Camoenae Hungaricae 1(2004)
LIBRORUM EXISTIMATIONES
IANI PANNONII POËMATA, I–II (UTRECHT, 1784)
Edizione anastatica con l’introduzione di Gyula Mayer,
Budapest, Casa Editrice Balassi, 2002.
IANI PANNONII OPERA OMNIA (CD-ROM)
A cura di Péter Kőszeghy, Tamás Sajó, Budapest, Casa Editrice Balassi, 2002
(Studiolum Hungaricum, 1).
Potrebbe sembrare sorprendente che si
scriva di due opere nella medesima recensione, ma credo che in questo caso sia
opportuno, siccome esse hanno lo stesso
soggetto e la stessa funzione. Il facsimile
dell’edizione dell’opera di Giano Pannonio
in due volumi curata da Sámuel Teleki e
pubblicata in Utrecht nel 1784 viene accompagnato dal saggio in ungherese e in
italiano di Gyula Mayer. Il saggio descrive
le fasi della realizzazione della pubblicazione, le fonti elencate nella prefazione e i
testi di Pannonio pubblicati fin d’allora.
Riporta inoltre anche l’indice del testo, che
nell’originale mancava, perché realizzato
solo in un secondo tempo.
L’edizione curata da Sámuel Teleki è di
particolare rilievo soprattutto perché facendo la rassegna degli errori e delle deficienze
delle precedenti edizioni offre un testo più
completo, ma al tempo stesso più limato,
una vera e propria edizione critica. Le circostanze della prima pubblicazione sono
attestate dalle annotazioni e dalle lettere
custodite nella Teleki Téka, una collezione
situata a Marosvásárhely (l’attuale Tirgu
Mureş in Romania). Quale sarà stato il
movente di Teleki a intraprendere questo
lavoro pluridecennale? Nel corso di un suo
viaggio di studio all’estero conobbe Petrus
Wesseling, professore di storia a Utrecht: fu
lui a richiamare l’attenzione dell’allievo
sugli errori nelle precedenti edizioni delle
opere del Pannonio. Teleki seguì il consiglio di Wesseling, iniziò a studiare l’opera
di Giano Pannonio e, come testimoniano le
sue lettere, già nel 1763 si occupava della
preparazione e dell’organizzazione dell’edizione critica. In una lettera del 1764 scrive:
«L’amore per questo poeta così popolare e
elegante mi ha sconvolto a tal punto, che
non bado a fatica e spese per occuparmi di
lui e restituirlo al suo antico splendore.»
Dopo un po’ Teleki capì che da solo non
sarebbe riuscito a terminare il lavoro, così a
sue spese e sotto la sua guida contribuirono
alla preparazione dell’edizione anche Sámuel Zilahi, Dániel Cornides, Ádám Kollár
e Sándor Kovásznai Tóth.
Nella sua prefazione Teleki espone i
propri principi editoriali, elenca le fonti
utilizzate, e descrive in sintesi tutte le
precedenti edizioni dell’opera del Pannonio. Non si astiene dal criticare i propri
predecessori: di Sambuco critica l’arbitrarietà nella redazione, le omissioni, le integrazioni, le modifiche deliberate e «l’aver
castrato il testo». Confessa di non aver
studiato la prima edizione del 1559, quella
appunto curata da Sambuco.
135
Camoenae Hungaricae 1(2004)
Teleki invece, a causa della sua impostazione mentale da filologo, non omette
dalla propria edizione delle opere pannoniane le poesie di soggetto erotico. A proposito dell’edizione veneziana di Hilarius
Cantiuncula risalente al 1553, Teleki osserva che questa non ha contribuito ad una
migliore testologia del testo.
Fra i manoscritti utilizzati i più importanti sono i due codici viennesi (nella prefazione Teleki non fa distinzione fra i due).
Uno dei due codici oltre al panegirico dedicato al Guarino, racchiude anche numerosi
epigrammi ed elegie, e il primo volume
dell’edizione curata da Teleki è composto
proprio da questi componimenti. L’altro
codice include l’Eranemos. Teleki è riuscito
a identificare tredici delle fonti stampate.
Nel primo volume l’organizzazione del
materiale segue esattamente le regole
stabilite dai poeti umanisti per la stesura
dei loro volumi, che nel caso del Pannonio
significa il seguente ordine: carmina heroica, elegiae, epigrammata. Nella collocazione delle poesie la fonte utilizzata ha
un ruolo importante. Il primo libro con
elegie ed epigrammi ad esempio si attiene
all’ordine delle poesie del codice viennese.
Nel secondo volume invece sono state
collocate le traduzioni, i discorsi e le lettere del Pannonio, le sue biografie scritte da
altri, i riferimenti, le dediche e le premesse
delle altre edizioni, nonché l’elenco delle
diverse varianti del testo.
Il volume non era ancora uscito dalla
famosa tipografia di Bartholomaeus Wind
a Utrecht, quando Teleki venne a sapere
che il testo non era completo. Al suo secondo periodo di intensa attività filologica
contribuì anche il fatto che, quattordici
anni dopo la pubblicazione, József Koller
richiamò la sua attenzione sul manoscritto
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custodito nella biblioteca di Brescia. Teleki fece copiare le opere pannoniane trovate
in questo libro e iniziò i lavori di preparazione di una nuova edizione. Questo volume, intitolato Iani Pannoni Carmina
Inedita, è rimasto in manoscritto ed è conservato nella Teleki Téka insieme alle
bozze della copertina e della prefazione.
Grazie a questa documentazione sappiamo
che Teleki fissò come data di pubblicazione di questo nuovo volume il 1805. Dalla
corrispondenza non si deduce il motivo per
cui questa edizione non sia stata realizzata.
In ogni modo oggi tutti gli studiosi del
Pannonio hanno accesso al testo della
Carmina Inedita, grazie al CD-ROM in
lingua ungherese e inglese che raccoglie i
testi indispensabili per gli studi sul Pannonio. Anche se presentare e recensire edizioni digitali è tuttora insolito e presenta
ancora delle difficoltà di tipo logistico,
riteniamo che ciò sia indispensabile, dal
momento che è prevedibile l’aumento del
numero di tali pubblicazioni. Il CD attuale
oltre all’edizione di Teleki del 1784 comprende anche un brano del commentario
finora inedito scritto da Sándor Kovásznai
Tóth su Giano Pannonio. Kovásznai allegò
delle note a tutte le poesie del Pannonio
allora conosciute, ma Teleki nella sua
edizione ne riportò solo alcuni brani. Forse
anche questa omissione da parte di Teleki
contribuì al fatto che il commentario cadde
in dimenticanza, benché fosse una delle
più importanti opere filologiche settecentesche sul Pannonio. L’editore del CDROM ha dichiarato la ferma intenzione di
pubblicare il testo completo di Kovásznai,
qualora riscontri il dovuto interesse da
parte del pubblico.
Jenő Ábel, fondatore degli studi filologici moderni su Giano Pannonio, pubblicò
Camoenae Hungaricae 1(2004)
i risultati delle sue ricerche sui manoscritti
conservati in Italia nell’antologia intitolata
Analecta ad historiam renascentium in
Hungaria litterarum spectantia (1880).
L’antologia arriva ai testi del 1472 e non
va oltre. Ábel decise di svolgere la sua
ricerca in Italia con lo scopo di rimediare
alle carenze del volume pubblicato da
Teleki, dal quale mancavano le opere
inedite del Pannonio eventualmente conservate in biblioteche italiane. Grazie
all’attività di Ábel a Venezia sono stati
rinvenuti cinque codici e manoscritti contenenti opere del Pannonio, a Modena un
codice con le sue opere, altri tre codici a
Milano, due a Brescia e sei a Roma. Dai
trenta codici pannoniani Ábel raccolse
numerosi epigrammi, sei elegie e il panegirico di Renatus, nonché numerosi documenti sconosciuti o inediti riguardanti la
storia dell’Umanesimo in Ungheria, scritti
da ungheresi o con riferimento ungherese.
L’importanza del lavoro di Ábel è dimostrata anche dal fatto che Georg Voigt,
nella seconda edizione del Die Wiederbelebung des Altertums oder das erste Jahrhundert des Humanismus, una opera fondamentale per gli studi rinascimentali,
attinse i dati riguardanti l’Ungheria soprattutto dall’Analecta. Il CD-ROM riporta
l’Analecta in forma integrale.
Quest’opera multimediale inoltre contiene l’antologia che può essere considerata il seguito dell’Analecta. Quest’opera –
rimasta in manoscritto con la scomparsa di
Ábel – è stata curata da István Hegedüs,
suo successore alla cattedra universitaria.
Con la sua contribuzione nel 1903 pubblicarono l’Analecta nova ad historiam renascentium in Hungaria litterarum spectantia, che raccoglie una selezione dei documenti umanistici del tardo Quattrocento e
del primo Cinquecento. In essa non figurano opere del Pannonio, soltanto dei contributi importanti per quanto riguarda la
ricezione della sua opera.
Nei primi anni 1910 in Ungheria gli
studi filologici su Pannonio si fermarono e
gli allievi di Ábel e Hegedüs si indirizzarono verso altre discipline. Infine, negli
ultimi anni 1920 László Juhász a Szeged
ebbe l’incarico di curare l’edizione critica
degli scritti del Pannonio. Col suo accurato
lavoro di ricerca ha raddoppiato il numero
dei codici conosciuti del Pannonio. Nella
fase di organizzazione egli si occupò della
redazione delle bozze dettagliate del volume e dei commentari. Purtroppo non
riuscì a realizzare l’edizione critica, ma sul
CD-ROM troviamo alcuni suoi scritti a
questo proposito (De Jano Pannonio interprete Graecorum; Commentatio critica
ad edendas Jani Pannonii elegias).
Sul CD-ROM troviamo anche i due codici sivigliesi. Il cosiddetto «primo codice
sivigliese» è la fonte più importante del
periodo successivo agli studi di Ábel. Il
codice è stato commissionato da Osvát
Thuz, vescovo di Zagabria, presso cui Giano Pannonio si rifugiò dopo la congiura del
1471 contro il re Mattia. Il poeta era suo
ospite a Medvedgrad, vicino a Zagabria,
quando la morte lo colse. È presumibile che
il materiale del primo codice sivigliese
fosse stato raccolto dallo stesso Thuz, siccome le ultime poesie del Pannonio si trovavano lì e probabilmente furono collocate
nel codice direttamente da Thuz. Sembra
che le poesie siano state raccolte secondo
criteri prestabiliti, poiché esse rispecchiano
l’immagine di un poeta serio, impegnato
nella politica. Oltre ad alcune elegie di tono
cupo, ci vengono riportate anche numerose
traduzioni di Plutarco e una dello Pseudo137
Camoenae Hungaricae 1(2004)
Demostene. Il secondo codice sivigliese
include quattro poesie finora sconosciute.
Sul CD-ROM non troviamo gli articoli
pubblicati in diverse riviste che riportano
la scoperta di testi la cui attribuzione a un
dato autore è discutibile. Eccezioni sono il
saggio Un’elegia sconosciuta del Pannonio? di Ágnes Ritoók-Szalay e il resoconto
di Pál Lukcsics (Una lettera sconosciuta di
Giano Pannonio umanista ungherese scritta a Venezia).
Sul CD-ROM abbiamo una bibliografia
che è stata pubblicata anche in stampa
(Enikő BÉKÉS, Giano Pannonio: Bibliografia scelta, Casa Editrice Balassi, 2002).
Questa bibliografia ricca di dati è una
fonte di grande importanza per gli studi sul
Pannonio.
In sintesi, il CD-ROM include soprattutto i testi che formano la base della filologia pannoniana. Possiamo dunque affermare che sia stato realizzato più che
altro per gli studiosi e ciò è confermato
non solo dall’enorme quantità di materiale
fornito, ma anche dalla facilità con cui
possiamo passare da un testo all’altro e
dalla possibilità di svolgere ricerche utilizzando parole chiavi. Quest’opera multimediale può a tutti gli effetti essere considerata il precursore di una eventuale edizione genetica, nella quale al definitivo
testo principale verrebbero allegate le
varianti del testo da poter studiare parallelamente.
Csilla Bíró
GÉZA VADÁSZ: A KORAI HUMANIZMUS LÍRÁJA
(LA LIRICA DEL PRIMO UMANESIMO)
Budapest, Casa Editrice Argumentum, 1999.
Nel 1999 la casa editrice Argumentum
pubblica a Budapest la raccolta di saggi di
Géza Vadász intitolata La lirica del primo
Umanesimo. Quest’opera è nata con l’intento di presentare il Quattrocento nell’Italia settentrionale, collegandolo alla figura
di Giano Pannonio e ad alcuni eventi della
sua vita. Una parte molto importante del
volume è dedicata all’opera del Guarino e
al suo contributo alla nascita del culto del
latino dei classici. Guarino è descritto
come un maestro che «diede» al mondo,
ossia inspirò, più di un talento lirico. Vadász inoltre ci illustra la formazione della
visione cosmica e dell’arte dell’Umanesimo nel corso del XV secolo, attraverso
l’attività delle figure più importanti
dell’epoca e il modo in cui questa fu accol138
ta dal pubblico. Lungi dal ridurre il proprio
studio a una mera elencazione di dati, il
nostro autore fa rivivere al lettore la sensazione di risveglio della coscienza che pervase tutto il Quattrocento.
Il primo saggio del volume, intitolato
Le pasquinate di Giano Pannonio, tratta
degli epigrammi scritti dal Pannonio su
papa Paolo II, in occasione del proprio
viaggio in Italia nel 1465 in qualità di
ambasciatore. L’obiettivo di questa missione era quello di chiedere a Paolo II un
appoggio materiale per la campagna militare del re Mattia Corvino contro i turchi.
Vadász ritiene che il primo dei sei epigrammi dedicati alla figura del pontefice
sia una poesia encomiastica che il Pannonio avrebbe recitato personalmente al
Camoenae Hungaricae 1(2004)
proprio arrivo a Roma in occasione
dell’incoronazione di Paolo II, riuscendo
così a dar sfogo anche al proprio talento
retorico. Gli altri epigrammi invece sarebbero senza alcun dubbio delle satire a
contenuto politico, ovvero delle pasquinate. Vadász si sofferma anche sullo sfondo
storico di questo genere letterario, tracciando la storia dell’affermazione dell’Umanesimo nel corso del XV secolo sotto i
singoli pontefici. L’epoca del papato di
Eugenio IV è descritta nelle elegie di Porcellio e nel dialogo De commodis curiae di
Lapo da Castiglionchio, il Giovane. Niccolò V, successore di Eugenio IV, favorì con
determinazione la riscoperta della cultura
classica e lo sviluppo della filologia in una
vera e propria scienza. Sotto il pontificato
di Pio II (Enea Silvio Piccolomini) Pomponio Leto istituì a Roma l’Accademia
Romana, a cui fecero capo vari letterati e
studiosi dell’epoca. Vadász si rifa al testo
composto da 15 scritte rinvenuto da Giovanni Battista De Rossi su una parete delle
catacombe di San Callisto, il quale proverebbe che i membri dell’Accademia Romana, oltre a dedicarsi a studi di carattere
scientifico e al culto dell’antichità classica,
avessero organizzato la loro comunità
secondo un modello fondato sulla base dei
collegi degli antichi pontifex, sotto la guida spirituale di un pontifex maximus.
L’autore procede con l’identificazione dei
singoli sodali dell’Accademia Romana in
base alle scritte rinvenute nelle catacombe
di San Callisto, per poi trattare più dettagliatamente di due membri dell’Accademia: Platina e Callimaco Esperiente. In
seguito accennerà al fatto che nel XV
secolo il culto dell’antichità generò un
mutamento anche dell’ottica politicosociale, che si manifestò principalmente
nel desiderio di restaurare la repubblica
come forma di governo. Secondo il nostro
autore questo pensiero politico potrebbe
essere una delle matrici ideologiche della
congiura contro il re Mattia capeggiata da
János Vitéz, alla quale partecipò anche
Giano Pannonio. Vadász segue riportando
il caso della cospirazione di Callimaco e
Platina contro Paolo II, il quale per un
certo periodo porse fine all’esistenza
dell’Accademia Romana. Infatti, fece
imprigionare con l’accusa di eresia e cospirazione contro lo stato pontificio Pomponio Leto e Platina a Castel Sant’Angelo,
dove Pomponio scrisse la sua apologia
intitolata Defensio, grazie alla quale fu
assolto e scarcerato. Vadász cita parzialmente quest’opera. L’Accademia Romana
risorse solo nel 1471, in seguito all’ascesa
al seggio papale di Sisto IV.
Dopo aver tracciato il quadro storico
dell’Umanesimo quattrocentesco, nel secondo capitolo della sua opera, intitolato
Un’istantanea della storia dell’Umanesimo, Géza Vadász introduce l’opera del
Beccadelli e accenna al modo ambivalente
in cui questa venne accolta. Riguardo a ciò
si esprime nel terzo capitolo del volume,
dal titolo Allarme dell’evo moderno. Il
sottotitolo «Invettive contro l’Hermaphroditus di Beccadelli» accenna al fatto che
tali manifestazioni della lirica erotica non
erano accolte con pari entusiasmo nel
corso del Quattrocento. Questo movimento
nato intorno al 1425 creò una lirica puramente profana, di stampo erotico e pagano,
il cui più eccellente professore fu appunto
il Panormita. Vadász paragona l’importanza dell’Hermaphroditus a un’allarme di
battaglia: si tratterebbe di un’opera rivoluzionaria per la mentalità dell’epoca. In
seguito non dedica altro spazio al processo
139
Camoenae Hungaricae 1(2004)
di nascita della lirica profana e erotica del
XV secolo, ma si limita a mettere in risalto
l’Hermaphroditus per il modo singolare in
cui scandalizzò l’opinione pubblica nei
primi tre decenni del XV secolo. A nostro
avviso, in questo caso possiamo piuttosto
parlare dello scontro tra due concezioni del
mondo, due ideologie o mentalità: la civiltà dell’antichità classica e la concezione
scolastica cristiana, come asserito da Jozef
IJsewijn nel suo saggio intitolato A latin
nyelvű költészet Janus Pannonius korában
(in: Janus Pannonius: Tanulmányok, a
cura di T. KARDOS–S. V. KOVÁCS, Budapest, Akadémiai Kiadó, 1975). Géza Vadász ci riporta che l’opera di Beccadelli
piacque per esempio a Guarino Veronese,
che ne prese il partito, per poi ritrattare il
proprio giudizio favorevole nove anni dopo,
sotto la pressione dell’opinione pubblica. Ci
racconta per quale aspetto Vegio e Porcellio, i due più accaniti contestatori di Beccadelli, criticassero la sua opera. Géza Vadász
già qui accenna alle carenze nella formazione letteraria del Porcellio, alle quali
dedicherà più attenzione in uno dei capitoli
successivi, riguardo al dibattito sul greco e
sul latino. Nella chiusura del capitolo asserisce che l’Hermaphroditus del Beccadelli –
insieme all’opera di Marziale – esercitò una
forte influenza sugli epigrammi erotici di
Giano Pannonio.
Nel capitolo intitolato Il risveglio del
latino a una nuova vita l’autore parla del
dibattito teorico che si aprì nel Quattrocento con l’obiettivo di decidere se nella Roma antica esistessero due lingue (un latino
letterario e un latino volgare) o solo una, il
latino letterario testimoniato dalle opere
degli autori illustri. Questo capitolo si
concentra sulla figura di Guarino Veronese, che, secondo gli epigrammi encomia140
stici del Pannonio, avrebbe restituito il
latino barbarizzato al suo antico splendore.
Vadász prosegue con l’illustrazione della
teoria del Guarino. Il maestro distingueva
quattro fasi nella storia del latino. Nella
prima il latino era una lingua incolta, senza
regole, utilizzata dagli abitanti indigeni
della penisola appenninica. La seconda
fase corrisponde al regno del re Latinus: il
latino è la lingua della Legge delle XII
Tavole. La terza fase è quella del latino di
Cicerone, Ovidio, Vergilio e gli altri autori
classici, che sostanzialmente dovrebbe
coincidere con il latino parlato nell’età
dell’oro della cultura romana. L’ultima
invece è l’epoca della «mixta lingua»,
quando in seguito al declino dell’Impero le
popolazioni barbare, occupandone il territorio, ne avrebbero contaminato la lingua.
Guarino però percepisce la differenza tra il
latino volgare e quello letterario identificandoli come diverse fasi della stessa
lingua. Lo studio di Vadász mette in rilievo l’enorme importanza del ruolo svolto
da Crisolora e Guarino nel riscatto dell’eloquentia latina, nella rinascita e nello
sviluppo degli studi umanisti.
L’eloquentia rimane il tema principale
anche del capitolo successivo, dal titolo
Un certame letterario nell’accademia ferrarese. Vadász, prendendo spunto dal libro
di József Huszti delinea le circostanze
della nascita di un componimento del Pannonio, l’Eranemos, che confronta con una
poesia di Battista Guarino dal titolo molto
simile, osservando che nel primo caso il
torneo tra i venti deve essere interpretata
come un torneo retorico, alludendo così a
Guarino e Crisolora e agli studi retorici a
cui questi attribuirono tanta importanza.
Il nostro autore dedica il capitolo successivo alla figura di Porcellio che, dopo
Camoenae Hungaricae 1(2004)
alcuni cenni biografici iniziali, collega al
dibattito sorto intorno al 1455 sull’importanza del greco e del latino. Lo scopo
principale di tale dibattito era quello di
decidere se la conoscenza della lingua e la
cultura degli antichi greci permettesse agli
umanisti di raggiungere un livello di erudizione più alto. Basinio e Roberto degli
Orsi propugnarono l’importanza della
cultura greca, rifacendosi agli studi greci
di Cicerone, Vergilio, Hieronymus e Augustino. Porcellio e Seneca da Camerino
per contro sostenevano che, una volta
padroni del latino, fosse uno spreco di
tempo inutile studiare il greco. Il dibattito
si inasprì a tal punto che Porcellio, con un
suo componimento in versi nel quale attaccava Basinio, offese anche Guarino. Fu
Giano Pannonio a dargli la risposta meritata, classificando Porcellio come il peggior
poeta che avesse mai conosciuto.
Géza Vadász prosegue illustrandoci
come la produzione lirica di Porcellio
fosse giudicata dai suoi contemporanei.
Riscontra una certa ambivalenza nei loro
giudizi, come se non lo ritenessero un
ottimo poeta: il suo stile era definito ampolloso e astruso. Tuttavia Vadász lo ritiene degno di attenzione e illustra un’ampia
scala delle sue opere, anche se si sofferma
più sulla componente tematica di queste,
astenendosi dall’esprimere giudizi critici.
Valuta positivamente il linguaggio poetico
di Porcellio così ricco di sinonimi, e elenca
gli autori classici che lo ispirarono nella
scelta dei termini. Vadász riassume queste
valutazioni constatando che l’ambivalenza
dell’opera di Porcellio è dovuta al fatto
che neanche l’epoca in cui questi visse può
essere valutata in modo univoco.
Il nostro autore lega la nascita della lirica dell’Umanesimo al periodo della prima
produzione lirica di Giovanni Pontano, a
cui dedica il capitolo successivo del volume. Mette in rilievo il fatto che il Pannonio ammirava il Pontano per la sua opera,
e cita una’elegia del Pannonio di tono
amoroso, dedicata ad una donna dallo
pseudonimo «Cinnama». Individua le fonti
classiche del Pontano – Plauto, Properzio,
Marziale e Claudiano – e indica come
genere del componimento di Pannonio il
canto nuziale, genere prediletto nell’antichità da Saffo e Catullo. Vadász appoggia questa ipotesi su determinate analogie
nel contenuto e nei mezzi stilistici. Ci
descrive Pontano come il poeta in cui
talento innato e autodidattismo umanista si
fondono nel modo più esemplare.
Nell’ottavo saggio (La grammatica latina di Guarino Veronese) Géza Vadász
cerca di svelare il segreto del metodo grazie a cui Guarino riuscì a formare poeti e
studiosi umanisti dotati di una padronanza
stilistica senza pari. A suo avviso, la soluzione è da cercare nella sua grammatica
latina, intitolata Regulae grammaticales.
Vadász fa cenno al fatto che la grammatica
di Guarino spiega le categorie grammatiche, la fonetica, le parti del discorso e le
diverse tipologie dei verbi in base alle
grammatiche di Prisciano e di Donato. Fa
risalire il linguaggio del Pannonio, così
ricco di sinonime, alle Regulae di Guarino,
provando le analogie con esempi dettagliati.
Ritiene che il capitolo intitolato Regulae:
De Differentiis, nel quale il Guarino parla
degli omonimi, abbia esercitato una particolare influenza sul linguaggio del Pannonio.
Lo studio di una lingua per lui equivale a
quello del lessico. Infine chiarisce le imprecisioni e gli errori nell’opera di Guarino e
descrive il modo in cui la sua opera venne
accolta dai contemporanei e dai posteri.
141
Camoenae Hungaricae 1(2004)
Il capitolo intitolato Sciopero degli allievi nella Ferrara quattrocentesca invece
è incentrato su una poesia rinvenuta accanto a dei versi di Giano Pannonio, in alcuni
codici noti indicati dall’autore. Ad ogni
modo, questo componimento non può
essere chiaramente attribuito al Pannonio:
vari studi infatti hanno ipotizzato una
possibile paternità di Gregorio Guarino.
Géza Vadász pubblica la traduzione in
prosa della poesia ed elenca i motivi del
dibattito sull’attribuzione dei versi. A suo
parere è impossibile decidere chi fosse
l’autore, siccome lo stile degli allievi si
formava nella stessa scuola, sotto la guida
dello stesso maestro, e non fu solo Guarino
ad esercitare una forte influenza sui propri
allievi, ma – grazie ai suoi metodi didattici
– gli stessi allievi si influenzavano a vicenda, siccome Guarino coinvolgeva nella
formazione degli allievi giovani quelli più
avanzati negli studi. Indica come fonti
classiche Ovidio e Stazio: uno dei loro
argomenti preferiti era l’esaltazione del
riposo che deve seguire gli stenti, esortando i lettori a praticarlo. Elenca i tratti stilistici e contenutistici che probabilmente
erano generalmente diffusi tra gli allievi
dell’università di Ferrara e richiama l’attenzione sulle analogie tra la poesia citata
e gli epigrammi di Giano Pannonio.
Il saggio successivo è una valutazione
del primo periodo umanista del Pannonio.
Vadász osserva che in quel periodo le
poesie di Pannonio non erano ancora prive
di imperfezioni stilistiche. A suo parere
proprio per questo motivo successivamen-
142
te il Pannonio tralasciò dalle sue raccolte
molte di queste prime opere. Vadász prosegue con le critiche rivolte a Pannonio e
le sue risposte ad esse. In seguito cita in
latino e in ungherese due poesie del Pannonio intitolate Ad Cerberum grammaticum. Poi elenca, riportando il loro contesto, una serie di termini ed espressioni che
proverebbero il fatto che le ode intitolate
Ad Blasium Manfredum e Ad Karolum
Podocatarum Cyprium sarebbero opera di
Giano Pannonio.
L’ultimo capitolo si ispira ad un saggio
di Zsigmond Ritoók, Le traduzioni dal
greco di Giano Pannonio. In questo capitolo Vadász nota che ai 25 epigrammi
pubblicati da Zsigmond Ritoók – dei quali
conosciamo anche gli originali in greco –
possiamo aggiungerne un altro. Si tratta
dell’epigramma I/267, dal titolo De sacrilego, il cui originale greco fu rinvenuto da
Géza Vadász in un opera di Plutarco, Fortuna o virtù di Alessandro Magno. Vadász
non pubblica il testo originale in greco, ma
precisa che i due testi, quello greco e quello
in latino, differiscono solo in una parola.
L’elemento che collega gli 11 saggi del
volume è la figura di Giano Pannonio.
L’autore dei saggi attraverso alcune tappe
della vita e della formazione letteraria del
Pannonio ci regala delle istantanee dell’atmosfera del Quattrocento, motivando anche il pubblico laico ad approfondire ulteriormente le proprie nozioni sull’epoca.
Zaynab Dalloul
Camoenae Hungaricae 1(2004)
THE SOPRON COLLECTION OF JESUIT STAGE DESIGNS
Preface by Marcello Fagiolo, studies by Éva Knapp, István Kilián,
iconography by Terézia Bardi, edited by József Jankovics,
Budapest, Enciklopédia Publishing House, 1999.
The Sopron Collection of Jesuit Stage
Designs contains over 100 items of spectacular scenography date from the late 17th,
early 18th centuries. Throughout Europe
only a couple of specimens of outstanding
Jesuit stage designs exist, scattered in
several collections, that underlines the
value of the Sopron Collection as well as
the present edition of it.
The representative pieces of Baroque
stage design are not only invaluable parts
of the world’s cultural heritage but also
testimony to Jesuit educational tradition as
well as Central European theatrical accomplishments. The images clearly testify
the role of Jesuit colleges and theatre of
the Imperial Court in the development of
education and drama in the provinces,
Hungary and Europe.
The collection got to the property of the
Jesuit Order in Sopron in 1728, then
around 1890 to the famous Storno Collection of Hungary after Ferenc Storno the
older purchased it. In the 1960s the designs passed into the possession of the
National Theatre Museum and Institute in
Budapest. This precious collection is being
brought to the wider public in the shape of
this high quality volume for the first time.
The studies attached to the reproductions
are relatively loosely bound together but
mutually enrich each other on the palette
surrounding the topics of the collection and
Jesuit (Baroque) theatre. We can say that
they provide us a multi-perspective basic
work on the theme(s) appointing new directions for further researches.
The Italian Baroque scholar, Professor
Marcello Fagiolo’s preface titled The
Stage Design of the Jesuits and the Empire
is “limited to commenting briefly on some
of the more interesting themes contained
in the drawings themselves”. His intention
is to add some useful perspectives to the
“pilot studies” by Knapp and Bardi but
independently of them.
After a brief observation on the theatrical space, he mentions the most important
European trends and sources of the typical
Baroque theatre elements of iconography
considering the collection as part of the
great Italian tradition of stage design.
In short chapters he also presents some
general themes appearing on contemporary
stage designs, using the collection as a
basis for his discussion. Among the
themes he sorts out the dramas of the Passion emphasising the importance of Forty
Hour’s Devotion, the theatre of Good
Death, different kinds of allegorical or
simple gardens, the triumph of antique
gods and time, etc. illustrating them with
the pictures presented in the second part of
the volume. His position of writing makes
a bit difficult for those of the “laics” to get
closer to the volume itself for the first
time, but fulfils an important complementary position along the main studies of it.
(E. g. A bit misleading is his sentence that
“my comment follows the order in which
the illustrations appear, but there will be
some cross referencing” since it is not easy
to find any order in a numbering like at
Gardens and Roscailles, where these
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Camoenae Hungaricae 1(2004)
numbers of pictures follow each other in
representing the theme itself: 63-45-44-6133.)
According to the literary historian Éva
Knapp’s central study, the Sopron Collection is an “authentic record of the culture
that informed much seventeenth- and
eighteenth-century Central European theatre”. She details an original and well argumented approach to the collection itself.
After presenting the main facts concerning the origins as well as the main trends
of research of the collection, she provides
a well supported and strong basis for her
own approach. Upon this basis she discusses the structure and iconography of the
collection, the later one in two chapters
dealing with sacred festivities and secular
performances.
The central and most exciting part of
her study is about the connection between
the pictures of the collection and two detailed performances: the first one, Passio
Christi armatura fortium contra hostes
christianitatis premiered by the Jesuits in
Linz, 1st April 1684; the second one titled
Sacer Hymeneus de profano amore victor
in S. Amalia Flandriae patrona performed
also by Jesuit confreres in Vienna, on 31
July 1710. Based on the printed libretto of
the first, the manuscript, the perioche as
well as the music of the second performance, she convincingly attempts to fit the
illustrations to individual scenes of the
plays.
The facts that these performances were
visited by Joseph I. and his family as well
as the person of the single composer of the
two plays, Ferdinand Tobias Richter, further supports her argumentation.
In her conclusion she presents new possible elements to the history of the collec144
tion itself as well as good ideas for further
research of Jesuit theatre.
The school drama expert István Kilián’s
brief study on Hungarian Jesuit theatre
presents a new and vivid colour on the
palette. In theme it is not strictly connected
to the collection itself but it helps us understand the importance of theatre as part
of Jesuit education and provides interesting data concerning the sixteenth–seventeenth century Hungarian Jesuit theatre.
He starts with the importance of liturgical drama in Church from the early Renaissance, focusing especially on the Hungarian line of development from the very
beginnings. After pointing out the importance of drama in Jesuit curriculum in
general, he also discusses such important
facts like the financial background of theatre in Hungarian Jesuit schools, the possible versions of the place of staging, the use
of stage sets with or without the help of
any machina, the different genres presented on school stages or even the number of actors or the possible audience. By
the help of Hungarian examples and data
he colourfully illustrates very practical
elements of Jesuit theatre in general as
well.
After this brief but important “intermezzo” the reader finds the beautifully
presented pictures of the Sopron Collection accurately described and commented
by Terézia Bardi from the perspective of
the art historian. She discusses the designs
on the basis of Géza Staud’s studies and
his suggested order of the pictures. Besides her descriptive approach she also
interprets some pictures but always sorting
out different interpretations usually by
Staud or Knapp, opening the way before
extremely interesting comparisons of dif-
Camoenae Hungaricae 1(2004)
ferent opinions, that is a very exciting
challenge for the readers as well as the
future researchers of the collection or
Baroque iconography.
One of the best examples for this is picture number 36 titled The Redeeming
Power of Faith. In the centre of the picture
one can see a small boat, the mast of
which is in the shape of the cross and a
spear, steered by a winged Cupid with a
quiver full of arrows on his back. In the
front part of the boat next to the cross, a
burning heart appears. The boat is endangered by the waves breaking against the
rocks that flank the bay. From two pairs of
caves on the shore child figures (representing the winds) direct squalls on to the
surface of the sea and from a high cave in
a rock adjoining the shore a grey haired
old man—according to Bardi’s interpretation: Aeolus—conjures up the storm.
The interpretation of this series of images by Bardi is parallel to that of Staud’s
(p. 148): “in all probability an allegorical
representation of the redeeming power of
the Christian faith or love” or “the depiction of the ship of the Faith”.
Knapp identifies the picture as a design
made for the second Chorus of the production of Sacer Hymeneus staged at Vienna
in 1710. (In the story represented by the
Chorus Cupid presents Hesione as an intended sacrifice to the sea monster but
Hercules having slayed the monster saves
the princess. The ship bears the princess to
the shore, while Cupid is punished by the
Naiads.) According to her the main point
of the Chorus (as well as other allusions of
the play) is to praise indirectly the “effective matrimonial policy of the Habsburg
dynasty, with its conscious indifference to
the Roles of Venus and Cupid when it
came to arranging marriages for members
of the Imperial family” (p. 56).
Fagiolo interprets the same picture in a
third way (p. 19): “In no. 36, the ship of
Conjugal Love, steered by Divine Love, is
shown sailing safely through the tempest
unleashed by the King of the Winds at the
instigation of the Sins and the Furies”.
These opposing interpretations does not
decrease the weight of any of the studies
but provide new challenges for further
personal research on the theme.
Even if sometimes indirectly, the directions of possible further research clearly set
up by the authors of the volume, among
them the use of the designs in the Baroque
theatre, the other parts of the play like music, librettos, perioche, the text of the plays,
as well as the importance of gestures presented by the actors in the plays.
Conclusively I can only repeat my opinion that the present volume is a very high
level edition of the unique Sopron Collection of Jesuit Stage Designs, including the
quality of paper as well as the beautiful
reproductions and the published studies on
the theme. Due to these qualities the Sopron Collection have become available to
international interest of stage design and
worthy of international research as well,
besides it is an extremely interesting reading for everybody a bit interested in theatre history.
Marietta Szendrényi
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Camoenae Hungaricae 1(2004)
NUNTII
A conference entitled Hercules neolatinus (Literary, scientific and religious crossroads in Neo-Latin Europe) is being organized as a preparatory programme for the Thirteenth International Congress of the IANLS in Budapest.
Date of the conference: 31st August–4th September (We–Sun), 2005.
Venue of the conference: Debrecen (Hungary).
Aims of the conference: (1) To introduce the past and present of the Hungarian NeoLatin research, the cultural heritage of Hungary and the city of Debrecen and their European connections by having a look at Neo-Latin works. (2) To organize the meeting of
Hungarian Neo-Latin scholars and to present their results. (3) Scientific and organizational preparation for the world congress in 2006. (4) Board meeting of the IANLS, the
Hungarian Neo-Latin Society, and the organizing committee of the congress.
Preliminary programmes: sightseeing in Debrecen; excursion (Debrecen–Máriapócs–
Nyírbátor–Tokaj–Debrecen); concert; preparatory discussions of the congress in 2006
(organizing committee); chairman session of IANLS; lectures.
Speakers will be invited by the organizing committee of the conference but visitors
and participants are also cordially welcome.
For registration and further information, please contact: [email protected].
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