciata l’atmosfera è cupa,
da ultimo atto. Si è coscienti che il pensiero unico va in
malora con l’economia che ne è figlia e un interrogativo
fisso incombe da dietro le rispettive quinte sulla data
dell’epocale frittata e su quali paesi si troveranno con il
cerino in mano.
Meglio non avere la palla di vetro per vedere come finirà
tra barlumi di contestazione di segno opposto che negli
ultimi tempi hanno mostrato tutta la loro chiassosa
irrilevanza.
L’unica certezza è che ce ne vorrà di tempo perché la
burrasca passi e ci si ritrovi a navigare in un mare
limpido, con le esigenze del sociale portate in cresta
dall’onda lunga di un’economia con il vento a favore.
Ma non sarà lo stesso mare.
113
Tra passato e futuro
C’era una volta la società scolarizzata
Anno 2040. Hanno dai due ai tre anni e escono vociando – a
gruppetti di 15/20, ciascuno con due adulti al seguito - da
una palazzina a più piani con piloni che assomigliano
vagamente al cemento e pareti richiamanti le odierne
vetrate a diversa opacità.
In realtà si tratta di varianti dello stesso prodotto di
laboratorio, ma questo è un dettaglio rispetto a quello che
segue. Si perché, sempre a prima vista, sembrerebbe un
asilo se non fosse che in quel futuro non ne esisteranno più
come li intendiamo.
Oggi a noi - che pure non ci preoccupiamo minimamente di
quanto avranno di pensione i nostri figli e nipoti, né ci
facciamo il minimo scrupolo a caricare sulle loro teste debiti
per decine di migliaia di dollari/euro/yen – viene come un
sussulto di dignità offesa a pensare di privare gli angioletti
delle cantilene imperanti nel loro primo approccio alla
scolarità.
Eppure oltre mezzo secolo fa c’era chi aveva previsto la
rivoluzione della didattica.
Anno 1960. “A scuola gli studenti si sottomettono a dei
diplomati per ottenere a loro volta dei diplomi.
“Se sollecitate, le persone ammettono di aver imparato
ciò che sanno più fuori che dentro la scuola. E’concepibile
una maniera diversa di apprendere, la creazione di un
nuovo tipo di rapporto educativo tra l’uomo e il suo
ambiente”?
Ai nostri padri di sicuro è sfuggito questo argomentare,
altrimenti sai che reazione sdegnata. Eppure Ivan Illich
114
Tra passato e futuro
non solo si chiedeva al tempo tutto ciò ma individuava
in nuove reti, fatte in modo da assicurare a tutti eguali
possibilità di apprendere e di insegnare, uno dei
fondamentali traini per il superamento della società
scolarizzata.
Annotava in proposito: “L’individuo è portato a vedere il
mondo come una piramide di prodotti confezionati in
anticipo e riservati a quanti siano in possesso del
prescritto scontrino”.
Aggiungeva poi ( e all’epoca il concetto venne sanzionato
come provocazione nella provocazione) che, se le finalità
dell’insegnamento non fossero state determinate dalle
scuole e dagli insegnanti, si sarebbe esteso a dismisura
il materiale didattico.
Vedeva giusto sia con riguardo agli “scontrini” sia al
materiale didattico perché è innegabile che ancora oggi
ci si muova in un intrico di istituzioni, culturali in
senso lato e scolastiche, che hanno per tratto comune
l’isolamento dal contesto; il che comprime la diffusione
scritta e parlata del pensiero.
Solo i bambini vivono in una specie di zona franca
perché riescono ad entrare in contatto diretto con ciò
che li circonda e ad interagirvi. La loro mente è infatti
cablata per capire il mondo com’è e non nel modo in cui,
crescendo, lo si teorizza.
Questa facoltà straordinaria della primissima infanzia
andrebbe “coltivata” e invece non si fa nulla aspettando
– tra un giochino insulso e l’altro – il brutto giorno in
cui arriva immancabile E adesso ascolta e impara.
115
Tra passato e futuro
Addio cablaggio globale e capacità piena e libera di
essere e sentirsi in unità indivisa con l’universo di
emozioni, di cose, di affetti circostante: una unicità,
beninteso, che non è fine a se stessa ma stimola in
modo irripetibile ogni millesima frazione di un cervello
che non ha ancora sospeso nessuna delle sue potenziali
(e tuttora incognite) capacità.
Cosa succederebbe se in quegli anni attualmente persi
gruppi di bambini – i quali relazionano spontaneamente
tra loro - fossero lasciati a tu per tu con cartoni animati,
voci, immagini di persone riprese mentre dialogano su
aspetti di un quotidiano a loro familiare in una lingua
diversa da quella di mamma e papà?
E se – in parallelo – non simpatiche maestrine ma veri
specialisti stimolassero le loro capacità mnemoniche e di
apprendimento in quella che senza ombra di dubbio è la
stagione più fertile dell’esistenza?
Succederebbe quello che nel 2040 sapranno molto bene,
per cui niente più cantilene negli asili ma veri e propri
programmi finalizzati a renderli – rispetto alle nuove
generazioni in corso – incomparabilmente più dotati,
più aperti all’innovazione (una qualità essenziale, data
la velocità con cui cambieranno tecniche, situazioni e
condizioni), più consapevoli dei propri attributi.
Tornando alle provocazioni geniali di Illich e buttando
l’occhio al futuro immediato, bisognerebbe rendersi conto
che non è di la da venire ma è arrivato il momento di
tenersi il grembiule per la vita, in cui continuare ad
apprendere in modo personalizzato e condiviso a più
voci.
116
Tra passato e futuro
E’ tempo insomma di saltare a pié pari ciò che offre
una scuola r i t e n u t a depositaria della conoscenza,
con insegnanti obbligati ad allettare o costringere i
discenti a trovare scansioni di tempo in cui imparare
ciò che si ritiene debba servire loro per il futuro.
Pure i tradizionalisti ante litteram sono ormai costretti a
ammettere che laptop e mediateca stanno radicalmente
cambiando il contesto in cui ha regnato per secoli il
principio guida della scolarizzazione delle masse: una
linea di produzione di conoscenze già predisposte,
quindi fatalmente non al passo con i tempi, da imporre
come materie esclusive di studio con una prima fase,
una successiva e ulteriori scalini in funzione degli
specifici traguardi da conseguire.
Questo perché ora giovani e non più giovani dispongono
di un tool attraverso il quale imparare, comunicare,
rilassarsi e divertirsi; il tutto in momenti diversificati
ma non scissi gli uni dagli altri.
Dunque non qualcosa ma molto si muove nel senso e
nella prospettiva del visionario dell’altro secolo.
Le stesse lezioni “istituzionali” includono sempre più
compiti basati su progetti e persino i classici banchi
sono sistemati in funzione delle analisi da effettuare.
Il docente ha dismesso il ruolo di interlocutore unico del
sapere grazie agli addendi tecnologici che consentono di
acquisire molte più nozioni con personali programmi di
ricerca interloquendo con quanti indagano il medesimo
filone di conoscenze, nei luoghi più diversi e magari per
finalità di tutt’altro genere.
Siamo, per dirla in sintesi, a mezzo di una rivoluzione
117
Tra passato e futuro
della didattica della quale si fa finta di non accorgersi;
ma la rivoluzione è in atto ed è destinata a incidere sul
cosa, sul come e sul quando apprendere.
Ne discende che c’era una volta – appunto - la società
scolarizzata, all’interno della quale ci si preparava alla
vita adulta con pacchetti variamente articolati di nozioni
e temi preconfezionati, conclusi con l’ufficialità di un
pezzo di carta palesemente anacronistico per il semplice
motivo che ha perso la sua funzione di passpartout.
Perciò anche a non dirlo il salto c’è: da un predefinito
mix di esperienze, frutto di analisi e prove codificate in
spazi e tempi sempre meno relazionabili al presente, si è
passati a conoscenze da acquisire in modo permanente
attraverso la multimedialità in cui si veicolano scelte,
opzioni, analisi e si sviluppano processi formativi; il
tutto completamente al di fuori degli ambiti chiusi della
cultura ancient regime e della scolarità classica.
Senza dire che su tali autostrade assolutamente aperte
le conoscenze si possono arricchire ad una velocità che
non teme confronti.
Ecco perché l’apprendimento non potrà più concentrarsi
nella prima fase dell’esistenza ma occorrerà gestire in
continuità l’informazione, trasformarla in competenza e
sperimentarla in contesti di complessità crescente, in
evoluzione accelerata e fruibile sia faccia a faccia che a
distanza.
Con le reti telematiche e informatiche sono già realtà
l’assistenza tutoriale e l’utilizzazione di satelliti e reti
come fossero delle strade per veicolare all’utente lezioni,
mix multimedia,sistemi di autovalutazione, banche dati.
118
Tra passato e futuro
L’ambiente educativo tradizionale è perciò in via di
sostanziale rimozione, malgrado le resistenze infinite a
spostare una piega dell’esistente per ragioni facilmente
intuibili.
Per quanto tempo sarà però possibile un atteggiamento
siffatto? I modelli sincronici e diacronici operano ormai a
tutto campo: nel primo caso per seguire da casa o dal
posto di lavoro – in diretta – le lezioni quotidianamente
svolte in sedi qualificate come “fonti” della formazione,
con interazione in tempo reale docente/studente; nel
secondo per ricevere e registrare le lezioni d’interesse,
con annessi eventuali prodotti multimediali, insieme a
testi e software didattici, suscettibili a loro volta di
approfondimenti attraverso progressioni personalizzate.
Il futuro, che inizia sempre prima di acc orgersene,
ha introdotto di fatto in parallelo alle strutture in essere
la classe virtuale in cui non solo riprodurre attività di
insegnamento e apprendimento ma anche incrementare
le informazioni, attivando una molteplicità di legami tra
soggetti con esperienze derivate da ambienti formativi
eterogenei.
Stanno radicalmente evolvendo pure figura e ruolo
dell’insegnante: non più docente che istruisce la platea
dei discenti ma una delle loro guide sulla scena del
sapere; esecutore e interprete - lui per primo - di un
brogliaccio da tenere costantemente aggiornato, anche
recependo l’indotto dal confronto con gli interlocutori in
spazi e tempi sovrapponibili e intercambiabili.
119
Tra passato e futuro
Senza ismi
Astratto collettivo, fazione, sistema dottrinario: sono i tre
significati dati da Giovanni Flechia, linguista, al suffisso
ismo al suo primo approccio, nel lontano Ottocento, nei
moderni idiomi.
Da lì in poi non ci ha messo molto ad appuntarsi in coda
a tante parole dell’intero vocabolario plurilingue. Con
una connotazione di base: non consente chiavi di lettura
diversificate al concetto al quale si lega, che inquadra in
una logica di per sé totalizzante.
Dall’ideologia - marxismo, liberalismo, fascismo – alla
economia - consumismo, capitalismo, libero scambismo al pensare laico, all’arte pittorica e a tanto altro che ci è
familiare, l’ismo impedisce di fatto all’espressione a cui
si aggancia di adeguarsi alla poliedricità delle situazioni
in essere, proprio per volerle definire senza possibilità di
appello.
Questa sua rigidità – tanto connaturata quanto insistita
– non ha giovato alle tesi, alle mode, ai programmi che lo
hanno messo in campo. Con il risultato che – ad una
affermazione iniziale, spesso sull’onda di parole guida è immancabilmente seguito l’invecchiamento precoce o
la messa in un canto al primo affacciarsi di un ismo
neanche alternativo ma concorrente.
Malgrado gli handicap congeniti, bisogna riconoscere
che la catena degli ismi ha non solo moltiplicato i suoi
anelli ma avuto ruoli di primo piano, in particolare in
politica, nello spicchio di pianeta dal quale, negli ultimi
due secoli, si è governato il resto.
120
Tra passato e futuro
Ora non è più così anche se, specie l a d d o v e s i mira
più che a convincere a suggestionare dividendo, c’è chi
si ostina a richiamare l’uno o l’altro di quelli che ebbero
più fortuna, nella speranza di far scattare nell’uditorio
diretto l’applauso e di suscitare in quello indotto dai
media reazioni del pari coinvolgenti.
Talvolta può ancora succedere ma se avviene è per un
riflesso condizionato, un omaggio irrituale alla bandiera
di una volta.
E’ acclarato infatti che la “matrice” non riesce più a
trarne forza dirimente o capacità persuasiva c o m e
50 o 60 anni fa, quando bastava appiccicarlo all’ultima
idea che fosse per avere una ribalta e provocare una
scia di seguaci di questo o quel partito, di questo o quel
pennello, di questa o quella teoria economica.
Quante se ne sono raccontate appellandosi alla sua
magia, perché di magia doveva trattarsi non essendo
altrimenti spiegabile come un modo personale e talvolta
geniale di proporre luci e colori in un quadro potesse
portare alla fondazione di una scuola di pensiero su
come dipingere, giudicata da certuni migliore o più
avanti di altre; o un teorema politico – necessariamente
agganciato ad una cultura dominante o emergente e in
ogni caso a contingenze date – assurgere a via maestra
di cambiamenti epocali buoni per la collettività intera,
compresi gli acerrimi oppositori impegnati a loro volta
a dimostrare l’esatto contrario.
Anche qui si fa semplicemente finta di non accorgersene
ma è come se fossero stati tumulati.
Semmai non si sa chi abbia messo l’ultima pietra di
121
Tra passato e futuro
quel tumulo e se, facendolo, si sia posto l’encomiabile
obiettivo finale.
Sta di fatto che ormai gli ismi sono sottoterra e così sia.
122
Tra passato e futuro
Con Gesù e Buddha
Gesù e Buddha si sono finalmente liberati dei rituali in
cui li avevano costretti, fino a soffocarli, da millenni e
se dio vuole circolano senza quei fardelli sulle strade
della vita percorse da ciascuno.
Così i nudi pensieri di questi personaggi straordinari
possono – in diretta personale ed esclusiva – venire in
soccorso di ogni persona, che abbia perso fiducia in se
stessa o non si ritrovi in quello che fa.
Con quali effetti, ci si chiederà? Uno su tutti: sentirsi
o risentirsi demiurghi del proprio destino e vivere il
quotidiano senza il concorso di demiurghi supplenti
comunque protocollati.
L’insegnamento che hanno lasciato, da umani a umani,
aiuta poi a procedere lungo il proprio personale asse
non più costretto e sovente soffocato da presunte vie
maestre predefinite, scorciatoie o agganci privilegiati di
alcun tipo.
Al cuore del messaggio dell’ebreo finito (forse) crocifisso
c’è infatti la persona: insieme irripetibile di aspirazioni
ed emozioni attraverso le quali definire il rapporto con il
proprio essere e il mistero che lo governa.
500 anni prima, l’Altissimo aveva anticipato la stessa
linea guida nella sintesi mirabile del suo estremo lascito
all’umanità, racchiuso nelle parole rivolte a quanti lo
attorniavano negli ultimi istanti di vita.
“Tutti voi siete il Buddha”, avrebbe detto il nostro. Sia
vero o no, non sposta perché non c’è differenza, nel suo
pensiero, tra gli insiemi che viaggiano - in parallelo alla
123
Tra passato e futuro
realtà fisica – nei rispettivi infiniti interiori orfani di
preti, guru, autorità supreme decidenti cosa sia giusto o
sbagliato, o di fonti esterne alle quali attribuire colpe o
da implorare per chissà cosa.
Nessuna prescrizione/comandamento, salvo l’adoperarsi
per un contatto/approdo permanente con l’immutabile e
l’indefinibile di cui, nell’apparente divenire, si percepisce
la presenza vuoi nella mente, vuoi nel cuore.
Riferimenti invarianti mente/cuore non avendo il tempio
di Gesù, di Buddha e di ciascuno di noi uno spazio e un
tempo in cui limitarsi.
124
Tra passato e futuro
Disuguaglianze allo specchio
Il relazionarsi nella comune, grande casa virtuale sta
mettendo anche più a nudo, se possibile, i nervi scoperti
di larghissime fette di umanità, più che mai alle prese
con l’handicap congenito, il vero tallone d’Achille di una
civiltà cresciuta zoppa anche e soprattutto per questa
causa.
Ha un nome tale handicap: le disuguaglianze.
Dai tempi biblici sono declinate al plurale per essere
tante e a v e r s e g m e n t a t o dall’inizio persone e
assetti sociali in modo sovente intollerabile.
“E’ il solito mondo”, si obietterà per darci un taglio. No che
non è lo stesso! Adesso è miniaturizzato su miliardi di
display in cui si vede tutto, si è al corrente di tutto e i
confronti si fanno in continuazione su tutto. E’ fatale
quindi che le disuguaglianze più stridenti – proprio per
essere sfacciatamente visibili - ingenerino, molto più che
in passato, irrefrenabili impulsi a mettere in discussione
i concetti fondanti di una civiltà nella quale non solo
ciò è stato ed è permesso ma viene orgogliosamente
esibito.
Un paio di dati macro fotografano l’entità e la portata
per così dire globali delle disuguaglianze in discorso:
oltre il 90% della popolazione mondiale vive con un po’
meno delle risorse economiche del residuo 8/9%, a
sua volta scomponibile in 4/5 sottogruppi con capacità
di guadagno e di spesa a salire, fino ai nababbi blindati
in énclave dove si passa il tempo tra sperperi faraonici
o a ritoccare e truccare secondo le proprie voglie la
125
Tra passato e futuro
natura per farne paradisi artefatti.
A dirla intera si fa persino di peggio esibendo quegli
oltraggi al senso della misura davanti agli occhi di
quanti vivono in tutt’altre condizioni.
Questo grazie ai media che, con squillanti esclusive,
arrivano a paragonarli al mitico Eden, quasi avessero
qualcosa in comune con il favoloso anticipo (ove mai ci
fosse stato) in cui non esistevano sostanziali differenze
nei fronzoli con cui si accompagnava l’esistenza e di
conseguenza non c’era motivo alcuno di farsi vanto di
quelli personalmente gestiti o di blindare alcunché.
126
Tra passato e futuro
____________________Terza
parte_______________
Paure e speranze di mezzo
Apocalisse: bufale e rischi latenti
Ufo: le evidenze
Glifi in un campo di grano
Un Dna in mutazione?
Una pesante autocritica
127
Tra passato e futuro
128
Tra passato e futuro
L’apocalisse: bufale e rischi latenti
C’eravamo dati l’ennesima scadenza, con tanto di mese
e giorno: 21 dicembre 2012.
Avrebbe dovuto segnare il punto di svolta, atteso sotto
traccia tra gente che non t’immagini, con annesso carico
di paure legate alla prospettiva di venire cancellati dalla
faccia della Terra. E invece è stata una sera come tante.
A memoria storica, solo a fine anno 1000 la bufala fu
analoga. Allora c’era il timore del “mille e non più di
mille” a far tremare le vene e i polsi a una parte molto
piccola, scarsamente istruita e molto peggio informata
della popolazione mondiale.
Si era nella ridotta di un’Europa inselvatichita da secoli
di barbarie, tanto che non ci sono cronache dettagliate
in merito ma sicuramente nei castelli, nei borghi e nei
monasteri quel 1o gennaio 1001 devono aver tirato un
grosso sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.
Pure i mancati profeti di sventura uscirono indenni
dall’aver male interpretato un semplice detto, non si sa
neppure da chi coniato.
Da notare invece che lo sballo contemporaneo non è
dipeso da un altro detto ma dalla fine di uno dei tre
conteggi del tempo da parte di un popolo che aveva
conoscenze astronomiche di assoluto livello.
Si tratta, è arcinoto, dei maya che ai calendari religioso e
solare aggiungevano l’incriminato di “ lungo computo”,
in scadenza appunto il 21 dicembre 2012.
Il bello è che non se ne sa nulla di tale calendario, a
cominciare dal perché fosse di ben 5129 anni e di cosa
129
Tra passato e futuro
avesse di speciale l’11 agosto del 3114 a.C. vale a dire il
primo dei suoi giorni.
La “buca” manifesta non può peraltro far sottovalutare
i pericoli che corre la Terra per essere relativamente
vicina sia al Sole che alla fascia di asteroidi gravitanti
tra Marte e Giove.
In particolare la luce che ci dona la vita si porta dietro
i solar flares, immani esplosioni che si verificano sulla
corona solare dilatando plasma a temperature di decine
di milioni di gradi Kelvins a enormi distanze.
Il più delle volte i filamenti incandescenti (lo spettacolo è
indimenticabile a osservarlo dal vivo in un osservatorio
astronomico) ricadono nella nativa fornace; cosa che non
è pacifico succeda in presenza di eccezionali fiammate - i
mega flares - in grado potenzialmente di scaricare su
pianeti vicini terrificanti ondate distruttive.
Nel 1989 un flare appena più potente di quelli che
provocano aurore boreali e australi, sfiorò parte del Nord
America in condizioni meteorologiche molto particolari.
Era notte e per qualche minuto il cielo venne coperto da
filamenti rosso fuoco. Ma non fu soltanto uno spettacolo:
bruciarono linee elettriche, saltarono reti di connessione
e in vastissime aree fu black out totale.
Per dire che basta poco a far andare in tilt una civiltà
industriale per i delicatissimi snodi dai quali dipende la
sua efficienza.
Per far danni inestimabili all’agricoltura ci vuole anche
meno. Cent’anni fa un’eruzione vulcanica, più forte della
media di quelle che si alternano nell’arcipelago delle
Filippine, abbassò di un paio di gradi la temperatura
130
Tra passato e futuro
nella fascia sub equatoriale per decenni, provocando un
drastico calo delle produzioni agricole non solo in aree
limitrofe.
Altro rischio da non sottovalutare: sono 170 i crateri
da impatto a c c e r ta ti sulla Terra. Il più grande è in
Arizona; l’ultimo – che avrebbe formato un lago per una
equipe italiana - è avvenuto il 30 giugno 1908 in una
regione d i s a bi ta ta della Siberia centrale, nei pressi
del fiume Tunguska.
Le cronache dell’epoca raccontano di un’onda d’urto –
seguita all’esplosione a mezz’aria o all’impatto – che si
calcola abbia abbattuto 80 milioni di alberi in un raggio
di 2000 chilometri quadrati e rischiato di far deragliare
la Transiberiana a 600 chilometri dall’evento, mentre a
Londra si fece giorno in piena notte per alcuni minuti.
Non si è ancora potuto accertare in via definitiva se a
provocare l’evento sia stata una piccola cometa, esplosa
a 5/6 chilometri di altezza, o un asteroide di dimensioni
modeste che, schiantandosi, abbia creato l’invaso di
cui sopra.
Se la terrificante folata si fosse abbattuta su un’area
densamente popolata, non saremmo forse qui a parlare
della più grande tragedia dell’umanità in epoca storica?
Quando la storia nessuno poteva scriverla, 65 milioni di
anni fa, un asteroide di medie dimensioni (10 chilometri
di diametro) impattò la punta estrema della penisola
dello Yucatan.
La sua potenza esplosiva fu mille volte superiore a
quella dell’intero arsenale atomico: scavò un cratere
del diametro di 180 chilometri, sollevò una nube di
131
Tra passato e futuro
polvere che impedì ai raggi solari di raggiungere la
superficie per anni ed anni, fece strage in poche ore di
almeno i 2/3 delle specie viventi.
Sicuri che non è più successo?
Cosa allora ha pietrificato le sabbie del deserto del
Sahara per migliaia di chilometri quadrati tra Egitto e
Sudan?
Gli stessi astrofisici ammettono che ogni mezzo milione
di anni la Terra corre il serio rischio di venire “toccata”
da un corpo celeste vagante nella cosiddetta fascia
degli asteroidi.
Facendo i debiti scongiuri, se un sasso grande come un
campo di calcio ci venisse addosso da lì, provocherebbe
un devastante salto all’ indietro della qualità della vita
per i superstiti. Potrebbe anche causare lo spostamento
dell’asse terrestre ed è probabile ci fossimo l’ultima volta
che accadde.
In Egitto,sul soffitto della tomba di Senmut, architetto
della regina Hatsepsut (i due si erano legati in segreto
per la vita)sono riportate due carte celesti: una con i
punti cardinali disposti come sono oggi, l’altra con l’Est
a sinistra e l’Ovest a destra; il che porta a concludere
senza eccessivo azzardo che gli esseri umani abbiano o
vissuto o avuto testimonianze certe di un tempo in cui
la Terra si era capovolta.
Per gli scienziati le avvisaglie di un prossimo, rilevante
spostamento dei poli magnetici ci sono tutte.
Con quali effetti? Impossibile quantificarlo. L’ultima
inversione v i e n e f a t t a r i s a l i r e a mezzo milione di
anni fa per la magnetizzazione in senso opposto a quello
132
Tra passato e futuro
attuale delle rocce basaltiche proiettate in superficie nel
corso di eruzioni vulcaniche di epoche antecedenti.
Sempre a proposito di rischi incombenti, c’è infine da
tener presente quello che viene dal percorso seguito
dalla Terra all’interno della galassia, lungo il quale i
pericoli di impatto con asteroidi e comete possono o
diminuire o accentuarsi.
Al momento è la seconda prospettiva a tenere banco non
solo a stare a Graham Hancock, che affronta il tema in
uno dei suoi libri più letti e apprezzati, “L’enigma di
Marte”, di cui segue uno stralcio.
“Il Sole completa l’orbita attorno al nucleo galattico in
circa 250 milioni di anni. Il suo “peregrinare” - simile al
movimento dei cavalli da giostra o al modo di nuotare di
un delfino – lo porta periodicamente (ogni 30 milioni di
anni,ndr) a “risalire” il piano centrale della galassia, per
poi “nuotarvi” in mezzo ed “emergere” al di sotto.
“ In questo suo corso senza fine - con la Nube di Oort, la
Fascia di Kuiper (aree del sistema solare con asteroidi,
ndr), Marte, la Terra e gli altri pianeti – ha due incontri
a rischio proprio nella zona piatta, dove la maggior parte
del materiale cosmico libero tende a gravitare: le Braccia
spirali e le Nubi molecolari giganti.
“Le prime – considerate nursery di comete interstellari, di
cui favoriscono l’aggregazione grazie ai gas molto caldi
che vi si condensano – contengono materiali in tutte le
forme possibili: dal gas etereo ai granelli di polvere, a
oggetti grandi come la Luna.
“Le Gigantic Molecular Clouds hanno un diametro medio
di cento anni luce e una massa almeno mezzo milione di
133
Tra passato e futuro
volte quella del Sole.
“ L’attraversamento della GMC ha effetti profondamente
destabilizzanti sulla Nube di Oort: strappa via lo strato
esterno dell’involucro di molte delle comete lì stazionanti,
mentre le sue immense onde gravitazionali ne spingono
altre a varcare i confini del sistema planetario.
“Di queste, alcune entrano nella Fascia di Kuiper, una
specie di limbo in cui possono rimanere milioni di anni
prima di ricadere verso il centro; altre sono direttamente
fagocitate da uno dei grandi pianeti, che le proiettano su
quelli interni.
“Il passaggio in un Braccio spirale ha effetti altrettanto
sconvolgenti perché la Nube di Oort si arricchisce di
nuove comete interstellari e di corpi solidi cresciuti nel
Braccio medesimo e le masse subentrate forzano molte
comete fuori dalla Nube. Univoca la direzione di questo
potenziale d’impatto terrificante: i pianeti interni, investiti
da ondate distruttive che possono prolungarsi (ogni volta)
per migliaia di anni.
“L’estinzione dei dinosauri fu provocata da una cometa
gigante che - precipitata nel sistema solare interno – si
avvicinò a Giove quel tanto che bastava per essere ridotta
in mille pezzi. Dopo ripetuti incroci in un arco di tempo
breve (100.000 anni), un frammento del corpo celeste
impattò la Terra.
“Un episodio non isolato perché, negli ultimi 100 milioni di
anni, estinzioni di massa non altrimenti spiegabili sono
avvenute 94.5, 65 e 36.9 milioni di anni fa.
Sono pertanto tutt’altro che degli sprovveduti quanti
– avendone le disponibilità finanziarie - si sono preparati
134
Tra passato e futuro
e si preparano senza chiasso ad un per ora ipotetico
disastro planetario costruendosi rifugi a prova sia di
atomica che di asteroide.
Non sono da meno governi e vertici militari delle super
potenze che hanno posto e pongono molta cura nella
realizzazione di strutture ultra protette in cui rifugiarsi
in caso di necessità.
Al resto dell’umanità rimane la magra consolazione che
non solo tali élite sopravviveranno alla temuta
catastrofe planetaria.
In caveau in cemento armato realizzati nel permafrost
delle Isole Svalbard, in Norvegia, sono immagazzinate
4,5 milioni di sementi appartenenti a tre milioni di
specie vegetali.
A chi, tra i non privilegiati di cui sopra, fosse (dopo) nei
pressi sarebbe pertanto assicurata una ricca e varia
alimentazione vegetariana.
135
Tra passato e futuro
Ufo: le evidenze
Prima evidenza Non siamo soli nell’universo e chi si
ostina a pensare il contrario presume troppo di sé.
Seconda evidenza Non lo siamo neppure a casa nostra,
dato il via vai di presenze parallele tra cielo e terra alla
portata di un qualsiasi telefonino munito di telecamera.
Terza evidenza Tali presenze non si presentano come
imporrebbero le regole della diplomazia per la semplice
ragione che vivono in un creato multidimensionale e
viaggiano nel tempo per cui l’interesse per ciò che siamo
e rappresentiamo è ai minimi termini.
Quarta evidenza I governi non sanno più cosa inventarsi
nel tentativo, sempre più goffo, di smentire ciò che non
è oggettivamente smentibile: la loro presenza “parallela”.
In conversazioni tenute riservate giustificano la cosa con
la preoccupazione che i suddetti soggetti possano avere
intenzioni aggressive e non si vuole creare panico.
A parte il fatto che il silenzio sul tema non ci difende, è
una balla colossale e del tutto ingiustificata: con tante
conoscenze e capacità in più, della aggressività come la
intendiamo e pratichiamo il loro Dna non può non aver
perso ogni traccia.
Viene un paragone grossolano noi/loro: è un po’ come
se incontrassimo per strada un ominoide, restato tale
negli ultimi 5/6 milioni di anni. Staremmo forse lì a
sfidarlo o lo porteremmo, dopo averlo anestetizzato, in
un laboratorio di analisi per riscoprire dal vivo tutti i
dettagli di come eravamo?
La quinta evidenza necessita di una presentazione più
136
Tra passato e futuro
articolata.
Se – poniamo - una bella mattina un’enorme astronave
si posizionasse appena qualche decina di metri sopra il
grattacielo più alto di Central Park, in una New York
appena sveglia, nel primo pomeriggio il mondo sarebbe
lo stesso o il meglio della spiritualità, della cultura, della
scienza, della politica, dell’economia verrebbe svilito, se
non schiacciato, dall ’ outing di una realtà avanzata in
misura incomparabile che si conceda ad un fermo
immagine?
Mi pare di sentirli gli ufologi replicare affannati e più o
meno in coro: “Che bisogno c’è di spettacolari atterraggi
visto che le prove ci sono, anzi abbondano”?
E giù a snocciolarle: piloti con decenni di esperienza di
volo che dichiarano sotto giuramento di aver avvistato
degli Ufo; video di Ufo che disegnano nei cieli traiettorie
impossibili per qualsiasi veicolo terrestre; riprese Nasa e
registrazioni dei dialoghi di astronauti a tu per tu con
lumie varie.
Si riporterà appresso la più celebre di queste ultime ma
la questione vera non è sulle prove bensì sulle reazioni
che un’ammissione esplicita e incontrovertibile di tali
presenze provocherebbe nell’opinione pubblica su tutto
il pianeta.
D’altra parte, se i vertici degli Stati più rappresentativi si
destreggiano da decenni tra silenzi pieni di imbarazzo e
secche smentite, fatte talvolta sull’onda dell’ultimo falso
confezionato allo scopo, dovrebbe venire il sospetto che
si tratti di un’ambiguità in certo qual modo imposta, per
dirla in politichese, dal “contesto”.
137
Tra passato e futuro
Dunque non si dice ma si sa: sono da sempre nell’altra
stanza e socchiudono – a loro piacimento - la porticina
che ci separa, se ritengono di entrare a casa nostra, che
poi non è solo nostra. Eccola l’evidenza finale.
Ciò posto, la cosa che al presente stuzzica scienziati e
vertici militari in particolare è come facciano a coprire
immense distanze cosmiche in tempi ragionevoli.
Pianeti sui quali sia possibile la vita li scopriremo a
breve ma si tratterà comunque di realtà che distano
centinaia se non migliaia di anni luce da noi.
Per darsi una spiegazione verrebbe di primo acchito da
pensare che siano in grado di viaggiare nello spazio a
velocità superiori a quella della luce, se non fosse che la
maggioranza dei fisici lo esclude.
Restano perciò gli warmholes: tunnel spazio/temporali
funzionanti come “scorciatoie”, in quanto si ritiene che
al loro interno il tempo si dovrebbe quasi fermare.
Di conseguenza i galattici (fatto salvo che non siano dei
robot) ne uscirebbero vecchi di qualche mese dalla
partenza mentre nei pianeti di destinazione sarebbero
nel frattempo trascorse ere su ere. Ecco un’altra ragione
della difficoltà del rapporto.
Molti si chiedono anche cosa si nasconda dentro quei
punti luce che vorticano in cielo; sono talmente piccoli
da far presumere che possano contenere al loro interno
solo mini equipaggi formato pedina.
Il sospetto è che riescano non solo a deviare gli impulsi
radar ma anche ad impedire agli occasionali testimoni di
accorgersi delle grandi e silenti astronavi che scorrono
maestose sopra le loro teste fisse su quei punti luce,
138
Tra passato e futuro
minimi riflessi rientranti nello spettro visibile ad occhi
umani.
Per dirne un’altra, si sa che i loro dischi o “sigari” non
volano ma fluttuano su “isole antigravitazionali” nello
spazio. A riprova del fatto che vorremmo tanto poterli
imitare, in laboratori segretissimi di diversi paesi è in
atto la corsa, senza esclusione di colpi, a chi realizza
un prototipo con prestazioni almeno vagamente similari.
Si vive così l’eterna vigilia aliena, tra ufologi che alzano
continuamente il tiro e governi che fanno, per le ragioni
evidenziate, orecchi da mercante.
Due “perle” di un’attesa destinata a rimanere tale. La
prima è rappresentata dal testo del concitato dialogo tra
la navicella guidata dallo scomparso Neil Armstrong e la
base Nasa quarant’anni fa:
Nasa: Cosa c’è?
Neil Armstrong: “Ci sono quei cosi. Sono enormi, mio Dio!
Enormi! Da non credere! Vi dico che stiamo vedendo
altre navicelle qui fuori. Sono sul bordo del cratere! Sono
sulla Luna e ci stanno osservando”.
La seconda chiama in causa il modello di “carro armato”
del Codice Leicester di Leonardo, che assomiglia in modo
impressionante al veicolo di cui parla Ezechiele.
Bill Gates, che ha acquistato il Codice, deve aver notato
l’innegabile analogia perché ha utilizzato il disegno di
Leonardo per uno screen saver in cui il “carro” esce di
pagina e vola via.
E la gente, che pensa la gente senza etichette degli Ufo?
In generale rifiuta di fare ipotesi ma sogna di veder
apparire in lontananza un giorno o l’altro n e i n o s tr i
139
Tra passato e futuro
c i e l i s up e r tr a f f ic a ti luci intense e strutture
armoniose che scendano di quota per planare magari a
due passi dalle loro case e annunciare un nuovo inizio
di civiltà.
In fondo l’attesa degli Ufo nasce da tale speranza.
140
Tra passato e futuro
Glifi in un campo di grano
I crop circles sono forme – talvolta stupende - generate
dalla piegatura di spighe del grano maturo. Si possono
ammirare dall’alto di una collina o sorvolandoli e fanno
notizia da almeno quarant’anni perché tanto è il tempo
che se ne parla senza venire a capo di come si formino,
se siano una inedita forma di comunicazione e, in tal
caso, quale ne sia la chiave di lettura.
Su quelli giudicati autentici (perché c’è chi s’industria
in imitazioni) gli steli non sono pressati come avverrebbe
a seguito di uno schiacciamento ma piegati.
La innaturale posizione è dovuta al rigonfiamento del
primo nodulo del gambo della spiga che ne modifica lo
assetto, pur non impedendole di continuare a crescere
fino a maturazione. Talvolta si producono microdanni
alle pareti cellulari delle spighe mature mentre nelle più
giovani avvengono lievi rigonfiamenti.
Nei crop circles si è accertata e documentata la presenza
di polveri di:
- ferro meteorico con una concentrazione anche 600
volte maggiore di quella riscontrata in terreni poco
distanti, a riprova dell’esistenza di un campo magnetico
molto forte al momento della loro creazione;
- quarzo purissimo che – osservato al buio – tende ad
assumere una fosforescenza giallo/verde, anche se non
vi sono tracce di fosforo o fluoro, gli unici elementi in
natura che producano un effetto del genere.
Se si gira di buon mattino all’interno di un crop circle,
venuto su qualche ora prima, è impossibile non notare il
141
Tra passato e futuro
terreno più caldo al centro del glifo rispetto ai suoi
margini e l’autentica strage di insetti al suolo o ancora
sugli steli.
Questi segni sarebbero per i più conseguenza del calore
irradiato – dall’alto – dalle BOL, acronimo di Ball of
lights (le hanno pure filmate ma c’è il forte sospetto di
abili contraffazioni) su una zona circoscritta del campo,
dove in contemporanea la piegatura delle spighe si auto
modulerebbe (!!!) in modo (inspiegabilmente) coordinato
fino a realizzare forme di straordinario impatto visivo.
Una spiegazione, questa, che infittisce il mistero perché
è il primo modulo del gambo (prossimo al terreno) che,
rigonfiandosi, fa reclinare la spiga e in pratica compone
il glifo.
Sostenere poi che al risultato si arriverebbe attraverso
una auto modulazione delle spighe è come accreditare
fantasie su squarci o strappi da superiori dimensioni di
intelligenze extra terrestri preoccupate dei nostri destini.
Chissà mai perché.
Più concretamente, qualcuno si è chiesto perché i crop
circles appaiano – anno dopo anno – per lo più negli
stessi posti, ricavandone due costanti: l’abbondanza
d’acqua nelle falde sottostanti i terreni sui quali si
materializzano e la presenza nelle immediate vicinanze
di templi, eremi o comunque di vestigia del passato.
Perché?
Per spiegarlo occorre riandare ai rabdomanti dei
millenni trascorsi che inseguivano (come fanno i pochi
tuttora del mestiere) i percorsi sotterranei dell’acqua,
ritenendoli i mezzi di trasporto privilegiati dalla forza
142
Tra passato e futuro
potente e benefica che risale dal cuore della Terra per
concentrarsi in massimo grado in “ombelichi”, gli
omphatos, in cui convergono i principi vibrazionali legati
al Prana (il soffio vitale descritto nei Veda) creatore del
suono primordiale AUM.
C’è persino una guida alla corretta pronuncia di
tale suono: la A deve salire dal profondo dell’essere, la U
uscire a lingua rovesciata, la M terminare a labbra
chiuse e l’insieme, il quarto suono, evocare la sorgente
del pensiero dove tutto torna uno, essendo la nostra
realtà – per quell’antica sapienza - il presente di un’onda
(sonora) senza inizio né fine.
La pensava allo stesso modo pure l’ebreo Joshua.
Vangelo di Tommaso (22): “Quando di due farete uno,
quando considererete l’esterno come l’interno e il sopra
come il sotto, quando del maschio e della femmina farete
unità, cosicché il maschio non sia maschio e la femmina
non sia femmina, quando considererete due occhi come
unità d’occhio, due mani come unità di mano, due piedi
come unità di piede e due immagini come unità di
immagine, allora entrerete nel Regno”.
Non se ne discosta il vangelo di Giovanni, aperto da un
lapidario “In principio era il Verbo/Il Verbo era presso
Dio/Il Verbo era Dio”.
Si rischiano pesanti ironie a chiedersi se l’AUM sia
percepibile nei nostri rumorosi e indaffarati giorni.
Eppure lo ha richiamato l’annuncio - dato nel 2000 da
cosmologi della Ucla di Los Angeles - della scoperta di
una vibrazione di fondo del cosmo “con un suono simile
all’oboe”.
143
Tra passato e futuro
Tornando all’abbondanza d’acqua che favorirebbe la
creazione di crop circle, l’archeologo dilettante Alfred
Watkins sostenne negli anni venti che i siti megalitici
della sua Inghilterra seguono tracciati convoglianti la
energia del pianeta. Li chiamò leylines (linee della
prateria), versione aggiornata degli antichi omphatos.
Ne viene l’ipotesi che i crop circles nascano dall’effetto
congiunto del campo magnetico terrestre amplificato
dalla riverberazione dell’acqua, in particolare agli
incroci di omphatos/leylines.
Si genererebbero in tale modo vere e proprie onde di
energia che, risalendo dal sottosuolo, riprodurrebbero
in situazioni adatte (un campo di grano maturo) forme
preesistenti in natura attraverso un procedimento di
copia/incolla.
Per tale linea di pensiero le figurazioni che appaiono in
estate su campi di grano maturo dimostrerebbero perciò
che il pianeta condivide un alfabeto naturale espresso
nelle forme della Geometria Sacra cara a Pitagora,
Platone e da ultimo a Keplero, che ne ha riproposto la
matrice universale con parole che paiono scolpite, tanto
sono nette.
“La geometria” – ebbe a dichiarare il grande scienziato –
“precede la creazione delle cose, eterna come lo spirito di
Dio; anzi la geometria è Dio stesso che ne ha utilizzato gli
archetipi per la creazione del mondo”.
C’è qualcosa di vero o attendibile nella teoria esposta?
Probabilmente tanto. Ecco perché.
Oggi si fa sempre più strada negli ambienti scientifici
l’ipotesi che una maglia di energie “sottili” si sviluppi a
144
Tra passato e futuro
rete in lungo e in largo nel sottosuolo, acquisendo forza
in predeterminati punti di confluenza.
A spingere in tale direzione sono le nuove conoscenze
legate alla dinamica dei fluidi, alle onde vibrazionali e
alla interazione tra esse e la materia. Cognizioni queste
che gli estensori della Genesi debbono aver ripreso da
qualche parte, là dove affermano che è stata appunto
l’interazione suono/materia a dare il via a ciò che siamo.
Al riguardo non fa testo la versione greca - “Dio disse:
sia la luce e luce fu” - ma traduzione letterale dall’ebraico
antico che così recita: Aleohim disse, dichiarò il principio
della luce attraverso il suono … e la luce fu e l’universo
apparve e iniziò”.
Ad approfondire in modo sistematico l’interazione in
parola sono gli esperti della Cimatica (dal greco Kyma,
onda), una scienza praticamente agli esordi che studia le
forze del campo vibrazionale e i modi, impensabili pochi
decenni addietro, con cui il suono struttura la materia,
imponendole simboli e schemi che viene da credere
siano a monte di entrambi.
Su polveri sottili ogni frequenza data, lungi dal lasciare
tracce caotiche, si traduce in simboli geometrici correlati
all’ampiezza della pulsazione: si spazia dal cerchio con
punto centrale a forme complesse e al “Fiore della vita”
in cui la visione esoterica vede rappresentata la natura
duale di ogni vivente, con le energie uguali e opposte
che concorrono a formarlo.
Su campioni d’acqua, collocati tra due altoparlanti nel
corso di un concerto, il suono rimanda spesso immagini
di grande bellezza ed elevata complessità.
145
Tra passato e futuro
Non sempre peraltro accadrebbe; che debba dipendere
dalla qualità dell’esecuzione?
I cristalli al contrario non fanno discriminazioni. La
rivista Nature ha dato notizia dell’esperimento di alcuni
ricercatori che avevano imposto sequenze di suoni su un
cristallo di litio; dopo un po’, il cristallo ha emesso un
suono identico.
La nuova branca di studi riconosce valenza scientifica,
in via indiretta, all’idea di Platone anzitutto, che così si
espresse sulla forma della Terra: “Vista da sopra, appare
come una palla di cuoio dalle dodici facce”. Sapeva
quindi non solo che era una palla ma le dava la forma
del dodecaedro, l’ultimo dei cinque solidi che portano il
suo nome.
Duecento anni prima Pitagora aveva definito le forme
geometriche musica solidificata.
Se ne trae la costatazione che il progredire della scienza
porta ad imprevisti agganci con il pensiero antico.
Sia una membrana o una stringa, l’universo pulsa e
il sanscrito Nada Brahamana - Il mondo è suono - torna
d’attualità. L’idea base è che esso sia il prodotto di un
software di geometrie, finalizzato a materializzare una
inarrestabile vocazione creatrice.
146
Tra passato e futuro
Un Dna in mutazione?
Fino a un secolo fa non si aveva la più pallida idea della
onnipresenza della microscopica spirale, niente anima e
tutta biologia, con l’essenziale alla vita in ogni luogo e
forma, creature aliene comprese in quanto della stessa
pasta ma inavvicinabili per le ragioni esposte e anche
perché impegnate in viaggi nel tempo.
Del Dna, questo protagonista venuto alla ribalta negli
ultimi decenni, è noto il 5% dei processi reattivi. Si sa in
particolare che regola tempi e modalità delle proteine da
produrre o da eliminare. Conoscessimo il restante 95%,
alcuni azzardano che sapremmo tanto di più su passato
e futuro.
Esagerano? Non c’è da esserne tanto sicuri specie dopo
che, tre lustri fa, il biologo Leonard Adleman ebbe una
idea che definire all’epoca pazza era il minimo: testare il
mistero di questa serpentina, che riesce difficile pensare
costruita dal caso, per un compito assurdo in apparenza
e comunque estraneo alle sue funzioni “istituzionali”.
E l’incredibile avvenne perché, contro ogni assennata
previsione, il Dna rispose ok.
Che ha fatto Adleman? Incorporò nei microprocessori del
materiale genetico: cellule al posto di silicio.
L’inserimento, coronato da successo, dello schema della
vita nella circuitazione elettrica dei chip e dei computer
ha posto l’alternativa secca e presumibilmente vincente
alla robotica, figlia della civiltà artificiale ritenuta da
alcuni incombente.
Si perché come per incanto, da quella virata radicale di
147
Tra passato e futuro
cui non si è ancora colta appieno la portata, almeno
una quota di futuro fa capolino su un’umanità che deve
dimostrare di volere e sapere starci in mezzo. E per la
verità ci sta provando con la nano/biotecnologia: la vita
e la sua scienza applicate all’ingegneria e all’informatica.
Per adesso il Dna computing aiuta a risolvere problemi
matematici complessi con la “partecipazione attiva” del
batterio Escherichia coli. Ma è niente al confronto di
quanto si prospetta.
Un gruppo di ricercatori della Hebrew University di
Gerusalemme e della University of Liege è riuscito a
sviluppare una piattaforma computazionale, basata sul
Dna, capace di elaborare risposte complesse rispetto
alla presenza/assenza di una serie di stimoli.
Il mattone di base è un biochip a Dna che, come ogni
chip, legge i dati in ingresso (input) ed elabora risposte
(output). Ciò che lo rende impareggiabile è di essere
formato da un'unica molecola, capace di svolgere attività
diverse e di interagire con altri biochip.
Visto quello che è capace di fare, qualcuno è arrivato a
pensare che questo nostro benemerito Dna stia auto
modificandosi. Delirio da fantascienza?
Va sans dire che potrebbe essere ma, prima di rendere
definitivo il giudizio, bisognerebbe riflettere sul fatto che
furono considerate deliri o quasi, nei primi anni seguiti
alla pubblicazione, le cinque paginette con le quali
Albert Einstein, un secolo fa, pose fine al dogma del
tempo e dello spazio invarianti.
Anche Max Planck subì critiche feroci, qualche decina di
anni più tardi, quando mise sul piatto mai pieno della
148
Tra passato e futuro
scienza un’altra fisica, orfana dei medesimi spazio e
tempo, diventati nel frattempo relativi.
Sarebbe perciò da tenere in sospeso la sentenza, allo
stato scontata, perché non lo conosciamo questo Dna
al punto da poter escludere a priori la possibilità che
evolva - senza il permesso di alcuno – i propri codici
biologici.
Lo facesse davvero il dove sarebbe obbligato: la sequenza
che impedisce al doppio sapiens di diventare d a v v e r o
sapiente, cioè di saper adeguare se stesso, i suoi
comportamenti e i fini perseguiti all’ampliarsi delle
conoscenze in divenire.
Potrebbe essersi verificato qualcosa di analogo meno di
10 mila anni fa, cioè quando vivevamo nelle caverne,
grugnivamo più che parlare e se capitava ci si mangiava
l’un l’altro?
Nei centomila/duecentomila anni precedenti (i numeri
ballano facile quando si incappa in sconosciute stagioni
di Gaia) si sarebbe vissuti a quel modo, a fianco o in
conflitto con specie a noi consimili senza combinare
niente di apprezzabile.
Poi di punto in bianco – quasi fosse un appuntamento
concordato – in diverse parti del globo ha preso avvio
il modo di stare al mondo che abbiamo sostanzialmente
tuttora. E’come se all’epoca si fossero passati parola,
decidendo di farla finita con una vita da cavernicoli o
da perenni cacciatori migranti.
Ma si, si sarebbero detti quei nostri dimenticati avi:
basta con le rozzezze di una vita scomodissima, da
selvaggi; è tempo di costruire città, fabbricare arnesi,
149
Tra passato e futuro
imparare a coltivare i campi selezionando le colture più
produttive e di tradurre il modo di comunicare in parole
articolate e in segni con vocali e consonanti, per poter
scrivere e leggere ciò che diciamo.
Siamo seri. Fare tutto ciò nel giro di qualche centinaio
d’anni, in assenza di interventi esterni o al limite della
stessa serpentina che ci da pensiero e forma, beh è
inconcepibile. Solo che nessuno, fino a ieri e peggio se
era ieri l’altro, si è posto il problema.
Oggi, a domanda secca su come fossero stati possibili
quei giganteschi passi in avanti, avvenuti praticamente
in un lampo del tempo terrestre, i più attribuirebbero
il miracolo a qualcuno sopravvissuto a civiltà scomparse
o capitato da fuori, mentre si potrebbero agevolmente
contare quelli per i quali sarebbe stata farina del nostro
sacco, grazie ad una maturazione tanto improvvisa da
avere, appunto, del miracoloso.
Permane in ogni caso un buco conoscitivo grande come
una casa su come sia effettivamente decollata questa
nostra civiltà, sotto il cui ombrello si è raggiunto – tra
geniali accelerazioni e forzate retromarce – il top attuale
sancito nelle auliche sedi.
Ma siamo veramente al top tra le stelle?La risposta che
da la scienza fa cadere le braccia.
Il referto Alla fine di una ricerca approfondita, un
gruppo di scienziati australiani dai nomi autorevoli è
giunto a una conclusione ad un tempo ragionevole e
sbalorditiva: tutti gli astri con caratteristiche simili al
Sole sarebbero, nella nostra galassia, circondati dai
pianeti; il che confermerebbe l’equazione, rimasta negli
150
Tra passato e futuro
annali, del cosmologo e matematico Frank Drake per la
quale sono tra 50.000 e 1.000.000 le civiltà in anticipo
su quella che viviamo e da alcune centinaia a 1000
anni-luce la loro distanza da noi.
La chiave di lettura Negli anni sessanta lo scienziato
dell’allora Unione Sovietica Nikolai Kardashev propose
una classificazione dei livelli di civiltà nell’universo,
basata sulla capacità di gestire l’energia disponibile in
natura.
Ne venne fuori che a livello zero si collocherebbero quelle
in grado di gestire l’energia del pianeta di provenienza;
all’uno l’energia del loro Sole; al due di sistemi stellari;
al tre della galassia di cui fanno parte. Al quarto e ultimo
livello avrebbe, infine, il proprio onnisciente regno la
civiltà padrona dell’energia dell’intero creato.
In un ipotetico confronto galattico saremmo pertanto
al gradino più basso, anche se va rilevato che negli
ultimi tempi le conoscenze si sono estese a dismisura e
hanno portato a ritmi di innovazione tecnologica che
non danno respiro alla vita di tutti i giorni, facendola
correre in avanti in un modo imparagonabile ad ogni
altra stagione dell’era umana.
A rifletterci il mondo odierno è infatti inconfrontabile con
quello di solo trent’anni fa!
Pertanto, le condizioni di base ci sarebbero perché pure
il Dna si desse (di nuovo?) una mossa, non proprio dalla
sera alla mattina ma quasi, inducendo (per quel che
può) gli esseri umani in procinto di venire al mondo a
buttare a mare le sicurezze dei propri nonni e padri.
Esse si stanno rivelando insostenibili gravami, per cui
151
Tra passato e futuro
occorre tuffarsi anima e corpo nella direzione dei nuovi
orizzonti per i quali si stanno ammassando in pensilina i
mezzi tecnologici idonei.
L’umanità di un futuro prossimo, dopo le inevitabili
sbandate che accompagneranno la fine di quello che c’è,
quel treno dovrà necessariamente prenderlo per ripartire
affrancata dai vizi congeniti e dalle contraddizioni che
hanno pesato sul suo passato e non danno sbocchi al
suo presente.
152
Tra passato e futuro
Una pesante autocritica
Diciamocelo: non sarà per niente facile andare incontro
al nuovo portandosi appresso – sul piano individuale paure arcane e sopraggiunte, rancori manifesti o sotto
traccia per promesse ricevute e mancate, speranze a
lungo accarezzate e ormai fuori portata, il tanto che non
si accetta ma non si sa come rimuovere, in definitiva
una larga parte del presente.
A livello collettivo questo si traduce nella sensazione –
avvertita al di là delle differenze di lingua, educazione,
tenore di vita – di essere al capolinea, come si è più volte
sottolineato in queste pagine, di una civiltà che i suoi
meriti li ha avuti ma ha inasprito le differenze, esteso il
disagio sociale, relegato i valori di fondo a formalità da
esibire.
In più essa è appesantita, inflazionata e dunque gravata
dal protagonismo di nanetti che si illudono di svagare o
blandire da scranni d’altri tempi moltitudini per fortuna
sempre più coinvolte nel gigante informatico, la casa
virtuale in cui è a disposizione la diretta per sentirsi in
qualche modo e misura protagonisti.
Assolva o meno la circolazione delle idee nel web anche
alla funzione di traino del nuovo, che peraltro emergerà
comunque sia, è indubbio che essa già contribuisce ad
ingigantire negli animi dei naviganti le negatività del
momento e a rafforzare la convinzione di essersi mossi
col piede sbagliato sin dall’inizio di una breve e troppo
celebrata storia.
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Tra passato e futuro
D’accordo, confrontata con quella degli scimpanzé è da
magnificare ma magari centinaia di migliaia se non
milioni di anni fa qualcuno che ci assomigliava molto
o per niente potrebbe essere vissuto con quest’aria, sotto
questo cielo, con una terra che era terra e un mare che
era mare senza fare guerre, confrontarsi in permanenza
per avere qualcosa in più, circondarsi fino ad esserne
pressoché seppellito da manufatti con deriva di scorie di
ogni tipo.
Questo qualcuno potrebbe essere sparito per decisione
propria e non deve meravigliare più di tanto che possa
essere accaduto perché, se la sua fosse stata una civiltà
veramente super, non è concepibile che si sia confinato
in un’unica terra; anzi, dopo aver soggiornato in una
molteplicità di habitat alternativi, è scontato che abbia
deciso di prescinderne; così come è altrettanto scontato
che, finché era qui, abbia trovato alternative più valide
dell’industriarsi, con sistemi rozzi e devastanti sotto il
profilo ambientale, a estrarre dal sottosuolo l’energia che
gli serviva quando l’intero creato ne vive.
Non c’è prova di tali presenze? E dove sono quelle per le
quali un cosmo vecchio di 15 miliardi di anni si sarebbe
venuto facendo per preparare la nostra stagione?
Senza tirare in ballo (per adesso) la fisica dei quanti, con
il suo campo onnipresente e onnisciente, la pretesa - è
troppo definirla tesi - non tiene botta davanti a questa
semplice domanda: può un creatore quale che esso sia
permettere un’assenza tanto prolungata di intelligenza
dal creato, accontentandosi poi di quella dimostrata da
noi sinora?
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Tra passato e futuro
Una minoranza dura e pura dice che non può per non
sentirsi ridicola e, visto che c’è, si chiede come mai
questa nostra intelligenza, malgrado il lungo tirocinio,
non si sia ancora accorta dei condizionamenti assurdi
ai quali la assoggetta costantemente un io oltremodo
invasivo, autore e vittima a un tempo dei mali in circolo.
Per questi “visionari” il futuro obbligherà i figli d Adamo
a rigettare nel cestino della storia le logiche egocentriche
per le quali il sale della vita viene da fuori e bisogna
conquistarselo con tutti i mezzi, buoni o cattivi che
siano.
Si ma come convincere quest’io - che ognuno ha dentro
così com’è e non può dismettere – a fare autocritica non
a parole ma nei comportamenti?
La natura, il tempo, il Dna che ha firmato il capo e che
per la minoranza di cui sopra si evolve in continuazione,
daranno una mano?
La tecnologia che con le nuove conoscenze acquisite sta
confezionando altri mondi, non alternativi ma di fatto
concorrenti di quello in cui ha spadroneggiato con esiti
non esaltanti, potrà contribuire a fargli fare il passo
decisivo, che lo porti a specchiarsi meno nel fuori ed a
trovare appagamento nell’universo in cui è immerso, del
quale è stato fin qui un’espressione monca?
E’ tutta roba, questa, da declinare al futuro.
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Tra passato e futuro
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Tra passato e futuro
_________________Quarta
parte___________________
Oltre il tracciato
Scuole di pensiero al futuro
Mondi, tempo, coscienza e …
… la Grande Madre
La vita tra un paio di ripartenze
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Tra passato e futuro
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Tra passato e futuro
Scuole di pensiero al futuro
Per il futurologo Ray Kurzweil tra circa vent’anni avremo
le conoscenze e le tecnologie per riprogrammare i nostri
corpi, bloccare i processi di invecchiamento e vivere per
sempre o quasi.
Fin qui un annuncio tra i tanti ormai, da credere o non
credere in toto o in parte, anche se il piatto forte viene
dalla condizione posta dal nostro al verificarsi di quanto
sopra.
”Potrebbe fungere da rallentatore” – sono parole sue – “la
paura di aprire la mente a tale possibilità”. Come dire,
per arrivare all’immortalità occorre un atto di fede!
Una battuta, un modo come un altro per shoccare il
lettore o un’affermazione con uno spicciolo di verità?
In questa sede si propende per la terza ipotesi, che non
esclude ma integra la seconda, spesso indispensabile
per farsi leggere.
Ad avvalorarla, entro certi limiti, la previsione non solo
sua per la quale nei p r os s i m i d e c e n n i i nanobots
diverranno i tuttofare del quotidiano: se ne disporrà non
soltanto per i personali check up ma ad esempio per
immettere nel circolo sanguigno contromisure atte a
contrastare attacchi virali e l’insorgere di malattie.
E arriverà anche il giorno in cui integreranno il lavoro
delle cellule del sangue con effetti spettacolari sul piano
della pura fisicità.
“Si potrà”, è sempre Kurzweil a anticiparlo, “sprintare in
bici per ore e ore tirando di rado il fiato, nuotare a lungo
sott’acqua come fanno le balene, scrivere un libro in
159
Tra passato e futuro
cinque minuti, praticare incessantemente il sesso ….”.
Questa del sesso incessante se la poteva risparmiare
essendo notorio che qualche pausa acuisce il desiderio;
ma è appena una sfumatura di critica rispetto a quella a
seguire, indirizzata non soltanto a lui ma agli scrittori
specializzatisi nel campo. Essi di norma partono dalle
novità aventi una forte eco sul presente; cosa che viene
anche naturale perché è decisamente più agevole stare
sull’onda.
Poi però succede che fanno correre i pensieri fino a
ritrovarsi sulla dirittura dell’obiettivo ritenuto finale per
l’umana specie, vale a dire del giorno non si sa quanto
distante in cui proiettarsi avanti al vissuto per conoscere
il proprio futuro oltre l’orizzonte degli eventi e provvedere
di conseguenza per raggiungere l’eternità.
Dimenticano o fanno finta di dimenticarsi che è finto
quell’oltre e, semmai non lo fosse, porterebbe ad uno
schianto suicida per la fine del tempo e della dimensione
in cui si esiste.
E fortuna vuole che sia così perché la qualità principe
degli umani, nel pacco d’anni dell’esistenza fissata per
ciascuno, è di sfidare continuamente quel che verrà,
dunque il limite per antonomasia; e poco importa se a
porcelo davanti siano di volta in volta biologia, natura,
forze che la regolano o concatenazione di sopravvenienti
evenienze.
Senza contare che conoscere il futuro farebbe svanire
d’incanto perché ininfluente, ingombrante, indesiderato
e alla fin fine inutile il tempo frappostosi a mezzo, che è
invece stimolante saltare immaginando di ritrovarsi con
160
Tra passato e futuro
la navicella dell’io a galleggiare in ciò che ancora non è,
pronti a padroneggiarne le varianti rispetto all’esistente.
In fondo uno per uno ma a conti fatti tutti assieme è
questo che si vuole con più forza: saltare a pié pari
l’asfittico reale per sbarcare in anticipo la dove il
vero già è e non ha mancato di mandare segnali.
Nei nostri giorni il segnale si traduce nella premonizione
diffusa come forse mai nella nostra non lunga storia di
una scadenza, un bivio epocale in arrivo (la singolarità
dei fisici) oltre il quale si assisterà a un cambio radicale
nella valutazione di cosa sia meritevole e appagante nel
rapporto con se stessi, gli altri, la vita nel suo svolgersi.
Che si sia davvero, nel giro di stagioni, in predicato di
iniziare un cammino del tutto nuovo rispetto a quello
sinora seguito?
Un mutamento profondo del nostro modo di essere e di
operare è pronosticato dagli stessi futurologi, che però si
scontrano tra loro, in corso di previsione, sul ruolo che
avrà la tecnologia: protagonista o comprimaria?
Per una cordata, la tecnologia prenderebbe la mano al
suo artefice per costruirsi un futuro da cui saremmo di
fatto estromessi, perché a prevalere ed a restare padrona
assoluta del campo sarebbe l’intelligenza artificiale, con
tanto di nuovo timbro.
I robot ne costituirebbero le avanguardie: macchine auto
referenti in grado di eseguire lavori sulla base di schemi
programmati senza i rischi che si hanno ad affidarli ad
umani e dunque con costi ed esiti certi in partenza.
Si tratterebbe in sostanza di una fase intermedia, di un
temporaneo condominio tra gli umani prossimo venturi
161
Tra passato e futuro
e pompieri robot, macchine robot nel traffico congestionato
delle metropoli, robot camerieri, robot giardinieri, robot
operatori ecologici, robot baristi e nei punti vendita. Il
tutto in megacity con bus a guida automatica circolanti
grazie a segnali magnetici disseminati sulle corsie loro
assegnate, marciapiedi traenti energia dal passaggio dei
pedoni, acquedotti e strutture interrate raggiunte con
video camere e sonar per interventi pilotati.
Avatar city va anche più là e i promoter della apocalisse
da intelligenza artificiale ne pressano i traguardi.
Per Vernor Vinge, informatico e apprezzato autore di
romanzi di fantascienza, “.. entro trent’anni avremo le
tecnologie per creare intelligenze super umane; dopodiché
l’era umana volgerà al suo termine”.
Alexander Chislenko - matematico, esperto di computer
e saggista di successo - entra altrettanto deciso sul tema
sostenendo “la capacità delle future macchine pensanti di
condividere in tempo reale conoscenze e esperienze con
ogni macchina di pari caratteristiche”. Questo, a suo dire,
farà da traino all’evoluzione dell’intelligenza permettendo
“il passaggio a strutture altamente interconnesse”.
Migliori delle nostre? Quando mai è la replica della
cordata concorrente, forte di una premessa - che è in
sostanza una pregiudiziale – per la quale la vita, nella
sua essenza, non potrà mai uscire dal seminato. E ciò
non per impedimenti morali ma per il semplice fatto che
i gangli cerebrali di ogni vivente sono in simbiosi con
l’universo pulsante dal quale tutto prenderebbe forma.
Non potrebbe mai esserci dunque un pensiero artificiale
capace di connettersi alla rete o quel che sia, avendo la
162
Tra passato e futuro
vita biologica e la stessa intelligenza umana una sorta di
colleganza esclusiva con essa.
Banalizzando magari troppo si può concludere che, nel
primo caso, la tecnologia dopo un po’ prenderebbe la
mano al suo inventore per costruirsi un futuro che non
ci riguarderebbe più e amen; nel secondo, l’intelligenza
– livello top di un software che precede spazio, materia
e tempo – non sarà mai succube della tecnologia che
resterà pertanto una sua risorsa.
Viene naturale sposare la tesi per la quale non finiremo
impallinati da piastrine di silicio. Una rassicurazione in
più la da, a nostro modesto avviso, una cliccata sulla
serpentina del Dna.
Solo ad osservarla si intuisce infatti che tutto non solo vi
nasce ma ne discende e non sono possibili framezzi: lì ci
sono inizio, percorso e fine non del tempo come tale ma
del tempo vitale che la stessa serpentina, con varianti al
milionesimo di millimetro, costantemente riattiva.
C’è allora da chiedersi: con ragioni tanto forti a favore di
una delle tesi, perché la contesa ancora regge, almeno a
livello editoriale?
La risposta è, appunto, che si sta sull’onda e si disegna
il futuro in base a ciò che al presente fa sognare a occhi
aperti, emoziona o spaventa.
E’ successo a fine ‘700, quando le copertine delle riviste
d’epoca erano dedicate al via vai di mongolfiere sui cieli
tersi di qualche decina d’anni dopo; o nel primo decennio
del ‘900 in cui un numero ben maggiore di pubblicazioni
si crogiolava sull’andirivieni di dirigibili e vaporiere che di
lì a poco tempo avrebbero imperversato su cielo e mare.
163
Tra passato e futuro
Non deve quindi sorprendere più di tanto ritrovarsi oggi
in piena querelle robotica.
Il futuro dal buco della serratura potremmo averlo visto con le sue grandi luci e le sue fitte ombre - una ventina
di anni fa, quando ci fu l’integrazione dei transistor nei
chip ma non era cosa mettere in copertina tali “schegge”
o meglio i cervelli in miniatura che da lì in avanti hanno
permesso a pc, cellulari, satelliti ma anche a citofoni,
lavatrici e lavastoviglie funzioni “intelligenti”.
I chip fanno pure qualcos’altro: raccolgono informazioni
e le movimentano al fine di registrarne le convergenze.
Avviene con la ditta che invia l’informazione stipendio di
un dipendente alla banca perché questa provveda alla
erogazione dell’importo; o quando quest’ultima informa
il supermarket che il possessore del bancomat, esibito
per pagare la spesa, può portarla a casa trattandosi
di lui e non di qualche altro.
Ora se è vero che a rendere operativa la carta è l’identità
del soggetto di riferimento, è altrettanto indiscutibile
che e s s a finisca per ribattezzarlo attraverso un codice
manipolabile, replicabile, privo di corporeità.
Questo fa si che il mercato non sia più solo un luogo di
compravendite in cui scambiare oggetti con informazioni
ma rappresenti un momento fondamentale della vita di
ciascuno ridotta in codice.
Il possessore della nominata tesserina finisce infatti per
essere un contenitore di news che vanno ben oltre i tetti
di prelievo, facendone in pratica un prodotto trasparente
tra prodotti del pari trasparenti, confezionati ad uso di
scambio.
164
Tra passato e futuro
Per cui, fatte salve le buone intenzioni di partenza, si sta
andando incontro al rischio di diventare pura e semplice
merce, cosa più perniciosa della supposta concorrenza
della intelligenza artificiale.
Per rendersene conto basta confrontare la situazione
attuale con quella dei primordi della civiltà industriale,
magistralmente filmata in Tempi moderni.
In quello spezzone di storia del cinema i lavoratori sono
rappresentati come addendi di ingranaggi di macchine.
Lo sono ancora? No, si dirà. Non c’è lo “schiavo” della
catena di montaggio, la dimensione è diversa, la qualità
è diversa, la tecnica è diversa.
Però, sistemi di produzioni a parte, l’incensato binomio
tecnologia/informatica nasconde (male) un rovescio che
più spersonalizzante non si può.
Le informazioni date e ricevute finiscono già (figuriamoci
tra decenni, con software ben più sofisticati) per gravare
sull’identità di ciascuno come e più degli ingranaggi al
limite della umana sopportazione del tempo che fu.
Oltretutto alla macchina l’identità corporea ha voluto e
saputo ribellarsi, quando essa provava ad esagerare in
pretese mentre il punto già oggi è: come potrà la carta
rifiutarsi di continuare ad essere un codice o contrattare
un limite alle possibilità di prelevarne informazioni?
Ovvio che non potrà rifiutarsi per cui al megastore ci si
continuerà a sentire più io che mai avendo in apparenza
a disposizione di tutto e di più ma l’autentica regina di
quello e di ogni altro mercato sarà sempre più la carta
portata in un taschino dal prodotto trasparente abilitato
a metterla in funzione.
165
Tra passato e futuro
Un contributo fondamentale alla “operazione schiacciamento”
dell’individuo alle logiche e agli interessi di mercato verrà
dalla prodotto principe del chip: il telefonino.
L’assiduo compagno della quotidianità avrà presto una
identità personalizzabile dall’utente, darà suggerimenti,
comporrà numeri di telefono, ricorderà le scadenze.
Trascorsi un po’ d’anni diverrà un assistente globale in
grado di dialogare e di esprimere opinioni sviluppate in
completa autonomia e all’impronta. Al suo proprietario
rimarrà i n i z i a l m e n t e la facoltà di spegnerlo, della
quale gli esperti del ramo sono convinti si avvarrà molto
di rado, per la semplice ragione che lo sentirà sempre
più parte inscindibile del proprio essere.
Arriverà poi il giorno in cui il suo gestore non sarà in
condizione di farlo, avendolo in corpo. Un microchip,
introdotto per via sanguigna nel cervello, gli regalerà il
sapere, le opportunità ma pure i condizionamenti della
rete informatica, lo spirito globale del tempo.
Come se ne uscirà lo dirà un futuro decisamente più
lontano. Il prossimo, comunque, non finisce lì.
Tra qualche lustro una parte decisamente minoritaria
dell’umanità sarà miracolata dai prodigi tecnologici in
arrivo, in grado di garantire una giovinezza quasi senza
tramonto e qualità dell’esistenza mai vista prima. Tant’è
che, specie nelle classi alte, è iniziata una lotta sordida
contro il tempo.
L’’obiettivo è resistere, resistere e ancora resistere fino al
giorno in cui vedere finalmente abrogate dalla scienza le
leggi che portano alla progressiva decadenza del corpo e
delle sue funzioni vitali dopo il troppo breve incanto
166
Tra passato e futuro
della giovinezza.
Un atteggiamento, questo, giustificato dai dati in salita
sulle aspettative di vita. Non si può quindi dar torto, il
linea logica, ai milioni su milioni di uomini e donne che si
sentono in corsa per congrui balzi in avanti in termini di
benessere, longevità, salute e bellezza.
Pertanto, anche a non veder concretizzato il sogno nella
sua interezza, un numero importante di nati con la
camicia (perché specialisti e tecnologie d’avanguardia
costeranno e nessuno, neppure domani, farà niente per
niente) vivrà in un modo incomparabilmente migliore
dell’attuale, già pe ral tro eccellente per loro rispetto al
vasto e disagiato contorno.
Che succederà però ai “senza camicia” alla nascita e
pure dopo?
La domanda potrà apparire peregrina ma attenzione.
Tra vent’anni il pianeta avrà in carico oltre 7 miliardi
di umani e non ci vuole molto a capire che il fantastico
avvenire di cui sopra si tradurrà in realtà per una fetta
veramente esigua di tale carico, non essendosi mai visto
un “mercato delle meraviglie” a prezzi stracciati.
Potranno infatti essere a esagerare qualche centinaio di
milioni i fortunati abilitati a vivere in una dimensione
privilegiata grazie ad applicazioni e presidi di cui fruire in
funzione della capienza delle loro tasche.
E tutti gli altri, i “senza camicia”? Considerato che per
loro aspirare a tanto sarebbe come sperare di centrare
un bersaglio a 300 metri di distanza senza l’ausilio di
un puntatore laser, non potranno fare altro che mettersi
in fila con i miliardi di senza terra, senza lavoro, senza
167
Tra passato e futuro
pane, senza prospettiva in attesa della svolta a 360 gradi
che ribalti il tavolo con quello che ha sopra.
Succederà? L’epilogo, traumatico, è nelle cose essendo
troppe e troppo stridenti le disuguaglianze, crescente il
discredito di assetti istituzionali orfani delle masse di
una volta, inceppato in modo irrimediabile lo sviluppo
con le vecchie regole.
La speranza (e ci ripetiamo) è che non sia un epilogo
punto e basta ma una vera svolta, accelerata dalla
tecnologia e da un salto qualitativo della razza umana,
che porti a fondare una società in cui domini il
concorso e non il conflitto.
Decollerebbe da lì il nuovo tempo in cui l’umanità, per
le caratteristiche stesse degli orizzonti emergenti, non
avrebbe bisogno di tornare a segmentarsi nelle classi
prosperate dalla spartizione in modi non equanimi di
risorse ormai in via di esaurimento su di un pianeta a
rischio di impatti dal cielo, nuovi diluvi e rischi costanti
di conflitti e pandemie; un nuovo tempo che ridisegni i
valori di mercato e le gerarchie sulla base della loro
utilità intrinseca e della capacità di stare al passo con le
nuove conoscenze.
Potrà accadere? Già immaginarlo è decisamente folle ma
senza questa follia il mistero che ci governa cesserà di
farlo non da dove ci si illude che finisca il tempo ma da
molto più vicino.
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Tra passato e futuro
Mondi, tempo, coscienza e …..
Lontanissimo da qui, in una galassia tale e quale alla
Via Lattea, c’è una stella tale e quale al Sole attorno al
quale orbita un pianeta tale e quale alla Terra. Lì vive
uno identico a me che sta facendo, nel momento in cui
scrivo queste note, la medesima cosa. Sono proprio io
qui e là senza tema di smentite.
Vale solo per il sottoscritto quest’apparente assurdità?
Neanche per idea: vale per tutti.
Succede perché il nostro universo è un’immensa bolla
oltre la quale se ne allineano infinite altre, specchiate o
quasi, ciascuna con orizzonti che impediscono di vedere
la successiva.
Prodotte nei medesimi tempi e modi dalla inflazione,
l’espansione immediatamente seguita al Big Bang, tali
bolle vivono la medesima fisica ma, in ragione delle
condizioni iniziali anche solo un po’ differenti, le galassie
al loro interno divergono tra loro in termini evolutivi.
Considerato però che il numero di varianti in cui la
materia si dispone è necessariamente finito, non può
non esistere nel medesimo spazio/tempo una bolla del
tutto identica alla nostra, con una umanità che è l’esatto
doppione di quella con cui si coabita.
Non basta. In altre bolle si potrà essere un poco o tanto
diversi, avere quindi vite in parallelo non coincidenti con
quella qui vissuta.
In sogno spesso accade: siamo noi stessi ma in posti
sconosciuti; oppure conosciamo e realizziamo cose mai
prima sperimentate. Come mai?
169
Tra passato e futuro
La spiegazione potrebbe essere che il cervello si collega
chissà come a tali doppi superando nell’unità di tempo
uno seguito da dieci miliardi di miliardi di zeri/metri,
cioè la distanza fisica calcolata da Max Tegmark, fisico
del Mit (Usa), che mi separa dall’altro io, al quale mi
sento di mandare un saluto in pagina.
La premessa è servita per chiedermi e chiedere: possibile
che, a fronte di una realtà più fantastica di ogni fantasia
e della grandezza del mistero su cui tutti si galleggia, si
debba essere meschini al punto da rapportarsi tra noi e
con l’habitat che ci ospita come ci rapportiamo?
Ancora. Una civiltà nata non si sa come, cresciuta tra
disuguali e morente anche per i disastri provocati del
pensiero unico - che non è corso in avanti sull’ala delle
conoscenze acquisite ma ci ha speculato sopra – non è
forse ragionevole ricostruirla puntando su di esse e non
facendosi fuorviare da altro?
E il fuori, questo benedetto fuori, perché non guardarlo e
provare a viverci per come lo hanno raccontato Albert
Einstein, Max Plank, David Bohm, Henry Bergson, Louis
De Broglie, Karl Pribram, F.A.Wolf? E prima di loro i
mandala, Leonardo da Vinci e Joshua l’ebreo, chiamato
nei nostri lidi familiarmente Gesù?
Obiezione scontata: che ne facciamo di tanta teoria? Qui
servono nuove opportunità, nuovi orizzonti. Sacrosanto.
Ma dove trovare le une e gli altri nella realtà oramai
asfittica che ci circonda? Quelle teorie gettano luce su
vastità che non stanno lì e sinora non abbiamo neppure
lontanamente percepito. E’ tempo di farlo se si vuole
avere un futuro degno di questo nome e dell’intelligenza
170
Tra passato e futuro
data.
Agostino, che per questo avrebbero dovuto fare santo
due volte, ha lasciato l’impronta della sua intelligenza in
questo messaggio all’umanità a venire: “Io so cosa è il
tempo ma se me lo chiedi non lo so più”.
Con parole meno fulminanti, la conoscenza è data sin
dall’inizio e lo scopo primo e ultimo dell’uomo, il suo fine
incarnato, è di arrivare a svelarla grado a grado non per
capire cosa sia il tempo e tutto il resto ma cosa non è
tempo e resto rispetto al suo pensiero.
Anche Einstein parla del tempo legandolo allo spazio. Al
doppione simultaneo di ogni io vivente qui, con alter ego
in pianeti copia abissalmente lontani, somma esistenze
in avanti e indietro con lo stesso evento che le riguardi e
in arrivo in un determinato spazio/tempo, già in atto in
un secondo, trascorso in un terzo.
Ne viene per logica che vita e futuro sarebbero libri già
scritti (con quello che ne consegue in termini di libero
arbitrio) e solo il creatore ne conoscerebbe lo sviluppo,
se il tempo non scorresse esclusivamente in avanti. In
caso contrario (il grande fisico il veleno soleva metterlo
in coda) neanche il buon Dio potrebbe darci un’occhiata.
Sempre sui misteri del tempo, c’è chi azzarda l’ipotesi
che stia accelerando, portando a riprova le innovazioni
tecnologiche succedutesi nel decorso secolo.
Si è partiti con radio, auto, aereo, telefono; poi è stata la
volta di televisione, jet e primi pc; quindi di telefonini
prima e seconda edizione, navette spaziali, satelliti per
comunicazioni e opportunità informatiche. Risultato: è
sotto gli occhi la rivoluzione permanente della vita di
171
Tra passato e futuro
tutti i giorni.
Ora l’interazione informatica/bio/nanotecnologie, dopo
aver consentito la mappatura del genoma, sta aprendo a
nuove utility di cui al momento è impossibile pesare con
la necessaria precisione l’impatto sull’immediato futuro,
per cui si lavora (spesso oltre misura) di fantasia.
E’ ovvio che il susseguirsi all’inizio nel giro di millenni,
poi di secoli e da ultimo di mesi di cambiamenti radicali,
dettati da nuove conoscenze e straordinarie scoperte
scientifiche, renda sempre meno realistico difendere lo
statu quo in termini politici, economici, sociali, culturali
e con essi vetuste pratiche del vivere.
A voler dare un’immagine della velocità del cambiamento
derivata dal progresso tecnologico, viene quella classica
del moto ondoso prossimo a riva che progressivamente
accorcia l’intervallo tra le sue creste prima di infrangersi
sulla battigia.
Sta per succedere qualcosa di simile non alla quarta
dimensione ma a noi?
Si potrebbe anche omettere l’interrogativo perché la
sensazione (arciripetuta) è proprio questa: che debba
verificarsi qualcosa di epocale nel modo di stare assieme
agli altri e di convivere con quello che si è.
Cosa si è? Siamo fatti di materia, è indiscutibile, e si
vive in una dimensione del tempo e dello spazio ma il
constatarlo non spiega quello che si è; anche perché se
il tempo è combinato da non credere, lo spazio non è da
meno.
La comunicazione tra fotoni, anche a distanze enormi,
evidenzia l’assenza di propagazione di segnale per il
172
Tra passato e futuro
motivo molto semplice che non c’è – al loro livello propagazione.
Se ne trae la convinzione che ogni particella conosca
all’istante il comportamento delle compagne in quanto è
parte di una indistinta interezza (undivided wholeness),
espressione volutamente ambivalente, banalizzabile in
un reticolo preesistente alla realtà.
Sarà davvero così? Il doppione di ciascuno – presentato
in apertura - può esistere solo in virtù di tale reticolo.
Una delle tante prove indirette in tal senso la diede
sempre Albert Einstein, coadiuvato nella circostanza
dal fisico Lucas Podolsky, nel corso di un esperimento
che ebbe a protagoniste due particelle muoventisi in
direzioni diverse alla velocità della luce. Durante la
sperimentazione si alterò volutamente la direzione di
una delle due ma, eseguita la variazione, l’altra la
cambiò a sua volta.
Come poteva quest’ultima saperlo? E come fa il Dna
intatto a doppia elica a riconoscere similarità in altri
filamenti di Dna a nano distanze? Il riconoscimento
avviene senza contatto fisico e in assenza di proteine o
di segnali chimici. Sembrerebbe esistere, tra di essi, una
sorta di telepatia.
Lo pensa il fisico e filosofo David Bohm che teorizza un
creato collimante alla grande con l’universo quantistico
e le sue travolgenti implicazioni:
- una totalità indivisa, il tutto è uno di antica memoria,
in cui la pietra non è separata né separabile dalla foglia
o dall’uomo che la guarda;
173
Tra passato e futuro
- un livello energetico, preesistente al mondo fisico,
organizzato come una rete bipolare pulsante dal quale
originano oggetti e apparenze (pietra, foglia, uomo),
come accadrebbe pressappoco in un ologramma.
In tale presunto ordine ogni molecola, secondo Bohm,
“sa quello che faranno le altre in contemporanea e a
distanze magari macroscopiche”.
Dunque un creato con una trama continua in cui la
materia tenderebbe a strutturarsi in modo vitale, dalle
forme più semplici a quelle complesse, attraverso una
evoluzione graduale ma ininterrotta. Non dovrebbero
perciò esserci limiti all’evoluzione medesima; una tesi,
questa, sulla quale si è sintonizzato Henry Bergson, un
protagonista della fisica contemporanea. E’ sua questa
frase, che getta luce sul mondo in cui incamminarsi:
“L’universo è una macchina che, a dargli tempo, produce
dei”.
Non può essere un caso che molti altri fisici teorici siano
su tale linea di pensiero. Louis De Broglie, vincitore del
Nobel per la scoperta delle onde di materia, si dichiara
convinto che la struttura dell’universo materiale abbia
molto in comune con le leggi che governano il lavorio
della mente; e Roger Penrose, in “Shadows of the mind”,
individua nel cervello “un’imponente entità quantica”.
Come lavorerebbe? Il neurofisiologo Karl Pribram lo
esemplifica così (si fa per dire): “I cervelli costituiscono
matematicamente la realtà interpretando frequenze che
sono proiezioni provenienti da un ordine di esistenza più
profondo, al di là dello spazio e del tempo”.
174
Tra passato e futuro
La sua conclusione, “il cervello è un ologramma celato in
un universo olografico, suggerisce analogie concettuali
(sembra paradossale e invece ci sta) con il detto 83 del
vangelo di Tommaso.
Lì Joshua premette che “le immagini sono manifeste
all’uomo, ma la luce in esse è nascosta nell’immagine
della luce del Padre”. Ciò detto, regala ai suoi di allora e
a noi oggi un commento che lascia di stucco: “Quando
vedete la vostra somiglianza gioite. Ma quando vedrete
immagini vostre che sono venute in essere prima di voi,
che non muoiono e non sono rese manifeste, riuscirete a
non esserne sopraffatti?
Esisterebbe dunque per intuizioni recenti, passate anche
teste antiche, non in qualche fantomatica immaterialità
ma dentro e al tempo stesso intorno all’intera materia in
evoluzione un ordine di esistenza più profondo la cui
immagine di luce (ecco Joshua) compenetra ogni altra
immagine senza vanificarne alcuna.
Ci sarà ancora tanto da precisare ma va riconosciuto
che il materialismo insegnato ai nostri ragazzi – io sono
io, la pietra è pietra e dietro a questa e a me non c’è
altro – è un’anticaglia concettuale da quando c‘è stata la
rivelazione che a livello quantico la materia è un’onda
non localizzabile, senza proprietà fisiche, atemporale e
aspaziale.
Lo è al punto che, per dare corpo e peso a tale entità
sospesa, vengono chiamate in causa non più quantità
ma qualità: intelligenza, dinamismo,consapevolezza, in
una parola la coscienza.
Per Max Plank, padre della meccanica quantistica, la
175
Tra passato e futuro
materia è “un derivato della coscienza”; il fisico Bernard
D’Espagnat riteneva impensabile un mondo composto
da oggetti avulsi dalla coscienza; per il Nobel Erwin
Schroedinger è la mente che ha materializzato il mondo
“facendolo emergere dal campo unificato dove convergono
i campi di forza” (interazione debole e forte, gravità,
elettromagnetismo).
E’ pertanto folta, oltre che autorevole, la “compagnia”
convinta che a pervadere il creato non sia stato il
supposto caos iniziale di una materia auto referente.
Preesisterebbe al divenire quest’ordine armonico che - a
volerlo per forza ridurre a qualcosa alla portata dei
nostri sensi - è paragonabile ad un’alba senza fine né
varianti dettate dal tempo.
E’ stato Atman: l’essenza, la beatitudine dell’essere che
non ne è consapevole in quanto focalizza ogni interesse
sulla “superficie” della sua coscienza.
Rappresenta il traguardo ultimo del Mandala, contenenti
figurazioni e forme simboliche collettive - cerchio, punto,
triangolo e quadrato – con cui si richiamano immagini
ancestrali di armonia ed equilibrio, scavate nel profondo
di ogni essere; un percorso iniziatico in virtù del quale
l’essenza del vivente riesce a connettersi magicamente
con l’energia che pervade l’universo.
Tra i Mandala più famosi: l’Uomo Vitruviano, ripreso da
Leonardo da Vinci, dove l’essere umano rappresenta
l’anello di congiunzione con il trascendente, e il Fiore
della Vita, dipinto non meno di 6000 anni fa (ma forse
non era la prima volta) sul soffitto intarsiato di una delle
piramidi di Abido in Egitto.
176
Tra passato e futuro
Il campo si è popolato di eoni nella pienezza del divino
degli gnostici; ha avuto per regina la Monade di Leibniz,
né materia né spirito; si è stratificato nel continuum di
ologrammi di David Bohm; ha fuso con F.A.Wolf “mente
e materia, riflessi di un’unica fonte in uno specchio dagli
infiniti riflessi”.
E’ diventato alla fine cyber: archetipo di ogni essere,
aggregato di informazioni unificate dalla coscienza che
da significato alle informazioni medesime ben oltre la
dimensione dell’io.
Proprio per la vocazione – che tanto autorevolmente gli
si riconosce – di inglobare ogni spazio mentale, da un
po’ d’anni si preferisce definirlo coscienza collettiva:
unitaria e insieme infinita, fisicamente inafferrabile
come lo zero e il punto.
Come dire che tutto torna, anzi non è mai andato, la
verità ultima è anche la prima ed entrambe provengono
e rimandano a una terra senza sentieri ma con spazi
immensi e mirabili da perlustrare, ospiti permanenti di
siffatta coscienza personale e collettiva.
Con tutto questo in memoria, non si può non tornare a
chiedersi perché in noi funzioni (troppo) il collegamento
con l’area personale mentre il collettivo è pressoché
bloccato dagli inizi della comune storia.
L’unica risposta possibile è che allo stato non saremmo
ancora in condizione o attrezzati o evoluti al punto da
accedervi.
Ma in futuro non potrà essere così. Personale e collettivo
già s’incontrano nel web e quando dalle attuali chat si
passerà ad organizzare fronti comuni sui temi più vari,
177
Tra passato e futuro
beh a quello stadio bisognerà per forza rifondare la
politica, il sociale, lo stesso assetto istituzionale.
Quanto ci vorrà? Non il tempo che si immagina.
178
Tra passato e futuro
…. la Grande Madre
Si tratta di teorie suggestive ma pur sempre teorie. Si
è dato loro spazio in un excursus dedicato al futuro che non ne vive ma le seleziona - perché aiutano non
ad illuminarlo ma ad inquadrarlo e a sfrondare dalle
aspettative in corso briciole dell’incrostato derivante
da schemi e convenzioni del vivere che nulla avranno
a che vedere con le esistenze future, per forza di cose
sempre meno attratte da molte delle attuali malie del
reale.
Ne sarà infatti protagonista il chilo e 400 gr (circa) di
neuroni, relative sinapsi e prolungamenti depositato in
testa a ciascuno: una massa innervata nella quale si
celano immaterialità ben più preziose degli abbagli di
diademi e denari che le tengono banco tutt’attorno.
Non è giustificabile questa non conoscenza ma certo non
è facile andarle a scovare all’interno di una galassia
pulsante che opera in rigorosa privacy su larghissima
parte del suo agire e non da accesso alle capacità riposte
in forzieri al momento inespugnabili.
Si prendano ad esempio i neutrini: essi danno non solo
l’idea ma pure la misura di capacità incognite e in pari
tempo delle difficoltà oggettive anche a sospettare che
esistano.
Si ipotizza che operino in sciami, a livello subatomico e
alla velocità della luce, sia nell’area cerebrale (per leggere
un giornale), sia interfacciando le informazioni di cui
sarebbero portatori in circuiti esterni senza perdita di
energia e quindi non offrendo resistenza agli attriti.
179
Tra passato e futuro
Ne consegue che dovrebbero “vedere”quanto si viene
realizzando in un tempo a due dimensioni: il presente
proiettato verso il futuro e il parallelo (più avanti) in cui
andare a “leggere”, tra gli esiti possibili, quello che si
materializzerà.
La duplice “lettura”, legata rispettivamente a potenziale
e dato, ora è negata ma non è accettabile razionalmente
che il diniego sussista per l’eternità: si dovrà presto o
tardi arrivare a carpirne i meccanismi di funzionamento
e di conseguenza utilizzare una facoltà che, da sola,
farebbe di ogni uomo normale un uomo super.
Tutti super di qui a x anni? Noi ci considereremmo tali a
incognita risolta; ma quei posteri saranno diversi - non
tanto per il tempo trascorso quanto per i cambiamenti
nel frattempo intervenuti - e per loro sarà la “normalità”
del vedere.
Oltretutto non saranno solo i neutrini a dominare il
futuro dei figli d Adamo.
Si è infatti scoperto da decenni (ma è una conoscenza da
iniziati) che le connessioni cerebrali alla nascita sono
molto più numerose di quelle che accompagnano l’età
adulta.
Il pruning - cioè lo sfoltimento/potatura – avviene nei
primi mesi di vita. Perché? Anche qui non c’è risposta.
Può tuttavia succedere, per motivi altrettanto ignoti, che
l’operazione non si esegua a puntino per cui alcune delle
connessioni da eliminare restino in funzione; nel qual
caso il soggetto, crescendo, si accorge di percepire o di
essere capace di fare cose impossibili o impensabili per i
suoi simili. Questo vuoi perché l’extra coinvolge in linea
180
Tra passato e futuro
diretta i sensi, vuoi perché si rivela in modo inaspettato
al verificarsi di determinate situazioni.
Nel primo caso si è in presenza di synesthesia pura (da
syn/insieme e aisthesis/percezione); fenomeno per il
quale ad esempio il sinesteta vede i suoni, sente i colori
e trae sapori dalle parole. Nel secondo si va oltre.
Alcuni tra quelli nei cui confronti la “potatura” è stata
parziale conservano il ricordo integro di quanto loro
accade nella quotidianità, anche ad anni di distanza;
altri sono in grado di memorizzare lunghe serie di nomi
e numeri telefonici; altri ancora gareggiano col computer
in velocità di calcolo di numeri a più cifre, elevati a
potenza.
Strabiliante? Lo è di per sé la materia grigia di cui, come
accennato, non si conosce gran parte delle potenzialità
post “potatura”, figurarsi di quelle originarie.
Non sapevamo una decina d’anni addietro, a proposito
di dotazioni innate, che il cordone ombelicale contenesse
una scorta di staminali tuttofare, in grado di ripristinare
(quando si sarà fatta sufficiente pratica) la funzionalità
di organi fuori uso con l’età o per malattie sopravvenute.
Di quest’ultimo corredo fino a ieri ci si liberava subito
dopo il parto mentre adesso le mamme avvedute lo
fanno congelare.
Il problema è che – a fronte di un corredo riconosciuto –
ci potrebbe essere una serie (sconosciuta) di potenzialità
che restano inespresse perché determinate connessioni
cerebrali, vai a capire per quale motivo, si ritengono in
eccesso e perciò vengono eliminate in modo automatico:
181
Tra passato e futuro
arriva l’ordine e non ci sono santi, salvo errori fortuiti di
esecuzione.
Cosa viene sfoltito oltre a suoni, colori e sapori, capacità
mnemoniche e di calcolo?
Che fantastica conquista per la scienza, per ogni singolo
individuo e per la società tutta intera - non più divisa in
Stati succubi del Pil - sarà neutralizzare quest’ordine!
E pure capire, ad esempio, la ragione per la quale certe
sensazioni arrivino (piaceri, arrabbiature, piani) mentre
altre no: gesti automatici, frequenza del battito cardiaco,
digestione; e soprattutto cosa scatti a far si che, da una
somma di impulsi, si passi a percezioni non traducibili
in quantità, costituendo esse qualità del vivere.
Verrebbe voglia a questo punto di proporre un ipotetico
scambio ad una giovane mamma dei nostri giorni: un
bel diamante contro la possibilità per il bambino che sta
tenendo in braccio di conoscere e padroneggiare di lì a
qualche tempo le lingue più parlate senza particolare
sforzo – data anche la sua età - e a costo zero.
Cosa sceglierebbe la mamma è facilmente intuibile;
questo a conferma del fatto che le qualità, a noi ignote,
custodite nel cervello non sono solo tanta roba ma sono
inconfrontabili con ciò che viene da fuori, per quanto
appetibile sia.
La speranza di poter un giorno disporre della capacità
cerebrali sopite viene anche dal sapere che ci si presenta
al mondo equipaggiati di tutto punto. Il neonato infatti
non solo ha il corredo delle staminali ma dispone anche
di un congenito software per dare ordine, comprendere e
alla fine padroneggiare i suoni che gli piovono addosso
182
Tra passato e futuro
sotto forma di parole, scandite con insistenza da chi
gli passa accanto, convinto che siano i movimenti labiali
la chiave per l’apprendimento del linguaggio.
Non è così né c’è allo stato una razionale spiegazione
della capacità generativa del linguaggio medesimo, cioè
di riuscire a confezionare e esternare una serie infinita di
frasi mai sentite prima con un numero limitato di
espressioni di base.
In ultima analisi anche ipotizzare che si padroneggino di
qui a qualche decennio soltanto i software cerebrali legati
a neutrini, capacità di memoria/calcolo, apprendimento
del linguaggio, diventa un esercizio retorico domandarsi
se l’io sarà costretto a mutare i rapporti in essere relativi
al guardarsi dentro e al rapportarsi col fuori.
Semmai sarebbe da chiedersi se il rapporto sussisterà
ancora ad avere la prova provata che il cervello regala ad
ognuno di noi una permanente illusione del vero e quindi
della realtà.
Persino lo stesso io, per certuni, sarebbe un permanente
atto creativo cerebrale, finalizzato ad illudere lui (e noi
tutti) di fare il pensato e il voluto.
Pensieri troppo d’avanguardia? Obiezione accettabile al
pari della replica per la quale vogliono dare un taglio netto
al cogito ergo sum di cartesiana memoria, con il pensare
implicante l’esistenza di un soggetto auto cognitivo e di
riflesso di una coscienza distinta dalla materia organica.
Guardando ancora più avanti viene incontro la mente
alveare, di cui ogni vivente sarebbe parte inscindibile.
Star Trek ne ha dato una rappresentazione efficacissima
nell’episodio in cui umani bionicamente potenziati sono
183
Tra passato e futuro
- tutti assieme - collegati a una mente tesa ad assimilare
qualunque specie intelligente nel suo collettivo.
Anche questa mirabile composizione è non solo sperabile
ma logicamente ammissibile che avvenga in un futuro più
o meno lontano e con la nostra specie ancora in campo,
magari a confrontarsi con genie più ricche di passato e
conoscenze.
A quello stadio dell’evoluzione la coscienza s a r à c o m e
i l Velo di Maya, una copertura impiegata per interagire
con le simulazioni di altre menti.
Sollevando quel Velo si avrà la controprova dell’antica
illuminazione per la quale si è tutt’uno con il cosmo e
con l’intelligenza oltre il percepibile.
Viene istintivo a noi umani dare un’immagine e un peso
a questa intelligenza globale, indicata come rete nel
precedente capitolo.
A cosa in effetti potrebbe assomigliare in termini visivi
non è però così importante, per cui non sposta granché
chiamarla in altro modo. .
Lo scatto in avanti viene dal supporre che – sia rete o
altro - generi una nota standard che permea il creato e
cadenza ogni evoluzione.
Il volo in un futuribile così ricco di passato – e questo
ha provato a darne l’idea – serviva per riconoscere il
dovuto alla Grande Madre dei nostri pensieri, dei nostri
sogni, delle aspirazioni e delle negazioni tratte dal
personale sentire.
Sembra già tanto tale dovuto e invece è quasi niente
rispetto all’infinito altro che garantisce interagendo in
simultanea con il molo di attracco e di ripartenza della
184
Tra passato e futuro
vita non solo in questo nostro spazio/tempo, da cui è
certo che un giorno usciremo in cerca di nuovi approdi;
ma per adesso e qualche tempo ancora nemmeno se ne
parlerà: continueremo a starvi ben attaccati anche se
sempre più diversi da come si è.
185
Tra passato e futuro
La vita tra un paio di ripartenze
Non è da escludere a priori che il futuro – diciamo tra un
paio di ripartenze – possa essere sulla falsariga di quello
che succede nel nostro tempo in una piccola area degli
States dove abitano e si distinguono i freegans da free –
libero e wegan – vegetariano.
Essi si ritengono apostoli di un messaggio incardinato
in un paio di parole d’ordine: la prima è non sprecare,
posto che a troppi manca il necessario; la seconda, con
buona pace di Warhol, è baratta.
Quasi tutti lavorano, hanno un tetto, sovente un cortile
e talvolta un pezzo di terra più una serie (comune) di
fisse con un unico filo conduttore: saper vivere senza
saccheggiare le risorse naturali.
Ma non incidono essendo quattro gatti: 400 mila anime
nella strapiena costa occidentale; il che significa pesare
una piuma all’asta dei l i v e l l i consumistici. E guai ad
essere tanti di più perché i fatturati di svariati articoli
nell’area interessata avrebbero un autentico tracollo.
Per dire, non comperano un paio di scarpe se quelle che
hanno indosso non sono al limite; idem per vestiario,
alimentari e annessi.
I pochi analisti sprecatisi con qualche scarna riga al
loro riguardo hanno posto l’accento sull’evidente voglia
di regressione che emerge da siffatti comportamenti.
Non per difenderli a tutti i costi, anche se in fondo fanno
simpatia, ma tutto si sentono meno che di retroguardia,
semmai più avanti e in ogni caso appagati di abitare in
186
Tra passato e futuro
case spartane, con le luci accese se veramente serve, il
telefono quasi al bando, televisori usciti da fabbriche che
non ci sono più, al massimo un’auto anch’essa datata
e ospite fissa del box.
Per spostarsi n e i d i n t o r n i inforcano vecchie bici o
prendono il bus e ne sottolineano la ragione (ovvia): non
si debbono spendere soldi per cose di cui non si ha un
effettivo ed urgente bisogno.
A quanti li accusano di non tenere in conto le necessità
del paese - che ha fame di crescita dei volumi prodotti e
consumati per garantire i redditi delle famiglie e i servizi
pubblici essenziali - replicano con una noncuranza al
limite dell’indifferenza che i problemi non vengono dal
non saziare quella perenne fame ma dall’insieme di una
società costruita sulla continua rincorsa all’eccesso in
ogni campo; una logica, questa,che ritengono non sia da
imitare perché devia dalla ricerca del senso autentico
della vita. Si può in coscienza dar loro torto?
No, anche se sul piano comportamentale rappresentano
un puntino di un quadro in cui la fine annunciata non
solo in queste righe della civiltà che guida tuttora i
nostri passi, i nostri pensieri e le nostre azioni sulla
Terra provoca in tanti un’ansia in più del ragionevole,
legata alla convinzione che eventi di una negatività
epocale – sul piano dell’economia, delle relazioni sociali,
degli squilibri ambientali – franeranno in devastante
successione fino a rendere impossibile qualsiasi
possibilità di ripresa.
C’è da augurarsi che si sbaglino di grosso e che siano le
condizioni date, responsabili del tracollo in divenire, a
187
Tra passato e futuro
franare liberando forze e orizzonti per una ripartenza col
turbo, anche perché fin qui ci siamo sprecati.
La creazione si sarebbe fatta un autentico autogol
infatti se l’entità racchiusa nella testa di ciascuno si
fosse evoluta nel corso di miliardi di anni per sparire
dalla circolazione avendo dimostrato meno che nulla
di ciò che effettivamente vale. Ancora peggio: dovendo
confessare a se stessa di essersi ridotta per millenni
in un umiliante stato di soggezione nei confronti dei
lingotti d’oro, delle carature dei diamanti, dei giacimenti
di petrolio, gas o carbone il cui possesso ha premiato
e premia e la cui mancanza ha penalizzato e penalizza
soggetti che tale entità se la sono portata e se la portano
dietro in identico modo.
Avverto l’obiezione: n o n saremmo quelli che siamo se
dall’inizio non avessimo ancorato il comune cammino
all’avere e quindi in primo luogo alla proprietà dei
beni ed al valore ad essi attribuito.
Sicuro che no, ma di che si canta vittoria? Persino l’aria
sentenzia che non è un bel vivere e che è tempo di
cambiare rotta senza più guardarsi dietro.
Quanto alla direzione, è evidente che a dettare la linea
non saranno i simpatici freegans, con le loro buonissime
ragioni di principio; tanto meno – sul versante opposto –
la darà l’idea di farsi spazzar via dalla tecnologia.
Messi i paletti, le speranze si concentrano sulle masse
che interagiscono nel web dando forma e contenuti ad
una autentica società globale dove il virtuale impera: un
di più che consente ad ognuno di esprimersi e di farsi
coinvolgere con l’intero mondo che si porta dentro, senza
188
Tra passato e futuro
essere più costretto ad omissis.
E’ una autentica rivoluzione, è più che mai in atto e avrà
una portata mai vista nella storia umana perché cambia
veramente tutto nei rapporti personali e sociali. Vediamo
perché.
Nello scranno informatico le presenze crescono a ritmi
esponenziali, diventano moltitudini che si contano una
ad una e assieme fanno scudo, cuneo, tendenza pesando
in sempre maggior misura su decisioni dalle quali erano
sistematicamente escluse fino all’altro ieri.
Soprattutto, i soggetti che ne sono partecipi hanno poco
di quelli di prima, avendo cancellato persino il ricordo di
quando venivano trattati da numeri, con l’essere umano
resuscitato per il solo momento in cui rilasciava deleghe
in bianco ai poteri riconosciuti nei rispettivi e ora assai
malridotti recinti.
E’ previsione facile che le emergenti platee – dopo aver
invaso la scena per dialogarvi a tutto campo - neanche si
sogneranno di appiattirsi di nuovo negli schemi di un
vivere che incanalava il loro futuro su sentieri stretti e
ultra accidentati perché restassero in soggezione.
Ora, nella galassia del virtuale non si sentono più piccoli,
indifesi, ma un’onda d’urto tanto più temibile quanto più
coesa.
Pare di intravedere qui l’anima del cambiamento al quale
si accompagna la tecnologia, che sforna a getto continuo
le sue magie. Di sicuro però essa esagera in quantità e
molte delle sue proposte – sollecitate dal pensiero unico
tuttora in esercizio, malgrado le fondamenta traballanti non supereranno l’esame del futuro.
189
Tra passato e futuro
Parrebbe ad esempio non destinata ad andare a buca la
cosiddetta cella a combustibile, in cui gas naturale o
idrogeno puro si combinano con l’ossigeno per ricavarne
elettricità, calore e acqua.
Appesa a pareti di normali appartamenti genererebbe (ma
a che costi!) un chilowatt di potenza sufficiente per luce,
tv e frigo disperdendo un 15% dell’energia iniziale contro
il 70% che se ne va con i cavi dell’alta tensione.
Anche il nucleare non tenga botta, nonostante i suoi
ostinati fautori le stiano provando proprio tutte. Da
ultimo hanno presentato una alternativa alle centrali
nucleari dal destino segnato: mini reattori che - una volta
interrati a 30 metri di profondità – sarebbero in grado di
produrre 50 megawatt; una potenza sufficiente per i
bisogni energetici di una cittadina di 30 mila abitanti. Ma
è pressoché certo che il loro nucleo a neutroni i posteri
non se lo ritroveranno con i 500 immensi crateri svuotati
da barre, vasche e annessi altamente contaminanti degli
impianti ora in funzione.
La sfida decisiva per l’energia pulita e illimitata dovrebbe
infatti essere vinta a breve e non ci vuole molto a predire
che, da lì in poi, il pianeta cambierebbe faccia in una col
modo di viverci dentro.
Se due idee che copiano dal passato non faranno futuro,
il simbolo stesso del Novecento – le quattroruote - che
posto vi avrà?
Nelle promozioni sugli schermi televisivi, per stimolarne
l’acquisto le catapultano sui muri da dove rimbalzano
intatte, le fanno sfilare superbe e solitarie su asfalti che
fiancheggiano deserti o suggestive rive marine senza lo
190
Tra passato e futuro
sgarbo di un ombrellone, le infangano su sterrati, le
strapazzano su sentieri scoscesi, le fanno uscire vincenti
da scontri con mostri d’acciaio. Con quali risultati?
Proporne immagini al limite per dimostrarne le qualità, in
un mercato potenzialmente ricettivo, in teoria dovrebbe
servire allo scopo; ma come può essere ancora ricettivo un
mercato in cui hanno regnato per quasi cent’anni senza
evolversi sostanzialmente di un niente?
Nel serbatoio hanno derivati del petrolio, la potenza
prodotta all’80% serve per vincere l’attrito con la strada,
la posizione innaturale della guida provoca con il tempo
guai fisici ai quali è difficile porre rimedio, l’ingombro è
spropositato rispetto al servizio che renderebbero se il
numero stratosferico non ne avesse annullato da tempo
gli iniziali vantaggi.
Certo, ci sono paesi in cui ancora le sue datate lusinghe
attraggono masse fino a ieri confinate nel terzo e quarto
mondo; ma quanto potrà durare?
Può sembrare incredibile, e magari lo è, ma le macchine –
attenzione, tutte le macchine immesse sui mercati negli
ultimi anni – mostrano di avvertirla la fine prossima della
loro epopea.
Ne avete guardato i “musi”? Calano progressivamente
verso terra anno dopo anno.
E’ una soluzione tecnica per offrire meno resistenza
all’aria, pontificano i costruttori. Ma quale minore
resistenza, sono depresse.
E le scocche? Non sono armonizzate al resto ma corpi
estranei, quasi volessero prendere le distanze da motore,
cambio, ruote e annessi: mortificarli.
191
Tra passato e futuro
Se a queste povere macchine, passate da regine di grandi
vie di comunicazione nuove di zecca a cassoni e cassette
in mesta fila su strade intasate,venisse la premonizione
del destino che le aspetta, guarderebbero con un misto di
ammirazione e di mestizia il ragazzo che con il suo skate
board sbuca da uno dei tanti posteggi in cui sono in
temporanea sosta. Perché il futuro, e insieme il loro atto
di morte , è in quella tavoletta che gambe giovani e ben
allenate spostano con straordinaria perizia.
Il modello di skate in produzione fra un paio di decenni e
anche meno dovrebbe infatti consentire alle sue ruotine
di rotolare a velocità variabili in rapporto alla potenza
indotta dal magnetismo. La tavoletta avrà al suo centro
una lunga asta dotata di almeno tre pulsanti (partenza/
arresto/emergenza) e chi ci starà sopra, ad ogni età, terrà
i piedi ben saldi su orme incavate nel pianale mentre un
piccolo “copricapo” conterrà il necessario per decodificare
le onde cerebrali e trasmettere alle ruotine in discorso i
relativi comandi di guida per districarsi nel traffico …
pedonale. Arrivati a casa, lo si riporrà senza apparente
fatica, pesando qualche chilo, in un angolo della cantina,
del cortile o sul balconcino. Dei garage si sarà perso il
ricordo.
Infine nei libri di storia (ma ci saranno ancora i libri?)
della metà del corrente secolo si leggerà che le automobili
hanno fatto registrare una vita più breve delle diligenze,
per non parlare del confronto con i carri egizi, rimasti
invariati per oltre tremila anni.
Il tempo renderà del resto sempre meno omaggio alle
tappe trascorse del progredire.
192
Tra passato e futuro
Succederà più o meno lo stesso al cemento armato, una
conquista in sé che ne ha però fatte combinare di cotte e
di crude: basta guardarsi attorno.
Ma se anche per questo materiale il tempo sta scadendo,
cosa lo sostituirà? Nel futuro del comparto ci sarebbe lo
zampino della nanoricerca che si è inventata i nanotubi
al carbonio, i cui atomi - disposti in formazioni esagonali
– sono arrotolati su se stessi a formare cilindri.
La forza inarrivabile dei legami del minerale principe
dell’universo e la particolare conformazione che gli viene
data lo rendono 140 volte più resistente dell’acciaio, pur
avendo un peso inferiore di un sesto. Per le copertine è
quindi una vera e propria manna raffigurare grattacieli e
ponti, rispettivamente di molti chilometri di altezza o
estensione, realizzati con i nanotubi.
Sarà effettivamente così o i posteri non si sogneranno di
realizzare tali macro strutture su di un pianeta che non
sopporta quelle esistenti?
La risposta in questa sede è scontata, per cui è il caso di
bypassarla. Semmai c’ è da augurarsi qualcosa di meno
spettacolare ma ben più incidente sulla vita dei nostri
pronipoti: l’utilizzo di questi nuovi materiali o di altri con
pari prestazioni per rifare dalle fondamenta ciò che si è
costruito negli ultimi cento anni, specie nelle periferie
cittadine: una edilizia residenziale non solo inguardabile
ma che necessita di continui rattoppi, mentre la qualità
della vita all’interno di tali casermoni è quella che è:
forni d’estate e gelati d’inverno – come si è già notato con pareti che sembrano di carta velina e strutture
193
Tra passato e futuro
portanti che non tengono sisma di intensità superiore al
4o grado della scala Richter.
Abbatterli e tirar su al loro posto strutture abitative
degne di questo nome darebbe all’edilizia e non solo
straordinarie possibilità di rilancio.
D’altra parte se le città – come pontificano i pensatori al
futuro di mestiere - diverranno “intelligenti”, saranno
cioè in grado di autogestire una serie programmata di
servizi grazie a speciali sensori collocati pure nelle civili
abitazioni, ce ne vuole di fantasia a credere che palazzi
combinati come gli attuali, per giunta fra decine d’anni,
possano trasformarsi al punto da diventare “intelligenti”.
Riepilogando: macchine out e al loro posto skate board
guidati dal pensiero; case che hanno rappresentato il
punto di arrivo di tanti onesti lavoratori, della nostra e
della generazione che seguirà, di cui sbarazzarsi di qui
a un po’ per far posto alle nuove, imparagonabili per
sicurezza e comfort.
A domandarsi cosa resterà di quello che c’è, ne viene
una risposta esaltante: quasi niente! Per due ragioni di
fondo.
Sulla prima si è battuto e ribattuto: la fine di questa
civiltà è segnata e non sarà certamente indolore.
Siamo al suo epilogo per le ragioni note: un crescente
spreco di capacità, forze fisiche e risorse impegnate, a
latere di un progredire che ne ha sofferto e ne soffre
visibilmente, al fine di gran lunga prevalente di trarne
vantaggi individuali, di clan, di leadership, di territorio,
di paese.
194
Tra passato e futuro
E’ andata relativamente bene a fasce di privilegiati con le
più varie insegne, comprese le sovrane che, sull’orlo del
fallimento, puntano oggi al bottino del nuovo Eldorado –
le grandi riserve di minerali e preziosi di Luna e Marte –
nella speranza di ripartire alla grande, ovviamente sullo
stesso schema.
I Cesari formato ridotto ora alla guida di giganteschi
condomini gravati da irrecuperabili deficit di gestione
non hanno evidentemente ancora compreso che i tempi
di quell’ulteriore arraffa-arraffa, se mai si verificherà,
vanno ben oltre i loro mandati e il cerino in mano alla
fine se lo ritroveranno tutti, come è giusto che sia.
La seconda ragione sta nel fatto che paradossalmente
sarà proprio la tecnologia ad accelerare il tracollo con lo
sbaraccamento degli attuali apparati dei servizi pubblici,
da cui deriveranno conseguenze gravissime in primo
luogo per un mare di gente che si ritroverà senza lavoro e
prospettive degne di questo nome.
Ovvio che non si baderà a mezzi per mantenere lo statu
quo, ma a fuggevoli recuperi seguiranno ricadute pesanti
sui fattori traenti – credito, imprese, lavoro – con riflessi
sempre più intollerabili sulla qualità del vivere di gente
abituata in precedenza a condizioni ben diverse.
Non occorre perciò l’occhio magico per capire che, nel
momento in cui il vortice regressivo avrà preso sufficiente
slancio, la sua forza disgregante si materializzerà in
durissimi conflitti sociali.
Pertanto se gli scongiuri ci hanno sinora salvato da una
apocalisse di fuoco e cenere - causata da uno o più sassi
galattici, la plebaglia degli astrofisici, o da grappoli di
195
Tra passato e futuro
ogive nucleari da far piovere in testa a chi capita – a
ridurre l’intera umanità al lumicino sarà la plebaglia di
contraddizioni, disuguaglianze, smodati predomini che
ne hanno appesantito e infine interrotto il cammino verso
obiettivi all’altezza delle dotazioni avute.
Per fortuna a quello stadio - per il convergere di concause
in attesa di verificarsi da svariati millenni - è non soltanto
sperabile ma realisticamente pensabile che accada quello
che a prima vista sembrerebbe un autentico miracolo e
invece miracolo non sarà: quella stessa umanità, uscita
spoglia da prove traumatiche, inizierà a correre senza
ripensamenti verso un futuro assetto di cui non ha
predisposto niente ma che sa e vuole in armonia con il
sapere che verrà acquisendo per viverci dentro nell’unico
modo coerente: in modo totale.
Ciò significa che la smetterà di illudersi di poter imbucare
nella realtà in cui vive l’accelerazione di conoscenze nei
più vari campi di uno scibile che si mostra deciso a
saltarla.
In altre parole, gli orizzonti che si aprono al pensare,
esplorare, sperimentare in universi virtuali paralleli a
quello in cui i sensi l’hanno fatta da padroni porterà a
ridimensionare di netto interessi legati alla dimensione
reale, del resto non più esclusiva.
Se ne ricava che un virtuale in galoppante crescendo
dovrebbe prima condizionare e a seguire mettere il reale
in un tranquillo cantuccio assieme a preziosità, paletti
per i distinguo e quant’altro.
Installando un’applicazione AR (Realtà Aumentata) su
uno smartphone dotato di una bussola e di un ricevitore
196
Tra passato e futuro
GPS (per rilevare posizione e orientamento) e puntandolo
su di uno “strato” del web, si ottiene già oggi un mix di
reale e virtuale.
Se, per fare un esempio banale, si digiterà la parola Roma
si otterrà una AR della città con il dettaglio di tutti i siti
archeologici, i centri commerciali, i luoghi di ritrovo e così
via senza la possibilità di separare la visione del reale
nudo e crudo dai dati aggiunti se non con uno specifico
comando. Ma lo si farà raramente, perché nella realtà
assistita ci si troverà a perfetto agio.
Vuoi mettere poi avere a disposizione tasti virtuali sul
palmo della mano per fare vere telefonate o inviare e mail,
trasformare in schermo interattivo qualsiasi superficie,
studiare la storia della Terra e approfondire le nozioni di
medicina attraverso filmati in tre dimensioni sulla vita
quotidiana dei dinosauri 100 milioni di anni fa o sul
funzionamento dal vivo dei principali organi del corpo
umano.
Senza contare che l’apprendimento migliora dalle tre alle
quattro volte se le informazioni che pervengono al cervello
ne stimolino in contemporanea diverse parti.
Non è poi così lontano il ponte ologrammi di Star Trek.
Indossando future lenti speciali, un paio di battiti di
palpebre e si sarà connessi con la riunione alla quale si è
avuto il permesso di accedere in diretta, che rimanderà
immagini a tre dimensioni dei presenti.
La biografia della loro vita scorrerà sotto insieme alla
traduzione in tempo reale di quanto vengono dicendo, se
in lingua diversa da quella dell’osservante.
Del pari, collegandosi in streaming per la presentazione di
197
Tra passato e futuro
un prodotto, in luogo delle attuali schermate apparirà
olograficamente il prodotto medesimo, con ogni dettaglio
in evidenza senza l’ausilio di un puntatore laser.
In quello stesso futuro sarà pratica quotidiana interagire
con immagini virtuali senza toccarle direttamente. Nei
nostri giorni se ne ha un anticipo nel Sesto senso del
Massachussets Institute of Technology: un’interfaccia AR
che proietta immagini su una superficie e, seguendo i
movimenti di punti colorati sui polpastrelli dell’operatore,
interagisce con le medesime.
Suoni e sensazioni tattili sono in arrivo. A quel punto si
tratterà ancora di Realtà Aumentata o semplicemente di
realtà?
I computer – questa è un’assoluta certezza - saranno nei
muri, nei mobili, nei corpi di ogni vivente e il lavoro di
un’azienda, di un singolo ufficio, di un professionista, di
un privato qualsiasi verrà memorizzato in rete e salvato
su un server in the cloud.
Noi alziamo gli occhi al cielo per avere un po’ di riguardo
ma siamo scarsamente corrisposti mentre loro, i posteri,
di qui a poco si vedranno garantiti al 100%.
Non finiranno lì le gratificazioni che attendono l’umanità
dopo l’inevitabile, rovinoso fall out.
Il profetico “Siate visionari” di Steve Jobs a suo modo le
prefigura, facendo da culla alla speranza che i figli dei
nostri figli avranno ben altro: potranno andare in ogni
luogo viaggiando in bolle antigravità; disporre di fonti
di energia pulita in quantità illimitata; potenziare in
modo esponenziale le capacità cerebrali con innesti di
software, testare in permanenza gli organi vitali per
198
Tra passato e futuro
mantenerne l’integrità.
L’uomo di un futuro non distante dai traguardi che la
scienza si pone non è detto non possa persino imitare i
mitici dei, gustando le specialità preferite in piccole
quantità un paio di volte la settimana e ricorrendo, per
sostenersi al meglio, a sostituti proteici e vitaminici
perfettamente assimilabili; ciò che permetterà almeno di
raddoppiare nel tempo la funzionalità degli organi che
presiedono alla digestione e di prolungare l’efficienza del
resto.
Per vestirsi basterà scegliere le proposte di centinaia di
siti specializzati su modelli di tutti i tipi, avveniristici o
d’epoca, indicando colori e materiali (rigorosamente di
laboratorio, con protezione caldo/freddo, leggerissimi)
prima di inviare on line i relativi riferimenti con foto,
non necessariamente in costume adamitico, dalle quali
il ricevente ricaverà le misure per la confezione.
Peraltro dopo un po’ anche queste fantastiche opzioni,
per noi da non credere, perderanno interesse perché
ognuno i vestiti se li farà da sé.
Sul piano collettivo il rivolgimento sarà conseguente al
cambio di rotta imposto dalla insostenibilità dei costi
degli assetti istituzionali odierni destinati a provocare,
paese dopo paese, reazioni a catena fino a raschiare il
fondo.
Cosa non ci sarà a fine discesa? Intanto niente banche,
con buona pace dei Medici che certo non pensavano
sarebbero durate tanto, e un’amministrazione pubblica
ridotta all’osso rispetto al presente. Basteranno infatti
poche decine di migliaia di addetti per garantire servizi
199
Tra passato e futuro
incomparabili con gli odierni a decine di milioni di
utenti.
Le università faranno a meno dei Rettori Magnifici, di un
esercito di cattedratici e delle grandi aule nelle quali si
esibiscono, sostituite da postazioni in cui esperti dei vari
rami terranno lezioni seguite on line dagli interessati,
abbiano 20 o 70 anni.
Contestuale l’uscita di scena dei titolifici, che peraltro
hanno perso da tempo credibilità per l’evolversi continuo
delle conoscenze che li ha resi prima anacronistici e poi
addirittura senza senso.
Una rivoluzione copernicana non potrà non interessare
la sanità dove il taglio di sprechi, burocrazia, personale,
strutture obsolete fa paura solo a pensare di doverlo
realizzare in tempi non biblici. Le risorse per mantenerla
anche radicalmente rivista, ma non smontata, infatti
non ci sono da noi, in Europa e nell’intero Occidente; e
più si va avanti meno ce ne saranno anche nel resto del
pianeta.
In Italia, dove la situazione è particolarmente pesante, si
potrebbe approfittare della diffusione delle farmacie per
trasformarle in presidi sanitari di base comprendenti:
un medico supportato da un robomedico programmato
per rispondere ad oltre il 90% delle domande poste; un
farmacista; un mini pronto soccorso con diagnostica.
Scaffali e cassettiere nulla osta che rimangano finché si
avvertirà il bisogno di scegliere tra molte proposte di
medicinali con lo stesso principio attivo, diverso prezzo
ed effetti, nella stragrande maggioranza dei casi, non
curativi ma sintomatici.
200
Tra passato e futuro
Va da sé che il nodo gordiano sia rappresentato dalle
grandi strutture ospedaliere e dalle cliniche private che
fanno loro corona, dove continua la gara per dilapidare
pubblico denaro.
Con una rete di centri dotati delle più moderne
tecnologie, tra loro collegati in presenza delle stesse
specializzazioni, si risparmieranno un sacco di soldi.
Non ora ma quando si saranno sfoltiti i quadri di un
sacco di gente senza meriti né particolari colpe e di
altrettanta che di sole colpe ne ha d’avanzo.
Un cenno meritano le professioni che andranno per la
maggiore. In ordine decrescente: bioinformatici, esperti
di robotica, fisici, matematici, ingegneri, agricoltori,
giardinieri, addetti all’ordine pubblico.
Per contro le professioni meno appetibili saranno quelle
di medico, avvocato, commercialista, consulente del
lavoro. Spariranno infine notai e politici di professione:
abrogati!
In campo sociale, le esistenze sezionate in stagioni - con
tempi standard di impegno comune – apparterranno ai
ricordi sgradevoli di un passato che si sentirà remoto
per il salto di mentalità nel frattempo intervenuto più
che per gli anni effettivamente trascorsi.
La formazione sarà infatti permanente mentre il lavoro,
vissuto come apporto individuale a esiti da condividere –
avrà perso definitivamente il connotato di dipendente,
ultima e neanche troppo larvata forma di schiavitù che
ci portiamo appresso.
Non si andrà in quiescenza sia perché il degrado fisico
non sarà più così marcato in funzione degli anni, sia
201
Tra passato e futuro
perché le capacità intellettive, stimolate dal continuum
di conoscenze, determineranno obiettivi, nei più diversi
campi, costantemente in avanzo per esistenze di durata
mediamente quasi doppia rispetto all’attuale.
Conterà s e m p r e m e n o pure l o s ta c c o ieri /domani
sia per l’accelerazione progressiva del cambiamento che
interesserà tecnologie, assetti, modi di vivere, sia perché
l’immaginazione, regina del vissuto, tenderà ad accomunarli
a un presente senza confini.
Se le novità nella società rinata dal tonfo della civiltà che
conosciamo toccheranno in misura rilevantissima ogni
aspetto della vita reale delle persone, non è immaginabile
quale sarà l’evoluzione dei mondi visionari, dove le fughe
in avanti saranno la norma.
Nel quotidiano a tu per tu con conoscenze e applicazioni,
che andranno costantemente al di là della dimensione in
cui si respira, perderà in sostanza progressivamente
peso il contesto reale e le sue conseguenti primazie,
l’avere su tutte, mentre l’amato corpo verrà relegato a
bagaglio appresso tenuto senza eccessiva fatica in
condizioni ottimali.
Dal quadro appena schizzato a noi, che quei livelli del
progredire non potremo goderli, viene la conferma alla
ipotesi che ha campeggiato in queste note: non è la
materia di cui siamo fatti, senza sentircene compresi,
all’origine di guai e disuguaglianze vissuti e da vivere
ma lo iato tra la pozzanghera della fisicità e dei suoi
irrazionali impulsi e l’oceano della mente che non si
nega alcun traguardo.
Per avventurarsi in tale oceano non servono stimoli
202
Tra passato e futuro
esterni, avendoli ognuno pregnanti, sconfinati e tali da
regalare e regalarsi personalissime creazioni ed emozioni.
Ed è in sé consolante pensare che la prossimo ventura
sarà una quotidianità visionaria, r e s a possibile da una
scelta del vivere legata sempre meno a corpi da appagare
e curare per esserne a discrezione limitatamente serviti.
L’azzardo, o se si vuole ancora il sogno, è che gli uomini
di domani, affrancati dal delirio apocalittico di Giovanni,
usciti indenni dal primo mondo dei Maya e ad un passo
dalla scadenza posta da Isaac Newton (che non
azzeccherà la previsione), cerchino in se stessi, in cui
tutto è racchiuso, la ragione e il compenso dell’ esistere.
Non ci sarebbe, a quel livello, necessità alcuna di padri
di copertura di alcun tipo e c’è da scommettere che si
vivrebbe liberi e dunque felici come può darsi si sia stati
in quel leggendario Primo Tempo, se per esso si intende
culla e apice insieme della vita umana.
203
Tra passato e futuro
204
Tra passato e futuro
Sommario
Anteprima
1
Non ci siamo per caso
7
L’era felice
11
Il sogno infranto: Atlantide
14
Il diluvio universale: lo spartiacque
18
Il Primo Tempo
23
I “fuori quadro”
30
Presi dal mazzo
33
Megaliti
44
“C’erano sulla Terra i giganti …”
48
Nazca e la città degli dei
51
Cosa c’è in fondo al mare?
54
La Grande Piramide e le altre
58
Conoscenze senza tempo
65
Si è perso l’orizzonte
71
Ascesa e declino del consumismo
79
Pilastri in crisi: produzioni alimentari
89
Pilastri in crisi: l’ambiente
95
Pilastri in crisi: l’energia
99
Mercato globale e debiti sovrani
106
C’era una volta la società scolarizzata
115
Senza ismi
121
Con Gesù e Buddha
124
205
Tra passato e futuro
Disuguaglianze allo specchio
126
L’apocalisse: bufale e rischi latenti
131
Ufo: le evidenze
138
Glifi in un campo di grano
143
Un Dna in mutazione
149
Una pesante autocritica
155
Scuole di pensiero al futuro
161
Mondi, tempo, coscienza e …
171
…. La Grande Madre
181
La vita tra un paio di ripartenze
188
206
Tra passato e futuro
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