C ULTURA OMMESTIBILE IL NUOVO corriere “ I popoli si dilettano dello spettacolo; grazie ad esso li teniamo mente e cuore Luigi XIV GALLERIE&PLATEE 70 C U O N.28 a Cura di SARA CHIARELLO ALDO FRANGIONI ROSACLELIA GANZERLI SIMONE SILIANI MICHELE MORROCCHI Progetto grafico EMILIANO BACCI [email protected] [email protected] a cura di Aldo Frangioni [email protected] el centenario della nascita di Renato Guttuso (Bagheria, 1911 – Roma, 1987), Serravezza rende omaggio al pittore con la mostra “Guttuso e gli amici di Corrente” mostra aperta fino all’11 settembre 2011 nel Palazzo Mediceo organizzata dalla Fondazione Terre Medicee e dal Comune di Seravezza. Settanta dipinti e opere grafiche provenienti tutte da collezioni private in maggioranza di Guttuso, dagli anni ‘40 agli anni ‘80. Insieme ai lavori del grande pittore siciliano ci sono quelle degli artisti di “Corrente” (Treccani, Birolli, Sassu, Migneco, Morlotti, Vedova). La figura dell’artista è stata riletta partendo da alcuni documenti finora inediti. Si tratta delle lettere che Guttuso scrisse a Berenson e a Longhi tra gli anni ‘40 e ‘60. I rapporti tra Guttuso, Berenson e Longhi, noti , ma relegati ad un ruolo del tutto marginale anche da Enrico Crispolti che di Guttuso è il maggior studioso. L’ideazione e l’organizzazione tecnica della mostra è merito di Enrico Dei , per conto dell’Amministrazione Comunale di Seravezza e la Fondazione Terre Medicee. A Mauro Pratesi, presidente della Fondazione, si deve l’attenta ricerca e il testo pubblicato nel catalogo, dal quale abbiamo stralciato dei brevissimi brani riferiti al rapporto Guttuso-Berenson N di Mauro Pratesi Quando sia iniziato il rapporto [con Bernard Berenson] non è possibile conoscere con esattezza: volendo risalire ad una data precisa, la prima missiva di Guttuso reca la data 30 aprile 1948, in una cartolina di saluti spedita da Varsavia distrutta dalla guerra, firmata anche da Luigi Einaudi... Dopo appena un mese, con precisione in data 27 maggio 1948, Guttuso invia una lettera a Berenson, seppure con la formula rispettosa di apertura “Egregio Prof. Berenson”. Quella lettera è comunque segno tangibile di un rapporto ormai concretizzato tra i due, laddove l’artista ringrazia lo studioso per le “gentili parole”, ma soprattutto per averlo “permesso di incontrarla” e di “farlo ancora”: “non passerò mai da Firenze senza procurarmi la gioia (e la ricchezza) di poterla salutare”. Sono parole che denotano non certo la volontà di un rapporto occasionale o interessato del pittore con una delle personalità più prestigiose del panorama internazionale del tempo... L’incontro tra i due avviene [...] a Venezia nell’occasione della Biennale del 1948, come aveva scritto Guttuso e come testimonia la foto Guttuso e Berenson insieme a Venezia e a Fiesole A cento anni dalla nascita Seravezza ricorda il pittore siciliano LE SORELLE MARX L’ottava arte (italiana): lo sgravio fiscale 1 3 luglio 2011, vigilia della ricorrenza della presa della Bastiglia. Gli assessori regionali Scaletti e Nencini convocano una storica conferenza stampa durante la quale annunciano la predisposizione di una legge per poter fare volontarie dazioni di denaro per attività culturali in cambio di uno sconto sull'Irap (la fastidiosa tassa che a Prato, scrive Edoardo Nesi, chiamano Iraq per le sue nefande conseguenze sulla piccola industria). I famosi feedback su questa clamorosa e lodevole legge regionale non si sono fatti sentire in nessun luogo. Di più, pur interessandocene, per pagare meno tasse, a favore della nostra Impresa Marx Sisters, che produce “intimo materialista”, non siamo stati in grado di leggere una bozza, un appunto, un pizzino qualunque per capire come si fa, donando alla cultura, a risparmiar gabelle. Il silenzio del mondo intellettuale e degli addetti è clamoroso. Ma si rendono conto teatranti, cineasti, archivisti, museologi, mostraioli etc. etc. che se sopravvivono fino al 2013, dalla Regione può venir fuori un tesoro? Il Da Empoli e la Colombo, alla prese con gli esuberi del Comunale avranno capito la splendida occasione? Nel frattempo se Riccardo e la Cristina pubblicano qualcosa: il modulo per fare la domanda, i requisiti per partecipare alla lotteria ed altre informazioni, noi pensiamo ad accantonare denaro per poter usufruire dell'occasione. inedita che qui si pubblica. Indubbiamente il rapporto che viene ad instaurarsi tra Guttuso e Berenson, come si evince dalle lettere dell’artista, è molto sincero e forte, complementare oltre che contemporaneo a quello con Longhi. [...] Appunto Longhi, nel presentare la mostra di disegni di Guttuso presso la galleria fiorentina “Il Fiore” nel marzo 1959, si chiede “se la simpatia che il nestore Berenson ha sempre dichiarato per Guttuso non si spieghi dal fatto che, proprio nei disegni, Guttuso sembra illustrare ancora una volta l’antico (1896) berensoniano principio delle ideated sensations of movement” ******** [Sylvia Sprigge...]la prima biografa ufficiale di Berenson, assidua ospite e frequentatrice dei Tatti, [nella] Berenson a Biography pubblicata a Londra nel 1960 [...] si legge: “ Aveva un debole per Renato Guttuso, il pittore, e per lo storico dell’arte di Siena conte Ranuccio Bianchi Bandinelli, entrambi Compagni a pieno titolo” ritenuti, però, “politicamente irresponsabili”. Anche nella successiva, pur discussa Biografia critica di B. B. curata da Meryle Secrest, si fa cenno a Guttuso indicandolo come uno tra i molti frequentatori dei Tatti, proprio tra l’estate del 1948, la primavera del 1949 e quella del 1950, insieme ai nomi più disparati e illustri, da W.H. Auden, a Stephen Spender, da Henry Moore, Jacqueline Kennedy, Alberto Moravia, fino, appunto, a Guttuso. A confermare questo forte legame non occasionale di Guttuso con Berenson e con il suo entourage è la scrittrice e giornalista Clotilde Marghieri, [...] viva presenza per circa trent’anni nella vita di Berenson, la quale in una lettera datata 28 giugno 1952 comunica all’ “amatissimo Bibi” di avere messo a completa disposizione dell’artista la sua villa di Torre del Greco”. E significativamente nello stesso 1952 Guttuso fa dono a Berenson, con tanto di dedica, di una sua opera intitolata Colloquio nel bosco. Anche Guttuso, già prima di questo dono, era ormai passato alla forma del “ caro/carissimo Bibi” [e] non esita a dichiararsi con infinita e disarmante sincerità “io sono comunista” (pur sapendo che B.B. non lo era, anche se li accomunava il comune anti-fascismo). [...] A tale riguardo Berenson nei suoi diari non esita a scrivere che Guttuso, pur essendo “membro attivo del partito comunista”, era: “ persona colta e anche umanista” [...] e nei suoi desideri, era quello di volerlo redimere dall’ideologia comunista nel convincerlo dell’alto “valore della produzione borghese” così come era convinto l’eminente studioso. [email protected] C Il Nuovo Corriere Sabato 13 agosto 2011 U O N.28 2 LEGGERE LA CITTÀ di Gaetano di Benedetto e parti della città di formazione più recente sono quasi sempre il risultato di un processo decisionale esitante e contraddittorio, che avrebbe potuto dar luogo ad esiti molto diversi. Le periferie, insomma, sono le parti in cui la città si mostra con maggiore evidenza un’ “opera aperta”, secondo la fortunata locuzione di Umberto Eco, felicemente sviluppata da Calvino nel suo famoso libro del 1979. Prendiamo il caso dell’Isolotto. L’osservatore disinformato potrebbe concludere che poche altre periferie italiane mostrano una così felice riuscita di un unico programma fondativo, strenuamente voluto e attuato senza ripensamenti e in un tempo brevissimo da un unico vero committente (Giorgio La Pira), privo di alterazioni successive di qualsiasi livello, anzi benedetto da un felicissimo sviluppo delle due componenti che meno si possono controllare in fase previsionale: l’apparato vegetazionale (oggi l’Isolotto è davvero una “città giardino”) e soprattutto il corpo sociale (questa è la periferia fiorentina che prima di ogni altra è diventata un quartiere della città, con propria identità, propria coesione, propria capacità di iniziativa, e ormai propria storia e propria cultura). Apparentemente una formazione monolitica. Ma anche nel caso dell’Isolotto, ciò che oggi abitiamo o frequentiamo è il frutto di un’indecisione. Nel febbraio 1865, quando Firenze è designata capitale del Regno, Giuseppe Poggi elabora un primo progetto di ampliamento della città. In questo progetto, carico di scelte lungimiranti e coraggiose, il Campo di Marte, una spianata di quaranta ettari “per le evoluzioni militari, circondato da viali alberati per le carrozze e fronteggiato da una gran Caserma per l’Artiglieria, Cavalleria ed Infanteria”, non era posto al piede della collina fiesolana, dove siamo abituati a saperlo collocato, ma proprio nel luogo dove ottantanove anni più tardi sarebbe stata inaugurata la “città satellite” dell’Isolotto. Possiamo intuire le ragioni progettuali che ispirarono al Poggi questa soluzione: sposare la nuova grande attrezzatura con le Cascine, il maggior parco esistente in città, raddoppiandone quasi la superficie; estendere al nuovo spazio urbano il prestigio promanante della residenza ex granducale affacciata sulla riva opposta dell’Arno; assicurargli una possibilità di sviluppo non limitata da barriere di alcun genere. L’ipotesi fu coltivata per pochi L Se l’Isolotto fosse nato a Campo di Marte mesi soltanto; il definitivo piano del Poggi (novembre 1865) conteneva già la localizzazione “giusta” del Campo di Marte, e la sponda sinistra del fiume rimase esclusa dall’evoluzione urbana per quasi un secolo. Ma saremmo colti dalle vertigini se provassimo a immaginare quali avrebbero potuto essere gli sviluppi di questa parte di territorio Sopra copertina del discorso pronunciato da Giorgio La Pira per la consegna delle prime case dell’Isolotto (1954)” Sotto il Campo di Marte all’Isolotto, particolare del primo progetto di Giuseppe Poggi per l’ampliamento di Firenze Capitale, febbraio 1865” In alto via dei Ligustri all’Isolotto ( foto Elena Dal Monte). A fianco a destra Campo di Marte: una strada “canocchiale” sulla collina di Fiesole ( foto A.Frangioni) se quella scelta non fosse stata abbandonata. La realizzazione qui del Campo di Marte avrebbe anticipato di quasi un secolo lo sviluppo della città verso ovest, cioè in condizioni spaziali, infrastrutturali, sociali assai meno asfittiche; avrebbe posto le premesse per quel bilanciamento funzionale tra le due rive dell’Arno che soltanto negli ultimi venti anni si è cominciato a instaurare; avrebbe permesso, in un tempo successivo, di convertire l’attrezzatura militare in attrezzature sportive in condizioni di accessibilità decisamente più felici. E potremmo continuare. E l’Isolotto? Forse sarebbe sorto al piede della collina fiesolana. [email protected] [email protected] C Il Nuovo Corriere Sabato 13 agosto 2011 U O N.28 3 VUOTI&PIENI di Carlo Cuppini* atrimonio, memoria, macerie, celebriamo il matrimonio mondiale dell’umanità, tutelato dall’Unesco, 800 meraviglie del mondo a portata di mano, in mancanza di equità confidiamo nei voli low-cost, potremo andare comunque a Petra nel weekend, postiamo le foto su Facebook, dài tagghiamoci un po’.Patrimemoria, matrimonumenti, toponomastica viaria. Militi ignoti, parchi di rimembranze rimembranti il rimembrare – ma non il suo oggetto. Memoria di vittoria, di trattati, di stermini, di odio. Patrimodio, da tramandare per non scordare di sparare, perché è così si fa. Le divisioni restino tali, la Divisione della Gioia, perbacco, Auschwitz, treni merci, mosaico balcanico con tasselli minati, Muro di Berlino, Palestina, fratelli a tempo determinato, frontiere tumorali, crescita incontrollata degli stati, Sudan Sudsudan Sudsudsudan Padàn. Monumento celebrativo, commemorativo, con piccione incorporato. Memoria nella polis perdura finché fa litigare. Wojtyla a Termini in bronzo è campato tre mesi: oggi tra i turisti c’è chi lo scambia per il Duce. Comunque è controllato da due telecamere, che il barbone non ci vada nell’incavo a soggiornare. Statuaria cittadina non rivolta a poveracci; beati i privi di memoria: la pioggia acida non li corroderà. Rinnegati i padri, noi, saccheggiate le eredità, ci siamo fatti padri a lunga conservazione, garantiti per 7000 anni, fin quando le ultime scorie nucleari si saranno spente, e i discen- P Patrimonio, memorie e macerie denti potranno finalmente obliarci, e smetteremo di essere totem di una passata civiltà, monumenti a perdere di un’archeologia tossica, e avremo finito di scontare la colpa di aver divorato il destino dei figli, per azionare i nostri luna-park, e torneremo tabula rasa, pulviscolo cosmico immemorabile, e dimenticheranno i nostri cognomi, e in pace concime- remo gli orti degli alieni. Facciata di San LoRenzi, Santa Maria del Fiore e pure Santa Croce, insieme a una dozzina di David posteriori: smontare il tutto e rimontarlo più in là, su una collina del Chiantishire, portarci i turisti a 10 euro, luogo ideale per fare fotografie – e un attentato, virtuale – vero parco del Rinascimento unilaterale.Infine frugare tra le bra- *Carlo Cuppini ha partecipato, insieme a Carmen Andriani, Elena Pirazzoli, Stefano Catucci e Richard Ingersoll all'incontro dedicato al termine “Patrimonio”, parte del programma Pensare Spazi Contemporanei, in corso alle Murate e a EX3 fino al prossimo 14 dicembre e dedicato alla discussione di argomenti di cultura urbana. Il programma, curato da SPIRITI DI MATERIA Per chi ami la poesia, i nomi di Luciano Erba, Giovanni Raboni, Clemente Rebora, Vittorio Sereni e poi Giorgio Gaber, Enzo Iannacci, Roberto Vecchioni, richiamano alla mente una Lombardia cólta, europea, non chiusa in un perimetro etnico. E in anni non lontanissimi la parola “padana” faceva pensare solo ad una”pianura” per la quale Attilio Bertolucci cantava “Le gaggie della mia fanciullezza/dalle fresche foglie che suonano in bocca.”, e Corrado Govoni coglieva la luce/ombra del crepuscolo sul Po “Dove il fiume fa un ansa e il sole cuoce/sopra gli spini l’oro dei ramarri/è dolce quel tremare dell’acqua buia…” Questo il nord, un mito da visitare, nel suo sfumato di nebbia, di terra e di cielo e nelle sue geometrie di città futura, vivificato dal mito mediterraneo di Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Raffaele Carrieri, Rocco Scotellaro che lo sradicamento rendeva anche più sinergico, come ci ricorda Quasimodo nella sua famosa “Lettera alla madre”. Tuttavia erano anche anni nei quali un oscuro personaggio, infiltrato nei salotti letterari fingendosi poeta dialettale per uscire dall’anonimato, si preparava, come il tarlo, a distruggere tutto ciò e a esprimere poi, col ”celodurismo” del dito medio, lo “spirito” di un nuovo stato, la Padania, chiuso in se stesso come un feudo medievale. Anche se la parola padania è solo una parola (un nome simile a quello degli staterelli da operetta dei film di Stanlio e Ollio), magari si potrebbe usare in risposta per la frase “vai in Padania”, come dire “vai a quel paese”. Come toscano di adozione, noi abbiamo avuto un poeta e storico dell’arte, Dino Carlesi, scomparso a Pontedera lo scorso anno, che può essere preso a modello della naturale apertura. Nato a Milano nel 1919, nella sua lunga vita ha fatto opera di promozione dell’arte del Novecento quando ancora non era stata ufficializzata. Ricordo le Biennali da lui organizzate a Pontedera dove, con spirito lungimirante, evidenziava artisti e movimenti in tempo reale come, per dire, il neonaturalismo patrocinato da Francesco Arcangeli. E non amava le faide municipali. Quando Quasimodo vinse il premio Nobel e i poeti ermetici fiorentini, per contrasto, negarono al ghe del padre, piene di escrementi da mondare, per accorgersi che avremmo avuto tante cose da dire, se solo non fossimo nati Qui Quo e Qua, abitanti di un mondo di zii di amici di “mi piace” e di varia umanità, senza traccia di padre né madre, senza passaggi di età. [email protected] [email protected] Marco Brizzi, è promosso da Image e realizzato in collaborazione con il Comune di Firenze, la Fondazione Professione Architetto e EX3. Le immagini pubblicate in questa pagina sono relative al video Sukkah (2001), di Francisca Benitez, nel quale si documenta la città effimera che si realizza a Brooklyn, New York, durante la commemorazione dell'Esodo. di Franco Manescalchi Dino Carlesi: la memoria del Nord “geometra” che aveva ricevuto un così alto riconoscimento l’accesso ai propri salotti, fu Dino Carlesi ad accoglierlo nella sua “terra di litorale”, come narra in una sua poesia. A Salvatore Quasimodo: “Dopo Stoccolma/tu Giacomo ed io/guardavamo il mare di Calafuria…” Inoltre Carlesi pubblicava e inviava agli amici, come augurio di buon anno, un libretto di poesia e prosa a bassa tiratura a cui abbinava l’opera grafica di un artista . Io, questi libretti li ho conservati sia perché rappresentano una rarità bibliografica, ma soprattutto come prezioso ricordo di Carlesi, a cui ero legato da grande amicizia. La sua scrittura era caratterizzata da uno stile in cui erano compresi dialogo ed elegia, intelligenza ed emozione, tipico della linea lombarda. Egli sapeva che non si ha realtà senza poesia, un esempio questi versi per la sua amata Pisa: “La piazza dei Miracoli vera/è quella di Viviani/l’altra è falsa:/è senza cani./Il Battistero d’alabastro/una mattina/gli fiorì dalle mani.” Fra i suoi testi, scelgo qui non a caso Il nord racconta dove il poeta propone la Milano della sua prima infanzia: “la memoria del nord”, con i toni teneri che ricordano inoltre da vicino il gusto impressionistico di Bertolucci e Govoni, e che conclude con A destra Dino Carlesi un’immagine universale: “soltanto con Mario Luzi speranze/sul volto mite di mio Sopra Incisione di padre”. Anna Sanesi per il [email protected] Quaderno n° 9 [email protected] IL NORD RACCONTA Il nord racconta piano alla vecchia memoria perfino i tetti, le strade di Milano sulla neve orme che sanno i sentieri dei portoni, scie calde di passanti con storie di fiato narrate alla luce dei lampioni. Il nord ha scritto da tempo sere di silenzi e fulmini e stupori, gli occhi perduti nell’ansia delle vetrine delle folle dei gridi delle sirene. Morivano case e lamenti sui canali di periferia, col vecchio cappotto, il treno, un treno verde di latta. Memoria di ruggiti di circo di pennacchi da ragazzo, di attese del pesce rosso che ci salutasse in superficie: soltanto speranze sul volto mite di mio padre. Da Impronte digitali, Scheiwiller, Milano, 1981 C Il Nuovo Corriere Sabato 13 agosto 2011 U O N.28 SCENA RETROSCENA di Simone Siliani LETTRA Che preghiera, la mia, agli dèi! Sarà religiosa? CORO Di compensare chi ti odia col male? Dubiti? ELETTRA: Contro gli altri, i nemici, io dico: che sorga il tuo giustiziere! Chi diede la morte, sconti il giusto castigo: la morte! Questo io metto al centro del mio buono scongiuro, e contro di quelli pronuncio il mio brutto scongiuro Tragedia della vendetta e del dubbio, Coefore di Eschilo, secondo atto della trilogia dell'Orestea (458 a.C., l'unica trilogia del teatro greco pervenuta sino a noi), va in scena al cimitero militare germanico della Futa ad opera di Archivio Zeta, la compagnia che da anni “abita” questo luogo della memoria e questa marca di confine fra Toscana ed Emilia Romagna, per la regia Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni. Una messa in scena straordinaria, come ormai siamo abituati a vedere qui alla Futa da quasi 10 anni a partire dal Progetto Linea Gotica, con la splendida partitura sonora di Patrizio Barontini e un pregevole lavoro sul testo compiuto insieme a studenti bolognesi. Ma è camminando fra le tombe dei 31.000 militari tedeschi che la tragedia di Eschilo assume tutto il suo attuale significato e si pone a noi come opera contemporanea. Dove altro dovremmo provare, pur annacquato dal trascorrere dei decenni, un impulso di vendetta tradotto in giustizia se non nel cimitero dell’esercito invasore i cui soldati, “i volenterosi carnefici di Hitler”, hanno distrutto tante vite innocenti in queste zone? Eppure prevale la pietas, il muto rispetto per quei tanti giovani, nemici certamente, che lontano dalla loro terra e dai loro affetti, hanno perso la vita. E’ la nutrice del dramma di Eschilo che qui prende il sopravvento: l’unica che prova il sincero dolore della perdita alla notizia, falsa, della morte di Oreste e che poi già indovina il disastro esistenziale che, compiuto la “giusta” vendetta, si abbatterà su Oreste. Nella incrollabile certezza della responsabilità storica dell’esercito nazista, in questa distesa di tumuli tutti uguali, il dubbio non può non prenderti circa i destini individuali, la possibilità di dire disobbedire agli ordini superiori che avrebbero evitato tanto dolore durante il secondo conflitto mondiale. E non è forse questo il dubbio che assale Oreste dopo che ha compiuto la sua vendetta e la giustizia degli Dei? E’ qui la forza di quel ritornello, “I morti uccidono i vivi”, che accompagna la tragedia: i morti, vittime della giustizia, trascinano in un gorgo di dolore e dubbio i vivi. Le Erinni già tormentano Oreste che troverà solo nel terzo atto della trilogia, le Eumenidi, la pace del processo e della giustizia umana. Ma Coefore resta tragedia del nostro tempo, ancora così intriso del trionfo della vendetta che chiamiamo giustizia. [email protected] [email protected] E LETTERE LETTERATI Eschilo nel Cimitero Militare della Futa A sinistra i partigiani in piazza Beccaria (Foto Istituto storico della Resistenza Toscana), sotto il Cimitero militare al Passo della Futa. Vi sono sepolti 31mila soldati tedeschi morti in Toscana nella II Guerra Mondiale. In basso Partigiane fiorentine cantano sotto la pioggia alla cerimonia per la consegna delle armi (Firenze, 7 settembre 1944 (Foto Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea 'Giorgio Agosti') TEMPO PERSO 11 agosto 1944 La Liberazione di Firenze di Leandro Piantini L’11 agosto 1944 avviene la liberazione di Firenze. Fascisti e truppe tedesche cominciano a ritirarsi a nord della città, da quel giorno ormai quasi tutta sotto il controllo dei partigiani e degli alleati. Uno degli episodi più belli di Paisà, il film di Rossellini che nel ’46 rievocava la resistenza e la guerra civile in alcuni luoghi significativi della penisola, è proprio quello che descrive la lotta che si combatté strada per strada a Firenze, e lo sceneggiò Vasco Pratolini, da anni lontano da Firenze ma presente in quel momento cruciale. La battaglia combattuta in città fu assai cruenta per la massiccia presenza dei cecchini fascisti che dai tetti contrastarono palmo a palmo l’avanzata alleata. Li aveva organizzati, nella sua ultima visita a Firenze che fece in giugno, Alessandro Pavolini, assolutamente deciso a impedire che Firenze accogliesse i “nemici” con l’entusiasmo con cui a Roma erano stati ricevuti dalla popolazione gli angloamericani. Aveva scorto Pavolini fermo davanti alla vetrina di Seeber Alessandro Bonsanti di Michele Morrocchi Lo sbadiglio resistenziale Di fronte all’ennesima, strumentale, avvizzita, polemica sul ruolo e il contributo del Compagno Tizio rispetto a Don Caio nella Resistenza la mia prima reazione è quella di uno sbadiglio. Che noia, che barba. Pensavamo superate e inutili questo genere di polemiche che nulla (o quasi) hanno di storiografico o di contributo alla conoscenza del fenomeno resistenziale o del fascismo (soprattutto nella sua continuazione post mussolini). Tutti fatti già noti, studiati, archiviati che non vengono vivificati nel ricordo e nella memoria ma ri-appicciati per un uso pubblico della storia piccolo e contingente. Così il gesto di chiamare un cardinale emerito a fare la prolusione per la Liberazione di Firenze viene forse spinto come se fosse una provocazione d’artista in chi lo pensa e vissuto come (quasi) vilipendio dai depositari della memoria parziale (che si è però convinta via via di essere totale) della resistenza rossa. Quando invece provocazione vera sarebbe quella di un ex missino a tenere la prolusione o vilipendio vero è quello di un memoria che ogni giorno è sempre meno conosciuta e condivisa o del silenzio su come quella Resistenza ha taciuto non sui suoi crimini (indagati e studiati ben prima e ben meglio dei copia incolla di Pansa) ma sulla persistenza del regime fascista in tanti troppi gangli vitali della Repubblica. E se è vero quel che dice il nostro Sindaco con un frase 4 ad effetto (invero ultimamente un po’ abusata dallo stesso) che la storia non si rottama, è vero che la si mantiene viva con lo studio e coi contributi a chi, come gli Istituti Storici, ha per compito la preser- vazione e la narrazione di quella storia, un impegno che dura molto di più delle polemiche e dei miei sbadigli conseguenti. [email protected] [email protected] ma non gli si era fatto incontro, e poi se lo rimproverò sempre. Chissà se sarebbe servito a qualcosa parlare con l’amico di un tempo divenuto il feroce condottiero di Salò. Nel ’44 Firenze pullulava di gente venuta da ogni parte d’Italia, avventurieri e prostitute comprese, cinema sale da ballo e ristoranti erano sempre pieni, come in una macabra festa che si celebrava “prima del diluvio”. Negli scontri tra cecchini e partigiani –nei giorni in cui i tedeschi fecero saltare tutti i ponti risparmiando solo il Ponte Vecchiotrovò la morte anche il pittore Bruno Bécchi, fascista accanito ma forse ormai passato nelle file della resistenza. Morì anche Pietro Chiesi, modesto ciclista che era diventato famoso per aver vinto da outsider una mitica Milano-San Remo nel ’27, quando tutti aspettavano la vittoria di Binda o di Girardengo. Ne La Pelle Malaparte racconta di avere assistito, arrivato insieme ai soldati americani in piazza Santa Maria Novella, alla fucilazione di giovanissimi fascisti catturati dai partigiani e sottoposti al giudizio di un “tribunale del popolo” sul sagrato della chiesa. Fu un’esecuzione sommaria e quando Malaparte era arrivato nella piazza la montagna dei cadaveri era già alta. Dopo l’11 agosto Firenze ritorna faticosamente alla normalità. La vita riprende tra problemi e difficoltà d’ogni genere, mancano acqua e gas, il cibo scarseggia per chi non può permettersi di acquistare alla borsanera. Ma la città è libera dopo vent’anni di dittatura. Furoreggiano i soldati alleati, ai quali si aprono tutte le porte, comprese quelle dei locali, delle sale da ballo e dei cinema. E pare che per allietarli, in uno spettacolo che si tenne nel cinema più grande di Firenze, Il Rex –poi ribattezzato Apollo- siano venuti da oltreoceano addirittura Frank Sinatra e Marylin Monroe… [email protected] [email protected] C Il Nuovo Corriere Sabato 13 agosto 2011 U O N.28 LETTERE&LETTERATI MENÙ di Serena Cenni Il 16 giugno, nella splendida cornice della Sala delle Feste di Palazzo Bastogi (Consiglio regionale della Toscana) si è aperto un convegno dedicato a un folto gruppo di artiste e di artisti angloamericani che, dall’unità d’Italia allo scoppio della prima guerra mondiale, soggiornarono a Firenze attratti dalle bellezze naturali, dai giardini e dalle dimore sontuose sulle colline dove poterono vivere con grandi agi, e da quell’allure culturale che la Toscana ha da sempre offerto ai suoi ospiti italiani e stranieri. In quegli anni Firenze vive un momento unico e irripetibile: i più bei nomi dell’intellighentsia europea e americana vi risiedono e si incontrano sempre più frequentemente, avvicendandosi di villa in villa tra raffinati ricevimenti, salotti letterari ed erudite conversazioni. Ma chi sono questi intellettuali infatuati, o queste eccentriche artiste, ribelli e appassionate, che praticano l’anticonvenzionalità (anche nei diversi orientamenti erotici) rendendola originale chiave di lettura del mondo? Per ricordare solo qualche nome;si pensi alla bellissima poetessa Mina Loy, autrice di aforismi futuristi, legata a Filippo Tommaso Marinetti, ma anche a Giovanni Papini; alla danzatrice Isadora Duncan che, proprio a Firenze, viene influenzata nella sua arte sperimentale dalla visione della Primavera del Botticelli, al regista e scenografo Gordon Craig (amante di Isadora Duncan) che fonda al Teatro Goldoni la “Scuola d’Arte del Teatro”; alla poetessa Gertrude Stein che, con la compagna Alice Toklas, soggiorna a Fiesole a Villa Bardi; a Vernon Lee, che nella sua villa Il Palmerino riceve i più bei nomi della cultura europea; agli aristocratici quanto stravaganti fratelli Sitwells, che vivono per molti mesi all’anno nello di Barbara, la cuoca di Pane e Vino I Una sconfinata infatuazione Il cortile del Castello di Montefugoni nel Chianti, sotto la maschera di Gino Severini nella locandina del Convegno “Una sconfinata infatuazione” straordinario scenario medievale del Castello di Montegufoni (dalla cui Sala delle Maschere, affrescata da Gino Severini, proviene il volto intrigante del “Pulcinella con piffero”, emblema del convegno). LA STRISCIA DI PAM 21 E’ proprio sulle tracce lasciate da questi e da molti altri artisti, per i quali Firenze ha avuto un ruolo determinante, e che da Firenze hanno poi irradiato la loro originalità anche in patria, che un gruppo di studiosi si è confrontato due giorni negli spazi privilegiati del Gabinetto Vieusseux, del British Institute e della Villa Il Palmerino, per riportare alla luce - attraverso carteggi ancora sconosciuti, autobiografie, memorie, scritti di poetica - i segni di quei percorsi intellettuali che si caratterizzarono tra i più intensi e innovativi del pensiero premodernista e modernista. [email protected] t [email protected] C he cosa significa lavorare in una cucina dove un cuoco (toscano) fa il tifo per la Fiorentina, e l'altro (giapponese) per il Siena? Ve lo racconto io, che non mi sono mai occupata di calcio in vita mia, (non me ne vanto, è solo la verità), e che vivo - cucino con loro da diverso tempo. Povera cheffa!!! anche le partite alla radio!!!, e poi in sottofondo; ma che ci capiranno mai? Invece loro capiscono; lo vedo dalle piccole smorfie, i versacci, i silenzi pesanti che accompagnano le sconfitte ma mai, mai una volta che questa “passione” abbia influito negativamente sul lavoro. Efficienti e professionisti anche nei momenti più neri, ma se la partita va ai rigori… anche la maionese impazza, e mi son ritrovata perfino a “fargli coraggio”. Figuratevi che ho frugato nella memoria per mettere insieme undici giocatori per formare la “mia personale squadra di calcio” ed è venuto fuori: Burnich - Facchetti Pelè - Platini - Riva - Rivera Mazzola - Maradona - Baggi Zoff - “Trottolivo”, lo ammetto, la panchina é sguarnita: Toldo e Rummenigge, aggiungendo anche Oriali, ma per merito di Ligabue (una vita da mediano). TUTTI ATTACCANTI?, ma Barbara non funzionerà mai !!! Beh, il portiere c’è, per il resto andare tutti all'attacco, visto i tempi, mi sembra una buona idea. MAI DIRE MAI e sotto coi fornelli, a preparare cibo sgranocchiante, a soddisfare impulsi compulsivi per allentare la “tensione partita”. I biscotti al parmigiano: per una teglia di 30 x 35: 270 gr di farina bianca 00 (meglio la manitoba) 120 gr di parmigiano grattugiato -150 gr di burro morbido sale - 8 gr di lievito artificiale-latte q.b. Lavoriamo tutti gli ingredienti, ammorbidendo l'impasto con poco latte per una 15 di minuti. Dovreste ottenere una bella palla abbastanza consistente ma morbida, da far riposare mezz'ora in frigo, coperta con della pellicola. Ora si stende su un rettangolo di carta forno, col matterello per 5 un'altezza di 1/2 cm e si taglia usando la rotella, a losanghe; infornate per 20 minuti a 170°. Ottimi anche per i non tifosi, potete arricchirli di mandorle o noci, messi sopra prima di infornare. [email protected] [email protected] Tifo in cucina e biscotti al parmigiano Cominciano ad arrivare gli invitati ai fantasmagorici festeggiamenti. I primi a varcare i cancelli di Hard-Core sono i chierici e le loro organizzazioni laiche. Mentre nel piccolo abitacolo un brivido attraversa Pamela e l’eremita. C Il Nuovo Corriere Sabato 13 agosto 2011 U O N.28 IPO TESI GIALLO DAL VERO di Giacomo Aloigi ascere e vivere in Calabria. Poi sposarsi ed andare a Milano. Avere un figlio, affermarsi professionalmente come avvocato, quindi separarsi e trasferirsi a Firenze per lavorare come impiegata in una ditta di lampadari a Campi Bisenzio. Infine morire in un agguato, una fredda mattina di febbraio. Il riassunto della vita di Giusy Romeo, cinquant’anni ben portati, ha qualcosa di tragicamente romanzesco. Il destino l’aspettava il 12 febbraio 2004, alle 7 e 20, a pochi passi da casa, da cui era appena uscita per recarsi a lavoro. Qualcuno era lì ad aspettarla, in mano una pistola calibro 7,65. Le esplode addosso cinque colpi. Uno solo va a vuoto. Uno la raggiunge al fianco, due al petto, l’ultimo all’addome. Giusy forse non si accorge di niente. L’assassino si allontana indisturbato portandosi via la borsa della vittima ed i suoi due telefoni cellulari. Una rapina di inaudita violenza? Qualche giorno dopo i documenti di Giusy verranno ritrovati in una cassetta postale. Passano ancora pochi giorni e il suo portafogli viene consegnato all’ufficio oggetti smarriti da un uomo non identificato. Ma chi scarica un caricatore contro una donna solo per rubarle la borsa? Dagli esami balistici si dedusse che chi aveva sparato non era molto alto. Un metro e sessanta circa. Potrebbe trattarsi anche di una donna. E però, come sembra quasi d’obbligo in simili delitti, a essere messo nel mirino dagli inquirenti è l’ex marito, Pietro Aloisio. Movente: l’abbandono da parte di Giusy. La prova contro di lui: un testimone oculare che avrebbe riconosciuto il killer da una foto. L’uomo della foto era collegato ad Aloisio. Questi, secondo l’accusa, avrebbe preso contatto con ambienti malavitosi calabresi per commissionare l’omicidio della moglie. E così sarebbe partito l’ordine verso un uomo di fiducia per compiere l’agguato mortale. Ma a fine del 2009 il processo per rito abbreviato a carico di Aloisio e dei suoi presunti complici si chiude con un’assoluzione per non aver commesso il fatto. Il testimone non ha confermato il precedente riconoscimento di quello che secondo lui era l’esecutore materiale dell’omicidio. Ma allora chi ha ucciso Giusy Romeo? Perché pochi giorni prima di essere ammazzata aveva tolto il proprio nome dalla targhetta del portone di casa? C’era qualcuno che la minacciava? E ancora, perché l’assassino si è preso un così alto rischio uccidendo la donna in mezzo alla strada, in città, anche se Via San Salvi è un po’ defilata? La fortuna lo ha aiutato, è vero, ma un killer professionista non si affida solo alla buona sorte. Con l’uscita di scena del marito, ogni ipotesi è possibile. La rapina, la vendetta, il gesto di un folle… E dopo sette anni l’assassino di Giusy, purtroppo, non ha ancora un volto. [email protected] [email protected] N Il delitto di S.Salvi www.athenaeditoriale.it Linda Torresin e il suo Alksej Shaldin Al compagno di un viaggio appassionato e insonne, allo scrittore che ha vinto l’oblio, al grande, ultimo simbolista russo Aleksej Dmitrievič Skaldin, questa la dedica che Linda Torresin pone all’inizio della sua tesi, dal titolo Nikodim il Vecchio: un romanzo dimenticato di A. Skaldin (titolo originale del romanzo Stranstvija i priključenija Nikodima Staršego - Peregrinazioni e avventure di Nikodim il Vecchio, 1917). Laureatasi nel corso di laurea in Lingue e letterature europee, americane e postcoloniali, sceglie la letteratura russa per rendere omaggio e ricostruire, in prima battuta, la tragica vita dell’ultimo simbolista russo, morto in un lager nel 1943 all’età di 54 anni. Torresin si serve dei contributi critici, dei documenti, delle testimonianze dei contemporanei, delle vive parole dei parenti dell’autore come la figlia M. Sitnikova e la nipote N. Grinberg. La seconda sezione della ricerca concerne l’eredità letteraria di Skaldin. Per la prima volta vengono prese in esame tutte le opere a noi giunte della poliedrica e immensa produzione dello scrittore russo, purtroppo perduta per più del 90% nel corso dei tre arresti subiti. L’individuazione delle tematiche fondamentali sulle quali si edifica il pensiero religioso, filosofico ed estetico di Skaldin permette di comprendere meglio il suo enigmatico capolavoro, il romanzo fantastico Peregrinazioni e avventure e di Nikodim il Vecchio, di cui si analizzano la composizione, le vicende legate alla pubblicazione e alla ricezione da parte del pubblico e della critica, per dare poi un attento sguardo agli ante- TRANCHE DE WEB Capitan Crunch non è un super eroe. Non ha bicipiti iper-sviluppati e nessun potere trasmesso da antenati spaziali. Non veste di rosso e non ama i mantelli. Capitan Crunch non è un paladino del bene, ma un vecchio studente del MIT. Portava occhiali da vista ed aveva il fisico smilzo del nerd americano, affascinato più dalla complessità della rete telefonica che dal gentil sesso. Il suo nome di battesimo era John Draper; una mattina, in odor di mezzogiorno, si svegliò, aprì il frigorifero e prese il latte. Afferrò una tazza e, dalla dispensa, estrasse un cartone colorato di cereali: “Capitan Crunch”, recitava la confezione. Li aprì e cercò ciò che da sempre é reputato uno dei capisaldi delle confezioni di cereali: la sorpresa. Destino volle che la sorpresa fosse un fischietto, piccolo piccolo. Un fi- 6 L’autrice, Linda Torresin cedenti e agli echi nel mondo letterario. L’ultima sezione della tesi, che si configura come la parte più innovativa del lavoro, svela i richiami più o meno espliciti al romanzo di Skaldin ne Il Maestro e Margherita di M. Bulgakov e sottolinea l’importanza del modello skaldiniano, in quanto vertice dell’età d’argento e ponte tra simbolismo e avanguardia, nello sviluppo dell’originale e profonda riflessione bulgakoviana. Un nome dimenticato, quello di Skaldin, che oggi rientra nella storia grazie ad un romanzo straordinario, definito dal professor Vadim Krejd “compimento ed epilogo di tutta la prosa russa prerivoluzionaria”. Per saperne di più su questa tesi e sulla vita e la produzione di Skaldin, scriveteci in redazione ad [email protected]. Ricordiamo che potete inviare le vostre tesi allo stesso indirizzo: info su www.athenaeditoriale.it. [email protected]. [email protected] di Matteo Cammilli Il numero verde di Capitan Crunch schietto la cui frequenza sonora era di 2600 Hertz, casualmente la stessa tonalità usata negli Anni ‘70 negli USA per le telefonate gratuite (o numeri verdi). Nacque così il Phone Phreaking, la prima forma di hacking telefonico. Il sistema è semplice: attraverso una scatola blu, chiamata, appunto, Blue Box, che emette le frequenze dei numeri verdi, si ha la possibilità di camuffare qualsiasi telefonata in chiamata gratuita. In breve tempo, nei dormitori universitari, ogni stanza possedeva uno di questi apparecchi. Draper non era mosso da smanie di ricchezza, era affascinato dal funzionamento del sistema telefonico; tanto che non perdeva occasione per spiegare, a chiunque si dimostrasse interessato, i segreti della sua scoperta. Tra i curiosi, oltre all’FBI, che lo spedì più volte dietro le sbarre, c’era anche un giovane Steve Wozniak, il quale, una volta appreso il funzionamento della Blue Box, decise di sperimentarlo nella maniera che reputava più soddisfacente: alzò la cornetta, compose il numero e aspettò una risposta. Dall’altro capo qualcuno disse: “Pronto, Vaticano”, sorridendo Wozniak rispose: “Salve, sono Henry Kissinger, vorrei parlare col Santo Padre”. [email protected] [email protected] C Il Nuovo Corriere Sabato 13 agosto 2011 U O N.28 7 MANIACI SERIALI di Cristina Pucci ilvio Longhi. Proseguiamo. In una vetrina dell'ingreso spuntano delle "statuine", media altezza, molto belle, bislacchi personaggi in abiti d'epoca, due rocche medievali con mura, case e castello, colorate, come smaltate. Dimenticavo... il ceramista! Da ragazzo frequentava botteghe di artigiani vari, conobbe così "Oscare" fabbro abilissimo e uomo di grande bontà, nel suo antro infernale imparò a "fare il filo" alle spade ad esempio e molto altro. Studente di medicina non ricco, iniziò a plasmare ceramiche che vendeva, bene, agli antiquari di via de' Fossi che le piazzavano con facilità a raffinati turisti. Rappresentavano figure grottesche in fantasiosi costumi d'epoca, in uniformi normanne o napoleoniche, realizzate ovviamente con la precisione e pignoleria tipiche del loro creatore. Paesotti medievali, castelli, arcieri, un re ubriaco con il suo scudiero... Per realizzarle tre fuochi addirittura, il primo cuoce la pasta, il secondo fissa il bianco, il terzo i colori, dalle tre cotture l'aspetto porcellanato. Le ultime parole per i libri che Silvio Longhi ha scritto. "Le spade di marra" è dedicato alla scoperta, a Cortona, di due fiorettoni da scherma del '500 e alla loro comparazione con due spade gemelle, una al Bardini e una al Bargello. Uno è la trascrizione del fino ad allora inedito Trattato di scherma del Docciolini del 1601 ed è corredato da fantasiosi disegni di sua mano che illustrano le diverse posizioni di cui parla, un altro la traduzione di quello del Manciolino (1531). Infine "Il Duello d'onore del XVI secolo" interessante monografia dedicata al duello affrescato dal Pomarancio nel palazzo dei Della Corgna a Castiglione del Lago e alla figura e le gesta del suo vincitore e committente Ascanio, straordinario personaggio che conobbe Cervantes ed ispirò tratti del suo Don Chisciotte. L'affresco "racconta" il duello di Pitigliano, fatto di cronaca che fece accorrere pubblico e cavalieri. Ascanio Della Corgna possedeva tutte le doti tipiche del Cavaliere del '500, grande cultura, era architetto ed esperto di fortificazioni, competenza militare, era comandante, stratega navale, valente ed imbattibile spadaccino, piacevole conversatore, amatore indefesso... Morì di polmonite, il suo funerale attraversò tutti i paesi da Roma a Perugia in uno scampanìo di cordoglio al suo passaggio. [email protected] [email protected] Silvio Longhi, S psichiatra, ceramista e esperto in duelli Al centro copertina del volume sul duello di Silvio Longhi, a destra schema della tecnica del duello: le “controguardie” (disegni. S.Longhi). Sopra ceramiche di soldati medievali TRANCHE DE WEB di Simone Rebora Nietzsche, Kafka e Ferruccio Masini La rivista il Portolano ricorda il famoso germanista A oltre vent’anni dalla scomparsa, la memoria di questo intellettuale polivalente, noto come germanista, ma anche poeta, pittore e drammaturgo, rischia la sorte dell’oblio. E il compito di una cultura davvero “militante” non è più soltanto quello di studiarne le opere (sempre meno reperibili), ma quello di mantenerne vivo il ricco profilo critico e umano. A questo appello ha risposto il gruppo di intellettuali raccolto da Francesco Gurrieri per il numero monografico della rivista “il Portolano” (A. XVII, N. 64-65): per ricordare questo intellettuale «coraggioso, spregiudicato, impavido, avventuroso perfino» (Gurrieri), tracciandone il vivido ritratto di uomo che «sorrideva con gli occhi prima che con la bocca», che «sentiva la vita come un’eterna lotta con la morte, ma […] anche Ferruccio Masini Disegno di Francesco Gurrieri una danza» (M. Specchio); un pensatore sempre riluttante alle omologazioni (anche quella della morte, con la bara che «non passa per la botola aperta nel fitto lastrico tombale», ricorda G. Bevilacqua), capace di lasciare tracce imprevedibili nei percorsi di molti – come le marionette di Sergio Givone, splendidamente “animate” da un suo involontario suggerimento. Il nome di Masini si lega a quello degli autori studiati e tradotti: in primo luogo Nietzsche e Kafka (ma anche Benn – nella nota di L. Zagari) avvicinati con salto logico all’apparenza vertiginoso, personalissimo, ma diretto a toccare l’universalità della «condizione dell’uomo nel mondo» (nota E. C. Corriero). È questa la strada che conduce al nichilismo di Kafka, per il quale «non c’è speranza, ma c’è, piuttosto, la rivelazione […] della condanna» (dal colloquio con S. Lanuzza), o al nichilismo “attivo” di Nietzsche, «che trasforma […] l’esistenza in un “edificio dello spirito”» (F. Piga). Ma questa coscienza non implica la resa (e dell’impegno sociale di Masini tratta R. Runcini): come il mondo del possibile “rovesciato” da Kafka «rende però anche possibile la fuori-uscita dal sistema del significato come oggetto (e “soggetto”) di possesso» (U. Fadini), così in Masini «la poesia è la dinamica dell’avventura come scoperta di ciò che è Altro da sé, che sembra fuori di noi stessi eppure è racchiuso all’interno» (G. Panella). Del Masini poeta, “il Portolano” testimonia la voce ferma e sentita, con due suggestivi inediti – accanto alla presentazione del “Fondo Masini” nell’Archivio Contemporaneo del Vieusseux. Un invito alla lettura, che è anche stimolo all’incontro, alla danza del pensiero – in una parola: “all’avventura”. [email protected] [email protected]