Galileo. Mito e realtà Il Centro Culturale Marcello Candia In collaborazione con Assessorato alla Cultura Comune di Melzo e con il patrocinio della Provincia di Milano presenta la mostra storico-scientifica GALILEO. Mito e realtà L a mostra non intende soltanto offrire una lettura storiografica della vicenda galileiana, ma fare emergere l’esperienza umana di Galileo in tutte le sue dimensioni, presentare un’immagine di scienza non riduttiva, mostrare che all’interno di un’esperienza di fede anche la scienza trova la sua giusta collocazione, ristabilire alcune verità storiche. La modalità espositiva intende ricreare l’ambiente storico, sociale, culturale e religioso dell’epoca, che corrisponde alla nascita della modernità, mostrandone i fermenti, i contrasti e la straordinaria creatività, anche nell’Italia della Controriforma. Intende altresì mostrare all’opera lo scienziato Galileo, nel tentativo di inaugurare una modalità più adeguata di conoscenza della natura, ma anche l’uomo impulsivo e poco incline ad instaurare un dialogo costruttivo con le autorità. Infine, propone una lettura dell’intera vicenda e delle sue conseguenze storiche alla luce della scienza odierna e delle sue più profonde esigenze. L’itinerario espositivo comprende quattro stanze: I maestri di Galileo Galileo e la conoscenza Il processo Il dopo-Galileo 1 Galileo. Mito e realtà IL «CASO GALILEO» «È importante che i teatri tengano presente che, qualora la rappresentazione di questo dramma venga diretta principalmente contro la Chiesa cattolica, esso è destinato a perdere gran parte della sua efficacia... La Chiesa non ha il diritto di vedere occultate le debolezze umane dei suoi membri; ma il dramma non intende neppure gridare alla Chiesa: "giù le mani dalla scienza!"». Così scriveva nientemeno che Berthold Brecht, in occasione della rappresentazione teatrale del suo «Vita di Galileo» nell'estate del 1947 in California. Sono affermazioni sistematicamente dimenticate in tutti i dibattiti che accompagnano ogni rinnovata versione del celebre dramma. Soprattutto sono dimenticate nelle discussioni che puntualmente si innescano nelle aule scolastiche quando, in Storia, Filosofia, Scienze o Letteratura, ci si imbatte nell'«affare Galileo». È opportuno perciò puntualizzare alcuni criteri utili per leggere adeguatamente questa vicenda. L'OPERA DI GALILEO Bisogna anzitutto comprendere il contenuto essenziale dell'opera di Galileo, riassumibile in tre risultati scientifici: • la prima descrizione cinematica corretta del moto di caduta dei gravi e, conseguentemente, l'iniziale superamento della separazione aristotelica tra fisica terrestre e celeste (che sarà completato nella sintesi newtoniana un secolo dopo); • il primo impiego «scientifico» del telescopio che, a dispetto di quanto molti libri di testo continuano a ripetere, non è stata una sua invenzione: il merito di Galileo è stato quello di averlo utilizzato per tentare di controllare alcune ipotesi scientifiche sull'universo; il gesto veramente rivoluzionario è stato quello di puntare verso i cieli «l'occhiale» degli olandesi, di cui era venuto a conoscenza grazie ai mercanti veneziani; • la prima formulazione del principio di relatività dei moti, che resterà il punto di partenza, tre secoli più tardi, della imponente costruzione teorica rappresentata dalla relatività einsteiniana. Tuttavia l'importanza scientifica del grande pisano sta altrove; prima e più che nei risultati conseguiti, è dal metodo che si dovrà valutare il suo 2 Galileo. Mito e realtà decisivo apporto allo sviluppo della cultura occidentale moderna. Con Galileo si stabilisce una modalità nuova di fare scienza che, nelle sue linee portanti, continuerà fino ai giorni nostri. Una modalità che è molto di più di una tecnica o di una serie di abilità conoscitive e pratiche: è un modo nuovo di porsi di fronte alla natura, un diverso approccio alla realtà, reso possibile dalle diverse domande di partenza affrontate da Galileo. E ciò non è comprensibile senza un riferimento al contesto storico e culturale: Galileo è un uomo del suo tempo, un tempo travagliato, in cui si andava affermando una nuova immagine di uomo e di cosmo, in cui si ponevano ovunque nuove domande, nuovi interrogativi, in cui nascevano nuove aspettative nei confronti del sapere. AL DI LÀ DEI MITI Si può ben capire, quindi, come siano riduttivi e mal impostati i dibattiti che riconducono tutta la questione al solo processo e ai rapporti tra Galileo e la Chiesa; anche perché la cultura contemporanea non è ancora riuscita a liberarsi da una serie di miti e deformazioni storiche che inquinano pesantemente l'opinione corrente e non mancano neppure nelle opere di studiosi e divulgatori. Elenchiamone alcuni: 1. L'apporto di Galileo è stato decisivo per il sorgere della scienza moderna, ma non è stata una partenza da zero. La concezione aristotelica del moto si stava già sgretolando sotto i colpi di alcuni studiosi medioevali (Giordano Nemorario, Filopono, Buridano, Benedetti...); e anche circa il metodo c'era stato l'importante contributo della scuola di Oxford (Grossatesta e R. Bacone) dove si faceva già fisica sperimentale. 2. Galileo non ha codificato il metodo scientifico, non l'ha ridotto a un elenco di regole, ben consapevole che la conoscenza scientifica è un'avventura a più dimensioni, carica di tutta la drammaticità e l'imponderabilità di ogni altra impresa umana. Come pure l'attenzione galileiana per l'aspetto sperimentale non va confusa con quell'atteggiamento empiristico, diffusosi specie nei paesi 3 Galileo. Mito e realtà anglosassoni nei secoli successivi. 3. Più difficile da rimuovere è il mito della subordinazione della scienza alla tecnica; anche perché in Italia ha ricevuto l'imprimatur di Ludovico Geymonat. L'esempio del cannocchiale è emblematico. Per Geymonat la scienza moderna non si sarebbe evoluta senza le nuove tecniche osservative; viceversa bisogna dire che il cannocchiale non sarebbe entrato nella storia del sapere se Galileo non avesse «osato» puntarlo verso il cielo: un gesto non necessitato dall'esistenza dello strumento bensì dalla pressione di idee e teorie da verificare. 4. Il metodo scientifico non rende immuni da errori. Lo stesso Galileo aveva poggiato la sua difesa di Copernico su un modello teorico delle maree, rivelatosi completamente sbagliato (e il Dialogo dei massimi sistemi era nato proprio come Dialogo sulle maree). 5. In campo astronomico Galileo non ha potuto applicare il suo metodo così bene come in meccanica; diversamente da quanto riportato in non molti affrettati giudizi, nelle sue opere non c'è la dimostrazione dell'ipotesi copernicana. E non poteva esserci in quanto Galileo: - non ha saputo cogliere l'aspetto dinamico del problema - non ha considerato le leggi di Keplero; - non ha ammesso che il moto circolare non poteva essere inerziale; - non ha distinto tra massa e peso. Il suo è stato un ottimo lavoro di osservazione e di raccolta di prove non tanto pro-Copernico quanto contro il modello tolemaico; basterà citare: le macchie solari, le fasi di Venere, i satelliti di Giove, gli anelli di Saturno. Da notare che, secondo recenti riletture del Dialogo, Galileo non avrebbe mai dichiarato di aver «dimostrato» il modello copernicano: se la dichiarazione non c'è mai stata, cade allora la tesi che l'abiura sia stata uno spergiuro... 6. E' da rivedere anche l'immagine della situazione di allora come dominata da due schieramenti contrapposti: Galileo e i progressisti da un lato, la Chiesa e i conservatori dall'altro. Le nuove idee scientifiche erano stimate da molti ecclesiastici e dallo stesso Papa Urbano VIII. Le ricerche di W. Wallace hanno rimesso in luce il debito di Galileo verso i gesuiti del Collegio romano, 4 Galileo. Mito e realtà solitamente visti come i suoi più accaniti oppositori. E il verdetto del processo non è stato all'unanimità: mancavano 3 firme su 10, compresa quella del card. Barberini, nipote del Papa. 7. Infine non è affatto vero che la condanna di Galileo abbia frenato la scienza. Le ricerche sono continuate ininterrotte secondo l'impostazione del nuovo metodo sperimentale e, in campo astronomico, il modello eliocentrico si è gradatamente affermato (anche se si dovrà attendere un secolo per inquadrarlo in una coerente teoria, la gravitazione newtoniana, e ancor di più per avere delle «prove» risolutive). Bisogna inoltre guardarsi dall'interpretare i fatti col filtro dell'attuale società dell'informazione: all'epoca il caso Galileo non fu affatto un «caso». Il processo ebbe scarsa risonanza, anche negli ambienti culturali, e all'interno dell'Inquisizione stessa la sua collocazione era nella terza classe, cioè tra quelli non particolarmente importanti. Il suo innalzamento a caso emblematico è di molto posteriore: è l'ingombrante eredità del secolo dei lumi e del positivismo ottocentesco, abituati a vedere la Chiesa come rivale e ostacolo al progresso della scienza e dell'umana razionalità; un'abitudine «irrazionale» in quanto contraria alle evidenze della storia. IL PROCESSO Ancora una volta è necessario cercare di esaminare i fatti tenendo debito conto del contesto. Siamo nei primi decenni del 1600: di fronte alla Chiesa, impegnata nell'opera di Riforma partita col Concilio di Trento, c'era una gravissima situazione dell'Europa, scossa dalla guerra dei 30 anni; nello stesso tempo si assisteva a un prorompente sviluppo delle arti, della filosofia e delle scienze. Iniziava a diffondersi, forse senza che i protagonisti ne avessero completa consapevolezza, una diversa modalità di rapporto tra i fedeli e l'autorità: l'obbedienza diventava limite e vincolo all'esprimersi dell'autonomia dell'individuo e non più aiuto per una crescita pienamente umana. 5 Galileo. Mito e realtà Il caso Galileo si colloca nelle pieghe di questo dramma: di un'incapacità, da entrambe le parti, a condurre quel sereno e fecondo dialogo, rispettoso delle reciproche competenze e funzioni, che resta l'unica via per comporre qualunque dissidio. Più di uno storico concorda nel giudizio che senza le intemperanze nel comportamento dello scienziato, le cose forse avrebbero seguito un altro corso. La procedura seguita per ottenere l'«imprimatur», l'affrettata stampa a Firenze senza che il censore padre Riccardi potesse rileggere il testo, e l'atteggiamento nei confronti dell'examico Urbano VIII, costituiscono una serie di errori evitabili e che nulla hanno a che vedere con la verità scientifica. Il più autorevole traduttore inglese di Galileo, lo storico Stillman Drake, giudica il Dialogo «ironico fino al cinismo e cinico fino all'ipocrisia» e si meraviglia di «come il libro potesse aver ottenuto una licenza di stampa anche da parte del più disattento teologo cattolico del tempo». Al di là dei problemi di temperamento, tutto il rapporto tra Galileo e le autorità romane può essere letto come manifestazione di quella pretesa autosufficienza e assolutezza del sapere scientifico, presente soltanto in germe nel suo pensiero, ma destinata a imporsi in seguito. Una pretesa riassorbita nel gesto finale di sottomissione, difficile da giudicare, ma probabilmente meno forzato o dettato da semplice paura di quanto spesso lo si presenti. Peraltro, durante il dibattimento e dopo, Galileo fu sempre trattato con la massima cortesia: non fu mai rinchiuso in carcere né subì torture. Se la tortura fu minacciata, era per ottemperare a una formula rituale, tipica di quei processi e, in ogni caso, gli fu rivolta alla fine del procedimento, quando egli aveva già accettato l'abiura. Dal canto suo anche la Chiesa ha molto da obiettare circa l'operato di molti suoi esponenti di quel tempo, tanto da giustificare le parole di Giovanni Paolo II: «Galileo [...] ebbe molto a soffrire non possiamo nasconderlo - da parte di uomini e organismi di Chiesa», e l'invito affinché «si approfondisca l'esame del caso Galileo, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano». 6 Galileo. Mito e realtà « EX SUPPOSITIONE... » In realtà la Chiesa stava iniziando a considerare in modo più aperto le conquiste del sapere scientifico. La messa all'indice, nel 1616, del libro di Copernico va strettamente connesso all'«ardore polemico con cui Galileo si segnalò nei cenacoli colti della Roma patrizia ed ecclesiastica». Il Concilio di Trento invece non aveva condannato l'eliocentrismo, anzi c'era stato un invito a esaminare le teorie copernicane, considerandole come «ipotesi» interessanti. Molti epistemologi non esitano a definire «moderna» la posizione del card. Bellarmino che avrebbe chiesto a Galileo di trattare il modello copernicano «ex suppositione e non assolutamente»: una posizione che richiama il carattere circoscritto e rivedibile del sapere scientifico, oggi riconosciuto da tutti. Prevalsero però le faziosità di alcuni e «l'istruttoria processuale fu sintetizzata in alcune pagine tanto piene di errori e di inesattezze da attenuare la colpa di Urbano VIII e dei cardinali del sant'Uffizio se essi si servirono di quell'infelice riassunto per decidere la sorte dell'imputato». Gli studi riaperti qualche anno fa, dopo lo storico discorso del Papa, in occasione del 350esimo del processo, hanno contribuito a inquadrare meglio l'intera vicenda nel suo tempo e in riferimento all'oggi, e non si può certo condividere l'opinione di chi consigliava la Chiesa a «mettere una grossa pietra sul passato [...] lasciando questi capitoli infausti consegnati alla storia». Da M. Gargantini, Uomo di Scienza-Uomo di fede, Elle Di Ci, Leumann (TO), 1991 7 Galileo. Mito e realtà Dagli scritti di Galileo La scienza “é scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (l'universo), ma non si può intender se prima non s'impara a conoscer i caratteri ne' quali é scritto. E' scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi e altre figure geometriche, senza i quali mezzi é impossibile intenderne umanamente parola”. (da Il Saggiatore) “Mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie...” (Lettera a Cristina di Lorena) Fede e scienza non possono contrariarsi “procedendo di pari al Verbo divino la Scrittura sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio”. (Lettera a Benedetto Castelli) 8 Galileo. Mito e realtà Il rapporto tra scienza e fede Ciò che di permanente e di obiettivo rimane oggi della questione galileiana può essere sintetizzato nella domanda: quale rapporto c'è tra scienza e fede o, in modo più esplicito, quale rapporto c'è tra la scienza ed il destino dell'uomo? Nella vicenda di Galileo possiamo infatti distinguere un aspetto immediato e un aspetto anticipatore o profetico. L'aspetto immediato è quello sotto gli occhi di tutti: una vicenda che sul piano scientifico si presentava molto complessa, con delle conseguenze di carattere ecclesiale e culturale e, in qualche modo, sociale e che quindi ha dovuto essere considerata e risolta con un procedimento molto più disciplinare ed amministrativo, che dogmatico o teologico in senso stretto. Ma c'è anche l'aspetto anticipatore che a distanza di qualche secolo può ben essere riconosciuto: il problema della scienza, a cui introduce il galileismo e quindi il razionalismo settecentesco, è quello di una scienza che pretende di rappresentare il sapere come tale, la totalità del sapere; che pretende di essere il punto discriminante sulla verità della fede. La sottovalutazione della fede come superstizione, la dichiarazione dell'impossibilità del soprannaturale, l'impossibilità dei miracoli, la riduzione dell'avvenimento cristiano dapprima a religione naturale e poi sostanzialmente a fenomeno in qualche modo patologico, perché legato all'ignoranza del popolo, sono conseguenza di una concezione ed uno sviluppo di carattere scientistico. La Chiesa non poteva non avvertire la preoccupazione che in questa vicenda era contenuta anche la possibilità di uno sbilanciamento totale di orizzonte, con una scienza che pretendeva di essere, da un lato, una conoscenza dei fenomeni a livello particolare e, dall'altro, una conoscenza assoluta e totalizzante. Questo non chiarisce tutti gli aspetti della questione, ma ne chiarisce una linea di comprensione che va dal 1600 a oggi. E oggi più che mai risulta attuale il problema del rapporto tra l'autonomia della ricerca scientifica e l'autorità della Chiesa. Se per autonomia della scienza si intende infatti la piena responsabilità degli scienziati di impostare la ricerca secondo quello che ritengono più 9 Galileo. Mito e realtà adeguato per lo svolgimento della ricerca stessa, realizzando lo statuto proprio della scienza che professano con un'assoluta libertà di metodo e fissando per la ricerca obiettivi e metodi che non obbediscono ad altro se non alla ricerca stessa, l'autorità della Chiesa non ha niente da dire a questo riguardo; essa non può però non avere la preoccupazione di rappresentare un ambito di vita e di educazione a cui lo scienziato, in quanto credente, possa continuamente rifarsi, per un realismo nell'impostazione della propria indagine. Lo scienziato credente, lo scienziato che crede che Dio si sia definitivamente rivelato nella Vita, nella Passione, nella Morte e nella Resurrezione di Gesù Cristo e quindi crede che esista il luogo che salva la verità di Dio e dell'uomo, uno scienziato che può pertanto essere rigenerato continuamente nella sua certezza, corre meno degli altri la tentazione di ideologizzare la sua scienza, di concepirsi capace di trasformare le pietre in oro. Comunque l'autorità della Chiesa educa un popolo che si assume la responsabilità della propria vita, e quindi anche la responsabilità di ogni ricerca scientifica particolare, rifiutando ogni ipotesi di lavoro che gli venga sotto banco imposta da preoccupazioni estranee alla scienza. Se per autonomia della scienza invece si intende pensare ad un mondo in cui la scienza è tutto, si pensa ad un mondo che alla fine è contro l'uomo. Che la scienza non è tutto è quanto la Chiesa ha sicuramente voluto dire intervenendo su Galileo. Certo non si può dire che Galileo fosse di questo pensiero, ma non si può vedere la scienza del ventesimo secolo senza fare i conti con Galileo. Non si può guardare il problema come se fosse solo un particolare: era un particolare che portava in nuce uno sviluppo secolare in cui la scienza, svincolata da qualsiasi appartenenza, è diventata totalizzante. Quanto detto della scienza vale anche per la filosofia, nel momento in cui la filosofia non è qualche cosa che si fa a comando, per illustrare i dogmi della Chiesa. La Chiesa per illustrare i suoi dogmi può avere bisogno di formule, che prende con estrema libertà e spregiudicatezza da vari sistemi filosofici, perché non è legata a nessun sistema filosofico. Consideriamo S. Tommaso d'Aquino: la 10 Galileo. Mito e realtà Chiesa con Leone XIII (quindi non ai tempi di Galileo, ma tre secoli dopo) lo ha indicato come maestro esemplare, che ha vissuto integralmente il suo cammino verso la verità, e l'incontro tra la verità e la ragione con totale responsabilità; ma in un ambito di appartenenza che formava continuamente la sua personalità, anche di ricercatore filosofico. Quindi la Chiesa non si preoccupa del contesto ideologico e nemmeno dei contenuti della ricerca; si preoccupa di rappresentare, per colui che ricerca, un ambito di appartenenza, che rende realistico il lavoro. Quanto più è realistico il lavoro, tanto meno si possono realizzare delle contraddizioni assolute tra il contenuto della Rivelazione e il contenuto della ricerca, perché il contenuto vero della ricerca è in qualche modo il mistero stesso dell'essere. Qualsiasi ricerca, anche particolare, come ha confidato nei suoi scritti Newton, è come un approssimarsi alle tracce dell'Eterno, ma senza fretta, senza premure, senza concordismi inutili. La Chiesa per difendere la verità non ha bisogno della scienza e la scienza per porsi come scienza non ha bisogno di concordare con la fede. La scienza ha davanti a sé intero il campo della ricerca e del rischio, perché come ogni attività umana la scienza è un rischio. Occorre che il soggetto che compie questo rischio sia credente; se non lo è, lo compie ugualmente ma in modo implicito, dovendo ritrovare i termini del realismo all'interno della sua onestà intellettuale; un esempio in tal senso sono i filosofi greci, nessuno dei quali ha preteso che la sua posizione fosse un assoluto (Socrate insegna). Infatti il contenuto della ricerca è sempre mobile e la ricerca è continuamente in evoluzione; lo stesso incremento delle conoscenze e dei mezzi di ricerca, il traguardo stesso della ricerca, si spostano continuamente. La verità cristiana non è dunque l'eliminazione delle ricerche particolari, ma la possibilità di fare queste ricerche senza esasperazioni e senza riduzioni. Non sarà la scienza a dirci se Dio esiste o no. E non sarà la scienza a cambiare l'uomo circa il suo Destino. La scienza può essere fatta nella certezza dei Destino: se è fatta così, è fatta con totale responsabilità e con totale rischio. Non possiamo infine non riconoscere che la scienza e il progresso tecnologico-scientifico hanno incrementato i mezzi per 11 Galileo. Mito e realtà conoscere e illuminare la realtà, quindi per trasformare in meglio le condizioni di vita dell'uomo, quanto meno quelle materiali. Il presupposto che è sempre valso dall'Illuminismo in poi a questo proposito è che l'incremento della scienza e del progresso tecnologico-scientifico comporta necessariamente l'incremento dell'uomo. Siamo però costretti a chiederci se l'incremento del progresso tecnologico-scientifico ha incrementato veramente l'uomo come coscienza di sé, come rapporto tra sé e la realtà, come rapporto tra sé e il Destino proprio e degli altri uomini. Possiamo riferirci alla terza parte della Redemptor Hominis: l'uomo cresce e crescendo può utilizzare in modo sempre più umano gli strumenti. L'idea che dagli strumenti vengono i fini è stata completamente negata dall'evoluzione stessa della scienza: la scienza non pone i fini, si occupa della ricerca dei significati particolari, che sono significati di fenomeni che interessano regioni del sapere e non il sapere nella sua unitarietà. Che l'uomo possa utilizzare bene la scienza, non deriva dalla scienza: deriva dal livello di maturazione della personalità dell'uomo. Questo è un altro motivo per cui quello che è successo nei primi cinquant'anni del XVII secolo, in quella che poteva sembrare un'ostinata controversia fra ecclesiastici e scienziati, è invece quanto mai attuale. Se la Chiesa avesse detto 'non ci interessa, su questo pensate quel che volete' avrebbe gravemente sbagliato nella sua vocazione di realtà educante la coscienza ecclesiale e la coscienza umana; perché non è possibile dire che la scienza non interessa a chi ha la preoccupazione di tenere viva l'intera esperienza dell'uomo. I fini l'uomo non li riceve dalla scienza, li riceve da autorità che sono morali; tanto è vero che la scienza per secoli ha ricevuto i fini dall'esperienza cristiana. I fini dell'uomo nascono a livello dell'impegno dell'uomo con il senso profondo della sua esistenza e non è l'analisi di un particolare, dei fenomeni che riguardano regioni del sapere, che possa darcene una formulazione chiara. Può confermarci un'idea di fine, ma non può certamente produrla a tavolino. Per questo la scienza non può fare a meno della filosofia, né può sostituire la filosofia, perché comunque, dal 12 Galileo. Mito e realtà punto di vista naturale, la filosofia nasce come impegno dell'uomo col senso ultimo della sua vita. La scienza può favorire il progresso dell'uomo in quanto non pretende di fissare il fine, ma di dare all'uomo, che cresce nella consapevolezza del suo fine, strumenti per l'ottenimento di obiettivi particolari. Prefazione di L. Negri, Galileo Galilei. Mito e realtà, CE.SE.D., MILANO, 1996. 13 Galileo. Mito e realtà Appartiene ormai al passato il doloroso malinteso sulla presunta opposizione tra scienza e fede A partire dal secolo dei Lumi fino ai nostri giorni, il caso Galileo ha costituito una sorta di mito, nel quale l’immagine degli avvenimenti che ci si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà. In tale prospettiva, il caso Galileo era il simbolo del preteso rifiuto, da parte della Chiesa, del progresso scientifico, oppure dell’oscurantismo «dommatico» opposto alla libera ricerca della verità. Questo mito ha giocato un ruolo culturale considerevole; esso ha contribuito ad ancorare parecchi uomini di scienza in buona fede all’idea che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca, da un lato, e la fede cristiana, dall’altro. Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede. Le chiarificazioni apportate dai recenti studi storici ci permettono di affermare che tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato. Dal caso Galileo si può trarre un insegnamento che resta d’attualità in rapporto ad analoghe situazioni che si presentano oggi e possono presentarsi in futuro. Al tempo di Galileo, era inconcepibile rappresentarsi un mondo che fosse sprovvisto di un punto di riferimento fisico assoluto. E siccome il cosmo allora conosciuto era, per così dire, contenuto nel solo sistema solare, non si poteva situare questo punto di riferimento che sulla terra o sul sole. Oggi, dopo Einstein e nella prospettiva della cosmologia contemporanea, nessuno di questi due punti di riferimento riveste l’importanza che aveva allora. Questa osservazione, è ovvio, non concerne la validità della posizione di Galileo nel dibattito; intende piuttosto indicare che spesso, al di là di due visioni parziali e contrastanti, esiste una visione più larga che entrambe le include e le supera. Dal discorso di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze (31-10-1992) 14 Galileo. Mito e realtà GALILEO Mito e realtà Mostra realizzata in occasione del “Meeting per l’Amicizia fra i popoli” Rimini, 20-26 Agosto 2000 Coordinamento: Mario Gargantini Realizzazione: Maria Elisa Bergamaschini, Serenella Feliciani, Gabriele Mangiarotti, Lorenzo Mazzoni, Franco Tornaghi. Consulenza: Francesco Bertola, Francesca Bonocalzi, Alessandro Gamba. MELZO: Palazzo Trivulzio, 8 - 16 Febbraio 2003 Liceo Scientifico G. Bruno, 24 Febbraio - 1 Marzo 2003 15