No, ora no, dopo Un bambino che si sentiva solo, Che non voleva l’amore che non conosceva l’amore Che quando lo ha conosciuto lo ha perso un ragazzo a ventidue anni padre, Le scelte sbagliate, prima erano ingredienti per l’infelicita` Poi divennero alibi, Per nascondere le paure Per non essere vigliacco Per dimenticare Per isolarsi, prima di essere isolato Abituarsi alla morte Andargli incontro Saper dire solo: tanto ormai Toccare il fondo Soffrire e non lottare E rialzare la testa Voler vivere un giorno E volerlo tutti i giorni Affondare e resuscitare dall’alcohol Dicendo: No, ora no, dopo. Signora morte Sono nato in una famiglia piccolo borghese,secondo e ultimo figlio, cresciuto passeggiando accanto a signora morte; ed e` stata questa assurda compagnia che ha condizionato la mia vita fino all’eta` di trentadue anni, prima perdendo tutti i pezzi della famiglia, poi sentendomi dire “se vai avanti cosi` al massimo ti restano sei mesi di vita”. Fin dalla prima elementare chiunque, non dico esperto ma sufficientemente smaliziato, avrebbe capito che , forse, ero un bambino particolare. Alla fine del primo trimestre tornai a casa con un quattro in condotta sulla pagella. Non litigavo, non disturbavo, non rispondevo male ed ero anche educato, solo che non volevo stare seduto, dicevo: “non sono stanco perche` devo sedermi?”. E la suora ( andavo in una scuola privata, insegnamento, compagnie, tutto doveva essere buono e giusto ) penso` di punirmi con il quattro in condotta, certo era scritto a matita, poi e` diventato un voto normale. Non l’ho mai visto, neanche crescendo, come un atteggiamento educativo; il mio carattere ribelle sviluppo`il concetto d’imposizione ( o peggio quel fatto sviluppo` un carattere ribelle? ) o fai cosi` o sarai punito, tutto era legato alla paura delle punizioni. Di certo, avendolo fatto una suora, condiziono` per sempre la mia opinione sulla chiesa. Ricordo che la mattina seguente, all’ora di andare a scuola, mi nascosi sotto un divano, vi rimasi fino a quando i miei genitori, disperati, non trovandomi, stavano per chiamare la polizia. Avevo dato un altro segnale caduto nel vuoto. Entrambi i miei genitori lavoravano, impiegati in un ufficio del Vaticano, io passavo la maggior parte della giornata in casa con i miei nonni, ed una sorella, che pero` essendo piu` grande di quattro anni aveva, giustamente, altri interessi. Quando mamma e papa` uscivano per tornare al lavoro dopo la pausa pranzo, spesso piangevo seduto accanto alla porta di casa, i miei nonni, “comprensivi”, mi prendevano per mano e mi dicevano:C he ti piangi deficente, se mamma e papa` non lavorano chi porta i soldi a casa? Il quadro era completo, sapevo gia` a sei anni che nella vita contano solo autorita` e soldi. Il poco tempo che passavo con i miei genitori e` stato parzialmente piacevole, viaggi, ristoranti, vacanze un mese al mare e due in montagna; tutto sembrava andare bene, se non fosse stato per signora morte che, puntualmente, mi ricordava la sua presenza, , senza portarsi via qualcuno, inizialmente. Mio padre aveva la cirrosi ed un solo polmone, all’improvviso il fegato non funzionava, momenti di panico e ricovero ospedaliero di venti o trenta giorni. Ricordo chee una sera durante la cena, stava sbucciando un arancio, si parlava e si scherzava, improvvisamente sbarro` gli occhi e, prima di cadere con la testa nel piatto, disse a mia sorella e a me: “ricordatevi sempre di papa`”, a sette o otto anni avevo fatto la conoscenza con il panico. Scene simili mi hanno accompagnato per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Un’altra sera ricordo che eravamo andati a mangiare una pizza, in una minuscola pizzeria in via del Leoncino, una traversa di piazza del Parlamento. Improvvisamente mia madre ha accompagnato mia nonna al bagno, dopo una ventina di minuti mio padre ci ha detto che ci avrebbe accompagnati a casa e, dopo avrebbe portato la nonna in ospedale. Aveva avuto una emoraggia, ricovero e diagnosi: tumore allo stomaco, inoperabile. I miei genitori non la lasciarono mai in ospedale, presero una badante e la tennero in casa, vedevo che si consumava giorno per giorno, e negli occhi dei miei genitori leggevo l’impotenza Cosi`, tra le varie crisi di mio padre, sono arrivato ai quattordici anni, quando mia nonna e` morta, dopo due anni di sofferenze, nel letto di casa. Quello che pero` e` stato il colpo piu` grande, che in altre parole ha condizionato la mia vita, e` arrivato quando avevo quasi diciotto anni ( tanto per gradire, nel frattempo mia madre aveva avuto due infarti ), la morte di mia sorella. Un pomeriggio l’ho salutata mentre stava uscendo con mia madre per andare a Torvajanica ( localita` di mare vicina Roma ), e` stata l’ultima volta che gli ho parlato. La stessa sera mi trovavo a casa di una zia, dove avevo riaccompagnato la figlia (una mia cugina coetanea ), si sono appartate, hanno parlato sottovoce, poi mia cugina ha cominciato a piangere, quindi mia zia mi ha detto che c’era stato un incidente, sia mia madre che AM( mia sorella ) che L, il figlio di diciotto mesi di mia sorella, erano in ospedale, pero` A M era la piu` grave. Sono andato di corsa a prendere mio padre, ricoverato in un altro ospedale per l’ennesima crisi, dopodiche` ci hanno accompagnati al San Camillo, un altro ospedale che si trovava dal lato opposto di Roma, dove era ricoverata mia sorella. Appena arrivati ci hanno indirizzato al reparto rianimazione, e li` con grande sconforto ci siamo resi conto che era finita: era in uno stato di coma profondo, tenuta in vita dalle apparecchiature, dopo cinquantadue giorni e` morta. Prima signora morte si limitava a farmi compagnia, ora faceva la spesa. Subito dopo per me sono cominciati i problemi, avevo perso completamente ogni riferimento in casa, avevo solo un amico ( intendo dire vero amico ), che poi sarebbe diventato il marito di mia cugina, e con lui cominciai la fase della, come dicono qui in Spagna, “sinverguenza”. L’unica nostra trasgressione era la normalita`, una sera abbiamo conosciuto due ragazze, solo che lui doveva andare dalla fidanzata, serviva una soluzione immediata, quindi sono andato al telefono a gettoni ( i cellulari li aveva solo James Bond ) e con tono di circostanza ho detto: A, c’e` un piccolo problema, questa sera M non puo` venire da te perche` l’hanno arrestato. Non penso che sapro` mai se ci ha creduto o ci ha voluto credere. Fatto sta che da bravi compari abbiamo passato la nostra bella serata, fino a quando, davanti al rifiuto dell’approccio sessuale, non abbiamo lasciato le due ragazze su una strada di Torvajanica e, per consolarci siamo andati in birreria. Fu proprio in quel periodo che feci “amicizia” con l’alcohol, inizialmente c’era il gusto per il sapore, poi venne la scoperta, un bicchierino di brandy, o un po’ di birra e…tac, diventavo eloquente, simpatico, accentravo l’attenzione.Le bevute non erano ancora frequenti, e le sbornie occasionali, anche se sicuramente non bevevo solo per completare i pasti. Anche il peggiore dei libertini prima o poi deve fare i conti con i sentimenti. Estate 1977, un amico mi invito` a passare una vacanza in Toscana, e conobbi P. Inizialmente non ne ero particolarmente attratto, certo che era carina, e per una vacanza in un casolare in piena campagna era il non plus ultra invece quello che bolle in pentola lo sa solo il coperchio. Una sera stavamo parlando sotto un pergolato; aria fresca , cielo stellato della campagna Toscana, un buon vino “di casa” del padre di P ( che non sapeva che la figlia gli aveva preso una bottiglia della riserva per offrirmerlo ), parlare vicini, troppo vicini. E` stato un attimo, mentre la baciavo per la prima volta non sentivo gli effetti circoscritti al sottopancia, li sentivo in gola, in petto; non so quanto tempo sono rimasto a carezzargli i capelli, e in modo particolare, come si dice a Roma, non ci ho provato. L’emozione di starle vicino si rinnovava quotidianamente, dovevo fermarmi alcuni giorni, invece restai quasi due mesi. Caro Claudio Baglioni, hai proprio ragione, il primo amore non e` eterno pero` ti cambia per sempre. Quasi tutti i fine settimana con la mia vecchia Fiat 850 coupe` ( modificata, velocissima, quanto lo puo` essere una cambiale con l’altro mondo ) mi facevo trecentosessanta kilometri tra andata e ritorno per stare un po’ con lei, partivo il venerdi dopo mangiato e tornavo il lunedi mattina. Poi, una lettera, e mi ha detto che era finita. Solo dopo alcuni anni ho saputo che la scrisse solo perche` non sapendo che facessi a Roma, era gelosa. Mi ci volle diverso tempo per riprendermi. Un bel giorno tornando a casa, mia madre mi sventola un foglietto, servizio militare, allegato il biglietto per Savona, partenza diciassette gennaio. Non ho mai capito perche,` con tutti gli italiani a spasso per la penisola, la patria avesse bisogno proprio di me. Nonostante fossi refrattario a qualsiasi tipo di autorita` e refrattario alle imposizioni, tolto il primo mese di C.A. R. ( centro addestramento reclute ), non posso dire che quell’anno da servitore della patria sia stato del tutto negativo. Mi mandarono a Casarsa della Delizia, una citta` militare operativa, certo era lontana da Roma ( credo che non mi hanno mandato piu` lontano solo perche` dopo cominciava la Jugoslavia ), pero` era tutta un’altra disciplina. La sera si andava a cena con gli ufficiali, e ci davamo del “tu”, anche in caserma. Come incarico ero specializzato al tiro, cioe` dovevo calcolare e disegnare i dati di tiro per gli obici ( cannoni montati su una spesie di carroarmato chiamato semovente m-109 ), un incarico prestigioso,un’altra testa e mi sarei congedato sergente. Fu in quel periodo che feci due amicizie, probabilmente condivise con signora morte, la grappa e il cabernet del Friuli, con i gradi alcolici che contenevano ho camminato a braccetto per dodici anni. Cominciai a bere tutti i giorni, a qualsiasi ora ed in qualsiasi circostanza. Ero all’inizio, e l’alcohol mi dava forza, mi faceva sentire un numero uno e, infatti, vinsi la scuola di tiro ( esercitazione che si faceva una volta l’anno e che consisteva nel centrare con gli obici obbiettivi posti a dieci kilometri di distanza ). Le mie coordinate furono le piu` precise, ed ebbi una licenza premio ( i gradi ormai li avevo bruciati con alcuni giorni di camera di punizione ). Al ritorno della licenza, durante una partita di calcio contro un altro plotone, mi ruppi il naso. Licenza di convalescenza di venti giorni. Finita la convalescenza mi rimandarono al reggimento, mancavano solo due giorni al congedo. Una fuga frettolosa Tornai a casa, non ero felice come pensavo, qualcosa dentro di me era cambiato, non avevo piu` chiare le mie aspettative, la mia vecchia professione, il fotografo, ancora mi piaceva, ma un po’ per la perdita di clienti dovuta al servizio militare, un po’ perche’ non sentivo piu’ di amarla, era ferma ad un punto morto………….. e poi avevo le due amicizie che mi ero portato dal Friuli. Per la verita`la grappa, la sostituii con il Fernet Branca e il Brancamenta, mentre il vino dei castelli aveva preso il posto del cabernet. In fondo un romano e` normale che ordini un Frascati e, in determinati ambienti nessuno ti conta i bicchieri, mentre il fernet era ottimo per digerire ( digerire cosa? Praticamente non mangiavo ), anche se non e` molto credibile una digestione alle sette di mattina al bar. Una sera, sorseggiando il mio fernet seduto ad un tavolo del bar del cornuto ( il nome era T, lo chiamavano cosi` perche` si diceva che la moglie andasse a letto con tutti ) non ricordo come, ma il discorso fini` sulla fotografia; euforizzato dal frascati, e un po’ perche` avevo una notevole competenza, cominciai a filosofare sull’arte della fotografia, naturalmente l’amico mi fece notare che parlavo troppo per essere uno che aveva buttato alle ortiche una professione. Fu la carta vetrata che fa accendere un cerino, sfidai lui e me stesso, il mondo si doveva preparare, sta tornando il re della fotografia. Come puo` essere traditore l’alcool, mi diede forza, coraggio, quella fantasia che rendeva unici i miei scatti, nell’ambiente il mio era un nome di peso. Arrivai ad essere fotografo ufficiale di papa Giovanni Paolo II per un calendario di una sua visita al Santuario del Divino Amore, dell’ex presidente del consiglio Giulio Andreotti ad un gala di beneficenza, di una soprano filippina ( nome complicato, non lo ricordo ) ad un concerto al quale partecipava anche una certa Perrone, moglie del propietario del Messaggero, il maggiore giornale di Roma. Ero arrivato, pronto ad essere assunto come reporter al messaggero, ma anche questa volta il diavolo aveva fatto una pentola senza coperchio. Un giorno mi chiamo` …., nipote di un amico che possedeva un autorimessa proprio sotto il palazzo dove abitavo. Mi disse che doveva uscire con due ragazze, quindi gli serviva il quarto. Nonostante avessi la possibilita` di frequentare ambienti “in”, sono rimasto sempre legato al mio mondo, quindi era piu` facile incontrarmi al bar del cornuto che da Corsetti. Per noia e per non sentirlo lamentare accettai. Uscimmo, non avevo una gran macchina, possedevo una piccola Fiat 126, tanto se dovevo viaggiare avevo quella di mio padre, quindi quando ci videro con quella scatoletta non suscitammo un grande entusiasmo. Andammo a piazzale delle Muse, una terrazza panoramica naturale su Roma, un paio di brancamenta con ghiaccio e l’eloquenza era sveglia. Fatto sta che avevo il telefono di una delle due ragazze. Le riaccompagnammo e mentre tornavo a casa gia` mi ero scordato della serata, e anche di quello che avevo bevuto, visto che mi sono fermato a diversi bar lungo il cammino. Comunque ne quel giorno ne il successivo telefonai. Ero particolarmente strano in quel periodo, avevo bisogno di parlare, non sapevo di che, pero` mi mancava il dialogo in famiglia, o forse mi mancava la famiglia, quella che avevo sempre sognato come la “mia famiglia”, nonostante le angosce della malattia. Ogni volta che abbozzavo un tentativo di, chiamiamola comune serena evasione, non avevano tempo, dovevano andare al cimitero. Nel loro dolore piangevano una figlia morta, non rendendosi conto che il figlio vivo girava con il certificato di morte in tasca, li capivo e giustificavo. Fatto sta che dopo due giorni mi chiamo` O, dopo averla scongiurata, pregata, e aver indossato la maglietta con la scritta “casa dolce casa”, era riuscito a prendere appuntamento con una delle ragazze e, con l’amica. Dopo le sue insistenze patetiche accettai di accompagnarlo. Uscimmo tutti e quattro, e andammo a mangiare una pizza da Baffetto, pizzeria storica al centro di Roma. Naturalmente O doveva concludere con la sua G, quindi gli diedi le chiavi della macchina e mi sedetti con J ad un bar del Pantheon. Devo dire che anche lei non era astemia, anche se si limitava a bere qualche bicchierino, in piu`solo una tantum. Fatto sta che, probabilmente perche` era una sera una tantum, la bottiglia di Carpene` Malvolti si svuoto` per lasciare il posto alle parole. Perfetto, ad un ragazzo incazzato con il mondo era quello che serviva: una ragazza che cominciasse a parlare di quanto fosse disgraziata la sua vita. Visto che O doveva avere parecchi “arretrati” tardo` a tornare, il bar chiuse, ma lei imperterrita continuo` a parlare mentre ci eravamo “accomodati”, su di un muretto; credo che abbia parlato piu` lei di quanto io stia scrivendo. Il mio piu` grande problema era quello di trovare le frasi giuste al momento giusto, quindi passai da interlocutore a confessore per finire come persona con la si ha fiducia a parlare. E chi le poteva spiegare che invece mi rodeva tanto il…………?.Fatto sta che comincio` un rapporto sincero, onesto e, se non fosse stato per le mie stranezze, piacevole. Il weekend successivo organizzai con O una gita a Leonessa, una localita` turistica dalle parti del Terminillo, la stazione sciistica di Roma, dove avevo una casa. Quella che io speravo fosse una uscita tra amici, sport e ristorante, si trasformo` in un uscita a quattro, stranamente quando O me lo disse, non mi dispiacque. Dopo il pranzo andammo a casa, e io mi posi, vestito, sul letto con J, sul comodino sigarette, portacenere due bicchieri e una bottiglia di brandy Vecchia Romagna ( una vera porcheria, pero` meglio di niente ), non essendo un giorno una tantum bevvi solo. Non feci in tempo a consumare le mie solite dosi, perche` dopo qualche parola e un paio di sigarette, me la trovai tra le braccia: niente di ose`, eravamo vestiti per la neve, era solo una naufraga che aveva trovato il suo porto, se poi aggiungiamo la mia voglia di tenerezza, la frittata era fatta. La sera non tornammo a Roma, rimandammo al mattino successivo, comprammo salcicce e bistecche, vino rosso, accendemmo il camino e tutto si trsformo` in una romantica serata. Quella notte non facemmo l’amore, rimasi con J davanti al camino che dava un bel torpore, a terra cuscini e un tappeto, sopra una coperta, tutto perfetto, solo che comincio` a lacrimare, bevvi frettolosamente un bicchierino di Vecchia Romagna, le carezzai il viso chiedendogli che avesse e lei, cercando di nascondersi con la coperta rispose ( o meglio disse ma non disse ): Non te lo posso dire, e` una cosa del mio passato, se te lo dico non mi vorrai piu` vedere. Per la mia ansia era un invito a nozze, quindi i casi erano due: o bevevo fino a crollare, o me lo doveva dire; visto che non era il caso di ubriacarmi, e che ero ancora nella fase che controllavo le bevute, optai per la seconda soluzione. Le prime cose che gli dissi furono un classico ( anche se la pensavo e ancora la penso cosi`) : Mi hai detto che si tratta del tuo passato, quindi io non c’ero, a me interessa solo da oggi in poi, parla tranquilla e vomita questo rospo. Mi disse che non aveva mai incontrato una persona buona e sensibile come me, effettivamente non mi conosceva, quindi decise di parlare: Ho avuto una relazione che e` finita tempo prima di conoscerti, durante questa relazione sono rimasta incinta, quando ho scoperto che era sposato l’ho lasciato, sono andata a Londra e ho abortito al quinto mese di gravidanza. Ecco, capisco che ho rotto l’incantesimo. Le toccai i capelli, la fissai negli occhi, e le dissi solo: Sono qui, non e` cambiato nulla. Mi strinse, le sembrava impossibile che una persona non la giudicasse e condannasse, era abituata alle critiche del suo paese nella Ciociaria, sinceramente a tuttoggi non ci trovo niente di criminoso e scandaloso. Comunque l’ansia era tornata, ricominciai a bere, con moderazione, ma ricominciai. Arrivare a parlare di matrimonio e sposarsi fu un passo breve, lei era la mia occasione di fuga. Avevo fretta di uscire di casa, volevo dare un taglio netto alle angosce del passato, certo non ero innamorato, pero` avevo un rapporto piacevole, non sapevo che con il tempo si sarebbe deteriorato, non sempre le colpe sono tutte dell’alcolista. L’imperativo quindi era: mi sposo, voglio una vita mia, fuori dalla famiglia, voglio al piu` presto la mia indipendenza emotiva, anzi la voglio adesso, avevo da poco compiuto i ventuno anni. Mancavano sei mesi al matrimonio, e mio padre ebbe un’altra crisi, solo che questa volta non sentivo la presenza di signora morte, invece tre giorni dopo mori`, era l’ 8 aprile del 1980. Si chiuse cosi`un altro cammino di paura , rimase solo la sofferenza. Per continuare a graffiarmi l’anima incrementai le bevute. Alla fine di giugno dello stesso anno, mi trovavo con J in Calabria, terra originaria di mio padre, a consegnare inviti e bomboniere, quando in maniera soft mi disse: “penso che stai diventando padre”. Gioia?, preoccupazione?, paura delle responsabilita`?, forse nessuno di questi sentimenti, probabilmente tutti. Ad agosto ci sposammo, e subito dopo dovetti cambiare nuovamente la mia vita. Per quanto redditizio, il lavoro di fotografo non dava garanzie, e poi ero abituato a lavorare solo quando avevo bisogno di soldi, mi serviva un posto fisso. L’occasione si presento` quando una collega di J le propose di farmi parlare con il marito dirigente in un istituto di vigilanza. L’idea di mettermi una divisa e di essere armato non mi entusiasmava molto, pero` la gravidanza di J, l’ansia di essere padre, mi spinsero ad accettare, in fondo la consideravo una sistemazione provvisoria ( che sarebbe durata venti anni ). Mia figlia nacque il sette febbraio del 1981, e sembrava che andasse tutto bene, le sbornie non erano tanto frequenti, di me gli amici dicevano solo che a volte esageravo. Pero` il fisico reggeva, giocavo a tennis, poche e giuste compagnie, cene d’occasione, una casa di proprieta`, la piccola Fiat 126 era stata sostituita da una macchina piu` grande,due stipendi in casa; tutti i requisiti della famiglia modello. Sembrava che tutto dovesse prendere la giusta piega, invece era solo l’inizio di un viaggio verso l’inferno. Dritto verso l’inferno Nel frattempo J era cambiata ( io “solo” peggiorato ), la casa dove vivevamo comincio` ad andargli stretta, si sentiva un ospite perche` era solo a mio nome ( una erdita` lasciatami dai miei genitori ), volle cambiare. Vendemmo la casa per comprarne un’altra, in comunione dei beni, solo dopo anni ho saputo che i lasciti non rientravano nella comunione dei beni. Cambiammo casa e, subito, mi cominciarono a mancare tutti i luoghi della mia giovinezza; parlo di giovinezza al passato, perche` a ventisei anni gia` vivevo e pensavo da vecchio. Non dico che questa situazione sia stata la mia rovina, pero` posso giurare di averla usata per raggiungere il mio scopo, isolarmi, vivere fuori dalla societa`, distruggermi, diventare odioso e insopportabile, passare da animale sociale a reietto. Per riuscirci bevevo, tutto quello che c’era, mi ero trasformato in collezionista di ferite morali. La situazione era insopportabile, urgeva un rimedio, e J li provo` tutti ( ad esclusione della clinica psichiatrca e dell’esorcista ): antabuse, metadoxina, iniezioni di endorfina, viaggi che altro non erano che fughe geografiche, preti e magia. Gli strumenti c’erano tutti, ad eccezione del piu` importante, il mio desiderio di smettere di bere. Cosi` siamo arrivati al 1988. Un giorno mi disse se volevo parlare al telefono con un signore che faceva parte dell’associazione Alcolisti Anonimi, c’era la possibilita` che avrebbe potuto aiutarmi, accettai, …tanto ormai…. . Al telefono conobbi S, calmo e sereno, educato e disponibile, comprensivo quanto basta, pensai ( letteralmente ): “ che cazzo c’entra questo con la bottiglia”? Come se mi avesse letto nel pensiero disse di essere un alcolista che da alcuni anni viveva, e bene, senza bere. Mi spiego` senza giri di parole di far parte dell’associazione di auto aiuto Alcolisti Anonimi, che mi descrisse nei particolari , per evitare errori d’informazione riporto di seguito lo statuto di Alcolisti Anonimi: Alcolisti Anonimi è un’associazione di uomini e donne che mettono in comune la loro esperienza, forza e speranza al fine di risolvere il loro problema comune e di aiutare altri a recuperarsi dall’alcolismo. L’unico requisito per divenirne membri è desiderare smettere di bere. Non vi sono quote o tasse per essere membri di A.A.; noi siamo autonomi mediante i nostri propri contributi. A.A. non è affiliata ad alcuna setta, confessione, idea politica, organizzazione o istituzione; non intende impegnarsi in alcuna controversia, né sostenere od opporsi ad alcuna causa. Il nostro scopo primario è rimanere sobri e aiutare altri alcolisti a raggiungere la sobrietà. Avendo capito da` subito che non credevo fosse un alcolista, comincio` a parlarmi dei suoi trascorsi di bevitore, e qui capto` tutta la mia attenzione, non era un resoconto delle sbornie, mi stava spiegando la sofferenza provata nel bere e l’angoscia di non riuscire a smettere, pensai: “ ma questo sono io!!!. Tra le tante cose che mi disse, una mi colpi` in modo particolare, l’alcolismo non e` un vizio e` una malattia. Quando mi propose di partecipare ad una riunione, garantendomi il piu` completo anonimato ( anzi mi disse che potevo scegliere uno pseudomino ), risposi subito si. Il 22 novembre 1988 misi piede per la prima volta in AA ( da ora in avanti alcolisti anonimi la chiamero` affettivamente AA ), strano scherzo del destino, la data di nascita di mia sorella. Non smisi subito di bere, alternavo bevute a giorni di astinenza, il tempo passava e dovevo fare i conti con due nuovi e ingombranti sentimenti, la rabbia e l’autocommiserazione, e poi ero tanto bugiardo. Le uniche cose che imparai furono i trucchi per bere di nascosto e gli alibi, ricordo che in casa c’era una bottiglia di vermouth rosso, ogni tanto levavo il tappo e mandavo giu` un sorso. Destino volle che un pezzetto del bollino del monopolio sui liquori cadde sul tavolo, era piccolo, forse un centimetro quadrato e non lo vidi. Invece lo vide J al suo ritorno a casa. Urla, insulti, urgeva una soluzione che solo una persona con tracce di sangue nella circolazione alcolica poteva trovare: “Sono diventato sonnambulo, la notte nel sonno mi alzo e bevo”. Noto`che stranamente non puzzavo d’alcohol ( naso chiuso? ), ad io di rimando: “probabilmente invece di bere lo butto nel lavandino”. La cosa fini` li`, non credo che l’avevo convinta, pero` si arrese. Intanto avevo distrutto tre automobili, il lavoro traballava, il matrimonio era una cosa astratta e il medico sentenzio`: Se vai avanti cosi` ti restano meno di sei mesi di vita”. Ad una riunione conobbi un certo A che, parlando di se stesso, rimarco` la mia situazione, non parlava di me perche` non mi conosceva, per la coda di paglia lo odiai, per la prima volta nutrivo istinti omicidi. La notte tra il trenta giugno e il primo luglio 1990 tornai a casa con una sbornia epocale, a J dissi solo: “sto troppo male, litighiamo piu` tardi”. La stessa mattina, rientrando dalla spesa, stranamemte calma mi disse di vestirmi perche` andavamo a parlare con un amico, per i sensi di colpa non obbiettai e la seguii in silenzio. Mi resi conto che stavamo andando ad un distributore di benzina che ben conoscevo, era quello di A; proprio lui il mio nemico giurato, mi presero rabbia e panico, ma dovevo fare buon viso a cattivo gioco. A mi venne incontro sorridente, mi abbraccio` e mi bacio`, mi prese per mano come un bambino, mi fece sedere e comincio` a parlarmi. Non lo sapevo, ma quella erano le mie prime 24ore, ininterrotte, sempre fino ad oggi s’intende. Tra di noi si instauro` un rapporto stupendo, per la prima volta nella vita venivo capito, mai avevo parlato del mio intimo, ora invece ero un fiume in piena, buttavo fuori tutti i rospi, piu` parlavo e piu` stavo meglio, quell’esternare non mi provocava ansia, era una liberazione. L’unica cosa che non sono riuscito a fare ( solo Dio sa quanto lo vorrei ), e` di mettere ordine cronologico nell’ultimo bese di bevute, ricordo tanti episodi, ma quale sia successo prima e quale dopo resta per me ancora un mistero. Forse e` il sintomo piu` importante dei danni mentali della malattia dell’alcolismo. Divisi la mia giornata in tre parti: otto ore di lavoro ( durante il quale non potevo bere, semplicemente mi concentravo a non trovare gli escamotage ), otto di sonno ( per l’insonnia sarebbe piu` giusto dire stare a letto ) e otto dedicate ai gruppi allo sponsor e alla lettura della letteratura AA ( ambiente protetto che in piu` mi caricava positivamente ). In questo modo, non dovevo resistere al primo bicciere, tra l’altro resistere non era il mio forte e, non dovevo cedere, semplicemente dovevo rimandare la bevuta, la parola d’ordine era: No, ora no, dopo. Passati i primi giorni di astinenza, fatti di insonnia, sudore, tremore e depressione intervallata da momenti di irritabilita`,cominciai a memorizzare tutte le testimonianze che sentivo nei gruppi ( dico al plurale perche` oltre a Via Napoli frequentavo anche gli altri nei diversi quartieri di Roma e, a volte, d’Italia quando ero in viaggio ). In questa maniera appena si presentava un malessere fisico o un’anomalia emotiva, ricordavo come gli altri lo avevano affrontato e risolto, se c’erano riusciti loro perche` non ci dovevo riuscire io? Devo dire che nei gruppi ho trovato tutte, nessuna esclusa, le risposte. Di una semplicita` disarmante, come quella dell’amico F quando mi lamentavo dell’astinenza: “Resisti, l’unica cosa sicura e` che prima o poi passa”. Infatti, come era venuta, l’astinenza passo`. Per non parlare del sesso, per diverso tempo non ne avevo il desiderio e di conseguenza l’erezione. Anche qui le risposte erano di una semplicita` disarmante: E` successo anche a me, poi d’incanto e` tornato tutto alla normalita`”.E cosi` e` stato. Per il lato emotivo e relazionale, il discorso era piu` complesso ( o meglio, facile ma relativo ad una persona complicata ). Entravano in ballo due presupposti: l’accettazione dell’alcolismo come una malattia e, con un bagno di umilta`, la disposizione a vivere nel programma di recupero di AA. Affrontai quasi subito il problema malattia, analizzai la mia vita, le mie bevute, i miei comportamenti; un invisibile filo li legava tra di loro. Trovai che inizialmente le motivazioni che mi inducevano a bere alcohol, oltre al piacere del gusto ( l’alcohol di per se e` buono, il problema non e` l’alcohol ma l’alcolismo ), erano il leggero stordimento e l’occasione di estroversia nei legami sociali. Con il tempo e` aumentata la tolleranza, cioe` la dose necessaria per avere gli stessi effetti, fino all’incessante necessita`, a quel punto fisica oltre che emotiva, di bere. Mi rendevo conto che mi causava svariati problemi, di lavoro, fisici, incidenti stradali, sociali; Inoltre se anche avessero inventato un “alcohol “indolore”, non sarebbero cessate le motivazioni che ne cusavano l’assunzione. Capivo che era necessario interromperne l’assunzione, ma non ci riuscivo, ero ormai un suo schiavo. Il “viziato” se e` necessario non beve, cosa che io “malato” ero incapacitato a fare. Due piu` due fa quattro: Nel vizio avrei controllato l’alcohol, nella malattia era l’alcohol che mi controllava. Ho anche riflettuto sulle volte che, precedentemente, avevo interrotto le bevute, puntualmente dopo un po’ di tempo ricominciavo ( il primo giorno non bevevo, il secondo neanche, il terzo dicevo che ero stato bravo e mi pagavo da bere. Se poi, casualmente, durava una quidicina di giorni cadevo nell’autoinganno di pensare che, in fondo un solo bicchierino non mi avrebbe fatto male; ancora non conoscevo il concetto del primo bicchiere ), quindi l’altro duepiudue era che: Puo` essere relativamente facile smettere di bere, il difficile e` continuare a non bere. E qui subentrava AA. Era palese che da solo non ce la poteessi fare, avevo bisogno di qualcosa che stimolasse il desiderio a manifestarsi come sviscerato sentimento prevalente, questo qualcosa era li`, a portata di mano, era l’att razione di AA. Daltronde se prima usavo l’alcohol come mezzo di socializzazione, ora potevo usare la tecnica della sostituzione, cioe` mettere al posto della sostanza il programma di AA. A tutti gli uomini piacciono le donne, e questo e` l’essenziale, a qualcuno piacciono bionde, e questo e` il particolare. Io volevo eliminare gli effetti dell’alcolismo, cioe` il particolare, , senza correggerne le cause, cioe` l’essenziale. Per ovviare a questo equivoco avevo bisogno di passare dall’ammissione di essere un alcolista ( quante volte ho detto: sono malato, quindi bevo, che ci posso fare ) all’accettare di essere malato di alcolismo (ripetermi cioe` che l’alcolismo e` una malattia inguaribile, progressiva e mortale. Ma la posso fermare ). Come gia` spiegato smettere di bere fu per un certo verso facile, in ogni caso la vita continuava a scorrere senza che avessi il minimo sentore dell’evoluzione della sua qualita`, in altre parole non bevevo ma tutto era rimasto uguale. Con le testimonianze degli amici date ad ognuno dei 12 passi di recupero personale del programma di AA che veniva discusso nella riunione di gruppo, ebbi la chiave di lettura: Ogni singolo membro di AA, aveva ammesso l’esistenza di un Potere Superiore come poteva concepirlo; non obbligatoriamente Dio – AA non e` legata ad alcuna confessione – ma qualsiasi cosa o entita` potesse stare al di sopra di noi, fosse il guppo o un ideale. Fatto questo si era rimesso nelle sue mani, accettandone incodizionatamente la volonta`. Io, che non accettavo neanche la volonta` del propietario del bar di chiudere ad una certa ora della notte, dovevo sottomettermi a qualcuno che neanche concepivo? Si, dovevo. Tornava in ballo l’attrazione, vedevo gli amici che lo avevano fatto e stavano bene; Un po’ per invidia, molto per emulazione e perche` non avevo niente da perdere, ammisi l’esistenza di un Potere Superiore, non lo concepivo in forma o entita`, pero` decisi che c’era ( e c’e` ancora ), e volli sottomettermi a questo qualcosa di positivo, dove non poteva la convinzione usai la costrizione. Probabilmente la parola costrizione suona dura e forte, pero` e` la mia storia, e` solo quello che e` servito a me; daltronde quello che all’inizio era la conditio sine qua non e` poi diventata una buona abitudine, poi un nuovo stile di vita. Avendolo nominato il Potere Superiore mio capo in corpore, nonche` custode del mio 12 passi e 12 tradizioni, mi trovai ( dico un’altra volta la parolaccia ) costretto a fare mie le parole di quel libretto azzurro. Alla lettura del quarto passo non provai nessuna ribellione, ubbidivo come un soldatino, prendevo carta e penna e segnavo tutte le deficenze che impedivano la crescita, ne parlavo nel gruppo e poi con A, non dico di averlo fatto, ma continuo a viverlo quotidianamente. Inizialmente ero una persona che lasciava aperte tutte le porte della propria personalita`, tranne una, nella quale erano chiusi a doppia mandata segreti irrivelabili. In AA decisi di consegnare le chiavi di quella stanza. Fu doloroso, ma, si sa, le medicine che fanno bene sono le piu` amare. E cosi` per tutti gli altri passi, fino all’undicesimo, nella mia ritrovata umanita`. Uso questa parola, umanita`, perche` mi fu suggerita da un sacerdote; lo incontrai per caso non essendo un frequentatore di chiese, in un negozio di articoli fotografici in Piazza Roberto Malatesta. Il Signore dell’ultimo piano era intevenuto discretamente, come nel suo stile, visto che, dopo aver comprato quello che mi serviva, continuai a parlare con il sacerdote fuori dal negozio; ricordo solo che era alto piu` o meno quanto me, aveva degli occhiali con una montatura nera, la carnagione abbronzata e l’accento facevano supporre che fosse straniero, il nome e il volto buio assoluto, ma sono sicuro che se lo rincontrassi lo riconoscerei tra mille. Come se fosse la cosa piu` normale di questo mondo gli parlai di me, di AA, per finire al mio problema con la spiritualita`. Gli spiegai che la mia difficolta` non era la non conoscenza del concetto di spiritualita`, la potevo spiegare in mille maniere, pero` spiegarla senza viverla sarebbe stato solo filosofare senza essere filosofo. Il problema era di diversa natura: I momenti che la sentivo mia, erano sempre seguiti da lunghi periodi di totale assenza. Come potevo parlare di risveglio spirituale a singhiozzo? Mi sembra ancora di sentire il tono della sua voce che mi diceva: Parl i di spiritualita`, ma tu stai vivendo la fase precedente, la ritrovata umanita`, ed in te ne vedo tanta. Non ti angosciare, il tuo programma da come me lo hai illustrato parla di risveglio spirituale, e stai tranquillo il risveglio c’e` stato, visto che desideri parlarne, devi solo non frapporre ostacoli tra te e la spiritualita`,non avere fretta, con il tempo ti prendera`, ti sta dando segnali della sua presenza. Vivi tranquillamente questa tua nuova dimensione, accontentati. Grazie padre senza nome, specialmente per avermi detto vivi e accontentai, in un negozio di fotografia ci siamo conosciuti e tu hai fotografato il mio essere alcolista. Non ci siamo piu` incontrati. Avevo da poco compiuto il primo anno di sobrieta`, quando una mattina, tornando dal lavoro, mi recai da A per prendere il solito caffe` macchiato ( avevo l’abitudine di mettere un po’ di latte freddo nel caffe` perche` assoluto la gola lo rifiutava ), vidi la sua automobile, una vecchia Giulia super bianca, pero`´ il distributore era stranamente chiuso. Andai quindi al bar per vedere se c’era o se avevano notizie. Il barista, preparandomi il caffe`, mi disse che era stato trasportato d’urgenza in ospedale per un malore. Non lo vidi piu`, dopo quindici giorni di coma farmacologico mori`. Ero di nuovo solo, con chi avrei sviscerato i miei problemi intimi ¿, certo c’era il gruppo, che mi stette molto vicino, pero` non avevo quell’esclusiva “mia”, il mio confessore specchio personale. Cercai di trovare un’altra persona, pero` commettendo sempre lo sbaglio di voler trovare il clone di A. Ero sempre piu` demoralizzato, pregavo Dio di aiutarmi, e Lui, proprio a me che sono un agnostico, mi aiuto`. Trovai casualmente in macchina un foglietto, c’era annotato il nome di U, altro amico alcolista di A, e il numero di telefono. Meccanicamente telefonai, Ugo capi` subito la situazione e disse di aspettarlo, in quindici minuti sarebbe arrivato. Arrivo` praticamente subito, prendemmo un caffe`, e parlammo, di me, di lui di A. Fu l’inizio di una grande amicizia che ancora oggi, nonostante la distanza, dura. La fine del matrimonio Non cerco scusanti,anche se non sono colpevole in quanto malato di quell’infermita` che colpisce al novanta per cento il controllo delle emozioni e dei comportamentipero`, avendola io e non chi mi sta accanto, sono responsabile delle mie azioni, io le ho fatte e io le devo, dove posso, pagare. Sono conv into che nella vita abbiamo due tipi di “nemici”: Quelli interni e quelli esterni. I nemici interni , che poi sono i miei difetti di carattere, li ho potuti affrontare e smussare con l’aiuto del programma di recupero di AA; per gli esterni ( le quotidiane avversita` e le vicissitudini traumatiche ), c’e`´ bisogno della lotta quotidiana, indossando l’elmetto che il programma di AA mi ha fornito, nella mia vita ho accettato e riconosciuto una sola sconfitta, quella con l’alcohol. Ne consegue che questa sconfitta porta con se tutto cio` che le e` correlato: e` la resa di Enea. Ci sono pero` dei fattori esterni che AA non puo` combattere, puo` solo essere il supporto morale dell’alcolista, un porto sicuro durante le tempeste. Paradossalmente il mio nemico era diventato J, stabilendo una proporzione tra le mie e le sue responsabilita`. Personalmente feci ammenda con lei per tutto quello che l’alcolismo aveva provocato, le feci le mie scuse, anchecome passo di recupero personale, le chiesi di ricominciare da me, da quello che potevo e volevo essere, le chiedevo di, senza la pretesa che dimenticasse il passato, vivere una nuova vita senza rancori e rinfacciamenti. In effetti ci provammo, ma era piu` forte di lei, in ogni discussione, alla mia prima argomentazione valida, rispondeva con il classico …perche` quando bevevi….ho sopportato questo… hai fatto questo……anche senza bere rimani un ubriacone… ecc.ecc. La mia risposta era sempre la stessa, accett o tutte le responsabilita` del passato, non che ora voglia considerarmi un santo, pero` avevi tutto il tempo e le ragioni per licenziarmi prima, ora non ti permetto queste espressioni, esigo rispetto per la mia ritrovata normalita`. E gia`, la normalita`, quella che prima era la mia unica trasgressione ora era il mio barlume di speranza. Non serviva a niente, ricordo che un giorno, mi sedetti sul divano, volevo evitare discussioni perche` in casa c’era nostra figlia, lei di fronte al mio mutismo disse che ero meglio quando bevevo, prese una bottiglia di liquore e me la rovescio` in testa, mi disse di affogare. Credo proprio che esista Dio, perche` nonostante fosse troppo per il mio carattere tendenzialmente focoso, mi limitai ad alzarmi, fare una doccia ed uscire per andare al gruppo. Non so quanto lei fosse malata, non pretendo di saperlo, pero` il disagio di una persona ( in questo caso dell’alcolista ), puo` paradossalmente essere un terno al lotto per chi vuole occultare i suoi problemi pensando di poter risolvere quelli del partner. E poi, perche` devo colpevolizzarmi in maniera assoluta, sono stato conosciuto come ubriacone, sono stato accettato in quel momento, in seguito potevo solo rimediare cambiando il mio stato, cercando di crescere e migliorare, a volte non ci sono riuscito, ma so che i miei tentativi erano onesti. Ci sarebbe anche il detto che: chi va dietro ad un matto e` piu` matto di lui. Questa e` una cattiveria, forse non l’avrei dovuta dire, faccio ammenda il pensiero mi e` sfuggito, ed e` onesto che l’abbia scritto. Comunque in una situazione di intolleranza le cose si trascinarono nel tempo, per non peccare di accidia frequen tai anche uno psicoanalista. Subito il discorso si sposto` dai problemi matrimoniali all’origine dei miei mali. Durante una seduta parlai di Campo Marzio, il rione di Roma dove abitavo da bambino, in particolare di come nella mia memoria fosse vivo il ricordo di due negozi che si trovavano in via dei prefetti, subito prima di piazza Firenze: Una frutteria, all’esterno della quale facevano bella mostra dei caschi di banane, e una profumeria, stranamente parlai con distacco del successivo bar che faceva angolo, lo ricordavo ma non tanto da poterlo descrivere. Continuai a parlare e alla fine del colloquio lo psicanalista ( che tra l’altro conoscevo per precedenti motivi di lavoro ) tiro` le conclusioni, anche sulla base dei precedenti colloqui: La frutta dopo essere mangiata viene espulsa dal corpo, come tutto il resto, tramite gli escrementi, lascia quindi l’identita` di quando fa` bella mostra in vetrina, il profumo con il tempo svanisce dalla pelle, fino al giorno che restera` una bottiglia vuota; Sono quindi entrambe cose che con il tempo ci abbandonano. Questo, legato ad altri temi che mi hai esposto indica chiaramente che all’origine dei tuoi problemi c’e` la fobia del distacco . Era vero, come e` vero che conoscendo i propri problemi alla radice, non si ha piu` l’ansia di proseguire per la propria strada, al di la` di cosa questo possa comportare. Cosi` arrivammo ad ottobre 1998, la mia vita si svolgeva sempre piu` fuori di casa, lei poco tempo prima aveva avuto una relazione extraconiugale, finita quando l’ho scoperta ( o forse quando ha voluto che la scoprissi ), almeno apparentemente, perche` sotto sotto continuava a frequentare il tizio ( almeno mi hanno detto, in ogni caso e` una cosa sua), ed io conobbi una donna, mi piacque, le piacqui, dopo pochi giorni non essendo tipo da doppia vita affrontai mia moglie, le dissi di aver cominciato a frequentare un’altra, era il momento di prendere il coraggio a quattro mani scrivere la parola fine sul nostro matrimonio. Con la nuova compagna cominciai una nuova vita a San Cesareo, un paese di 10.000 abitanti situato a quindici minuti da Roma. Fu in quel periodo che mi venne diagnosticata una sclerosi combinata, una malattia midollare degenerante che mi ha compromesso e non poco la deambulazione, sono stato riconosciuto invalido al 100% e messo in pensione, la mia vita subiva cosi` l’ennesimo irreversibile cambiamento. Devo una gratitudine eterna ad AA, grazie ai suoi insegnamenti ho accettato questo nuovo status con serenita`, la mia vita continua, sono ancora attivo, anche se con modalita` diverse e, sopratutto, continuo ad essere io. Oggi cammino con le stampelle, pero` credetemi, non cambierei mille giorni di sedia a rotelle con una sbornia. Essendo cambiate le cose che potevo fare, frequentai presso una comunita` un corso di Operatore per la Salute Mentale, la psicologia e` sempre stata una mia passione, in piu` percepivo uno stipendio di 500€ come rimborso spese, sufficente a pagare l’affitto e le bollette, restando cosi` intatta la mia pensione. Mi diplomai, e continuai quell’attivita` fino a quando, finito il fuoco di paglia, mi separai dalla mia compagna. Questa volta non si trattava di alcohol, di liti o interessi, piu` semplicemente ci rendemmo conto di non essere fatti l’una per l’altro, ci lasciammo in punta di piedi, senza rancori, con la disponibilita` reciproca se uno dei due avesse avuto bisogno. Invece non ci incontrammo piu`, ho solo saputo che nel maggio del 2013 e` morta per una polmonite., paradossalmente della stessa forma per la quale mori`A. Andai a vivere in quella casa di Leonessa, misi internet e cominciai a navigare. Purtroppo era un periodo nel quale non frequentavo i gruppi, un po’ per la distanza ( fu per questo che mi dimissi dalla comunita` ), molto perche` stavo cadendo nella pigrizia. Altro intervento del Potere Superiore ( deve essere proprio grande se, con tutti i problemi del mondo, trova il tempo per i tanti alcolisti ), conobbi un gruppo online, AmiciAAnonimi, versione online di AA. Certo un monitor non e` come gli occhi di un amico che racconta la sua esperienza, pero` leggere quelle parole mi infondeva ugualmente quel calore di cui avevo bisogno. Ricominciai quindi a frequentare anche le riunioni fisiche, tutto ricomincio` dove si era interrotto. Una nuova vita Navigando in internet conobbi molte persone, la maggior parte donne dell’est che miravano al permesso di soggiorno. Ci parlavo in chat, senza impegno, tanto per passare il tempo e senza promettere niente. Era il modo di riempire le sere di Leonessa quando per il ghiaccio e la neve non era consigliabile uscire di casa. L’undici gennaio 2008 conobbi Y, di tutta altra parte del mondo, la Colombia. Sapevo solo che era in SudAmerica, tutto il resto era mistero. Non fu il solito parlare in chat, non avevo interesse a fare “effetto”, le raccontai tutto di me, invalidita`, alcohol, di essere stato sposato, non volevo nascondere niente, neanche che non ero ricco e vivevo con una pensione. I nostri discorsi si fecero sempre piu` intimi, e vista la difficolta` che avevano i colombiani a prendere un visto per l’Italia, decisi di andare io da lei. La cosa che dovevo fare prima di partire, era divorziare, visto che ero solo legalmente separato. J non si oppose, visto che alla casa di Roma avevo rinunciato cedendo la mia meta` a nostra figlia, inoltre avvocato e divorzio li pagavo io. Il giudice fisso` la data per il 24 ottobre, ero fuori con i tempi, quindi decisi di partire e tornare in un tempo utile per la sentenza di divorzio. Non scordero` mai come mi batteva il cuore quando dalla webcam le feci vedere i biglietti dell’aereo, uno andata e ritorno per me e uno solo andata con prenotazione per il ritorno ( la prenotazione serviva per il visto al consolato italiano ) per lei. Mi imbarcai all’aereoporto di Fiumicino il 20 giugno alle nove di mattina, il 21 nel tardo pomeriggio ero a Bogota`. Fori dalla vetrata del salone dell’aereoporto vidi che, tra la moltitudine di persone, mi salutava con la mano. Ero arrivato, in barba all’invalidita` e tutto ero riuscito a fare, sebbene frastornato mi vennero in mente le parole di RC, uno dei fondatori di AA italiana, azione parola magica. Fu un abbraccio senza parole, ma a volte le mani e gli occhi possono piu` delle parole, prendemmo un taxi e ci recammo all’Hotel Ejecutive, con una breve sosta all’ufficio cambi, mi ero scordato che avevo in tasca solo un po’ di euro e la carta di credito. Era cominciata una nuova vita, quella che sto vivendo, questa volta dipende solo da me. E siamo arrivati alla fine, non ho raccontato episodidi sbornie, tanto sono tutte uguali, cambia solo chi e dove beve, desideravo solo parlare del fenomeno visto da dentro, di cosa sente e pensa un alcoldipendente…pero`…In tutto questo manca una cosa, strana in un libro: il nome del protagonista. Tutti gli altri li ho indicati con una iniziale ( che potrebbe essere di fantasia ) per garantire la loro privacy,. Nel mio caso non ho nessuna privacy da proteggere, e non provo vergogna ad essere riconosciuto; la storia della mia vita vuole essere solo un messaggio all’amico che ancora soffre per l’alcohol, ai famigliari vittime di questo problema sociale, e a chi e` curioso di sapere cosa c’e` dietro questa malattia. Per questo, e per AA che mi ricorda di mettere i principi al di sopra della personalita`, voglio essere un qualsiasi alcolista che parla di se; se qualcosa vi interessa ricordatelo, senza paura di scartarne il resto. Assumo la completa responsabilita` di quello che ho scritto, AA non e` in nessun modo legata alla stesura di questo libro, ogni singola frase e`, e tale deve restare un opinione personale. Ringrazio tutte le persone che ho nominato, nel bene o nel male hanno tracciato il percorso della mia vita. Ringrazio AA, mi ha ridato la vita chiedendomi in cambio solo il desiderio di smettere di bere. Ringrazio il Signore dell’ultimo piano, Lo sento sempre, qui, vicino a me. E ringrazio chi oggi mi sopporta, perche` la perfezione non l’ho raggiunta, anzi………….. Salutiamoci cosi`, ciao e serene 24 ore.