libri sul web
M asulquale
editoria
web?
di Claudia Vio
In viaggio nella Rete, per capire come funziona davvero l’autoeditoria,
che cosa fanno le agenzie, perchè editore non significa più niente,
che cos’è il prosumer e tante altre cose.
Tra inganni, illusioni e voglia di libertà.
Q
ualche tempo fa, gironzolando in Internet, mi sono imbattuta nel sito
di una giovane scrittrice, interessante. L’autrice ingaggiava una furibonda battaglia contro gli editori a pagamento stilandone addirittura una lista nera, con tanto di nome e cognome.
Apprezzo gli autori che si rifiutano di
pagare un editore per farsi pubblicare, perciò ho pensato di scriverle. Nella mail le
magnificavo le virtù dell’autoeditoria. Anziché delegare a un editore il compito di
traghettarci al pubblico, le dicevo, noi autori
e autrici faremmo bene a diventare editori
di noi stessi, ciascuno creando la propria
piccola casa editrice. Dobbiamo appropriarci, per così dire, dei mezzi di produzione,
autogestirci.
La replica è stata una doccia fredda. Una
casa editrice è una perdita di tempo, rispondeva lapidaria la ragazza. Sosteneva che bisogna fare come lei, che ha pubblicato attraverso un sito, Lulu.com, senza editore.
Cos’è Lulu? Dietro il nomignolo da ninfetta c’è un uomo, Bob Young. Canadese, è
stato co-fondatore della Red Hat, società leader nel software open-source. Lulu è la sua
creatura, una società privata fondata in
America nel 2002.
Il sito è stato lanciato in Italia nell’ottobre del 2006. A differenza di altri, punta
esclusivamente sull’autopubblicazione in
web. Abile imprenditore, Young ha intravisto le possibilità di un affare planetario grazie a questo principio ispiratore: “Per noi il
successo non è fatto da 100 libri che vendono
100 mila copie, ma da 100 mila libri che vendono 100 copie ognuno”.
I centomila titoli, stampati in cento copie
ciascuno, corrispondono a centomila autori, ciascuno con cento copie del proprio libro autopubblicato con Lulu.
Dunque è uno dei tanti siti, il più aggressivo, che da qualche anno si moltiplicano
nel web offrendo agli autori vari servizi editoriali, primo fra tutti l’autopubblicazione,
o self-publishing.
C’è una concordanza universale fra questi siti sul modo di intendere l’autopubblicazione: è una soluzione per pubblicare e distribuire i propri libri effettuata direttamente dall’autore, senza l’intermediazione
dell’editore. L’assenza di un filtro tra l’autore e il pubblico viene presentata come
una conquista del progresso tecnologico,
una vera e propria alternativa all’editoria tradizionale.
Per il resto, la competizione è fortissima
e riguarda soprattutto la gamma dei servizi offerti. La progettazione grafica è il comune
denominatore. Ma si propongono anche
l’editing, la correzione di bozze, siti personalizzati, pubblicità in Internet, promozione di eventi, ufficio stampa, vendita on-line
eccetera. In sostanza, tutte le attività connesse
al lavoro editoriale vengono sottratte all’editoria tradizionale, parcellizzate e messe a disposizione degli autori in differenti
combinazioni, con relativo tariffario.
Protagoniste di questa “editoria di servizio” sono le agenzie di servizi editoriali. Non
si presentano con il volto dell’editore (il lo-
ro nome infatti non risulterà in copertina),
perché non scelgono gli autori, pubblicano
qualsiasi cosa. Non hanno l’ambizione di
lasciare una traccia memorabile di sé, non
gli importa di emulare un Feltrinelli, un Laterza o Einaudi. Ciò nonostante le agenzie
pubblicano, come le case editrici. Precisamente, pubblicano attraverso gli autori che
si autopubblicano. Il bisticcio di parole dipende dalla realtà dei fatti, ambigua. Nel lessico di queste agenzie i vocaboli “pubblicare” e “editare” cambiano di senso. Tradizionalmente, pubblicare e editare sono sinonimi: un libro si considera pubblicato
quando esce da una casa editrice, che, acquisendolo, gli riconosce le qualità per meritare di essere proposto al pubblico. Ciò non
è più vero invece con le agenzie.
Che cosa fanno
le agenzie?
Le agenzie lavorano esclusivamente con
il web. Il sito è il fulcro di questa editoria,
allestito in modo da imitare quello di una casa editrice, con diverse collane, proposte di
lettura, schede editoriali, eventi, novità, forum. Immancabile la community, luogo d’incontro virtuale per gli affiliati al sito dove
scambiare opinioni.
Nel caso si sia interessati ad acquistare
un libro, compare un carrellino da riempire come nelle case editrici vere. Il sito contiene dunque, virtualmente, un pubblico di
lettori e un mercato, o almeno così si lascia
intendere. La messa in scena è perfetta.
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baricentro nella produzione industriale, dove il libro è un prodotto materiale. Tipografia, stoccaggio, trasporto, collocazione
dei libri nei punti vendita, sono aspetti imprescindibili dell’editoria tradizionale, mentre mancano del tutto nelle agenzie, che volano leggere sulle ali dei software. Con i
software di grafica si ottengono gli ebook; altri software vengono utilizzati per gestire
la promozione, la vendita on-line, la stampa
on demand presso qualche terminale.
Per queste sue caratteristiche l’editoria di servizio si colloca nel settore terziario. Le agenzie editoriali sono la variante
terziarizzata dell’editoria a pagamento perché puntano sulla stessa clientela, cioè gli
autori desiderosi di pubblicare. Ma, a differenza di quella, non hanno bisogno di
nascondere la compravendita, perché non
sono editori.
Questa “editoria di servizio” ha ricevuto
uno slancio straordinario dall’evoluzione
tecnologica degli ultimi anni, su questo non
c’è dubbio. La stampa digitale è l’ideale per
una clientela di autori che si accontenta di
poche decine di copie e che non è in grado
di spendere cifre da capogiro. Inoltre la possibilità di stampare on demand, cioè soltanto le copie richieste, libera chiunque dal rischio delle rese.
Ma è soprattutto l’avvento del web e del
libro elettronico a segnare la svolta decisiva. Come è noto, una quantità illimitata di
informazioni è accessibile in web a un numero
vastissimo di utenti. E ogni utente di Internet può rendere pubblici i suoi contenuti a
una platea sterminata di lettori.
Il libro elettronico, comparso dopo il
2000, ha fatto il resto. Esso conferisce ai
contenuti in formato digitale una veste simile
a quella del libro in cartaceo, ma ha il vantaggio che non richiede di essere stampato,
l’ebook è immateriale.
Le potenzialità offerte dalla sinergia fra
web, stampa on demand e libro elettronico
sono state subito colte dalle agenzie di servizi editoriali che enfatizzano le qualità “democratiche” e “libere” del web, in contrapposizione alla rigidità monolitica dell’editoria
tradizionale. Esse abbagliano gli autori, insofferenti verso l’editoria tradizionale, esaltando l’orizzontalità e la circolarità insite
nella comunicazione in web. L’assenza di
una struttura gerarchica viene spacciata per
libertà. L’immediatezza del rapporto fra autore e pubblico, consentita dal web, viene
sfruttata per far credere che un libro in Internet equivalga a un libro veramente pubblicato. Attraverso queste agenzie si diffonde, purtroppo, l’immagine di un’editoria
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che sembra libertaria e liberatoria, avvolta
nell’allure del progressismo tecnologico. Si
contrappone come “laica”, non-ideologica,
ai dinosauri dell’editoria tradizionale. Fa
strage di cuori fra i giovani combattendo al
loro fianco contro il nemico comune, l’editore. Cavalca le battaglie contro il copyright. Rimette in circolo slogan della controcultura.
Le agenzie lasciano volentieri agli autori la patente di editori perché, tanto, essere
editori non conta nulla.
La divisione del lavoro al loro interno è
consona alla tecnologia del web, da cui peraltro sono generate, ed è molto diversa da
quella dell’editoria tradizionale. Quest’ultima, legata alla stampa in cartaceo, ha il suo
L’assalto
alla diligenza
Il successo commerciale dell’editoria di
servizio provoca un effetto-traino sull’editoria tradizionale, che teme di essere scavalcata e ne emula le strategie (1). È di pochi anni fa un libretto scritto da Sara Lloyd,
dirigente della casa editrice inglese Pan Macmillan. Si intitola “Manifesto dell’Editore del
XXIº secolo”. Si rivolge agli editori per sollecitarli a ri-progettare la propria funzione
alla luce delle trasformazioni che stanno
sconvolgendo l’editoria. Pragmatica, operativa, l’autrice spiega come conservare il potere editoriale nella bufera tecnologica. Ne
cito qualche passo.
L’avvento del web e del digitale, dice Sara Lloyd, vanifica il ruolo dell’editore quale “arbitro, filtro, custode, mercante e distributore” dei contenuti, in quanto spezza
la linearità del processo (dall’autore al punto vendita) sostituendola con la circolarità
propria della rete; impedisce di pensare al libro come a un prodotto finito (un “oggetto
ben determinato all’interno di una copertina”) e lo impone piuttosto come luogo di una
permanente trasformazione multimediale
operata dai lettori-consumatori; disarticola
la lettura come continuum, sostituendola
con il search, cioè la ricerca. Ma soprattutto genera un nuovo tipo di consumatore, il
prosumer.
Il termine prosumer, coniato nel 1980 da
Alvin Toffler mescolando le parole inglesi
producer e consumer, identifica la tendenza del consumatore a trasformarsi in produttore, sollecitato in questo da un sistema
produttivo che, avendo ormai soddisfatto i
bisogni fondamentali con prodotti standard,
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punta ora a vendere servizi sempre più
personalizzati.
Attorno al prosumer si dipana la
strategia propugnata da Sara Lloyd. Il
prosumer infatti non si accontenta di
essere soltanto lettore, vuole interagire. “Se c’è una cosa nel mondo del Web
2.0 che ha scioccato più di ogni altra le
società dei media tradizionali, è il desiderio dei consumatori di produrre in proprio e condividere contenuti multimediali, piuttosto che (o in aggiunta al) restare passivi consumatori dei media governati dalle corporations (…), tutto testimonia del forte desiderio da parte degli individui di esprimere se stessi e la propria creatività e di condividere i propri prodotti col
mondo intero attraverso il web”.
In questo mondo dove “i lettori sono anche scrittori e opinionisti che operano on-line all’interno di una rete e attraverso esse”
diventa cruciale il controllo delle connessioni. Gli editori dovranno conquistare una
posizione strategica per controllare e gestire le connessioni fra libro e fruitore, tra libro e libro, tra fruitore e fruitore. “Gli editori,” dice Sara Lloyd “se vogliono avere
ancora un ruolo, devono collocarsi nel mezzo di queste conversazioni digitali, guidandone lo sviluppo”, devono “attivarsi nei luoghi digitali in cui i lettori possono discutere
e interagire coi loro propri contenuti”; in altre parole, devono immergersi nella comunicazione web per dominarla (2).
Le community, i social network, sono il caposaldo di questo dominio. Gli autori desiderosi di autopubblicarsi sono i prosumers
ideali.
gettare
il libro, titolo compreso. Ho
scritto il primo titolo che mi è venuto in
mente, Bizzarro Infernale, e sono andata
avanti. Opzione dopo opzione ho selezionato
la copertina (morbida o rigida), la rilegatura, la carta, il formato e così via fino al momento di caricare il file con il testo. Ho inserito un file con una sola parola e ho dato
l’ok. È comparsa la scritta “Congratulazioni! ora sei un autore pubblicato!”.
Catapultati nel fare subito, facilmente si
tralascia di cercare le informazioni necessarie
per capire cosa si sta facendo. Queste informazioni sono contenute nei link. In controtendenza con il linguaggio laconico della progettazione, le spiegazioni nei link sono esageratamente lunghe. Ma non è detto
che contengano l’informazione che cerchiamo. Così il link intitolato “Ulteriori informazioni sui numeri ISBN e la distribu-
zione” non dice la cosa più importante e
cioè che il codice ISBN identifica l’editore
e perciò, se si accetta il codice di Lulu, l’editore risulta essere Lulu, non l’autore. Dice
invece che per vendere il libro “pubblicato”
bisogna comprare un “pacchetto di distribuzione”.
In un altro link si apprende che il “pacchetto” serve per inserire il libro “pubblicato”
nel data-base di Lulu, così diventa “disponibile” per le librerie on-line che ne
facciano richiesta. Le librerie però
non sono obbligate a richiederlo
perché Lulu non ha un contratto di
distribuzione con loro (di questo veniamo informati in un altro link). A
questo punto sorge il dubbio che
“pubblicato” non significhi “stampato”
nel linguaggio di Lulu. Infatti. Saltabeccando fra i link si appura che il libro “pubblicato”
viene stampato se qualcuno lo richiede. On
demand vuol dire appunto questo: se nessuno
lo domanda, il libro “pubblicato” rimane allo stato fetale della progettazione. Una larva, un fantasma. A meno che l’autore non ne
acquisti, lui stesso, un tot di copie.
Ricapitolando: l’autore deve pagare per
stampare il suo libro “pubblicato” e questo
solo dopo aver pagato il “pacchetto” per
venderlo.
Infine (ma l’elenco sarebbe lungo) l’autore non può mettere in Internet il suo libro,
scaricabile gratuitamente, può solo venderlo. Lulu infatti ha diritto al 20% del guadagno su ogni libro venduto e non vuole rinunciarvi; ecco perché il prezzo di copertina viene determinato automaticamente nel
corso della progettazione e non è modificabile. L’autore non può nemmeno vendere a
La ragnatela
di Lulu
Vale la pena allora di entrare nel sito di
Lulu per sperimentare sulla propria pelle la
condizione di prosumer. Con Lulu infatti
l’autore può godere l’ebbrezza del “fai-date”. Guidato dal software, egli progetta il
suo libro in un dialogo continuo con il sito.
È un modello della relazione pervasiva fra
l’autore e l’editore-che-non-c’è.
Nella Homepage si viene assaliti dai messaggi rivolti agli autori frustrati dalla vana
ricerca di un editore che li pubblichi: “Fai
emergere il tuo talento. Non dovrai più fare i salti mortali per trovare una casa editrice!
Lulu elimina le barriere tradizionali della pubblicazione. Approfitta del mercato globale
Lulu!”.
Nella stessa pagina c’è il pulsante “Inizia
il tuo libro”, bello grande e a portata di
mouse. Cliccandolo ci si trova subito a pro-
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prezzo scontato, senza il consenso di Lulu.
Di fatto, l’acquisto del pacchetto equivale a
un contratto. Ma questo non si capisce se ci
si ferma allo slogan: “Vendi il tuo libro e ti
tieni l’80% degli incassi!”.
Si sudano quattro camicie per ricomporre il puzzle (3). Mentre in un discorso, svolto da cima a fondo, incoerenze e omissioni
saltano agli occhi, con i link non c’è pericolo che questo accada perché sono frammentari, privi di un filo logico comune anche se tecnicamente sono connessi. Ci si aggira fra i link senza riuscire a stabilire una
gerarchia di informazioni, un ordine di importanza. Le informazioni che Lulu vuole tacere sono collocate nell’ultimo link, al quale si arriva stremati, e dove compare la scritta “Spiacenti, la pagina è in costruzione”.
Perché editare
se stessi?
Ho conosciuto più di qualcuno che ha
“pubblicato” con Lulu o con agenzie editoriali. Questi scrittori ritengono di essere autoeditori perché hanno deciso loro (non
l’editore) la copertina, la carta, la rilegatura eccetera. Perché si sono fatti l’impaginazione da soli.
Pensano che pubblicare in questo modo
sia conveniente. Se avessero pagato un editore, dicono, avrebbero speso di più. Finalmente hanno ottenuto il loro libro e sono contenti.
A me non interessa trovare un modo per
risparmiare. Voglio poter decidere autonomamente ogni aspetto del processo editoriale.
Ho una volontà di autodeterminazione. Perciò faccio editoria, oltre a scrivere i miei libri. Non evito gli editori: io sono l’editore.
Ma soprattutto, non identifico nell’editore
in sé l’origine dei mali che affliggono gli autori, vado a cercarla invece nel rapporto fra
libertà e potere: coloro che hanno il dominio sulla comunicazione hanno il potere di
escludere gli autori.
Questo punto di vista mi permette di riconoscere un potere minaccioso per la mia
libertà anche dove l’editore non c’è.
Con i siti come Lulu la mia libertà è ridottissima. Le decisioni che contano sono prese dall’azienda-Lulu. Il fatto stesso che tutto ruoti intorno alla vendita del libro (il libro viene pubblicato solo se è richiesto),
impicca il mio libro a una logica di mercato
che non condivido. È ovvio che se pubblico
con Lulu, la sua logica diventa la mia.
Allo stesso modo, partecipare a una community creata da un’agenzia so che nuoce alla mia libertà: proprio nella community infatti l’orizzontalità della comunicazione del
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web si incrocia con la verticalità del controllo
sulla comunicazione esercitata dall’agenzia
stessa.
Altrettanto diffido dell’editore del futuro prefigurato da Sara Lloyd, che “interagisce” con i prosumers compenetrandosi ai
loro bisogni e che parla il loro linguaggio; che
si mimetizza in un contesto aggregato per “affinità elettive” e “amicali” plasmato dall’editore.
La necessità di editare di se stessi nasce
dalla constatazione, ovvia, che la libertà soggettiva di esprimersi, specifica dell’autore, è
in relazione con il potere di qualcun altro di
impedirla o di condizionarla. Questa libertà “autoriale” è tanto più ampia, quanto minore è il condizionamento che subisce. Azzerare il condizionamento è l’obiettivo dell’autore che si appropria degli strumenti
dell’editoria (4).
Il cuore pulsante dell’autoeditoria è perciò il sentimento della libertà nel suo respiro politico, non circoscritta al bisogno solo
“autoriale” di esprimersi; è specificamente
libertaria perché identifica nell’antagonismo tra libertà e potere il suo nucleo vitale.
Perché si propone come modello (o meglio,
persegue un ideale) che contenga in sé l’antidoto contro il rischio che si rigeneri, al suo
interno, una nuova forma di potere.
Se l’autoeditoria non è questo, non vale
la pena di farla. Qualsiasi altra soluzione è
meglio.
■ Claudia Vio
[email protected]
1
Servizi di autopubblicazione cominciano a comparire anche all’interno della grande editoria.
2
3
4
È il caso per esempio di “Lampi di Stampa”, una
società del gruppo Messaggerie rivolta agli autori (“Pubblica il tuo talento” è lo slogan di
apertura del sito), ai quali si fornisce un servizio di print on demand chiamato “TuttiAutori”
e altri servizi editoriali. Forse non è un caso che
la terziarizzazione faccia capolino proprio in
Messaggerie, che per decenni si è interessata solo della distribuzione.
La preoccupazione maggiore di Lloyd riguarda il controllo degli access. Con apprensione l’autrice segnala il fatto che Google, gigante motore
di ricerca, ha battuto sul tempo gli editori occupando i luoghi strategici, cioè il controllo degli access, appunto, e del search. “Al pari di
qualsiasi grande azienda dotata di enormi eccessi di cassa” afferma l’autrice, “quella società è tutta dedita ad accaparrarsi la più ampia fetta di mercato possibile, spingendo i concorrenti
fuori del terreno di gioco, per aumentare il numero delle persone esposte ai (e cliccanti sui)
suoi annunci pubblicitari altamente remunerativi, o per noleggiare copie dei libri”.
Ricordiamo che Google nel 2009 ha cominciato a digitalizzare tutti i libri del mondo. I testi
non coperti dal diritto d’autore sono scaricabili
gratuitamente da Internet.
Le tessere del puzzle cambiano posizione ogni
volta che il sito viene aggiornato, sicché non è
detto che le informazioni rimangano nel link dove le abbiamo trovate nella visita precedente.
Tutto è aleatorio, verba volant.
A questo proposito segnalo l’ottima guida all’autopubblicazione Il libro mio lo pubblico io,
di Ettore Bianciardi e Marcello Baraghini
(Stampa Alternativa, dicembre 2010), presentato recentemente all’Ateneo degli Imperfetti
di Marghera. Il libro è in vendita in cartaceo, ma
è anche scaricabile gratuitamente dal sito della casa editrice.
Ricerca arretrati
Per il nostro archivio (e per la preparazione delle
annate rilegate) abbiamo bisogno dei seguenti
numeri di “A”:
dall’1 al 26, 28, dal 31 al 34, 63, 100, 162, 171, 178, 180,
288, 308.
Chi ne avesse una o più copie, è invitato
a spedircela/e a:
Editrice A, cas. post 17120 - Mi 67, 20128 Milano Mi.
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