L’UOMO CHE UCCISE LIBERO VALLE Un romanzo di Federico Conti Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto, infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perché con questa spada vi uccido quando voglio. Cirano Francesco Guccini. Chamonix Mont Blanc, 7 gennaio 2010. Sono rimasto in casa, fuori nevica, il camino è acceso. Dicono che saper accendere il fuoco sia come far l’amore. Io da bambino, nella casa di campagna, usavo decine di fogli di carta e l’alcol, poi il camino si accendeva. Adesso è una cosa che non faccio quasi mai, se capita e proprio devo, non uso additivi, con pazienza mi siedo davanti e non mi alzo finchè la fiamma non è alta. Sophie è in negozio con il padre. La madre è in ufficio. Stasera arrivano i bambini. La cosa buffa è che i genitori hanno l'abitudine di chiamarli bambini anche quando crescono, così come si continua a chiamare ragazzi i propri coetanei anche a cinquant’anni. Qualcuno li chiama “cuccioli“, lo detesto, è un odioso termine che usa Monica. Ogni volta che qualcuno la nomina, oppure io penso a lei, subisco quella reazione di catalessi che aveva Roberto Benigni nell’edipico Johnny Stecchino quando nominava la madre. Ogni qualvolta mi fermo a riflettere sul mio trascorso credo di aver vissuto due vite. Guardando fuori dalla finestra di questa lussuosa baita, l'Aiguille du Midi sembra la punta di un iceberg che le divide. E’ un muro di ghiaccio che separa le mie due esistenze terrene. Gli eventi che mi hanno portato qui sono stati rapidi, ma imponenti quanto il Mer de Glace. Vivere dall'altra parte del Bianco è come guardare tutto all'incontrario. Mi piace ogni tanto andare sulla cima francese, è una sensazione strana. L'Italia la guardi all'ingiù o, perlomeno, se non la guardi, la immagini rivoltata che sgambetta verso il vuoto diversa dallo stivale sicuro che poggia nella cartina appesa nelle aule delle scuole elementari. Ho sempre avuto questa abitudine di localizzarmi in un punto geografico preciso, come fossi una trasmittente gps, forse questa sensazione di vivere dentro alla cartina geografica è dovuta alle ore passate a guardare l'atlante De Agostini regalatomi alla prima comunione. Lucrezia e Ludovica hanno sei anni, sono gemelle o meglio, come direbbero in Spagna, sono mezillas, infatti sono nate da due ovuli differenti, però in Italia si chiamano comunque gemelle, per sempre. Edoardo ha undici anni. Arrivano in auto. La prima discussione ci sarà al momento di salire nell’auto di mamma: chi dovrà sedere davanti, al posto del morto! Anche se usare questo termine pensando che lì ci sieda una delle bimbe mi fa venire una morsa allo stomaco. Fin da bambino ho sempre avuto il terrore degli incidenti d’auto, ma non era una paura diretta, adoravo e adoro viaggiare, quando sedevo al fianco di mio padre senza cinture né seggiolini, mi sentivo come il protagonista di un film cui non può succedere nulla di brutto. L’ansia era solo per i viaggi dei miei cari, quando mi trovavo ad aspettarli a casa guardando le lancette dell’orologio. Ricordo che stavo con mia sorella nel lettone con mamma aspettando mio papà che frequentava le scuole serali a Carrara. Usciva dalla banca e con il cinquino turchese,era l’epoca della non globalizzazione delle vernici per auto, partiva alle cinque per ritornare dopo le dieci. Ricordo un film francese dove il protagonista moriva in un incidente stradale. Lo stendevano vicino all'auto in un prato in bianco e nero e gli mettevano una coperta addosso come se sentisse freddo. Quest’uomo immaginava di nuotare vicino alla sua barca, a bordo c'erano i suoi familiari, lo chiamavano.Lui andava sott'acqua in una sorta di apnea non voluta e tutto si ovattava. Era una sorta di flashback onirico ampiamente usato nelle convenzionali regie. Si capiva poi che sarebbe morto quando, con abile taglio di montaggio, i familiari comparivano davanti a qualcuno che restituiva loro gli effetti personali. Ero un precoce malato d’ansia, una malattia che generalmente colpisce le persone adulte. Già all’età di nove anni temevo per l'incolumità del mio papà che, inscatolato nella sua fiat turchina, slalomava fra i tir dell'A12. Adesso che tutti i miei parenti e vecchi amici vivono al di là del confine è un’ansia di tipo differente. Ora poi ci sono i videotelefoni, i portatili e le auto con mille dispositivi di sicurezza. Ora la mia ansia si è evoluta verso una diligente patofobia per tutti quelli che mi circondano. La cosa ridicola è che la madre dei bimbi quando c'è qualsiasi problema chiama in Francia per chiedermi un parere. Sono sempre rimasto il “medico” di famiglia. Non è raro che le notizie riguardanti la salute dei miei cari viaggino nell'etere: tra Parma,e Chamonix facendo tappa alla Spezia per tornare a Chamonix dove viene rispedita di nuovo in quel di Parma in forma di diagnosi. Tutto rigorosamente telefonico, preceduto da un dibattito fra me e Gino su tumori, virus africani, sclerosi varie e tutte le malattie infantili mortali. Il mio amico Gino abita in una casa colonica sull’Aurelia a pochi km da Spezia, i miei bambini vivono felicemente nella villetta di Varano. Io vivo a Chamonix dal 2009. La parentesi parigina è stata breve, non tanto da impedirmi di incontrare Sophie. Vivevo ancora in albergo ed ero occupato ancora nel far perdere le mie tracce a parenti e amici, l'hotel era in zona Bastiglia, Parigi era una città che avevo avuto occasione di conoscere bene in gioventù, di sera uscivo e andavo a bere qualcosa nel solito locale buio e fumoso in Rue de Rivoli. Fu lì che seduto al bancone vidi vicino a me una ragazza di colore ma con lineamenti piuttosto delicati. Aveva le labbra carnose ma il naso era alla francese. Ricordo ancora com'era vestita. L’abbigliamento è uno dei particolari a cui presto attenzione mio malgrado, delle persone che per me contano qualcosa ricordo sempre i vestiti indossati nel momento in cui le ho conosciute. E’ come se la mia memoria tendesse a scartare informazioni importanti quale sguardi, sorrisi e dinamiche espressive per lasciar posto a cose effimere e senza importanza. Ricordo bene che aveva dei jeans stretti e degli stivali bassi o comunque erano stivali che mi piacevano, perché mi diede l'impressione di essere un tipo alla moda o se non altro catalogabile nel genere non troppo antico e non troppo francese. Ebbi la strana convinzione che stesse parlando italiano con l'amica vicino. Le chiesi se fosse italiana avvicinando la mia bocca verso il suo orecchio, la musica era a quel volume dove si legge solo il labiale. Lei sorrise e scosse il capo, rispose qualcosa in francese, all'epoca di francese sapevo poco e anche adesso stranamente non amo parlarlo e talvolta faccio pure finta di non capire. In verità quando mi parlano velocemente non è una grande prova di recitazione. Rispose sorridendo, le chiesi poi se avesse una sigaretta da offrirmi, mi porse il pacchetto di Marlboro Light, uscimmo a fumare, e prima di avviarci verso la porta il barista le chiese "ca va bien Sophie?" lei annui, per un attimo pensai che fosse il suo ragazzo. Non era così. Ad ogni modo avevo capito che Sophie era una cliente abituale. Scambiammo qualche parola in inglese, lei viveva a Parigi in zona hotel de ville, mi domandò se fossi lì per turismo e risposi laconicamente di no. Mi piacque subito perché, nonostante un evidente interesse, non fece altre domande, e nella mia situazione le domande, erano piuttosto scomode. Rientrammo nel locale e la persi di vista. Erano giorni difficili, ero solo, ma non una solitudine normale, dietro avevo come quella scia piatta che lasciano gli open quando con i loro motori da 500 hp ti superano sul tuo gozzetto, quella scia che presto si trasforma in onde anomale che devi giocoforza prendere di prua. L'unico contatto personale lo avevo con un giornalista free lance specializzato in cronaca nera. Egli non aveva creduto a nulla di quello che avevano scritto i giornali ed era riuscito a contattarmi via e-mail dopo la rivendicazione avvenuta con degli indirizzi, a detta di Giovanni, più che anonimi e non rintracciabili. Il rapporto con questo mio connazionale mi aiutava a recidere il cordone ombelicale che mi legava ancora alla famiglia e all’Italia, malgrado lui tentasse solo di capire meglio quello che era successo quel giorno di dicembre a Brunico . Era l’unica persona con cui avevo un qualcosa che si possa chiamare dialogo. I miei compagni di avventura, soci, se non semplicemente amici, erano non so dove, e non so neppure se a quel punto erano o erano stati. Del resto dopo l'operazione sapevamo di doverci separare e se ci fossimo rivisti insieme, sarebbe stato dentro l'aula di un tribunale ingabbiati come i brigatisti negli anni ottanta. Ma il nostro non fu mai neppure per un secondo un progetto politico, solo un disperato gesto di rifiuto verso un'ingiustizia che, alla luce delle informazioni che a mano a mano recuperavamo, non ci dava pace. La settimana successiva tornai nel locale dove avevo conosciuto Sophie.Dopo la seconda birra la vidi avvicinarsi verso di me, era sola, si sedette al mio fianco, ricordo ancora la sensazione delle sue labbra morbide e carnose, è l'unica donna in vita mia che mi abbia mai baciato di sua iniziativa. Da quella sera non dormii più in albergo. Furono mesi trascorsi in un’atmosfera rohmeriana, leggeri e insostenibili come l'essere di Kundera, pomeriggi passati al parco di Monceau, nei locali a mangiare crepes con coltello e forchetta bagnati da una kronenburg da 20 cl. Mi ritrovai in un’aula della Sorbona ad applaudire la tesi di laurea di Sophie, e dopo due mesi ero il sommelier del negozio di enogastronomia più in voga a Chamonix. Il lavoro era bellissimo, quanto la clientela. D’estate andavamo alla ricerca delle etichette più strane nelle colline dello Champagne. Passavamo giorni in Borgogna alla ricerca del più perfetto dei perfetti pinot neri che avrebbe riscaldato la cena degli sciatori parigini. Sembrava una sorta di paradiso terreno, ma sapevo che era fasullo, perché le mie radici io le avevo eccome, i bambini erano in Italia, tutta la mia vita passata era in Italia. Ero una sorta di fantasma che campava alla giornata, con la sofferenza di avere rinunciato alle persone che amava di più al mondo. La rinuncia ai sentimenti cari era una frustrazione che conoscevo bene, vissuta nel corso degli anni in cui la mia amante lavorava nel corridoio adiacente al mio... Monica e i baci rubati nell'antibagno dell'ufficio, Monica e la fatica del fingere, del contenersi, nel recitare indifferenza. Continua a nevicare, fra poco andrò in negozio, sorrido perché penso che tutto sia assolutamente casuale. E’ ridicolo, se solo quella sera di luglio non avessi cambiato canale adesso probabilmente sarei ancora a fare il funzionario alla provincia di Parma. Non riesco proprio a capire come io possa essere qui, adesso, in questo momento, con il mio piumino monastero di Clermont, i guanti e la voglia di raccontare perché il Bollinger Vieilles Vignes Françoises sia l'unico champagne rimasto francese. Capitolo 1. La studentessa. Mi piacerebbe conoscere qualcuno che stia studiando legge o scienze politiche, potrebbe essere il punto di vista importante di una generazione differente dalla nostra. Mi piacerebbe anche capire che atmosfera politica si respira negli atenei adesso. Voglio sapere se esiste ancora qualcuno disposto a sacrificare tutto per un progetto come il nostro, sapere se e cosa ricordano i giovani di oggi della strage. Potremo arruolare nel gruppo una persona che non desti sospetto quando consulta certe cose, quando fa insistenti ricerche sul web su determinati argomenti, nulla deve essere lasciato al caso. Bisogna usare la massima precauzione , l’ideale sarebbe trovare una laureanda in fase di tesi , chissà perché immagino sempre che sia di sesso femminile, e la tesi dovrebbe riguardare qualcosa che abbia a che fare con i presidenti della repubblica, in modo da fare senza problemi ricerche sul primo ministro dell'epoca. Il Fugazza forse conosce qualche professore universitario o forse è in grado di trovare un contatto utile. Certo se l’ingegnere fosse quello di qualche mese fa, sarebbe molto più facile, ma se fosse ancora l'amministratore delegato di un’importante società non starebbe con noi a giocare alla roulette russa facendo il finto terrorista. E’ già perché il Fugazza non l'ha ancora capito che differenza c'è... gliel’ho spiegato subito: questo non è un progetto politico, qui non si costruisce nulla, qui semmai si disfa. 11 luglio 2007 Ore 15. Sms to Giuliano. che fai? a che ora aprite? Voglio capire cosa ne pensa lui riguardo alla possibilità di cercare adepti in una facoltà universitaria. Ma di luglio alla Feltrinelli fanno orario continuato? Boh... forse no. Non mi ricordo mai nulla. Il problema è che quando faccio le domande non sto mai ad ascoltare la risposta, e mentre il mio interlocutore sta lì a spiegarmi questo e quello io sono già partito per la mia tangente di pensieri su chissà cosa. Abitudine che fa sempre andare in bestia il mio amico Pigi. Anche Chiara me lo dice sempre, anzi, mia moglie mi dice spesso che le cose me le ha appena dette... secondo me ne trae pure vantaggio. Conosce questo mio difetto del distrarmi in un batter d’occhio, quindi è facile che si approfitti del fatto che io non ricordi assolutamente se le cose le abbia ascoltate o meno. Mi servirebbero due o tre teste, una sorta di co-processori che siano in grado nello stesso istante di... Vibrazione. Giuliano sms. CHIAMAMI STASERA STO ANDANDO IN LIBERIA. Ovviamente Giuli non sta partendo per il golfo di Guinea. Non sa usare il t9 e adopera sempre il maiuscolo. Conoscendolo da quando eravamo bambini è già un miracolo che sappia usare il cell, anzi, è un miracolo che lo abbia, il cell! La cosa bella è che almeno gli sms li legge. Non sopporto quelli che non leggono gli sms, che poi li dici “ti ho mandato un sms” e questi rispondono sempre "ah... non li leggo mai... ". Si! E dove caspita vanno a finire dico io. Questi soggetti sono quasi allo stesso livello di quelli che non rispondono alle chiamate... quelli veramente andrebbero fucilati… o attaccati al posto del cellulare in carica alla presa elettrica di Randy Taguchi. E’ difficile capire se siano i 15 centesimi o un po’ di ginnastica delle dita il problema. Poi esistono quelli che rispondono tre ore dopo, quelli che se non conservi il messaggio speditogli, non ti ricordi un beato nulla di quello che avevi chiesto loro... così le risposte diventano una specie di esercizio enigmistico. Sera. Casa di Varano. «Chiara vado di sopra a telefonare a Giuli». Siamo a tavola. Edoardo sopporta con siddhartiana pazienza (aspettare... che finisca, digiunare... perché fa schifo quello che c'è nel piatto... pensare... beatamente agli affari suoi) il palinsesto di Disney Channel dove le gemelle stanno guardando qualcosa di colorato che mi passa davanti agli occhi come se non ne sentissi l'audio. Sono sempre un po’ avulso all'ambiente che mi circonda. Mia moglie sta leggendo un giornale, anzi, il giornale dei programmi di Sky, come se poi avesse una reale possibilità di decidere cosa guardare... Cell. Squilli. «Pronto»... quando risponde al telefono giuliano sembra sempre stia dormendo (cosa di cui spesso anche io sono accusato). «Giuli sono Fede» «Allora?» «A che ora avete chiuso?» «Alle otto come tutte le sere»... sembra stia mangiando... ma pare non sia in casa, forse è in fase aperitivo/buffet milanese. «Ho pensato che ci volevo andare un po’, all'università» «Ti vuoi ri-iscrivere?...Stai bene?» «Vabbè dai ne parliamo di persona, vengo su a Milano in settimana. Ciao» «Ah.... » pausa. «Ho capito fede ... cioè, non ho capito un cazzo dell'università, ma ho capito che se ne vuoi parlare di persona… riguarda…» ride. «Ciao Fede... » «Ci vediamo presto, ciao». Quando riscendo le scale e vado in sala da pranzo la situazione è la medesima di prima: forse sono stato vittima di una parentesi extratemporale perché giurerei che Chiara sia sempre sulla stessa pagina e la tv trasmetta le solite immagini. Edoardo sembra guardare la il televisore perduto nei suoi pensieri... e già mi somiglia… le gemelle masticano non so cosa, ipnotizzate dallo schermo lcd da 28"..... Capitolo 2. 12 luglio. Giovedì. Arrivo in ufficio, sono le nove. Chiudo la porta e mi appresto al solito rito: appoggio occhiali da sole, portafoglio e chiavi... detesto marsupi e borselli vari, infilo tutto in tasca senza ordini particolari, ma quando ci sono 30 gradi, come oggi, vorrei levarmi anche i pantaloni. Prendo la chiavetta gialla del distributore di bevande che qualche giorno fa mi ha regalato Monica dopo la mia ennesima richiesta di spiccioli. Vado al distributore e quando inserisco la di plastica cosetta vedo che il credito è insufficiente a comprare la mia quotidiana e prima bottiglietta d’acqua da 50 cl. Lode al signore. Torno in ufficio e guardo dentro il portafoglio ... ovviamente ho solo delle monete di rame e dei pezzi da 50 euro. Come faccio a caricare questa maledetta chiavetta gialla di marcia plastica? Ho l'impulso di andare da Monica e chiederle altri spiccioli, ma per vergogna mi dirigo verso l'ufficio dell'economo che ha una bella cassettina di monete. L’economo non è ancora arrivato. Apro la cassettiera dove c'è una chiavetta che apre un altro cassetto. Lì c’è il "salvadanaio": trattasi di un contenitore di plastica non a forma di porcellino. Prendo 50 centesimi. Scrivo su un post-it 0,50 Federico e lo caccio nel porcellino a forma di contenitore di plastica. Breve riflessione su cosa contenesse quel di recipiente in origine. Il distributore, dotato come tutte le macchine d’intelligenza artificiale, è situato nei pressi dell'ufficio di Monica... così ci scappa un salutino dal corridoio e uno sguardo che dice "quando scopiamo? L'occhiata di rimando risponde "tesoro anche subito ma dove?". Una volta presi da delirio sessuale mattutino ci stavamo chiudendo nella stanza del server, e mentre stavamo per farlo entrarono dei colleghi... e… non se ne fece nulla. Sono davanti all’Hal9000 delle colazioni prêt-à-porter... comincia la battaglia: infilo la chiavetta (che sia una metafora? ...Monica è un genio!), butto giù la monetina con la speranza che il display lcd incrementi il credito. Rumore metallico interrotto ( anche questa una metafora sessuale?) credito sempre a 0,20: la bottiglietta è un lontano miraggio. Passo alle maniere forti. Trattasi di spostare inclinando a chissà quali gradi il parallelepipedo ostile, lasciandolo poi cadere per inerzia secondo la forza di gravità. Bel tonfo. Scendono due succhi di passion fruit e agrumi. Una sorta di ricetta infallibile per stimolare i succhi gastrici. L'acqua resta un miraggio. Torno all'ufficio con i due succhini in tetrapak, c'è stato un guadagno… ma Hal ha vinto come sempre ed io non ho la mia bottiglietta d'acqua. Apro Outlook. Un’e-mail della CartaSì all’interno un link che mi vorrebbe trasportare su Explorer, ma non ho ancora aperto il collegamento ad internet così il proxy server mi propone la richiesta password per dieci volte finché a colpi di escape torno sulla posta da leggere. Nessun messaggio. Scrivo a Monica. *****@provincia.pr.it to p******@provincia.pr.it Oggetto: bg Bg Sei bellissima... almeno per la parte sopra la scrivania... beh anche i sandali non sono male... Alle 14 che fai? Alle 10 ho una conferenza di servizi con il Direttore Generale, grandissimo rompi scatole. Porterò il cell e starò a messaggiare quasi per tutta la durata. Nella barra si è accesa la bustina di Outlook. Sicuramente è Monica. Leggo. Monica to Federico Oggetto: re bg Ciao bellissimo... che cos'è quell'aria corrucciata? Hai fatto brutti sogni? Tesoro alle 13,30 scappo e porto i bimbi a salso. Ti voglio tanto... ieri sera ti ho "pensato"... bacissimi Moni Anche oggi non si tromba. Suona l'interno... segretaria del direttore generale... “Tutti nella sala giunta”. La nomina dei direttori generali, secondo la legge Bassanini, è diventata per le amministrazioni pubbliche un favore di lusso. La cosa triste è che i soldi che si spendono sono quelli dei cittadini, come si dice spesso o meglio come dicono gli omofobi “son tutti finocchi con il culo degli altri”. E’ un'ora che sono seduto con i miei colleghi, il dg e il presidente. Giocherello con il cell. Mi sovviene una riunione condominiale che si tenne al secondo piano del palazzo dove abitano i miei genitori a Spezia. Era qualche anno fa, ma eravamo già nell'epoca degli sms. Mio padre aveva l'influenza e mi aveva pregato di andare all’assemblea delegandomi a partecipare al suo posto. Morivo dalla felicità: da Varano a Spezia per una noiosissima riunione condominiale, sembrava una scusa per una sortita nei night club versiliani. Persino Chiara faceva spallucce come se mi dicesse: “ E vai a divertirti, ma smettila di trovare patetiche scuse”. Invece era la triste verità. Fu un'assemblea molto più interessante delle conferenze dei servizi a cui sono obbligato a partecipare in provincia: mentre facevo finta di ascoltare mi soffermavo ad analizzare il campionario di cariatidi presenti al tavolo del geom.Felice Torinesi. Egli aveva avuto il buon cuore di mettere a disposizione il suo salone arredato in perfetto stile anni sessanta. In realtà il fatto di ospitare una riunione di quel genere mette un po’ a disagio i partecipanti: chi si sente poi di contraddire il padrone di casa? Il personaggio più interessante fu l'ingegnere che abitava all'ultimo piano il quale, mentre relazionava come tecnico in previsione di modifiche e manutenzioni strutturali e annuendo alle più improbabili osservazioni dei convenuti, continuava a mandare sms con una maschera di inespressività che rivelava l'importanza degli short messagges.Quella mancanza di dinamica facciale che nasconde il riverso di un sorriso mentale spacca labbra. Io mi domandavo ”Strano che un ingegnere gaudente e cinquantenne mandi messaggi alla moglie che sta tre piani sopra, strano pure che alle undici di sera messaggi per lavoro in modo assiduo”. Sentenziai che l'inge aveva una tresca. Alla cena di famiglia per Santo Stefano, successiva alla riunione, seppi che il di fatto gaudente ingegnere aveva sganciato moglie e prole per andare altrove... mi sentii una sorta di Nostradamus. sms to chiara. oggi vado a milano con l'arch.fini. ritorno per le otto.ci sentiamo sms to giuliano. alle 16 sono da te in negozio.beviamo qualcosa.organizzati. bmw x5 3.0d, df xxx mp autostrada a1.casello di Parma. Biiiip. Non so perché ma non riesco mai a godermi pienamente il mio telepass: è un sorta di telepass interruptus. Prima del beep iniziale ho un attimo in cui rallento e dopo aver sentito il segnale di aggancio ho sempre l'impressione della barra che non si voglia aprire. Invidio quello davanti che ci passa ai 60 km/h come ho sempre invidiato la capacità di rottura che hanno i protagonisti dei romanzi di De Carlo. Ho una lieve pulsazione alla tempia sinistra, segno che la conferenza dei servizi di due ore fa ha lasciato il segno. Sono diventato un topo da riunione. C'è una specie di decalogo che impari dopo anni,in realtà non so se i postulati siano dieci,però alcune regole sono semplici. Primo. La riunione è fissata con una mezz'ora di anticipo rispetto a quando comincerà ad arrivare il primo malcapitato. Secondo. I primi due che arrivano vanno a fumare sulla terrazza(uno dei due fuma sicuramente)e cominciano una conversazione di forma, parlano del tempo: ci si lamenta sempre, o è troppo caldo, o piove o c'è freddo o c'è nebbia… se c'è poca nebbia è troppo che non piove. Si rimpiangono i tempi nebbiosi degli anni settanta come se fossero i Led Zeppelin disciolti. Poi, arriva il terzo e se c’è la necessaria confidenza si comincia a parlare di colleghe di bell’aspetto. Io non arrivo né primo né secondo né terzo… niente podio sono troppo esperto. Sono passati 45 minuti ed io sono sempre nel mio ufficio. Telefonano per chiedere se arrivo. Risposta: “Arrivo imme-di-a-ta-mente, ma ho una persona e non posso buttarla fuori dall'ufficio”. Terzo. Presentarsi quando già gran parte dei partecipanti è seduta al tavolo, scegli dove stare e tatticamente è importante. Eviti quelli con l'alito cattivo. Nel frattempo gli argomenti, visto la promiscuità di sesso, sono passati a: malattie dei bambini, se è autunno/ inverno, malattie dei bambini esantematiche, se è primavera, vacanze al mare o settimana bianca, calcio e televisione o politica. Accoppiamenti rigorosi, i dispari per un po’ ascoltano e annuiscono. Quando si accorgono, dopo qualche minuto, che sono tagliati fuori, cominciano a far finta di mandare messaggi anche se nemmeno la loro moglie risponderebbe. Io arrivo per penultimo o terzultimo. Scusandomi dopo aver seguito i dettami sopraesposti. L'ultimo è sempre qualcuno dell'ufficio tecnico. Viene comunque accolto con simpatiche rimostranze, in pratica fa sempre la parte dell’idiota, però, visto che le conversazioni sono piacevoli, tutto sommato non importa a nessuno. Si cominicia. Il segreto è far finta di essere distratti, soprattutto funzionava quando facevo trattativa sindacale, ora sono passato dall’altra parte della barricata. In realtà non guardando i "commensali" ci si concentra su ciò che dicono e facendo finta di messaggiare con il cell, di fare disegnini o di prendere appunti, si evita di distrarsi guardando l'improbabile abbigliamento dei funzionari, l'occhio strabico della verbalizzante o le unghie sporche del dirimpettaio. Peggio ancora se si guarda sotto il tavolo, dove vicino alle Hogan stazionano dei mocassini da bancarella della fiera con i calzini corti in dicembre. Pochi interventi, ma al punto giusto, per far capire ai convenuti che anche a testa china li ascolto e li posso fregare. Nel caso della riunione di oggi devo ammettere che la mia testa era al progetto e non avrei potuto nuocere davvero a nessuno. Tempo di queste riflessioni e sono già a Melegnano. Tangenziale e uscita. Lascio l'auto in garage e consegno le chiavi ad un uomo in tuta. Dieci minuti e sono alla Feltrinelli Duomo. Giuliano sta parlando con una cliente. Muovo in aria il dito indice come fosse un tergicristallo di un immaginario parabrezza mimando con le labbra un fischiettio. Sorriso di Giuliano. Lo aspetto una decina di minuti passeggiando e curiosando fra gli scaffali. Usciamo. Caffè in galleria. “Lo sai che non fumo, ma mi offri una siga?". Ho l'accendino e do l'impressione del malefico scroccatore, Sennonché con Giuli siamo cresciuti insieme e di impressioni non ce ne diamo più, ci conosciamo e basta; lui sa bene che per me comprare un pacchetto di siga è più una sconfitta morale che un esborso vero e proprio. Del resto il papà di Chiara è il classico industrialotto del fornovese e i soldi è un po’ che non so neppure cosa siano. Non che il vecchio foraggi direttamente i miei vizi, ma fa fare alla sua bimba e ai nipoti una vita da principi monegaschi; per quanto mi riguarda il mio stipendio è ampiamente sufficiente a coprire vizi e stravizi. "Ti dicevo dell'università..." "Mmm si, eh si " ...oddio il Giuli non è sintonizzato. "Giuli abbiamo bisogno di qualcuno che faccia ricerche senza dare nell'occhio, non mi pare il caso di avere la polizia postale che ci fa domande e...." "Ho capito Fede..." il Giuli si è temporaneamente riavuto. "Vai tu a Parma e vedi un po’... tanto con la tua aria da trentenne eterno, dai nell'occhio il giusto"…il Giuli sogghigna. "Si, avevo pensato in effetti di andare qualche mattina vestito in maschera… ma a Parma rischio di incontrare figli di miei colleghi o comunque gente conosciuta… a ‘sto punto vado direttamente a Bologna che è anche più attinente al progetto e politicamente più interessante. Tieni presente che il Fugazza a Bologna conosce di fisso qualche pezzo importante, mentre a Parma zero, buio assoluto." "Mi sembra una cosa divertente e quasi quasi al lunedì vengo pure io..." ecco che il Giuli si è già fatto il film di scoparsi qualche studentella. "Giuli se parti da Spezia alla mattina e alle 15 devi essere in negozio… beh… lascia stare va'" il Giuli lavora alla Feltrinelli in galleria duomo e abita sui navigli in una casa che ha ereditato dai suoi parenti. I grandissimi pezzi di merda erano anni che non avevano a che fare con lui e la sua famiglia, però zio e cugino se ne sono dipartiti in un bel frontale sulla nebbia e la mamma era già morta anni prima. Paradossalmente la casa l'ha ereditata la madre del Giuli... punizione divina per degli esseri spregevoli e velenosi. Ora il Giuli se ne sta a Milano dal lunedì al venerdì ben pagato dalla Feltrinelli con la sua casetta a la page sul naviglio. Torna a Spezia il venerdì sera per odorare un po’ di salmastro e per portare fuori il suo cane Che Guevara, spezzino doc. Io Chiara e i bimbi torniamo a Spezia nei week end d'estate o comunque saltuariamente. Io torno per quella forma che Kundera definisce nel suo romanzo L'Ignoranza, "nostalgia", dal greco nostos "ritorno" e algos "sofferenza". Per quanto riguarda i bimbi, che hanno pure la erre strascicata e sembrano una sorta di francesi della val di vara, la sofferenza è nello stare inscatolati nella bmw per circa un'ora. La mia saudade si manifesta soprattutto quando mi faccio 200 km per vedere tutte le partite dello Spezia e per questo non mi sento l' Ulisse che torna a casa, anche perché grazie ai kw della x5 in pratica impiego a raggiungere lo stadio Picco quanto ad andare al Tardini. Il Giuli concorda che l'inviato sul set dell'ateneo bolognese sarò io… travestito da studente lavoratore fuori corso, del resto con il mio capello lungo e con l'aria e lo sguardo da tossicomane, sarò certo più credibile che nelle stanze del palazzo della provincia . Capitolo 3 13 luglio venerdì ore 15.Sarzana (Sp). Ho posteggiato la x5 davanti alla stazione, ovviamente è in divieto. Bisogna solo fare attenzione che non sia in una zona rimozione . Le multe da divieto di sosta quando hai poche spese te le puoi proprio permettere, viceversa, il tempo ha un prezzo difficilmente quantificabile. Entro nell'atrio del palazzo della psichiatra. Basta suonare il campanello a fianco di un’anonima targhetta che recita un "studio medico" non meglio specificato.Un portone di ferro si apre automaticamente con uno spettrale rumore-movimento. Ovviamente al primo appuntamento la “doc” ti spiega tutto, è come se ci fosse una parola d'ordine e ti senti l'eletto che partecipa ad un misterioso ed irraggiungibile rave party, in realtà stai banalmente andando da un medico. Questo dottore ti dovrebbe curare i nervi e la psiche e comunque aiutarti a fare una vita normale. Anche questo ha a che fare con il tenore di vita come il cell o la 4x4… una volta lo psichiatra era una prerogativa dei matti, adesso ci vanno pure quelli che si fanno le cosiddette “seghe mentali”. Devo ammettere che la prima volta se non fosse stato per Gino e mia moglie Chiara non sarei mai venuto da questa Barbara Chiesa psichiatra. La diagnosi che attribuì al mio caso fu quella di “sofferente di attacchi di panico con polarizzazioni ipocondriache” (il fatto di avere delle polarizzazioni già mi riempì di orgoglio). Ad oggi vorrei tanto sapere cosa sono diventato, ormai ciclicamente ci vediamo e io le vomito addosso i miei problemi. E tante volte più che di problemi mentali sono crucci che in "osteria" verrebbero definiti problemi “di figa”.Comunque sia la Barbara mi aiuta, fra un messaggio e una chiamata al suo cellulare. Praticamente la signora vive in simbiosi con il suo cellulare, la cosa ridicola è che ne ha uno solo che fa da privato e da lavoro… immaginatevi voi il ritmo: considerando che il numero lo hanno a loro disposizione gli schizofrenici ,i lievemente depressi passando per le amiche arrivando al fidanzato(da tutti i pazienti maschi e lesbiche invidiato). L'ambiente è arredato con gran gusto e con cose economiche che talvolta ritrovi nel catalogo Ikea. Una forma di educazione quasi imbarazzante e sofisticata ti fa trovare portaceneri in ogni dove, quando è noto che la doc sia evidentemente non fumatrice. Mentre te ne stai in sala d'aspetto una musica anonimissima jazz viene diffusa da due microscopiche casse che se ne stanno tipo guardie svizzere davanti alla porta dello studio e ti fanno solo percepire la presenza di un altro paziente. La porta si apre ed esce lei che stringe la mano al "cliente" dell'ora prima. In modo inquietante lei si divide tipo campo da tennis in precisissime ore, talvolta i più logorroici ti strappano dieci minuti che la Barbara recupera abilmente per evitare di andare a casa fuori orario. La cosa buffa è che questa doc è abbastanza carina e più giovane di me ed io, per quanto mi sia d'aiuto, non riesco a non assumere un atteggiamento da flirt o da competizione. Talvolta la sfido, pure vincendo, raccontandole di patologie che per lei sono solo una reminiscenza di studi pisani. La ragazza mi cura sempre a suon di scatole di paroxetina, io mi impegno sempre a spiegarle gli effetti collaterali sulla sfera sessuale, ma con delle parafrasi arzigogolate è difficile far capire che la sostanza ritarda o meglio mi ritarda l'orgasmo in un modo atroce, facendomi fare maratone sessuali pericolose per il cuore. Quando esco dallo studio sono rinfrancato; ho pochi soldi in meno e una nuova terapia, autorizzato a bere quel poco di vino in più e a farmi le canne. Comunque sia e a parte tutto, quando mi trovavo sommerso nella melma delle miei sinapsi la Barbara mi ha tirato fuori e per me resta sempre la “dottoressa” che tutti invidiano e che mi tengo stretto. Capitolo 4. L’antefatto. 2 luglio lunedì 2007. Nella vita di ciascuno di noi ci sono degli eventi esiziali. Sono sostanzialmente casuali. Sono a volte piccole cose, a volte più grandi, ma sono quelle cose che determinano un brusco cambiamento, un angolo di 90 gradi sul percorso che stiamo facendo. Nel mio caso, probabilmente, qualcosa covava sotto. C’erano delle braci accese, una combustione lenta che durava da chissà quando, sopita, aspettava dell’ossigeno per divampare in fiamme. O forse l’esempio più calzante è quello del detonatore. Ero una sorta di tritolo biologico che aspettava la scintilla per esplodere. E il paradosso fu che le immagini di un’esplosione reale fecero da miccia ai miei pensieri sovversivi e cominciò tutto… Stavamo a tavola come tutte le sere: Chiara con il suo immancabile giornale dei programmi di Sky, le due gemelle con il loro Disney Channel mentre Edoardo leggeva un fumetto che, mi vergogno ad ammetterlo, non saprei cosa fosse, ma di certo non “Lando”né “Il Montatore” e né “L'oltretomba”, quei fumetti che hanno accompagnato la mia scoperta del sesso negli anni settanta. Non era neppure un manga, altrimenti l'avrei poi letto io stesso. Alle 21,30 accompagnai Lucrezia e Ludovica nella loro camera, le aiutai a mettersi in pigiama e rimboccai loro il lenzuolo. Le bimbe vogliono sempre, che racconti loro la favola dei tre porcellini. Ovviamente la conoscono a memoria, ma io credo che si divertano a vedere ogni sera cosa invento e cosa distorco rispetto alla sera precedente. Il gioco sta ovviamente nell'aggiungere buffi particolari anacronistici tipo orologi o telefoni cellulari o cose e animali che per la loro naturale origine non dovrebbero stare nel contesto fiabesco. In questo denotano un' intelligenza ed uno spirito non proprio della loro giovane età e, sarò patetico, ma io mi diverto moltissimo. Quando scendo nella sala da pranzo Chiara mi chiede sempre se si sono addormentate facilmente o se abbiano faticato a prendere sonno. Io non le confesso mai che, quando ritardo, è perché la favola mi ha portato chissà dove con la fantasia. Quella sera non ricordo quali furono le variazioni al tema però tornai a tavola alle 10 e qualche minuto (ora lo posso dire con precisione perché ricordo l'esatto punto del documentario che cominciava alle dieci; non si sa perché, ma i format e i programmi di ogni genere del palinsesto satellitare di Murdoch durano o mezz'ora o un'ora con una precisione svizzera, frutto di abili tagli e pause pubblicitarie). Visto l'assenza di Chiara ed Edoardo, assenza mentale che si palesava nell’ aver lasciato la tv su Disney Channel, mi impadronii del telecomando e dopo una rapida occhiata al menù mi fermai su History Channel. Trasmettevano la prima del documentario girato da due giovani cameraman dell'epoca, pochi minuti dopo lo scoppio della bomba alla stazione di Rimini. Era il luglio 1980… capii solo dopo che era il 27° anniversario della strage. Il ricordo che ho di quella giornata era solo legato alla mia villeggiatura nella casa di campagna di Fosdinovo, ricordo lo sdegno dei miei nonni e dei miei genitori e ricordo che guardavo i telegiornali con quella curiosità morbosa che si ha davanti agli eventi nefasti, la stessa strana forma di attenzione che tutti rivolgemmo, adulti e bambini, al dramma di Alfredino e del pozzo artesiano di Vermicino, la stessa forma di innata curiosità che ci spinge a fermarci quando vediamo un incidente, la stessa sensazione che genera noia inconfessabile, dopo la partenza senza incidenti in una gara di formula uno. Ricordo i servizi sui giornali dell'epoca, le foto dei sopravvissuti che rilasciavano interviste sul settimanale Gente, qualcuno che al telegiornale diceva di aver sentito un grande vento. I miei genitori che mi spiegavano che di una bomba uccide anche lo spostamento d'aria. Io che non capivo come una ventata d'aria potesse uccidere 100 persone, ma quando sei un bambino è più probabile che tu rimanga impressionato dal fantasma del Louvre che da una serie di corpi anonimi ricoperti da lenzuoli bianchi. Il documentario attirò l'attenzione di Chiara ed Edoardo. Per un'ora nessuno fiatò, è difficile descriverlo anche perché vi giuro che l'ho visto solo quella sera e malgrado tutto il materiale che stiamo mettendo insieme noi del... “gruppo di studio” (ma si per adesso lo chiameremo così) non abbiamo ancora avuto occasione di vederlo tutti insieme. Io so solo che quella strage ogni tanto me la trovo davanti quando meno me l'aspetto: o citata nel film del rocker diventato abile regista o inserita nel film sulla banda della Magliana. Ogni volta mi provoca una sensazione strana. Ogni volta mi vergogno. Ma la sera del 2 luglio è stata differente. C'è uno strano silenzio nel documentario, le interviste sono fatte a persone di varie regioni, tutti dicono la loro, ma tutti capiscono subito che non si tratta di un incidente. Il silenzio e la mancanza di una colonna sonora di sottofondo conferiscono al documentario una sorta di realismo che ti riporta indietro negli anni e ti fa sentire presente, vorresti entrare nel video, vorresti scavare le macerie con le tua mani. Aiutare quei portantini vestiti di bianco con quelle improbabili ambulanze che sembrano uscite da un film con Maurizio Merli. Io mi sono emozionato come non succedeva da anni. Mi sono vergognato di essere italiano Noi sappiamo bene che quella, allo stato attuale, fu una strage senza colpevoli. Alla fine del filmato come in Schindler’s list, dove gli ebrei sopravvissuti portano una pietra sulla tomba di Oskar, senza musica né rumore compare la lista dei nomi con a fianco l'età delle vittime. Avevo le lacrime agli occhi e ancora adesso a pensarci mi commuovo. Immagini le famiglie in vacanza, l'unico sopravvissuto con la vita segnata per sempre, i genitori che non hanno più il loro unico figlio , il bambino che non ha più i genitori, un paese colpito nel cuore delle vacanze, nel cuore della famiglia in quell'attimo di felicità che precede il viaggio delle sospirate ferie, la felicità e la serenità di un ritorno a casa… eh si, chi lo architettò fu davvero un genio del terrorismo. Perché quello fu il gesto terroristico per antonomasia, fatto da italiani contro italiani , fatto da chi sa dove colpire e come colpire nel cuore della gente. Una cosa che genera terrore nella vita di tutti i giorni. Sorrido amaramente alla luce della strage di Rimini quando sento parlare di terrorismo nel commentare le azioni della lotta armata degli anni settanta o degli omicidi delle nuove o vecchie brigate rosse. Il terrorismo è la politica del terrore e si genera colpendo le persone normali nella loro quotidianità. Forse è terrorismo quello dei palestinesi e forse lo è quello dei musulmani di Al-Quaida, le radici comunque sono differenti ci sono delle diversità di etnie e delle guerre religiose che malgrado non giustifichino tali atti possono persino essere comprese, ma la strage di Rimini e le altre stragi definite “di stato", sono un paradosso che difficilmente potrete trovare nei paesi occidentali. Mi vergognai di essere italiano. Avrei voluto prendere tutto e andarmene, consapevole dell'impotenza di cambiare questo paese. Consapevole di essere in mano ad una classe politica che, qualunque colore rappresenti, continua a comportarsi nel modo medesimo da anni con il succedersi dei vari governi. Almeno negli anni settanta gli ideali della sinistra politica erano davvero una specie di utopia forse realizzabile, erano un sogno che si poteva perseguire e sostenere, si manifestava e si pensava che qualcosa potesse cambiare, proprio attraverso una parte di classe politica. Oggi no. Oggi lo sappiamo. Oggi siamo impotenti e ci hanno tolto anche i sogni di fantapolitichese. Il giorno dopo chiamai Giuliano. Chiesi se ci potevamo vedere. Mandai una e-mail anche a Giovanni. Capitolo 5. Giovanni. Conobbi Giovanni durante il servizio militare di leva negli alpini a cavallo fra l'anno 91 e 92... non si può raccontare il servizio negli alpini, sarebbe come quando sottoponi alla tortura del film delle vacanze i malcapitati ospiti di turno o quando fai vedere agli amici che non c'erano il filmino del matrimonio che dura solo 90 minuti. Forse parafrasando quel gioco che settimanalmente viene pubblicato nella settimana enigmistica con una serie di parole concatenate, si possono generare delle sensazioni che potrebbero far capire qualche stato d'animo dei malcapitati con il capello con su la penna. Divisa-uniforme-regole-sveglia-mattino-paura-libera uscita- cena-rientro-silenzio. Eravamo al poligono di Punta Tamerla e avevamo steso gli zaini tattici allineati come fossero soldati in plotone, era un boschetto simpatico per andare a funghi, ma diventava l'odiato boschetto del poligono nella fattispecie. Vidi un ragazzo con la faccia simpatica, appartenente ad uno scaglione più anziano, non che ci fosse scritto da qualche parte ma si percepiva da come si muoveva e dal fatto che quelli del tuo scaglione li conosci già tutti. Sfogliava nella pausa post pranzo un fumetto di Dylan Dog, il caso vuole che poco prima di partire nella mia cerchia di amici intimi il giornaletto andava molto forte e si soleva aspettare con ansia e trepidazione l'uscita del nuovo numero mensile commentando nell'attesa i vecchi numeri. Il solo fatto che avesse per le mani quelle familiari pagine, in un instante, faceva diventare lo sconosciuto una specie di amico intimo in mezzo a quella accozzaglia di provenienze, dialetti e storie di vita di differenti. Mi avvicinai e cominciai a discutere dei vari disegnatori dell’indagatore dell’incubo. Da quel giorno io e Giovanni fummo amici inseparabili. Dopo il servizio, che lui fini alcuni mesi prima di me essendo, in gergo naja, più anziano, continuammo a sentirci e,, qualche anno fa durante una sua gita alle Cinque Terre potemmo riabbracciarci. Alcuni giorni dopo andai insieme a lui ed alla sua compagna ad una conferenza di Emergency e capii che avevamo una sintonia di fondo che andava oltre alle inevitabili amicizie che si allacciano durante il servizio militare. Ancora oggi ci scambiamo periodicamente e-mail ed è come se il discorso tra di noi proseguisse senza soluzione di continuità anche se stiamo dei mesi senza sentirci. La mattina del 3 luglio dopo il documentario gli scrissi una e-mail, il caso volle che anche lui vide la medesima cosa alla stessa ora.. come migliaia di italiani. Ma il nostro legame era particolare e.... 3 luglio martedì. ore 8:45 f***@provincia.parma.it to g******@datasystem.com ciao g ieri sera su hc ho visto un doc girato da dei cameramen poco più che ventenni accorsi sul posto subito dopo la strage di Rimini dell'80. se penso che degli italiani hanno fatto quello ad altri italiani...cioè io g mi sono vergognato per la prima volta (o forse non per la prima) di essere italiano. Mi fa schifo abitare in questo paese. Io me ne voglio andare.io nn voglio che i miei bimbi crescano in un posto dove sono successe queste cose...io voglio capire meglio..fare qualcosa.... ciao f ore 10:31 gio****@libero.it to f***@provincia.parma.it ciao fede ho visto pure io no comment senti ti va un aperitivo in centro da me? ti chiamo fammi sapere quando hai un po’ di tempo ciau bello Giovanni lavora come sistemista in una cooperativa di ristorazione di Reggio Emilia. E’ di Torino, ma il lavoro ha portato pure lui in terra emiliana. Ha partecipato alle terribili giornate genovesi del g8, e talvolta sembra essere un'attivista di Green Peace, nel senso che non ho mai capito ne ho mai indagato a fondo se la sua è una posizione partizan… nel senso di prendere le parti e sponsorizzare la causa facendo circolare per le mailing list qualche messaggio o se ogni tanto, quatto quatto, partecipa ad azioni "operative". Tutto sommato è la persona più schierata che conosco, ma è un bravo figliuolo e ha davvero dei valori etici importanti. Si potrebbe definire uno che è di sinistra e si comporta da tale. La prima volta che venne a Spezia a trovarmi aveva la 127 scassata del padre.Durante una missione di servizio da Cuneo a Torino, malgrado ci conoscessimo da pochi giorni, mi portò in casa sua a mangiare (roba che in Liguria fai con il tuo amico d'infanzia) e mi portò in casa di una sua amica (peraltro pure una bella ragazza) quando eravamo vestiti con la divisa di ordinanza e io mi vergognavo come un cane. Malgrado ciò, il calore della sua famiglia e dei suoi amici, fecero diventare quel giorno di naja un giorno memorabile. Giovanni è di Torino ma è di origine calabrese, del resto era difficile stringere dei rapporti con i “gidri”, gli indigeni della provincia “granda” o con i torinesi doc...anche noi liguri a Cuneo eravamo una specie di terroni del nord. Capitolo 6. 6 luglio venerdì. Seguendo un po’ l'istinto e vista la mia stima per Giovanni, pensai di far incontrare il mio "amico del militare" con Giuliano. Erano passati tre giorni dalla trasmissione del documentario, il Giuli come tutti i fine settimana scendeva da Milano e passava da casa mia a Varano verso le 21,30. Io mettevo a letto le gemelle e mi dileguavo salutando Chiara ed Edoardo per il solito venerdì in riviera. Arrivavamo a Sarzana con le macchine incolonnate, dopodiché parcheggiavamo a porta Parma e dopo la consueta birra più focaccina da Simon Boccanegra, era già quasi mezzanotte, tempo di una cannetta e del solito puttangiro. Rientravo verso le quattro, dopo il caffè all'autogrill Tugo, quando i cartelli dei viadotti cominciavano ad animarsi con lo sbattere delle palpebre in forme improbabili di folletti e gatti che volevano attraversare la carreggiata. Il sabato non ero mai in ufficio prima delle dieci e spesso la bocca era asciutta e la gola bruciava . Uno di quei folletti autostradali mi martellava su una tempia come un picchio sul leccio. Al pomeriggio dei giorni feriali approfittavo sempre di qualche riunione fra dirigenti per recuperare le ore perdute al lavoro nei postumi del venerdì sera. Alcuni sabati non andavo nemmeno e comunque, anche quando ero presente, dopo il mitico venerdì rivierasco, non ero affatto in condizione, ma nessuno poteva sospettare che un dirigente pubblico con prole felicemente sposato della “provinciadiparmabene” avesse tali vizi malgrado il capello lungo e l'occhio inespressivo. Quel venerdì il Giuli si presentò su mia insistenza all'ora dell'aperitivo. Le gemelle rinunciarono ai tre porcellini e il mio migliore amico per essere a Varano alle sette prese un pomeriggio di ferie… gli assicurai che ne sarebbe valsa la pena... Invece che la solita galoppata sull'autocamionale Cisa, ci dirigemmo verso Reggio Emilia. In pianura mi perdo facilmente, nello spezzino è facile trovare le strade perché ci sono dei riferimenti certi e facilmente visibili: da una parte i monti , dall'altra il mare, o comunque le splendide torri dell'enel (torre forse ne è rimasta solo una… ma prometto di contarle la prossima volta che arrivo dall'autostrada) o le gru del porto che mi ricordano il video dei Police “every little things she does is magic”. Purtroppo bastano le stradine all'interno del lungomare versiliano, percorse per evitare le code ed i semafori, per metterci in difficoltà… intendo di notte, perché di giorno la Versilia, con le Apuane sullo sfondo, risulta facile quanto il territorio ligure. In pianura, dove l'odore del salmastro è sostituito dal profumo del letame e quando i raccoglitori d'acqua (quando mai capissimo a cosa servono e cosa sono) sembrano essere tutti uguali; o c'è san navigatore o si continua a girare in tondo tipo i topi ballerini della fiera di San Giuseppe. Per noi le frazioni e i panorami della padana sembrano tutti uguali come i cinesi che vendono nei banchi del mercatino e i peruviani che suonano Careless Whisper al flauto di pan. Arriviamo a casa del Giovanni senza accendere il navigatore, dopo il panegirico sulla difficoltà di orientamento nella bassa, va detto che il Giovanni abita a Reggio in centro, precisamente vicino allo stadio Mirabello, beffardi spalti per un tifoso spezzino, per cui avendo indirizzo e riferimenti da cittadino e non da contadino, ci si arriva in poco tempo. Suono e Giov risponde che scende. Sale sulla x5, gli presento Giuliano. Si va in un locale alternativo dove Giov sembra essere di casa. Stranamente fuori c'è una specie di buttafuori. Il posto si chiama Tropico Mediterraneo e sembra che, al contrario delle normali selezioni di clientela, qui il gigante nero davanti all'entrata faccia entrare solo schioppati, freak, negri, lesbiche, finocchi e comunque persone che all'apparenza hanno una certa allergia al sapone. Di per se il posto mi è subito simpatico se nonché sono un po’ rabbuiato perché, per non dare nell'occhio, sarebbe meglio un normalissimo pub stile irlandese tarocco. Giuliano sembra un intellettuale finto povero, Giovanni sembra quello che è, ed è davvero fantasticamente anonimo, io ho il capello lungo raccolto e la barba a macchia di leopardo che vanno sempre bene. Basta qualche capo di abbigliamento giusto al posto giusto e, visto che stasera ho dei jeans che non conoscono lavatrice da mesi e scarpe usate per andare in moto da casa al circuito per decine di volte, il buttadentro apre il cordone. La cosa buffa è che in un locale così il cordone stile serata degli oscar stona quanto un informatore scientifico vestito da informatore scientifico ad un concerto dei Ramones. Mentre stiamo in coda, una coda peraltro corta, penso alla canzone "Sexy" di Luca Carboni e a "Freak" di Bersani... così entro distratto mentre canticchio "ciao ciao belle tettine"… e in effetti di belle ragazze ce ne sono eccome e tutt’altro che freak. Ci sediamo in un tavolino vicino ad un muro zebrato, le seggioline sono leopardate. La musica è quella dei Clash e in pista la gente balla con stili diversi come si confà al tipo di locale. Abbondano le Corona con il limone rigorosamente bevute alla bottiglia. C'è pure un dehors dove si può fumare senza passare dalla frontiera dove ci sta il doganiere del look. Credo che se il runner dei 49's selezionatore della clientela avesse come cane un pastore dell'antidroga, il canide arriverebbe alla branda per il sonnellino, senza voce e con le nari da trapiantare. Nel chiosco il fumo è denso come la nebbia dei mattini di gennaio e il profumo che si sente è inconfondibilmente di resina. Le mie palle girano come le pale dell'elicottero perché sono convinto che qui ci siano anche quei pulotti in borghese che quando passano nell'auto civetta ti metti la mano al portafoglio. Non abbiamo bisogno di pubblicità e in questa fase di progettazione meno persone ci vedono insieme e meglio è, e comunque non ci devono vedere né in centri sociali né in locali dove la clientela è monocorde. Credo che a differenza di delinquenti abituali e invasati politici , noi potremo avere quella dose di furbizia, cultura, intelligenza e cinismo che ci permetterà di fare le cose in modo da portare a termine il nostro studio. Abbiamo tre birre davanti. Tre corona senza bicchiere e tutto sommato non diamo nell'occhio. "Giuli, ieri io e il Giov abbiamo visto una specie di documentario sulla strage di Rimini". Sorsetto alla Corona. Ma il limone sarà biologico? Non è che mi sto ciucciando quei cavolo di anticrittogamici e antiparassitari che fanno venire gli agrumi da concorso fotografico per etichetta di limoncello? "Dove?"il Giuli guardando la bottiglia di Corona e studiando il limone. "Su hc".. "Ma siete usciti anche ieri sera?". Giovanni mi guarda un po’ spaesato accenna un sorrisetto, ma intuisco che sta pensando: "ma questo qui è sciroccato!!!!".., ha ragione, ma Giuliano è il mio migliore amico. "Giuli, per una strana combinazione sia io che Giovanni abbiamo guardato history channel alle dieci di sera, ognuno a casa propria e senza sapere che lo stavamo vedendo in contemporanea" "Ah…ho capito, brutta cosa la strage". Giovanni esordisce "una vergogna che mi fa ancora e mi ha sempre fatto venire i brividi". A questo punto devo cominciare ad esporre la mia idea… "Sentite raga, io vorrei che ogni tanto ci trovassimo per fare delle ricerche su questo avvenimento, che a parte essere il più sanguinolento attentato in termini di sacrifico di vite umane, mi sembra anche la vergogna più grossa di questo paese in questo secolo... perché fatta quasi sicuramente da italiani con complicità di italiani e in un momento politico che comunque non era il ventennio fascista. Non so se mi spiego". Giovanni annuisce "io ci metterei pure Ustica e la funivia abbattuta dal caccia americano...". Il Giuli sta guardando una tipa che balla da sola e che ha poco dell'acerba bellezza di Liv Tyler nel film di Bertolucci. Annuisce, non so se per empatia di giudizio politico o per l'approvazione dei movimenti e delle forme della ragazza. "Ho pensato che al venerdì sera potremo vederci a casa mia nel mio studiolo, tanto Chiara si fa beatamente i cazzi suoi e gli infanti della lunezia sono già nelle loro stanze. Poi Giuli o ti fermi a dormire da me o vieni a dormire da Giov qui a Reggio. Tanto le canne si fanno pure qui e il puttangiro qui è pure migliore. Manca il fascino versiliano, ma dimmi la verità... quante volte ci siamo spinti più in giù di Marina? (Marina di Carrara dove il Giuli aveva una casa, estirpata dai cugini cattivi) "eh si... mi pare che qui non sia male… c'è del materiale". Il Giuli continua a guardare la ballerina che adesso dai Clash è passata agli U2 di una sanguinosa domenica. "Guarda, Lory viene giù raramente… e in questo periodo… insomma… non è che vada proprio...". Ecco per unire Giuli e Giov ci mancano solo le beghe d'amore e poi sono più perfetti della strana coppia. "Insomma, a Chiara dico che giochiamo a subbuteo o a carte... tanto non entra nello studiolo". Quella è terra franca, poi probabilmente rovista quando non ci sono, ma in effetti ci sono più io in casa da solo che lei che sta sempre in ufficio. Il famoso studiolo l'ho fatto arredare dopo che sono nate le gemelle, è una sorta di stanza di decompressione. “Poi mi piacerebbe farvi conoscere la mia amica Paola di Roma e un suo amico… cioè… beh è il suo ex capo…” “E cosa dovrebbero fare?” Era inevitabile che aggiungendo componenti Giovanni cominciasse, empio di senso pratico, a fare un’espressione stralunata. “Chi è la tua amica Paola?” Il giuli immerso nel suo amplesso mentale con la tipa in pista ritorna per un attimo in conversazione, mi ricorda quella volta che me ne stavo con una tipa di Salso che avevo conosciuto in ufficio. Faceva l’agente venditrice per una casa editoriale che si occupa principalmente di pubblicazioni per burocrati, quelle ragazze tutte tirate che le aziende mandano in giro come serial killer di funzionari distratti, che parlano parlano e dopo che pensi agli affari tuoi e annuisci , la settimana successiva ti ritrovi pacchi di libri sulla scrivania. Orbene questa tipa, eravamo in un motel di Fidenza, mi stava facendo un pompino, aveva il cell sul comodino, all’improvvisosi sente una vibrazione, lei alza gli occhi, leva la bocca e alza la testa, io strabuzzo gli occhi in senso interrogativo, lei prende il cell, lo apre legge il messaggio lo ripone dicendo “un messaggio di Nerino” e imperterrita, come se niente fosse, continua a fare il suo lavoro di fellatio. Infatti anche il Giuli, fa la sua domanda e senz’ ascoltare risposta, se ne torna a sorseggiare birra ipnotizzato dalla curvilinea danzatrice di musica rock. “Paola, è una ragazza con la quale scrivo quasi tutte le mattine via e-mail, è un po’ la mia consigliera confessora e… forse la segretaria che mi manca”. “E il suo capo?... Cioè cosa c’entrano loro, insomma in che modo possono esserci utili?” mi pare che Giovanni si stia innervosendo. “Paola è una segretaria organizzativa con i controcazzi e una persona così serve sempre e a chiunque, a prescindere da quello che si fa o meno… non so se mi spiego… cosa ti posso dire? …Immagina una persona che in due giorni è in grado di organizzarti un convegno a cui partecipano 100 persone che arrivano da mezzo mondo”. “Mmm…”. Il Giovi annuisce con l’occhio semichiuso, la sua espressione è di quello che compatisce, come se fossi innamorato della mia amica. “No no, caro… mi spiego meglio, lei è una specie di Mr. Wolf al femminile, ricordi Pulp Fiction, ricordi il personaggio interpretato da Harvey Keitel, quello che arriva con lo smoking e in mezz’ora ripulisce l’auto dove Travolta e il socio hanno spappolato il cranio di quello che stava dietro? Ecco, lei risolve i problemi proprio come Wolf” “E quale sarebbe il nostro problema?” “Te ne accorgerai presto... il primo sarebbe far tornare sulla terra sto stronzo di GIULIANO” “Eh? Perché sarei stronzo io?” “Adesso sta zoccola la chiamo e la faccio sedere qui…” Sorrido e faccio il gesto di alzarmi, ma Giovanni mi ferma. “O deficienti, guarda che quella qui viene sempre e se non erro è la donna del mastino dell’ingresso, o teste di cazzo volete che ci facciano il culo subito?” “Ocheiiiii dai stavo scherzando, ci sei Giuli? Sei fra noi?” “E ma se non si può nemmeno guardare un po’ di figa…” “Scusa Fede, ma tornando a cose pseudo-serie: l’amico di Paola che c’entra?” “L’ingegnere Fugazza sarà molto prezioso, è uno che conosce … di tutto e di più, è in un momento difficile ha bisogno di far qualcosa e sarà di grande aiuto” “Va bene, vada per la magica cinquina… così adesso siamo in cinque” Il Giuli alza il palmo della mano verso Giovanni, il quale poco convinto batte alla moda dei giocatori di volley... è un gesto un po’ troppo american style per uno come lui... ma pare compatire il nostro libraio di fiducia. Capitolo 7. 7 luglio sabato. Nella rete del palazzo provinciale non si possono usare messaggerie e chat sincrone a causa di un sofisticato firewall, per cui l'e-mail viene usata quasi come dialogo in tempo reale sia fra dipendenti e utenti della rete che fra la provincia e l'esterno. Mentre si lavora, è il modo più facile di comunicare con privacy e delicatezza, senza dare troppo nell'occhio. Fermo restando che gli amministratori e i manutentori del software si leggono tutto, e secondo me sono una sorta di voyeur telematici soprattutto quando leggono le mie righe con Monica. Non possono però divulgarle, altrimenti verrebbero denunciati. Potrebbe darsi che non le leggano, ma ciò mi sembra piuttosto improbabile visto che non hanno fama di essere molto impegnati e a farsi gli affari altrui il tempo vola, soprattutto quando si è pur discretamente remunerati. fconti@ to HYPERLINK "mailto:[email protected]" [email protected] ; [email protected] bg sei a casa? soliti casini in ufficio, l'aria condizionata è rotta. fortuna che nn è caldissimo. con Moni tutto ok, moglie e pargols tutti bene. scusa ma nn ricordo mai se tu e mauri avete sky, comunque per caso hai visto il doc sulla strage di rimini? ieri sera con giuli e giovi, l'amico ex-naja che lavora a parma.siamo stati in un locale alternativo (secondo il giudizio di giovi), che poi ormai il locale alternativo per lui sarebbe il mcdonalds. ci siamo divertiti, abbiamo bevuto , non abbiamo conosciuto un cazzo di nessuno e dopo abbiamo fatto il mitico puttangiro senza trombare. ma se ti chiedo una cosa un po’ strana prometti di rispondere seriamente? buon lavoro a dopo b fede p.dg@ to fconti@ buon giorno a parte che di sabato nn lavoro mai, però hai un sesto senso perché sono venuta a mettere a posto alcune cose del fugazza ieri sera o comunque succede già da un paio di sere siamo usciti e nn abbiamo guardato la tv, nn abbiamo sky come ti ho già detto mille volte ma solo il digitale terrestre. soprassiedo sul vs puttangiro effettuato quasi sicuramente con la tua auto e con giovanni seduto al posto delle gemelle.vergogna. :P se si tratta di sesso non rispondo seriamente se si tratta di altro vorrebbe dire che sta per nevicare in luglio buon lavoro (si fa per dire eh?) paola fconti to pdg re: bg a parte gli scherzi, il tuo boss è già..come dire....partito o è ancora in servizio? poi ti spiego b f re:re:bg mi ha tel anche stamattina. completamente fuori da questa società, anzi meglio non nominarlo re:re:re:bg ma...come sta? re:re:re:rebg ma sei fuori? cos'è sei in ansia per l'ingegnere ahahahha te l’ho scritto mi ha chiamato poco fa..io dico che sta per sbroccare re:re:re:re bg passiamo sulla posta privata [email protected] to [email protected] o paolina, secondo te il fugazza potrebbe aiutarci in un progetto, diciamo una cosa no profit dove però ci serve uno che sappia muoversi in certi ambienti e con conoscenze un po’... come dire… altolocate? pdg_rome to fconti ma non sarebbe meglio che continui a scrivere e a frequentare le tue zoccole? cosa ti interessa del fugazza? Capitolo 8. Breve storia dell’ing.Fugazza. La mia fedelissima amica di penna, o meglio dire di tastiera, Paola lavora come segretaria dell’amministratore delegato di una società che si occupa di impianti di telefonia. Esattamente non so di cosa si occupino perché non sono un tecnico, tuttavia è certo che abbiano un fatturato molto alto. Nell’ordine di milioni di euro s’intende. Malgrado ciò la proprietà è ancora in mano ad una sola famiglia, quella del presidente, ovviamente. L’amministratore delegato nominato dal consiglio è di fatto scelto dal presidente in base a conoscenza personale. L’ingegner Fugazza attuale amministratore delegato dimissionario della Tecnoimpianti è stato negli ultimi sette anni il braccio destro,e anche quello sinistro, del vecchio Narciso Bianchi, presidente della Tecno Impianti, poi i nipoti del boss sono riusciti piano piano a screditarlo. Francesco Fugazza è un manager di tutto rispetto e in poco tempo dalla nomina era diventato il Richelieu dell’azienda. Fino ad un paio di anni fa il suo dominio e prestigio in azienda erano inarrivabili. Tutti lo temevano, la maggior parte lo stimava e comunque detrattori o ammiratori godevano dei benefici degli affari che concludeva, portando oro e prestigio, in forma di contratti stellari, all’azienda della famiglia. I giovani della famiglia Bianchi erano due ingegneri con laurea rigorosamente comprata dallo zio, fratello della loro adorata mamma. Per descriverli bisognerebbe far riferimento solo alla descrizione dell’abbigliamento a modo di Brett Eston Ellis in “American Psycho”, partendo dalla cravatta per arrivare ai calzini ed alle scarpe Brooks Brothers, già perché, sotto il vestito, e mi secca parafrasare il titolo di un film dei Vanzina, c’era ben poco, e dentro la testa la scatola della cintura di Gucci le chiavi di una Bmw m3 e il certificato di garanzia dell’Audemars Piguet al polso. Ma queste cose, quando si tratta con i manager delle più importanti aziende telefoniche, le appendi come palle di vetro sull’albero di Natale. Il Fugazza aveva cominciato a portarli con lui, il vecchio voleva che imparassero, ma il Fugazza, uno che dice una parola ogni dieci minuti, li compativa e appena poteva cercava di sganciarli a qualcuno, anzi Paola mi diceva che malgrado non aprissero bocca in riunioni e trattative i nipoti portavano pure sfiga. Piano piano però i due coglioni firmati cominciarono a screditare il Fugazza e cavalcarono alcune sue debacle, in realtà i fallimenti di trattativa poco avevano a che fare con le capacità dell’ingegnere, erano solo legati ad un periodo probabilmente piuttosto statico del mercato, fatto sta che ci volle poco per il gatto e la volpe a far cadere in disgrazia colui che negli ultimi anni era stato il vero artefice della fortuna della Tecnoi. Ovviamente ciò equivaleva a darsi delle martellate nei testicoli, ma loro i coglioni non li avevano, li erano, è differente. Il Fugazza, uomo di grande orgoglio, dopo l’ennesimo litigio con il Narciso avvenuto in presenza dei consiglieri fraudolenti, rassegnò le dimissioni, che vennero prontamente respinte. I due bastardi cercarono anche di convincerlo a rimanere, facendogli capire subdolamente che poteva essere utile anche in altre fasi e processi della vita aziendale. Fu proprio questa l’umiliazione più grande, in sostanza i due nipoti gli fecero capire che se voleva rimanere lo avrebbero relegato ad un posto di second’ordine, ma dopo che in un’azienda hai avuto il ruolo di amministratore delegato e factotum, non puoi accettare un ruolo di dirigenza qualsiasi seppur discretamente pagato. Così Francesco cominciò a preparare la valigia. Cominciò a dare a Paola le ultime direttive. Nei mesi successivi la mitica segretaria passava le giornate a fissargli appuntamenti con i suoi innumerevoli contatti. L’ingegnere stava facendo piazza pulita chiudendo le trattative in sospeso e sostanzialmente minando le fondamenta dell’azienda, vendicandosi con il suo potere e le sue conoscenze dei due sciacalli. Egli nutriva un grosso dispiacere per il vecchio Narciso e per le sorti della “sua” Tecnoi, però sapeva bene che, per quanto potesse campare fino a cent’anni, il quasi ottantenne presidente aveva i mesi contati all’interno dell’azienda. Il dramma fu che il Fugazza stentava a trovare una collocazione degna del suo precedente ruolo e, detto fra noi, la remunerazione in questa affannosa e rapida ricerca aveva la sua importanza. La moglie del Fugazza aveva un tenore di vita simile a quello dei miei suoceri e sarebbero bastati un paio di mesi per polverizzare la buonuscita concessagli dal Narciso. Per quanto, infatti, fosse stata generosa, non era abbastanza per mantenere la Mercedes s500 con autista del Francesco, la classe m 500, la Mvagusta e la slk amg del figlio, la villa con piscina al quarto miglio, il giardiniere e tutto il personale di servizio che lavorava in villa. Insomma,da un paio di settimane la moglie se ne era andata da casa non si sa bene dove, seguita dal viziatissimo ed edipico figlio Piergiacomo. Riguardo alla sua “edipicità” considerata la bellezza della signora Fugazza, tale Lavinia Bianchi, non gli si poteva dar torto. L’inge era rimasto solo nella sua villa in compagnia del giardiniere e più avanti capimmo il perché l’onesto guardiapiante non l’aveva abbandonato insieme a tutti gli altri. Capitolo 9. Lo studiolo. La mia casa di Varano è una villetta con qualche centinaia di metri quadrati di giardino. Il prato verde è territorio di Savoiardo. Savoiardo è un alano nero di 5 anni. Io e il Savo ci diamo del lei: potrei dire che è il cane di Chiara e dei bambini. A me ha sempre messo un po’ in soggezione fin da quando si è trasformato, dal simpatico canino di 10 chili, in una bestia da circo balestrata, con le potenzialità di un leone con le unghie tagliate, ma con la mascella da coccodrillo. Quando mi vede mi fa le feste, e secondo me finge, non di rado mi sbava sulle maniche dell'unica giacca buona e mi caccia tranquillamente in terra, comunque sia, al meglio, mi ritrovo le zampe sulle spalle e la testa sopra la mia e scusate, io gli animali li adoro, ma con Savoiardo che mi sbava il suo gel biologico nei capelli non riesco ad essere a mio agio. Io sono cresciuto con Charlie, un barboncino nano bianco e mi ritrovo con questo cane che sembra una sorta di nazista in divisa, pure nero lo ha comprato. Non so, ha quell'aspetto terribile e a me sembra sempre una bomba ad orologeria. Con i bambini è di una dolcezza e di una delicatezza misteriosa, probabilmente è un essere di intelligenza superiore, sembra ottuso ma sbava a suo piacimento e talvolta sembra avere quel senso di giustizia divina propria degli animali mitologici. Quando arrivo al venerdì fumato e alticcio è sempre sveglio, non abbaia e mi viene incontro trottando in modo asimmetrico,e quando i cani non abbaiano mi fanno paura. Poi mi si para davanti, mi annusa come se fossi il postino sostituto e non si muove, allora devo cominciare la pantomima: "Dai Savo non rompere i coglioni e fammi andare a dormire che tu domani non devi timbrare il cartellino…” mi sovviene quel cartone anni settanta dove il cane pastore e il lupo timbrano il cartellino alla fine della giornata... Savoiardo è come se avesse un fumetto sopra la testa che mi dice: "O testa di cazzo..arrivi fumato e sbronzo e poi lavori in provincia, domani vai alle dieci non fai un cazzo fino alle due e mi trovi da dire a me che sopporto tua moglie e i marmocchi che mi tirano le orecchie dalle 8 del sabato mattina?" A volte penso che la mia coscienza prenda la forma di un alano da guardia. Quando lo comprammo nel pedigree si chiamava Himmler (ecco perché mi da sempre l'idea del maggiore delle ss). Poco tempo dopo si pappò una scatola di Savoiardi a casa di mia suocera lasciando la famiglia senza tiramisù, con la disperazione del mio amato industrialotto fornovese, per il quale il tiramisù è come il pane e salame che mangiavo con mio nonno, la domenica, durante la sintesi della partita di serie a in bianco e nero. Riti familiari che avevo dimenticato, tornati alla memoria proprio frequentando la casetta di mio suocero a Fornovo . Oltre alla vaga somiglianza con la reggia di Caserta per dimensione e sfarzosità, nella villa il vecchio si è fatto costruire un bellissimo studio in stile pseudo vittoriano, quelle stanze con tanto legno alle pareti zeppe di libri e con luce da studio legale softchic, credo che lui l'abbia copiato da qualche boss della giurisprudenza parmense. Io l'ho copiato da mio suocero perché è l'unica cosa che gli ho sempre invidiato, vedevo questa stanzetta a sinistra dell'ingresso che sembrava sempre vuota, un misto tra lo studio di Ellery Queen e la sala dove gioca a biliardo Sidney Pollack in Eyes Wide Shut. La cosa che mi mandava in bestia era che si percepiva chiaramente che la stanza era poco usata e che il suocerone ci si sarebbe trovato a suo agio come due testimoni di geova nel quartiere a luci rosse di Amsterdam. Anche nella mia umile dimora la stanzetta è posta vicino all'ingresso e talvolta funziona da passaggio tra lo "stress" dell'ufficio e la "quiete" domestica. C'è un pc con tutti gli optional possibili: microfono cam e le cose che servono per viaggiare in rete; la collezione di squadre del subbuteo dipinte a mano degli anni settanta, libri libri e libri… il pianoforte verticale, pochi cd . Tutta la musica ormai è nei files del pc o dell'ipod. La scrivania in legno abbastanza grande con paralume verde si può benissimo usare come tavolo da gioco e non destano sospetti i raduni che faccio con gli amici. E’ zona franca o off limits per tutti e c'è anche un bello schermo lcd da 32 e tutto un impianto audiovideo che mi ha installato un rivenditore di hi-fi di Parma. Capitolo 10. La telefonata con Gino. Devo ancora cenare,sono nello studiolo,prendo il telecomando del Daikin e lo imposto su 24 gradi. C'è ancora la tata che aiuta Chiara a preparare la cena e a schierare la squadra che da lì a poco, a guisa di plotone di formiche rosse divorerà e lascerà carcasse di pollo pesce e quant'altro. I bimbi sono magri ma mangiano abbastanza. Mi somigliano. Cioè somigliano a me quando avevo vent’anni che mangiavo e rimanevo sempre uguale. Adesso ho cambiato il metabolismo, e malgrado pranzi saltati con impressionante abitudine, la sera a cena recupero tutto e ho sempre un po’ di pancetta adiposa. Per me la tartaruga è un rettile da compagnia e non una fila di muscoli che fanno da cornice all'ombelico. Una volta nei giardini delle case dei benestanti si trovavano ancora questi silenziosi animali, adesso vanno più di moda i pitoni. Però se è vero che le tartarughe di terra campano cent'anni, quelle che vedevo negli anni settanta a mangiare insalata sotto le piante dovevano essere dei primi del novecento o forse è solo una leggenda la loro longevità o forse le hanno uccise tutte per farne scatoline portagioie od occhiali. Comunque sia per quanto mi riguarda, l'animale in questione è in estinzione. L'ultima che ho visto era in una barriera corallina delle Maldive ed era di mare, oppure alla fiera di San Giuseppe ed era di fiume. Per quelle di terra, di gran lunga le più simpatiche, mi riprometto di stampare un adesivo tipo panda del wwf e di aprire un forum "amici delle tartarughe di terra". Prendo il cordless e faccio il numero di Gino. Qui comincia l'avventura telefonica: le probabilità che risponda lui sono circa una su cinquanta. Il mio amico, chirurgo all'ospedale di Spezia, per me vale quanto Madre Teresa di Calcutta per un cattolico perché, tanto per cominciare non fa libera professione, lo trovi in corsia anche per 20 ore di seguito e ha un'etica che poco risponde alla venalità media che contagia la maggior parte dei medici specialisti. Il Gino, invece che spillare soldi a sfigati e malati senza speranza, si diletta nella coltivazione della vite e nella produzione di un vino che sa veramente di campagna e d'uva. Non lo legga mai il Gino, il suo vino fa veramente schifo, ma quando apre con fare da sommelier, le sue bottiglie riserva, e quando lo versa nei bicchieroni da degustazione, non mi sento mai di dirgli che è più buono e privo di difetti il Tavernello. Conoscendo l'amore che ci mette, lo tratto come lui si rivolge ai pazienti terminali: con dolcezza e facendo loro credere anche all'ultimo giorno che probabilmente dopo una settimana saranno a casa loro. Non so se sbaglia, però è pervaso di un senso di dolcezza ed umanità che raramente ho riscontrato in chi lavora in mezzo all’immondizia della vita. La casa del Gino, anche se chiamarla semplicemente casa è un insulto,è un’antica costruzione colonica ripristinata secondo le ferree regole delle belle arti di Genova e intrisa di vita, con quel sano disordine tipico degli intellettuali e dei musicisti. La squadra della Famiglia Gino Strata è così composta: una moglie che ha rinunciato alla carriera di medico per allevare marmocchi, quattro dico quattro figlie che vanno dai sedici ai venticinque, i cui nomi faccio fatica a ricordare, in più abbiamo il vecchio padre di Gino e i suoi suoceri, una coppia di settantenni che gestiva un baretto nel centro di Spezia. Il patriarca è comunque sempre temuto e rispettato da tutti e malgrado sia su di una seggiola a rotelle, ricorda il numero uno di Alan Ford , impartisce ordini e incute soggezione a tutti gli abitanti ed ai malcapitati ospiti. Non bastassero tutti questi soggetti, visto che quella è davvero una casa ostello, quasi sempre il Gino ospita tirocinanti e medici precari in attesa di trasferimento. Insomma, nella lunga tavola durante le cene, a parte il pessimo vino, c'è una sorta di calore ed eclettismo generazionale che non riuscirebbe neppure a creare Maurizio Costanzo nei suoi migliori show. Il telefono ha già squillato per dieci volte ma, nella tenuta del "conte" professor Strata, è matematicamente e statisticamente impossibile che non ci sia nessuno! In genere risponde la suocera o comunque una donna, come se l'incombenza delle comunicazioni telefoniche fosse affidata alle centraliniste gentil sesso di un call center. "Pronto"... voce femminile anziana (la suocera) "Buonasera sono Federico c'è Gino?" "Ah… buonasera... aspetti un attimo che guardo se c'è " ... già a questo punto si può intuire che non si tratta di un monolocale. "Si grazie"... fuori dalla cornetta si sente un grido... "Gabriellaaaaaaaaaa, dov'è Gino????"… silenzio… "Vany, tuo papà dov'è?" ... sento una voce femminile , la bellissima Vanessa che parla con qualcun altro,sicuramente al cellulare come tutte le ventenni, e si ferma un attimo... "Nonna papà è in cantina"... "Scusi... ha detto Federicoooo?... ...ahhhhh buona sera Federico, scusi non l'avevo riconosciuta, i bimbi come stanno?" ...e buonanotte… qui prima del Gino ci vuole tempo, ma per fortuna non è la solita chiamata per l'ennesima diagnosi telefonica, ma è solo per un saluto… sapevo già in partenza che non sarebbe stato facile... "Buona sera signora, grazie, i bimbi stanno bene" … cerco di telegrafare laconico per evitare qualsiasi discussione intermedia. "E sua moglie? … Sarà stanca immagino? … Con le gemelle... " Va precisato che Chiara si dedica molto ai bimbi, ma lavora dalle 8 alle 18 e ha una tata fissa fuori dall'orario dell'asilo e pure sua mamma che stravede per i nipotini. A parte il primo anno di Lucrezia e Ludovica, quando aveva le tette della mucca carolina e dispensava latte a tutte le ore, adesso Chiara fa comunque una vita piuttosto tranquilla... "Eh si signora, sa tre figli sono impegnativi, ma del resto voi lo sapete bene eh?..." "Ohhh ormai non lo ricordo neppure più... ormai le bimbe sono grandi.." ...e che bimbe, come uno scherzo della natura le quattro figlie di Gino sembrano le gemelle siamesi della Lolita del film di Kubrick, non sono certo delle ragazzine vuote e stupide, ma fisicamente sono da stupro selvaggio. Ogni volta che facciamo una cena torno a casa con pensieri lascivi, pure Chiara riconosce la loro intrigante ed acerba bellezza. "Eh si! Passano veloci gli anni e le ritrovi già grandi" ……………e non esistono più le mezze stagioni, non ci son più i negozi di una volta, e in giro ci son tanti pedofili… eeee... una frase fatta spero tronchi qualsiasi tentativo di conversazione. "Ah guardi, non si preoccupi, diventano grandi in un batter d'occhio, pensi che... " si sentono dei passi... "O Lucia mi dia un po’ il telefono"... "Gino, è il suo amico Federico" solito esordio... "Cose ghè? (cosa c'è?)". Un chirurgo enologo che parla in dialetto spezzino è impossibile non amarlo. "O bastardo, hai finito di farti le seghe con i buchi delle botti?" "Mmmmm, alora? come stanno i fantini (bimbi)?"... Il bello è che Gino ormai non mi degna di attenzione e anche se gli dicessi che tossisco sangue come Violetta nella Traviata o la Kidman in Moulin Rouge, formulerebbe la sua mitica e famosa diagnosi "non c’hai un cazzo". "O Gino stiamo tutti bene”. Mano che si allunga a dare una grattatina in basso. “Ho chiamato solo per salutare… " "Ah grazie... e senti un po’, quand'è che venite? ...che dice il ghiro?" Dopo cinque o sei debacle e rifiuti di cene a casa sua per colpa di Chiara ho spiegato la scarsa propensione di mia moglie alle cene di società, soprattutto quelle che partono da una mia iniziativa ed insieme l'abbiamo definita il ghiro, o meglio una volta l'ho definita così io e lui ha successivamente cavalcato l'idea, visto che comunque un certo letargo invernale è piuttosto tangibile. Peraltro a proposito di cavalcare, l'ultimo inverno che l'ha visitata, il bastardo, non mi ha risparmiato una battuta sulle sue tette, per non parlare di quella volta che gli ho mandato Monica in corsia per una veloce visita, che veloce poi non è stata, visto che il Gino se la ricorda ancora adesso. "La Chiara sta bene, però lo sai che per muoversi... " "Vabbè lo sai che qui è sempre aperto" ...mi viene da ridere perché penso che qualche volta le camere di Vanessa o Melissa (e ci metto solo le maggiori ma la più eccentrica, disinibita e sfrontata è la penultima, Rebecca), sono state sicuramente aperte da qualche tirocinante ospite dell'ostello conte Strata. "Sisi lo so dai, a proposito come stanno le bimbe ihihihihihihi" "Ma che cazzo ridi, vedrai quando le gemelle avranno diciott’anni... " "O Gino, che diciotto? Le tue han cominciato a trombare a dodici ahahahahahaha" Mi diverto un mondo perché il Gino è davvero geloso delle figlie, ma siccome non è scemo e, vi assicuro, è il padre che vorrebbero avere tutti, ci soffre parecchio, ed io infierisco come lui infierisce sui miei sintomi da ipocondriaco. "O stronzo!!!! E il vaccino glielo hai fatto?" "Si magari a settembre vediamo..." "Ricordati che se non era per il vaccino..." e Gino comincia la solita solfa da membro dell'oms.. "Lo so..lo so....ma lo shock anafilattico , lo sai che ho il terrore" "Ma che shock del belino... anzi lo sai che esiste davvero una forma di reazione all'organo genitale maschile..." "Gino, ma le tue di bimbe giurerei che quel vaccino l'hanno superato no?"... "Ma brutta testa di cazzo... non rompere i coglioni e fatti gli affari tuoi che le bimbe......" "O Ginooooo le bimbe “c’hanno” quarantacinque anni in due… ed io la prima che mi sono scopato aveva sedici anni circa e ..."mi interrompe e cambia discorso. La telefonata continua passando per i film scaricati su emule e un dibattito sulla differenza del Mash versione telefilm rispetto al lungometraggio di Altman con la concorde decisione e sentenza che Alan Alda sia un grande e basta. E’ buffo come con Gino da un sospetto cancro al colon si arrivi a parlare di sesso clandestino, cinema, vino buono e cattivo e politica. Comunque sia le cene a casa sua, l'amenità del luogo e la brillantezza dei commensali, ne fanno uno degli eventi "mondani" da me preferiti. Calore, intelligenza, cibo buono e ..ahimè vino del Gino. Capitolo 11. My personal pusher. La ferramenta emiliana di Ernesto C. È evidente che se al posto del caffè, la mattina, mi fumo la cannetta preparata nello studiolo prima di andare a dormire, devo avere un fornitore ufficiale. Una volta alla settimana, o al massimo una ogni quindici giorni, vado da un fornitore della provincia. Ovviamente non è uno che rifornisce il palazzo di erba, ma è un tipo che ha una ferramenta vicino al palazzo e da diversi anni è iscritto ufficialmente all’albo dei fornitori della provincia di Parma. Qualche anno fa mi piombò in ufficio indemoniato per via di qualche sospeso di fatture. Il tutto nacque probabilmente con una battuta sul fumo o su qualche droga leggera, sinceramente è passato tanto di quel tempo che non ricordo nemmeno. Fatto sta che dopo quel pianto greco e con la minaccia che da lì a poco avrebbe chiuso i battenti, cominciammo a pagarlo con una certa regolarità. Purtroppo malgrado la nostra “macchina contabile” sia piuttosto efficiente la burocrazia, talvolta, rallenta i processi, per cui è facile che passino alcuni mesi prima che i creditori riscuotano quanto dovuto. Insomma che l’Ernesto, colto da improvviso amore per il nostro ufficio, cominciò a venirci a trovare regolarmente, non solo per battere cassa. Offrì pure una cena a tutto l‘ufficio finanziario che accettammo di malincuore, ma lui giurò che in quel periodo le cose stavano girando per il meglio. Visto che il ferramenta, un “ragazzo” piuttosto in carne con un’età presumibile di una quarantina d’anni sembrava essere un single convinto, convinto s’intende di aver bisogno di fare sesso, non perdemmo l’occasione di combinare un incontro con una tipa discreta che lavorava all’ufficio tecnico come dipendente provvisoria. Dopo rapida consulta ci sembrava, dalle caratteristiche fino allora emerse, una che “la dava via facile” e fu un gioco da ragazzi cominciare a fare in modo che quando veniva l’Ernesto, con qualche telefonata strategica, casualmente la Barbara geometra dell’ufficio tecnico capitasse alla corte del ragionier Federico Conti. Essendo poi, la tipa propensa alla chiacchiera, si creava un simpatico siparietto che dovevo ahimè troncare per evitare di far diventare l’ufficio una succursale del bar dell’Emilia. Dopo alcune minacce, l’Ernesto si convinse, pena la sospensione di qualsiasi ordine di materiale da parte nostra, ad invitare la Barbara a prendere un caffè, e come succede spesso, dal caffè si passa a fasi successive che precedono più o meno l’amplesso. L’Ernesto e la Barbara si frequentarono per alcuni mesi poi a lei non venne rinnovato il contratto e piano piano non ne sapemmo più nulla, salvo una mattina vedere il nostro mitico ferramenta di umore veramente nefasto, capimmo e non domandammo più nulla. Dopo quel periodo, però, l’Ernesto rimase sempre nostro amico e devo dire che l’erba è sempre ottima e il prezzo veramente da ferramenta. Ora che ci penso comincio anche a capire perché la sua attività dopo un periodo di magra assoluta abbia ripreso a veleggiare con un certo vigore. E se fosse il fornitore di tutto il palazzo, presidente e assessori compresi? Capitolo 12. Divisione dei compiti. I compiti a casa. Varano 13 luglio. Venerdì. Questa settimana la donna di Giovanni non scende a Reggio. Facendo una dissertazione fisico-geografica ho notato che si dice salire e scendere anche per la latitudine a dispetto dell'altitudine sul livello del mare. Mi spiego meglio. Se usando come esempio Loredana che da Torino deve recarsi a Reggio, si adopera sempre il verbo scendere; poco importa se Torino e Reggio sono più o meno alla stessa a.l.m. o comunque Torino è anche più in alto. Se viceversa un reggiano torna a casa nel fine settimana a Castelnovo ne’ Monti non si può dire che scenda, anche se in effetti come latitudine si reca a sud. Per cui potrebbe essere valido il teorema che: se ci si reca ad un posto con la medesima a.l.m. si scenda o si salga in ragione dei gradi di latitudine, mentre quando si sale o si scende di a.l.m. si debba necessariamente usare il verbo scendere o salire come se si trattasse di una scala a pioli. Abbiamo deciso di vederci da Giovanni visto che la casa è sgombra e Loredana se ne sta alla sua latitudine. Lo studiolo lo sfrutteremo in seguito. Sono quasi le nove e un quarto e Giuliano non è ancora arrivato. Al venerdì non ceno mai a casa, mangio qualcosa con lui sul tardi. Il problema è che a pranzo non ho mangiato quasi nulla al bar sotto il Palazzo. Il caffè dell'Emilia è una specie di palcoscenico teatrale dove recitano vari personaggi: assessori e politici di Parma, avvocati e commercialisti rampanti, ognuno con la propria insalata light davanti e la segretaria o la collega di bell’aspetto al fianco. Raramente mi siedo ai tavoli del dehors. Né di estate quando la temperatura è poco sopportabile, ne d'inverno quando i mitici funghetti stufa riscaldante, cuociono le orecchie o creano un'escursione termica corporea imbarazzante. In pratica con questi ombrelloni a gas la nuca e le orecchie sono alla temperatura di Sharm e le articolazioni sono su una pista di Crans Montana. Il risultato è questo, chi è posizionato con il fungone alle spalle, diventa paonazzo e chi gli sta davanti batte i denti e di paonazzo ha solo le gote o il naso. Insomma c'è questo contrasto cromatico e di temperature corporee persino artistico. Prima di sederti è difficile dire se preferisci mangiare un'insalata al tonno lontano dal diffusore di calore o digerire il tutto mentre le orecchie ti stanno prendendo fuoco. Io il panino me lo faccio take-away su in ufficio, in barba a professionisti e bellezze varie sedute ai tavolini dell'Emilia. Sms fede to giuliano ore 21,20 ciccio dove sei? giuliano to fede casello.arrivo. Ho una fame da lupo. Sono ovviamente nella zona franca del mitico studiolo, con la porta socchiusa arriva solo un lontano brulichio dalla sala da pranzo. Bussano. Entra Chiara. "Ma esci stasera?" "Si, aspetto il Giuli, anzi, se suonano è lui, sta arrivando, non aprire vado io" "Ah... ma domani vai in ufficio?"...tira aria di sottile polemica. "Credo di si, vedo un attimo a che ora torno" "Beati voi che decidete al mattino se andare o meno"...perché continuano a denigrarmi come dipendente pubblico quando sanno bene che loro nel privato (e sai che privato avendo le spalle coperte da milioni di euro) a parte qualche ora di "lavoro" in più, cazzeggiano beatamente davanti al pc per almeno mezza giornata? Anche questa volta andiamo con due auto. Lui con la sua Punto color improbabile o come diceva il verniciatore della carrozzeria di mio nonno "colorcanchescappa", il fatto è che quando hai cinque anni l'ironia non ti raggiunge e per me il "colorcanchescappa" non faceva molto ridere e il primo cane che mi veniva in mente era un certo Rio che abitava lì vicino. Era beige sporco, per cui io bambino, immaginavo Rio che correva e perciò per me il colore del cane che correva via era comunque un tono di marrone chiaro / beige. Rio era il cane di un certo Cafiero che abitava vicino alla carrozzeria. Era longevo e di razza meticcia, il cane non il Cafiero. La cosa che accomunava cane e padrone era un certo sguardo, per così dire, privo di un quoziente intellettivo di particolare rilevanza. Del resto mi sembra stupido definire uno sguardo semplicemente scemo. Io prendo la Mini Cooper s di Chiara. Ovviamente con le cose a noleggio e che non sono nostre è basilare avere verso di loro uno scarso rispetto. Quindi si parte con il Giuli a singhiozzo come fosse un neo patentato e io, con la bara bicolore cromato, che, dopo una sgommata, lo seguo a rigorosa mancata distanza di sicurezza. Usciamo a Reggio. Il Giuli accosta dopo il casello. Lo affianco e tiro già il vetro elettrico. Mi guarda e ha il solito risolino del Giuli. "Allora?" sorrido pure io "Allora?"...rilancia "O Giuli ti sei rollato una canna fra Parma e Reggio? …cioè te la sei pure fumata?", vedo che armeggia fra i sedili e sempre con il risolino sbandiera un pacchetto di Rizla king size.. "Faccio strada seguimi... o Giuli, stasera il mio fornitore mi ha detto che la roba non è spettacolare, quindi avverti le cartine che stanno per contenere del fumo depeche"… il Giuli fa spallucce e dubito persino che abbia capito qualcosa. Secondo me se fanno delle analisi tossicologiche al mio amico gli trovano qualcosa di buono anche quando è sobrio. Parto sempre sgommando in barba alle gomme della Mini di Chiara. Rallento perché la sfortunata Punto del Giuli è lenta, o è lento il Giuli, o sono lenti entrambi. A Reggio vado raramente, anzi, se devo essere sincero, Reggio la conosco proprio poco per uno che vive e lavora a Parma. Conosco meglio Bologna e l'appennino. La vergogna totale è che a Modena non sono mai stato. Qualche volta ci sono passato, però a causa di una curiosa combinazione astrale, di modenesi non me ne sono mai capitate e per lavoro non ci sono mai stato. Arrivo in zona stadio vecchio e faccio un paio di giri a vuoto intorno all'isolato mentre con l'occhio nello specchietto controllo che il Giuli non si perda. Ovviamente la mini non ha il navigatore. Comunque dopo un giro tortuoso individuo il portone di Giovanni. Parcheggio sghembo senza andare troppo lontano, sperando che i vigili di Reggio non siano extraterrestri e non vadano in giro al venerdì sera scrivendo bollette sulle auto in sosta. L'essenziale è non parcheggiare mai davanti ai passi carrai. Il Giuli attaccato al culo della Mini, segue la mia teoria. Citofono a Giovanni. "Chi è?" "Siamo noi. Giovi ma chi cazzo aspettavi che rispondi chi è? ...io mi aspettavo di sentire solo l'apriportone" "Sali e non rompere i coglioni"…entriamo senza proferire verbo. La cosa bella fra due amici come me e il Giuli è che non serve assolutamente parlare o fare commenti perché sappiano esattamente cosa sta pensando l'uno o l'altro e, in ogni caso, basta un sorriso ed uno sguardo che sappiamo già come agire di concerto. Per fare un parallelo sportivo, somigliamo a quegli attaccanti che si trovano con passaggi millimetrici senza alzare la testa, perché sanno esattamente come si muove il compagno di squadra e dove andrà nel proseguo dell'azione. Nel pianerottolo la porta è socchiusa. Siamo in un condominio di semi periferia, non popolare ma neppure elegante. Quel che si dice una dimora normale. Ci accomodiamo nel salotto. La tele è accesa su mtv. "Cosa bevete?..birra....?" "Giovi facci una camomilla oppure un bel the caldo… anzi una spremuta d'arancia e vedi di andare affanculo... prendi tutto quello che hai di alcolico..." ...imposto il mio sorriso amorevole con il Giovi. "Occhei vi porto due spremute di arancia" "Scusa, ma l'arancio mi fa bruciare lo stomaco… hai mica qualcos'altro?" il Giuli, che si è incantato su un video di Beyonce, anzi si è fissato sull'interno coscia della tipa, non ha ovviamente seguito la discussione.... "Giuli... la smetti di guardare la negra e torni fra noi????” "Ah scusa..." ...ride e ci guarda con aria interrogativa. "Giuliano, birra va bene?"...il Giovi è sempre educato e comunque non ha ancora la confidenza necessaria per essere cattivo con il mio amico. "Intanto che spremi le arance prepariamo una cannetta...". Tiro fuori la stagnola dalla tasca dei jeans e la passo a Giuli, che dal suo borsello militare estrae le Rizla e comincia le operazioni di rito. Dopo aver lasciato diversi cadaveri di bottiglie di Padavena (ricordiamo sempre che Giovanni è un no global convinto, uno che fa spesa con la lista nera in mano) e qualche filtrino nel posacenere la discussione entra nel vivo. "Sto leggendo un libro sulla strage di Rimini. Credo che valga la pena fare un'analisi su i due condannati. Tanto per avere un quadro globale dei personaggi accusati. Avevo pensato che potrebbe occuparsene il Giuli" parlo a Giovanni come se Giuliano non ci fosse e comunque a lui non l'ho ancora detto. Giuliano ha una lieve espressione di sorpresa, ma dopo la birra e le cannette, credo che se entrasse Naomi vestita da maggiore delle ss, le nostre espressioni sarebbero più interrogative che di stupore. "Si tratta di vedere da dove vengono Fiorenzo e Manuela (Fiorenzo Valeri e Manuela Franchi) e di approfondire le cose scritte sul libro di cui vi parlavo. La bibliografia c'è quasi tutta, poi se si trova qualcosa in più ben venga. Il top del top sarebbe riuscire a strappare un'intervista. Un'altra cosa che mi viene in mente: da oggi niente sms né telefonate e né e-mail ufficiali..." interviene Giovanni a proposito delle e-mail "Ho pensato di creare alcuni indirizzi e-mail nuovi, sono in grado di criptare gli ip address in modo da rendere anonima qualsiasi comunicazione fra gli indirizzi che useremo, ci servono anche una mezza dozzina di notebook wireless"…qualcosa ci capisco, ma mi rendo conto che Giuliano sta già perdendo contatto... "Giovi ricordati che il Giuli non è un esperto di pc e anche io non ne so tanto, comunque cerchiamo di limitare le comunicazione non verbali, stasera facciamo un primo programmino di massima e poi ci vediamo venerdì prossimo. La prossima settimana ci darai degli indirizzi e-mail sicuri e ci spiegherai come fare a comunicare senza lasciare traccia di ip address. Avevo pensato che si potrebbe andare negli internet point, però adesso chiedono il documento e mi sembra già troppo avanti cominciare a falsificare i documenti. Del resto vorrei solo cominciare a studiare l'accaduto senza fare troppi progetti". Giuliano annuisce dando un tiro alla quarta canna. "Occhei per venerdì prossimo avremo gli indirizzi e vi spiegherò brevemente come non lasciare traccia, si potrebbe anche usare un linguaggio criptato per evitare comunque di attirare l'attenzione di qualcuno. E’ risaputo che ci siano dei software che controllano le comunicazioni in base a determinate parole chiave, per cui sarà meglio non usare mai parole del tipo bomba, omicidio, attentato, ecc ecc..", Giovanni sta entrando nella parte, credo sia molto più coinvolto di quando giocava a fare l’ecoterrorista con green peace. Prendo un calendarietto che tengo nel portafoglio. “Venerdì prossimo sono in Sardegna in vacanza, rientro sabato 28” “Va bene, ora poi facciamo un programmino di massima e vediamo come siamo messi con le ferie” Giovanni con mentalità da elaborazione algoritmica cerca di risolvere i primi problemi. “Io la settimana di ferragosto non ci sono” ecco che Giuliano con gli occhi ormai ridotti a fessure causa birretta e canne torna fra noi. “Ma cazzo mi sembra di essere in ufficio quando facciamo il piano delle ferie, dai” “Fede ma se vogliamo fare qualcosa di serio un minimo di programmazione….. l’azienda chiude ovviamente ad agosto, però ci vuole qualcuno che controlli il sistema quando tutto è fermo perché mica possiamo spegnere i server, mi sono offerto io e anticipo le ferie al 20 di questo mese, starò credo fino al 7 o all’8 agosto” “Bene Giovi, così avrai anche un po’ di autonomia e tempo libero, solo in ufficio”. Ho l’immagine di Giovanni che con un portatile sulla scrivania si connette wireless al loro server e comincia a navigare e craccare password di sistemi e caselle di posta. L’anno scorso l’ho visto per la prima volta alle prese con un computer. Avevo un problema sul pc dell’ufficio e non fidandomi affatto dello staff informatico della provincia, che probabilmente fungono da delatori del direttore generale, chiamai Giovanni per far dare un’occhiata al mio xp che sembrava avere qualche strana maledizione. Sapevo che lui lavorava in ambito informatico, ma finché non lo vidi alle prese con il mio pc non avevo capito affatto che avesse una specie di dono, un po’ come l’orecchio assoluto per i musicisti. Si sedette con il suo portatile sulla mia scrivania. In dieci minuti aveva già fatto entrare il suo notebook sulla rete del palazzo. Nel frattempo mi aveva sistemato xp che adesso non mi dava più nessun problema. Le sue dita volavano sulla tastiera, lo sguardo era fisso sul monitor e non proferiva parola, ogni tanto si grattava qualcosa come se il mio pc gli avesse attaccato le pulci. L’espressione era assolutamente misteriosa nel senso che non trapelava nulla né in positivo né in negativo. Non sbuffava e si sentiva a malapena respirare. L’unica cosa di umano restavano le grattatine ora in testa ora in un braccio, ora sul dorso della mano. Io mi allontanai per una mezz’oretta dall’ufficio e lo chiusi dentro. Mi fido ciecamente di Giovanni. È una delle persone più oneste che conosco. Quando tornai il suo notebook era già dentro la sua borsa. “Allora dottore qual’è la diagnosi?” glielo domandai sorridendo, ma ero piuttosto preoccupato. “Xp è a posto, gli amministratori vedono tutto e guardano pure le e-mail. Fai attenzione anche alle hotmail, da quel poco che ho visto registrano davvero tutto. Giovanni è un caro amico e oltre ad essere una persona speciale con delle idee in assoluto nobili è una sorta di genio in ambito tele-informatico e quindi abbiamo con noi qualcuno che ci sarà immensamente utile e che è davvero fuori dal comune. “Va bene raga, facciamo così, tanto per dividerci un po’ i compiti… dunque… Giuliano cerca in libreria tutto il materiale bibliografico sulla strage, la Paola, che poi conosceremo più avanti, ci organizza l’incontro nella villa dell’ingegnere, già che prima me lo deve far conoscere cazzo. Tu Giovanni, lo abbiamo già detto, ti occupi dei portatili, delle connessioni wireless e di tutto ciò che ci consente uno scambio di epistole telematiche anonime. Io cercherò di agganciare una studentessa per farle fare delle ricerche su internet senza dare troppo nell’occhio alla polizia postale, spero che ci fornisca una fotografia politica degli anni in cui avvenne la strage e principalmente l’istantanea politica di quel giorno.” “Beh per i libri non ci sono problemi, ma poi chi li legge?” sorrisino del Giuli. Malgrado lui fosse una promessa della letteratura e un discreto lettore nella gioventù, il Giuli da quando lavora in libreria esagera con canne alcool e quant’altro, sa tutto su cosa viene pubblicato dalle varie case editrici, conosce trame, scrittori, personaggi letterari e critici, però non legge un libro da secoli. Giovanni rimane contemplativo, del resto ha già tanto da fare. Però ha come un ripensamento. “Fede, ma i pc con che soldi li compro?” “Mmmm…” “Fede, ma quel cazzo di ingegner Figazza cosa c’entra, cioè che cosa dovrebbe fare?” pure il Giuli nella sua nebbia cerebrale comincia a parlare di cose pratiche. E’ bello perché non lo sentivo domandare qualcosa da un lustro circa. “Ooo e che cazzo, un attimo. Fugazza si chiama Fugazza la figa ce l’hai solo in testa te. Cioè la figa piace a tutti, comunque sia si chiama Sergio Francesco Fugazza e porco cazzo non mi ricordo mai se si fa chiamare solo Sergio, solo Francesco, o vuole tutte e due i nomi. Ci metterà a disposizione la villa, spero, dovrebbe procurarci il malloppo di seicento pagine della sentenza di primo grado degli accusati della strage e penso che sia pure in grado di fornirci quattro pistole con matricola cancellata. Visto che nella Tecnoimpianti, secondo Paola, si occupava anche della sicurezza.” Invento di sana pianta. È la prima volta che parlo di armi, l’ho fatto apposta, l’ho buttata lì per vedere le reazioni dei miei amici. Io il progetto ce l’ho chiaro da quella sera che vidi il filmato della strage del 2 luglio 1980. Io avevo una sete disperata di giustizia e l’avevo in modo ossessivo. Non era un progetto di terrorismo o peggio ancora politico. Era solo una volontà di azione, di sollevare la testa dalla sabbia. “Pistole?”…Giovanni, che è relativamente sobrio, ha percepito, ha realizzato qualcosa, o forse comincia a capire che qui non siamo in una riunione di green peace. “O Fede, ma a che cazzo ci servono delle pistole, ma sei fuori di testa?” “Hihihihi, si certo delle pistole giocattolo per racimolare un po’ di grana….” Giuliano sembra avere un certo senso di sadico umorismo, ma temo che non realizzi affatto. “Ma che cazzo hai in mente, una sorta di lotta armata nella macchina del tempo. Che senso ha?” “Senti Giovanni, io mi sono rotto il cazzo di stare a guardare ste cazzo di cariatidi in senato che si fanno ancora intervistare adesso. Sono loro i responsabili della situazione attuale, cioè non solo loro, ma non lo sopporto più…” “Ma è un’utopia peggiore dei movimenti armati degli anni settanta, Fede, renditene conto” “Allora, premesso che sono perfettamente consapevole di quello che stiamo o sto forse progettando, io non ho parlato di azioni armate o chissà cosa, è vero ho pensato alle armi, ma perché in fondo ho paura e credo che non appena andremo intorno alle questioni spinose e sostanzialmente irrisolte del passato, qualcuno venga fuori. E porcocazzo non voglio finire come i militari di leva che erano nelle basi aeronautiche nella sera in cui venne abbattuto il dc9 a Ponza”. Sto mentendo, è pur vero che sicuramente potremo avere dei problemi, ma in realtà le pistole io so già contro chi usarle, perché la fase di studio è una sorta di copertura, io ho già un’idea in mente e non mi importa chi sia il responsabile materiale, non mi importa di chi abbia organizzato la strage e tutti gli efferati eventi della fine degli anni settanta. Io so già che esiste una responsabilità politica e qualcuno se ne dovrà far carico e dovrà pagare, come quando le persone comuni sbagliano nella vita di tutti i giorni. E una responsabilità politica così grande come la morte di cento e più persone si paga solo in un modo. “Ti ripeto però una domanda: dove Cristo santo prendo i soldi per i pc?” Il Giuli nel frattempo ci aveva lasciato, bene inteso che non aveva avuto una sincope, ne aveva abbandonato materialmente il divano dell’Ikea, ma un lieve russare insieme all’occhio chiuso palesava un certo stato che potremo definire di “ronfatamento”. “Allora, bello il mio ecoterrorista, dimmi un posto dove potremo prendere dei soldi, qualcosa modello Robin Hood” “Ohhh ecco ci mancava la rapina, o Fede! Ma sei in preda a raptus anni settanta, attentato, banda armata, rifugio politico?” Giovanni cominciava a realizzare, era davvero quello che sognavo.In fondo noi nati nel 1968 abbiamo solo un bel numero che portiamo nella carta d’identità, ma abbiamo passato troppo tempo a fare gli spettatori dei telegiornali dove c’erano le immagini dei ventenni con la pistola e il passamontagna con la colonna sonora delle parole di sdegno dei nostri genitori nati in un epoca precedente. Siamo una sorta di generazione a cavallo della rivolta culturale più famosa del ventesimo secolo, non abbiamo mai fatto granchè di importante, non abbiamo mai rischiato e non abbiamo mai avuto il coraggio per dire di no a nulla. Ci siamo trovati con la frittata fatta, con la pappa pronta. “Beh immagino che tu non sia in grado di fare qualche gioco telematico che consenta il trasporto di fondi svizzeri nel conto arancio di mia nonna, vero?” “Fede, guardi troppi film e leggi troppi libri” “Infatti, prendiamoci sti cazzo di soldi da qualche parte e non da un ometto con la tuta dell’Agip che respira benzene tutto il giorno” “Bravo, andiamo io e te con una beretta e rapiniamo il Monte dei Paschi o il Credito Emiliano e magari ci fa da autista sto piciu di ingegnere Figata, con la sua Mercedes s500” Alla parola Mercedes il russatore ha una sorta di rantolo post apnea, come se Giovanni l’avesse detta talmente grossa da farlo sobbalzare nel sonno. “Giuliiiii, e svegliati coglionazzo!” “Lascialo stare va’” “Senti, lasciamo perdere questo discorso, andiamo avanti per gradi. I portatili me li faccio dare dall’ingegnere, tu non ti preoccupare”. Sto caricando di responsabilità e compiti uno che devo ancora conoscere, non so perché, ma ho l’impressione che il Fugazza sia talmente alla frutta che cavalcherà qualsiasi animale gli permetta solo di non pensare alla fine che sta facendo. Trombato dall’azienda, lasciato dalla moglie con un sacco di debiti e con una villa che, dalla descrizione di Paola, non so come farà a mantenere e che non vuole e non può vendere. Capitolo 13. Il circuito di Varano. La FedericoContiHouse dista pochi km dal circuito di Varano. Anni fa acquistai da un mio vicino di casa una Triumph Speed Triple color fucsia metallizato.Una cosa pazzesca. Non andavo in moto da quando a sedici anni i miei mi comprarono una Cagiva usata 125sst dopo una tesi orale, tenuta a pranzo, sulla sfiga di chi, non avendo sotto il sedere un motore, non batteva un chiodo con le ragazze. Era l'epoca dei simpaticissimi paninari, una sottocultura post sessantottina nata dell'edonismo reganiano (per citare il critico di costume allora in voga Roberto D'Agostino) Appena salii sulla bomba ad orologeria capii di avere tra le gambe un qualcosa che ti portava a morte sicura con il solo movimento del polso visto i tempi di accelerazione del tre cilindri inglese. Potrei scrivere un trattato sul rumore, sullo spunto e sul fascino del motore di Hinkley. Ogni tanto quando sono sulle due ruote penso all’amico Alessandro che il giorno prima della morte di Lady D si rompeva l'osso del collo sulla strada del Buonviaggio… è si un paradosso, buon viaggio…Resterà sempre nel mio cuore con il suo sorriso. Dopo la nascita di Edoardo il consiglio di famiglia, tenutosi presso la umile dimora dei miei suoceri, sentenziò che do-ve-vo venderla. Acconsentii, visto che, quando piegavo nella curve degli appennini emiliani, mi veniva in mente sempre l'immagine del mio funerale con Chiara che, tenendo in braccio il pargolo in fasce, dava i pugni sulla bara che mi conteneva. Capirete bene che non è lo stato d'animo di profondo godimento con il quale si prende il vento su due ruote. Il mio amico Pierluigi, vulgo Pigi, che lavora all'Oto Melara di Spezia casualmente era vicino di ufficio con un tal Lucchinelli, zio o cugino dell'unico campione mondiale di qualche cosa che sia nato nella provincia di Spezia. Per la mia generazione il Lucky è stato un mito e dopo le telecronache con Roberto Ungaro su Eurosport lo è diventato anche per i più giovani. Il “vecchio” Marco faceva i corsi di guida della Ducati nel circuito di Imola e per me era quasi impossibile trovare il tempo di partecipare. Casualmente parlando con Pigi che venni a sapere tramite lo zio/cugino del campione che uno dei corsisti aveva grattugiato una ducati 999 nera, una monoposto bicilindrica che per fascino e prestazioni farebbe venire l'acquolina in bocca a chiunque sia un amante dei motori. Di nascosto la comprai, peraltro a buon prezzo, e la ospitai nel mio garage facendo finta che fosse di un amico di amici, che l'avrebbe risistemata per fare qualche galoppata in pista. Il giorno stesso che la nera opaca arrivò alla F.C.H. contattai un meccanico che aveva lo studio (eh si non si può chiamare officina quella del Piero… è uno studio ingegneristico delle bikes) nei pressi del circuito. Il tecnico si presentò con una polo indossata sopra una tuta sporca di grasso. Fece un giro intorno alla moto. Toccava e guardava senza sentenziare nulla. Era della specie “meccanico non parlante” che si contrappone a quella degli elettrauti logorroici, che come loro non ce ne sono più ecc ecc. Prese il cellulare e compose un numero. "Paolo, c’ho qui una novenovenove con qualche graffio… " "Mmmmm" "Non c’ha ossido sembra nuova… ma qualche coglione (ma chi ti ha detto che non sono io il coglione?? Ho così l'aria del non motociclista?) l'ha cartavetrata"... "C'è solo da dare una carteggiatina... e sembra nuova"… il tipo mi ignora e continua a tastare la mia belvetta. "Ok vedo quanto vuole" "Scusa... ehmmm ma non la voglio vendere… volevo solo sapere quanto ci vuole per metterla a nuovo"... non so perché ma mi sento sempre in condizioni di inferiorità con questi che mangiano pane e moto a colazione. "Ah... boh... ci vorranno duemila, però sarebbe meglio vedere se le forche e insomma andrebbe provata per vedere se il motore è a posto" ...ha l’espressione del venditore di auto quando gli porti l'usato che, quantunque fosse una Ferrari f40 avrebbe da ridire che in fondo è difficile venderla e altre sciocchezze. Allargo le mani e piego le labbra all'indentro e gli dico: "Vabbè senti, portatela in clinica… poi mi fai un preventivo e mal che vada ti pago il disturbo" "La moto è buona, non ci saranno problemi, vediamo...” Guarda nel vuoto come se guardasse un calendario olografico. “Passa alla fine della prossima perché c’ho un paio di lavoretti da fare" ...si gira e inforca la sua giapponese da 150cv... "Vienimi dietro adesso…”che abbia tendenze strane? ...è uno dei Village people? ma c'era quello vestito da meccanico o era vestito da bikers? “Poi ti riaccompagno io... ma sei capace?". Sono quasi al limite... sbuffo, metto il casco e lo seguo. Capitolo 14 . Il finanziatore. Nelle traversate notturne verso le isole, mi piace andare sul ponte, è una delle poche occasioni che hanno le persone normali per stare in mare aperto, al buio, con il salmastro sulla pelle. Sul parapetto quella sensazione di umidità appiccicosa conosciuta da coloro che navigano spesso. Vado a poppa e guardo verso il basso, il buio pesto è leggermente mitigato dai riflessi delle luci dell’imbarcazione. Tutte le volte che mi sono incantato ad osservare, in solitudine, la scia di marosi lasciata dalla nave, mi sono immaginato da solo lì in mezzo alla schiuma delle onde, protagonista di un’avventura alla capitani coraggiosi di Kipling o vittima di un’ angosciante finale alla Martin Eden di London, o forse in un incubo alla Edgar Allan Poe senza possibilità di scampo, resistendo alla forza dell’acqua, pur sapendo di lottare contro una cosa troppo grande. Mentre stavo divagando con lo sguardo perso nella spuma biancastra del Sardinia Ferries, ripensavo al dialogo con Giovanni, al discorso delle rapine e come un fantasma sulle onde ho incontrato il finanziatore dell’intero progetto. Il signor suocero. Ovviamente se gli parlassi di una cosa simile, faccio perfino fatica ad immaginare cosa mi potrebbe dire. Malgrado pure lui, a volte, riconosca le tenebre che avvolgono la storia politica del nostro paese e lo squallore della società attuale, il buon suocero, di fatto, ne è un primo attore facendo parte di quella Confidustria parmense che non ha propriamente il peso di un operaio della Fiat nel panorama economico italiano. Finanzierà il tutto senza saperlo. La mia signora moglie ha a disposizione, se non erro per difetto, un paio di conti correnti bancari del signor suocero, li usa con l’home banking e sostanzialmente le servono non per il bilancio familiare, inesistente, ma solo per qualche sortita di acquisti compulsivi dal suo caro fornitore di vestiti o scarpe in Parma, oppure da Jean Louis a Milano Marittima. Non devo commentare neppure il fatto che si sorbisca centocinquanta chilometri per andare dal suo negoziante di fiducia. Il proprietario di Jean Louis, grandissimo finocchio, pare sia nato a Parigi da padre italiano e madre francese cosa che, secondo lui, giustificherebbe la sua erre moscia pseudo transalpina, controllando sull’archivio delle finanze risulta essere Gianluigi Magnani, nato a Rimini il 24/6/1962, pure vecchiotto le gian luì. Il tipo ha avuto una sorta di colpo di fulmine per Chiara dopo che un paio di estati fa lei ha generosamente devoluto alla nobile causa dell’associazione per la diffusione della moda ultimo grido e la protezione della fashion victim qualche migliaio di euro in un tempo quantificabile intorno alla sessantina di minuti. Adesso le Jean oltre che fare gli auguri per il compleanno, Natale e altre feste comandate, ogni tanto la chiama per dirle: “Chiarrrrretta è arrivato questo o quello e quanto ti starebbe bene ecc ecc.”, il mitico Jean è un professionista della moda, e non mi è nemmeno antipatico, perché è talmente prevedibile e trasparente che in fondo ha questa sua linearità di comportamento. Non è ruffiano, gli viene naturale. Del resto è il suo lavoro e lo ama , per cui se la Chiaretta passeggia per Parma targata Jean Luois lui ne è orgoglioso a prescindere dagli euro intascati, è una macchina da soldi, ma non fine al lucro ma davvero nutre grande piacere al vedere delle belle donne vestite secondo il suo gusto. Innegabile gusto peraltro comune a tutti gli omossessuali. Per quanto mi riguarda, il tipo compatisce i miei jeans sporchi e lisi e io ambisco solo alle sue commesse, una delle quali, una specie di mulatta creola , è davvero da lasciar senza respiro. Sarà piuttosto facile recuperare la password; basterà installare un banale spyware nel pc dell’ufficio di Chiara, poi dai suoi home banking provvederò a fare alcuni bonifici: uno su un conto in Italia che ci servirà per le piccole spese: viaggi, note book e armamentario vario; un altro, anzi tanti piccoli bonifici di importo medio basso, su un conto all’estero, una specie di assicurazione per quando caso mai converrà trasferirsi altrove. La Chiara e il signor suocero non si accorgeranno mai di questi spostamenti di capitale perché quei conti sono usati solo per carte di credito da piazzare su siti internet, per lo shopping e per tutto quanto ritengono superfluo, e non hanno davvero tempo e voglia di controllare né la movimentazione né tanto meno l’eventuale saldo. Mi sentirò una sorta di Robin Hood telematico, vero è che mi piacerebbe derubare il Credem o le Coop o tutto quello che è mastodonticamente ipermiliardario, però bisogna ammettere che il lieve abbassamento del livello del liquido nei conti di signor suocero e signora moglie sarà facile, indolore ed eticamente molto accettabile. Non mi sogno neppure di sottrarre denaro ai miei amati bimbi per i miei nobili vizi da pseudoterrorista, loro hanno un bel libretto che contiene il risparmio medio di una famiglia basso borghese e tutti i giochi, accessori e vestiti che è normale avere per i figli della neoborghesia parmigiana. Come si sposa un quadro del genere con un padre che vorrebbe fare una rivoluzione? Non si sposa affatto e infatti per questo mi sono deciso ad impugnare la Beretta. Basta finti comizi davanti a caviale e Dom Perignon. Si passa all’azione. Capitolo 15. Giuli, la Vanessa e gli AA. 18 luglio. Mercoledì. Spiaggia. Capo d’orso. Ore 11,30 Vibra il cell, non è un numero privato, tuttavia non è in rubrica ovvero scocciatura in arrivo. Breve ricerca nell’hard disk cerebrale senza esito 338 (tim) xxxxxxxx non mi dice proprio nulla, ovvero sempre più probabile scocciatura, condita da quel senso di fastidio che si percepisce quando chi chiama non ha il tuo operatore di telefonia mobile, come se uno tifasse per il Milan o votasse Forza Italia. “Si?” la risposta è quanto più scocciata per disincentivare la seppure minima richiesta di conversazione. “Federico?”... non ha sbagliato numero. “Si”…freddo senza interrogativo alcuno. Sono io e vedi di non disturbare sono in ferie. Lavoro? Sindacato? Subbuteo? Calcioamatori? Circuito di Varano? Antidroga? Un pastore tedesco della finanza con cellulare? “Ciao sono Vanessa… mm la sorella del Giuli” “Ciao Vany… è successo qualcosa????” credo di essere sbiancato, la conosco da quando è una bimba ma non ricordo mi abbia mai chiamato e non so bene chi può averle dato il mio cellulare, forse mia madre. “No, scusa se ti disturbo, hai cinque minuti?” Vanessa Vecchi è la sorella di Giuliano, lavora come indossatrice a Milano, è lei che gli ha trovato il lavoro presso la Feltrinelli Duomo. Uno e settantacinque per cinquantacinque chili, quel modello di donna anoressica che usano quasi tutti gli stilisti nelle sfilate salvo poi dire che loro usano solo modelle stile Primavera del Botticelli. Avendola vista nascere non mi fa quell’effetto che probabilmente produce su colore che la vedono sulla passerella o la incontrano strafatta di coca alle feste della Milano bene. Comunque sia, coca o no, è una dritta che sa il fatto suo ed è abbastanza cinica da non cadere in dipendenze o giri di marchette varie. Se dovesse capitarle, lo farebbe sfruttando chi crede di sfruttare lei. Bella, fredda, dotata di senso pratico e opportunista. Il genere di donna della quale se ti innamori sei finito. “Dimmi” “Ieri mi ha telefonato il gestore della libreria dove lavora Giuli” “Mmm” “Mi ha detto che lunedì pomeriggio è arrivato in libreria ubriaco” penso una bestemmia di tipo cinofilo. “Ah, mmm” “Mi ha detto che se continua così, lui per quanto si metta nei panni e eccetera eccetera non può permettersi di avere una persona in negozio che è in evidente stato di alterazione”…pausa e silenzio. “Fede io non so davvero come fare…” Sento che comincia a piangere… “Ok ho capito, il fatto è che io non so esattamente cosa dirgli, cioè lo sai che siamo amici e in questo periodo lo vedo spesso ma…” che gli dico che io faccio il bilancio di previsione della provincia mentre sono strafumato e… che posso dirgli io al Giuli?? Mica sono suo padre. “Non so se capisci Vany, io faccio fatica a comportarmi da padre con Giuliano…” “Vabbè, ma così perde il lavoro... e lo sai quanto è importante adesso per lui” continua fra un singhiozzo e l’altro, La Vanessa, sorella minore gli vuole molto bene, e da quando il padre è mancato so che sono ancora più legati, purtroppo anche lei non è in grado di poterlo aiutare con quella autorità e calore che avrebbe un padre o una madre un po’ più prestante. “Senti, oggi lo chiamo, però io sarò a Parma solo per il ventinove…” “Grazie Fede, senti ti posso lasciare il mio cell?” “Si ok lo memorizzo, è questo da dove viene la chiamata?” “No, questo è di un mio amico” immagino che amico. “Mandami un sms… appena lo sento poi ti faccio sapere. Tu sei a Milano?” “No, sono a Fuerteventura per un servizio… comunque chiamami quando vuoi il cell è sempre acceso” “Si ok a presto, ciao”. Milano, Fuerteventura, Sardegna, Milano. Ma che caspita di giro telefonico e il Giuli lì che schianta dal caldo con un tasso alcolico da messicano dopo una bottiglia di mescal che consiglia l’ultimo di Benni ad un lettore di Vimercate venuto in centro a fare shopping nel torrido pomeriggio di luglio. Una brutta situazione . “Chi era?”. Chiara si rianima dal torpore del suo bagno di sole. “Era Vanessa, la sorella del Giuli”. “E’ morto Giuliano?”. “Vai a cagare Chiara”. Ore 14,50 Chiara dorme, le bimbe sono al miniclub e Edo è in spiaggia o dove non so con i figli della tata. Sms Fede to giuli. Come va? Giuli to fede. SONO NELLA MERDA. La Vanessa non…vaneggia è tutto vero, quando il Giuli risponde così agli sms significa che sono più di qualcosa sta andando per il verso sbagliato . Fede to giuli. Che succede? Giuli to fede. HO COMBINATO UN CASINO E IL CAPO SE NE E ACCORTO. Fede to g. Ti chiamo stasera e cerca di non fare cazzate perché altrimenti salta tutto. Cerco di coinvolgere Giuliano almeno sotto l’aspetto del nostro progetto perché so che anche lui ci tiene molto. Fede to g. Chiama la tua doc, e cerca di prendere tempo con i capi, ricordati che hai un lavoro spettacolare ne abbiamo già parlato. G to f. OK GRAZIE CIAO La sera, dopo la classica cena buffet stile grande abbuffata, e se non è un suicidio raffinato come quello del film di Ferreri, perlomeno è l’omicidio del dopocena, che nei club si conclude con lo spettacolino degli animatori e palpebra calante, mi decido di chiamare il Giuli. Da qualche giorno beve, nel senso che di bere non ha mai smesso, ma quando lui dice che beve vuol dire che da metà pomeriggio in avanti si regge a stento in posizione eretta. La telefonata si conclude in questo modo. “Ma adesso il problema qual è?” “Fede ho conosciuto una donna che mi fa andare fuori di testa” “E quale sarebbe la novità?” “L’ho conosciuta… cioè riceve… fede porcoxxx” bestemmia suina “Cosa riceve?” “Dei cazzi riceve. Federico, è una puttana!” “Ma ti risulta ci siano donne che non lo siano?” “Fede ci vai a cagare? …questa ogni giorno se la trombano in venti e oltretutto quando me la trombo io per quanto sia brava e di mestiere… o insomma… appena chiudo la porta probabilmente non sa neppure se ce l’ho storto a destra o a sinistra” “Mmmm beh si ma in fondo anche Pepe Carvalho è fidanzato con Charo che riceve in casa… del resto l’abbiamo sempre stimato per questo, o no?” “Si, ma questo non è un romanzo e io non sono il suo fidanzato, sono solo un cliente! Porcaputtana” “E non sai che vita fa al di fuori?”…provo a spostare la conversazione su un tono normale come se parlassimo di una cassiera del Mcdonald’s. “Mah… viene a Milano periodicamente e soggiorna nell’appartamento dove in genere vado per.” “Si ho capito… ma avete parlato?” “Si la tipa si chiama Elisabetta e abita a Treviso, pare non sia fidanzata e dice che quando è a Milano si sente molto sola…” ora ho capito perché il Giuli si è interessato, crede di aver trovato un’altra anima alla deriva. “Senti Giuli, dille se una sera esce, magari al venerdì, per rendere la cosa più leggera dille di uscire con noi, così è meno impegnativo, ok?” “Si, la prossima volta, supposto ritorni, glielo chiederò” “Ma non hai nemmeno il suo cell?” “Ho quello di lavoro… ma non so se è il suo, cazzo!” “Ok, senti domani o prima che puoi chiama la tua psichiatra e vediamo cosa ti dice e stavolta fatti aiutare…” “Si grazie” “Ciao, ci sentiamo presto” “Ciao Fede" Capitolo 16. 28 luglio sabato sera. Ore 21,30. Varano de melegari. Sono appena tornato da quindici giorni nel Ventaclub Capo d'orso in Sardegna. Mi sono riposato e, non mi vergogno a dirlo, abbiamo portato pure la tata con coniuge e prole. La tata ha due figli adolescenti che ci hanno dato un aiuto con i bimbi e comunque sono stati simpatici. Non abbiamo pagato il servizio ma abbiamo offerto loro la vacanza. Anche se è il mio lavoro controllare conti, non so se ci abbiamo perso o guadagnato, non me interessa. La cosa importante è che io abbia fatto due settimane di mare cibo e riposo. Con Chiara siamo stati bene e i bimbi erano sempre rilassati, anche per merito della tatavalium, una signora che ha una serenità e calma esemplare, a volte mi fermo ad ammirare per imparare come si tratta con i bambini. Mi sono divertito con i ragazzetti e, oltre ad aver fatto sport di ogni genere con loro, mi hanno fatto vedere le cose dal punto di vista dei teenagers degli anni duemila. Il progetto è stato accantonato temporaneamente e ci ho pensato davvero poco. Ero quasi riconciliato con il mio paese, ma la Sardegna è un'isola... mi è venuto in mente però che LUI è nato in Sardegna e per poco non avrei fatto le valigie per passare il resto della vacanza in Svizzera sul Lago di Lugano. Il viaggio è stato massacrante e la tratta Livorno-Fornovo è stata la cosa più bella, compreso il caffè al mitico Magra est. Ho scaricato tutti i bagagli e mentre Chiara sistemava i bimbi sempre con l'ausilio di tatavalium, ho chiamato Monica. Squilla.... "Ehi ciaoooo"...il solito acchito da telefono erotico visto che ha già sul display il mio nome. "Ciao, allora.........che fai?"...accidenti comincio con una domanda… meno uno "Mi sto preparando per uscire...come è andata?"...voce leggermente freddina e un poco frettolosa. Ho un sensazione di vuoto allo stomaco come se stessi precipitando. "Sei sola?" "Si tesoro... però sto per uscire, sai in questa settimana sono uscita quasi tutte le sere, mi sto divertendo un mondo " continuo a precipitare nel baratro. "Ah... dove vai di bello?"…immane sforzo per non fare una scenata degna di Otello. "I ragazzi sono con il papà, stasera vado a Salsomaggiore a sentire un concerto di un quartetto russo" Sentire un concerto? …Sarà per caso con quello di Fidenza che si spaccia per pseudo musicista intellettualoide e che ovviamente se la vuole scopare e basta o scopare e qualcosa di più. "Ok, senti devo scaricare le valigie sono stanco morto e..." "Come stanno i cuccioli?" non sono cuccioli... non sono dei cani. "I BIMBI stanno bene, sono davvero coloriti e si sono divertiti e... anche noi..." ma perché non mi sono scopato la tata, le animatrici e le tardone? Sono un deficiente! "Ah ok ci sentiamo lunedì... allora…ben...tornato?" il tono ha qualcosa che non covince.. lascio perdere... ma lo stomaco è stretto come in una morsa. Non capisco perché quando non dubtio sui sentimenti di Monica la sua voce dolce diventa scontata, quasi banale, mentre quando comincia a prendere le distanze ( e dopo anni lo avverto subito) mi crolla il mondo addosso. "Va bene, ti chiamo da casa, probabilmente rientro in ufficio martedì... un bacio" "Ciao a presto, sono in ritardo, scappo" e scopo, aggiungo mentalmente io. sms to Monica "mi hai dato l'impressione di non essere sola" sms Monica to fede "ti sbagli sono sola...." sms f to m "fallo aspettare..io ti ho aspettato per anni e anche se ti aspetta venti minuti una come te..si deve sempre fare attendere.." Nessuna risposta Porto le valigie in casa. Capitolo 17. Sorpresa. E’ domenica mattina ed essendo tornati solo ieri dalla Sardegna siamo ancora vittima di quella sindrome da ritorno dalle vacanze che, nell’orribile pubblicità delle crociere Costa, per essere superata, è oggetto di un gruppo di aiuto. Se fossi uno degli alcolisti anonimi avrei già messo un bell'ordigno nella sede del gruppo turistico Costa Crociere, o meglio, nell'agenzia che ha curato con molta sensibilità la campagna pubblicitaria. Devo andare a fare una spesa di rifornimento all'Esselunga sulla via Emilia. In casa dormono tutti e con una piccola scrollatina a Chiara, seguita da un dialogo con una sonnambula, mi faccio una breve idea del parco viveri che devo acquistare. Mi preparo il classico post-it dove, con calligrafia illeggibile, appunto la lista della spesa. Sto andando con la x5 verso il supermercato quando mi decido a fare un salutino alla Monica. Le ho mandato un sms appena alzato e mentre guido accendo il cell. Nessuna risposta. Penso che la cosa sia abbastanza strana e facendo una piccola deviazione passo da casa di Moni. La sua auto è nel parcheggio interno del condominio. Ci sono due idioti con la mountain bike davanti al portone d'ingresso. Le tapparelle dell'appartamento sito al piano secondo sono tutte chiuse. La mia sensazione è che all’interno non ci sia nessuno. In un attimo il terrore diventa realtà e capisco che anche suonando il citofono non avrò risposta. L'unica possibilità favorevole è che Moni sia morta in casa o che sia rimasta vittima di un mortale incidente con l'amico. Suono. I ciclisti mi guardano obliqui mentre continuano a parlare. Ovviamente qui non sono conosciuto, anche se spesso, uscendo dal palazzo provinciale prima di dirigermi verso la F.C.H. di Varano,faccio un piccolo salutino alla amata collega. Suono ancora, ma non ricevo risposta. Vado a far spesa, nel frattempo, mentre tengo in mano il post-it giallo, provo a chiamare. Il cell di Moni suona. Lei non risponde e la cosa è rara. Capisco tutto. I quindici giorni in Sardegna sono stati troppi e l'amico di Fidenza è andato a segno. Sono fuori di me, ma altrettanto consapevole che il suo comportamento non fa una grinza. E’ sola. Non è fidanzata. E’ divorziata. Ha 45 anni. Giusto così. Le mando un telegrafico sms dove le scrivo semplicemente che è una zoccola. Finisco di fare la spesa e torno verso Varano. Arrivato in casa, per fortuna dormono ancora tutti. Mi rimetto in contatto con la sonnambula Chiara e le dico che vado al circuito. "Chiara???...su dai!"…la scrollo leggermente "Chiaraaaaaaaa"…le do un bacino sulla guancia. "Mmmmm?" "Sono già stato a far spesa, senti... adesso prendo la moto e vado al circuito"…lo dico come se dovessi andare alla messa della domenica. "Fai attenzione, ci vediamo dopo...." si rigira dall'altra parte ed io esco dalla stanza in punta di piedi. Passo dalle stanze dei bimbi. Malgrado siano le dieci le gemelle dormono ancora e pure Edoardo. Il viaggio in traghetto è sempre una prova fisica. Apro il garage. Accendo la nera. Esco e mi dirigo verso il circuito. La mia 999 non è targata, la uso solo in pista e mi sembra idiota comprare un carrello da trasporto per fare due chilometri. Preferisco rischiare che mi fermino e la cosa è impossibile, visto che conosco tutti gli agenti di Polizia Municipale, i colleghi della provinciale, i carabinieri e pure alcuni della polstrada. Ogni volta che vado fino al circuito rischio, ma del resto la velocità è quella di una bicicletta. Quelli che lavorano al circuito li conosco bene, passo dal Gianni che sa già che mi deve consegnare tuta e attrezzature varie. Aspetto come il novellino della settimana bianca che mi consegnino sci (stivali da circuito) e scarponi (la tuta e i guanti). Indosso il tutto in una specie di spogliatoio che sa di pneumatici e di grasso d'olio. Qui a Varano la cosa che senti subito, oltre al rumore, è l'odore di circuito. Un misto di asfalto, pneumatici, benzina e olio. In estate è ancora più forte. Mi sento un po’ figo perché sono inguainato nella pelle nera della tuta Arlen Ness e mi sento come Valentino nella griglia di partenza. Salgo sulla nera e faccio un paio di giri per riscaldare i pneumatici .Mentre zigzago a velocità moderata penso a Monica che sta facendo sesso orale con il fidentino, la cosa non mi aiuta e comincio a tirare parecchio, se nonché ci sono i soliti rompi scatole con le moto più improbabili. Malgrado la velocità non riesco a scaricarmi e arrivo a casa due ore dopo con la testa sulle nuvole e con il film porno mentale che Monica sta girando con quello. A parte tutto è un dolore grande perché da qualche mese avevo riaggiustato tutto con Moni. Avevo pure rischiato un colpo di pistola dal suo ex. Eh si perché un mese fa, una sera ,esco e mi dirigo con l’auto verso casa di Moni a Parma, i suoi figli sono a Salsomaggiore dalla nonna e si preannuncia una seratina simpatica. Purtroppo non le ho assicurato la mia presenza e forse ho sbagliato a non annunciarmi con un banale sms, ma ogni tanto spero che una piccola sorpresa le faccia piacere e la scaldi ancora più di quanto in genere non lo sia già. Arrivo sotto casa sua con due coppette di gelato fumante quando la vedo davanti al portone. Sta parlando con un tipo... in un attimo vedo la Porsche e capisco tutto. Monica anni fa interruppe la relazione con me perché aveva conosciuto, a detta sua, un ragazzo straordinario. Io non potevo offrirle nulla e con Edoardo piccolo non mi sentivo, malgrado l'attrazione e l'affetto che provavo per lei, di lasciare Chiara al suo destino. Dopo qualche mese la vedevo in ufficio abbastanza serena e piuttosto entusiasta. La cosa mi faceva contorcere di gelosia lo stomaco. Un giorno questo fantomatico Giorgio, mi aveva detto qual'era il suo nome in una burrascosa conversazione telefonica, venne a prenderla fuori dal palazzo e uscendo in un attimo collegai il nome al volto. Un volto noto. Monica stava da mesi frequentando uno dei più famosi pusher del parmense ed ero sicuro che lei non ne sapesse nulla. Il mitico Giorgio pusher oltre ad essere un piantadebiti e un contafrottole clamoroso è noto a chiunque si sia fatto anche solo una canna, e a tutte le forze dell'ordine vigili del fuoco e forestale comprese. Mi si gelò il sangue, lo stesso sangue che mi si sta gelando adesso quando vedo lei che con una minigonna di jeans da togliere il fiato sta parlando a debita distanza con il Giorgiopusher. Faccio un giro dell'isolato con l'auto e mi apposto a distanza di sicurezza. Parlano. sms fede to Moni. dove si prende il numero? e soprattutto che numero stai servendo? sms fede to Moni. mandalo via che si scioglie il gelato. Rifaccio un giro del palazzo con l'auto perché i due continuano a parlare, non sembra un litigio, ma per fortuna non vedo contatto fisico e neppure un'atmosfera di intimità. Incrocio la Porsche che se ne va a forte velocità. Il cell vibra. sms Moni to fede. mandato via! Suono al citofono e sento aprire il portone, quando entro in casa lei è sempre di una bellezza stratosferica e mi sembra impossibile che abbia potuto, pochi minuti prima, essere nel raggio di azione del Giorgiopusher... mi fa quasi impressione e mi siedo a debita distanza. Lei sul divano accavalla le gambe abbronzatissime e perfette. Mangia con la palettina il gelato che le ho portato e mi racconta alcune cose del soggetto; io sono ancora adrenalinico per il rischio corso, il Giorgio è meglio evitarlo! Ho una voglia matta di far l'amore con lei, ma allo stesso tempo me ne andrei di corsa perché ho ancora la foto impressa nella memoria di lei ed il Giorgiopusher che parlano ad un metro di distanza, una donna non può essere la fidanzata per due anni di Giorgioilpusher, è un deficiente, è stato pure tossico da eroina e forse lo è ancora e... racconta delle storie assurde! Certo è che con tutte le cose che prende magari in serata di grazia se la pasticca o la coca sono buone scopa anche bene... questi sono i pensieri che mi assillano mentre spaletto la fragola nella coppetta di cartoncino. Alla fine del gelato mi avvicino e facciamo l'amore per due ore di seguito. Il rischio è stato ripagato e ho fatto pure la figura dell'impavido amante. Sto mettendo sui cavalletti la nera ancora calda, scioccato per non aver trovato Monica; è la seconda volta dopo tanti anni, dopo Giorgioilpusher adesso abbiamo l'intellettuale fidentino. Sono amareggiato, quasi sconvolto. Passo tutto il giorno sulle nuvole occupandomi della mia famiglia, ma sono altrove, non penso neppure al progetto. Capitolo 18. Paola alias Mrs Wolf. La Segretaria organizzativa. Anni fa su una messaggeria web conobbi Paola. Paola è la segretaria di direzione di una importante società di impianti di telefonia. Ogni mattina da circa 4 anni ci scriviamo una o più e-mail. Paradossalmente, malgrado questa pluriennale amicizia, non ci siamo mai visti. Ci conosciamo come fratelli via foto e webcam e per i milioni di caratteri che ci siamo scambiati, credo che il rapporto regga proprio perché non ci piacciamo in senso stretto, non abbiamo mire alcune e la cosa è perfettamente paritaria e reciproca. Purtroppo Paola ha una morale molto rigida e talvolta non riesce a sopportare tutte le mie confidenze, allora stacca per qualche giorno, ma poi, visto che io non sono capace di lasciarla, rientro dalla porta di servizio in maniera molto delicata. Lei direbbe che sono in fase di "pucci pucci" che, tradotto nel nostro linguaggio, identifica quei periodi in cui ti devi far perdonare qualcosa e usi un linguaggio poco quotidiano e di arruffianamento. Non senza qualche difficoltà, riesco sempre a ripristinare il rapporto e piano piano lei torna la mia confidente. E’ vero senza ombra di dubbio che io, malgrado conosca bene le sue vicende personali ed il complicato organigramma del suo parentame, la usi un po’ come bidone dell'immondizia delle mie malefatte.Non mi sorprendo quando la pattumiera dei miei comportamenti assurdi si rivolta e mi rigetta tutto indietro come un povero cassonetto che prende a schiaffi chi non segue i dettami della raccolta differenziata. Per me è una persona preziosa e, come dicevo a Giovanni, sarà la nostra segretaria organizzativa dolente o nolente, eh già , non credo sarà d’accordo, anzi… però io sospetto una cosa che non le ho mai rivelato, credo che fra lei e il Fugazza… beh dai… in fondo… era la sua segretaria e da che mondo è mondo… Capitolo 19. Ecce Fugazza. 30 luglio 2007. Lunedì HYPERLINK "mailto:[email protected]"[email protected] to HYPERLINK "mailto:[email protected]"paola.digiannantonio@tecnoimpian ti.com Bg Tutto bene?hai notizie dell’inge? Perché stavo pensando che sarebbe giunto il momento di contattarlo, soprattutto se è alla frutta. Fammi sapere b f paola.dig to fconti buon giorno Federico abbiamo passato un buon week end solita spiaggia a sabaudia con un collega e la moglie. Ovviamente mi sono un po’ incazzata perché Maurizio faceva lo scemo con la tipa. Appena sento l’ingegnere gli chiedo se vi posso dare la sua email privata Saluti Paola fconti to paola.dig grazie. b f paola.dig to fconti ho sentito Francesco Sergio e mi ha detto di chiamarlo sul cell ad ogni modo ti lascio posta e numero di tel HYPERLINK "mailto:[email protected]"[email protected] 338 ****** a presto baci Paola ps chiamalo appena puoi perché mi sembra abb in crisi Chiudo la porta dell’ufficio. Non uso il mio cell personale, ma credo sia meglio che la telefonata finisca nel caos dei numeri del centralino, migliaia al giorno. Al paradosso della telefonia aziendale assistetti direttamente quando l’architetto Fini, il boss dell’ufficio tecnico, usò il cell di servizio per chiamare un interno del suo ufficio che stava al piano inferiore. Gli dissi “O Fini, io mi faccio il culo per trovare due soldi in più in mezzo ai capitoli del bilancio e tu manco per il cazzo usi il cell per chiamare un interno… e ma che cazzo dai, alza il culo, dimmelo che ti passo la cornetta mica le paghiamo le telefonate interne” . Se all’azienda provincia ci fossero un paio di architetti Fini il dissesto sarebbe assicurato solo per spese di missione e spese di telefonia fissa e mobile. Un prefisso tim, già mi secca. Faccio il numero. Squilla. “Pronto” ed ecco finalmente la voce del Fugazza, personaggio ormai mitico del quale avevo sentito parlare per anni… un po’ come se si potesse telefonare ad un protagonista di romanzi in serie, tipo Carvalho o il mitico alligatore del Carlotto. “Salve sono Federico Conti, ingegner Fugazza?” “Si sono io, salve” voce piatta, abbastanza grave, si sente che non è un teen ager. “Si… salve, mi ha dato il suo numero Paola…” faccio una pausa per controllare che sia tutto a posto… “Si” …accidenti abbiamo il telegrafo dall’altro capo “Non so se Paola le aveva accennato… mi farebbe piacere se potessimo vederci di persona, quando e dove le fa comodo…” “Si, non ci sono problemi, in questo giorni ho qualche problema, se per lei va bene ci sentiamo prima di ferragosto e poi ci mettiamo d’accordo.” “Perfetto, allora la chiamo io?” “Si, mi chiami pure su questo numero, magari verso sera” “Allora ci sentiamo nei giorni prima del quindici” “Siamo d’accordo, buona sera” “Arrivederci” che poi per telefono è un po’ maldestro. Ora sappiamo che l’ingegnere non è di molte parole e soprattutto si considera sempre al di sopra dell’interlocutore e, ci giurerei, ritiene lui, Roma e il suo mondo al centro dell’universo. Ma almeno Paola gli avrà detto che siamo tutti fuori di zucca?. Roma caput mundi. Tipico atteggiamento da romani. Del resto sono belli anche per questo. Capitolo 20. 1 agosto. Mercoledì. L'agente ecologico. Gli agenti ecologici provinciali non hanno nulla a che fare con gli operatori ecologici. Si tratta della Polizia Provinciale in servizio con tuta verde, anfibi e pistola e manette alla cintura. Mediamente sono anche piuttosto zelanti, sia sulla strada che quando se ne vanno in giro per gli appennini a fare da sparring partners alla forestale. Per rendere giustizia a Paola, che ormai comincia a pensare che io abbia battuto la testa, ho ripreso nella mia attività di tombeur de femme. In realtà dopo lo sconquasso creato da Monica al mio rientro dalla Sardegna, mi sento un po’ vulnerabile e se non fosse per il nostro gruppo di studio sarei alquanto depresso. La psichiatra è in ferie e, comunque mi sentirei persino in imbarazzo a pensare di raccontarle le mie sconfitte sentimentali. Ho ripreso a fumare, cioè, ho ripreso a fumare sigarette. Da quando sono responsabile del servizio finanziario della provincia e da quando ho un po’ più di potere e voce in capitolo,che per un burocrate di contabilità pubblica è davvero un colmo, mi sono occupato con assiduità al progetto del rifacimento dei bagni del palazzo. La mattina mi scolo una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo, grazie al ricordo di un bel calcoletto a forma di minuscolo asteroide urinato circa sei anni fa. Per cui sono in costante pellegrinaggio dal mio ufficio allo splendido bagno, peraltro situato davanti all'ufficio di Monica. I gabinetti pubblici del mio piano erano, fino a qualche anno fa, una sorta di servizi degni della stazione ferroviaria di Istanbul, supposto Istanbul abbia una stazione ferroviaria, così mi sono impegnato per stanziare la somma in bilancio necessaria alla loro ristrutturazione. Visto i miei ottimi rapporti con il responsabile dell'ufficio tecnico,al quale risolvo abitualmente i più svariati problemi contabili, sono riuscito a far progettare da un ufficio interno una sorta di piccola beauty farm e dopo poco sono iniziati i lavori. Adesso abbiamo una sorta di cesso-centro benessere, persino imbarazzante per design ed ampiezza, ma in considerazione del fatto che al medesimo piano ci sono uffici degli assessori e del presidente della provincia la cosa è passata pressoché inosservata. Del resto facendo davvero un lavoro da vecchio ragioniere di contabilità pubblica sono riuscito a farmi fare un prezzo eccezionale da un'impresa che spesso da noi è stata aiutata in modo legale intendo. Insomma con poca spesa, o comunque con una spesa ragionevole, abbiamo adesso dei gabinetti paradisiaci in antitesi e contraddizione con gli uffici con arredamenti giurassici e macchinari da guerre stellari. Una sorta di perpetuo e costante contrasto, come quando gli interior designer mettono un pezzo dell'epoca vittoriana in un arredamento minimal futuristico. C'è un antibagno che si apre dal corridoio del piano con una porta scorrevole. Nell'antibagno ci sono tre poltrone o comunque tre sedie a seduta comoda, da qui si passa in un secondo antibagno dove sono presenti diversi lavabi in marmo con uno specchio lungo la parete e dispenser di sapone in plastica cromata, la rubinetteria é di design come tutto il resto, ai lati ci sono degli apparecchi per asciugare le mani efficientissimi. In realtà mi ricordano i bagni dei migliori autogrill, sennonché i materiali sono da casa da rivista di arredamento. Nel secondo antibagno si aprono quattro porte con altrettanti bagni, ogni bagno all'interno ha lavabo, bidet e specchio. Una metratura considerevole, ma quella c'era pure in precedenza, come sapete in Emilia gli spazi abbondano. Fatto sta che quando viene qualcuno da fuori, le nostre toilettes sono fonte di scherno e presa in giro per l'opulenza e la spaziosità. Da qualche mese, per motivi contabili, il comandante della polizia provinciale si avvale di un agente per le pratiche amministrative e contabili, cosicché la povera ragazza si trova a dover fare numeri da trapezista all'interno delle somme che sono stanziate per il mantenimento del corpo di guardia ecologica. Il comandante è un tipo piuttosto pratico per quanto riguarda la gestione del corpo degli agenti, ma purtroppo, lo dico per me e per la malcapitata che si occupa del vil denaro a loro destinato, il buon Omar Bedini ha le tasche bucate, nel senso che tende a scialare da gran signore i soldi dell'ente. Io e la Lorenza passiamo molto tempo a fare in modo che il bilancio della Provincia di Parma non crolli per la salvaguardia delle specie ornitologiche protette che, il buon Omar, abile cacciatore, metterà nel carniere la stagione successiva. Insomma, il tipo combina casini e noi cerchiamo di tappare i buchi. L’agente Lorenza Finelli è piuttosto carina e con un look militareggiante operativo che, rapportato ai suoi lineamenti dolci e interessanti, fa l'effetto dello schermo lcd 21 sulla mia scrivania anni sessanta, non modello anni sessanta, ma proveniente direttamente dal periodo, very vintage. Una delle mattine successive al ritorno dalle vacanze,avendo ripreso a fumare per delusione e nevrosi causa Monica mi ero rintanato in una delle stanze bagno del nostro cesso-lusso. Uscendo mi trovai davanti Lorenza in divisa e stivali anfibi che stava entrando nel bagno a fianco. "Ehi ragioniere…buon giorno!!!!!!!!!"…pronuncia ragioniere con la consueta ironia. "Cia-oo" "Mmm che nebbia.... non avevi smesso?" "Bah… ormai fumo di nascosto come ai tempi della scuola, del resto è abbastanza chiaro che a quarant’ anni comincia la regressione che si conclude con l'infantilismo senile"…in effetti ho un po’ la bocca impastata. "Ma bel ragioniere, sicuro che era una sigaretta? Mi sembri un po’… come dire... arzigogolato?" "Tesoro non c'è nulla di arzigogolato quanto il termine arzigogolato stesso" "Federico, faccio pipi e ci vediamo nel tuo ufficio… puoi?" "Possssssso" Mi lavo le mani e mi dirigo verso la scrivania. Mi sento quasi scoperto perché in effetti succede spesso che arrivando da casa al mattino io passi qualche minuto chiuso in bagno a farmi una cannetta che, con il mitico svuotino, mi sono preparato la sera prima nello studiolo, magari ascoltando gli Smiths con aperto skype, icq, msn e qualche chatroom dedicata ai piaceri del sesso. Lo svuotino è comodo perché le sigarette dopate passano più inosservate e nei bagni si trovano solo normali mozziconi e un po’ di odor di resina, ma alla mattina ci sono pochi avventori e i pochi deboli di prostata, per la maggioranza, non distinguono l'odore di una canna da quello di un detergente per pulire la tazza dell'amico cesso. Come faccia poi io a tenere un contegno dopo una bella fumatina a stomaco vuoto è un mistero pari alla sparizione dei maya. Mi siedo. La scrivania con varie lettere e pratiche sembra sorridermi, sono sereno come il cielo d'agosto nel mar rosso. Non me ne importa nulla del mio lavoro, che comunque riesco malgrado questi additivi dell'umore a svolgere diligentemente. Arriva ‘sta Lorenza e con aria stanca mi dice che il suo bambino, che se non erro ha l'età delle gemelle, continua a voler dormire nel loro lettone,immagino già l'impotenza del marito, maggiore dei carabinieri, che viene tenuto in scacco da un frugoletto di quindici chili. C'è una sorta di giustizia divina in questo che raggiungerebbe l'apogeo se riuscissi a scopare la moglie del maggiore mentre indossa la divisa del marito. "Allora ragioniere abbiamo ricominciato a sfumacchiare eh?" "Tu resisti invece?", sono un po’ distratto perché sto pensando all'effetto che farebbe su Monica la mia presunta relazione con la bella agente ecologica. "Mio caro, da quando è nato Matteo io non ho mai più fumato nemmeno una sola sigaretta" "Si anche io dopo le gemelle ho smesso di fumare... sigarette" faccio un risolino. "Si si... ho visto, anzi... se-nti-to" segue una discussione di lavoro dove io annuisco senza ascoltarla, lei sembra non accorgersene... [email protected] to fconti@ ciao scusa se mi permetto, ma vorrei farti una domanda... ma l'odore che usciva dal tuo bagno non mi sembrava di..sigaretta Lore fconti to lfinelli nn ti preoccupare, mi fa piacere se mi scrivi, giustappunto qualche g fa, una mia corrispondente è virtualmente morta. la mia era una semplice sigaretta con una lieve aggiuntina di resina marrone. saluti effe lfinelli to fconti ehiiiiiiiii..ma non ci posso credere , il ragionier conti si è fatto una cannone prima di sedersi alla scrivania?.... che sorpresa!!!!! ciao Lore fconti to lf spero una sorpresa positiva... cmq sia ricorda che la cannabis viene usata anche a fini medicamentali e terapeutici..sicura di non voler provare...? ehi dimenticavo che tu sei anche agente di p.s. mi denuncerai alla procura? o mi sputtanerai con quel falso perbene di bedini? lfinelli to fconti tranquillo fede..anche io avrei bisogno di un po’ di addittivi..ma ci pensi la moglie di un maggiore nonché agente provinciale fermata dalla polizia e trovata in possesso di qualche grammo di marijuana?...vedo già la locandina del gazzettino a caratteri cubitali. confesso che mi piacerebbe Dopo aver letto questa e-mail non può che venirmi in mente cosa farei io a questa ragazza sui trent’anni, forse qualcosa in meno, un po’ repressa, con due tette assurde per dimensione, magra e carina, mi sto chiedendo quali siano i suoi difetti, forse una leggera mancanza di eleganza dovuto allo spiccato accento emiliano. Però la Lorenza è ben educata e pensare di aprire quella sorta di mimetica e trovarci dentro un reggiseno bizzoso, sto avendo una erezioe, rispondo subito alla sua e-mail. fconti to lfinelli senti cara agente di ps, se un pomeriggio vuoi venire a varano ti prometto una fumatina di roba..se non ecologica almeno biologica. poi dopo se vuoi puoi pure arrestarmi.... Tempo qualche minuto la bustina di outlook si accende nella barra degli strumenti che ho perso di vista solo per pochi secondi, nel frattempo rispondo come un automa a telefonate di colleghi assessori e politici vari. lfinelli to fconti senti fe-de-ri-co-ca-ro non mi provocare perché potrei accettare il tuo accattivante invito..ma tua moglie al pomeriggio cosa fa? e la tua dolce prole? fconti to lfinelli senti la-Lorenza ...tu dimmi quando hai un pomeriggio libero e ti organizzo un droga party con i fiocchi..anzi con le manette (che porti tu) :PPPP Alzo un po’ la posta in gioco e la metto anche sul feticista sado maso. La fantasia delle manette è peraltro comune quanto il desiderio di far l'amore con due donne insieme. Si accende la bustina della posta in arrivo. lfinelli to fconti bene, quando torno dalla montagna sarò lieta di fumare qualcosina con te..però ti avverto che dopo potrei fare delle pazzie.... Decido di porre fine alle e-mail senza rispondere tanto per darmi un po’ di tono, in modo infantile preferisco sempre essere l'ultimo a non rispondere, banalmente per esperienza diretta ho constatato che quando qualcuno ti interessa e manca quella reciprocità degli innamoramenti in contemporanea, sei sempre l’idiota che aspetta la posta o la vibrazione del cellulare che non arriva. Capitolo 21. Il contatto con il presidente familiari vittime. Giovanni era riuscito a trovare in un sito l’indirizzo dell’associazione familiari delle vittime della strage di Rimini. C’erano solo l’indicazione della sede che era nel centro di Bologna e il nome del presidente e del vice presidente, Franco Casali e Paolo Mangoni. Mi venne in mente di guardare l’elenco delle vittime che era stato pubblicato nel libro che pareva essere il più esaustivo sull’argomento. Era uscito di recente e lo aveva recuperato in libreria Giuliano. Sia io che Giovanni lo avevamo già letto un paio di volte, la mia copia era piena zeppa di appunti e sottolineature. A metà di questa triste lapide di carta, trovai una certa Morena Salvini di anni 29 seguita da Andrea Casali di anni 3. Un senso di freddo mi fece rabbrividire e capii subito il motivo per il quale Franco Casali era diventato il presidente: lui quel giorno di luglio aveva perduto probabilmente la moglie ed il figlio, non so perché ma la mia sensazione era che la famiglia finisse lì, non c‘erano altri figli, per un attimo ebbi come la visione di un uomo con lo sguardo perso nel vuoto, incredulo e riempito di benzodiazepine che ascoltava l’omelia del vescovo di Rimini ai funerali di stato. Poi immaginai la reazione, lo sgomento e la voglia di giustizia. E adesso a 27 anni di distanza, dopo processi e appelli vari, sentivo ancora la stessa sete di giustizia condita dal desiderio di vendetta, lo sentivo anche solo dopo aver letto il nome nel sito ed aver letto quello della moglie e del figlio nell’elenco delle vittime. Telefonai al numero. Rispose una voce femminile leggermente nasale, senza inflessioni dialettali. “Risponde la segreteria dell’associazione, i nostri incaricati sono presenti in sede tutti i mercoledì dalle ore 10 alle ore 12. Per informazioni telefonare al numero del dottor Casali 347 *********” Notai subito che non si menzionava, quasi per rispetto, o per uno strano timore riguardo all’evento stesso, di che associazione si trattasse. Composi il numero del cellulare. Dopo tre squilli rispose. “Pronto” “Dottor Casali?” “Si sono io” “Buon giorno sono Federico Conti, non ci conosciamo, senta io avrei piacere di incontrarla di persona, stiamo scrivendo un libro… .” mi interrompe. “L’ennesimo libro sulla strage di Rimini… ” il suo tono è leggermente infastidito, non so perché mi aspettavo una persona giovane, ma per lui gli anni sono andati avanti mentre sua moglie e suo figlio sono rimasti fermi a quel maledetto 2 luglio 1980. “Non è proprio così, comunque sempre che a lei faccia piacere, preferirei parlarne di persona” “Ah… beh…” Un attimo di silenzio… non so se è il solito ponteradio mancato o se il dottor Casali non parla. “Dottor Casali?” silenzio “Mi sente?” “Senta, il prossimo mercoledì mattina sono in sede a Bologna, se le può andare bene ci vediamo lì alle dieci circa” “Per me va benissimo, spero di non recarle troppo disturbo, le lascio il mio numero nel caso ci fossero dei problemi… magari mi chiama così evito di venire a Bologna per niente” “Lei di dov’è?” “Sono di Spezia, cioè sono nato alla Spezia, si in definitiva sono uno spezzino però da anni ormai vivo a Parma” “Ah, bella la riviera ligure, vicino alle Cinque Terre… comunque mi dia il numero” una voce molto triste che mi fa domandare come sia possibile a quasi trent’anni di distanza provare ancora un senso di dolore così vivo per la perdita dei propri cari, o forse si è risposato ed ha altri figli e adesso aveva solo una banale emicrania. O forse è pure malato. Forse ha il cancro… “Ha da scrivere?” “Mi dica, che lo memorizzo nel telefonino” “340 *********, allora ci vediamo mercoledì, piacere di averla conosciuta, arrivederci” “A presto dottor Conti” sembrava pressoché rimbecillito mentre invece ricorda anche il mio cognome, anche se lo ha sentito solo qualche minuto fa per la prima volta e mi conferisce l’ennesima laurea ad honorem. Mercoledì. Bologna. “Vede Federico, se mia moglie e mio figlio fossero stati uccisi da un ubriaco al volante di un auto il dolore sarebbe stato lo stesso, è difficile esprimere la grandezza di un dolore così forte. Non serve neppure che io stia qui a farle il pianto greco, se fosse stato appunto un incidente… eh si… il dolore si, però essere vittime di questa strage è differente, io ho smesso di vivere da trent’anni. Mi alzo, mangio, parlo, frequento persone, dormo, ma non vivo più. Essendo il presidente ho conosciuto quasi tutti i familiari delle vittime e le dico pochi, ma davvero pochi si sono ricostruiti una vita. Questo continuo non sapere o peggio ancora il sapere che qualcuno e non pochi sapevano… avere la consapevolezza che le persone che dovrebbero rappresentarci, le persone che abbiamo eletto sapevano. O che addirittura sono stati gli autori… gli artefici. Abbiamo i colpevoli, forse, si. Sono stati condannati. Ma non c’è stata giustizia e non poteva esserci una forma di giustizia per un evento simile. Forse avrei dovuto partire, andare all’estero, allora forse avrei potuto continuare a vivere. Qui no. Troppi processi, in trent’anni non c’è stato un solo giorno nel quale abbia potuto dimenticare o non pensare a quel dannato giorno di luglio. Io sono stanco sa?” “Ha incontrato Valeri e la Franchi?” “Si, ci siamo visti un paio di volte, in realtà sono stati loro a chiedermi di vederci” “Si, mi pareva di averlo letto nel libro di Rocca” “Mi hanno giurato che non sono stati loro… che hanno commesso crimini efferati ma che non avrebbero mai fatto una cosa del genere… sentito e risentito visto e rivisto, non so, hanno sempre avuto un atteggiamento contraddittorio, è fuor di dubbio che ci sia qualcosa di strano, ma le loro versioni le hanno cambiate come tira il vento… e proprio per quello i giudici li hanno condannati in appello” “Già… anche noi, io e i miei collaboratori, non siamo affatto convinti che siano i colpevoli” “Lei Federico non scriverà un libro… vero?” “Che intende?” “Non è qui per farmi un’intervista vero?” “Senta Federico, credo di aver capito, Non so bene cosa volete fare, comunque sia, quando avrete deciso, perché mi pare di aver capito che lei non è da solo, mi chiami” Capitolo 22. La gita all'università. 31 luglio martedì 2007 Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po’ molli, col seno sul piano padano ed il culo sui colli....(F.Guccini) Mio suocero la Porsche l'ha comprata da un suo amico che ha il concessionario a Bologna. Visto che io in famiglia sono quello che ha tempo libero, ogni tanto mi prega di portarla a fare il tagliando al concessionario. Oggi siedo sulla Carrera del Piero. La cosa buffa è che per andare all'ateneo bolognese mi sono travestito da studente fuori corso. Intendiamoci, non che io vada nel mio ufficio al palazzo della provincia vestito da manager, però oggi, oltre ai jeans e alla giacca senza cravatta, ho apportato alcune modifiche che comunque non mi sono del tutto sconosciute quando sono in divisa da tempo libero. Jeans sporchi, scarpe Tiger abbastanza distrutte e una specie di cartella o borsello militare che mi ricorda quello che usavo in prima media per i libri; me lo ha prestato Giuliano che è molto più freak di me. Io ho sempre questo look sinistreggiante da centro sociale con qualche tocco fashion, reminescenza di un'infanzia trascorsa assieme alla cugina molto fashion victim ancora prima che Armani fosse conosciuto in America. Non è una cosa voluta anche se in realtà passa come molto studiata snob e chic. Lungi da me essere trendy, non me ne importa affatto e a testimonianza di ciò basta annusare i jeans che in genere stanno in piedi da soli tanto sono sporchi. Dentro la Porsche lucida, giacchè i ricchi hanno sempre l'auto iper pulita, sembro una specie di ladro di macchine di lusso. Esco dall’autostrada. Vado verso la stazione. Parcheggio in un garage in via Amendola, dietro lo Starhotel. In modo molto ruffiano quando entri con la Porsche i garagisti sono sempre più gentili che se arrivi con la Punto bianca aziendale. Probabilmente i proprietari di auto di grossa cilindrata talvolta lasciano una considerevole mancia. Io purtroppo sono solo una sorta di autista o, comunque sia, al massimo sembro un pusher. Malgrado ciò il tipo continua a scodinzolare con la sua tuta blu in modo affettato. Vado verso Piazza Maggiore percorrendo a piedi i portici di Via Amendola. Passo sotto le due torri, Strada Maggiore, entro nella facoltà di Scienze Politiche. Ovviamente , e questo lo scopro adesso guardando alcune bacheche, non ci sono esami, ovviamente. E’ il 31 luglio e domani qui si chiude, è un po’ di tempo che non entro in un’università, però la segreteria è aperta. Sto cercando, con aria di sapere cosa, fra le righe dei fogli appesi dietro ai vetri. Ho un flashback di quando alle superiori dopo gli scrutini uscivano i quadri dove vedevi se eri promosso o respinto o rimandato e in cosa,ho davanti una ragazza vestita in modo abbastanza inequivocabilmente schierato, visto che indossa una maglia di Emergency e un paio di jeans a vita bassa. E’ un po’ grassottella ma come tutte le giovinastre di oggi non ha timore di mostrare la pancia, io da dietro vedo solo i fianchi che sbordano leggermente dai pantaloni come un plum cake ben lievitato dalla teglia rettangolare. È abbronzata, ha i capelli lunghi e ai piedi porta delle all star rosse che riprendono il colore della t shirt. Malgrado i senza tacchi è alta quasi quanto me, se fosse un uomo direi bassa quasi quanto me che sono circa uno e settanta, ma come ragazza non è certo minuta. Ha una borsa di quelle freak di stoffa, vedo un anello al pollice e nient’altro. Sta guardando un calendario di esami. “Vacca boia il dieci noooo” credo stia imprecando a voce alta riguardo ad una presunta data ma non capisco cosa guarda. “Ma vacca bo-i-a”ripete a voce un po’ più bassa. “Disse la principessa” mi viene un po’ automatico senza nemmeno l’intenzione di attaccare bottone. Fa un passo indietro e mi pesta un piede. “Oh scusami” si gira ed è carinissima; indossa anche degli occhiali con montatura rossa e mentre sorride ha qualcosa tipo un dental piercing e pure una bellissima frangetta al limite delle sopracciglia “Scusa per il vacca boia o per il pestone?” “Beh… per entrambi no?” continua a sorridere, sembra davvero una ragazza gioviale. Se dovessi essere sincero direi che sembra una di quelle che la sganciano abbastanza velocemente, ma è un pensiero talmente rapido che non riesco neppure a metterlo a fuoco. “Nessun problema, a parte la microfrattura all’alluce, come turpiloquio ne ho sentiti di peggio” mi guarda un po’ con aria sorpresa e poi sorride ancora. “In effetti è bruttissimo quell’intercalare, ma per noi emiliani è un disastro riuscire a togliere questi vocaboli” il fatto che sottolinei noi emiliani significa che ha già capito dal mio accento che non faccio parte dei “noiemiliani”… in realtà ho pochissimo accento perché lo spezzino sono riuscito a correggerlo in modo efficace vivendo a Parma e l’emiliano proprio non mi si attacca. “Posso chiederti un’informazione?” “Certo, dimmi” “Per caso sai dove posso vedere il calendario degli esami di diritto costituzionale o una cosa simile?” mi guarda come se non capisse cosa sto dicendo… “Ma sei di questa facoltà? Non ti ho mai visto” la parte dello studente lavoratore me la sono studiata piuttosto bene, però non ho provato abbastanza e sento che sto arrossendo. “Si, cioè io lavoro ma sono ancora iscritto però volevo solo assistere agli esami…” non so che cavolo inventare e continuo a diventare sempre più rosso. “Io ho dato costituzionale comparato ma non so se ti interessano sapere le date di quell’esame…” sorride ancora però comincia ad avere un espressione di scetticismo e socchiude gli occhi… “Diritto costituzionale comparato va benissimo… si certo dove posso vedere le date dei prossimi esami?”…ormai non so più dove guardare e la cosa positiva è che non sarà possibile arrossire più di così. “Aspetta do un’occhiata” si sposta lungo la bacheca e io goffamente non so se seguirla… resto fermo poi mi avvicino a lei facendo qualche passo incerto. “Guarda c’è una data per il 10 settembre, è esattamente il giorno in cui ho lo scritto di Storia delle Dottrine Politiche, è segnato nell’aula tredici, però ti conviene riguardare la mattina stessa perché talvolta cambiano” mi tratta, e non sbaglia, come se fossi uno che passa per caso di lì o che comunque c’è per la prima volta in vita sua. “Ah… grazie davvero, scusa ma è diverso tempo che non vengo in facoltà sono un po’ spaesato” “Capisco, infatti è cambiata un paio di volte negli ultimi trecento anni” assume un’espressione seria. “Dai scusa, non volevo darti del decrepito, anzi ho la massima stima per chi lavora e studia” “Mmm si in effetti non è facile… grazie” ormai sono un po’ imbarazzato fortuna che la tipa sorride sempre con quel luccichio del piercing odontoiatrico. “Allora ti saluto, io mi chiamo Elisa” e mi porge la mano “Piacere… Federico, allora…” sto per dirle auguri per l’esame… quando mi ricordo che sarebbe una bella gaffe… e in un flashback da studente anni novanta le dico “In bocca al lupo per lo scritto di storia delle dottrine” “Crepi il lupo… no?” “Ciao, arrivederci” cerco di sfoderare il sorriso migliore che ho e anche lei sorride. Mi giro e cerco l’uscita. Mi sto già mangiando le mani per non averla invitata a prendere un caffè, è davvero carina e sembra simpatica e aperta e… in un attimo mi va il sangue al cervello, mi gira quasi la testa e faccio dietrofront lei sta camminando in direzione opposta. “Elisa, scusa…” si gira subito e sorride “Lo so che è una stronzata ma poi non so quando e se avrò tempo per ritornare se non solo per gli esami, poi lo so che altrimenti ci rimugino per tutto il giorno e magari chissà quando… ” mi interrompe “Si? Allora… dimmi” in quel momento le squilla il maledetto cellulare. “Scusami un attimo” risponde al telefonino e io rimango lì davanti e non so nemmeno dove guardare e che cosa fare, mi accenderei anche una sigaretta ma non le ho dietro, sto pensando di prendere pure io il cell ma mi sembra una cosa patetica e mentre sto pensando a cosa fare e a quale atteggiamento assumere lei chiude la conversazione con un “ciao” e un sorriso che vorrei non vedere, ma che per fortuna non vede l’interlocutore telefonico e che vorrei tanto fosse per me adesso. “Mi stavi dicendo?” sorride sempre, ma è un sorriso diverso da quello di cinque secondi prima. “No, cioè… mi chiedevo se ti andava di prendere un caffè e…” sono di un impacciato pazzesco e sento anche che sto arrossendo e come al solito quando sento che arrossisco divento ancora più rosso perché mi accorgo del mio imbarazzo. “Ti ringrazio, sei gentilissimo ma guarda, devo assolutamente scappare…” resta un po’ li senza sapere cosa dire, si vede che è una ragazza molto aperta e gentilissima, tanto che non osa mandarmi neppure al diavolo. “Bene ok, sarà per un’altra volta” sorrido un po’ tirato. “Vedrai che sarà facile che ci rivedremo qui in facoltà, alla prossima allora” “Ciao” “A presto, ciao”…si a presto un cavolo. Chissà quando ti rivedo e chissà se ti ricorderai di me. Resto dubbioso e con un po’ di malinconia legata al fatto che ormai la mia età da studente se ne è volata via. Forse la tipa di poco fa era una specie di parallelo esistenziale: era la gioventù da studente fattasi carne. Vabbè, cammino e guardo le vetrine di Via Indipendenza senza vedere nulla, c’è ancora qualcosa di aperto, ma ormai il popolo bolognese si trasferirà, come gran parte degli emiliani, nei luoghi di mare. O forse, meglio dire, gran parte delle mogli degli emiliani, perché, calendario alla mano, credo che fabbrichette e fabbricone chiudano il 6 quest’anno. Arrivo al garage. Non c’è più il tipo di prima e dal gabbiotto un altro uomo in tuta mi fa un cenno come dire “mi dica”… “Devo ritirare l’auto” “Si, qual è?” “La Porsche lì” faccio segno con il dito. Il garagista mi guarda un po’ torvo come se avesse timore che non sia il proprietario e in effetti per quello ci azzecca davvero, però oggi sono il possessore, sorrido. “Mi da la ricevuta?” “Si, certo” mi frugo in tasca e tiro fuori la velina spiegazzata, la Porsche è mia. Pago e mi infilo dentro alla scatola di metallo. Sto pensando che il Piero ogni volta che entra deve fare una bella torsione, non è auto da pensionati o da sessantenni ‘sta Porsche, beh che il suocerone, malgrado i suoi sessantacinque anni, è in discreta forma e gioca ancora qualche volta a tennis. Ovviamente ha provato anche ad andare al golf, però non mi pare lo diverta molto. Mi avvio verso il concessionario Porsche di Bologna. Fortuna che è qui vicino anche se al pomeriggio di un 31 luglio il traffico non è poi lo stesso della Bologna invernale. Parcheggio davanti al concessionario. Entro. La solita sfiga vuole che nessuno mi abbia visto scendere dal bolide così sembro il solito idiota che va a far perder tempo ai venditori. C’è una sorta di accettazione clienti. “Buongiorno, senta, dovevo fare il tagliando all’auto” “Buonasera, com’è il nome?” “Manfredi, è una Carrera S.” “Perfetto dottor Manfredi, l’auto dov’è?” “No, mi chiamo Conti, l’auto è di mio suocero, è qui davanti” mi giro indicando con il dito verso il parcheggio antistante la concessionaria.” “Va benissimo signor Conti, la porti pure dentro all’officina uscendo sulla destra”, noto che la perdita di possesso dell’auto mi fa perdere anche il titolo di laurea. Entro nel garage dove ci sono diverse auto a “gambe” all’aria, sopra ai ponti. La cosa buffa è che ‘ste auto da “signori” sono belle anche sotto. Mi viene incontro un giovane in tuta con tanto di “marchietto” della casa di Stoccarda. “Buonasera, lasci pure le chiavi dentro. Lì c’è la sala d’aspetto oppure se vuole può andare a fare due passi, immagino sia solo giusto?” Accidenti questo sa già che vengo da Parma e giurerei che sa anche dell’amicizia del Piero con il proprietario nonché suo boss. “Si certo, ma…” “Se vuole possiamo darle un’auto sostitutiva, comunque sia in un’oretta è tutto pronto” Mi incuriosisce il fatto dell’auto sostitutiva, mica possono dare una Punto ai proprietari delle Porsche. “Ma forse per un’ora…” “Guardi non ci sono davvero nessun tipo di problema” il ragazzetto bisticcia un po’ con l’italiano, ma in fondo è un meccanico o forse è solo il garzone. “Grazie lo stesso, aspetto, mi rilasso un po’” “Come vuole, si accomodi pure, lì appena si entra sulla destra, veniamo noi a chiamarla” La sala d’aspetto è fornita ovviamente di aria condizionata, macchina distributrice di bevande, che, ad una prima disamina, non pare della società di quella posta nel corridoio del mio ufficio. Non so perché ma mi sembra dall’aspetto più efficiente. Ci sono delle poltroncine in pelle nera che ricordano vagamente i sedili delle auto sportive, nessuno dentro. Ai lati delle file di sedili dei portariviste. Mi siedo. Il tutto ricorda più la sala d’aspetto di un dentista. Quotidiani del giorno fra cui il sole 24 ore. Settimanali di motori e “mattoni da edicola” come Quattroruote, Ruoteclassiche, Autocapital, mensili di viaggi e un paio di AD, il tutto piuttosto recente e non come dal medico della mutua che avevo a Spezia dove leggevo, dopo ore di attesa, gli articoli di un periodico femminile dell’anno precedente. Dopo 53 minuti cronometrati entra, quello che suppongo essere il capo officina, non ha infatti la tuta da lavoro. Mi consegna le chiavi della belva. “Ecco qui, tutti i documenti sono insieme al libretto. Tutto perfettamente a posto.” “Grazie, per il pag…” nemmeno mi fa finire la parola troppo prosaica che si riferisce al vil denaro, qui è tutto troppo perfetto, non si parla mai di soldi. “Tutto a posto, l’ingegner Biondi si metterà in contatto con suo suocero” “Grazie, molto gentile” non so nemmeno cosa dire, in effetti non avevo chiesto nulla al Piero riguardo al pagamento e al costo del tagliando, ma anche lui ritiene l’argomento denaro piuttosto volgare. “Ah, una cosa, stavamo guardano i tracciati registrati nella centralina e ci sono un paio di fuori giri e due o tre volte si è attivato il limitatore di velocità massima. Può dire al dottor Manfredi che se la usa in pista, volendo, possiamo riprogrammare la centralina” alla fine il meccanico mi schiaccia l’occhio, è stato gentile, non poteva dirmi che ero una testa di cazzo e che avevo tirato il collo alla donzella fino a farle venire le lacrime ai… fari. “Grazie davvero, farò presente” Certo è che le auto di lusso al giorno d’oggi hanno dei dispositivi che rompono un po’ le uova nel paniere e che diamine, che ci venga da solo a fare il tagliando, che gusto c’è se non posso nemmeno un po’ schiacciare il piede?! Capitolo 23. Padanian beauty. Conobbi Chiara il primo anno di università. Eravamo alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Parma. Ci piacemmo quasi subito. Dopo pochi mesi quando tornavo al venerdì sera a Spezia, lei mi seguiva e dormiva a casa di una nostra amica. Purtroppo in casa mia non c’era posto e tutto sommato la cosa mi andava bene così. Decisi di lasciare gli studi dopo un anno di scarsi risultati e di frustrazioni economiche: io non avevo che lo stretto necessario mentre Chiara, essendo la figlia di un ricco industriale della Val di Taro, faceva una vita simile ai Windsor, soprattutto se paragonata alla mia. Per tutta la settimana mi scarrozzava nella sua Golf gti nera e, malgrado nel week end si pagasse alla romana, quando apriva il portafoglio mi sentivo sempre a disagio. Ciò nonostante non ho mai nutrito interesse per il suo denaro, ma sicuramente il suo stato di agiatezza faceva parte del suo fascino, qualora non bastassero le belle tette ed una vaga somiglianza con Brooke Shield. All’inizio, grazie ad un mio collega di università che aveva trovato lavoro, riuscii ad inserirmi nel mondo professionale facendo il programmatore presso una software house (all’inizio degli anni novanta c’era ancora un mercato di piccoli software che da lì a poco sarebbero stati in via di estinzione) , il lavoro non era male e lo stipendio buono per l’epoca, anche in considerazione della mia giovane età. Poi partii per il servizio militare, perdetti il lavoro che era con contratto a termine e al ritorno stetti qualche tempo senza far nulla e ritornai a Spezia, facendo il pendolare verso Parma nei week end. Nel frattempo la Chiara si era scocciata di aprire libri e far finta di studiare ed era stata inserita non nell’azienda del padre come tutti si aspettavano, ma aveva trovato lavoro senza nessun aiuto in un’azienda della Val di Taro. Al termine del suo primo colloquio per cercare un impiego le chiesero: “ma lei è parente del Manfredi della Italiana Prefabbricati”, lei rispose “sono la figlia” , il direttore del personale della Metalli Taro Spa si assentò un attimo, andò nell’ufficio dei proprietari e sgranando gli occhi disse loro che nel suo ufficio aveva niente di meno che Chiara Manfredi che cercava lavoro. Torno da lei, le strinse la mano e le disse che il lunedì successivo avrebbe cominciato a lavorare nella loro azienda. Questo perché, bisogna riconoscerlo al mio signor suocero, la stima che gode la loro famiglia nel mondo del lavoro della Val di Taro è davvero enorme e di vecchia data. Passammo alcuni anni di grande benessere economico: Chiara era indipendente, guadagnava bene ed era pure sovvenzionata alla grande dal signor suocero ed io grazie a lui, che insistette in modo sospetto per farmi partecipare, vinsi un concorso presso la Provincia di Parma. In realtà nessuno mi disse nulla, studiai come un matto e la commissione non fu nemmeno tanto clemente, ma all’inizio degli anni novanta un posto nella pubblica amministrazione nell’Emilia del benessere, non era poi così ambito. Al concorso arrivai terzo su due posti disponibili e dopo qualche mese di precariato, grazie alla rinuncia del secondo classificato che approdò verso lidi all’epoca reputati migliori (la Parmalat ), venni assunto a titolo definitivo. Dopo un po’ di anni di lavoro da manovale della contabilità riuscii grazie alla fortuna, ad un paio di concorsi interni e forse, chissà, all’intercessione del signor suocero a diventare un funzionario. Fatto sta che vuoi per la villetta, la bella auto, i bei vestiti ed una vita all’apparenza piena di frivolezze e benessere, in ufficio venni presto a sapere che mi si chiamava “american beauty”, in omaggio al mio presunto stile di vita pseudo americano. In realtà qualche anno fa avrei lasciato tutto per scappare con Monica, ma le circostanze avverse e la successiva nascita di Edoardo mi fecero tornare sui miei passi. Pochi lo sanno e per questo vengo giudicato venale e sposato per interesse. Viceversa in un modo un po’ particolare amo Chiara e vivo con lei per scelta. Le cose belle che ci circondano, che comunque sono sempre limitate rispetto al tenore di vita che potremmo avere o al modo in cui vivono i signori suoceri, non mi fanno mai perdere di vista quali sono i veri valori. Almeno così credo. Basti pensare che il commendatore Manfredi quando mette piede in casa nostra si guarda intorno come se fosse nella baraccopoli del film “Brutti sporchi e cattivi”. Capitolo 24. L’Alfetta. 22 agosto mercoledì. Sono nello studiolo e Chiara e la tata stanno dando la cena ai demoni. Sento in lontananza la musica di Lazy town, Disney channel, purtroppo ancora una volta Edoardo ha avuto la peggio e sopporta con rassegnazione il palinsesto imposto dalle due iene Lucrezia e Ludovica. Non so se siano peggio loro drogate di tv satellitare o il bambino che si estranea con i suoi fumetti giapponesi. Chiudo la porta e l'ambiente resta insonorizzato e mi ricorda l'ufficio dei boss delle discoteche che si vede nei film di terz'ordine. In realtà lo studiolo è davvero cool. Mi sto apprestando a dare un'occhiata al pc quando squilla il mio cell. Sul display compare il nome Piero Manfredi, è memorizzato con nome e cognome perché se avessi scritto suocero mi avrebbe ricordato che ho solo una moglie,e per giunta discretamente stronza. Per un attimo ho l'impulso di lasciare squillare, cosa che non faccio quasi mai, oppure mandare l'avviso di occupato, invece schiaccio e accetto la chiamata. "Federicooo?"... già non sopporto il fatto che dica il mio nome in quel tono interrogativo quando sa bene che al cellulare, verosimilmente risponde il proprietario. Vero è che potrebbe capitare che rispondano anche i carabinieri se ti sei ammazzato in strada oppure la moglie se sei andato al bagno e stupidamente hai lasciato il cell acceso in casa, però… Una regola che dovrebbero seguire tutti gli uomini (o forse anche le donne) è quella di spegnere il cellulare non appena entrano in casa. Cosa che io faccio regolarmente. Ricordo che un pomeriggio di anni fa eravamo io e Chiara seduti sul divano che guardavamo la tv, non so per quale motivo eravamo in casa al pomeriggio e ancor più mi sfugge il motivo per il quale guardavamo “l'Italia in diretta”. Era Ospite di Cucuzza la figlia di Tom Ponzi che parlava, ovviamente, di investigazioni private. La tipa, abbastanza “sgamata”, ad una domanda dell’intervistatore che chiedeva come fare a rendersi conto quando il partner ti sta tradendo, rispondeva che, innanzitutto, era importante vedere se questi, appena rientrato in casa, spegneva il cell. Visto che era esattamente la cosa che facevo io, avrei sparato direttamente a Cucuzza e alla sua di ospite con un Kalashnikov. "Si?... mi dica"…ovviamente ho visto il nome sul display ma il suocero ignora. "Ah senti, sono Piero...ti disturbo?" No, mi rompi letteralmente le scatole, ma siccome sono educato non te lo posso dire... "No, mi dica”(e due) cerco di usare un tono monocorde che mi è familiare nell'utilizzo dei telefoni, tendente a disincentivare qualsiasi desiderio di comunicazione che vada aldilà del minuto. "Senti ti volevo chiedere un favore..." ahi ahi qui c'è aria di grossa scocciatura. "Mi dica” (e tre)… e tagli corto rompiballe (queste parole pensate e non dette sono la famosa "colonna di destra" la cui esistenza è stata ampiamente dibattuta durante un corso sulla teoria della comunicazione che ho fatto qualche anno fa per grazia della provincia). "Senti Federico..." e sono già tre senti, ed io ci sento benissimo. "Hai presente l'Alfetta che tengo nel garage?" "Si certo… mi dica" (e quattro… ma forse sono peggio io di lui?) "Mah… non lo so, penserai che sono stupido (l'ho sempre pensato), ma ho deciso di venderla". Il Piero, ha nel garage un'Alfetta che sembra uscita dal concessionario ieri: la tiene come una reliquia, è un millesei blu del 1976 e ogni volta che la vedo mi fa ricordare quando da bambino ero fissato con i contachilometri. Un giorno vidi dentro una Lancia Fulvia in riparazione da mio nonno a Pegazzano (quartiere di Spezia quasi frazione), un contachilometri che arrivava fino a 220. Da quel giorno non potei mai fare a meno di guardare dentro tutti i finestrini della auto che non conoscevo. Elaborai pure delle teorie che volevano le macchine arrivare ad una velocità massima che fosse venti chilometri in meno del valore più alto indicato nel tachimetro. Ancora adesso se penso ad un modello comune degli anni settanta ottanta so ricordare con sicurezza la forma e l'ultimo numero riportato sul quadrante. 500 l tachimetro rettangolare indicante 130. Nuova cinquecento tachimetro tondo indicante 120... e da qui potrei continuare per pagine fino ad arrivare all'Alfetta di mio suocero che porta scritto 220. "Ah... è un peccato, è una gran bella macchina" sinceramente sono piuttosto sorpreso e mi verrebbe da dirgli, sei il solito coglione e non capisci nulla nemmeno di automobili malgrado posi le chiappe sulla Porsche tutti i giorni. "Però Federico, perdona questa mia stranezza, ma mi piacerebbe riportarla al concessionario dove la comprai..."gli è dato di volta il cervello al Piero. "Non so è come se volessi che la vecchia tornasse a casa sua in Versilia…"la cosa strana è che non capisco il motivo per cui il suocero se ne voglia disfare... "Ti starai domandando perché ho deciso di venderla" o il vecchio mi sta leggendo nel pensiero accidenti... ma è una lettura facile: che senso ha disfarsi di un'auto dopo averla tenuta con accortezze che nemmeno ha avuto per la figlia per più di trent’anni? "No, ci mancherebbe, sono affari suoi, è solo che è un peccato" questo vuole attaccare bottone. "Sai Federico, giorni fa sono venuto a sapere che una vecchia amica è venuta a mancare e beh spero che terrai per te questa cosa... ma l'auto me la ricorda molto e preferisco pensarmi con lei su quell'auto, mentre vaghiamo per le stradine interne del Cinquale, che vedere l'auto vuota in garage o fra le curve della Cisa mentre la guido da solo…" è persino commuovente, se non fosse che è un pezzo di merda di dimensioni galattiche. "Capisco, capisco, non si preoccupi"...figuriamoci se mi va di sputtanare mio suocero con la figlia, ci manca solo che si mettano a litigare il Piero e la Chiara per una sciocchezza di 30 anni fa. "Volevo solo chiederti se puoi andare tu che hai un po’ più di tempo libero giù a Massa al concessionario Alfa Romeo". Tanto come dire: “vacci tu che non hai un cavolo da fare”. "Si, vediamo, cercherò di trovare un pomeriggio, ma è sicuro che la ritirino in conto vendita?" "No Federico, sono già d’accordo con il proprietario della concessionaria, me la scontano con un'Alfa 159 sw… comunque sia un'alfa nel garage ci vuole, vero Federico?"...e figuriamoci come si può dormire senza un'Alfa nel garage, come sarebbe possibile? Pezzo di idiota che non sei altro. "Beh, in effetti anche a me piacciono molto, purtroppo delle vecchie Alfa c'è ben poco." e questo tanto per fargli capire il mio alfapensiero in antitesi con il suo. Sono dentro l'Alfetta, c'è una specie di odore di nuovo, ma è un odore che mi riporta indietro nel tempo quando con i miei zii e cugina facemmo una vacanza in Sardegna con la Giulia di mio zio. Ovviamente la vecchia Alfetta nella Cisa si disimpegna ancora bene. Ho acceso l'autoradio e ruotando la manopola (anche la radio è rigorosamente d'epoca) invece che i Led Zeppelin, ascolto John Legend che crea una sorta di anacronismo musicale, ma non è un film, siamo nel 2007. Dopo un'oretta di viaggio arrivo a Massa e la strada è facile visto che lo storico concessionario è sull'Aurelia. L'Alfapuana è di medio grandi dimensioni soprattutto per non essere un concessionario di autovetture della Padana, dove le dimensioni sono sempre allargate rispetto a Liguria e Toscana o Versilia. Parcheggio fuori l'Alfetta. Entro e dopo poco mi viene incontro un signore vestito con giacca e cravatta. L'aria condizionata è a temperatura da banco frigo dell'Ipercoop, io sono sudato e indosso una polo blu e dei bermuda, ai piedi delle Tiger scassate. Al polso però il Rolex che si vede essere vero, per cui l'abile venditore mi cataloga sicuramente come possibile compratore. "Buona sera, ha bisogno?"…stranamente non ha l'accento toscano, per ora almeno. "Buona sera mi chiamo Federico Conti e ho portato quell'Alfetta lì fuori" indico in direzione della vecchia auto. "Dovevo ritirare una 159 station, mio suocero aveva parlato con il signorrrr..."e come diavolo si chiama boh. "Ah, si... si accomodi". Mi precede e mi apre una porta di un ufficio a vetri con vista panoramica sul parco auto che fa bella mostra nello show room.. "Mi scusi un attimo, intanto che sbrighiamo le formalità di rito chiamo il capo officina per prendere l'Alfetta" indica con il dito verso l'auto parcheggiata fuori e comincia a picchiettare sulla tastiera del telefono, mette il vivavoce… "Officina" risponde una voce femminile. "Rita, c'è Bertoneri?" il modo con il quale si rivolge alla collega mi fa pensare ad una certa intimità, per un attimo vedo questo venditore con giacca e cravatta e pantaloni abbassati , accartocciati sulle scarpe che, tenendo le caviglie di una Rita come sulle staffe del ginecologo, ansima con la paura che entri un cliente o il proprietario della concessionaria... "Era con un cliente, prova sul cordless, ciao"…anche questo ciao non fa altro che confermare il mio sospetto della tresca fra i due, penso per un attimo che o delle fantasie deviate. Il venditore riaggancia e ricompone il numero, io distratto guardo l'arredamento di questa gabbia da animale venditore, ci sono delle foto di auto nuove e qualche poster di campagna pubblicitaria che regala tagliandi a prezzi stracciati secondo il costruttore. A differenza di quando ci si reca da un concessionario per mostrare la propria auto usata, sono tranquillo, la transazione è già avvenuta. I venditori di auto sono una categoria particolare, direi secondi come antipatia solo agli informatori scientifici che quando ti trovi nella sala d'aspetto del tuo medico, con una freddezza da cardiochirurgo, passano davanti a bambini, donne incinta e vecchi ingolfati di tosse. La cosa migliore è comprare l'auto senza avere un usato da scontare; in quel caso tieni il coltello dalla parte del manico e in teoria hai qualche carta in più da giocarti con il venditore. Questi cercherà di farti capire che il modello che vuoi acquistare è quello che sta andando per la maggiore, in modo tale da ridurre al minimo un eventuale sconto sul prezzo di listino. Se i tempi di consegna del modello sono risaputamente biblici ti farà credere che ha la possibilità di rendere più breve l’attesa, quasi godesse del fatto che tu, bastardo pieno di soldi e senza usato, dovrai aspettare lo stesso come gli operai dell'arsenale militare, o che sarà lui e solo lui, se gli sei simpatico, a decidere quando avrai la sospirata vettura. Il dramma è quando arrivi con l'usato. La tua auto usata non vale niente, tu devi uscire dal rivenditore convinto di avere una vasca da bagno su quattro ruote e quella è la sua ragione di vita di venditore: scontare ad un prezzo basso la tua auto usata. Se possiedi un diesel lui ti guarda e ti dice che in effetti il benzina è più facile da piazzare, se hai un benzina ovviamente la richiesta del mercato adesso è rivolta più che altro ai modelli diesel; se l'auto è iperaccessoriata nell'usato contano poco gli accessori. Se non hai il climatizzatore ti ride in faccia. Se hai i cerchi in lega: si, sono belli, però a tanti non piacciono. Se per caso ha dei segni o “diononvoglia” un colpetto da qualche parte, il venditore allarga le braccia indicando a mano aperta il punto dove dovranno essere fatte riparazioni e verniciature. Mentre penso a queste cose il venditore compone un altro numero dopo che il cordless del fantomatico Bertoneri aveva suonato a vuoto" "O Rita! Ma Bertoneri non risponde, l'hai mica visto?" a questo punto c'è un aggiornamento sulla storia rita-venditore: o la storia dura da anni o c'è una certa acredine fra di loro Probabilmente, visto che è troppo precisino per fare il tombeur de femme, la Rita , grande figa (da verificare), non gli ha concesso le sue grazie… o magari le ha concesse al meccanico più giovane… o che ne abbia beneficiato il famoso Bertoneri? "Si, stava con un cliente e… "la interrompe maleducatamente, non l'ha nemmeno mai sfiorata… anzi il venditore è per caso misogino?. "Si, me lo hai già detto prima" il ph scende vertiginosamente, ora è acido. "Io qui ho un cliente che deve ritirare un nuovo, però volevo che Bertoneri vedesse l'usato..."non riesco tanto a capire che cosa debba vedere se la transazione l'ha già fatta a distanza mio suocero. Probabilmente gliel'hanno scontata pochissimo, ma il venditore continua a comportarsi da venditore e ignora probabilmente che a mio suocero non gliene importa un beato nulla e che potrebbe comprarsi l'intero concessionario con Bertoneri, la Rita e ‘sto stronzo di venditore compresi nel prezzo. "Senti Sergio, prova sul cellulare, nel frattempo se lo vedo te lo mando". Il Sergio incravattato e leggermente sudato malgrado l'aria polare, ricompone un altro numero. Giocherella con un portachiavi. Ha le mani curate, la fede e un Rolex Submariner al polso. Dopo aver visto che il Sergio è sposato mi immagino una donna dal nome Rita che passa ore ad aspettare un sms o qualcuno che la porti via da quello squallore professionale dove si trova invischiata fino al collo. “Eccolo"...dal vetro vedo arrivare un tipo tarchiato. O la Rita è ninfomane o il Bertoneri, supposto sia quello che sta arrivando, non se l’è scopata. "Venga. Ecco il capo officina"…ci alziamo e andiamo fuori davanti all'Alfetta. "Questo è il nostro capo officina, lui è il signor Manfredi"…ovviamente mi chiama con il cognome di mio suocero. "Salve Federico Conti" "Manfredi è mio suocero"…rivolgendomi al Sergio Rolex e cravatta "Ah si giusto me lo aveva detto il signor Neri"…presumo che Neri sia il proprietario, ecco come si chiamava... ovviamente della proprietà non c'è nessun segno in concessionaria. Non si sporcano le mani con le vendite. Il Bertoneri si presenta con abiti direi quasi civili, per essere un capo officina, mani pulite, ma che in passato hanno lavorato sui motori, un giubbotto senza maniche con il logo Alfa Romeo sopra una polo grigia... forse che abbia freddo??? I capelli sono brizzolati, l'età verosimilmente appena sotto i cinquanta, l'occhio appuntito, ma con un'espressione leggermente strabica ed asimmetrica che gli conferisce uno sguardo caprino. Mentre è li che osserva me e l'Alfetta non capisco se è scemo o se mi prende per il culo. Esattamente come potrebbe fare una capra dotata di senso dell'humour. "Spostala da qui, magari dacci un'occhiata, poi mi dici". Sergio si rivolge al Bertoneri come se fosse un sottoposto, ma io ho capito, in un quarto d'ora, che all'interno della concessionaria il Bertoneri riveste un ruolo di primo piano. Il capo officina sale sull'Alfetta e parte non sgommando ma abbastanza velocemente. Io rivolgo uno sguardo interrogativo al venditore Sergio, come per chiedere “ e dove se ne va il buon Bertoneri con l'Alfetta?” il venditore, in un lampo di acume intellettivo, capisce la mia espressione e mi dice: "l'auto la porta su in officina"...su perché c'è una rampa che conduce al piano di sopra del capannone, se nonché il capo officina farà qualche giro intorno al concessionario per testare l'efficienza dell'Alfa anni settanta. “Mi ricordo che, io ero un ragazzetto, l'Alfetta era una specie di mito, ce l'avevano i medici , i manager, e gli attori famosi" Sergio fa una specie di riflessione a voce alta. Non so perché ma all'improvviso mi ricordo che Nino Castelnuovo in uno sceneggiato degli anni settanta guida un'Alfetta con dei doppi fari strani, mi pare fosse "Ritratto di donna velata", che riempiva di terrore parecchie mie serate. Passa solo un minuto e riappare la mitica macchina ormai d'epoca e si ferma davanti a noi. Scende il Bertoneri. "Mmm... il motore è a bosto, il gambio è in gondizioni bbietose". Nella mia mente la fonetica dell'accento massesse doc mi fa venire in mente boston, gambia, gondone e bietola. La capra travestita da meccanico in poco tempo ha sintetizzato quello che avevo verificato durante il tragitto Fornovo-Massa. Il motore girava bene, ma tra la terza e la seconda bisognava fare la mitica doppietta. Il cambio era come dire morbido, ma ogni tanto grattava in modo imbarazzante. 1 "Si, me ne sono accorto pure io, però se si pensa che ha trent’anni tutto sommato si guida ancora bene"…esprimo le mie impressioni di guida al Bertoneri e al Sergio Rolex. "Si, berò se si va indorno al gambio son grane serie… boi non si trovano i riggambi"… sentenzia il Bertoneri. "Va bene non c'è alcun problema, poi vediamo cosa possiamo fare" Sergio Rolex mi indica di entrare di nuovo nel suo tempio. Il capo officina risale sull'Alfetta e parte per l'officina. Mentre entro di nuovo nel concessionario, seguito a ruota da Sergio, mi soffermo a guardare alcune vetture in esposizione che prima non avevo avuto neppure il tempo di notare. C'è una Brera rossa con quattro scarichi che davvero fa un egregia figura, poco più in là un duetto ultimo tipo nero con interni in pelle rossa. Mi viene un'idea balzana. Io e il Piero non è che abbiano tanti punti di possibile sintonizzazione, però se si parla di belle auto ogni tanto c'è una parvenza di dialogo. Lo chiamo al cell. "Si?" "Buona sera sono Federico" "Ah ciao… non mi dire che c'è qualche problema?"…non sembra comunque preoccupato, se non divertito. "No, non si preoccupi, a parte un curioso meccanico dovrebbe filare tutto liscio"…incalzo senza farlo ribattere. "Scusi Piero, sono qui nel salone e c'è una pazzesca Alfa Brera rossa... e vicino una strepitosa spiderina nera… mi chiedevo se per la gita della domenica o per avere un'Alfa in casa non le piacerebbe una di queste al posto della station..." a mio suocero le pazzie da ricco viziato piacciono da morire. "Ma la station non è già immatricolata?"…dalla domanda capisco chiaramente che la mia proposta è allettante per lui. "Senta Piero, vedo un po’ cosa si può fare... poi le so dire" "Bravo Federico, in effetti anche mia moglie odia le giardinette"... "A dopo, salve" chiudo la comunicazione.... Due ore dopo sono fermo a Tugo est, dopo aver parcheggiato la Brera rossa con targa prova davanti all'autogrill... Mi guardo bene i quattro scarichi cromati e penso che da bambino, oltre ai tachimetri, mi piacevano le auto con più di una marmitta… eh si le chiamavamo marmitte… adesso sono scarichi, del resto anche le figlie le chiamiamo Rebecca, Vanessa e Giorgia… mica Loredana, Patrizia o Marisa. La parlata degli abitanti di Massa e comunque della zona compresa tra Massa e Querceta, è molto particolare, la fonetica è pressoché impossibile da ridurre in regole, per quanto il buon Edoardo Nesi, scrittore di Prato, la teorizzi quasi alla perfezione nel suo romanzo "Fughe da fermo". Per il popolo basti pensare alla parlata della macchietta proposta spesso in tv da Panariello "Mario il bagnino". Anche su wikipedia si trova un esaustivo dizionario e un accenno di regola della pronuncia di tale dialetto, che non va assolutamente confuso con il carrarino o carrarese che dir si voglia. Per quello strano dialetto e per farsene un’idea potrete leggere la traduzione del king lear ad opera del compianto Cesare Vico Lodovici, un letterato nativo di carrara , purtroppo misconosciuto anche dai suoi concittadini, o almeno non famoso quanto meriterebbe a mio parere, il quale osa tradurre un breve passo (atto quarto sesta scena pag.103 nell’edizione einaudi) usando un purissimo dialetto di Carrara al posto del dialetto del Somershet Shire usato da Shakespeare. La mia modestissima impressione è che il Cesare Vico Lodovici a volte esageri un po’ nella traduzione del minimale inglese, però se devo essere sincero dopo aver letto Shakespeare tradotto da lui, le altre sembrano un po’ troppo secche, insomma un po’ la differenza che c’è tra ascoltare un vinile con una puntina Ortofon e un cd con un lettore della Sony. 1 Capitolo 25. La villa del Fugazza. Incontro. Lunedì 13 agosto. Ufficio. Ore 11,45 Sono uno dei pochi di tutto il palazzo che non fa il ponte di ferragosto. Chiara e i bimbi sono a Tellaro nella residenza estiva del signor suocero. In realtà, una delle residenze estive, perché i vecchi vanno nella villa di Forte dei Marmi. Chiara, essendo stata contaminata dalla mia spezzinità, ha preferito optare per un immobile che i signori suoceri non consideravano abbastanza mondano e tenevano solo per qualche sortita nei week end di mite inverno, quando il Forte non è poi così chic se non per lo shopping domenicale. Anche quando vanno a passare il fine settimana a Tellaro, una puntata da Gucci al Forte per “smerigliare” la carta di credito, la suocera, la vuole sempre fare. In casa a Varano, a parte l’aria condizionata che gira ventiquattrore su ventiquattro, c’è Lidia, che mi fa l’ordinaria amministrazione, e Savoiardo che sovrintende alla sicurezza. gli manca solo la coda (intesa come quella del primo Fiorello, perché la coda sopra il sedere ce l’ha) l’abito elegante e l’auricolare, poi sarebbe un perfetto body guard anche per un parlamentare di Roma. Se devo essere sincero Lidia l’ho tenuta più per badare a Savoiardo che per altro. Anche perché pare fra i due ci sia un certo feeling. Probabilmente lei gli allunga sempre generose porzioni di qualche cosa. Che sia una zoofila vorrei scartarlo. E poi che il cane si diverta come vuole e la Lidia pure. Ho bisogno di un po’ di tranquillità per riordinare le idee e coordinare alcune cose per il nostro progetto. Il Giuli si è giocato quasi tutte le ferie alla Feltrinelli quando non riusciva neppure ad uscire di casa senza rischiare di cascare diretto dentro ai navigli tanto era ubriaco. La cosa ha finito per rallentare i nostri progetti e la possibilità di incontrarci tutti insieme. Ma poi tutti chi? Paola per adesso si tiene ben fuori da questa cosa, io spero solo di farla venire all’appuntamento con il Fugazza, Giovanni è rientrato dalle ferie e sta lavorando per predisporre le nostre future comunicazioni in modo anonimo. Ritornando al Giuli, la Vanessa rientrata da Fuerte Ventura o da dove fosse, l’ha trascinato a villa Albertina per un tagliando generale e siccome ai dottori Giuliano è sembrato un personaggio interessante ancora oggi se lo tengono, come dicono loro, in osservazione. Spero che lo dimettano o gli diano qualche giorno di libera uscita per ferragosto. Il Fugazza lo sto per chiamare adesso. Tutte le volte che telefono devo sempre avere in mano una penna che servirà per eventuali appunti, visto che ho una memoria volatile come la ram dei pc, o comunque sia mi servirà per fare degli strani disegni geometrici che scarabocchio ogni qualvolta la conversazione diventa un po’ più lunga ed impegnativa del solito. Rubrica del cell. Fugazza. Sto pensando che sarà opportuno eliminare dalla rubrica i numeri degli altri componenti del progetto, ma allo stesso modo, mentre lo sto pensando, so già che tutto verrà registrato e quindi se faranno i collegamenti fra le nostre persone, già questa telefonata sarà di troppo. È l’ultima volta che lo chiamo. Squilla. “Si?” “Salve sono Federico Conti”qualche secondo di silenzio come se il Fugazza non si ricordasse. “L’amico di Paola Di Giannantonio” rilancio per aiutarlo. “Si certo, salve” “Eravamo d’accordo che ci saremo risentiti prima del quindici” “Si certo”… e basta! Mi sono stancato del telegrafo. “Quando pensa ci potremo vedere? ...ingegnere” il titolo lo metto dopo un po’ di silenzio per far capire una certa insofferenza per il suo modo di fare, sperando che diventi leggermente più loquace. “Fra due venerdì per me sarebbe perfetto, ne abbiamo ventiquattro” “Bene, verrò con due amici… fidàti” “Senta poi Paola, così vi spiega come fare per raggiungere la villa, purtroppo ci vedremo dopo cena, la cuoca è in ferie e non ho tempo per organizzare…” “Va benissimo, non si preoccupi, avrei piacere venisse anche Paola se non è un problema per lei, così ci accompagnerà lei” sto cercando di restare serio, ma rischio di scoppiare a ridere nella cornetta se penso alla cuoca del Fugazza. Anche perché so benissimo che la cuoca se ne è andata via quando sua moglie lo ha scaricato. E ora come ora il Fugazza non credo che abbia nemmeno la liquidità per permettersela e immagino che pranzi con una “bonduelle agita e gusta” e ceni con dei tramezzini di quelli che si trovano nei banchi frigo dei supermercati a coppie di due con i gamberetti e la salsa rosa. “Per me non ci sono problemi, Paola è una persona che stimo molto”. “Allora d’accordo ci vediamo venerdì ventiquattro verso le dieci da lei” “Perfetto, a presto e buona giornata” “Ah… ingegnere, preferirei che ci mantenessimo in contatto via e-mail se per lei non è un problema” “Assolutamente no, mi pare che dovrebbe già avergliela data Paola, dico bene?” “Si, va bene se scrivo su fsfugazzachiocciolaliberopuntoit?” “E’ quella, usi pure quella, a presto e buona giornata” “Buona giornata anche a lei”. L’ingegnere si sta davvero rivelando un buontempone, risponde pressoché a monosillabi, ma avevo pochi dubbi a riguardo, dopo averne sentito parlare per anni. Chiamo Giovanni. “Giovi, sono Fede” “Si ho visto, dimmi” rumori di stampanti in sottofondo e ronzio da ced aziendale. “Ho sentito il Fugazza, ha fissato per… scusa mi dai un indirizzo e-mail tranquillo?” “A proposito ti devo aggiornare sulla situazione… senti puoi accedere alle chat da li?” “No, c’è un firewall piuttosto di manica stretta… niente sessioni in sincrono e niente siti strani… ultimamente anche youtube è nella lista nera per farti capire…” “Hai il portatile?” “Si, però non so se… boh provo a vedere se si aggancia a qualche wireless libera” “Ecco bravo perfetto, senti ci vediamo su kwchat fra cinque minuti, il mio nick è maialone” “Ahahahahah geniale… geniale” “Cerca di non prendere per il culo poi ti spiego, se non riesci richiamami” “Ok provo” Apro il notebook e nelle connessioni wireless ce ne sono un paio libere e per fortuna sono subito connesso. Entro in chat come guest così non perdo neppure tempo a registrarmi. Stanza di benvenuto, ci sono circa una ventina di nickname collegati. Clicco su maialone per una sessione in privato. Guest130825>maialone mmm..bel maiaolone leccami tutta Maialone>guest130825 fede? Guest130825>maialone E chi vuoi che lo clicchi un maialone a mezzogiorno del 13 agosto? Maialone>guest130825 bravo coglione sei d buon umore oggi eh? Guest130825>maialone Ciao tutto bene? Maialone>guest130825 Si certo, allora le email nn sono affatto sicure, ho pensato che quadno nn c si vede d persona c si trova in chat, ma a parte oggi non c si può dare appuntamento x telefono altrimenti nn serve a un cazzo. C daremo degli appuntamenti fissi sempre in chat, ho sentito alcuni amici hacker e pare che i tracciati rimangano sui server x un po’ ma è una jungla, è sicura..troppo casino x fare controlli. Guest130825>maialone Perfetto, allora ti dicevo che dal fugazza ci andiamo il venerdì ventiquattro, la sera dopocena. Maialone>guest130825 A roma? Guest130825>maialone Si certo andiamo io e te e il giuli e passiamo a prendere paola che ci farà strada Maialone>guest130825 Come sta il giuli? Guest130825>maialone Meglio , fra qualche giorno credo sia pronto per rientrare a servizio Maialone>guest130825 E paola? Sicuro che voglia partecipare? Guest130825>maialone A cosa? Maialone>guest130825 No dico, sicuro che viene anche lei il 24? Guest130825>maialone Non gliel’ho ancora detto Maialone>guest130825 Ah beh…. Guest130825>maialone Senti ti mando via email, gli indirizzi di tutti, vorrei che potessi controllare le caselle…. Maialone>guest130825 Uh alla faccia della privacy..ma che bastardo Guest130825>maialone Diciamo che mi interessa che controlli il fugazza le altre non importa Maialone>guest130825 Vediamo cosa posso fare…. Guest130825>maialone HYPERLINK "mailto:[email protected]"[email protected] che fantasia vero? Maialone>guest130825 Speriamo che nn l’abbia usata tutta x la password..la fantasia Guest130825>maialone Ok, senti giov ci sentiamo in serata o doman mattina, io ci sono Maialone>guest130825 Pure io, pensa che anche il 15 notte devo passare x controllare alcune cose… Guest130825>maialone Sarai iperpagato Maialone>guest130825 Piciu dun piciu…ipopagato sono Guest130825>maialone Ok a presto Maialone>guest130825 Ciau Guest130825>maialone Ciao Capitolo 26. Alla villa. 24 agosto ore 15.00 Sono appena uscito dall’ufficio del palazzo provinciale. Fuori mi aspettano Giovanni e Giuliano. Il Giuli sta meglio, ma dopo il problema di luglio non è ancora rientrato alla Feltrinelli. Ha avuto giusto il tempo di prendere i libri che ci servivano e che più o meno in qualche giorno abbiamo letto tutti. Paola e il Fugazza se lo sono comprati a loro spese. Parlo di uno solo perché per avere un quadro abbastanza aggiornato sul processo e su tutta la cronistoria degli eventi ad esso legati abbiamo comunemente ritenuto che il libro “Rimini 2 luglio 1980. L’altra strage” fosse davvero superlativo. Lo ha scritto un giornalista dell’Espresso tal Renzo Rocca. Avevamo pensato pure di intervistarlo, ma ci è sembrato stupido intervistare un giornalista. Ci limiteremo a dei semplici colloqui con le persone che ci interessano: i cameraman del filmato trasmesso su hc, il presidente dell’associazione familiari e beh, dopo aver letto il libro, mi sembra chiaro che dovremo incontrare anche i due condannati e soprattutto il faccendiere, Alberto Costanza. Solo pronunciare il nome fa venire i brividi. Fortuna vuole che, se non erro, sia nato o comunque viva nelle vicinanze di Spezia e giuro di ricordare una frase di mio padre che diceva di averlo visto al bar e lo aveva salutato, devono essere della medesima leva, credo fossero a scuola insieme. Sarà più probabile raggiungerlo tramite il Fugazza. Non credo si ricordi di mio padre se dovesse contattarlo e dubito fortemente ci sia il suo numero di telefono sull’elenco. Ovviamente il Costanza non potrà dirci nulla di quello che già non è stato scritto sul libro. Ma io ho bisogno solo di una risposta di due lettere da lui. Entro in auto, l’Astra station di Giovanni, tanto per avere quell’aria da sfigati quali del resto siamo. C’è pure l’aria condizionata accesa. Adesso dovrò cominciare a finanziare l’operazione: un paio di bonifici dal “conto moglie spese voluttuarie” al mio li ho già fatti, solo qualche migliaia di euro che serviranno per le piccole spese, quali questa trasferta romana. “Buon giorno ragazzi” abbiamo il Giuli al posto del morto con occhiale a specchio, Giovi alla guida. Il Giuli non proferisce verbo ma si limita ad alzare il capo in segno di saluto. “Ciao ragioniere” “Con questo cassone del cazzo quante ore ci mettiamo ad arrivare a Roma?” “Non rompere i coglioni, potevamo prendere la tua bellissima e ipertrofica Bmw” “Si, poi dovevamo parcheggiare questa in zona periferica, che tu non hai il pass di Parma, scendere e prendere la mia, e magari si svegliava pure Giuliano nel frattempo” “Hihihhi non sto dormendo, ma mi devo immedesimare nella parte di agente speciale” “A parte che con quell’occhiale e con la barba di due giorni sembri uno della digos, comunque ricordati che noi dobbiamo fare degli studi e al massimo scrivere qualcosa a riguardo…” “…Del cazzo….” il Giuli è di buonumore. “Vabbè Giovi metti su qualcosa e partiamo, sarà meglio mangiare qualcosa in un grill perché il Fugazza pare stasera non abbia la cuoca… ahahahah” “E la tua amica Paola?”…il Giovi domanda non tanto perché sia interessato al gentil sesso in questa occasione, ma temo non sia sicuro di arrivare in orario con la bagnarola dell’Opel. “Vero, e la Paola?” “O che cazzo avete da rompere con Paola, fra un po’ la chiamo” aggiungo poi…. “Che poi mica cucina lei, beh che era abituata a fargli anche il caffè all’ingegnere quand’era in ufficio, però non sono nemmeno sicuro che stasera venga. Ore 18 autogrill a1 Chianti ovest. Parcheggiamo all’ombra, casualmente scendiamo sincronizzati. Sembriamo davvero tre della digos. “Si, ma stiamo cinque minuti sennò a che cazzo di ora ci arriviamo dal Fugazza?” “Fede, hai rotto il cazzo… ora poi ti faccio vedere quanto tempo ci metto ad arrivare a Roma” Entriamo nel solito frigo per esseri umani. Fortuna che il condizionatore della Opel è efficace. Solo quei venti metri di asfalto a quaranta gradi non sono sufficienti per farci sudare. “Caffè?”…Giuliano mette mano al portafoglio e si avvia alla cassa. Agli autogrill c’è sempre un formicaio di gente a qualsiasi ora di qualsiasi giorno, per fortuna abbiamo evitato i pullman. Non ce ne è traccia. Solita abitudine a vedere tante facce sconosciute. L’unica occasione in cui entrando al grill sembra di essere ad un bar di quartiere è quando si va in trasferta a vedere lo Spezia, allora di sicuro in qualsiasi autogrill e a qualsiasi ora tu percorra la tratta “Spezia-luogo dove si giocherà la partita”, incontrerai sempre qualcuno conosciuto e anche qualcuno che non avevi mai visto in una città di nemmeno centomila abitanti con una maglia bianca scudettata o con la sciarpa delle “aquile” al collo. Non si sa bene perché i tifosi siano dei fanatici dei grill. Una volta si rubava parecchio, ma succedeva nelle trasferte in pullman, ma anche chi se ne va beato e con la propria auto malgrado il tragitto possa essere di soli centocinquanta chilometri si fermerà sempre e misteriosamente ad un famigerato di autogrill. Entriamo in auto. “Adesso vi faccio vedere quanto ci metto ad arrivare a Roma. E che cazzo povera astra è sempre turbo diesel in fondo.” “Eh si Giovi, davvero un bel ferro… me la fai provare qualche volta? Però a Varano perché sai… fuori ho timore delle prestazioni…” “Ma quante volte ti ho già mandato a cagare oggi Fede?” “In effetti…” “Marcane un’altra. Andate a cagare tu la tua Bmw e la Porsche di tuo suocero” in realtà Giovanni sghignazza e tutti questi sfottò sono segno di grande euforia per la serata in villa. Ore 20.00 Chiamo Paola. Squilla il cell. “Si” “Ciaoooo” “Ciao, dove siete?” “Intanto è un miracolo che siamo vivi visto che qui abbiamo Nelson Piquet alla guida di una tinozza senza nemmeno l’eèseppì…” “Si vabbè, dove siete?” “Oè, simpaticona, siamo appena entrati nel raccordo anulare” i deficienti intonano la canzone di Guzzanti e non la smettono. “Non sento niente avete la radio a palla” “Noooo, magari! Sono sti due tanacca…” “Due che?” Il tanacca è un pesce che in senso figurativo si usa per apostrofare persone non proprio brillanti, a me piace pensarlo scritto alla giapponese “tanaka”, mi son sempre chiesto se dipenda dalla scena di Kill Bill vol.II, se non erro, dove Lucy Liu taglia la testa a tal Tanaka durante una riunione, dove il tipo fa a dir poco la figura del tanacca pesce. “Niente Paola, lascia perdere i tanaka, dove usciamo?” “Uscite sull’Appia ci vediamo sotto il raccordo, appena scesi vi fermate. Ho una punto blu, sarò li verso le 21.” “Ma che numero è l’uscita?” “Non importa c’è scritto Appia” “Ok siamo lì fra… cioè dimmelo tu” “Fra venti minuti credo boh… si ma prendete il verso giusto altrimenti fate notte” “Ok, a dopo ciao” “Raga, siamo addirittura in anticipo…” si leva un coro di improperi. La punto blu arriva, siamo scesi da circa venti minuti dall’auto, comincia ad essere buio. Ci siamo già fumati qualche sigaretta e abbiamo fatto qualche commento riguardo al clima di Roma. Sostanzialmente c’è poco da dire, c’è un caldo equatoriale. Ma la serata è davvero piacevole. Scende Paola, che non ho mai visto dal vivo. L’ho vista solo in foto e cam. È alta, ha dei sandali non male, jeans attillati e una maglia bianca scollata che lascia intravedere qualcosa di …grosso. I capelli sono voluminosi e scuri. Lineamenti duri. Ma il sorriso li rende molto piacevoli. Ci abbracciamo. E lei stringe la mano molto formale ai miei amici. Decidiamo per proseguire con la station e di parcheggiare appena possibile la sua punto. Dopo qualche indicazioni il buon Giovanni, devo dire fino ad ora autista impeccabile, imbocca il viale dove ci sono una serie di villette a schiera, sembra un po’ la classica strada dei quartieri residenziali delle città americane. Arriviamo davanti ad una casa a due piani, sul bianco, davanti il solito giardinetto e davanti al garage la s500. Sembra perfino fuori luogo un’auto così grande per questo genere di case. Parcheggiamo nella strada davanti al praticello. A piedi ci dirigiamo verso l’ingresso io e Paola davanti e gli altri due dietro. La porta si apre senza dover suonare e ci troviamo davanti finalmente il mitico Fugazza, anche lui l’ho visto solo in foto. Veste uno spezzato giacca blu, pantaloni grigi, sembra un ministro malgrado l’assenza della cravatta. In casa propria non ci si veste così neppure per il funeral party della moglie che presumo adesso il Sergio vorrebbe avere presenziato, visto gli splendidi rapporti in cui sono lui e sua la signora. Presentazioni di rito. La casa è bella. Molto minimal, non per scelta architettonica ma per il fatto che la zoccola pare si sia portata via quasi tutto il mobilio, malgrado ciò con qualche pezzo al punto giusto il Fugazza, o chi per lui, è riuscito a dare un‘impronta di arredo stilistico. Ci fa strada verso il giardino nel retro che da su una piscina nemmeno tanto piccola illuminata, tutto il giardino è davvero curato in modo professionale e ci sono diverse piante pregiate. È strano considerando la disgrazia in cui è caduto il nostro manager, ma l’aneddoto pare sia questo: il giardiniere della zona tal Vladimiro, sposato con prole, ha una tresca con una rumena che fa servizio in zona e aveva bisogno di una garconniere. Visto che il Fugazza è sempre fuori casa , ultimamente per colloqui più che per lavoro, pare che ci sia stato una specie di baratto: il Vladimiro gli tiene il giardino a posto e lui gli lascia le chiavi per quando vuole fare le sue porcate con la bionda dell’est. Le malelingue, visto che questa storia ha fatto il giro della Tecnoimpianti, dicono che l’ingegnere sia talmente pervertito che faccia il guardone del giardiniere, non mentre pota le piante ovviamente. Ma Paola mi ha assicurato che non è il tipo e, malgrado io lo conosca così poco, non ce lo vedo proprio mentre spia da dietro una pachira l’amplesso dell’artigiano del verde. Intorno alla piscina ci sono degli arredi da giardino: tavolo sedie e sdraio. Su di un carrello qualcuno, ma forse lo stesso Fugazza, che ha un’aria da vero barman anni settanta, ha posto e preparato bicchieri e quanto necessario per un cocktail post cena; ci offre dei margherita egregiamente preparati con quel sale nel bordo del bicchiere che fa bruciare il giusto le labbra arse dalla canicola di fine estate romana. C’è anche una caraffa con, un cocktail alla frutta forse analcolico. Siamo seduti in modo sparso, il Fugazza è sull’orlo di una di quelle sdraie da amplesso “film porno americano bordo piscina casa Los Angeles”, e devo dire che il contesto è talmente “deromanizzato” che non si potrebbe davvero dire dove ci si trovi o che siamo a pochi chilometri dal cupolone. L’umidità mi pare degna della California del sud. Il Giuli ha già bevuto mezzo margherita e siamo ancora ai convenevoli, io siedo vicino a Paola. “Bello il giardino e anche la piscina, insomma rispetto al vialetto si fa un bel salto in un contesto molto tropicale” mentre lo dico mi viene in mente il video Club Tropicana degli Wham. Però non c’è la poltrona materassino in piscina e mentre sono assorto nei miei pensieri in un altro flashback cinematografico il geniale Mike Nichols mi riporta sottacqua con maschera e pinne insieme a Dustin Hoffmann che sente le voci ovattate dei suoi familiari. “Si, per quanto a Roma ci sia tanto verde, mi piaceva averne un po’ di privato. La piscina in realtà non è solo uno sfizio ma si usa parecchio”. “Ci credo, immagino che per andare al mare, visto il traffico, ci voglia sempre un po’ di tempo.” “Si, infatti anche con Maurizio talvolta desistiamo e facciamo un giro ai castelli, oppure se andiamo ci spostiamo verso Sabaudia, Ostia e Fregene sono impraticabili” esordisce Paola con informazioni che io conosco già benissimo. So anche che talvolta vanno al bagno Lilandà verso il Circeo. Sorrido. Sorride anche lei perché non può sorprendermi con nulla. “Dunque, come posso esservi di aiuto? Mi ha detto Paola che avete un progetto, volete scrivere una sorta di resoconto… ”. Non so perché ma negli ultimi giorni siamo diventati un pool di scrittori che vogliono redigere una sorta di resoconto a copia di quello del giornalista dell’espresso, cosa che avrebbe davvero poco senso. Ma è bene cavalcare l’idea in questa fase, ci da quella libertà di movimento che non avevamo neppure sperato. Il mio desiderio sarebbe che Giovanni partecipasse più attivamente alla discussione, ma è troppo abituato a lavorare con macchine e a scrivere al pc per trovarsi a proprio agio con degli sconosciuti. Giuliano è già sdraiato nella poltrona materassino del video degli Wham. Anzi, sono persuaso che sia, in questo momento, George Michael impersonificato. “Beh, per adesso non sappiamo ancora bene che cosa riusciremo a scrivere, ci sarebbero di aiuto alcune interviste, però se devo essere franco noi non siamo giornalisti e come scrittori avremo poco credito dalle persone che ci interesserebbe incontrare.” “Mah, io non sono inserito nell’ambiente dell’informazione in senso stretto, si, conosco alcuni giornalisti della carta stampata e qualcuno della tv, però… non so dipende da chi volete…” “Guardi ingegnere, la persona che ci interesserebbe incontrare è paradossalmente vicino a casa nostra come geografia, però so che si è sempre mosso in ambienti per così dire particolari, non so se ha presente Alberto Costanza?”. “Si certo, l’ho pure incontrato diverse volte ad alcune feste della Roma bene, quando le frequentavo, me l’hanno pure presentato, è un massone ovviamente. Purtroppo per voi e forse anche per me io non faccio parte di nessuna associazione di quel tipo, frequentavo il Rotary e ne faccio ancora parte, il presidente dell’azienda dove lavoravo con Paola è un componente autorevole della massoneria romana e si è guardato bene di fare in modo che il suo amministratore delegato ne venisse a far parte”. Alla parola Rotary Giovanni mi ha guardato, uno sguardo interrogativo come se l’inge avesse detto di far parte del club del bridge. In realtà alcuni meccanismi che intercorrono tra i soci del Rotary sono stati spesso accomunati alla massoneria, ma del resto quell’assistenzialismo mutualistico tipico di queste sette o associazioni è sempre stata alla base di qualsiasi corporazione, in fondo è un tipo di meccanismo che, se pur ad ingranaggi macroscopici, funziona anche tra iscritti allo stesso sindacato. Peraltro nelle associazioni di tipo massone il confine tra lecito e illecito è sempre stato lieve, tanto forse quanto il confine tra politica e mafia in alcuni periodi ed in alcuni contesti sociali. “Che il Costanza fosse iscritto alla massoneria lo dicevano un po’ tutti, anzi…” “Beh, era il braccio destro del venerabile… capite, andiamo oltre, arriviamo di botto alla loggia Propaganda.” “E’ difficile facendo un’analisi dei retroscena politici al tempo della strage di Rimini non ricorrere a riferimenti alla loggia Propaganda ed al venerabile… maestro Galli.” “Mah, non mi sono mai interessato ai grandi misteri italiani, ho le mie idee, ma credo sia sempre tutto molto più intricato di quanto si possa leggere nei libri o, al contrario. a volte mi sembra tutto così banale e chiaro che non vale neppure la pena di parlarne, ma capite bene nei salotti e nei ritrovi dei capitolini doc raramente si discerne su tali argomenti”. Purtroppo il Fugazza mi sfugge, una cosa è certa: ha poco di comico. E non mi fa neppure tristezza malgrado questo temporaneo o definitivo decadimento. Se l’è goduta alla grande. Questa è l’impressione. La discussione va avanti molto leggera e non si toccano temi politici. Mentre sonnecchio in autostrada non saprei neppure come abbiamo fatto ad arrivare quasi a mezzanotte. Ho sempre l’immagine di Paola che ho trovato molto differente dalle poche fotografie in mio possesso. Mezz’ora l’ho passata studiando le sue dita dei piedi. Una donna di indubbio fascino e classe, l’ideale per la segreteria direzionale di un’azienda che gioca molte sue carte in pubbliche relazioni. In abbinamento all’ingegnere sarebbero stati ancora una coppia splendida alla TecnoImpianti, per quanto anche immaginarli avvinghiati in un letto, non stonano per nulla. Non abbiamo fissato nuovi incontri, per adesso e via e-mail l’ingegnere mi farà sapere se mi trova i contatti che gli abbiamo chiesto. “Come t’è sembrata Paola?” mi rivolgo a Giovanni ma casualmente risponde Giuliano. “Una bella figa eh Giovi?” “Secondo me se la trombava l’ingegnere, o se la tromba ancora, a volte mi davano l’impressione di una coppia” “Sai Giovi, sono stati talmente coppia a livello professionale, era la sua segretaria personale e non si muoveva senza di lei, per cui hanno dei meccanismi oleati anche nelle piccole cose proprio come marito e moglie, non mi ha mai parlato di una storia con lui anzi a volte avevano un rapporto conflittuale” “Bah… sarà” “Una bella figa” il Giuli è abbastanza monotematico. “E l’inge come vi è sembrato?” “A me sembrava un politico, sarà stato il vestito ed il lieve accento romanesco” “Io dico che tromba” “O cazzo Giuli, fatti una sega al prossimo grill così l’ormone ti torna entro i limiti” Abbiamo parlato con Fugazza dei servizi d’ordine della Tecnoimpianti, visto che lui seguiva marginalmente, sulla carta, anche quella parte, conosce diverse guardie del corpo di politici e uomini di spicco della borghesia romana. Se le cose vanno come penso, saranno amicizie che potranno farci comodo. Nessuno mi toglie dalla testa che il Costanza risponderà eccome alle nostre domande e soprattutto ad una, e sarà una risposta affermativa. Capitolo 27. You tube e il video di Stairway to heaven. Alle quattro abbiamo scaricato il Giuli davanti a casa di sua mamma a Spezia, siamo risaliti dall’Aurelia, non abbiamo ripreso l’A1. Sulla Cisa io e Giovanni ci siamo messi a parlare di musica. Pare che i Led Zeppelin si riuniscano e che insieme al figlio del batterista scomparso nel 1980 John “bonzo” Bonham tengano un concerto a Londra. I Led Zeppelin li conobbi nel 1984 quando erano già a pieno titolo una specie di mostri sacri della storia del rock. Un mio amico mi fece leggere una sorta di biografia, io avevo solo ascoltato il “numero due”, ricordo ancora che un mio compagno di scuola me lo avevo registrato su di una cassetta maxwell rossa e grigia forse da 90 o forse da 60 minuti, so solo che dopo ogni lato dei led c’erano alcuni pezzi di Southside Jhonny and the Asbury Jukes, che ora come ora mi fa pensare a Nick Cave and the Bads Seeds, tanto è che probabilmente senza il supporto dell’enciclopedia on line a bruciapelo avrei risposto incrociando il buon Jhonny con i cattivi Seeds. Del SSj ricordo la canzone Trash it up, tentativo maldestro di propinarmi qualcosa che gradiva molto colui che mi registrò l’album Led Zeppelin Number two, tanto per completare il nastro libero, una sorta di spot pubblicitario per diffondere una sorta di musica all’epoca nicchiosa e particolare. Il trapasso tra la storia del rock e una comparsa del rock per quanto riguardava quell’album, uno dei periodi neri del buon South, era terrificante. Si passava dalla voce implorante e commuovente di Robert Plant in Thank You al rithm and blues roccheggiante di Trash it up. È difficile spiegare quell’attimo di silenzio, di pausa musicale che intercorreva tra la fine di Thank you e l’attacco di South Side Jhonny, ma come mi disse una volta un maestro di musica ad un colloquio, sono le pause che rendono grande Beethoven. Forse il mio compagno di scuola , improvvisato direttore d’orchestra aveva con la pausa enfatizzato e creato uno stacco geniale tra la musica anni settanta e quella dei primi anni ottanta. Sono le cinque e venti quando la porta dell’Astra sw si apre davanti alla mia villetta di Varano. “Ciao giovi, ci sentiamo in settimana”. Entro nel cancello e la “morte nera” mi viene incontro camminando di traverso, c’è sempre quell’attimo in cui ho un pensiero che mi dice, ecco è impazzito e mi azzanna alla gola, poi sento il calore e l’umidità della bava di Savoiardo che mi lecca una mano, mi accompagna fino all’ingresso e mi guarda sempre con il solito occhio nero da squalo bianco, quel poco espressivo tanto da farmi capire..”sei un coglione…a che cazzo di ora rientri? Domani devi andare a lavorare”. Mica tutti hanno il cane che ti giudica come fosse Minosse.Ma la coda non lo cinge, per fortuna agli alani la tagliano da piccoli. Mentre penso ancora ai Led Zeppelin salgo nella camera, chiara dorme ovviamente. Silenzio. Vado in bagno, mi lavo i denti. È difficile mentre ti passi lo spazzolino restare concentrati sulle setole che puliscono lo smalto, in genere si riflette, e considerato l’ora i margherita dell’ingegnere, le sigarette e le canne ai vari autogrill , i pensieri spaziano da Jimmy Page alla serata romana. Domani mattina, oddio fra due ore , in ufficio cercherò su youtube qualcosa di musicale, pare che si trovi qualsiasi cosa. Mentre parcheggio la x5 che bippa impazzita con il suo park distance control scongiurando impatti con auto di colleghi, mi rendo conto che non è possibile presentarsi in ufficio con un bagaglio di 3 ore di sonno, una più o meno fra Grosseto e Livorno nell’auto del Giovi e due con la testa sul cuscino che sembra un otto volante. In bocca un gusto da “splendida giornata” di Vasco Rossi. Mi siedo alla scrivania e accendo il pc. Mi lancio subito in una ricerca affannosa su youtube, sperando che il proxy server sia clemente. Basta digitare Led Zeppelin e le immagini dei video che si possono scaricare sono decine. Youtube è una cosa mirabolante, è come se negli anni settanta tutti avessimo portato i nostri lp in vinile sulla piazza rossa di Mosca e alzando una mano e dicendo quale disco vogliamo ascoltare, un maggiordomo ci avesse portato con il vassoio d’argento gli album pronti da mettere sul piatto che gira. Clicco su uno Stairway to Heaven. Dopo qualche secondo sul mio video lcd ho Robert Plant che aggrappato al microfono comincia il suo…there’s a lady who sure…… un salto di trent’anni e più, ma lui è li con i suoi jeans a vita bassa, la fibbiona, la camicia aperta lascia vedere una pancia senza addominali tartarugati, ma con un ventre da sballo, sensuale , ammiccante e stratosferico, il capello anni settanta non è grottesco come quello dei cugini di campagna ma è bellissimo , scalato, con i suoi riccioli biondi, dopo trent’anni non è una macchietta ma è vivo e trasmette dal video tramite una sequenza di circuiti elettrici delle emozioni che fanno rabbrividire. Non so bene se ho ancora in circolo qualcosa della sera prima, nel frattempo entra l’assessore, rasato, capello corto la giacca malgrado l’agosto e la cravatta lo strozzano, abbasso il volume , alzo la testa lo guardo , riguardo il video, Robert continua con luci psichedeliche, l’assessore parla e diventa una specie di colonna sonora stonata del video. Sorrido. Alzo il volume e comincia l’assolo di Page. Non sento più il dottor ************* che mi guarda attonito. Gli dico ,” Assessore, ti piacciono i Led Zeppelin?” Mi guarda stupito, e io penso che fra un paio d’ore passa a prendermi Pigi con gli altri amici dello stadio, si va a Bergamo perché la prima di campionato è Albinoleffe-Spezia. Capitolo 28. Chat room. Incontro in chat. Il Giovi ha creato una specie di utility in linguaggio c che va eseguita dal prompt del dos. In sostanza è una sorta di reindirizzamento che rende gli ip pressoché introvabili , così dice lui. È un modo per entrare in rete e restare anonimi. Giovanni è in fondo è una sorta di hacker e non certo dei più scarsi. Neppure io so quale sia il luogo telematico di ritrovo con la sua ghenga di amici virtuali. Il programmino ce lo siamo passati ed adesso lo abbiamo installato nei nostri computer, nel notebook del Fugazza, nel pc dell’ufficio di Paola, nel mio portatile e nel pc della libreria Feltrinelli della galleria duomo, da dove si dovrebbe connettere il Giuli. L’appuntamento è per oggi alle 15 in una stanza della chat del sito HYPERLINK "http://www.communityweb.it"www.communityweb.it precisamente la stanza motori, una delle meno frequentate. Come è noto le chat si usano al novantanove per cento per incontri a scopo sessuale, la cosa singolare è che nessuno lo ammette. Mai letto che si parli di calcio in chat. Il che la dice lunga. Chatroom. Utenti stanza sport e motori. Lista Utenti. Romanodoc Amatriciana Crecher Napoleone Napoleone> ciao a tutti Amatriciana> ciao Romanodoc>salve Crecher> ci siamo tutti? Napoleone> lo sciroccato mi ha mandato una email Crecher> spero nn abbia scritto nulla di strange Napoleone> ha scritto solo che nn faceva in tempo Amatriciana> sfigati Napoleone> a zoccola!!!!!! Amatriciana> puttaniere Crecher> dateci un cut, meno ci stiamo better is Napoleone> come cazzo scrivi? Crecher> everibodi own style Napoleone> ok Napoleone> ci sei romano? Napoleone> scusa ma qui è un ambiente informale e si scrive così Romanodoc> ho visto, ho letto quello che scrivevano in un’altra stanza mentre aspettavo Napoleone> ok Romanodoc> scusate che vuol dire mp? Crecher> Amatriciana> beh non saperlo ti rende onore, nn come questi sfigati qui che per trombare devono chattare Napoleone> sempre simpatica eh? Napoleone> gli mp sono messaggi privati, poi ti faccio vedere dopo, notizie? Romanodoc> allora, in pratica è già fissato Crecher> come?????? Romanodoc> il tipo, non vuole dare ne cell ne email ne nulla, però è piuttosto abitudinario e mi ha detto dove lo potete trovare, anzi dove lo puoi trovare, tu napoleone perché vedrà solo te Crecher> miticooooooo a romanodoc Napoleone> seee asp un po’ spiega meglio va Romanodoc> il tipo è come sapete aspetta è bene non scrivere certe cose Crecher> fermooooooooooooooooooooo bravissimo cerca di parafrasare e di non usare quelle parole che dicevamo, cioè quelle che come sai non vanno usate per telefono ne inserite negli sms Romanodoc> ? boh non mi pare ne avessimo parlato, ho capito in ogni caso Romanodoc> il tipo è in villeggiatura presso la propria casa, due volte la settimana va in versilia ad un ospedale per una terapia di non so cosa Napoleone> mi devo travestire da infermiere? Crecher> perché nn ci vai tu a fare l’infermiera amatriciana? Amatriciana> manica di coglioni , e io che vi ho pure presentato gente seria Romanodoc> no, pare che dopo la terapia il signore prenda l’aperitivo in un famoso bar di forte dei marmi… Napoleone> il principe Romanodoc> esatto quello Napoleone> e che gg va? Romanodoc> lunedì e mercoledì, lui sta li circa dalle 12 alle 12,30, se non c’è provi un altro giorno Napoleone> si e come cazzo fa a sapere chi sono, devo nadare con una rosa in mano? Amatriciana> la piantate di fare i coglioni? Crecher> amatricià, guarda che qui è più normal una chat di questo tipo Amatriciana> si vaabbbbbbè Romanodoc> tu lo conosci di vista? Napoleone> beh all’ingrosso si Romanodoc> stai tranquillo non passa inosservato Napoleone> ma ha dei gorilla? Romanodoc> no Romanodoc> tu vai da pinco pallino e gli dici buon giorno sono l’amico del..romanodoc Napoleone> boh ..non so che dire Romanodoc> se vuoi è così, altrimenti è così lo stesso o rinunciate al tipo Napoleone> ma la terapia la fa a vita? Romanodoc> pare che settembre e ottobre ci sia tutte le settimane e da quello che ho capito comunque sia l’aperitivo li ce lo prendeva anche quando non andava in clinica solo che adesso ha quelle ore libere per recarsi li e capito? Napoleone> ma tu ci hai parlato di persona? Romanodoc>no Amatriciana> non fate troppe domande Crecher> a romano..c’hai pure i bucatini che te fanno da avvocato Amatriciana> ma vaffanculo Napoleone> beh per adesso grazie davvero romanodoc ti faccio sapere come è andata Napoleone> io esco che fra poco viene da me uno che mi deve portare un fagiano Amatriciana> io preferisco altri uccelli ahahahah Crecher> la principessa sti cazzi Romanodoc> salve a tutti Romanodoc goes to sex-room Crecher> ahahahah che cazzo di figura il tuo amico, non sapeva che veniva scritto dove andava ihihi Napoleone> altro che fagiani qui c’è qualcuno che va a caccia di ..passere Amatriciana> e vabbè coyoni che nn siete altro chissà quanto pippe vi siete fatte voi Napoleone> :P mi pare normal ahahaha ciao a tutti Napoleone shutdown Crecher> ciao amatri Amatriciana> ciao coyo…tes Crecher> :P Amatriciana> ;) Amatriciana shutdown Crecher shutdown Capitolo 29. Il fagiano di Franco l’usciere. Venerdì 31 agosto. Ufficio. Ore 13. Alzo la cornetta e faccio il numero degli uscieri. Il bugigattolo degli uscieri è posto all’entrata del palazzo della provincia. In teoria dovrebbero fermare tutti quelli che entrano ed almeno chiedere dove stanno andando perché da noi, e in quasi tutti gli uffici della pubblica amministrazione, non ti danno un tesserino lasciapassare come in questura o nella caserme. In realtà gli uscieri, che peraltro sono pure in divisa, fanno un po’ di tutto tranne quello che dovrebbero fare: a parte chiacchierare allegramente tipo combricola da bar,ed in quello non sono gli unici, vengono chiamati dai vari uffici per il disbrigo delle pratiche più curiose, in genere vengono usati anche come messi notificatori,insomma hanno una qualifica, per così dire dinamica, anche perché tutti non sono in grado né giuridicamente né a livello pratico di provvedere ad atti di una certa rilevanza. Alcuni appartengono a categorie protette, si occupano anche del centralino, le telefonate, infatti, arrivano alla postazione qualora non vengano usati i numeri diretti. Suona libero. “PRONTO USCIERIIII”. Ha risposto Giangiacomo un ragazzo pressoché sordo che, per ironia della sorte e per cattiveria dei colleghi, viene occasionalmente usato come centralinista. Una volta usavano i non vedenti, noi qui siamo geniali ed abbiamo pensato ad un centralinista parzialmente udente, soprattutto se si dimentica di accendere l’apparecchio di ausilio all’udito. “PRONTOOOOOO!!...O FRANCO MA STAMATTINA MI CONTINUANO A CHIAMARE SENZA DIR NULLA, CI DEVE ESSERE QUALCHE PROBLEMA” sta evidentemente parlando con un altro degli uscieri, il Franco che sto per l'appunto cercando. “Giangiacomo? Mi puoi passare Franco?” “ACCENDI L’ORECCHIO O CAMBIA ORECCHIO”…sento fuori dalla cornetta la voce di Franco. “MA L’HO ACCESSO MA NON SI SENTE” si sente un improvviso ronzio, come una specie di cellulare vicino alla cornetta. “Pronto uscieri” “Ciao Giangiacomo, sono Federico Conti, mi puoi chiamare Franco per cortesia?” “Ah buon giorno dottore, glielo passo subito, scusi, ma stamattina sto telefono ha qualche problema” “Si, anche il mio non funziona bene, grazie ciao Giangiacomo” “Franco è il dottor Conti!!!!” “Pronto dottore?” “Franco, la prossima volta che mi risponde Giangiacomo e non è solo in portineria mi incazzo davvero. Ma dai, è possibile che non ci può stare uno di voi al centralino, manica di bastardi, vi divertite eh? “Ma no dottore, è solo che stavamo scaricando una cosa e...” “E appunto: il Marchi non è zoppo e non ha l’ernia, ha solo il problema dell’udito”…più o meno, penso io mentre affermo il concetto. “Non potevate mandare lui a scaricare quella cosa?” “Dottore non si preoccupi guardi, in tutta la mattina ci sarà stato cinque minuti” “Si vabbè, senti Franco, ce la fai a salire dieci minuti che ti devo chiedere un favore?” “Si subito dottore” spiegare agli uscieri che non sono dottore è un’impresa che va aldilà delle mie capacità, per loro se uno è responsabile di qualcosa è assolutamente laureato e, quand’anche non lo fosse, acquisisce il titolo di dottore automaticamente. “O Franco, il fagiano poi, quand’è che me lo porti? “Dottore lo consideri già in pentola, ora salgo e le dico” Franco l’usciere lo conosco da quando sono entrato in provincia, ma non è tanto tempo che siamo entrati, per così dire, in confidenza, in realtà è successo grazie ad un simpatico aneddoto che racconto sempre volentieri ai miei amici intimi. Franco ha circa una cinquantina d’anni e vive con una vecchia zia, non ha più i genitori e comunque ha un sacco di soldi, nel senso che è unico erede di un patrimonio immobiliare di rilievo, un paio di appartamenti locati nel centro di Parma, una casa per prendere un po’ di fresco ad agosto a Tarsogno e un bilocale a Lerici, probabilmente per quello che guadagna potrebbe pure vivere con le sole rendite degli immobili, comunque sia non è il tipo che rinuncia neppure a dieci euro. Franco ha due passioni: la caccia ,e pensarlo in giro nel bosco con un fucile mi fa venire i brividi e le donne, purtroppo però non è affatto un Don Giovanni, ma piuttosto una specie di compagno di merende, come quelli diventati celebri con il processo al mostro di Firenze. Gli uscieri girano spesso in tutti gli uffici e hanno comunque le chiavi di tutti i locali. Un giorno di qualche anno fa, ricordo solo che erano quasi le quindici e ormai nel palazzo non c’erano che poche persone, dovevo andare dall’allora presidente ignorando che, sia lui che la di allora segretaria, una femme fatale pazzesca assunta come collaboratrice dallo stesso, fossero già usciti. Aprendo la porta non vidi nessuno nell’anticamera e pure la scrivania della ragazza era vuota, per un attimo pensai che fosse chiusa con il boss e mi stavo avvicinando alla porta per origliare qualcosa, quando vidi Franco chinato sopra la sedia dietro alla scrivania dell’affascinante donna, lì per lì non riuscii a capire, era una di quelle situazioni che non quadrano, cioè, c’era qualcosa di strano. Sentendo la mia presenza si alzò di scatto, probabilmente nell’estasi del momento non si era accorto che ero entrato, mi guardò e mi disse: ”Ah dottore è lei… che spavento” in effetti pure io avevo sussultato per la sorpresa, poi aggiunse: “Sa dottore, sta tanto seduta che con la gonna e le autoreggenti nel tessuto della sedia… sa… rimane il profumo… mmmm che bontà, vuol sentire anche lei dottore?” Volevo morire dal ridere ma non potevo che sorridere, perché la cosa era allucinante: il Franco stava sniffando il centro della seduta con la speranza che vi fosse rimasto impregnato l’odore degli umori della segretaria. Devo dire un’idea pressoché geniale da maniaco assoluto, però questo Franco di fantasia ne aveva da vendere. “Per favore dottore, le chiedo solo la cortesia di non dirlo a nessuno” “O Franco e come faccio a dirlo a qualcuno? Se lo racconto ci arrestano e ci internano a tutti e due; a te perché sei fuori di testa e a me perché son qui che ti sto pure a sentire. Dai scherzo Franco, non ti preoccupare, sei scusato perché la segretaria è davvero una strafiga e giurerei che in effetti in mezzo alle gambe abbia davvero un profumo da sballo”. “Dottore le dico, venga a sentire…” “Franco? Ti dico la verità, preferirei sentirlo direttamente in mezzo alle gambe della signora ahahahaah” “Non mi dica che l’ha sentito?” “Ma dai!!! Sono sposato!!!” “Dottor Conti lei non me la conta giusta” “Non te la conto proprio, lascia stare, va e chiudi la porta, oggi ti è andata bene, se ti capitava qui la dottoressa Antonelli adesso te la vedevi brutta” . Il dialogo fu pressappoco questo e ogni tanto lo rammento per capire come sono entrato nelle grazie di questo factotum di palazzo che comunque mi dimostra sempre fedeltà assoluta. Bussano alla porta. “Avanti” “Dottore…” “Vieni Franco siediti pure” “Allora il fagiano, beh appena riapre la stagione il primo che prendo, anzi andrò apposta in una riserva in toscana” “Non ti preoccupare Franco, è solo che è da quando sono bambino che me lo cucinava mia nonna che mi è rimasta voglia del fagiano e Chiara e mia suocera se ne guardano bene dal farmelo, forse costa troppo poco, sai, loro mangiano aragosta a colazione, i nobili” “Beh dica a sua moglie che il fagiano è un piatto che va forte pure alla corte dei regnanti inglesi” “Bravo bravo glielo dirò, così almeno il tuo fagiano avrà un funerale degno di rilievo” “Ti volevo chiedere una cortesia” “Quello che vuole” “Io e un paio di miei amici volevamo andare al tiro a segno” “Mmmm” “Però, cioè, a me non è che mi faccia impazzire, ma è un po’ che me la menano con sto tiro a segno e siccome io a militare ero un cecchino provetto voglio farglielo vedere” “Chi l’avrebbe mai detto, e il militare dove lo ha fatto?” “Negli alpini vicino Cuneo” “Ma non è di Spezia lei?” “Si appunto, ma lasciamo perdere, e le pistole?” “Eh si ci vogliono” “Bravo, ma intendevo, si possono noleggiare? Quanto costa una pistola tipo quelle berrette che usa la nostra polizia?” “Mah, ce ne sono diversi modelli, ad esempio ce la 9 e 65 poi…” lo interrompo “Nono, non mi stare a parlare di calibri e cose varie che non ci capisco un cazzo, vorrei solo sparare ad un bersaglio di cartone io” “Ah ok dottore” “Ma per caso qualcuno del tuo giro ne ha di usate?” “Le faccio una confidenza, pensi che io ne ho una che abbiamo trovato una volta in un bosco sulla Cisa ed ha la matricola cancellata” “Per l’amor del cielo Franco non lo voglio neppure sapere” “Ma mica la uso dottore stia tranquillo” “E ci mancherebbe pure” “Ma per comprarne una per uso sportivo ci vuole il porto d’armi?” “No, per uso sportivo è sufficiente una specie di documento che mi pare lo facciano in questura” “Comunque dottore le so dire, dovrei sentire stasera uno dei miei amici di battuta e so che qualcuno di loro va spesso al tiro a segno, pensi che ce ne è uno che ha un terreno e ogni tanto fanno una specie di gara sparando ad una sagoma” lo interrompo. “Porca puttana Franco mi tappo le orecchie non voglio sentire, fate dei casini” “Ma dottore non fanno nulla e comunque anche a me non piacciono quelle cose” “Ok, comunque aspetto notizie per il tiro a segno” “Le porto il fagiano e le notizie fresche fresche” ”Ah dottore, se vuole le vendo la mia pistola… ai suoi amici ahahah” “Ci sentiamo Franco, vai giù, vai che se ti chiama la dottoressa Antonelli ti fa il culo e poi mi tocca pure prendermi la colpa”. Bussano. “Avanti” “Ah dottore”. “Dimmi Franco”. “Mi è venuto in mente una cosa: ho un amico che c’ha due p38 del dopoguerra, siccome è un po’ come dire, in difficoltà di soldi, so che le voleva vendere” “Ma la p38 non è quella a tamburo con la canna corta?” “Seeee o dottore!!! Le p38 sono quelle che avevano i tedeschi nella guerra” “Ah scusa ma non ci capisco una mazza di armi” “Eh si dottore, me ne sono accorto, quelle le avevano prese, cioè, le aveva prese suo padre che era un partigiano ad un ufficiale tedesco che avevano fatto fuori, ovviamente di straforo” “Boh Franco, sentirò i miei amici, chiedigli un po’ quanto vuole” “Va bene glielo so dire poi” “Ma funzionano?” “Dottore la p38 è una delle pistole migliori mai prodotte e le assicuro che il Toni le teneva come due reliquie, lucidate e oliate, però ha bisogno e ne ha altre più… come dire… leggere… anche perché queste non le può far vedere a nessuno ed è uno di quelli che quando ci vai a casa sua ci perde due ore a farti vedere la sua collezione di armi e ferri vari” “Ok Franco fammi sapere il prezzo” “Va bene dottore, stia tranquillo” “Ah Franco, non te lo dico nemmeno di tenere la cosa per te vero?” “Mi offende così eh.. lo sa bene e via dottore e che diavolo!” “Ok ciao Franco” Capitolo 30. Il libro rosso. 5 settembre. Non so perché ma il libro del giornalista dell’Espresso non lo avevo finito del tutto, mi mancavano solo una decina di pagine, ma ormai quel che avevo letto credevo fosse ampiamente sufficiente a fornire un quadro completo del nefasto avvenimento. Più che un quadro, in realtà, direi una tela con delle pennellate messe assieme senza nessun nesso logico e senza nessun desiderio artistico. Un muro con una serie di graffiti sovrapposti che fornivano una massa informe di colori e linee. Troppa confusione. Troppi processi, troppi imputati, troppa menzogna. Me ne stavo nel bagno del piano di sopra. E il libro rosso sembrava osservarmi poggiato su uno scaffale davanti al water. Chiara e i bimbi erano ancora a tavola, la tv era ad un volume piuttosto alto tanto che dal piano di sopra sentivo la musica di Playhouse Disney. Anche stasera Edoardo era condannato dalle gemelle a sentire i cartoni animati, dico sentire perché ovviamente lui non alzava lo sguardo dal cibo, se per caso era una delle sere in cui decideva di mangiare, o da quello che stava leggendo. Passando dalla sala da pranzo dico a Chiara che vado nello studiolo, ho in mano il libro rosso e noto con un certo orgoglio che Edoardo sta leggendo il Guerin Sportivo. Al diavolo i manga e i fumetti. Mi siedo e accendo il pc con un gesto istintivo e comincio a leggere le poche pagine che mi restano. Sono fremente perché c’è un’inaspettata intervista dell’autore a Libero Valle. All’epoca della sua Presidenza della Repubblica studiavo giurisprudenza a Pisa e il Valle era piuttosto stimato dai professori ed assistenti di una certa area politica, ma di questo me ne sono reso conto dopo. Ricordo solo che un viscido assistente durante un esame di diritto pubblico faceva un raffronto tra il presidente partigiano Sandro Contini e Libero Valle. Una cosa che, ricordandola adesso, mi fa solo brivido e raccapriccio. La disamina non voleva essere un mero parallelo tecnico giuridico, in realtà nascondeva una certa simpatia per l’allora presidente in carica e per le sue famose picconate. Malgrado io frequentassi una facoltà di tipo umanistico e se vogliamo strettamente legata alla politica, non avevo le idee molto chiare e non conoscevo nemmeno bene l’immediato passato che vedeva il presidente Valle, sempre presente in posti chiave della Repubblica Italiana allorché succedevano avvenimenti intrisi di misteri come bombe sui treni, alle stazioni e aerei abbattuti. Avevo una certa sudditanza nei confronti del pensiero degli insegnanti e ascoltai l’orazione politica con un’ingenua attenzione tecnicistica-giuridica. Cominciai a leggere l’intervista. L’atteggiamento dell’intervistato era quanto mai supponente e arrogante, ma era il suo solito modo di fare. Dovetti rileggermi alcuni passi perché non riuscivo a capacitarmi di cosa avesse dichiarato. In sostanza, con poche parole, picchiava duro proprio contro Franco Casali, accusando l’associazione dei familiari di essere solo interessata ai soldi, e bada bene che non si premurava neppure di parlare di risarcimento, diceva soldi, come se fossero delle puttane o degli accattoni. Per un attimo pensando al Casali mi vennero le lacrime agli occhi. Non era possibile. Ma era vero. Era un libro pubblicato da un famoso e stimato giornalista e quella era un’intervista registrata. Presi il cellulare, guardai un attimo l’orologio, erano ancora poco più delle venti e mi sentivo di chiamarlo. In rubrica selezionai Casali. Squilli. “Pronto” “Buonasera dottor Casali, mi scusi l’ora sono Federico Conti, ricorda?” ci fu un attimo di silenzio. “Si, mi dica” “Se la disturbo la richiamo domani” “Non si preoccupi, mi dica” “Le volevo chiedere se ha letto il libro pubblicato di recente del giornalista da Renzo Rocca, quello sulla str...”mi interrompe “Si, ho capito di cosa sta parlando, non l’ho letto perché qualcuno dell’associazione, non ricordo neppure chi, mi ha pregato di non farlo, mi ha detto che c’erano scritte delle cose sgradevoli e non è un buon periodo, non sto bene e sostanzialmente non sto facendo affatto il presidente dell’associazione”. “Senta dottor Casali, non serve che si legga tutto il libro perché comunque ci sono sicuramente tante cose che ha seguito di persona e non le serve un resoconto dei processi e delle supposizioni di un seppur brillante giornalista, le chiedo solo di leggere le ultime pagine dove c’è l’intervista a Valle, se vuole gliele faxo. “Non mi avevano detto che c’era un intervista a Valle” “Lo ha mai incontrato?” “Si , in alcune occasioni diciamo pubbliche. Ma so che non aveva un atteggiamento di simpatia nei confronti della nostra associazione” “Domani appena arrivo in ufficio gliele faxo. Ci risentiamo. Va bene?” “Va bene, se crede che possa essere utile che io le legga…” “La legga, ci sentiamo domani, buona serata” “Arrivederci dottor Conti”. Capitolo 31. F.C. for Africa. Chiara mi ha raccontato che a fianco del capannone dove lavora c’è una sterrata che porta sul greto del Taro. Pare che ci posteggino i dipendenti quando non hanno voglia di entrare dal cancello e comunque quando sono di fretta, in effetti qualche volta in cui sono passato da Chiara di fretta mi pare di averla usata pure io. Se nonché tutti assicurano che da qualche tempo bisogna far lo slalom tra i preservativi usati e i fazzoletti di carta. Sulla provinciale che passa lì davanti ho visto che in questi periodi ci sono diverse ragazze di colore. Probabilmente una ha scelto come zona le adiacenze della Metalli Taro come base di appoggio. Isolato ma non troppo, illuminato ma non troppo. L’ideale per non finire rapinate o sgozzate da qualche nuovo discepolo di Donato Bilancia. Un paio di volte sono passato lì davanti, era un periodo che uscivo con Giuliano piuttosto spesso e talvolta ci siamo dilettati nel classico puttangiro. È una cosa che si fa spesso in modo goliardico, personalmente non mi piace andare a puttane in compagnia, se proprio mi devo scopare una della strada lo faccio quando sono solo. Ha un suo fascino, è diverso che andare nelle case di appuntamento quando sai chi ti apre la porta. Le puttane della strada sono un po’ come andar per funghi. È molto aleatorio perché se ne cerchi una in particolare non è mai facile trovarla libera o sapere se quella sera ci sia oppure no. Pare abbiano i turni, e il calendario non è pubblicato da nessuna parte. La prima volta che siamo passati con il Giuli davanti alla Metalli Taro appena ho visto la ragazza davanti al cancello ho immaginato che fosse la responsabile degli slalom dei malcapitati di cui sopra. Ci siamo fermati. Avevamo bevuto e fumato. Giuliano stava ovviamente dalla parte del morto e quella è la posizione del contrattatore, le puttane sono sempre dalla parte del passeggero. “Ciao” il Giuli esordisce dopo aver tirato giù il vetro elettrico della x5. Nota bene che non si sa secondo quale teoria sillogica le puttane se hai il fuoristrada sono più disponibili, non credo sia una semplice associazione di idee autocostosa/tantodenaro anche perché in realtà più soldi hai e meno troie di strada ti scopi. “Ciaooo” La negretta è carina, vestita a modo e sembra pure pulita. “Come stai?” “Bene, andiamo?” ride divertita “E mah… quanto prendi?” e qui ci aspettiamo il classico e principesco 30 bocafiga. Una sera precedente, sempre fumati e bevuti, ne abbiamo fermata una, ma non era in zona Fornovo, eravamo giù in riviera e alla domanda “quanto?” la povera malcapitata, brutta da far paura rispose quasi urlando “Drendabogafiga”. Il Giuli fece giusto in tempo a proferire un “Grazie ciao” che non appena il vetro saliva siamo scoppiati a ridere, credo una delle risate più intense che mi sono fatto negli ultimi anni, miracolo di una canna ben rollata e di quella povera ragazza che davvero poteva far di tutto tranne che la prostituta nei viali tanto era orribile e sgraziata. “Trenta” la tipa risponde in modo molto educato ed ha una bella voce nel frattempo si avvicina. “Ah… come ti chiami?” “Piacere Sophia” allunga la mano, molto bella, unghie non smaltate ma pulite e curate, dita affilate. Il Giuli un po’ titubante gliela stringe. “Piacere Giuliano, lui è Federico” “Ciao Sophia, da dove vieni?” “Da Nigeria” ecco il primo errore di italiano, ride divertita, ma contrariamente a quelle che dopo le prime presentazioni cacciano la mano nel pacco del Giuli, che come al solito al gesto ridacchia, questa se ne sta lì ferma con una certa dignità, come se gli sfigati fossimo noi, ed in questo senso ne ha ben donde. “Sei carina Sophia” ecco il Giuli in versione adulatore, manco la dovesse conquistare, animo gentile il Giuli. “Grazie” “Senti Sophia, ma tu lavori sempre qui?” intervengo io. “Si al venerdì si, lunedì sono davanti al ponte” “Ah…” non capisco dove intende ma non me ne importa nulla e incalzo. “Ma scusa con i clienti dove vai? ...in quella strada lì?” indico con il dito la sterrata a fianco della recinzione della piccola industria. “Si, perché?” ride. “Ehi, ma qui ci lavora mia moglie”. “Ma adesso no, di giorno credo”. “Nooo, non intendevo che lavora in strada, dico lì nel capannone, in quell’azienda”. “Aahahahah capito capito, e allora?” la tipa se la ride di gusto. “Pare che ci siano tutti i preservativi, si lamentano della sporcizia e del casino che fate”. “Ah ma io non butto in terra”. “Si vabbè e chi ce li butta mia nonna?”. “Non lo so io è poco che sto qui, forse mia collega?” “Sei carina Sophia, fatti un po’ vedere” il Giuli le fa un segno con il dito come se la tipa dovesse fare una giravolta per mostrare il posteriore. Lei fa una piroetta e le si alza la gonnellina, è davvero carina, non solo di fisico ma come tutto, voce, modi e viso. Si avvicina un’auto e ci saluta. “Cazzo Giuli, sai che sta Sophia è davvero caruccia” “Mbè si, non male” sentenzia l’esperto puttaniere. Capitolo 32. Primi di ottobre F.C. for Africa II. Sono reduce da una cena con quelli della regione di Bologna, ogni tanto vogliono venire a mangiare il bollito a Parma: noi prenotiamo e loro si fanno una gitarella enogastronomica. Sono un gruppo di funzionari al quale piace la cucina macrobiotica, lingua lessa, vitello e mostarda a volontà, il tutto condito da un bel lambrusco, come minimo una bottiglia a testa. Sono tutti uomini sulla cinquantina e oltre, proprio simpatici, e la cena diventa un’occasione per tenersi buoni dei colleghi, che professionalmente sono tanto disponibili quanto utili. Una sera hanno portato pure un magistrato della Corte dei Conti della sezione di Bologna. Stasera siamo andati alla trattoria di Cafragna perché evidentemente volevano una cosa più tranquilla visto che per l’occasione hanno portato pure le signore, quelli che ce l’avevano si intende, sono stati tanto gentili da evitare di farci portare le nostre, sarebbe stata una accozzaglia di persone male assortite. Chiara, poi, non avrebbe retto sicuramente. Io dopo la prima bottiglia ho trovato le signore simpatiche quanto i mariti. Certo su quattro di passabili ce ne era una, e a stento, per fortuna non era vicino a me, altrimenti mi sarei pure distratto con pensieri lascivi. Miracoli dell’alcool. Sto passando in auto davanti alla Metalli Taro per vedere se c’è quella Sophia che avevamo conosciuto col Giuli che tutto sommato sarebbe davvero un bel fungo porcino. Ho bevuto troppo. Ho su un bootleg dei Led Zeppelin. Kashmir. Qualità di registrazione scarsa. Dubito sia stato un concerto memorabile questo, anzi, giurerei che Jones abbia pure fatto un errore alla tastiera, un piccolo sbaffo che può sentire solo qualcuno che ha fatto o fa musica, anche se solo suonando l’organo in chiesa come facevo io anni fa. Al primo giro davanti all’azienda di Chiara non c’è anima viva, sono i primi di ottobre e c’è un freddo improvviso anche se è circa l’una di notte. La temperatura è calata in modo brusco. Poco distante, davanti al cancello di un’altra ditta, c’è una tipa che muove le gambe infreddolita, è davvero con pochi cm di stoffa… andavano bene magari verso le otto, ma adesso con questo clima polare pre autunnale si vede che soffre. Mi fermo un attimo e accosto. Tiro giù il vetro. “Ciao, cercavo una ragazza che lavora di là che si chiama Sophia” indico la parte opposta della strada. “Ciao, io Sonia” “Ah, ciao Sonia, conosci una certa Sophia?” mentre glielo chiedo apre la portiera e si siede incurante al posto del passeggero. Io sono davvero stupito, ma non le dico di scendere. Da vicino non è poi così attraente e di certo lo è molto meno della famosa Sophia. “No mio nome è Sonia” “Si vabbè o capito, senti Sonia se vuoi stare ti posso pagare, ma ti offendi se non facciamo niente?” “No” “Hai capito?” “Si” ride e comincia a mettermi le mani nel pacco e infila la sua mano dentro i miei jeans. “Ehi stai calma, forse ho bevuto un po’ troppo” nel frattempo non so perché parto con la negra a bordo. E nemmeno ne ho tanta voglia. Mi indica la strada e ci fermiamo in una stradina non molto lontano. “Bene qui?” “Si che va bene, ma non mi interessa…” mi infila ancora la mano e comincia pure a sbottonarmi , mi fa davvero pena. Comincia a prendermelo in mano e si vede che ci sa fare, malgrado tutto il lambrusco mi viene inaspettatamente duro. Quando comincio ad essere un po’ troppo eccitato mi chiede i soldi. “Ho solo trenta euro” “Bene” tempo di incassare e tira fuori un preservativo, apre la confezione e si sente un odore di fragola. “Ma che lingua parli oltre all’italiano?” “Inglese” “This is strawberry” dico indicando il preservativo. Me lo infila. Io mi sento un po’ ridicolo a pantaloni aperti con sta negretta sconosciuta, chinata sopra che mi succhia il cazzo con un preservativo alla fragola. Impegnatissima nel suo lavoro di mani e bocca. Dopo cinque minuti siamo sempre così. La tipa mi sembra imbarazzata. “Cosa non va?” “Senti Sophia… cioè Sonia o come cazzo ti chiami… tu sei una bella ragazza, ma io ho bevuto troppo” “No problema” e si rimette china a fare il suo lavoro. Non che sia scarsa, tutt’altro, del resto lo fa di mestiere, però io ho bevuto troppo e rischio di vomitarle in testa. Provo un po’ a toccarla e accidenti è soda come la scamorza affumicata. Elastica sembra quasi gonfiata, per un attimo mi viene in mente il canottino delle bambine al mare. Passano altri cinque minuti. “Senti, ma scopare?” “Vuoi scopare? Si bene, aspetta” tira giù il sedile apre le gambe e mi fa segno di accomodarmi. E che cazzo ormai ce l’ho duro anche se fra la nausea e i pensieri strani non so come posso riuscire ad avere un orgasmo, qualunque esso sia. Mi appoggio su di lei e mi dice di stare giù, non so perché, se lo infila dentro, non so a che cazzo penso ma dopo qualche colpo vengo senza gemere. È una specie di starnuto liberatorio. Caccio una risata da demente. E sospiro. “Cosa non va?” dice la tipa. “Le dico ho bevuto e sono stanco” “No, non è stanco…” Mi guarda sorridendo. “Sai Sonia, sei una ragazza intelligente, sono io che sono un cesso” non so se capisce o se il suo silenzio è del tipo silenzio-assenso. Appena la scarico dove l’ho agganciata tempo di fare cento metri accosto e non riesco neppure a scendere che tiro giù il vetro elettrico e vomito sulla strada e forse anche sulla portiera. Riparto e cerco una piazzola. Scendo e sulla fiancata nera c’è una bella scia di vomito. Non sono nemmeno capace di andare a puttane. Capitolo 33. L’Isabella di Giuliano. Ricordo che questa estate, qualche giorno dopo la telefonata della sorella del Giuli, Chiara mi domandava da quanto il mio fraterno amico bevesse. Non so se il mio sia un ricordo corretto, è un po’ sbiadito dagli anni, ma tutte le volte che mi figuro Giuliano solo davanti alla bottiglia mi viene in mente la storia di Isabella. Doveva essere il 91 o il 92 perché ero sceso a Spezia in licenza durante il mio servizio militare. Ricordo anche com’ero vestito, è come se avessi davanti la fotografia. Dagli abiti propendo per la primavera del 92, una primavera agli albori e non inoltrata. Nella foto siamo seduti al tavolino di un bar del centro e stiamo prendendo l’aperitivo, è un sabato verso le 12,30. Di fronte abbiamo due ragazze, una la conosco di vista perché è la figlia di un’amica di mia mamma. Bruttina, porta gli occhiali ed è un po’ in carne, sostanzialmente fa da comparsa e nella foto c’è come una specie di buco nero. Vedo il suo viso solo perché la conosco e l’ho vista decine di volte. A fianco a lei Isabella Soldati. Abitava nel quartiere dove ho vissuto l’infanzia, suo fratello era il ragazzo di mia cugina. Sapevo che aveva una sorella di nome Isabella ma non l’avevo mai vista fino a che un giorno, mentre uscivo di casa con mia madre, lei incontrò e salutò tal Fiorella, figlia di una sua amica che a fianco aveva la ragazza più bella che avessi mai visto. Con un po’ di imbarazzo chiesi a mia madre chi fosse l’amica di Fiorella e lei mi rispose: “E’ Isabella Soldati, la sorella del ragazzino che anni fa stava con tua cugina Greta”. Questa Isabella la ritrovo adesso seduta nella foto al tavolino con Fiorella, la sua inseparabile amica. La foto si trasforma in un filmato. Sto sorseggiando il prosecco quando entrano le due ragazze e si siedono a fianco a noi, il bar è piccolo ed i tavolini sono abbastanza vicini, si sente la scia di profumo francese. Io la associo ad Isabella, perchè Fiorella è talmente brutta che non penso profumi neppure. A Giuliano faccio un segno con la mano. Un gesto che significa “Stai bravo, dopo ti dico.” Isabella è abbastanza alta, forse non arriva al metro e settanta, ma sembra più alta perché è magra ed ha le gambe lunghe. Indossa una minigonna grigia, una specie di tailleur forse. Ha i capelli neri, lunghi e lisci con la frangia bassa, gli occhi di un verde trasparente. È strepitosa e chiunque le passa vicino non può fare a meno di voltarsi. Non tiene lo sguardo basso, ma sfida consapevole della sua bellezza. Con il Giuli si parla del più o del meno fino a che non si va alla cassa. Paga lui e paga anche per le ragazze, poi usciamo. Il gesto è particolare perché, in fondo, non avranno neppure il modo di ringraziarci, anzi, do pure del fesso al Giuli, perché all’epoca ero già fidanzato con Chiara e come minimo pensai che Fiorella potesse dire a casa: “Sai mamma, il figlio di Giovanna ed il suo amico ci hanno offerto l’aperitivo”. Una bella figura da tacchino patentato. Da quel giorno, lo venni a sapere qualche settimana dopo, Giuliano non molla l’osso e si intestardisce con Isabella. Scopre dove abita. La tempesta di rose, a casa, sull’auto e in ufficio. La tipa lavora come segretaria in uno degli studi più famosi di Spezia. Isabella è una sciupauomini disumana. Ma questo non lo sappiamo ancora. La sfiga vuole, o la fortuna, dipende dai punti di vista, che in quel periodo Isabella sia sola ed è davvero una sorta di congiunzione astrale, perché considerato tutti quelli che s’è scopata, ci sono pochi giorni da single nel suo curriculum sentimentale. Altra sfiga, o sempre fortuna , ma chiamiamola casualità, alla splendida ragazza che si avvicina ai trent’anni, all’epoca, manca la relazione col pollastro di quasi dieci anni meno. Si intenerisce e dopo qualche giorno di telefonate pazze a casa (non siamo all’epoca di internet o dei cellulari), dove talvolta lei si fa negare, concede a Giuliano l’aperitivo. Con un salto di un paio di mesi, siamo quasi a giugno, mi ritrovo nel solito bar e stavolta al tavolino ci sono Giuliano e Isabella con me e Fiorella (ahimè). Fanno coppia da subito dopo il primo incontro. Giuliano è fuori di testa, insieme mi ricordano la coppia Roger e Jessica Rabbit, perché lui, per quanto non sia un brutto ragazzo, al cospetto di lei diventa una specie di coniglio-cartone animato. Nei pochi momenti di quel periodo in cui mi vedo con il Giuli da solo gli dico solo di fare attenzione, che la tipa è un pericolo a due zampe, lui mi guarda inebetito e mi dice che forse presto andranno a stare da soli. E’ andato. Mi ritrovo un giorno al telefono con Isabella e le chiedo che intenzioni abbia, avendola incontrata in auto con un tipo una sera, un tipo che non sembrava né suo fratello né un parente. Mi dice di lasciar vivere a Giuliano questa storia e che lei lo ama. Lui mi racconta che all’uscita del lavoro lei lo va a prendere (va pur detto che il Giuli poco più che ventenne ha solo una vespa scassata) e lo scarrozza con la sua y10. Famosa auto da figa primi anni novanta. Lui si sente un dio e i colleghi del magazzino dove lavora lo ritengono una specie di mito. A me continua a sembrare simile alla storia del coniglio con Bob Hoskins. Passano alcuni mesi, nel frattempo ho terminato il servizio militare e spesso sono a Parma da Chiara. Arriva la telefonata che non avrei mai voluto sentire, ma che sapevo sarebbe arrivata presto. Il Giuli, con aria stranita, mi dice che Isabella gli ha detto che vuole una pausa di riflessione, che non vuole lasciare sua madre da sola, è vedova da diversi anni, che suo fratello ha problemi di droga e che insomma ha bisogno di stare un po’ più tempo in famiglia… Tempo che arrivino le feste di Natale e l’Isabella la vedo scendere da un Mercedes Sl. Il Giuli è stato licenziato dal magazzino di materiale elettrico e passa i suoi giorni attaccato alla bottiglia. In tutti questi anni ha avuto qualche storia ma niente a che vedere con il suo amato bicchiere che si scarica nello stomaco. Isabella non si può nemmeno nominare per sbaglio e bisogna anche stare attenti a dire solo bella o Isa…. ho assistito a delle reazioni strazianti. Capitolo 34. L’agente ecologico II. 27 settembre 2007 Alle quattro devo andare a prendere le gemelle alla scuola materna, completo il giro passando per la scuola a tempo pieno che frequenta Edoardo. Il bimbo è alla scuola statale di Fornovo in mezzo ai comuni mortali, le principesse frequentano una scuola materna privata, non che sia l'equivalente dei collegi svizzeri dell'Engadina, però a Chiara piaceva perché c'era tanto verde e tutto sommato, malgrado il clima continentale del fornovese considerando gli autunni caldi e le primavere soleggiate, un po’ di luce ed aria fresca per le bimbe non è davvero male. Ho parcheggiato la x5 davanti alla villetta, non serviva rinchiuderla in garage visto che in casa starò lo stretto necessario per ricevere… Lorenza. Dopo i primi contatti di luglio e dopo il ritorno dalle vacanza di entrambi, sono seguiti una serie di messaggi infuocati e qualche sigaretta fumata nel terrazzo della sala consiliare. A fine settembre era il caso di cominciare la vendemmia. Sono uscito un'oretta in anticipo e alle due sono già nello studiolo, ho dato una rapida controllata al bagno del piano, ma al mercoledì mattina viene la domestica, cioè viene quasi tutte le mattine, ma sicuramente al mercoledì viene. Il mercoledì è un giorno che ho sempre ben presente, non perché scandisca la metà della settimana lavorativa, io peraltro lavoro anche al sabato, ma mi è rimasto in testa fin da bambino quando le coppe europee di calcio si giocavano solo quel giorno lì. Non potrei mai dimenticare il famoso mercoledì sport dove un Galeazzi ancora di dimensioni accettabili commentava prima di trasmettere la sintesi le partite giocate. Tentava sempre di omettere, per pudore agonistico, il risultato della partita che da lì a poco avrebbe infranto i cuori dei malcapitati tifosi. Purtroppo il Giampiero, uomo dal cuore tenero, difficilmente riusciva a simulare l'indifferenza di chi non conosce l’epilogo dell'avvenimento sportivo, e gli spettatori andavano a vedere la partita giocata un’ora prima come quando al lunedì su Teleliguriasud si vedevano le partite di uno Spezia domenicalmente sconfitto. All'epoca però non esistevano né televideo e né internet e la differita diventava una vera e propria diretta con il solo infausto presagio del faccione del Giampiero piangente con le lacrime agli occhi per l'eliminazione della Roma o della squadra italiana di turno. Il mercoledì più bello che ricordo fu quello di un Ajax- Juve, la trasmissione era in notevole ritardo e dopo alcuni spot pubblicitari il mitico Giampiero dovette comunicare il risultato dicendo che di lì a poco avrebbero trasmesso i supplementari in diretta.La partita finì ai rigori con la vittoria della Juve. Dall'emozione faticai a prendere sonno. sms Lorenza to Federico posso parcheggiare vicino a casa tua o devo farmi un km a piedi? sms Fede to Lore hai l'auto di servizio? Lore to Fede secondo te vado a casa con la panda 4x4 con scritto polizia provinciale?????? Fede to Lore parcheggia pure in zona..magari non davanti al mio garden Lore to Fede ok a...subito. Mi alzo e vado dalla finestra dello studiolo che si affaccia sul giardino e sulla strada. Guardo rapidamente l'orologio che segna le quattordici spaccate, facendo un rapido calcolo mi resta circa un'ora e mezza. Considerando il tragitto Varano Fornovo come la prova speciale di una tappa del Sanremo, e un fil rouge di giochi senza frontiere l'eliminazione di prove schiaccianti e un lavaggio rapido per eliminare effluvi vari di sesso, preservativi e chissà cosa. Per un attimo ho l'immagine che dopo il bacino rapido di saluto a Lorenza ci siano Guido Pancaldi e Gennaro Olivieri che a voce alta scandiscono il loro mitico “an do truà....” Arriva Lorenza con la mimetica verde, anfibi, pistola e manette alla cintura. Già mi viene duro. Suono del campanello. La vedo dalla finestra. Vado ad aprire il cancello e apro la porta di casa. "Cia-oo" "Senta è qui che abita il signor Federico Conti?" con aria ispettiva da forze dell'ordine sorride... "Vieni dai...", le faccio strada nell'ingresso "Mmm un'umile dimora da funzionario della p.a." "Ci tengo a dire che è tutto della mia consorte, io sono solo una specie di inquilino" "Si vabbè… lascia perdere veh" "Perlappunto ti faccio accomodare nel mio studio..." …non so perché ma ho una specie di pudore nello scoparmi le donne in mezzo ai pupazzi delle gemelle e a tutto ciò che riguarda la mia famiglia, una sorta di ipocrita coscienza. "Beh più che uno studio sembra un monolocale... mmmmm e poi io sarei la reazionaria e tu il sinistroso" "Lorenza, non cominciare a fare discorsi stupidi, non è una questione di apparenza è come sei dentro che fa di te un uomo o una donna della sinistra ideologica o della destra"...mi sovviene una canzone di Gaber,.piuttosto intelligente. "Mi sembra che ti stai arrampicando sugli specchi, mister x5 Ducati villettavarano e famigliola felice, Rolex e cazzi vari" "Senti un po’ agente… io anni fa e pochi anni fa, per amore di una donna ho lasciato tutto questo splendore per rintanarmi in un appartamentino con una tipa e due figlioli di un altro..." "Si vabbè… però sei ancora mister American Beauty..." Lei sta guardando verso la finestra e la cingo da dietro... si irrigidisce leggermente, ma dal respiro comincio a capire che il desiderio è forte. "Senti Federico guarda che io..." comincio a baciarla sul collo spostandole i capelli lunghi raccolti. sospira... "Guarda che io non sono abituata a questo genere di cose..." "Lorenza… dicono tutte così non ti preoccupare"…si divincola e si gira verso di me… ha un'aria arrabbiata ma anche divertita e sorride… oggi si tromba. "Sei uno stupido!!!!! Senti un po’ donnaiolo da quattro soldi… guarda che io non la do al primo che capita…"continua a sorridere. "Ma certo… infatti sei in casa di un uomo sposato con tre figli, ma è solo un caso, è che sei talmente innamorata.... sorrido anche io e cerco di essere provocante e la cingo stavolta il mio viso è a pochi centimetri dal suo. "Grandissimo presuntoso testa di cazzo... sono tanti anni che ti vedo e che mi piaci, è che sembri così irraggiungibile.." "Oh ma sei fuori????... io irraggiungibile???....ma se come minimo mi hanno attribuito flirt anche con l'Emilia del bar dell'angolo?????” Non so perché ma da quando, e sottolineo purtroppo, si è sparsa la voce che mi trombavo Monica, di gran lunga la più ambita e figa del palazzo e non solo, le donne mi guardano con un'aria diversa, a volte mi sento un po’ come Rocco Siffredi anche se non per le dimensioni ma forse per una sillogica interpretazione secondo cui, se Monica mi tromba e Monica è speciale, anche io devo essere fuori dalla norma. Lorenza mentre sto pensando mi da un bacio rapidissimo sulle labbra… poi un altro... a quel punto il dialogo si fa molto rarefatto. Comincio a sbottonare la tuta e sotto al verde e alla ruvidità del tessuto c'è solo un reggiseno da paura con due tette veramente belle e sode. Sembrano quasi rifatte ma al tatto sono molto originali. Faccio scivolare verso il basso la tuta verde. Lei rimane a mezzo busto con solo il reggiseno nero. Spalle scoperte e capelli raccolti, la tuta si ferma sul giro vita ostruita dalla fondina e dalle manette. Mi sfila la polo e comincia a slacciarmi i jeans. Si mette in ginocchio davanti a me. Sempre rimanendo con la tuta alla vita si slaccia il reggiseno e se lo sfila, le tette esplodono all'aria aperta con i capezzoli turgidi. Mi abbassa i pantaloni e abbassa pure i boxer e me lo prende in bocca... se non fosse per quelle maledette o benedette pastiglie che prendo, probabilmente, verrei in dieci secondi. Mi sposta sulla mia poltrona girevole e io arranco con i jeans alle caviglie. Lei rimane sempre con la tuta mimetica a seno nudo e succhia... succhia forte. Prende le manette e mi lega i polsi dietro la spalliera della poltrona. Mani bloccate e caviglie bloccate dai jeans. Mi guarda divertita. "Ma sei sano di cuore?...mi sembri un po’… come dire ansimante.." "Mmm senti furbetta aspetta che mi liberi da queste cazzo di manette e ti faccio vedere io..." "Non sarà!....caro il mio dottor Conti" "Ma con tuo marito lo fate sempre così?...vabbè che siete dei militari…o pseudo tali.." "Che vorresti dire mio bel comunista?? ma dimmi… ti hanno mai scopato così le tue amiche dei centri sociali?” Il quadro è questo. Lorenza è a seno nudo mutandine tipo tanga nere e anfibi. Capelli raccolti stile Lara Croft. Io a petto nudo con pantaloni e boxer accartocciati sulle caviglie ammanettato alla mia poltrona girevole davanti alla scrivania del mio bel studiolo. Mi monta sopra, si sposta le mutandine e si infila il cazzo dentro… comincia a muoversi. Io tranquillo per via dei farmaci ritardanti loro malgrado, so già che la farò venire almeno una volta. Sento un rumore come di chiavi che aprono una porta, sono quei rumori familiari che senti tutti i giorni diverse volte, i rumori che significano diverse cose ma tutte rassicuranti… in questo caso dopo una frazione di secondo in cui il rumore sembra rilassante, il cervello elabora e compara le informazioni che lo raggiungono... il cuore si ferma e il sangue si gela... ci sono una serie di subitanee associazioni mentali… chiavi apertura porta… chiavi Chiara... Chiara che rientra a casa voci dei bambini... io sono ammanettato praticamente nudo con una figa in anfibi che si dimena sopra di me... "Mmmmm che c'è fede....?" Lorenza sembra non capire neppure. "Porca puttana levati subito sta entrando qualcuno" "Ooooo ma cosa dici ....?????" comincia ad agitarsi e si leva subito da sopra di me. Ora ha le mani che coprono il seno…sta davanti a me pallida con gli occhi sbarrati. "Porca troia Lorenza ti vuoi vestire cazzoooooooooooooo" Si siede e comincia a togliersi gli anfibi per mettersi la tuta.... Io sono sempre ammanettato. "Lore levami ste cazzo di merda di manette del cazzo" Fruga dentro la mimetica ma ci sono un sacco di tasche e si agita vedo cadere in terra le chiavi della Citroen c3, un accendino.... "Ma sei stordita???? dove cazzo ce le hai le chiavi????" Bussano alla porta dello studio... Faccio segno a Lorenza di spostarsi in una zona invisibile dal cono di apertura della porta dello studiolo, si trascina tipo un granchio, e non si è ancora infilata quella cazzo di divisa "Scusi dottore sono la Lidia… ho dimenticato il cellulare" sento da dietro la porta. Purtroppo la colf apre la porta non tanto per curiosità quanto forse per… o che ne so... in effetti la Lidia in questo caso non si fa proprio i cazzi suoi ma forse vuole qualcosa. Per inciso andrebbe detto che la Lidia malgrado abbia superato i cinquanta è una bella donna e tutto sommato non l'ho mai considerata non trombabile.... In pratica sono dietro la scrivania a petto nudo con le mani dietro alla poltrona. Non è affatto una posizione normale, ma cerco di assumere un 'espressione naturale, come se non mi avesse scoperto con le mani nella marmellata, ma come se il fatto che alle 14 del pomeriggio di fine settembre sia normale stare a petto nudo con le braccia dietro la spalliera a guardare il pc... che per pura fortuna ho lasciato acceso ed emette quel minimo di luce per scagionarmi dalla stranezza del quadretto che vede Lidia... in pratica faccio la figura del segaiolo da web. Ma so che lei è discreta. E poi diciamo la verità ogni tanto una bella seghetta chi non se la fa? "Salve Lidia... stavo lavorando al computer..." "Si, non si preoccupi" e fa un risolino "L'ho trovato, l'avevo dimenticato nel soggiorno..." "Bene salve" "Tutto bene... ha bisogno di qualcosa?"...eh si avrei bisogno che mi finisse di farmi un pompino e che comunque sta testa di cazzo trovasse le chiavi delle manette....... Capitolo 35. 6 settembre giovedì. Fugazza Nabokov. Sono in ufficio, sto cercando di ricordare dove avevo appuntato la data di quell’esame, in realtà non credo sia più necessario coinvolgere una studentessa per farle fare delle ricerche. Del resto gli avvenimenti che ci interessano sono talmente dibattuti e alla luce del sole che non è difficile trovarli e se succederà qualcosa di grosso, dopo ci troveremo tranquillamente nella merda fino al collo. Mi viene in mente una frase che ho letto nel libro di Moretti sulle brigate rosse, lui diceva ai nuovi adepti, “devi sapere che se va bene fra sei mesi sei in carcere, e se va male sei morto.” Voglio andare lo stesso all’esame di quell’Elisa che ho conosciuto a luglio. Io mi fisso con le donne. Però se non ci vado poi, magari non ho neppure il coraggio di riparlarle , ma se devo restare con il dubbio che se ci fossi andato sarebbe nato qualcosa di buono, allora prendo e vado e al diavolo tutto. Ormai non sopporto più una serie di cose e nel podio dell’hit parade, c’è mia moglie Chiara che è assente in tutte le sue funzioni e doveri di moglie, al secondo gradino un lavoro che non reggo più e che mi sta soffocando, anche ieri o mi dimettevo come responsabile del servizio, cosa che mi sarebbe costata una somma come dodicimila euro annui e forse anche di più o firmavo degli atti che facevano venire il vomito tanto erano, palesemente, marchette politiche. Ormai sono ai ferri corti anche con il mio assessore. E questi politici da poco, questi amministratori dei propri interessi, anziché della collettività che rappresentano, non li reggo più. State tranquilli , ancora qualche mese e vi mando affanculo tutti. Ogni tanto mi immagino come uno di quegli squilibrati , in genere statunitensi, che entrano nei palazzi del potere con il mitra e le bombe si barricano e cominciano a far fuori gli ostaggi. Quante volte ho sognato di arrivare con l’mg di Rambo in sala giunta e di cominciare a far fuoco mirando prima al presidente della provincia e a seguire ai suoi leccaculo di assessori. La cosa che mi rincuora è che è uno di quei sogni ad occhi aperti che, lavorando nella pubblica amministrazione, si fanno spesso. È un po’ il frutto di quella dipendenza dal potere politico in cui si trovano i poveri impiegati della p.a. che costituzionalmente dovrebbero essere neutrali. Neutrali un accidente, qui appena sanno che hai delle idee differenti dalla moda ti fregano appena possono. E io vi scarico tutti i 250 colpi del nastro della maschinengewehr. Mentre lo penso mi spiace solo per gli schizzi di sangue che sporcano gli affreschi del settecento. Ma credo poi si possano in qualche modo ripulire. Mi squilla il cell. È Giovanni. “Fede” “Dimmi” “Hai un minuto o ti rompo?” “No, stavo cercando la data di quell’esame a Bologna…” “Ah” “Non ricordo dove cazzo l’ho scritto, ormai sono invaso di post it e dopo qualche giorno mi trovo sulla scrivania appiccicati numeri di telefono, importi in euro nomi che fatico a ricordare a cosa si riferiscano.” “Senti un po’, stavo guardando la posta del Fugazza” “Di grazia…e bravo il mio …crecher ahahahahah” “Si infatti, era qualche giorno che aprivo quella chat, e trovavo sempre sto romanodoc, pensavo fosse un omonimo del nick usato dal Fugazza” “E invece?” “Allora mi vado a vedere la posta, e porcaputtana il tipo sta corrispondendo a suon di centinaia di caratteri con una ragazza che ha conosciuto giorni fa, direi quasi con assoluta certezza dopo che noi siamo usciti” “E vabbè dai son cazzi suoi” “O fede quanti anni ha il Fugazza? Ce n’avrà una cinquantina no?” “Eh si, forse anche qualcosa in più, ho guardato su anatel ma non ricordo” “Eh beh fatto sta che la tipa ha diciotto anni scarsi” “Santo cielo, bel colpo, ahahaha sto coglione, non vedo l’ora di dirlo a Paola” “Sta calmo, qui son cazzi, non mi sembra uno tanto affidabile” “Dimmi un po’ come si chiama la lolita” “Mmmm aspè mi devo rileggere qualcosa, ti dico solo che si sono già dati il numero di telefono” “Scusa ma la lolita sa…come dire? di essere lolita?” “Credo lui si sia un po’ abbassato l’età , comunque sa che lui è ricchissimo e che è un manager, Probabilmente la lolita si credeva di chattare con Montezemolo e magari si arranza con i vecchi, alla moda di “melissa p”” “Beh ricchissimo…ahaahahahahah” “Si insomma, crede che lo sia, e comunque deve aver dato la percezione del manager rampante” “Decaduto” “Quello immagino lo abbia omesso, si chiama Erika e ….” “Mi serve data di nascita o almeno il segno zodiacale , e di dov’è” “Aspè che faccio una ricerca di stringa nelle email” “Sto cazzone, ma te le sei salvate tutte?” “O Fede non volevo stare tanto collegato alla sua casella di posta” “Ma quello non se ne accorge, ma lo hai inquadrato come tipo o no? Non toccava davvero la tastiera sul lavoro , i manager di una volta avevano il pc sulla scrivania adesso quelli che comandano davvero hanno si e no il cellulare, e sta sicuro che finchè lui stava alla Tecnoi comandava eccome, nemmeno il caffè si prendeva da solo” “Ecco fatto, ha diciotto anni o così dice, quindi è nata nel 1989 o al massimo 1990, pare sia dei pesci” “Ok, aspettami che apro anatel e metto dentro, i dati, proviamo con Roma, se siamo fortunati…” “In effetti sembra aver fatto riferimento ad un liceo che…aspè…ecco liceo classico Plauto , appena fuori dal raccordo anulare” “Son cazzi , ce l’ha pure vicina…tombola” “Che c’è?” “Erika Trinca roma 4 marzo 1990…il Fugazza è candidato alla galera per pedofilia” “Poi mi dici che sono un cracker, e tu? Che in un minuto ti trovi la donzella?” “Tanaca, se non mi davi tu quei dati non trovavo una seppia” “Dabbene…senti Fede, non vorrei davvero combinasse dei pasticci” “Ok Giovi, magari tienilo d’occhio, ci sentiamo poi per gli aggiornamenti del caso a voce o per vie più ….discrete, ho una persona che aspetta fuori dall’ufficio ” “Ciao Fede” “Ciao” sms to Paola il tuo inge sta facendo sesso virtuale con una di sedici anni sms Paola to Fede invidioso sms Fede to Paola si, ma è di roma e di fisso si vedranno e lui andrà in galera ahahahah, e cazzo rido che perdo il mio gancio sms Paola to Fede fatevi i cazzi vostri impiccioni sms Fede to Paola sisisi difendilo anche…a dopo, poi ti scrivo baci sms Paola to Fede baci Capitolo 36. Telefonata a Paola. “Buonaseeera”..sono ancora in ufficio e sono le quattro circa, ho chiamato Paola al telefono. “Ciaoo” “Allora hai capito l’ingegnere ahahahah” “E smettetela, fa-te-vi gli affari vostri” “Parte gli scherzi c’è da fidarsi? Mi sembra abbia preso una bella cotta per una ragazzina conosciuta in chat” “Ma che ne so….. te l’ho detto che è alla frutta, pensa che a volte mi chiama e mi da gli ordini come se lavorasse ancora qui, ma forse te lo avevo già detto” “A me è parso sempre uno tosto, un tipo determinato” “Seeeeeeee, avresti dovuto vederlo qualche tempo fa, voi non avete visto che lo scheletro di quello che era, e non in senso fisico , ma in quello mentale e psicologico, ora è vulnerabile , prima era un pezzo di merda assoluto, e in definitiva lo rimane pure adesso, non mi fa pena.” “Una cosa che mi è venuta in mente mentre stavo lavorando poco fa” “Lavori?” “E non rompere i coglioni, guarda che i dipendenti delle pubbliche amministrazioni non sono tutti come a Roma, che si imboscano da tutte le parti e sono specializzati in caffè e cornetto a ripetizione” “Si vabbè, come al solito lavorate solo voi milaneeeeeesi” “Pigliali pure per il culo ma ti assicuro che a milàn l’han davvero un ritmo fuori dal normale, qui in Emilia già siamo più gaudenti anche nell’approccio al lavoro” “Eh si, trombate anche in ufficio” “Beh po’ esse…e comunque non saremo nemmeno gli unici” “Eeeee si vabbè, con te si finisce sempre per parlare di sesso” “A romaaaaaa!!! Ma se l’hai tirato fuori tu” “Nono sei tu che hai detto gaudente” “Si ma era in un significato di godimento non sessuale ma di approccio alla professione…vabbè ma vaffanculo eh? Non ricordo più cosa…ah si, ma chi si occupava del servizio di sicurezza alla Tecnoi?” “Beh c’è un contratto con una ditta di vigilanza” “No, ma , cioè , ti spiego meglio, se serviva una specie di guardia del corpo, un autista” “Il presidente ed i nipotastri hanno l’autista, però non è un body guard” “Ma non è mai capitato che lo chiedessero?” “Ricordo in effetti che una volta il presidente chiese al Fugazza se conosceva uno di quegli autisti che facevano anche un po’ da gorilla, non ricordo bene perché, forse doveva andare da qualche parte dove c’era un po’ di casino, forse c’erano delle manifestazioni a Roma, boh Fede non mi ricordo” “Si ma perché al Fugazza? Perché lo chiese a lui?” “Credo che il vecchio si ricordasse che lui aveva degli amici, qualcuno forse della Roma bene che per far sfoggio e non credo davvero per reale necessità andava a far shopping in via del Corso con uno o due di quei gorilloni con auricolare abito scuro e coda di cavallo modello buttafuori da locale” “Quindi glielo procurò?” “Non ricordo” “Ok, scriverò due righe al Fugazza” “Ma che problema hai, qualche marito cornuto che ti vuole fare la festa?” “Che rompiscatole che sei, poi mi fai sempre parlare come uno scaricatore accidenti a te , poi vado in conferenza dei servizi con il direttore generale e davanti a tutti i funzionari schierati parlo che sembro quello che si legge dal labiale di un calciatore dopo che si è fumato un gol” “Che manica de fighetti che siete” “Ma rivaffancuolo eh?prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr” “Dai tira fuori il vero Federico, quello della periferia nipote di un carrozziere ihihihih” “Dai vado che ormai esco dall’ufficio, mi aspetta una serata in casa in compagnia di Chiara che mi rivolge a stento la parola e di tre figli incazzati che si menano di continuo” “Vedrai, fra qualche anno te menano pure a te” “Questo è sicuro, speriamo che menino un po’ anche la madre ahahahah” “Ci sentiamo, buona serata Federico e non spaccare troppo le uova al Fugazza” “Trenqui, un bacio ciao” Mi stavo domandano se le scorte a tutti i personaggi della politica, anche le vecchie cariatidi sono sempre fornite dal servizio pubblico o sono talvolta in mano a delle agenzie. Mi sembra difficile. Dobbiamo riuscire a sapere chi sono gli uomini della scorta del Valle. Capitolo 37. Bologna. 10 settembre. Lunedì. Ore 15. Non sono affatto sicuro che sia una buona idea coinvolgere qualcuno di nuovo, anche se solo per effettuare le ricerche di tipo storico politico. Abbiamo poco tempo, e l’idea romantica e sessantottina di cercare adepti per operazioni rischiose in una facoltà, sembra sempre più una favola. Quella studentessa mi è rimasta impressa e in mezzo alla mancanza di emozioni degli ultimi mesi, nel post Monica e nella tirannide di mia moglie Chiara e dei marmocchi, ho bisogno di un diversivo.Le mura del palazzo provinciale mi stanno strette, è stupido fare l’infiltrato nell’ateneo ma non posso esimermi da un comportamento tanto idiota, ha troppo fascino. Questo è quello che sto pensando quando con la x5 entro nel solito Star garage. Il tipo mi guarda con la solita espressione, si sta ovviamente domandando perché uno sfigato con capelli lunghi e jeans, né tipo pusher né tipo figlio di papà, né tanto meno modello manager rampante, sia appena sceso da un’auto che costa cinquantamila euro. Immagino pensi che i soldi per comprare il fuoristrada non me li sia guadagnati, ed in parte sta pensando una cosa giusta. Sto già camminando sotto i portici di via Indipendenza diretto in facoltà. Una cosa che so usare perfettamente è internet, e ho impiegato poco a trovare data e orari dell’esame di quella ragazza. Difficile mi potessi ricordare a distanza di più di un mese di che esame si trattasse, ma lo avevo appuntato in uno di quei maledettissimi post it che tappezzano la mia scrivania, e come al solito sono impazzito a cercarlo. Era rosa, e c’era scritto solo il titolo dell’esame, sotto due numeri di telefono sconosciuti e un 10/9 che ho scoperto dopo aver consultato il sito della facoltà, essere la data dell’esame. Avevo un vago ricordo che si trattava dei primi di settembre ma non ho collegato quella che aveva l’aspetto di una frazione matematica con la data che avevo diligentemente appuntato a luglio. Sono davanti all’aula che mi hanno indicato essere quella dello scritto di storia delle dottrine politiche. Non ci capisco nulla, all’epoca che frequentavo la Sapienza a Pisa, non ricordo nessuna prova scritta, forse adesso sono più simili a concorsi pubblici per titoli ed esami, che ai saggi che si facevano a scuola. Sono talmente vecchio che ricordo meglio l’esame di quinta elementare che l’ultimo dove mi hanno cacciato fuori, o forse sono quelli gli unici due che ricordo. Sono davanti alla porta chiusa e sono quasi le quattro, nessuno esce e mi vergogno ad aprirla. Non so nemmeno se riesco a riconoscere quell’Elisa che mi era sembrata tanto simpatica. Mi sfugge il suo viso, come succede quando qualcuna mi piace e non la vedo spesso. Ricordo le sembianze ma il viso è come se avesse un buco trasparente, ricordo gli occhiali , la frangetta, ma sotto il vuoto; ci vedo attraverso. La porta si apre e mi ritrovo a fare una specie di sobbalzo, ma forse è solo una mia sensazione, sta uscendo un ragazzo con uno zaino. Ha una faccia piuttosto sfigata, sto pensando di chiedergli qualcosa quando gira subito l’angolo e l’ho irrimediabilmente perso, anzi ho perso il tempo, se abbandono la postazione rischio di perdere la tipa per chiedere a lui qualche informazione stupida. La porta si riapre e adesso ho una postazione migliore per scorgere che all’interno ci sono circa una trentina di persone, almeno dallo spiraglio che mi si presenta. Ovviamente in quei cinque o sei secondi non riesco a mettere a fuoco nessuno, solo un insieme di visi sconosciuti. Sono appena uscite due ragazze, alte e dall’aspetto piuttosto clonato, jeans a vita bassa, Superga, magliette leggere visto il caldo del pomeriggio bolognese, borse di marche che non conosco. Una prende in mano il cellulare e l’altra rimane per un attimo senza far nulla, guarda verso di me, mi avvicino e le chiedo in un lampo di pazzia: “Scusa conosci una ragazza che si chiama Elisa?” Sguardo vuoto. Nel frattempo si sta accendendo una sigaretta. “Elisa…..?” “Credo che dovrebbe essere ancora dentro” aggiungo. “No, guardi Elisa, proprio non mi dice nulla” Per un attimo mi viene in mente una volta che stavo uscendo dalle scuole medie 2 giugno della Spezia. C’erano forse un duecento alunni di almeno due o tre quartieri differenti, ad un certo punto mi ferma un signore in giacca e cravatta e mi chiede: “scusa sai se è già uscito Giancarlo?”, non conoscevo affatto quel tipo, e mi pareva talmente comico che mi chiedesse se era uscito suo figlio chiamandolo solo con il nome di battesimo, come se ci fosse solo lui con quel nome.In effetti era probabilmente l’unico Giancarlo della scuola, ma alle medie i bambini scoprono l’utilizzo barbaro del cognome ed il nome di battesimo diventa un ricordo della scuola elementare, la cosa ancora più buffa è che quel Giancarlo abitava nel mio quartiere e per quanto poco lo conoscessi, il nome e cognome lo ricordavo bene , allora risposi all’uomo, “Passalacqua?” collegando il nome del bambino al cognome come se fossero due parole di una strofa musicale, il padre con occhi illuminati e quasi fieri mi rispose “Si, certo” io gli dissi, “non è in classe mia , non so se è già uscito “ e guardai indietro per vedere se in effetti fosse in arrivo. In quell’esatto momento mi sentivo il signor Passalacqua, e risposi alla ragazza con in bocca la sigaretta un laconico e triste,a causa del Passalacqua, “ok, grazie.” Spero almeno che il lei sia dovuto al fatto che potrei essere un professore o un assistente e non il padre di Elisa. La porta si riapre, ora dallo spiraglio si notano meno studenti e c’è più movimento, stavolta escono più di due persone e mi viene l’ansia di non riuscire a scorgere la ragazza. Se fumassi mi accenderei una sigaretta, visto che siamo in una specie di chiostro, ma ho smesso. Mi metto a giocherellare con il cellulare facendo finta di mandare sms, ogni tanto alzo la testa, ormai ho perso il conto di quanti studenti siano usciti. Altre due ragazze escono, ed ecco che il volto trasparente prende colore, è come un quadro che appare velocemente come se l’avesse dipinto un pennello invisibile e qualcuno l’avesse filmato mandandolo poi a velocità frenetica modello film muto Koyaanisqatsi. Come mio solito, perdo il tempo giusto per fermarla e sembra diretta verso l’angolo ma, questa volta il destino mi da un’altra possibilità, una delle ragazze ferme vicine all’uscita dell’aula la chiama per nome, lei si gira, le sorride e congedando la collega a fianco, ritorna verso di lei, e verso di me che sono pochi metri lì a fianco, ho come l’impulso di andarmene dalla parte opposta e sto già arrossendo e lo sento, e più lo sento e più arrossisco. Facendo un rapido calcolo essendo due anni che non prendo il sole come si deve e visto il mio carnato chiaro simil-anglosassone, in questo momento devo essere simile ad uno che si è addormentato due ore sotto la lampada raggi uva. Le ragazze si scambiano un bacino, e cominciano a parlare, malgrado io sia vicino, non sto a sentire perché continuo a far finta di mandare sms. Ogni tanto alzo la testa sperando che mi veda e si ricordi. Ad un certo punto mentre parla ed è girata verso di me, ho l’impressione che mi riconosca, allora le faccio un segno, un po’ goffo, una specie di saluto con la mano. Non vuole essere il ciao dei bambini ma non è neppure un gesto molto elegante. Forse ho imitato il cenno di saluto di Tom Cruise a Rebecca de Mornay che conversa con un cliente nel film Risky business, quando la ritrova dopo che lei gli ha elegantemente svaligiato la casa la notte prima. Ma mi sento molto poco Tom Cruise, anche se in quel film l’attore è poco più che adolescente. Resto sempre a trafficare con il cellulare che in questi casi è un bell’appoggio. La conversazione con l’amica probabilmente dura solo due o tre minuti, ma per me è un tempo eterno e mentre schiaccio i tasti del cellulare mi sembra che questo sia diventato di burro, e il pollice affondi dentro e lo trapassi arrivando a toccare il dito medio. Sono nervoso e se continuo così non avrò più un telefono mobile. C’è un minuscolo lasso di tempo durante il quale non so ancora se, dopo aver salutato l’amica, Elisa si avvicinerà oppure se ne andrà senza degnarmi del minimo sguardo. Alzo gli occhi la cerco è senza dubbio diretta verso di me sorride. “Ciao” “Ciao” Aggrotta le sopracciglia e alzando il dito indice dice: “Dove ci siamo conosciuti? Fammi pensare” “Qui in facoltà, io cercavo il calendario degli esami e tu mi hai pestato un piede” “Ah è vero, quel vacca boia pensato a voce alta!” “Si, fa lo stesso , per quello ti ho già perdonato” “Ora ricordo dovevi dare un esame il giorno che io avevo lo scritto , vero?” “Si, cioè no, cioè dovevo assistere agli esami di costituzionale, a proposito come è andato lo scritto?” “Questo?”dice indicando la porta. “Mmm” annuisco con un elegante verso da bovino. “Boh, spero bene” “Allora è stato utile seguire gli esami?” “Mah, a dire il vero non credo che lo darò più” “Che intendi?” “Ho deciso di smettere” “Di fumare?” sorride. “Si anche quello, no a parte gli scherzi, non credo di farcela più a studiare e lavorare allo stesso tempo” “Non è facile certo, fai un lavoro molto impegnativo?” “E’ un lavoro abbastanza impegnativo ma ho diversi pomeriggi liberi” “Ah, che fortuna!” “Si, non voglio fare il misterioso, è che non è un lavoro interessante , mi occupo perlopiù di numeri e scartoffie, insomma un lavoro da vecchio burocrate” “Non sembri un impiegato del catasto” “Eh si in effetti non lavoro al catasto” se continuo così rischio di chiudere io stesso la conversazione, anche perché la ragazza sembra cominciare a muoversi. “Ho uno zio che ci lavora” sorride. “Ah che fortuna!” le faccio un po’ il verso e lei ride. “E dunque scusa se sono sfacciata sei venuto a fare la rinuncia agli studi?” “Vero, la farò poi, no, in realtà stavo cercando un’amica che doveva darmi delle informazioni” sto inventando di sana pianta e arrampicandomi su una superficie vetrata con pure l’olio sopra, e tirar fuori la fantomatica e inesistente amica è simile all’autogol per il quale il difensore della Colombia Escobar fu ucciso dopo aver causato l’eliminazione della nazionale ai mondiali del 94. “Ah, ok” “Ti chiedo un’informazione” “Dimmi” “Per caso conosci qualcuno che ha fatto delle tesi sui presidenti della repubblica?” “Mah, a parte che non conosco tante persone che hanno fatto la tesi, direi di no, non so, se vuoi posso chiedere” “No, ti spiego, con degli amici stiamo scrivendo alcune cose sugli avvenimenti politici dell’Italia passata, e ci serviva qualcuno veramente esperto su alcune fasi della storia della repubblica, presidenti compresi” “Interessante” anche se dal suo viso traspare tutto tranne che curiosità. “Vabbè non è importante, senti io sto andando a prendere l’auto, ti posso offrire un caffè?” “Certo ti ringrazio, io pensavo di andare a casa a piedi, abito dopo la stazione e scendo per via Indipendenza, tu dove hai parcheggiato?” “Ho messo l’auto in garage, in via Amendola” appena ho pronunciato la parola garage mi sarei dato una martellata nei testicoli. Uno studente che mette l’auto in garage, comincio a diventare poco credibile, fortuna che con i jeans sporchi, una polo bianca per fortuna Lacoste e non Ralph Lauren sembro abbastanza anonimo, e i capelli raccolti danno un tono un po’ alternativo insieme alla barba incolta a macchia di leopardo. Ho questo cavolo di Rolex ma potrebbe essere un falso o un regalo per l'appunto. “In garage?” eccoci arrivati al punto. “Si, ero in ritardassimo e sono un po’ imbranato con i parcheggi a Bologna” “Ma tu di dove sei? Hai un accento che non riesco a mettere a fuoco”. Mentre parliamo camminiamo a fianco e ci dirigiamo verso i portici di via Indipendenza. “Io sono originario della Spezia, ma vivo a Parma da tanti anni” “Ah, e a Bologna?” mi guarda un po’ sorpresa poi aggiunge “scusa se ti faccio tante domande ma è così un po’ per conoscersi, no?” “Figurati, anzi scusa se a volte ti sembro un po’ sintetico nelle risposte ma non sono di tante parole” ridacchio un po’, e mi sento sempre più idiota. Questa ragazza mi piace davvero. La sto guardando mentre camminiamo, oggi ha una maglia abbastanza scollata, rossa, che lascia intravedere delle tette non grosse ma di quelle che non hanno bisogno di reggiseno imbottito, il rosso richiama la montatura degli occhiali e le ballerine molto scollate, jeans a vita bassa, mi da l’impressione di essere più magra rispetto all’altra volta ed è alta quasi quanto me anche con le scarpe a livello suolo. Dai jeans escono dei boxer tipo da uomo, per fortuna nessun perizoma. “Sono venuto a Bologna perché le cose che stiamo scrivendo in un certo qual modo ci riportano qui, poi magari se ti interessa ti spiego meglio, tu invece sei di Bologna” concludo la frase in modo affermativo, tanto per dare l’impressione del tipo sicuro di se. “No, non sono di Bologna, ho la casa qui ma sono di Modena” “Pensavo facessero i pendolari quelli di Modena” “Si ma io vivo nell’Appennino, a Pavullo, conosci?” “Non ci sono mai stato, ma lo conosco, avevo una zia che era originaria di…. Mi pare Soliera o insomma una frazione lì vicino, un paesino che si chiama Vesale ma non ci giurerei” “E’ vicino a casa mia! Che coincidenza! Ma non è vicino a Soliera, è verso Sestola” “Si ecco, ricordo da bambino di essere stato a Sestola, non so perché mi è venuto in mente Soliera , forse ci lavorava qualche altro parente” “Si è possibile, che strano pensa che ho anche un paio di amici che abitano a Vesale” “Io ricordo una cugina che si chiamava Francesca, ma, beh, si insomma non ha proprio la tua età “ rido. “Perché quanti anni mi dai?” “Sembri giovanissima e comunque non sembri davvero fuori corso” “Dai su su spara…” “Ventuno?” “Quasi…ne ho ventidue, e tu?” “Lasciamo perdere” per un attimo guardo se mi sono tolto la fede. “Va bene provo ad indovinare, dunque lavori e studi e fatti guardare” si ferma e mi fissa. “Allora hai un orologio che costa un sacco di soldi quindi lavori già da un bel pezzo, poi metti l’auto in garage anche se fai finta che sia casuale, e..” “Ehi accidenti, piano piano, fai troppe congetture, il Rolex potrebbe essere falso” “Ma tu non sembri il tipo da Rolex falso, non almeno uno che ha le Munich ai piedi” e indica verso il basso guardando le mie scarpe” “Ma sono false pure quelle” rido io. “Noooo, non esistono le Munich false, sembri un po’ un tipo che ha tanti soldi e si vergogna ad ammetterlo per paura che la gente lo giudichi…filo Berlusconi? “ e ride di gran gusto. E in effetti mi fa ridere pure a me, ha fatto un’analisi sconcertante e nota molto i particolari. “Ne ho tanti…di anni” “Io dico trentadue” “Si più o meno” “Più o menoooo?” “Dai ne ho trentanove a ottobre e non fare commenti” “Ma smettila!!!” “Guarda non ti faccio vedere la patente perché mi vergogno della foto” “Ti giuro che ne dimostri al massimo trentacinque” “Ma nooo, sono i capelli lunghi” “Vabbè come credi ma ti assicuro che se non era per l’orologio avrei detto pure meno” sorride, nel frattempo siamo arrivati sotto i portici. “Va bene se ci sediamo lì?” indico un tavolino di un bar “Ok” Ordiniamo un caffè, per vergogna non lo prendo decaffeinato, cosa che faccio sempre così dopo aver bevuto sarò ancora più nervoso. “Parlami del progetto a cui lavorate” “Mah, è una cosa ancora così in cantiere…” mentre sto cominciando a parlare mi chiedo come una ragazza così possa essere senza fidanzato, e poi mi domando anche come mai penso che sia senza partner. “Questa estate io e alcuni miei amici abbiamo visto un video inedito della strage di Rimini, quella del 1980, hai presente?” “Si certo, ehi ricorda che studio scienze politiche” sorride “Hai visto anche tu il video?” “No, ho visto dei filmati ma non so se sono quelli che dici tu” “Quello che dico io è un video inedito girato da due cameramen di una tv locale di Rimini girato subito dopo l’esplosione, un filmato inedito in forma integrale” “No, quello non credo di averlo visto, si trova su youtube? È un sito di shareware” “Lo so cos’è youtube, ho trentotto anni non ottantatre” lei ride. “Scusa dai scherzavo” ride ancora. “Non ho mai cercato su youtube, uno dei miei amici l’ha registrato, ma ci è bastato vederlo una sola volta” “Ma Bologna che c’entra con la strage?” “L’associazione familiari delle vittime ha la sede qui vicino e , ho incontrato il presidente” “Ah, molto interessante, e voi cosa vorreste scrivere?” “E’ una sorta di analisi dei fatti scritta trent’anni dopo e vista con l’ottica della nostra generazione e se possibile anche con quelle di chi non era ancora nato” e la indico. “Bello” “Per questo cercavamo il supporto di qualche studente, e qualcuno che ci desse una mano per la parte storico politica, purtroppo non abbiamo tutti il medesimo tempo da dedicare alla cosa. E ormai siamo vecchi per fare ricerche e cose simili” “E l’amica che dovevi incontrare vi avrebbe aiutato?” questa storia dell’amica fa acqua da tutte le parti, ma non so come venirne fuori. “Non è proprio una mia amica, è una persona che ha contattato uno dei miei amici, ma quegli stronzi non hanno tempo per venire a Bologna” “Ma tu sei iscritto o no?” arrossisco e sento che sto arrossendo come al solito. Opto per la strada della sincerità, o almeno una mezza verità per adesso. “A dire il vero no, cioè ero iscritto tanti anni fa a Pisa, ma a luglio ero qui per vedere in effetti quando c’erano gli esami e comunque avrei voluto contattare un professore o parlare con qualcuno che ci potesse dare un supporto tecnico, dal punto di vista giurisprudenziale” “Si , va bene, scusa se faccio tante domande è che mi sfugge qualcosa forse” “No scusa tu hai pienamente ragione, magari poi posso spiegarti meglio, sempre che ti interessi” “Certo , ti ringrazio, magari poi ci scriviamo, se ti va ti lascio la mia email” “Ti do il numero di cellulare se non ti crea problemi poi magari via sms ti mando la mia email così se hai un po’ di tempo ti spiego meglio” “Benissimo, dimmi, così ti chiamo subito e puoi memorizzare il mio” “340**********” “Vodafone?” “Si perché” “Aspè guarda” mi squilla il mio e compare un numero sconosciuto che comincia per 347 “Bene abbiamo il solito gestore telefonico, un segno del destino” dico la cosa con una certa enfasi suscitando un bel risolino da parte sua. “Senti non ti offendere ma ti devo confessare una cosa” le viene un tono serio e comincio a preoccuparmi per davvero. “Dimmi” “Non ricordo affatto come ti chiami” “Federico” “Ok, piacere di nuovo, Elisa” si lo ricordavo “Ecco, aspetta un attimo adesso so come memorizzare il numero” ride. “Vero….altrimenti cosa avresti scritto? Ricco pentito?” e ride ancora. Ci alziamo e ci salutiamo, mi porge la mano, sperare in un bacino era fuori luogo, e non mi sarebbe neppure piaciuto. Sono già sulla x5 con l’aria condizionata al massimo, contentissimo di avere il suo cellulare, sono straconvinto che risponderà subito agli sms, ma non sono sicuro quando mandare il primo, farò il viaggio pensando a cosa scrivere, dall’entusiasmo sto perfino perdendo di vista cosa ci sono andato a fare a Bologna o meglio a cosa mi serve una studentessa di ventiduenne. Capitolo 38. Sms Fede to Elisa Se quando hai un po’ di tempo mi mandi il tuo indirizzo email ti scrivo con calma riguardo al progetto di cui ti accennavo Come al solito non riesco ad essere sintetico negli sms, è segno di vecchiaia una persona giovane non scrive più di decina di parole. Elisa to Fede HYPERLINK "mailto:[email protected]"[email protected] a presto ciao Ho pensato di non rispondere per non essere banale, rido da solo perché è talmente evidente l’interesse per questa ragazza, mi faccio troppi problemi e non riesco ad essere naturale. Capitolo 39. 11 Settembre Martedì .ore 14,15. Parma. Un padre da poco. Sto guardando il cellulare in attesa di una bustina con il nome Elisa, ma come pensavo non scrive di sua iniziativa, aspetterà la mia email. Sono in auto fermo al semaforo e sono appena uscito dall’ufficio, sto andando a casa. Picchierello sul volante come se suonassi il bongo. Penso che questa cosa non sia un segno di serenità, ma di inquietudine. Sono giorni che Chiara è strana, bene inteso che sono mesi che il nostro rapporto non è quello che si potrebbe definire il rapporto tra moglie e marito, sembriamo una specie di soci e neppure di quelli che vanno d’accordo. Con i figli resto pochissimo, in pratica li vedo solo a cena, se ne occupa in parte Chiara, per una parte molto piccola, e in gran parte la loro tata, anche la nonna materna si da un gran da fare, i miei genitori abitano a Spezia e i bimbi li vedono ogni tanto e soprattutto li vedono quando ci siamo anche noi, malgrado ciò devo dire che sono affezionati allo stesso modo ai nonni materni che a quelli paterni. Sto riflettendo che sono un padre che vale poco. Come marito le mie azioni sono in ribasso, non che mi importi molto. Forse per questo cerco di fare qualcosa di grosso, qualcosa che mi faccia salire l’autostima. È verde e sono ancora fermo, fortuna che subito dopo pranzo c’è un momento in cui le strade di Parma sono deserte, tanto è che il semaforo diventa rosso e devo ancora partire, sempre impegnato nelle mie bongo-riflessioni. Davanti a me ho una Volskwagen Touareg. Mi ricorda un preciso momento di uno o due anni fa, mentre stavo tornando dalle vacanze in montagna. Eravamo in auto con tutta la famiglia, fermi nell’ennesimo e immancabile rallentamento-coda dell’autostrada del Brennero, fra Trento e Verona, ricordo il caldo soffocante e le due serpentine di auto che nelle rispettive corsie si muovevano a singhiozzo, prima la corsia normale poi quella di sorpasso. Sono quelle situazioni in cui dopo qualche minuto cominci a conoscere i tuoi vicini di coda, soprattutto quelli dell’altra corsia, li vedi a fianco , li studi, quelli con i bimbi hanno il dvd appeso ai sedili esattamente come il tuo… Una cosa che mi rimase impressa in modo indelebile furono due auto tedesche, forse targate Monaco, una Touareg, dove c‘erano un uomo sulla trentina, belloccio con occhiali da sole e due bambini dell’età in cui diventano di compagnia anche nelle code più terribili, sui dieci anni , quando qualsiasi cosa è fonte di curiosità e gioco, entrambi visibilmente eccitati per la vacanza. L’altra auto era una Peugeot 307 cabrio, scoperta malgrado i trenta gradi e il sole cocente, seduti a bordo c’erano una bellissima donna, ed insieme a lei una bambina. Capii che erano una comitiva di due auto quando dalla cabrio la bimba, sporgendosi dai sedili posteriori, passò un pacchetto di sigarette al bimbo del touareg, era evidente che erano una sorta di famiglia spezzata, il papà si accese la sigaretta in preda ad astinenza da ingorgo autostradale, tutti e cinque ridevano, e stavano andando verso il mare italiano , pervasi dall’entusiasmo del viaggio che dà inizio al periodo di ferie. Io e Chiara seri, frustrati dalla coda,i bimbi silenziosi che guardavano non so cosa nel car entertainment, vacanza finita e felicità di coppia inesistente. Un forte sentimento di invidia mi investì e cominciai a favoleggiare su quella coppia, forse erano una vera famiglia benestante che aveva deciso di portare al mare le due auto, il fuoristrada per stivare i bagagli e la cabrio per le gite durante la vacanza, ma chissà perché ebbi l’impressione dei due amanti che finalmente liberatosi del peso dei rispettivi vecchi partner facevano finalmente una vacanza insieme, ognuno con i propri figli, e in loro percepivo l’ansia e l’emozione di ritrovarsi alla sera una volta addormentati i bimbi, nel letto insieme. Davanti a loro il futuro e l’ebbrezza della novità, davanti a noi la noia della solita routine. Fu una sorta di parabola esistenziale, il tutto solo per un passaggio di sigarette da un auto ad un'altra. Per un attimo nella Volkswagen c’ero io con i miei figli e nell’altra Monica con i suoi. Penso che Chiara abbia un altro uomo. Non è che io sia particolarmente geloso però non sopporto di essere preso in giro. Ho voglia di andare a controllare il pc del suo ufficio, potrei anche far craccare la password da Giovanni, ma mi secca particolarmente coinvolgere i miei amici in queste cose, non ho vergogna però preferisco regolare i conti sentimentali senza l’ausilio di nessuno. Credo che Chiara abbia agito diversamente in passato, probabilmente sia lei che mio suocero mi hanno messo alle costole diversi investigatori, quelli che ti fanno pure le foto e te le consegnano in una busta aperta chiedendoti se le vuoi vedere e anticipandoti che ti faranno male….ma chi direbbe: “le stracci pure”? Nessuno ha mai osato dirmi nulla, se lo hanno fatto entrambi, padre e figlia, si sono tenuti il segreto senza accusarmi di nulla. Ovvio però che Chiara si sia fatta gli affari propri. Insomma una bella società dello squallore. In fondo i bimbi sono pure contenti, sono un po’ i classici bambini alienati da pubblicità e televisione ma in questo non sono poi dissimili dai loro coetanei, eccezione fatta per i figli dei protagonisti dei romanzi di De Carlo. Non sono bambini soli, hanno tanti affetti, magari manca loro l’amore fra il padre e la madre. È difficile dire come andrà a finire questo progetto assurdo, ma è verosimile che fra qualche mese non sarò più con la mia famiglia. Non so nemmeno se la cosa mi dispiaccia, ormai mi sento soffocare. È un atto egoistico, ma è una sorta di bere o affogare, non so cosa potranno ricordare del padre, forse non saranno neppure orgogliosi, forse si vergogneranno, ma non si possono avere simili pensieri quando si vuol portare a termine un progetto come il nostro, come il mio. Spero sia l’ultima volta che mi debba confrontare con questi pensieri e queste sensazioni, voglio andare dritto alla meta. Guardo l’orologio. Il datario segna 11. Una volta vedendo il filmato dei presunti kamikaze delle torri gemelle mi chiedevo a cosa pensassero mentre mangiavano un hamburger prima di imbarcarsi nel loro volo suicida…ma forse quelle persone nemmeno sono esistite. Mi domando cosa possa servire andare a curiosare sul computer dell’ufficio di Chiara, forse sto cercando un alibi per quello che sto facendo?