anno 19 | numero 37 | 18 settembre 2013 |  2,00
In vendita abbinata obbligatoria con il Giornale
settimanale diretto da luigi amicone
Il testimone
Forse sarà proprio la storia di Domenico Quirico a tracciare il confine
tra propaganda e informazione in Siria. Fermando l’inutile guerra
EDITORIALI
DA BERLUSCONI ALLA TAV
Venerano la Carta ma sono pronti a
calpestarla per annientare il “nemico”
«A
scolta: lo sappiamo/ sei nostro nemico. Perciò ti vogliamo/ mettere al muro. Ma
in considerazione dei tuoi meriti/ e delle buone qualità/ a un muro buono,
e fucilarti con/ palle buone di fucili buoni e seppellirti con/ una buona vanga in una buona terra». Purtroppo siamo rimasti a questi versi di Bertolt Brecht, il cantore di Stalin che nelle scuole italiane si fa ancora passare per poeta di alta e pura idealità. Ciò che egli decantava in versi per i nemici del “Padre dei popoli”, è ancora qui. Vale
per Berlusconi. Ma circola anche nelle petizioni che gridano al rispetto della Costituzione mentre chi tali petizioni indice manifesta il plateale, arrogante, livido, disprezzo del
parlamento e di ogni organo di democrazia che non sia un tribunale. Si arrampicano su
per i tetti, ma la gatta in calore non freme per la Carta, frutto di una guerra di liberazione dal fascismo (che i vecchi ricordano somigliava tanto a certe scene di inusitata ottusità e parole violente che si sentono oggigiorno) e dell’incontro-compromesso tra grandi
forze popolari. La gatta freme nel senso rancoroso e astioso per l’avversario politico. Ha
ragione Ostellino. Lo Stato di diritto non c’è più. E non a causa di Berlusconi, ma a causa
delle violazioni sistematiche e patenti della Costituzione e dello Stato di diritto a cui non
fa più caso nessuno. Gli stessi che imbracciano la Costituzione come fucile, predicano
la violenza in Val Susa, il diritto all’“azione
diretta”, la tranquilla torsione delle sentenze ERRI DE LUCA, VECCHIO REDUCE
in funzione politica. Personaggi alla Erri De
DEGLI ANNI DI PIOMBO CHE
Luca, vecchio reduce degli anni di piombo e
povero scrittore allampanato (anche su quoti- GIUSTIFICA I SABOTAGGI
diani cattolici), sono l’emblema di questa de- IN VAL DI SUSA, È l’EMBLEMA
riva da Germania al tempo di Weimar.
DI QUESTA DERIVA DA WEIMAR
LA CASA BIANCA E LE SUE GRANCASSE
Tutti quei giornali a suonare per mesi
la stessa marcetta. Su Damasco
A
scorno del nostro amico Giuliano Ferrara, che insiste a predicare guerra, giusta o
ingiusta che sia, che il gas l’abbia usato Assad o i tagliagole che «hanno tradito
la rivoluzione laica» (Quirico), constatiamo con piacere (unito a qualche preoccupazione per la belligerante a prescindere Susan Rice) la repentina virata della Casa
Bianca. Interpretata, sia pur tra qualche imbarazzo, dalla moderazione che hanno preso le parole del segretario di Stato John Kerry. Un “falco” che, proprio in corso di tour
europeo per convincere gli alleati a bombardare Damasco, è stato costretto a prendere
in seria considerazione l’iniziativa di Mosca che ha chiesto l’apertura e la messa sotto
controllo internazionale dell’arsenale chimico di Assad. Ancora una volta: meno male
che la Russia c’è. Certo che non siamo ancora fuori dal pericolo di un attacco unilaterale potenzialmente esplosivo, non soltanto per i paesi che si affacciano sul Mediterraneo,
ma per il mondo intero. Però sorprende, ancora una volta e molto più platealmente che
nel caso della presunta “guerra giusta” di Bush, l’irregimentazione dei grandi giornali
alla linea di un’azione programmata, sembrerebbe da tempo e a prescindere dai fatti. Il
7 maggio scorso fu zittita l’ispettrice Onu Carla Dal Ponte che sostenne di avere prove
sull’uso del gas nervino da parte dei ribelli. Per giorni il Dipartimento di Stato Usa ha
detto di avere le prove della responsabilità
dell’uso del Sarin da parte del regime e queIl 7 maggio fu zittita
ste prove non sono mai arrivate. Adesso Quil’ispettrice Onu Carla
rico dice (ma forse è subito pressato a essere
Dal Ponte che sostenne di più prudente) di avere un’altra versioavere prove sull’uso del
ne della strage chimica. Potrebbe esgas da parte dei ribelli
sere che ha (sempre) ragione il Papa.
FOGLIETTO
Mancano i “buoni”.
Tentare di schierarsi
nel conflitto siriano è
sbagliato e dannoso. La
semplificazione uccide
N
on sempre i conflitti che acca-
dono nel mondo permettono di
comprendere con chiarezza da
quale parte prevalgano le ragioni e da
quale i torti; ancor di meno, consentono di scegliere la curva dello stadio
nella quale collocarsi. La semplificazione diventa irritante quando ci si
trova di fronte a vicende come quella
della Siria, nelle quali la complessità
dei precedenti storici e della situazione attuale raccomanderebbero altra
attenzione. È certo che il regime degli
Assad è stato lasciato per decenni da
Europa e Stati Uniti libero di mostrarsi
fra i più feroci e sanguinari; è singolare
che oggi si attenda l’esito del rapporto
sulle armi chimiche per decidere se
è proprio così turpe. E perché finora
non hanno contato nulla le decine di
migliaia di vittime innocenti, morte per
proiettili, o per bombe, o per il gas (cosa cambia?), né hanno contato nulla le
sopraffazioni contro il vicino Libano, da
quasi quarant’anni privato con la violenza dei suoi leader più autorevoli, a
cominciare da Bashir Gemayel, ucciso
dai sicari di Damasco nel 1982, quindi
invasa e oltraggiata nel 1990 e nel
2006 dalle truppe del regime siriano,
senza che nessuno abbia obiettato? È
altrettanto certo che, grazie alle incertezze di chi oggi punta all’intervento, le
file dell’opposizione sono infiltrate, se
non proprio costituite, da qaedisti. Vince Assad e continueranno i massacri,
si consoliderà l’asse Iran e Hezbollah,
e i cristiani ancora presenti nell’area
saranno colpiti più duramente. Vincono
gli altri, e la presenza terroristica di
matrice sunnita, col patronato del
Qatar, sarà radicata; i cristiani non se
la passeranno meglio. Non si tratta di
mostrarsi indifferenti, ma di rendersi
conto che fra le parti in causa mancano i “buoni”. Esserne consapevoli è il
presupposto per non allungare la catena di errori europei e occidentali.
Alfredo Mantovano
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SOMMARIO
06 PRIMALINEA MARTE, I MARZIANI. LA VERITÀ SULLA SIRIA | GROTTI
NUMERO
anno 19 | numero 37 | 18 Settembre 2013 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
Settimanale Diretto Da luigi amicone
37
Il testimone
Forse sarà proprio la storia di Domenico Quirico a tracciare il confine
tra propaganda e informazione in Siria. Fermando l’inutile guerra
Forse sarà proprio la
storia di Domenico Quirico
a tracciare il confine
tra propaganda
e informazione in Siria
LA SETTIMANA
14 INTERNI LA SECONDA VITA DI FORMIGONI | AMICONE
20 CHI È CHI RENZI, UN AMORE
CONSUMATO | BORSELLI
Foglietto
Alfredo Mantovano...........3
Solo per i vostri occhi
Lodovico Festa........................ 13
Speciale
Women in business...... 27
Le nuove lettere di
Berlicche................................................41
Presa d’aria
Paolo Togni.................................... 46
Mamma Oca
Annalena Valenti............... 47
Post Apocalypto
Aldo Trento................................... 52
Sport über alles
Fred Perri...........................................54
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano.................. 55
Terra di nessuno
Marina Corradi......................58
RUBRICHE
22 ESTERI LA GERMANIA VERSO LE URNE | PUNZI
36 CULTURA FILOSOFIA E SCIENZA | CASADEI
L’Italia che lavora...............42
Stili di vita.......................................... 46
Per Piacere....................................... 49
Motorpedia........................................50
Lettere al direttore...........54
Taz&Bao................................................56
Foto: Ansa; Archivio Meeting
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 19 – N. 37 dal 12 al 18 settembre 2013
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei
(inviato speciale), Caterina Giojelli,
Daniele Guarneri, Pietro Piccinini
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Foto: Ansa
Dopo essere stati prigionieri
dei ribelli siriani per 152 giorni,
Domenico Quirico e Pierre
Piccinin sono stati liberati.
Il giornalista della Stampa
è stato accolto dal ministro
degli Esteri Emma Bonino
all’aeroporto di Ciampino,
domenica 8 settembre
MARTE E I MARZIANI
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DI LEONE GROTTI
Foto: Ansa
La dura
verità
I racconti di Domenico Quirico e Pierre Piccinin
aiutano ad avere l’immagine reale della guerra
in Siria. Assad resta un dittatore, ma i ribelli a
suon di rapimenti, esecuzioni, minacce ai cristiani,
vogliono «trasformare il paese in un califfato
islamico». Altro che paladini della libertà
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l’inviato della Stampa è atterrato libero
domenica sera a Ciampino e ha raccontato in una conferenza stampa improvvisata e in un lungo articolo sul quotidiano
diretto da Mario Calabresi, i mesi nelle
mani dei ribelli tra «paura, umiliazioni,
fame, mancanza di pietà, due false esecuzioni e due evasioni fallite». I dubbi erano
già stati dissipati da tempo, ma se ancora ce ne fosse bisogno, i racconti di Quirico e Piccinin aiutano a fare piazza pulita di un’immagine distorta della guerra siriana che viene riflessa sui media da
oltre due anni e mezzo: quella che divide il campo in buoni e cattivi, opponendo a un dittatore crudele un’opposizione
che si batte per la democrazia e la libertà. Se Bashar al Assad resta un dittatore
e non assomiglia per niente a uno stinco
di santo, la visione edulcorata della prima ora dei ribelli è svanita a suon di rapimenti, esecuzioni, dissacrazione di chiese
e minacce da parte dei terroristi legati ad
al Qaeda di farla pagare ai cristiani, una
volta che saranno riusciti a «trasformare
la Siria in un califfato islamico».
Grazie alla testimonianza di Quirico e
Piccinin, si capiscono meglio parole come
quelle pronunciate a tempi.it dall’arcivescovo siriaco ortodosso di stanza a Damasco, Mor Dionysius Jean Kawak: «Tanti cittadini del popolo siriano erano a favore
di questa rivoluzione, ma ora non lo sono
più. Dobbiamo ascoltare anche il resto
del popolo siriano, non solo l’opposizione, che non rappresenta tutti. Noi abbiamo sempre sognato un paese democratico e libero ma la verità è che non sappia-
Foto: Getty Images
«L
Siria è il paese del
Male. Ho cercato di
raccontare la rivoluzione siriana,
ma può essere che
questa mi abbia
tradito. La rivoluzione non è più quella
laica di Aleppo, è diventata un’altra cosa:
fanatismo e lavoro di briganti. È come se
fossi vissuto per cinque mesi su Marte.
E ho scoperto che i marziani sono molto malvagi e molto cattivi». Nel linguaggio di Domenico Quirico, a “Marte” corrispondono i 152 giorni di prigionia passati in Siria «trattati come bestie»; i “marziani” sono i ribelli, «più banditi che islamisti o rivoluzionari».
Sequestrato insieme al professore belga Pierre Piccinin lo scorso 8 aprile,
a
MARTE E I MARZIANI PRIMALINEA
Maloula è stata occupata
dai ribelli. Molti cristiani
sono stati minacciati, così
hanno scritto al Congresso
americano: «Il terrorismo
che colpisce gli abitanti
fa parte di un piano globale
che ha lo scopo di cacciare
i cristiani dalle loro terre.
Ecco cosa viviamo ora
che lo Stato è forte.
Cosa succederà quando non
sarà più così, una volta che
l’esercito degli Stati Uniti
ci avrà bombardato?»
terroristi islamici di al Nusra hanno sparato contro chiese e monasteri, saccheggiandone alcuni. La croce che svettava
sulla cupola del monastero dei santi Sergio e Bacco non c’è più, è stata rimossa, e
molti cristiani sono stati minacciati con
queste parole: «O vi convertite all’islam
oppure vi decapitiamo». Gli abitanti del
villaggio si sono rivolti così al Congresso
statunitense riferendosi alla presa del villaggio: «Questi atti criminali, questi saccheggi sistematici delle città cristiane,
questo terrorismo che colpisce gli abitanti fa parte di un piano globale che ha lo
scopo di cacciare i cristiani dalle loro terre d’origine. Ecco cosa stiamo vivendo
ora che lo Stato è ancora forte. Cosa succederà quando non sarà più così, una volta che l’esercito degli Stati Uniti ci avrà
bombardato? Quello che attende i cristiani delle nostre città e villaggi, nelle mani
di organizzazioni terroriste come Jasbat
al Nusra, è semplicemente terrificante.
Possiamo forse sperare che tutte le terribili aggressioni subite dai monasteri e dalle chiese della cristianità – come a Ghassanieh, a San Simeone, a Homs – finiran-
Foto: Getty Images
l’arcivescovo siriaco ortodosso di Damasco ha detto
a tempi.it che «questa opposizione non può aiutarci
ad avere il paese libero e democratico che sognavamo»
mo se questa opposizione può aiutarci a
diventare liberi e democratici».
Un’ennesima conferma è arrivata in
questi giorni dalla lettera scritta dagli
abitanti di Maloula ai membri del Congresso americano. Il piccolo villaggio cristiano, appena tremila abitanti, è l’unico
posto al mondo dove si parla ancora l’aramaico di Gesù ed è uno dei siti religiosi
più antichi e importanti della cristianità. Maloula è stata conquistata lo scorso
5 settembre dai ribelli al grido di «Allahu
Akbar», Dio è grande: dopo aver fatto
scappare l’80 per cento degli abitanti, i
no per risvegliare la coscienza del mondo perché riconosca il crimine terrorista
commesso ai danni della Siria? Noi non
elencheremo neanche i massacri perpetrati in tutte le città e i villaggi dove abitano quelle che voi chiamate “minoranze”, perché li conoscete già nei dettagli».
Se la soluzione politica invocata con
forza da papa Francesco sembra dunque
l’unica ragionevole via d’uscita alla crisi
siriana, resta il nodo delle armi chimiche
a bloccare la strada che porta alla pace.
Gli Stati Uniti sono irremovibili nell’intenzione di «punire Assad» per l’utilizzo
di agenti tossici il 21 agosto a Ghouta, che
avrebbe provocato la morte, a seconda
delle fonti che si ascoltano, di un numero
imprecisato di persone che va dalle stime
più basse dell’intelligence francese, 281,
fino a quelle più alte dei ribelli, 1.845.
Il rapporto degli ispettori dell’Onu non
arriverà prima di due settimane e i dubbi
sulla responsabilità dell’attacco non sono
stati dissipati né dalle prove raccolte contro Assad da America, Francia e Gran Bretagna, né da quelle che incolpano i ribelli fornite dalla Russia di Vladimir Putin.
Le prove che non convincono più
Negli ultimi giorni molti membri del Congresso americano si sono mostrati scettici
sulle prove a stelle e strisce. Justin Amash
(repubblicano) ha scritto: «Ho partecipato a un altro briefing di alto livello sulla Siria, ho visionato dell’altro materiale.
Ora sono più scettico di prima, non posso
credere che il presidente spinga per questa guerra». Perplesso anche il democratico Tom Harkin: «Il briefing sinceramente ha sollevato più domande che altro.
Le prove presentate dall’amministrazio�ne sono circostanziali». Il repubblicano
Michael Burgess rincara: «Ho visto il plico
di documenti riservati. Era molto sottile».
A fomentare le riserve c’è, ancora una
volta, la testimonianza di Quirico e Piccinin, che durante i mesi di prigionia
hanno ascoltato tre ribelli attribuirsi la
responsabilità della strage di Ghouta. Il
docente belga, in un’intervista, ha detto:
«È un dovere morale dirlo. Non è il governo di Bashar al Assad ad avere utilizzato
il gas sarin o un altro gas nella periferia
di Damasco. Ne abbiamo la certezza perché abbiamo sorpreso una conversazione
dei ribelli. Anche se mi costa dirlo perché
dal maggio 2012 sostengo la giusta lotta
della democrazia dell’Esercito libero siriano». Quirico ha poi spiegato così le parole del collega: «Eravamo all’oscuro di tutto quello che stava accadendo in Siria
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PRIMALINEA MARTE E I MARZIANI
CAMPAGNA DI SIRIA
Le prove sull’uso di armi chimiche da parte del regime non ci sono.
Mentre cresce il sospetto di un’operazione militare propagandistica
decisa a tavolino da Obama, Hollande e Cameron. La solita guerra
|
Nelle campagne di Ghouta, alla periferia
della capitale siriana, l’esercito governativo
fronteggia da mesi le formazioni dei ribelli
anti Assad, tra cui una vasta compagine
di Jasbat al Nusra, la fazione esplicitamente
legata ad Al Qaeda. Da mesi la maggioranza
della popolazione ha abbandonato le case
DI GIAN MICALESSIN
I SERVIZI DI TEMPI
Informazione controcorrente
A sinistra due servizi di Tempi (nr. 35
e 36). “L’atroce bluff” a firma di Gian
Micalessin e “Chi vuole la guerra?” di
Rodolfo Casadei. Sotto, tempi.it dà
notizia del reportage – che nessuno cita
– di Mint Press News, dove i ribelli siriani ammettono di aver utilizzato «per
sbaglio» nei quartieri di Damasco armi
chimiche arrivate dall’Arabia Saudita
L’atroce bluff
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| 4 settembre 2013 |
| Foto: Getty Images
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| 4 settembre 2013 |
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COPERTINA
I ribelli hanno ammesso di aver usato armi chimiche
a Ghouta, ma le posizioni di Russia e America sulle
responsabilità di Assad rimangono opposte. In Siria
c’è chi vuole lasciare la parola solamente alle armi
|
A fare esplodere le armi chimiche nella regione
del Ghouta (Siria) secondo ribelli locali non
è stato Bashar al Assad, ma gli stessi ribelli, per
errore. La notizia è contenuta in un reportage
pubblicato su Mint Press News. Le dichiarazioni
dei ribelli hanno dell’incredibile (e suscitano
qualche sospetto) dal momento che vanno contro
il loro interesse, scagionando di fatto Assad
DI RODOLFO CASADEI E DAVIDE DI STEFANO
Chi vuole la guerra?
6
| 11 settembre 2013 |
| Foto: Getty images
|
durante la nostra detenzione, e quindi
anche dell’attacco con i gas a Damasco.
Un giorno però dalla stanza in cui venivamo tenuti prigionieri, attraverso una
porta socchiusa, abbiamo ascoltato una
conversazione in inglese via skype che
ha avuto per protagoniste tre persone di
cui non conosco i nomi. (…) In questa conversazione dicevano che l’operazione del
gas nei due quartieri di Damasco era stata fatta dai ribelli come provocazione, per
indurre l’Occidente a intervenire militarmente. E che secondo loro il numero dei
morti era esagerato». L’inviato della Stampa precisa subito dopo che «io non so se
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7
native, bensì da parte degli oppositori,
dei resistenti».
La fragilità delle prove raccolte, la
capacità di papa Francesco di riunire in
preghiera e digiuno per la pace in Siria
centinaia di migliaia di persone in tutto il
mondo, l’opposizione della maggior parte dell’opinione pubblica, la mancanza
del Regno Unito – alleato storico americano in ogni attacco – bloccato da un voto
parlamentare contrario all’intervento, i
tentennamenti del Congresso statunitense, dove almeno la metà dei deputati alla
Camera è indeciso se dare il via libera allo
strike, la consapevolezza che un’azione
Obama è in difficoltà. Il premio Nobel per la pace È alla
ricerca di una soluzione per salvare capra (l’onore
e l’orgoglio Usa) e cavoli (la Siria e il Medio oriente)
tutto questo sia vero perché non ho alcun
elemento che possa confermare questa
tesi e non ho idea né dell’affidabilità, né
dell’identità delle persone», ma la loro
testimonianza invita perlomeno alla prudenza. Anche perché in un reportage da
Ghouta pubblicato su Mint Press News
i ribelli ammettono di aver «fatto esplodere per sbaglio le armi chimiche provenienti dall’Arabia Saudita» e già lo scorso maggio Carla Del Ponte, membro della Commissione di inchiesta della Nazioni Unite sui crimini di guerra, aveva rivelato: «Abbiamo potuto raccogliere alcune
testimonianze sull’utilizzo di armi chimiche [in Siria], e in particolare di gas nervino, ma non da parte delle autorità gover10
| 18 settembre 2013 |
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militare non riuscirà ad abbattere Assad
ma che sicuramente aiuterà al Qaeda,
nemico giurato dell’America, a guadagnare terreno e proseliti; tutto questo ha messo in difficoltà il premio Nobel per la pace
Barack Obama, che sembra alla ricerca di
una soluzione per salvare capra (l’onore
e l’orgoglio degli Stati Uniti) e cavoli (la
Siria e il Medio Oriente).
Forse si possono leggere in questo senso le dichiarazioni del segretario di Stato americano: «Assad potrebbe evitare un
attacco consegnando le sue armi chimiche alla comunità internazionale entro
la settimana prossima», ha detto lunedì
John Kerry rispondendo a una domanda
in conferenza stampa a Londra. Russia e
Siria hanno preso la palla al balzo accettando la proposta, che poi è stata definita solo una «battuta ironica», ma intanto il segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, ha chiesto a Damasco di consegnare tutti i suoi gas a un organismo internazionale che li distruggerà, aggiungendo che chiederà al Consiglio di sicurezza
di intervenire sul caso. Al di là della complessità dell’operazione, con i ribelli che
già annunciano che «Assad non manterrà
le promesse», Obama ha per la prima volta
un terreno su cui lavorare per rinunciare
ai bombardamenti senza perdere la faccia.
La forza di papa Francesco
Lo spiraglio di dialogo che si è aperto conferma quanto le parole del Papa, pronunciate alla veglia di preghiera del 7 settembre in piazza San Pietro, fossero più realiste e meno ideologiche di tanti discorsi
sulla libertà, valore assolutizzato in una
guerra che ha già causato più di 100 mila
vittime e milioni di profughi: «Quante
guerre hanno segnato la nostra storia.
Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli
e sorelle. In ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli
idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi;
e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra
coscienza si è addormentata, abbiamo
reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione,
dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte! (…) E a questo punto mi domando: è possibile percorrere la strada della pace? Invocando l’aiuto di Dio sotto
lo sguardo di Maria Salus Populi Romani
regina della pace voglio rispondere: sì, è
possibile per tutti. Questa sera vorrei che
da ogni parte della Terra noi gridassimo:
sì, è possibile per tutti». n
SOLO PER
I VOSTRI OCCHI
di Lodovico Festa
C’
è ancora uno spiraglio:
l’iniziativa di renzi tra speranze e diffidenze
Giorgio Napolitano, pur spesso senza un’adeguata determinazione ma
in ogni caso politicamente sapiente, lo tiene
aperto per il proprio protetto – un altro non
proprio coraggiosissimo – Enrico Letta. Questo spiraglio per praticare due obiettivi oggi
indispensabili e inseparabili (pacificazione
dell’Italia e riforma dello Stato con annessa
giustizia) è forse l’ultima chance per una nazione in via di disgregazione. Il nostro status
è sceso (dopo qualche discredito dovuto al
duo Silvio Berlusconi-Giulio Tremonti) dalla
marginalità a cui l’aveva portato Mario Monti fino a quasi al ridicolo: così Emma Bonino
sulla Siria, così Letta al G20, così i rabbuffi di
Bruxelles e Berlino temperati solo dal mago
Mario Draghi la cui forza però poggia non
delle strade provinciali, la Costituzione piuttosto che cambiarla
nel rapporto con Roma bensì con la Fed. In
andrebbe applicata) o di non posizioni del tipo “vorrei pace nel
una fase in cui il “contesto” è decisivo innanmondo e cacca che profumasse di violette” (piuttosto che fare legzitutto per l’economia, il nostro “ruolo” si
gi sul lavoro creiamo più lavoro, ci spiega per esempio) che indiavvicina allo zero nonostante che tanti altri
cano un nuovo posizionamento politico: piuttosto che nel cenprotagonisti (dagli Obama ai Cameron e agli
tro della società per creare un sistema di alternative costruttive,
Hollande) facciano di tutto per declassarsi.
il sindaco di Firenze cerca la sponsorizzazione della Repubblica,
D’altra parte se la sovranità invece che al podi Grillo e Vendola, cerca una vittoria “prodiana”: mettiamo insiepolo viene affidata alle tome tutto il possibile e chissenefrega se non funzionerà.
cerca la vittoria
ghe, gli esiti sono questi.
Lo spiraglio c’è ma stretto:
mettendo insieme I danni di qualche “largo ai giovani”
nel centrodestra chi coglie
tutto il possibile. Perché abbandona uno spazio che poteva aiutarlo a ricostruire
gli istinti del proprio popoTutto ciò poggia pure l’Italia e non solo a vincere un congresso o un’elezione? Elemenlo non è poi capace di elabosull’idea (sbagliata) to decisivo di questo triste esito è quello prima richiamato: in
rarli culturalmente, chi inuna situazione di scarsa sovranità nazionale, abbondano i soggetche il problema oggi ti che preferiscono coordinarsi con sistemi di influenza stranievece ha posizioni politiche
sia quello ra (è interessante che il consulente economico renzista suggerimature ha difficoltà a intergenerazionale e sca di vendere l’Eni) che fondarsi su un’adeguata base nazionale.
loquire con il proprio popolo. Il centrosinistra è una
Tutto ciò, però, poggia pure su quella base culturale che mi
non l’allargamento
raccolta di anime morte: si
sociale dello Stato aveva reso immediatamente diffidente verso “la nuova promesè affidato prima al municisa”: l’idea che il problema centrale oggi sia quello generazionale
palismo emiliano, nobilissima tradizione ma inadeguata a espri- e non l’allargamento sociale dello Stato. Nel secolo passato almemere una visione nazionale (gli errori del socialismo padano fu- no un paio di rivolte generazionali ci hanno provocato guasti di
rono determinanti per la vittoria del fascismo). Ora, poi, ha scelto fondo: il fascismo con il “largo ai giovani” la “giovinezza” molto
un ectoplasma come Guglielmo Epifani che ha già devitalizzato fiorentinamente “primavera di bellezza”; e in larga misura il “sesla Cgil e ha come unica attitudine quella di tenere incollati pezzi santottismo” rivolta generazionale per eccellenza matrice di moldi nomenklatura (prima sindacali ora d’apparato) senza una mi- ti dei guai che Renzi – senza capire di quel che parla – denuncia
nima idea di dove indirizzarli.
(dalla partecipazione burocratizzata alla crisi del merito, dai grafSaremo dunque salvati da Matteo Renzi? Devo dire che verso fiti all’ipersindacalizzazione). Renzi proviene dalla grande tradila nuova promessa piddina avevo avuto insieme radicale diffiden- zione del cristianesimo fiorentino dei La Pira, dei don Milani, dei
za ma anche qualche speranza: la “parolina” su Berlusconi che Balducci, tradizione insieme vitale e troppo radicale. Piuttosto
andava battuto per via politica e non giudiziaria certo non esauri- che rimuoverla con il patchwork messo insieme dai consulenti,
va le complesse questioni in campo ma era il cuore delle possibi- avrebbe dovuto rielaborarla, confrontarla con quella comunista –
li soluzioni. Dopo qualche mese l’atteggiamento di Renzi si è tra- l’altra cultura decisiva del Pd – , superarla in un dialogo intergedotto in un pilatesco “la giustizia faccia il suo corso”. Inoltre nel nerazionale (altro che “giovinezza”) e da qui, da quel fondamenrecente libretto Oltre la rottamazione il candidato segretario ina- tale punto di vista costituente (innanzitutto dossettiano), aiutare
nella una serie di prese di posizioni (più della Fiat è meglio occu- una riforma dello Stato che richiede storia e cultura più che i conparsi degli artigiani, meglio dell’Alta velocità è la manutenzione sigli per gli acquisti suggeriti dai Gori di turno.
Il ragazzaccio fiorentino
ha una deriva prodiana.
Ma non sa da dove viene
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INTERNI
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nodi al pettine
DI LUIGI AMICONE
Scordatevi
che molli il
compagno B
Non ha nessuna intenzione di togliere il disturbo
e promette un ritorno in Forza Italia «per porre
al centro dell’agenda politica la sussidiarietà».
La seconda buona vita di Roberto Formigoni
N
ei giorni del Meeting di Rimini,
Roberto Formigoni non ha avuto
dubbi a schierarsi per le elezioni anticipate, le stesse che chiede Grillo.
«Il mio pensiero è sempre stato quello di
ogni uomo ragionevole in Italia: se questo
governo va avanti con coraggio e determinazione facendo scelte impegnative, tanto meglio. Se però questo governo diventa l’alibi per eliminare Silvio Berlusconi
e umiliare la nostra parte politica, è evidente che, un minuto dopo, questo esecutivo non esiste più. E si deve restituire la
parola al popolo. Possibilmente con una
legge elettorale che abolisca il sistema
dei “nominati” dai partiti e consenta alla
gente di scegliere, con le preferenze o con
un sistema alla spagnola, i propri rappresentanti. In questo senso, e solo in questo,
ha ragione Grillo».
Quanto alla situazione generale del
paese, «leggo in giro una strana ansia che
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tende a riesumare antiche forme di centralità dello Stato, quando la crisi economica ci ha reso di drammatica evidenza
che è proprio lo Stato centralista, lo Stato
idrovoro che non smette mai di raschiare
il fondo del barile delle tasse, lo Stato delle leggi, leggine, lacciuoli e corporazioni
che tengono la società stretta in una camicia di forza, non è la soluzione, ma la parte principale dei problemi italiani».
Come se ne esce? «Per quanto riguarda la Lombardia, la possibilità di proseguire nella strada di libertà e sussidiarietà rispetto allo statalismo deprimente
imperante altrove in Italia è ancora tutta intatta. Nonostante avessimo (e abbiamo tutt’ora) grandi poteri contro, ce l’abbiamo fatta, i lombardi hanno ribadito il
loro consenso al centrodestra. E Roberto
Maroni è lì, governatore. Mi auguro che
non cada nei tranelli di un certo establishment». Per esempio? «Per esempio deve
Foto: Ansa
Roberto Formigoni
è presidente della
commissione
Agricoltura in Senato.
Di una cosa è convinto:
«Faremo Forza Italia e
siamo pronti a batterci
per un partito vero,
pluralista, aperto al
confronto interno,
punto di incontro tra
forze di matrice laica,
cattolica e liberale»
fare molta attenzione al tipo di riforma
sanitaria che i cosiddetti “grandi esperti”
gli suggeriranno. Non vorrei che un certo
sistema puntasse a riportare la Lombardia
indietro, allo statalismo più bieco».
Capo lista in Lombardia e presidente
di Commissione (agricoltura) in Senato,
Formigoni non si sente affatto un disperso della politica. E, anzi, è convinto di avere ancora un ruolo in politica. Per esempio, tra gli azionisti della Forza Italia rilanciata da Berlusconi. «Faremo Forza Italia
e siamo pronti a batterci per un partito
vero, pluralista, aperto al confronto interno, punto di incontro tra forze di matrice cattolica, laica e liberale. Siamo vivi e
non abbiamo nessuna intenzione di sparire dalla scena pubblica per lasciare campo alle forze disgregatrici e distruttive che
vogliono fare dell’Italia un paese politicamente debole, preda delle convulsioni
ideologiche interne, una Grecia dove gli
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INTERNI NODI AL PETTINE
Potere o testimonianza? Formigoni non ne vuole sapere:
«È una alternativa falsa. Il potere o è per un servizio
all’umano o è disumano. Ma non è mai cattivo in sé»
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no via l’intera giunta, i cittadini lombardi scelgono Roberto Maroni e la continuità del centrodestra. Che sia un criminale
corrotto e associato in delinquere è difficile a credersi. E comunque, che valga la
pena o no celebrare un processo, questo
lo stabilirà una corte a partire dal 30 settembre prossimo.
L’insegnamento di don Giussani
Un fatto è assodato, al di là di ogni ragionevole dubbio, e l’ex Celeste lo rivendica
con orgoglio. «L’era Formigoni, che adesso scrivono sembra sia stata “archiviata” o
“superata”, è l’era del buon governo riconosciuto dalla nostra gente perché è l’era
della libertà e della sussidiarietà applicata. In tantissimi hanno parlato di sussidiarietà. Io ritengo di poter dire senza falsa umiltà che una politica di libertà e di
sussidiarietà, con tutte le conseguenze
di buona vita e benessere conseguiti dai
nostri cittadini, è stata realizzata solo in
Lombardia. Non per merito solo di Formigoni, ovviamente. Ma perché la coalizione
e i programmi che ci siamo dati, gli amici
che si sono coinvolti e hanno creduto nella sussidiarietà, lo hanno dimostrato nel
fare concreto. Ditemi, per favore, cosa è
stato fatto sul piano nazionale di ciò che
abbiamo fatto in Lombardia in materia
di libertà e sussidiarietà nel campo della
scuola, della sanità, del lavoro, dei servizi
sociali. Nulla. Non a caso, quando l’esperienza lombarda era matura per essere
trasferita sul piano nazionale e conseguire il bene di tutti in uno Stato alla deriva
perché marcito sotto i poteri corporativi e
conservativi, è scattata la macchina infernale mediatico-giudiziaria. Non a caso, il
sistema tende a ricompattarsi sul dirigismo romano e le spinte ideologiche tendono a interpretare la Costituzione in chiave
rigida e, si dice, addirittura irreformabile. Si poteva e si può riformare lo Stato e,
come ha insegnato la Lombardia, realizzare un federalismo virtuoso e liberatore del-
le istanze individuali, sociali, produttive?
Io credo di sì, e per questo mi batto e mi
batterò fino a che avrò fiato».
Dunque, potere o testimonianza?
Roberto Formigoni non ne vuole sapere. «È una alternativa falsa. Il potere o è
per un servizio all’umano o è disumano.
Ma non è mai cattivo in sé. Don Giussani
ci ha insegnato con Tertulliano che non
c’è nulla di umano che non sia anche cristiano. San Paolo invitava a pregare per i
potenti. E la comunità cristiana non ha
mai approvato i cosiddetti puri. Puri, o
presunti tali, erano i catari. Una élite di
illuminati che pretendeva di separare
lo spirito dalla materia. Insegnavano ad
astenersi da ogni soddisfazione della carne, benché gli esseri umani siano in tutta evidenza unità di carne e spirito. Perciò
i catari finirono condannati dalla Chiesa come settari ed espulsi dalla comunione cattolica. Mutilare l’umano non è cristiano. Noi non abbiamo mai avuto paura
del potere. Non l’abbiamo mai considerato un tabù da esorcizzare. Ci è stato insegnato che il cristianesimo investe tutto e
trasfigura tutto».
Foto: Fotogramma, Ansa
stranieri scendono per fare shopping di
aziende e imporre modelli di vita e di etica che non ci appartengono».
A proposito di appartenenza. Politico solo in età matura, Formigoni ha speso la giovinezza per contribuire a dare forma e azione alle idee e societas respirate
alla scuola di don Giussani. Il padre e fondatore di CL di cui in questi giorni Rizzoli
celebra una monumentale biografia a firma di Alberto Savorana, attuale portavoce della Fraternità di Comunione e Liberazione guidata dallo spagnolo don Julián
Carrón. Ha studiato alla Sorbona (filosofia) e i suoi amici erano (e forse lo sono
ancora), gente come Sante Bagnoli, Giancarlo Cesana, Angelo Scola, Luigi Negri,
Massimo Camisasca, Giorgio Vittadini. Si
è fatto le ossa stando da cattolico in piazza negli anni di piombo e fu lui, sul finire degli anni Settanta, a convincere Silvio
Berlusconi a mettere il primo cip – quattro lire ma importanti – al progetto di Bartolomeo Sorge di strumento di informazione «per la ricomposizione del mondo
cattolico» che fu il primo Sabato. Settimanale inizialmente diretto dal mitico Vittorio Citterich e animato da giornalisti di
rango come Roberto Fontolan (già vice al
Tg1 all’epoca della direzione Gad Lerner e
attuale direttore CL internazionali), Renato Farina e Fiorenzo Tagliabue.
Poi, con il Movimento Popolare, negli
anni Ottanta, inizia la folgorante carriera politica. Prima in casa Dc. Dove comincia alla grande con mezzo milione di preferenze che lo catapultano al Parlamento
europeo e finisce ammaccato nello spezzone di Dc (Cdu) sopravvissuto alla fucilazione giudiziaria. Poi, in Forza Italia,
ed è storia recente, dove conquista il vertice della Lombardia e per diciotto anni
consecutivi ne è governatore con consensi ineguagliati dalla politica. Ancora lo
scorso anno, quando deve cedere lo scettro perché massacrato da una campagna
stampa e avvisi di garanzia che si porta-
Peter Gomez è stato la star della
giudiziaria dell’Espresso. Poi ha
fondato con Travaglio e Padellaro
il Fatto Quotidiano, di cui è
direttore della versione online
Tangentopoli, Tempi e Il Fatto Quotidiano
Tra noi (non) c’è
di mezzo il mare
«La soluzione giudiziaria non basta, ci vuole la
politica. E sui magistrati tipo Ingroia ammetto
che ci possano essere dubbi». Parola di Gomez
Foto: Fotogramma, Ansa
«P
ersonalmente penso che questo
governo sia stabilissimo e
durerà fino alla fine della legislatura, perché venti senatori del Pdl e dieci transfughi del 5 Stelle per farlo stare
in piedi si trovano. Ma bisogna avere una
cosa che Berlusconi ha e altri non hanno: le palle. La maggioranza degli altri
non ce le ha. Berlusconi, possiamo pensare tutto quello che vogliamo di lui, è un
uomo con gli attributi che quando vuole ottenere una cosa cerca di ottenerla e
lavora per i suoi obiettivi». Non è Brunetta e neanche Marisa l’olgettina a parlare. È
Peter Gomez, direttore del Fatto Quotidiano online. Come è noto, la testata più antiberlusconiana che c’è. Ha festeggiato in
questi giorni il milione di fan su fb e macina record non solo mozzorecchisti.
Gomez viene dal giornalismo pistaro-
lo. Negli anni Ottanta cronista al Giornale, poi al seguito di Montanelli alla Voce.
Disoccupato dopo la chiusura del quotidiano, lo chiamano all’Espresso e ne diventa
la star della giudiziaria. Infine l’avventura
con Travaglio e Padellaro, al vertice della
versione telematica del Fatto, secondo una
formula editoriale meno incarognita e
più furbescamente attenta all’area a cavallo tra Pd, Sel e grillismo. Ci incrociamo a
Caorle, per una serata inventata dall’assessore alla Cultura Luca Antelmo. Serata che
finirà a notte fonda, a parlare di cose che
interessano veramente la vita – le amicizie, gli affetti, il destino – nel conforto di
fritti di pesce e Tocai di Lison. Prima dei
discorsi a tavola c’erano state due ore di
fitta conversazione davanti a un pubblico
che si attendeva botte da orbi. E invece aveva dovuto registrare con stupore crescente
che in questo paese di regressione belluina
si può ancora ragionare da punti di vista
neanche così diametralmente opposti.
Rivoluzioni e coincidenze
Chi scrive si permette di sostenere che Tangentopoli tranciò di netto il sistema politica-affari. Ma anche che, a partire dalle prime retate del ’92-’93, la cosiddetta Seconda Repubblica è caratterizzata da un venire meno del patto costituzionale non scritto. Ricordo Ettore Bernabei, fanfaniano
e direttore della Rai targata Dc dei primi
anni Sessanta, che a questo giornale rivelò che il tema giustizia venne affrontato
dai dirigenti del partito cattolico già nel
1946 in vista della scrittura della Costituzione insieme ai comunisti. La configurazione del potere giudiziario, la sua autonomia e la sua indipendenza, vengono da
un’esigenza condivisa da democristiani e
comunisti. Per banalizzare: noi ci faremo
la guerra per il consenso, dissero allora Dc
e Pci, ma la magistratura deve rimanere
fuori da ogni contesa politica. Perciò, non
abbiamo mai condiviso il punto di vista di
Gherardo Colombo, ex mito di un miti|
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INTERNI NODI AL PETTINE
Gomez: «Io capisco
che Luigi dubiti di
Ingroia. Io non voglio
impedire ai magistrati
di entrare in politica,
però un po’ di senso
delle cose ci vuole.
Non ti puoi candidare
dove sei stato pm»
La fine della democrazia
Nel frattempo l’ideologia manipulitista è
diventata annientamento di ogni dialettica democratica, disprezzo del parlamento,
Repubblica giudiziaria. In questo senso la
riforma della giustizia è un’assoluta priorità. Gomez naturalmente dissente. Ma,
ecco la novità, in parte consente a questa
analisi. «Secondo me dovremmo metterci d’accordo su che cosa è stata Tangentopoli per capire cosa succede adesso. Quello che scopriamo dopo l’arresto di Mario
Chiesa, nel momento in cui lui e gli altri
imprenditori confessano (molti lo facevano al citofono, quando arrivavano i Carabinieri), è che, almeno a Milano, a partire dal 1986, al grande banchetto della politica partecipano tutti, anche le opposizioni. Pensate a quelli che a Milano votavano
Pci perché pensavano di fare opposizione
o votavano Dc contro i comunisti. Ma quelli la sera si spartivano le tangenti ed erano
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tutti d’accordo. È la fine della democrazia.
Questo è secondo me emblematico di quello che è accaduto in questi anni. Perché,
vedete, ha ragione Luigi, la prima funzione
di controllo in un paese, in una democrazia normale, non spetta alla magistratura e nemmeno al giornalismo. I primi che
devono controllare il buon funzionamento delle istituzioni sono coloro che stanno
nelle istituzioni, è la minoranza che controlla l’operato della maggioranza. Ma se
la minoranza e la maggioranza di notte si
dividono le tangenti, di quale democrazia
stiamo parlando?».
E continua: «Ora, però, dire che i partiti politici erano cattivi è sbagliato e secondo me sminuisce la situazione perché quella era una situazione – e lo è tuttora – con
due attori: da una parte c’erano gli uomini politici e gli amministratori pubblici,
dall’altra parte c’erano gli imprenditori
che non erano mica vessati come ci raccontano. Pagavano ed erano contenti di pagare perché quando tu versi il 5 per cento di
tangente su un appalto della metropolitana nessuno della pubblica amministrazione verrà a controllare effettivamente quei
costi. Tu quel chilometro di metropolitana lo fai pagare quanto vuoi. E fai tanti soldi. La magistratura, ha ragione Luigi, entra
come un treno in questa storia. A un certo punto si presentò un manager di Stato
e disse che tutte le imprese che partecipavano agli appalti pubblici dell’Anas in Italia facevano cartello. Migliaia di imprese.
È evidente che i ladri andavano puniti ma
è altrettanto evidente che il fenomeno era
troppo diffuso per essere combattuto solo
per via giudiziaria. Rispetto a una situazione così complessa – ma qui dissento rispetto alla guerra civile, guerra civile era quella che c’è stata in Sudafrica, da noi c’erano quelli che rubavano e quelli che venivano derubati – la soluzione a un certo punto non poteva che essere politica. Ci fu un
tentativo in questo senso, proposto a suo
tempo da alcuni magistrati del pool e alcu-
ni tra i migliori avvocati di Milano. La cosa
non è stata presa in considerazione, si è
tentato di seguire un’altra strada».
I proprietari dei media
Quale strada? «Non dobbiamo dimenticare
che questa storia ha due protagonisti: corrotti e corruttori, cioè imprenditori e politici, funzionari pubblici. Gli imprenditori in Italia hanno una caratteristica: in un
paese in cui non esistono editori puri, sono
anche proprietari dei media. Si seleziona
un direttore e si sceglie un giornalista perché ti servono. Io nel mio piccolo quando rimasi disoccupato perché nel 1995 mi
chiuse la Voce, mi chiamò Caltagirone che
era amico del direttore del Tempo. Finisco a parlare con Giovanni Mottola che mi
vuole prendere per questo posto e mi porta a incontrare Caltagirone per un’ora e lui
comincia a parlare. E io dopo un po’ capisco che lui aveva bisogno, essendo sotto
inchiesta a Milano, di qualcuno che avesse
buoni rapporti in procura».
Gomez ne ha anche per i suoi amici magistrati che, tra l’altro, collaborano
col Fatto Quotidiano. «Io vengo incontro
a Luigi anche su De Magistris, e, in parte, su Antonio Ingroia. Non perché penso
che abbia fatto le inchieste per quello che
dice Luigi, ma perché penso che ognuno
di noi ha delle responsabilità, non è giusto sfruttare delle rendite di posizione,
non è giusto che un giornalista che abbia
funzione di controllo (può farlo) utilizzi il
suo programma televisivo che gli dà tantissima popolarità per proporsi agli elettori. Dopodiché la gente dubiterà di te. Io
capisco che Luigi dubiti di Ingroia, so che
non c’è da dubitare del lavoro di Ingroia
perché lo conosco, ma se voi dubitate avete ragione. E una persona che non si pone
il problema, secondo me sta sbagliando.
Io non voglio impedire ai magistrati di
entrare in politica, però un po’ di senso
delle cose ci vuole. Non ti puoi candidare
dove sei stato pm». [la]
Foto: Ap/LaPresse
co pool oggi inpoltronato in parlamento
e nei Cda come supposti garanti di legalità
(Colombo è in quello Rai, lottizzato in quota Pd), che al Corriere della Sera descrisse la storia italiana come un vasto tappeto
di intrighi e corruttele consociative. Ricordo Alain Minc, gnomo della grande finanza francese, che nel ’93, quando Giulio
Andreotti ricevette l’anticipo di avviso di
garanzia via New York Times (e nel ’94 se
ne ricordò, denunciando “manine americane” dietro il processo per mafia che gli
intentò la procura di Palermo) era ancora
socio di Carlo De Benedetti. «Le rivoluzioni
non nascono mai per complotto, ma per
una serie di imprevedibili coincidenze».
Detto ciò, concludeva Minc, «l’Italia deve
riformare lo Stato e decidere se la frontiera con l’Africa passerà per Napoli o quella
europea per Roma». Aveva ragione Minc.
Tant’è che dal ’92 a oggi, ancora la riforma dello Stato attendiamo. La vicenda ventennale di Silvio Berlusconi è un’anomalia figlia di questa anomalia più radicale.
chi è chi
il tempismo della politica
Matteo
Renzi
Ritratto sentimentale del sindaco che
prese i cuori e ora cerca di recuperare
senza sapere in che campionato gioca
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Foto: Infophoto
F
ino a poche settimane fa le mail del circolo Pd frequentato in
| DI laura borselli
due domeniche d’inverno arrivavano nella casella di posta
come le magliette di un ex che spuntano dall’armadio: stilettate, detonatori di ricordi, in qualche caso reliquie di relazioni definitivamente sbiadite. Poi Matteo Renzi è rientrato a dare a
questo tempo ignavo e larghintesista un senso di campagna elettorale vaga e indefinita. Insomma non è chiaro se e quando si
voterà, ma è chiaro che lui c’è. Se non adesso (parola d’ordine della sua campagna per le primarie), prima o poi. Certo, c’è il non
trascurabile dettaglio che per la risoluzione dei dubbi temporali si sta appesi a Berlusconi e prima ancora ai moniti di un presidente della Repub- In amore bisogna crederci in due, in
blica che più volte ha ribadito la necessità politica in di più. cOSì ORA CHE TUTTI
di stabilità. Eppure per l’elettore neofita
delle primarie del 2012, uno che magari LO DANNO VINCENTE QUEL’AMORE NON
non aveva mai partecipato a nessuna pri- CONSUMATO SEMBRA ESSERSI CONSUMATO
maria e alle elezioni vere non ricorda cosa
ha votato (indizio che potrebbe persino dopo Jovanotti fornendo una sintesi per- to e mai lo farà), schivare le profferte di
essere un transfuga del centrodestra) que- fetta dell’apparato teorico che ha sostenu- Fioroni (che vagheggia intese sui contenusti sono giorni strani. Giorni di déjà vu e to il gioco dell’estate, quel “se c’era Renzi” ti), annotarsi le sortite dell’autorottamasussulti. Di quelli che solo gli innamorati che ha scandito i mesi dalle politiche ad to D’Alema che prevede sfracelli se Matteo
oggi, tanto che se c’era Renzi, chissà, forse si intestardirà a voler guidare il Pd invedelusi possono comprendere.
Cattolico democratico, scout, citato- Stephanie Forrester non moriva.
ce di limitarsi a fare il premier, infastidito
re non banale di don Lorenzo Milani, culda Pippo Civati che lamenta l’attenzione
turalmente più pronto a schierarsi con La più bella sconfitta del mondo
esclusiva dei media sul sindaco e assicuMarchionne che con la Cgil, frequentato- La sera della sconfitta contro Bersani Mat- ra: «Anche io faccio i bagni di folla». Così
re di posti ambigui come Amici, Arcore, teo si accalorava dicendo che «la nostra adesso che tutti lo danno vittorioso nei
ristoranti con Briatore. Sindaco di Firen- non era una battaglia di testimonian- sondaggi il sospetto è che la sconfitta gloze. Giovane. Con la fissa che i progressi- za», sincero e spietato come ogni amante riosa alle primarie fosse la vera vittoria di
sti, quelli tra cui ripete di sentirsi a casa, degno di questo nome che non sottrae lo Matteo, l’unica possibile, quando ha trionsiano ingessati da un apparato inamovibi- sguardo e dice che è finita, «è stato meglio fato in Toscana e ottenuto ottimi risultati
le e intrinsecamente conservatore. I tan- lasciarsi che non incontrarsi», ma domani in terre placide e moderate come le Marti che giudicavano la sua retorica rotta- è un altro giorno. Matteo quella sera non che, che mesi dopo sarebbero divenute
matrice un filino eccessiva si sono ricre- ha citato né Via col Vento né De André, terra di conquista del Movimento cinque
duti durante le primarie, quando la sua ma i Modena City Ramblers e Samuele stelle alle politiche. Chi ci aveva creduto lo
idea di partito “smart” è stata travolta dal- Bersani: «È sempre bellissima la cicatri- guarda con lo smarrimento che si riserva
la ditta di Pier Luigi Bersani tra strette di ce che mi ricorderà di essere stato felice». a uno che aveva un posto nel cuore e ora
mano e regole trabocchetto. A garantirgli Oggi gli ex folgorati lo guardano, redu- tenta di recuperare posizioni senza sapeil successo tra gli uomini di buona volon- ce da una battaglia scomposta sul Quiri- re in che campionato gioca. Ultimamentà è stata l’accusa più infamante, quella nale, divincolarsi tra i residui della rotta- te l’hashtag preferito dei tweet di Matteo
di voler attirare i delusi del centrodestra, mazione, sopportare gli endorsement di è #iocicredo. In amore bisogna crederci in
di voler parlare a tutti. «Matteo nel Pd fa chi ieri lo schifava (Franceschini), soste- due, in politica in molti di più. Perché tutpaura. Non vogliono avere in casa gen- nere la durezza di Rosy Bindi (signorina ti gli amori vanno consumati al momento
te che non è della tribù», dirà di lui mesi caparbia nel dire che non lo ha mai ama- giusto. Altrimenti si consumano.
Foto: Infophoto
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ESTERI
verso le urne
Come vota
un arcitedesco
Le elezioni in Germania viste dal professor
Gerd Habermann, cattolico e ultrà del liberalismo,
che teme le idee egualitarie presenti in tutti
i partiti e l’assistenzialismo di matrice europea.
«La moneta unica più che unirci ci divide»
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DI vito punzi
Il recente confronto
televisivo tra la cancelliera
uscente Angela Merkel
e Peer Steinbrück,
candidato della Spd
ESTERI VERSO LE URNE
G
ermania al voto, dunque. Un
voto per Berlino, per il cancellierato. Con Angela Merkel aspirante e probabile
confermata, anche se con
chi, insieme all’Unione
Cdu-Csu, è ancora da vedere. Non troppo
amata all’estero, nei paesi del sud Europa in particolare, perché identificata con
l’immagine di una Germania considerata l’unica vera profittatrice della politica monetaria europea sviluppatasi dal
momento dell’introduzione dell’euro, tra
i propri concittadini la Merkel ha visto
crescere il consenso proprio per questa
immagine di leader strenuamente impegnata a difendere gli interessi del proprio
popolo. E questo nonostante il suo fare
spesso ondivago (condizionato più dal
non detto che dal detto), anche su temi
di politica internazionale, e i fallimenti di alcune scelte, anche di politica economica: si pensi a quella che due anni
fa, dopo Fukushima, veniva tanto decantata come la “Energiewende”, la svolta
energetica che avrebbe dovuto portare a
un rapido smantellamento delle centrali
nucleari a vantaggio delle fonti energetiche alternative. Nei fatti si è tradotto tutto in un disastro, in particolare nel settore del solare (si vedano i recenti fallimenti Solarhybrid, Solar Millennium, Solon e
Q-Cells), ma con il settore eolico che non
sta meglio, anzi.
Dopo il confronto televisivo di qualche giorno fa tra la cancelliera uscente e
Peer Steinbrück, il candidato della Spd,
tra le truppe socialdemocratiche è serpeggiata perfino l’ipotesi che «l’esito del voto
sia incerto» (così Günter Grass, al quale in
questi casi piace sempre portare la bandierina della “divisione intellettuali”), salvo poi dover fare i conti con i sondaggi,
impietosi: tutto fermo, altro che rimonta, Unione al 41 per cento e Spd al 26. Con
i Grünen in evidente difficoltà, e per vari
motivi: rivelazioni sul passato filo-pedofilo di vecchi esponenti del partito, campagna elettorale costruita praticamente solo
su divieti (compreso quello di cavalcare
pony in manifestazioni pubbliche) e con
uso di manifesti che qualcuno non ha esitato a definire in “stile nazionalsocialista”.
Data per fuori gioco la sinistra estrema,
la Linke (con la quale la Spd non intende
accordarsi), restano due incognite: i liberali della Fdp, la cui conferma oltre la soglia
del 5 per cento significherebbe il probabile riproporsi dell’uscente coalizione nerogialla, e la AfD, Alleanza per la Germania,
l’unica novità di queste elezioni, con la
sua campagna tutta incentrata sull’abolizione dell’euro e il ritorno al Marco.
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Tra i commentari più interessanti
intervenuti in questa campagna elettorale spicca Gerd Habermann, “filosofo
dell’economia”, come si usa definire in
tedesco, pubblicista e professore onorario dell’università di Potsdam, nonché
cofondatore e membro della Fondazione che s’ispira all’economista liberale
austriaco Friedrich A. von Hayek. Fin dal
dottorato presso l’università di Costanza,
Habermann ha indirizzato i propri studi verso la storia dello Stato sociale tedesco, fino al volume del 1994, intitolato
Lo Stato assistenziale. Storia di un percorso sbagliato. È stato in particolare un
suo articolo apparso su Welt dal titolo
“La Repubblica livellata” a far discutere,
perché accusatorio nei confronti di tutte le forze in campo, impegnate, ciascuno con un proprio linguaggio, a servire
lo Zeitgeist, che in quest’ora della storia
chiede di inneggiare all’egualitarismo,
al motto “nessuno deve rimanere escluso”, dunque alla rimozione delle disuguaglianze sociali e all’assistenzialismo di Stato. Per que«la
sto abbiamo deciso di rivolgergli alcune domande.
Professore, come valuta, da
liberale, la situazione della
democrazia in Germania e
nell’intera Europa?
Vedo la democrazia liberale minacciata principalmente dal centralismo, dallo Stato assistenziale e dell’egalitarismo estremo (la “società del
tutto compreso”, la politica del pari trattamento). Il vero liberalismo è in questo
momento ovunque sulla difensiva o addirittura in ritirata. Tuttavia in Germania
noto anche un contro-movimento, soprattutto tra i più giovani.
Ritiene che esista il reale pericolo del
costituirsi in Europa di nuovo Stato
centrale di stampo neosocialista? Se sì,
quali sono i soggetti che lavorano per
esso e quale ruolo gioca l’euro?
Uno Stato neosocialista, centralizzato
e assistenziale, rappresenta l’ideale presente nel programma dei nostri partiti
di “sinistra”. Esso è anche nei desideri di
diversi rappresentanti della Commissione europea e da più punti di vista risulta già in gestazione attraverso la politica
europea di standardizzazione e di “armonizzazione”. Tuttavia non credo che questo discutibile ideale potrà affermarsi
completamente e a lungo contro il volere dei popoli e delle democrazie locali.
Esso è voluto propriamente solo da una
parte rilevante dell’élite politica tedesca,
per così dire come surrogato dell’impero:
democrazia liberale
è minacciata dal
centralismo, dalla
politica del pari
trattamento. il vero
liberalismo è ovunque
sulla difensiva»
“Europa, euro über alles.” Ma per realizzare pienamente questo manca il substrato necessario: un popolo unitario. Il fallito progetto dell’euro rappresenta un fattore trainante in questa direzione, ma la
sua difesa a oltranza, prima che alla realizzazione di uno Stato centrale (che non
vogliono i francesi, come non lo vogliono gli italiani e gli inglesi) porterà anzitutto a una divisione, direi addirittura al
caos all’interno dell’Unione Europea. Le
nazioni del sud Europa vogliono semmai
un’unione di trasferimento a loro favore.
La Germania deve pagare.
Lei s’è dedicato a lungo allo studio dello
Stato assistenziale, ovviamente partendo dal suo punto di vista liberale. Qual è
la sua valutazione al riguardo?
Quello dello Stato assistenziale è un
progetto secondo il quale tutti vogliono vivere a spese di tutti gli altri. Ma si
tratta di un progetto che alla lunga non
può funzionare. Direi piuttosto che esso
è in procinto di autodistruggersi attraverso la distruzione del capitale, lo sviluppo
demografico (lo Stato non può essere il
Gerd Habermann è
cofondatore e membro
della Fondazione
ispirata all’economista
liberale austriaco
Friedrich A. von Hayek.
A lato, sostenitori
di Angela Merkel in
campagna elettorale
sostituto della famiglia e tuttavia cerca di
esserlo tramite la sua cosiddetta previdenza sociale e la sua politica familiare solidarizzante), e inoltre attraverso la de-moralizzazione dei cittadini, ai quali insieme
alla libertà viene sottratta anche la loro
responsabilità: fino ad ora ciò si è manifestato come un lento processo di erosione
più che come un drammatico tracollo. E
in ogni caso, nei paesi del sud Europa, grazie alla crisi legata ai debiti statali, risulta
essere ormai in una fase avanzata.
Foto: AP/LaPresse. Nelle pagine precedenti Getty Images
Lei è cattolico: che relazione c’è tra il
cattolicesimo e la dottrina liberale?
Il cristianesimo è storicamente essenziale per lo sviluppo dell’individualismo
liberale fondato sull’autonomia della
coscienza: ognuno è responsabile direttamente al cospetto di Dio delle proprie
azioni. Inoltre, i vincoli con la dottrina
liberale concernono lo scetticismo del
cristianesimo rispetto allo Stato e al sapere, come ha evidenziato Friedrich A. von
Hayek, come pure la difesa, promossa
dalla Chiesa, di istituzioni di base come
la proprietà privata e la famiglia. Infine,
di fondamentale c’è stata e c’è la trasmissione dell’antica saggezza greco-romana
avvenuta attraverso la Chiesa cattolica. È
anzitutto a partire da queste fondamenta
che si è sviluppata l’economia moderna.
Da ricordare è anche quella realtà chiave
che è stata la scuola di Salamanca, con i
suoi padri domenicani e gesuiti, una vera
avanguardia.
Come giudica il rapporto attuale tra la
Chiesa cattolica e la dottrina liberale?
Purtroppo il modo in cui la Chiesa
cattolica in Germania è legata allo Stato
paralizza il suo ethos e la rende un suo
organo di supporto piuttosto che una forza d’opposizione allo Stato assistenziale. Nel momento in cui in ultima istanza
cerca, per così dire, di statalizzare l’amore verso il prossimo la Chiesa uccide una
parte centrale del suo compito evangelico, della sua ragione d’essere.
Tra un mese in Germania ci saranno le
elezioni per il cancellierato e per il rinnovo del Bundestag, secondo lei il governo uscente Cdu-Csu-Fdp potrà uscirne confermato?
Al momento sembra che il governo
“nero-giallo” possa uscire dalle urne confermato, anche se per lungo tempo sembrava potesse accadere tutt’altro, tanto
che si è parlato a lungo di una “maggioranza strutturale” dei partiti di sinistra.
A proposito di Chiesa cattolica, di recente il capo della Conferenza Episcopale Tedesca, il vescovo Zollitsch, è
intervenuto nella campagna elettorale
augurandosi che il nuovo partito Alleanza per la Germania (AfD), critico rispetto a euro e Unione Europea, non entri
nel Bundestag, perché «il nostro futuro
è in Europa e non nel ritorno agli Stati
nazionali». Perché questa paura rispetto a AfD tra i vescovi tedeschi?
Anzitutto Zollitsch è solo uno dei
vescovi tedeschi e in secondo luogo, non
possedendo approfondite conoscenze in
materie economiche ritengo che difficilmente possa ritenersi nella condizione di
capire il perché l’euro sia stato malamente costruito e i motivi per cui la moneta
unica più che unire in realtà divida l’Europa. Credo anche che non comprenda il
fatto che non si tratta di tornare allo Stato nazionale, piuttosto della correzione
di un errore di prospettiva, di una centralizzazione avvenuta nel luogo sbagliato.
Al di là di tutto, secondo me la Chiesa cattolica non dovrebbe intervenire su questioni strettamente politiche. Così è dal
Concilio Vaticano II, ma con quest’uscita contro l’AfD Zollitsch è sembrato voler
tornare indietro nel tempo.
Avrà letto i programmi elettorali dei
partiti, che cosa ne pensa?
In ogni programma elettorale prevalgono idee egualitarie. Si continuano a
tirare somme sbagliate, anti-liberali, viene ignorata l’enorme necessità di riforme strutturali che esiste anche in Germania. L’elettorato viene narcotizzato con
ogni tipo di droga monetaria addizionale
e promesse. Ma presto arriverà il momento della verità e con esso l’ora di un fermo
liberalismo. Questo processo verrà accelerato dalla crisi dell’euro e dall’indebitamento degli Stati. Sarà l’ora del “politico
alla Schumpeter”, del riformatore bravo
e competente, come accaduto a suo tempo in America, in Gran Bretagna, in Nuova Zelanda, o in Germania nel 1948, con
il grande Ludwig Erhard, che trionfò contro ogni previsione politica. Il liberalismo
ha dalla sua la logica del successo economico e l’esperienza storica. Né il socialismo tradizionale, né la “società del tutto
compreso” degli egualitari possono risolvere i nostri problemi, come non lo può
neppure l’ossessione ideologica dei Verdi,
con la loro religione “climatica”.
Riesce a immaginarsi quale potrebbe
essere lo scenario politico post-elettorale? Qual è il suo auspicio?
Il mio desiderio più intimo è che si
rafforzino i veri liberali, intendo anche
quelli presenti nell’Unione Cdu-Csu. D’altronde sono possibili tutte le costellazioni, dipenderà dall’esito delle urne. n
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SPECIALE WOMEN IN BUSINESS
ORIZZONTE
SOSTENIBILE
COSA PUò IMPARARE LA VECCHIA
EUROPA DALL’AFRICA IN CRESCITA?
idee per andare oltre i confini
SPECIALE
IL MONDO
SECONDO
le donne
Debutta in Italia il ciclo di conferenze voluto da
Deutsche Bank in partnership con Eni per affrontare
l’attualità politica ed economica a partire dal punto
di vista femminile. Riflettori accesi sullo sviluppo
sostenibile e sui rapporti tra Europa e Africa
U
temi di
attualità politica economica
che attinge al genio e alla peculiarità della visione femminile del mondo uscendo dal recinto in cui
spesso si autoconfinano le iniziative che
vogliono contribuire alla parità tra i sessi. Il tratto peculiare del ciclo di conferenze Women in business è il punto di
partenza ideale per descriverne il debutto in terra italiana che avverrà il 17 settembre a Milano grazie al contributo di
Deutsche Bank ed Eni.
Women in Business è un ciclo di conferenze internazionali la cui prima edizione si è tenuta a New York nel 1995.
Sin da allora l’idea guida dell’iniziativa
di Deutsche Bank è stata quella di offrire un momento di discussione su temi di
politica economica dal punto di vista delle donne ma non confinato a esse. Non
si tratta, insomma, di un dibattito guidato dall’idea delle quote rosa, ma di un
momento di lavoro in cui le prestigiose
figure femminili presenti sono chiamate
a dare la loro testimonianza, “non parlano di donne tra donne” ma si confronta-
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n’occasione per discutere
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no su temi economici di grande attualità, portando la specificità e la ricchezza
della diversità.
Dopo la prima edizione del 1995
Women in Business si è diffuso anche
a Francoforte, Londra, Singapore e Sydney, diventando un appuntamento molto atteso che attrae complessivamente ogni anno oltre 5 mila ospiti. Le persone invitate a portare la propria testimonianza appartengono al mondo delle
istituzioni, delle aziende, della ricerca e
della sfera sociale. Le modalità con cui i
temi sono affrontati sono diverse e comprendono il discorso di una keynote speaeker, il confronto con giornalisti, panel
di discussione.
Un impianto essenzialmente riportato anche nell’edizione che si prepara a
sbarcare a Milano e in cui emergerà un
taglio innnovativo fortemente sentito da
Eni per l’evento. Il cane a sei zampe ha
infatti voluto portare in dote alla discussione il proprio bagaglio di esperienza in
terra africana per introdurre il tema del
continente nero come terra di crescita,
tanto più interessante nel momento in
Un momento della
conferenza Women
in business del giugno
scorso a Londra
cui le prospettive in Europa sono quelle del declino e del ripiegamento, soprattutto dal punto di vista economico, ma
non solo.
Il continente che cresce
L’Africa è infatti l’area del mondo che
complessivamente è cresciuta di più
dopo la Cina ed è, da sempre, un forziere di materie prime. Che cosa ha dunque da dire questo continente a un’Europa stanca e in cui la parola crescita sembra un residuo ingiallito di tempi lontani e irripetibili? E soprattutto: è possibile parlare di Africa valutandone non
women in business
il programma della conferenza
Il Nobel per la pace tra gli ospiti
L’evento di Women in Business and Society dal titolo “Superare
i confini” si svolgerà per la prima volta in Italia il 17 settembre
a Milano, presso il Teatro Strehler. Qui i partecipanti (circa un
migliaio) e gli interessati che vogliano reperire i contenuti sul
sito potranno assistere agli interventi di numerosi ospiti internazionali (donne e non solo) mirati ad affrontare il tema dello
sviluppo sostenibile quale nuovo motore di crescita. L’evento
prevede due momenti di riflessione, ciascuno dei quali sarà introdotto da un breve video sulle specificità delle due economie,
africana ed europea, a confronto.
Nella sezione “Lessons from Africa” Leymah Gbowee, premio
Nobel per la Pace nel 2011 e direttore dell’associazione Donne
per la Pace e la Sicurezza in Africa, porterà la testimonianza del
suo impegno speso a favore della partecipazione delle donne nei
processi di democratizzazione. Seguirà l’intervento di Esperanca Bias, ministro delle Risorse minerarie del Mozambico che
parlerà della crescita del suo paese, ponendo l’accento sullo
sviluppo del sistema energetico e sulle partneship pubblicoprivate. Seguirà il discorso dell’Amministratore Delegato di
Eni Paolo Scaroni. I punti emersi in questo primo momento di
riflessione serviranno da stimolo per il secondo dibattito, incentrato sullo sviluppo e la crescita sostenibile in Europa. Il panel
dei relatori, moderati dal direttore di RaiNews24 Monica Maggioni, è costituito da: Ilaria Capua, direttore del dipartimento di
Scienze Biomediche presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie; suor Giuliana Galli, membro del Consiglio
Generale della Compagnia di San
Paolo; Lucrezia Reichlin direttore
del dipartimento di Economia
della London Business School;
Paola Severino, professore
di Diritto Penale, già Ministro
della Giustizia; Veronica Squinzi,
responsabile Internazionalizzazione e Sviluppo del Gruppo Mapei
e Flavio Valeri, amministratore
Delegato di Deutsche Bank Italia.
(Informazioni e approfondimenti
si trovano sui siti wbsitaly.com ed
eni.com e su twitter: #wbsitaly).
soltanto le dolorose contraddizioni, ma
anche valorizzandone la vitalità? In altre
parole: cosa si può imparare dall’Africa?
Ed è in questo ambito che Eni sente di
poter dare un contributo originale, forte
di una presenza nel continente diffusa
in 21 stati e solida di oltre cinquant’anni di storia che hanno portato la compagnia fondata da Enrico Mattei a essere la
prima tra le International Oil Companies
in termini di produzione di idrocarburi
in Africa, leader in Nord Africa e in continua crescita in Africa sub-sahariana.
Nel panel dei relatori che interverranno il 17 settembre a Milano spicca senz’al-
tro il nome di Leymah Gbowee, pacifista
liberiana insignita del Nobel per la pace
nel 2011 «per la lotta non violenta in favore della sicurezza delle donne e del loro
diritto a partecipare al processo di pace».
La sua è una figura chiave per spiegare e
allo stesso tempo sviluppare l’idea stessa
di Women in business and Society.
Chi è Leymah Gbowee
A Milano racconterà il suo impegno speso per coinvolgere le donne nei processi
di democratizzazione del suo paese. Nel
2001 ha infatti fondato il Women in Peacebuilding Network Program e nel 2002
il movimento Women of Liberia Mass
Action for Peace, noto come il movimento delle “donne in bianco” per la scelta
di vestirsi simbolicamente in bianco, ma
noto soprattutto per aver contributo attivamente alla fine della guerra civile liberiana. A lei va inoltre il merito di aver
saputo unire donne musulmane e cristiane nella lotta non violenta che ha condotto la Liberia alla pacificazione. È stata
commissario designato della Commissione per la Verità e la Riconciliazione della Liberia (2004-05) e dal 2007 è direttore
esecutivo del Women Peace and Security
Network Africa.
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SPECIALE
TERRA DI
possibilità
Ha il reddito pro capite più basso al mondo ma
i tassi di crescita più alti. È l’Africa sub-sahariana,
che dopo essere stata attraversata da guerre
e carestie beneficia del boom economico asiatico.
Prospettive di un cambiamento da gestire con cura
È
che
presenta il reddito pro capite più
basso di tutti, qualunque criterio di calcolo si adotti, ma da una
dozzina di anni sta progredendo coi tassi
di crescita più alti del mondo. Stiamo parlando dell’Africa sub-sahariana, il vasto
territorio a sud del più grande deserto
del mondo che ospita 48 Stati e quasi un
miliardo di abitanti (920 milioni circa a
metà del 2013). Mentre i paesi del Nordafrica (Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto) da quasi tre anni stanno attraversando profonde, drammatiche
e contraddittorie trasformazioni politiche, e queste frenano grandemente la crescita economica, l’Africa nera si gode una
certa stabilità e la traduce in aumenti
di Pil. Guerre e guerriglie non mancano
nemmeno lì: in ben 17 paesi sono attivi
più di 100 gruppi armati. Tuttavia quindici anni fa la situazione era molto peggiore: i conflitti allora erano tantissimi e più
estesi, le vittime più numerose.
Dunque, anche grazie a un ridimensionamento dei suoi endemici conflitti, l’Africa nera è in pieno boom economico. Da
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ancora la regione del mondo
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tredici anni a questa parte (2000-2012) il
Pil dei paesi dell’Africa sub-sahariana cresce a un tasso medio annuo superiore al 5
per cento. L’anno scorso la crescita è stata
del 5,1 per cento, mentre per quest’anno
il Fmi prevede un +5,4, e per l’anno prossimo un +5,7. Negli ultimi tredici anni c’è
stata una flessione della crƒescita solo nel
2009, in corrispondenza degli effetti della
crisi finanziaria internazionale, allorché il
Pil è cresciuto solo dell’1,7 per cento.
La crescita costante del Pil africano
ha già attirato capitali e investimenti. Nel
2011 secondo le Nazioni Unite gli investimenti diretti in Africa sono stati pari a
42,7 miliardi di dollari. Per farsi un’idea
della portata della cosa, si tenga presente che la celebratissima Cina nello steso periodo ha ricevuto circa 110 miliardi
di dollari di investimenti diretti dall’estero, cioè due volte e mezzo di più. Tenete
anche conto che la Cina ha 1.350 milioni di abitanti, cioè un terzo in più degli
abitanti dell’Africa nera. Secondo i dati
Ernst&Young, la grande società di revisione finanziaria, gli investimenti esteri diretti a destinazione dell’Africa in percentua-
women in business
Foto: Getty Images
Da tredici anni a
questa parte il Pil
dei paesi dell’Africa
sub-sahariana cresce
a un tasso medio annuo
superiore al 5 per cento.
L’anno scorso la crescita
è stata del 5,1 per cento,
mentre per quest’anno
il Fmi prevede
un +5,4, e per l’anno
prossimo un +5,7
le sul totale mondiale sono passati dal 3,2
per cento del 2007 al 5,6 del 2012.
A cosa è dovuto il boom economico dell’Africa? Essenzialmente è dovuto
al boom internazionale del prezzo delle
materie prime, accompagnato da alcuni
sviluppi politici locali che hanno permesso ai paesi del continente di sfruttare economicamente questo boom. L’Africa è ricca di minerali e di fonti energetiche quali
petrolio e gas, molte delle quali sono entrate in produzione negli ultimissimi anni,
e di materie prime agricole, come il cotone. Presenta il 15 per cento di tutti i combustibili minerali e fossili, il 20 per cento
dell’oro è il 50 per cento dei diamanti del
mondo. Le riserve minerarie africane sono
le prime o le seconde del globo per minerali come la bauxite, il cobalto, i fosfati minerali, i metalli del gruppo del platino, la vermiculite e lo zirconio. Il boom del prezzo
delle materie prime è dovuto, come sanno tutti, al boom economico dei giganti dell’Asia, cioè Cina e India. L’industrializzazione, l’urbanizzazione e la motorizzazione di Cina e India stanno trascinando all’insù i prezzi delle materie prime,
nonostante la stagnazione dell’Europa. Il
boom economico dell’Africa nera è figlio
del boom economico dell’Asia.
Si sta ripetendo lo schema degli anni
Sessanta e Settanta, quando i paesi africani, divenuti indipendenti quasi tutti in
quel periodo, conobbero uno sviluppo trainato dall’alto prezzo delle materie prime, sfruttando l’onda lunga della rico|
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SPECIALE
struzione e della re-industrializzazione
dell’Europa. Negli anni Ottanta e Novanta si ebbe poi un crollo dell’economia africana all’indomani degli shock petroliferi, quando in Occidente ci si orientò verso un’economia meno dipendente dalle
materie prime, comprese quelle energetiche. In Africa gli anni Ottanta e Novanta hanno visto guerre, carestie, la pandemia dell’Aids e molti altri disastri che hanno aggravato povertà e sofferenze umane. Dopo il 2003, la situazione politica è
migliorata e la maggior parte dei conflitti
sono finiti o si sono attenuati. Ci sono state riforme macroeconomiche e microeconomiche che hanno reso possibile uno sviluppo basato essenzialmente sull’export
delle materie prime, oggi come 50 anni fa.
Il fenomeno del land grabbing
Dunque ancora non si può parlare di sviluppo endogeno, di “tigri africane” o di
decollo del continente. Non c’è progresso
vero in Africa, non c’è un modello di sviluppo sano, non c’è una vera industrializzazione e modernizzazione dell’economia: c’è un boom economico dovuto agli
alti prezzi delle materie prime, i cui corsi sono stati risollevati dall’industrializzazione dell’Asia. Illuminante rispetto alle
attuali dinamiche è l’esempio del Ghana,
un paese dell’Africa occidentale che ha 25
milioni di abitanti: l’anno scorso ha visto
il suo Pil crescere del 14 per cento, semplicemente perché sono entrati in funzione i suoi pozzi petroliferi, con una produzione di poco inferiore ai 100 mila barili al
giorno. Ne produce di più l’Italia, con una
media attorno ai 146 mila all’anno. Altro
fenomeno che rende l’idea di un continente che non sfrutta le opportunità di crescita e sviluppo a sua disposizione è quello del cosiddetto “land grabbing”, l’acquisto o affitto di terre fertili da parte di stranieri intenzionati a esportare nei loro paesi tutta la produzione agroindustriale. La
prospettiva della scarsità di terre coltivabili e di prezzi sempre più alti nel futuro sta
spingendo i paesi con grandi bisogni alimentari o con poche terre coltivabili ad
acquistare quelle ancore incolte in giro per
il mondo. Si calcola che, a fronte di superfici coltivate per 1,5 miliardi di ettari, ne
esistano 445 milioni di ettari inutilizzati, concentrati principalmente in Africa e
America latina. Paesi come Cina, Giappone, Corea del Sud, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti firmano contratti di acquisto
o di affitto a lungo termine di queste terre.
Nel solo 2009 risultavano finalizzati o quasi contratti per 56,6 milioni di ettari di terre fertili inutilizzate, 39,7 dei quali in Africa. Queste cessioni riguardano quasi sem32
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la testimonianza di suor giuliana galli
Dal Cottolengo al Cda di una banca
Fra tutte le personalità invitate all’evento Women in Business, è certamente quella
che suscita maggiore curiosità: suor Giuliana Galli, 78enne religiosa dell’Istituto
San Giuseppe Benedetto Cottolengo, è il compendio vivente di molti mondi. Per
quasi 25 anni è stata coordinatrice e responsabile dei volontari della Piccola Casa
della Divina Provvidenza Cottolengo di Torino, si è occupata come educatrice di minori, di famiglie in situazioni di disagio e di tossicodipendenti in carcere. Ha fondato
associazioni no profit per l’infanzia e per l’assistenza psicologica ai migranti. Nel
2008 è stata nominata nel Consiglio Generale della Fondazione San Paolo di Torino, di cui è stata anche per un biennio vicepresidente. Dalle corsie del Cottolengo e
dalle celle dei detenuti tossicodipendenti alle poltrone del Cda di una delle più importanti banche italiane la strada è lunga, ma suor Giuliana pare percorrerla avanti
e indietro senza troppi turbamenti. Ha risposto volentieri ad un paio di domande.
Il ciclo di conferenze Women in Business porta il sottotitolo “Superare i
confini”. Lei parteciperà al dibattito “crescita sostenibile”. Che ne pensa?
È un’esortazione interessante e problematica insieme. Ci sono confini da superare,
ma ce ne sono altri che vanno ristabiliti e salvaguardati. Quel che importa, è la
finalità con cui si superano o si rispettano i confini. L’Europa non pare capace di
una tale crescita, siamo fuori dai parametri: popolazione troppo anziana, spesa
sociale ingovernabile e, per quel che riguarda soprattutto l’Italia, corruzione diffusa
e governi poco stabili. Decisamente devono cambiare molte cose.
Come deve essere il rapporto del cristiano col denaro?
Nel Vangelo il denaro è considerato positivamente. Il samaritano lo usa per assistere il viandante, la donna che dà tutto il suo denaro riceve una lode. Dei tre protagonisti della parabola dei talenti, il più elogiato è quello che fa rendere di più il suo
capitale. Ma il ricco epulone, che vive per il denaro, viene stigmatizzato. Il Vangelo
è equilibrato sull’uomo, non fa scelte di classe, ama l’uomo a partire dal povero,
perché se parti da lì poi ami tutti. Il denaro è uno strumento da mettere al servizio
dei beni comuni: il sociale, la ricerca, l’istruzione, la sanità, la cultura. È ciò che fanno
le Fondazioni bancarie quando adempiono il mandato per il quale son nate.
pre paesi dove forti quote di popolazione
soffrono di insicurezza alimentare e molti redditi dipendono dall’agricoltura. Non
solo tali terre vengono sottratte alla possibilità di espansione dell’agricoltura per il
consumo locale, ma la maggior parte di
esse non viene utilizzata per l’alimentazione: risulta che il 59 per cento dei contratti
preveda l’uso della terra per la produzione
di biocarburanti e il 19 per cento per mangimi animali, legno e fiori.
Le opportunità per gli imprenditori
e gli investitori stranieri non si presentano solo nel business dell’agroindustria.
Due ambiti emergono in particolare: la
spesa pubblica per infrastrutture e servizi; la spesa del consumo privato della nascente classe media urbana. L’Africa nera è drammaticamente sottoinfrastrutturata: mancano le strade, le ferrovie, le centrali elettriche, le raffinerie, gli
acquedotti, le fogne, le reti. In una congiuntura che vede una certa disponibilità di finanza pubblica, costruttori di ogni
genere avranno grandi opportunità quasi ovunque. In secondo luogo, l’Africa nera
presenta ormai una classe media urbana di colletti bianchi, dipendenti del settore pubblico e delle multinazionali, con
un potere d’acquisto crescente. La spesa
per consumo nell’Africa nera è arrivata a
900 miliardi di dollari, e secondo le proiezioni arriverà a 1.400 miliardi nel 2020.
Nei primi dieci anni del XXI secolo, tanto
per fare un esempio, 316 milioni di africani hanno acquistato un cellulare. Secondo
le proiezioni del McKinsey Global Institute, nel 2020 128 milioni di famiglie africane avranno a disposizione reddito per spese voluttuarie. Si tenga presente che una
famiglia africana ha normalmente 6 membri, cioè i genitori e 4 figli. Naturalmente
l’Africa presenta anche molti ostacoli per
imprenditori e investitori stranieri: burocrazia inefficiente o corrotta, alti tassi di
criminalità, insicurezza diffusa, mancanza di infrastrutture per attività produttive
e la presenza di competitori privi di scrupoli. Eppure le imprese straniere non si
sono mai ritirate del tutto dall’Africa, nemmeno nei momenti peggiori.
Rodolfo Casadei
Foto: Getty Images
L’ENERGIA L’
ACCENDE LO
SVILUPPO
L’impegno di Eni nel continente all’insegna
del coinvolgimento degli attori locali nella gestione
delle risorse. Una scommessa documentata da
anni di storia seguendo l’intuizione di Enrico Mattei
e dai dati virtuosi del bilancio sociale di impresa
Africa è uno dei principali player mondiali in campo energetico perciò non stupisce che
una realtà come Eni vi operi da oltre cinquant’anni. In questo mezzo secolo di storia che la lega al continente, la compagnia ha sempre cercato
di operare all’altezza dell’intuizione del
fondatore Enrico Mattei secondo cui l’accesso all’energia è la chiave per lo sviluppo dei territori. Un credo che ovviamente
assume un ruolo cruciale in terre, come
quella africana per l’appunto, che alla ricchezza di materie prime e risorse affiancano una storia travagliata, dove l’instabilità politica e la povertà sono l’eredità
tristemente più duratura di un passato di
colonizzazione violenta e scriteriata.
Questo passato carica aziende come
Eni di una responsabilità diretta nei
confronti della società, una responsabilità che il presidente di Eni Paolo Scaroni definisce spesso prendendo a prestito le parole di un guru della governance
come Adrian Cadbury: «Tra le aziende e
la società esiste un contratto implici|
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33
SPECIALE
to secondo il quale la società permette alle aziende di operare, di vendere i
propri prodotti, di guadagnare purché
i benefici che la società ottiene dalle
aziende siano superiori al danno che le
aziende provocano alla società». Scaroni
cita infatti proprio Mattei e la sua idea
che il modo migliore di entrare in nuovi paesi, in Africa soprattutto, fosse quella di farlo trovando un approccio diverso, un approccio «nel quale ci sediamo al
tavolo delle trattative accanto ai governi anziché dall’altra parte del tavolo,
cercando di trovare soluzioni per i paesi in cui operiamo in molti settori che
non hanno nulla a che fare con il petrolio, come le infrastrutture, l’agricoltura,
vamente Eni ha registrato un trend positivo degli investimenti nel continente
africano dove nel 2012 sono stati spesi
circa 28 milioni di euro, di cui 23 nella
regione dell’Africa sub-sahariana. Si tratta in generale di interventi definiti e realizzati insieme agli attori locali, perché
l’obiettivo ultimo è quello di favorire
percorsi di sviluppo autonomo e sostenibile dei territori. Questo approccio costituisce la “bontà” non solo degli intenti
ma anche del modello di business, tanto che Eni è una delle aziende che è cresciuta più velocemente al mondo e oggi
è tra i primi produttori di petrolio e gas
in Africa. Ecco, quella che cinquant’anni fa era l’intuizione del “sognatore”
Eni è stata designata alla guida di Energy for All in Sub-Saharan
Africa, un’iniziativa promossa dall’Onu e volta a individuare
le soluzioni sul tema dell’accesso all’energia nell’Africa
sub sahariana e a proporle a governi e decisori internazionali
l’industria e l’elettricità». Non per nulla uno dei dati più significativi riportati
nel bilancio di sostenibilità dell’azienda
del 2012 è quello relativo alle cosiddette
attività in contesti complessi, definizione con cui vengono identificati i progetti volti a favorire lo sviluppo delle comunità e realizzati in sinergia con gli stakeholder locali, creando valore in maniera inclusiva e in ottica di lungo periodo, in stretta correlazione con i piani di
investimento dell’azienda. La spesa (cfr.
grafico in questa pagina) per questi progetti ammontava infatti nel 2012 a 63
milioni di euro, di cui circa il 94 per cento realizzati nell’ambito delle attività di
esplorazione e produzione. Complessi34
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Enrico Mattei oggi si chiama sostenibilità ed è diventata un elemento centrale per la valutazione delle performance
di un’impresa.
Il riconoscimento dell’Onu
Nel novembre scorso Eni ha ottenuto un
riconoscimento importante e impegnativo nel corso del primo incontro del Leadership Council del Sustainable Development Solutions Network (SDSN) diretto
dal professor Jeffrey D. Sachs. L’azienda è
stata infatti designata alla guida di Energy for All in Sub-Saharan Africa, un’iniziativa volta a individuare le soluzioni
sul tema dell’accesso all’energia nell’Africa sub sahariana e a proporle a governi e
decisori internazionali. Un ruolo particolarmente prestigioso se si considera che il
Sustainable Development Solutions Network è stato fortemente voluto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban
Ki-moon, come network tra mondo accademico e della ricerca, settore privato e
società civile, realizzato per contribuire a
trovare soluzioni pratiche relativamente
allo sviluppo sostenibile.
Il Sdsn si pone obiettivi importanti quali fornire consulenza e sostegno ai
processi internazionali nell’ambito delle politiche di sviluppo per il dopo 2015
(anno limite per il raggiungimento degli
Obiettivi di Sviluppo del Millennio lanciati nel 2000 dalle Nazioni Unite); organizzare gruppi tematici di esperti a livello mondiale; identificare e promuovere soluzioni volte ad accelerare drasticamente i processi di sviluppo, anche attraverso soluzioni innovative in ambito tecnologico, istituzionale, politico-gestionale e di business e costruire una rete globale di “Knowledge Center”.
Al Sustainable Development Solutions Network partecipano anche professori e scienziati del network accademico
dell’Earth Institute con il supporto degli
otto centri della Columbia University di
tutto il mondo. Tra i temi che il Network
affronterà quali sfide del prossimo futuro – e che daranno contenuto ai gruppi
tematici che verranno costituiti – sono
inclusi: la crescita globale sostenibile, la
lotta alla povertà e il contributo alla pace
nelle aree più a rischio, l’equità di genere, l’inclusione sociale, i diritti umani,
lo sviluppo rurale sostenibile, la corretta gestione delle risorse energetiche e la
sostenibilità del fare impresa.
CULTURA
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UNO SVILUPPO INCONTROLLATO
DI RODOLFO CASADEI
Il fallimento
della scienza
moderna
«Quell’impresa che ambiva a darci la verità sulla
natura, ci ha invece allontanati da essa». Parla il
grande matematico e filosofo Olivier Rey. «Essere
razionali non significa considerare la ragione
competente su tutto. Ma riconoscere i suoi limiti»
T
veramente la
pena di leggere, tutti i libri di saggistica stranieri imperdibili, quelli destinati a diventare un punto di riferimento per chi voglia discutere o approfondire certe questioni, in Italia li si traduce dieci o più anni dopo che sono
usciti. Il caso più clamoroso resta quello di Karl Popper, il cui libro politico più
importante, La società aperta e i suoi
nemici, fu tradotto quasi trent’anni dopo
la sua apparizione in inglese. Itinerari
dello smarrimento – E se la scienza fosse una grande impresa metafisica? di Olivier Rey, tradotto quest’anno dalle edizioni Ares dieci anni dopo la pubblicazione
dell’originale francese (Itinéraire de l’égarement. Du rôle de la science dans l’absurdité contemporaine), è una conferma di quanto sopra detto. Raramente si
potrebbe leggere una critica tanto serra-
36
utti i saggi che vale
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ta della scienza moderna, una confutazione così puntuale dei suoi miti, della
sua deriva ideologica, un’evidenziazione
così lucida delle sue contraddizioni e dei
suoi limiti. Ma i lettori italiani che non
padroneggiano la lingua di Victor Hugo
hanno dovuto attendere quest’anno per
leggere brani come il seguente: «Le strutture matematiche che la scienza galileiana comincia a mettere in luce si presentano come la verità del mondo. Esse tuttavia non ne rivelano che lo schema. Nel
corso del progresso scientifico, i profumi
sono divenuti molecole che si fissano sui
recettori sensoriali delle pareti nasali; i
colori, un’eccitazione selettiva dei neuroni visivi secondo l’energia dei fotoni incidenti; i suoni, onde elastiche che fanno
vibrare le membrane dell’orecchio interno. Profumi che non odorano, colori senza colore, suoni muti, che forse si rispon-
IL LIBRO
Foto: Archivio Meeting
ITINERARI
DELLO
SMARRIMENTO
Olivier Rey
15,90 euro
320 pagine
dono attraverso la comune eccitazione di
qualche sinapsi all’interno del cervello.
La familiarità con il mondo non è massima, è nulla. La ragione è semplice: abitare
una casa non è farne una rilevazione precisa, né conoscerne i princìpi di costruzione. È viverci».
Rey è un matematico e un filosofo. È
entrato al Cnrs (l’equivalente francese del
Cern) nella sezione matematica nel 1989,
e nel 2009 è passato a quella filosofica.
Scrive di filosofia della scienza da insider della scienza, sa tutto degli algoritmi, delle derivate e del restante “alfabeto matematico del mondo”, molto delle
pretese della neurobiologia e della genetica. Padroneggia i dogmi della tecnoscienza perché in essi è cresciuto. Ha insegnato matematica per quindici anni prima di
andare a insegnare filosofia all’università
Paris 1. Da qui un approccio senza timo|
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CULTURA UNO SVILUPPO INCONTROLLATO
ri reverenziali alle criticità della scienza molo, non è dovuto al fatto che la scien- sceva un valore spirituale, ma il modo in
moderna. Che dalle sue pagine esce come za non sarebbe ancora abbastanza svilup- cui è stata praticata le ha ritirato questa
quella grande impresa che aveva promes- pata, ma all’essenza stessa della scienza portata spirituale.
so agli umani di svelare la verità e inve- moderna».
È grazie alla matematica che comce ha prodotto astrazioni, di assicurare
prendiamo tanti eventi dell’universo.
Professor Rey, nel suo libro lei descrila libertà e invece ha regalato il determiPerché lei critica la matematizzazione
ve l’itinerario dello smarrimento della
nismo assoluto, di promuovere l’autonodella natura?
scienza moderna. Ma la maggioranza
mia e invece si è diretta verso la soppresdegli europei crede di vederne piuttoAnche in questo caso, non è la matesione del soggetto mediante la sua oggetsto il trionfo: essa è potente e dona la
matizzazione della natura come tale
tivazione, di rendere l’umanità forte e
sua potenza agli esseri umani. La gente
che fa problema, ma il fatto che questo
potente con la tecnologia ma che insieha fede nella scienza come un tempo
approccio tende a divenire esclusivo e a
me alla potenza ha posto le premesse per
aveva fede in Dio. Perfino la vita eterna
svalutare in quanto non scientifico ogni
l’autodistruzione del pianeta mediante le
oggi è attesa dagli exploit tecnoscientialtro approccio alla natura. La matemaarmi nucleari e chimiche e più in generafici. Cosa significa, allora, che la scienza
tizzazione ci permette di acquisire una
le l’inquinamento e il degrado ambientasi è smarrita?
quantità di conoscenze che non sareble. La conclusione è spietata: oggi dispoLa mia critica non riguarda la scien- bero accessibili in altro modo, ma impeniamo di tante più informaziodisce di accedere ad altre, di un
ni che in passato, ma non posordine, che sono ugualmenLo studio della natura era un altro
sediamo più conoscenza, siamo
te molto importanti. La scienza
più ricchi, longevi e potenti ma
modo di rendere grazie a DIO e moderna, che ambiva a darci la
non sappiamo più nulla circa il
verità sulla natura, ci ha invece
di imparare qualcosa su di Lui. allontanati da essa. Per spiegarsenso della vita. E tutto ciò non
avviene per inadeguatezza delfaccio un paragone: conoscepoco alla volta la scienza È mi
lo sforzo scientifico o perché
re qualcuno non significa conoDIVENTATA autonoma, E SI È
la strada del progresso è molscere semplicemente il suo peso,
to lunga: il problema è l’essensua altezza, la sua età e tutte le
sviluppaTA indipendentemente la
za stessa della scienza moderaltre misure, compresi i test carna. Come ha detto lo stesso Rey
da preoccupazionI spiritualI diaci e della respirazione che si
presentando il suo libro al Meeeffettuano in laboratorio. Conoting di Rimini: «Quando appare la scien- za come tale, ma il posto che è venu- scere una persona è un’altra cosa. Come
za moderna, un certo numero di persone ta a occupare nel mondo e nel pensiero vede, ci sono forme di conoscenza diverse
si entusiasmano: finalmente, con lo stu- moderni. Il problema non è la scienza, da quella della scienza moderna.
dio matematico della natura, si scoprirà ma il fatto che tende a captare a suo proGiustamente lei dice che la scienza
il vero metodo per studiare la natura, e fitto un certo numero di attese spirituamoderna ha disarticolato il soggetto
dunque per orientarci nella vita! Tuttavia li che per definizione essa è incapace di
umano e ha distrutto la sua libertà molo studio della natura può contribuire a soddisfare. In Europa l’interesse scientifirale e spirituale. L’uomo è diventato la
orientarci nella vita solamente se si rico- co per la natura è nato dal fatto che essa
risultante di forze anonime. La scienza
nosce alla natura un valore morale, sola- era vista come una creazione divina. Lo
moderna ha scambiato la libertà umana
mente se questa natura è un cosmo. Ora, studio della natura era un modo di rencol potere. Sembra che alla maggioranper principio la scienza moderna spoglia dere grazie al Creatore e di imparare qualza della gente stia bene così.
la natura di ogni valore morale. Essa non cosa su di Lui. Ma poco alla volta la scienSì, c’è questa tendenza a dire che
si interessa alla natura in quanto tale, ma za ha assunto la tendenza a rendersi auto- grazie alla scienza e alla tecnica l’uomo
alle sue strutture matematiche. Le sue noma e a svilupparsi indipendentemen- diventa sempre più potente. Ma bisogna
strutture possono certo aiutarci a mani- te da ogni preoccupazione spirituale. Par- distinguere fra “l’uomo” e “gli uomini”.
polare la natura, ma, per principio, non lo di smarrimento precisamente perché La crescente potenza dell’uomo va di pari
possono assolutamente dirci niente su all’inizio tante energie sono state votate passo con la crescente impotenza degli
ciò che dobbiamo fare. E questo, ripetia- alla scienza proprio perché gli si ricono- uomini. L’espressione “il progresso non
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si ferma” è diventata angosciante: si ha
l’idea di qualcosa di inarrestabile e fuori controllo. Così il rapporto con la scienza è diventato ambiguo: siamo affascinati da tutto ciò che la scienza e la tecnica permettono di realizzare ma allo stesso tempo ci rendiamo conto che ogni singola persona è trascinata da un processo
che nessuno riesce a guidare.
Lei distingue molto nettamente fra la
scienza antica, che cercava la verità, e
la scienza moderna, che apporta solo
conoscenze esatte. Auspica un ritorno
a una scienza più vicina a quella antica, cioè fondata sulla fede in un ordine
cosmico? O più semplicemente vuole
rimuovere la scienza dalla
posizione in cui si è indebitamente collocata? Ma qual
è allora quella giusta?
realtà sono dei dualisti accaniti che hanno a tal punto rotto il legame fra lo spirito e la materia che non si rendono conto che ciò che permette loro di dire che
tutto è materia è esattamente lo spirito, il loro, completamente esterno alla
materia. Nel mondo d’oggi da una parte si sostiene, in base alla visione scientifica, che tutto è determinato, e allo stesso tempo secondo una visione del mondo
volontarista si dice che tutto è sottomesso alla volontà. Di fatto, lo scientismo è
lo gnosticismo dei nostri tempi. Ma gli
antichi gnostici pensavano che lo spirito doveva sfuggire al mondo materiale, che era malvagio, mentre gli gnostici
diversi per definire quattro tipi diversi di
amore, e nella Deus Caritas est Benedetto
XVI spiega che eros, la passione amorosa,
non va rigettato, ma deve poter aprire ad
altre forme di amore. Eros è una via verso agape.
Verso la fine del libro lei scrive che
«l’uomo decade nella misura in cui viene meno alla sua vocazione, che è accoglienza del mistero essenziale di ogni
cosa, e di se stesso. Il vero progresso
è avanzare nel mistero, miglioramento
dell’anima». Cosa significa?
Mi riferivo a quello che dice Pascal.
Lui scrive che l’ultimo passo della ragione è di riconoscere che ci sono un’infinità
di cose che le sfuggono. E dunque
razionali non significa conCredo che si debba rimettere essere
siderare la ragione competente su
la scienza al suo giusto posto, tutto. Ma riconoscere che la ragione ha i suoi limiti. Ed è per questo
che è certamente quello di una che non c’è opposizione fra ragione
e Mistero, fra ragione e fede, perché
realtà in grado di portarci
essere veramente razionali e ragioconoscenze, Ma non di dirci CIò nevoli significa comprendere che
la ragione è sovrana nel suo ordiche BISOGNA fare o renderci
ne ma che non lo è in altri ordini.
Credo che si debba anzitutto rimettere la scienza al
suo giusto posto, che è certamente quello di una realtà in
grado di portarci conoscenze
di cui solo essa è capace e di
aiutarci a manipolare la realtà. Ma non di dirci quello che
la natura PIù familiare
dobbiamo fare o di renderci
la natura più familiare. In secondo luogo moderni pensano che grazie alla scienvorrei che a lato di questa scienza esistes- za e alla tecnica è possibile sottomettesero altre pratiche scientifiche, più vicine re interamente il mondo materiale alla
a quelle del mondo antico, che non siano volontà. Come vede, il determinismo e il
orientate alla manipolazione della natu- volontarismo sono due facce della stessa
ra ma alla sua conoscenza diretta attra- medaglia. Quanto al terreno comune fra
l’amore passionale alla Tristano e Isotverso un’esperienza diretta.
ta e la scienza moderna, esso consiste in
Nel libro lei cerca di spiegare perché
una certa forma di nichilismo: l’abolialcuni biologi abbiano così a cuore di
zione della persona. Nell’amore passiodimostrare che l’uomo è solo una macnale la persona scompare nella fusione
china neuronale volta a garantire la
amorosa, nella scienza l’abolizione delsopravvivenza dei suoi geni e a quale
la persona avviene col suo assorbimenaspirazione comune rispondono da una
to in un funzionamento meccanico. A
parte l’amore-passione e dall’altra la
partire dall’epoca moderna l’amore passcienza moderna.
Sì, molti biologi moderni e contem- sionale è considerato come la forma più
poranei si dichiarano monisti, cioè per alta dell’amore. Ma sappiamo che non è
loro non esiste altro che la materia. In così. Già i greci avevano quattro termini
L’ultimo paragrafo dell’ultimo capitolo s’intitola “Aspettando Godot”, e chiede all’uomo di «fare un passo
di lato». Cosa significa?
Viviamo in un mondo che ci dà tantissime libertà, ma abbiamo tendenza a
dimenticare che sono libertà molto ridotte: spesso siamo costretti a scegliere solo
fra cose dello stesso ordine. Per esempio,
quando andiamo al supermercato abbiamo tantissime merci fra le quali scegliere. Ma il fatto di andare al supermercato è diventato un obbligo, non abbiamo
altra scelta, se vogliamo acquistare generi alimentari. Dunque l’apparente libertà
può andare di pari passo con una forma
di assenza di libertà. Il “passo di lato” di
cui scrivo consiste nel riproporre la questione della libertà negli ambiti dove non
viene più posta. n
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LE NUOVE LETTERE
DI BERLICCHE
lettera di una professoressa
Eccezionalmente il diavolo risponde
Perché il rispetto non è indifferenza
M
io caro Malacoda, la mia ultima mis-
siva deve essere stata particolarmente diabolica, rasentando l’incomprensione. Il direttore mi gira una lettera
giunta in redazione, alla quale, contravvenendo a una regola ferrea (il diavolo si spezza ma non si spiega), ho deciso di rispondere.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
S
dall’ultima
lettera di Berlicche sul professore di Saluzzo. Non la capisco. Insegno da moltissimi anni, con passione e spero una certa
capacità di far apprezzare la bellezza. Ma ho
visto troppi “bravi professori” che affascinavano i ragazzi ma non li rispettavaRispettare un uomo è diverso dal rispettare
no, anzi sapevano usare il fascino ai loro fini, ideologici o altro. la legge o lo stop. Di quale rispetto parlava
Per questo il sindaco di Saluzzo il sindaco per il famoso professore di saluzzo?
ha ragione: prima di tutto il rispetto dei ragazzi, compresa la loro fragilità temo») e ormai sinonimo di indifferenza. A
e la loro facile adesione all’attrattiva, spesso meno che, ma questo per noi diavoli sarebimpossibilitati a distinguere se l’attrattiva è be deleterio, una generazione di professori
si impegni nel tentativo di recupero del pedell’autore o del professore.
Giulia Regoliosi so delle parole e del loro uso. Perché, lei mi
capisce certamente, rispettare un uomo è
diverso dal “rispettare l’ambiente”, “rispetiabolica Giulia, sapesse che fatica è fare il diavolo tutte le settimane e cerca- ta la legge”, “rispettare lo stop”.
Mi spiego con un esempio, reale. Una fare di dire cose condivisibili anche dagli angeli come lei. In fondo sono un povero miglia italiana adotta un bambino birmano
diavolo anch’io e cerco di superare la mia di 7 anni, lo manda a scuola e lo esonera dalbruttezza con il trucco del fascino, che lei la frequenza delle ore di religione. Motiva la
ha messo impietosamente a nudo: non sem- sua decisione alla maestra con il “rispetto”
pre chi affascina è affascinante. Ma se que- della sua provenienza. La maestra non obietsta è una giusta avvertenza che mette in ta, ma chiede loro: «Per voi la religione è imguardia contro i truffatori, non è però un portante? E non volete dare a vostro figlio ciò
argomento decisivo contro il fascino: può che più vi sta a cuore, come gli date il mesuccedere che chi affascina sia veramente glio in cibo, vestiti e cure mediche?». I due si
affascinante. Insinuare il dubbio su questa guardano e stracciano la richiesta di esonepossibilità, questo sì che è veramente diabo- ro. Il concetto di “rispetto” di loro figlio era
lico. E, mi permetta se mi esprimo con ter- mutato: da astratto distacco preventivo a demini così poco sulfurei, ciò che supera un siderio di dono frutto di un’attrattiva che lofascino artefatto, costruito, che mira a se- ro stessi provavano. Non credo che il sindacondi fini, è solo un fascino reale, evidente, co di Saluzzo usasse il termine “rispetto” con
gratuito. Non è il richiamo al “rispetto”, pa- questa stessa densità. Ma io sono il diavolo, e
rola abusata e svilita nel suo significato ori- per dannare uno sono disposto anche a “riginario (per come la usava ad esempio Clau- spettarlo”. Con i miei rispetti.
del: «Pietro di Craon, che io amo rispetto e
Berlicche
ono rimasta molto perplessa
D
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L’ITALIA
CHE LAVORA
Il leone in
SCATOLA
Anche i Monero nel Dopoguerra devono inventarsi
un lavoro, finché incontrano la famosa azienda
con una storia gloriosa alle spalle e un presente
incerto. La rilevano per una dolce passione e oggi
la terza generazione sposa tradizione e tecnologia
U
n profumo di cannella s’insinua nelle narici, il rumore delle macchine riempie le
orecchie. Gli operai sorridono mentre aspettano che da un momento all’altro il
marchingegno che conoscono così bene restituisca loro il risultato di una giornata di lavoro al sapore di zucchero. La cannella improvvisamente diventa menta, poi fragola, liquirizia, violetta, zenzero in un arcobaleno di colori che interrompe il bianco delle pareti e delle divise candide dei dipendenti. E le creazioni prendono forma: sono pastiglie, caramelle, gommose: tutte rigorosamente “Marca Leone”.
A Collegno, alle porte di Torino, c’è la fabbrica Pastiglie Leone, vero tempio della golosità piemontese. Il presidente Guido Monero, classe 1941, è un imprenditore della vecchia
scuola, come non se ne vedono più. Un uomo che tra le pastiglie e le caramelle c’è nato. La
sua passione, che assume i contorni di una dedizione quasi mistica, gli è stata tramandata dalla madre, la “Leonessa” Giselda Balla Monero, «una donna di ferro» dalla storia straordinaria che Monero racconta a Tempi: «A 14 anni, dopo aver perso entrambi i genitori,
trova lavoro come impiegata in una fabbrica di Torino che si chiamava Dora Biscuit, dove
si facevano biscotti, caramelle, cioccolato. Lì si appassiona a questo mondo e il suo spirito imprenditoriale emerge quasi immediatamente. Durante le ore di pausa pranzo, esce
per vendere i prodotti della Dora Biscuit ai negozi della barriera di Milano, un quartiere popolare alla periferia di Torino. Avvia così un piccolo commercio all’ingrosso. Quando suo fratello, di qualche anno più giovane, fa ritorno dalla Prima Guerra Mondiale, il
lavoro non c’è e bisogna inventarselo. Siccome mio zio era un bell’uomo – un gagà come
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A sinistra, Guido
Monero, presidente
dell’azienda
Pastiglie Leone,
insieme alla moglie
Gigliola (ad) e
alla figlia Daniela,
laureata in filosofia.
A destra, alcune fasi
della produzione
si diceva una volta –, Giselda gli propone di fare il rappresentante e cominciare a vendere i prodotti della
Dora Biscuit e di altre aziende».
Tra queste altre aziende c’è anche la Pastiglie Leone, una realtà storica del territorio piemontese. Nata
per iniziativa di Luigi Leone nel 1857 ad Alba, nel 1880
sposta la sede a Torino e dopo qualche tempo viene
rilevata da altri proprietari. Che però nel 1934 la mettono in vendita. Sono proprio Giselda, suo marito e
suo fratello a rilevarla. È il 1934 e la famiglia Monero prende possesso dello stabilimento in via Bellini, a
Torino. I laboratori sono piccoli, angusti e Giselda non
ha nessuna intenzione di rimanervi a lungo: «Ripeteva in piemontese: “Non voglio mica morire in mezzo
ai topi”. Così i miei trovano un locale in corso Regina
Margherita e si trasferiscono. C’era un solo piano, e
tutti i macchinari erano montati uno sopra l’altro. Lì
abbiamo cominciato a produrre gelatine e caramelle.
Siamo rimasti lì fino al 2005». All’ingresso del nuovo
stabilimento a Savonera, piccola frazione del comune
di Collegno «dove da piccoli ci rifugiavamo per scappare dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale», campeggia un quadro che raffigura lo storico stabilimento di corso Regina Margherita: «Quella finestra
lì era la mia camera. Mi è spiaciuto andare via, quando mi capita di passarci davanti avverto ancora un senso di disturbo, ma era arrivato il momento di andare».
Scatolette da collezione
Nella modernità della nuova sede di Pastiglie Leone
c’è un angolo riservato ad alcune memorabilia che
raccontano la storia dell’azienda. Vecchi distillatori
della menta, uno strano aggeggio per colare realizzato subito dopo la guerra con materiali poverissimi «da
un tale Eugenio che girava in bicicletta col suo saldatore in piombo» e diverse scatole di latta firmate Pastiglie Leone, veri e propri oggetti d’antiquariato per cui
i collezionisti farebbero a gara. Accanto a loro, una
confezione di Dora Biscuit e una scatola con la scritta De Coster: «Il fondatore di questo marchio ha por|
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L’ITALIA CHE LAVORA
Sopra, la fabbrica
in corso Regina
Margherita a Torino.
Sotto, locandine
storiche dell’azienda
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tato l’arte confettiera belga a Torino. Ho acquistato questo e altri marchi più piccoli perché non volevo che la nostra tradizione finisse in mani sconosciute». Insieme ai ricordi della madre «fino a 88 anni dietro la scrivania», della sua vita da bambino in mezzo
alle caramelle, del padre «instancabile lavoratore» e di
quello zio con la faccia d’attore, a Collegno hanno trovato casa anche due viti di moscato che erano piantate
nella vecchia sede: «Hanno portato bene lì, spero facciano il loro dovere anche qui».
Ogni parola del signor Guido rimanda al passato, a un tempo fatto di sforzi e sacrifici. «La mia è un
po’ la fabbrica della nostalgia, me ne rendo conto. Ma
se non ci fosse la nostalgia non ci sarebbe l’attaccamento ai propri prodotti e al modo di lavorare». Basta
oltrepassare le porte che dividono gli uffici dal reparto produttivo per rendersene conto. Il core business
sono le pastiglie che danno il nome all’azienda, «realizzate totalmente a freddo e con ingredienti naturali». Poi ci sono le gommose, le caramelle, le goccioline di rosolio «le mitiche lacrime d’amore di cui siamo rimasti gli unici depositari». Tutti i prodotti vengono confezionati nello stabilimento dove gli operai
in camice bianco, alcuni molto giovani («ogni volta
che arriva un nuovo dipendente gli ripeto: “Ruba il
mestiere!”»), altri volti storici dell’azienda, vigilano
sul lavoro delle macchine «quasi tutte costruite da un
artigiano» che rombano e restituiscono un prodotto d’eccellenza, rispettando la tradizione. Ognuna di
queste macchine è bianca, rossa e verde: «Le ho fatte
dipingere con il Tricolore in occasione dei 150 anni
dell’unità d’Italia. Volevo che anche Pastiglie Leone
prendesse parte ai festeggiamenti. Perché la nostra è
un’azienda torinese ma soprattutto italiana».
Qualche anno fa il signor Monero è riuscito a realizzare il suo sogno più grande: «Ho riaperto la fabbrica di cioccolato, che era stata chiusa tanti anni
fa». La sua passione per il cioccolato lo ha spinto alla
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ricerca della formula perfetta, che trova in quelli che
definisce “i sacri testi” e che lo porta a produrre il
cioccolato come si faceva nel Settecento: solo fave di
cacao, zucchero grezzo e bacche di vaniglia, «e ogni
mattina alle 7 ci consegnano il latte fresco per fare il
cioccolato al latte».
Mentre le pietre di porfido massaggiano il cioccolato, nella stanza accanto s’impacchettano i prodotti. Un buon dieci per cento della produzione andrà
all’estero, ma tutti gli ordini passano dalla scrivania
del presidente, dove campeggia in bella mostra una
fattura del 1932, quando ancora Pastiglie Leone non
era di proprietà della sua famiglia: «Quando ero giovane ho fatto anch’io il venditore e molti dei clienti
di allora li ritrovo oggi. Così spesso li chiamo e li ringrazio per l’ordine. In questo modo si crea un rapporto personale».
Con la moglie e la figlia
Accanto al presidente c’è la moglie Gigliola, amministratore delegato della società. Da qualche anno,
anche la figlia Daniela è entrata a far parte dell’azienda di famiglia, portando la freschezza dei suoi anni
e l’allegria delle sue idee: «Sin da piccola, come per
mio padre, Pastiglie Leone è stata la mia casa. Sono
entrata in azienda dopo la laurea in filosofia e sono
contenta di esserci. Lavorare in famiglia non è facile, perché hai la doppia pressione psicologica di fare
bene per te stessa e per non deludere i tuoi genitori.
E poi ti porti sempre il lavoro a casa. Ma poter far parte di un’azienda come questa ti fa sentire parte di un
pezzettino di storia».
Con Daniela l’azienda si è aperta a nuovi prodotti, ha sviluppato il packaging (le scatoline di latta che
rendono Pastiglie Leone un prodotto inconfondibile)
e si è fatta largo sui social network: «L’immagine di
un’azienda storica è un valore che va preservato ma
non impolverato. Siamo un prodotto di eccellenza
e ci rivolgiamo a consumatori attenti, ma vogliamo
anche dare l’idea di un metodo di lavoro fresco e giocoso, come le nostre caramelle che dal 1857 arrivano
nelle case degli italiani». La soddisfazione più grande? «I sorrisi dei nostri clienti quando prendono in
mano le nostre scatoline e cominciano a raccontarti
dei loro ricordi legati alle nostre caramelle. Non c’è
nessuna ricompensa più bella di questa».
Paola D’Antuono
STILI DI VITA
CINEMA
LA STRADA DA PERCORRERE
Serve risparmiare e vendere
PRESA D’ARIA
di Paolo Togni
Così si ritorna
a ridere di gusto
S
Finge di essere un buon
padre di famiglia per importare droga dal Messico.
che un governo incapace
a capo di una burocrazia squalificata o corrotta non riesce a risolvere. È
universalmente noto che per trovare quattrini uno Stato ha solo tre strade disponibili: aumentare le tasse, o vendere delle proprietà, o diminuire le spese. Poiché appare improponibile la prima strada, si tratta di scegliere tra vendere
e risparmiare, o fare un misto dei due, e procedere rapidamente. E questo il governo non lo sta facendo.
La strada è chiara, ed è stata enunziata con chiarezza già dal governo (governo?) Monti, e ridichiarata dal governo (governo?) attuale: oltre venti mesi di tempo, nei quali l’unico fatto concreto è stata la nomina dell’amico (di Monti) Bondi
a commissario anche per la spending review, come già lo era per la selezione dei
candidati a nomine importanti. Nei due incarichi, Bondi, per mancanza di volontà o di iniziativa, o per incapacità, non ha fatto nulla, e nulla hanno fatto in proposito le strutture ordinarie dell’amministrazione.
Ci troviamo quindi ora di fronte alla necessità di risolvere con urgenza i problemi del bilancio dello Stato, e non c’è la capacità, o la volontà, di attuare una soluzione seria e politicamente accettabile che raggiunga l’obiettivo, ma anche raccolga
consensi e, soprattutto, consenal ministero NON governano
ta di porre le premesse per una
economisti ma ragionieri, che nuova fase di crescita e sviluppo.
Questo appare molto difficisanno mettere i numeri in fila
le, dato che, mantenendo una
senza capirne il significato.
tradizione ormai vecchia, al miPer LORO tagliare Le spese
nistero dell’Economia governaper l’assistenza sanitaria
no non gli economisti, che non
ci sono, ma i ragionieri, che
o PER ALTRO è la stessa cosa
sanno mettere i numeri in fila
senza capirne il significato, e sopratutto non sanno leggere le necessità sociali e
quelle della politica. Per un ragioniere, tagliare una certa cifra dalle spese per l’assistenza sanitaria o dalle spese eccessive destinate ai consumi interni delle amministrazioni (140 miliardi, per lo più inutili) è la stessa cosa: non è lo stesso però per
i pazienti che affronteranno liste d’attesa epocali e una peggiore qualità dell’assistenza. E neanche per chi quei soldi li gestisce. E dato che l’opportunità dei tagli viene misurata soprattutto in relazione al potere di reazione e al grado di amicizia del titolare dei fondi tagliati… in questa situazione, chi si muoverà mai? Sta
di fatto che il governo non fa il lavoro che gli incomberebbe. Parafrasando Winston
Churchill dirò che essenza della politica, anche se di breve respiro, è prendere decisioni: esattamente quello che questo governo non sa fare o (e?) non riesce a fare.
[email protected]
iamo ancora ai problemi del bilancio e della cassa,
HUMUS IN FABULA
FILIERA CORTA
VOI, l’iniziativa di
Iper abbatte i prezzi
Pasta di semola di grano duro
siciliano al 100 per cento, Riso
Carnaroli e Arborio, Latte Uht,
Olio Extra Vergine a un prezzo giusto, per chi compra e per
chi produce. Questo è il progetto VOI – Valori Origine Italiana,
di Iper, La grande i, che nasce
in collaborazione con Coldiretti e Fai (Firmato Agricoltori Ita-
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Come ti spaccio
la famiglia,
di Rawson Marshall
Thurber
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liani). Prezzo giusto significa che
del prezzo di vendita – altamente competitivo – è riconosciuto al produttore un valore più alto rispetto al mercato. Un prezzo
garantito dalla filiera cortissima
che Iper, Coldiretti e Fai sono riusciti a realizzare, razionalizzan|
Commedia degli equivoci
dalla comicità greve ma efficace, su modello di Una
notte da leoni, Parto col
folle e simili. Gli elementi sono quelli classici della commedia statunitense
degli ultimi anni: un viaggio costellato di imprevisti
e incontri improbabili, tanti equivoci, un protagonista
efficace sul piano comico
(in questo caso il bravo Ja-
HOME VIDEO
Le avventure di Zarafa –
Giraffa giramondo,
di Rémi Bezançon,
Jean-Cristophe Lie
Favola per bambini
Un bimbo e una giraffa in
viaggio per il mondo.
Favola tutta incentrata sull’accoglienza e il perdono. Animazione francese ad altezza di
bimbo, anche piccolissimo. Il disegno, il tono fiabesco e gli scenari risentono della lezione di
Michel Ocelot (Kirikù, Azur e
Asmar) e l’operazione è apprezzabile per come riesce a toccare, senza scadere nel politically correct, temi come razzismo,
amore per la natura, diversità.
do tutti i passaggi intermedi e
i relativi costi di trasformazione e di distribuzione. Un esempio: un litro di latte italiano VOI
parzialmente scremato è venduto a 0,95 euro; 0,99 euro quello intero. Ai produttori vengono
riconosciuti 45 centesimi al litro rispetto alla media di 38/40
centesimi. VOI coinvolge agricoltori e allevatori soci di Coldiretti, garantiti da Fai, il marchio
che certifica (attraverso enti terzi) la rintracciabilità dell’origine
agricola e italiana del prodotto e
il rispetto di valori etici, sociali e
ambientali nei confronti dei lavoratori e dei consumatori.
ECODOM
Raee: cinque regole
Ecodom presenta le cinque regole per disfarsi di un elettrodomestico. 1) Non buttate mai i
Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche, elettroniche) nella
spazzatura, non abbandonateli e non dimenticateli a casa. 2)
Portateli alle isole ecologiche.
3) Se acquistate un elettrodomestico, consegnate il vecchio
al negoziante che deve ritirarlo gratuitamente. 4) Richiedete
il ritiro a domicilio. 5) Ricordate
che i Raee sono preziose risorse
se correttamente riciclati.
IL SOLITO RITO DI INIZIO ANNO
son Sudeikis) e caratteristi
funzionali. Le gag riuscite
non mancano anche se sono un po’ imbarazzanti solo
a raccontarle: c’è quella con
protagonista Luis Guzman
nei panni di un poliziotto messicano e, in generale, tutta la parte con la finta famiglia Miller alle prese
con i vicini di camper maniaci non è malvagia. Certo:
non c’è nulla di sofisticato, le
volgarità e i colpi bassi non
mancano ma il film intrattiene, il cast gira bene e, cosa
sempre più rara negli ultimi
tempi, si ride di gusto. visti da Simone Fortunato
SPORTELLO INPS
In collaborazione con
DOMANDA & RISPOSTA
Tutto quello che
bisogna sapere
Contributi e cure termali
Come vanno calcolati i contributi
da versare per la badante che lavora 40 ore a settimana?
Annamaria C.
Il pagamento dei contributi da lavoro domestico avviene sulla base
di un calcolo convenzionale. L’importo dei contributi da versare è
invia il tuo quesito a
[email protected]
Nuovo settembre
vecchi propositi
Il regista
Rawson Marshall
Thurber
rapportato alla retribuzione corrisposta alla lavoratrice e, ovviamente, al numero delle ore di lavoro. Lei deve predeterminare
l’importo della paga oraria effettiva (retribuzione oraria concordata + quota oraria di tredicesima
+ eventuale quota oraria di vitto
e alloggio) e poi individuare il contributo che corrisponde alla fascia
di retribuzione e all’orario effettuato dal lavoratore. Sul sito istituzionale www.inps.it sono pubblicate le tabelle con le varie fasce
cui fare riferimento.
Nello scorso mese di agosto ho
compiuto 66 anni ed ho versa-
MAMMA OCA
di Annalena Valenti
C
on settembre si ripresenta il rito
dei buoni e solenni propositi.
Che, se ci pensiamo bene, sono
quelli dell’anno prima e che puntualmente si ripresenteranno il prossimo.
Così è, la calda estate, il ricaricarsi della libera ed energica creatività, ci fanno ri-cominciare sempre a stendere la
famosa lista dei proponimenti come se
fosse la prima volta. Tra web, giornali
e qualche domanda ad amiche e vicine di casa, “adesso mi metto a dieta” e
“da quest’anno vado in palestra tre volte alla settimana” sono i primi due propositi della lista, con alcune varianti
del tipo, curerò di più l’alimentazione
e sperimenterò ricette nuove (cari figli
e marito non mi ridurrò a cucinare alle 19.50 per mangiare alle 20…), ma anche, mi darò a un’attività fisica costante e se possibile a contatto con la natura
(giuro che dopo anni di fallimenti di
questo lodevole proposito quest’anno
mi impegnerò di più come dice quello psichiatra sul web, tramuterò il mio
proponimento in abitudine ripetendola, ripetendola e consolidandola fino al
numero magico di 21 volte.) 21 paelle e
zuppe galluresi, 21 nuotate, 21 camminate di nordic, 21 libri nuovi, 21 nuove talee di benjamin e gelsomini. Senti
Gio, tu che propositi hai per quest’anno? «Ma cosa dici… io vado a giocare
in giardino». Va bene mio dodicenne e
ancor realista figlio, oggi telefono alle
amiche per una bella cena in compagnia. Zuppa gallurese o dieta?
mammaoca.wordpress.com
Sono una lavoratrice dipendente
di 53 anni, da anni soffro di una
malattia polmonare. Un mio parente mi ha detto che l’Inps copre la spesa delle cure termali per
le persone nelle mie condizioni. È
vero? Che cosa devo fare?
Costanza P.
to 36 anni di contributi. Quando
posso fare richiesta per la pensione? Esiste un testo da consultare
per rendermene conto da solo?
Emanuele D.
I requisiti previsti nel 2013 per
la pensione di vecchiaia sono 66 anni e 3 mesi e almeno
venti anni di contribuzione. Signor Emanuele, lei potrà quindi
senz’altro andare in pensione dal
primo dicembre di quest’anno.
Può consultare il sito www.inps.it nell’area dedicata alla Riforma delle pensioni. Lì troverà una
tabella riassuntiva dei requisiti,
suddivisa anno per anno.
Faccia richiesta (online) alla sua
sede Inps. In seguito sarà sottoposta a una visita da parte dei
medici dell’Inps. Le ricordo che,
per poter beneficiare delle cure
termali, sono necessari cinque anni di assicurazione presso l’Inps e
tre anni di contribuzione nel quinquennio precedente la domanda.
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47
Tempi
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messianica e millenarista»
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Bergomi e Spagna ’82: «La forza
era il gruppo. Come nella
Nazionale di quest’anno»
di Luigi Amicone
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di Oscar Giannino
di religione
spread, ormai è una guerra
Giannino: Altro che debiti e
PER PIACERE
Locanda Borgo Colmello, GORIZIA
Semplicità e soddisfazione
per una cena di confine
IN BOCCA ALL’ESPERTO
AMICI MIEI
LIBRI
Le lettere sulla
sinistra e i barbari
senza barbarie di
Fausto Bertinotti
È un libro che ricorda le vecchie dispute intellettuali di un
tempo, quello firmato da Fausto
Bertinotti, direttore della rivista Alternative per il socialismo
e presidente della Fondazione
Cercare Ancora e da Riccardo
Terzi, segretario nazionale dello Spi Cgil. La discorde amicizia. Lettere sulla sinistra (Ediesse, collana Citoyens, 192 pagine,
13 euro; con un dialogo conclusivo coordinato da Michele Prospero) è un rapporto epistolare
ai tempi di twitter, un dibattito
sui destini della polis e dell’idea
di cambiare il mondo (antica
opzione della sinistra) nell’epoca del bizantinismo del pensiero debole (o defunto). È una
pretesa alta, ma in fin dei conti
null’altro che il disvelarsi di una
passione (per la politica) che
non conosce età o contingenze
governiste. Sin dall’incipit il volume presenta elementi di interesse metodologico-lessicale. I
due “discutant” usano la formula amica: “Caro Riccardo”. Nel
farlo, l’ex presidente della Camera ricorda quanto la pratica dell’uso del nome primo fosse in abiura presso l’ex partito
comunista ed il mondo sindacale, qualora la discussione prevedesse dissonanze di visione. Prevaleva in quel tempo la pretesa
di espellere il privato, la dimensione amicale, pena l’offuscamento dell’elemento razionale dal dibattito. «Sappiamo ora
– scrive Bertinotti – cosa contenesse di male quella codificazione, la ritualizzazione delle
relazioni umane: conteneva un
tasso eccessivo di ipocrisia, una
presunzione impossibile dal realizzarsi, e dannosa alla vita sia
individuale sia collettiva».
di Tommaso Farina
C
ucina di confine, nel vero senso della parola.
Vai a Gorizia,
e poco oltre c’è la Slovenia. Terra di ricordi, di battaglie,
di caduti, purtroppo di sconfitte (Caporetto resta una macchia incancellabile) ma anche di rivincite. Attorno alla bella cittadina in cui si respira ancora l’aria dell’Impero, ecco il Collio Goriziano: terra di vini bianchi tra i più grandi d’Italia, ma anche di
rossi inaspettati e suadenti. Una terra da visitare.
Dopo una passeggiata tra le vigne, non c’è niente di meglio
che andare a Farra d’Isonzo, e rifocillarsi alla Locanda Borgo Colmello. In una zona defilata, in mezzo ai vigneti e in prossimità
del museo della civiltà contadina, c’è questa cascina, che contempla un’osteria dalla calda sala invernale, e dal fresco cortile estivo. Identica per tutte le stagioni la professionalità del servizio,
così come la scelta dei vini, che prevede opzioni al calice, naturalmente imperniate sul territorio.
Di cucina, si svaria dal Friuli alla fresca inventiva con abilità.
Memorabile il “toc en braide”, antipasto carnico costituito da polenta con panna e ricotta affumicata. Se no, sformatino di zucchine con fonduta di formaggio Latteria, o filetto di maiale alla
misticanza con pesche. Di primo, semplici e ghiotti i blecs (li abbiamo già incontrati, sono maltagliati) di grano saraceno col ragù di carne, oppure l’insalata di orzo, o la vellutata di zucchine
col raro, aromatico e friulanissimo “formadi frant”. Un capolavoro, tra i piatti forti, l’aromatico ma leggero vitello tonnato con patate al prezzemolo. Però c’è anche l’insalata di carni bianche gratinate al curry, e il roast beef alla senape.
Dolci semplici, come la gelatina di melone o il croccantino
nocciole e rum. In sintesi: semplicità prima di tutto. Ed estrema
soddisfazione. Prezzo: sui 35 euro a testa. Sarà interessante anche
provarlo d’inverno, quando fanno irruzione tanti robusti piatti
locali. Ma anche nella tarda estate, Borgo Colmello si è rivelato
indirizzo preziosissimo, e delizioso.
cadere che siamo arrivati fin
qui, a un tal punto di smarrimento da determinarne la sua
sostanziale inesistenza?». Alla
domanda, Terzi risponde ipotizzando un lungo lavoro che conduca a una sostanziale riforma
della sinistra guidata dal principio della democratizzazione,
con nuovi strumenti di controllo e partecipazione, basata sui
princìpi costituzionali. Per Bertinotti, invece, i partiti, in nome
della governabilità, si sono ridotti a pure articolazioni di un
quadro istituzionale decotto, la
politica italiana si sostanzia così come un involucro irriformabile. E dunque? «Scomporre per
ricomporre», sintetizza Fausto
Bertinotti. «Bisogna sapere tirare una riga, altrimenti il morto
continuerà a mangiarsi il vivo».
E se Marx (più volte citato nel
dialogo) individuava nella “classe operaia” il soggetto che liberando sé poteva liberare tutti,
Bertinotti molto più modestamente, intravvede il punto di ripartenza, l’anelito di salvezza,
nel “residuo”, ossia in ciò che rimane fuori, non sussunto dalle logiche del potere. Ripartire
da quelle energie vitali che oggi
si trovano sostanzialmente fuori dai circuiti e dai recinti della
democrazia rappresentativa. I
«barbari senza barbarie».
Fabio Cavallari
Per informazioni
Locanda Borgo Colmello
www.borgocolmello.it
strada Della Grotta, 10 – Farra d’Isonzo (Gorizia)
Tel. 0481 889013
Chiusura: domenica sera. In estate, lunedì e sabato
Amicizia e affetti, invece, non
possono essere espulsi, anche
se, sottolinea Terzi «non mi piace affatto la finzione, apparentemente democratica e progressiva, di un’amicizia allargata,
universale, inclusiva di ogni sorta di rapporto, che fa venir meno le distanze, perché così si
perde il significato profondo
delle relazioni tra persone, la
quale richiede una costruzione
lunga e faticosa, e l’amicizia può
essere solo il coronamento non
scontato di un tale processo». E
quindi “caro Fausto”, in nome di
una antica e discorde amicizia.
I due autori, infatti, all’interno
di un serrato confronto sul futuro della sinistra, sviluppano due
distinti (anche se in alcuni punti
convergenti) assunti politici. Per
entrambi, si tratta come rileva
Bertinotti, citando Walter Benjamin, di far fronte alla “gestione del pessimismo”. Per entrambi il punto di partenza è fuori
discussione: la sconfitta della sinistra (culturale e sociale) consumata a partire dagli anni Ottanta, evolutasi partecipando
complicemente al degrado del
sistema politico, e giunta all’epilogo con la rinuncia a qualsiasi
opzione di trasformazione della società. «Come è potuto ac|
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MOTORPEDIA
WWW.RED-LIVE.IT
A CURA DI
DUE RUOTE IN MENO
Triumph Tiger Sport
Triumph Tiger Sport: nelle concessionarie a 11.990
euro, interpreta lo stile anglosassone nelle due ruote puntando tutto sulla concretezza. Dimenticate,
quindi, mappe motore, sospensioni a controllo elettronico e altre dotazioni ormai diffuse, perché la
Tiger Sport va dritta all’essenza del motociclismo,
forte del motore tre cilindri ricco di carattere, unico nel suono allo scarico e apprezzato dai puristi.
Con i suoi 125 cavalli ha tutta la potenza che serve per viaggiare e per divertirsi tra le curve, che si
cerchino le prestazioni oppure si desideri gustare
[em]
un bel panorama. 50
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Triumph Tiger Sport
interpreta lo stile
anglosassone nelle
due ruote puntando
sulla concretezza.
Ricco di carattere
e apprezzato dai
puristi (11.990 euro)
countryman: gusto di guida e sicurezza,
l’accoppiata che parte da 25 mila euro
Una Mini più spaziosa
a trazione integrale
N
ata per smentire chi pensava che la Mini fosse un’auto da single, al massimo destinata a coppie senza figli, la Countryman ha
saputo rinnovare lo stile della Casa inglese senza smarrire il filo conduttore di linee affascinanti, classiche, eppure contemporanee. Lo spazio a
bordo della Countryman è decisamente superiore
rispetto a quello della Mini tradizionale – che si
chiama Hatchback – e anche l’accessibilità risulta
molto migliore, grazie ovviamente alla presenza
delle portiere posteriori e alle dimensioni generali assai più generose. Comunque compatta come
impone la filosofia Mini, la Countryman mette a
disposizione degli occupanti soluzioni furbe, pratiche, pensate per chi vuole affiancare al celebre
“go-kart feeling” della gamma la funzionalità che
serve nella vita quotidiana. Interessante, ad esempio, il binario centrale (optional): sacrifica il posto
centrale posteriore – già di suo non molto comodo, a dire il vero – ma offre in cambio la possibilità di ancorare portaoggetti che scorrono lungo
il binario stesso per tutta la lunghezza dell’auto.
Da giugno la Countryman può contare su un’importante caratteristica in più, la trazione integrale ALL4, che aggiunge un tocco di tecnologia, sicurezza e praticità. Grazie al
i Diesel Cooper D differenziale centrale a funzioe Cooper SD (da 112 namento elettromagnetico la
cavalli a 143); ripartizione della potenza sui
i benzina Cooper due assi e sulle quattro ruote
e Cooper S (da 122 varia di continuo in funzione
cavalli a 184), per delle necessità. La costante infinire con la John terfaccia con il sistema di reCooper Works da 218 golazione della stabilità Dsc
(Dynamic stability control) permette, poi, di sfruttare la trazione integrale anche per rendere più efficace e divertente la guida.
Quale Countryman scegliere? La trazione integrale ALL4 è proposta su quattro modelli, in ordine crescente di potenza e prestazioni: i Diesel
Cooper D (112 cavalli) e Cooper SD (143 cavalli);
i benzina Cooper (122 cavalli) e Cooper S (184 cavalli), per finire con la straordinaria John Cooper Works da 218 cavalli. E i prezzi? Si parte da
25.000 euro per la Cooper ALL4 per salire fino a
36.150 euro per la John Cooper Works ALL4. Il
miglior rapporto tra prestazioni e prezzo, però,
se lo contendono la Cooper S ALL4 da 29.450 euro e la Cooper SD da 30.450.
Edoardo Margiotta
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POST
APOCALYPTO
un comandamento ormai dimenticato
Quando Giussani mi ha
abbracciato ho imparato
ad amare il prossimo
D
io ha creato “l’uomo maschio e femmina” vale a dire come relazione. È un principio onto-
logico della natura umana. Un principio che nemmeno il peccato originale riuscì a spezzare. Dio creò l’uomo, maschio e femmina li creò, afferma la Genesi. Per questo la prossimità è strutturale alla natura umana. Gesù stesso lo afferma chiaramente nel Vangelo, nel dialogo
con il maestro della legge, curioso di conoscere quello che doveva fare per ereditare la vita eterna. «Maestro, cosa devo fare per essere felice?», chiese l’esperto della legge a Gesù. E Gesù gli rispose: «Cosa c’è scritto nella legge?», «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo essere, con tutto
il tuo cuore e il prossimo come te stesso», rispose il maestro della legge. E Gesù: «Hai detto bene,
fai questo e vivrai». Ma l’avvocato, che voleva cercare un tranello per condannare Gesù, prende
nuovamente la parola e gli domanda: «Chi è il mio prossimo?», e Gesù gli racconta la parabola del
buon Samaritano che tutti conosciamo e che mi commuove; ma che solamente pochi vivono.
«Ama il tuo prossimo», cioè ama in primo luogo chi vive gomito a gomito con te. Una impresa impossibile senza la grazia della presenza di Cristo. Impossibile persino nella relazione più attraente che esiste, come quella tra maschio e femmina. Per questo l’apostolo Pietro, che era un realista
e non un romantico idealista, quando Gesù gli parlò dell’indissolubilità del matrimonio reagì immediatamente affermando: «Signore, se questa è la condizione dell’uomo con la donna, non conviene
sposarsi». E Gesù, senza usare mezzi termini gli rispose: «Hai ragione, tuttavia ciò che è impossibile all’uomo (la prossimità) è possibile a Dio». Non esiste miracolo più grande della prossimità vissuta intensamente. Non esiste segno più potente della presenza di Dio tra noi che quello di una vera prossimità: «Siate una sola cosa perché il mondo creda», afferma sempre Gesù.
Ma la prossimità non è solo ed esclusivamente quella di una persona con un’altra, ma il contatto
con la realtà, dalla cosa apparentemente più banale, come quella di raccogliere un pezzettino di
carta dal pavimento, fino al rispetto della cosa più preziosa e bella che esiste nella realtà.
Normalmente noi siamo definiti dal “ruolo”, sia a livello di persone che nella relazione con la realtà in se stessa. Sarebbe sufficiente entrare nel mondo del lavoro per vedere come tutto è definito dal ruolo, dalle competenze. “Questa cosa tocca a me”, “Il mio obbligo arriva fino a
ama in primo luogo chi
qui…”, “È finito il mio orario di lavoro” eccevive gomito a gomito
tera. La prossimità è sostituita dal ruolo. Per
questo se una persona ha bisogno è quasi imcon te. Una impresa
possibile che trovi qualcuno che la aiuti. Perimpossibile senza la
fino nelle nostre opere di carità molte volte è
difficile trovare una persona che dica: “Padre,
grazia della presenza
se ha bisogno di qualcosa sabato o domenidi Cristo. Impossibile
ca, per favore mi chiami”. È la mentalità mondana che ha contaminato il cristianesimo. Per
anche nella relazione
questo anche l’esperienza del volontariato ditra maschio e femmina.
venta difficile.
Sono stato educato a guardare, guardare a
ma ciò che per noi è
360 gradi. Per questo, quando vado in giro
impossibile, è possibile
per le opere del San Rafael qui ad Asunción, di
al nostro signore
solito porto con me un block notes e una pen-
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El abrazo - Festa
dell’Annunciazione
25 marzo 1989
è uno degli
affreschi presenti
nella nuova clinica
Divina Provvidenza
di Asunción
na nella tasca della camicia, in modo tale che,
se vedo qualcosa di interessante, posso fissarlo sulla carta per non dimenticarlo. Non solo, quando alla sera vado a ispezionare in particolare l’hospice, porto con me il cellulare per
chiamare Fredy, il tecnico, se ci fosse bisogno
di un suo intervento. Lui può ben dire quante volte l’ho chiamato dicendogli: «Per favore,
puoi venire ad aggiustare questo che non funziona? Domattina puoi pulire completamente
il seminterrato? Puoi aggiustare questa luce
che si è guastata o mettere gli spigoli di alluminio ad ogni colonna o dove c’è bisogno?».
Guardare e imparare
Domenica 7 luglio, mentre camminavo e dicevo il Rosario nel patio, ho visto in un angolo un mucchio di spazzatura. Ho pensato che
appena finita la recita del Rosario avrei preso una carriola per portarla tutta nella discarica. Molta gente aveva visto (normalmente guardiamo senza vedere, vale a dire senza
riconoscere la realtà che ci provoca) questo
pattume, ma a nessuno era venuto in mente
di pulire. Non appena mi hanno visto spingere la carriola con i rifiuti, sono corsi tutti a fare quel lavoro al posto mio, e lo hanno fatto
molto bene. È il metodo che uso sempre per
educare le persone. Prendere la scopa e cominciare a ramazzare, e subito le persone che
di Aldo Trento
mi stanno vicino, mi prendono la scopa e puliscono. Quando ho incominciato ad abbellire
il patio della chiesa con piante e fiori, la gente
non capiva perché ero io a fare cose che erano di competenza del giardiniere e chiedevano
spiegazioni. Ma io, invece di parlare, continuavo a lavorare. Dopo una settimana c’erano già
diverse persone ad aiutarmi e sostituirmi.
Quando mi hanno nominato parroco mi sentivo inesperto e inadeguato per questo compito.
Ricordo che mi sono inginocchiato davanti al
Santissimo dicendogli: «Signore, io non so cosa significhi essere parroco e guidare una parrocchia. Per favore, aiutami!». E Lui mi ha fatto capire che l’unica cosa che dovevo fare era
proporre quello che il Mistero mi chiamava a
vivere in ogni momento e viverlo come relazione con Lui. In questo modo mi sono educato a vivere ogni cosa, ogni gesto, con questa coscienza.
Per esempio, fino a quel momento la gente entrava in chiesa come si entra in un qualsiasi
salone, senza nemmeno percepire la presenza
del Santissimo Sacramento. Quando mi sono reso conto di questo “mercato”, fermavo la
gente sulla porta e dicevo: «Guardate come io
entro e fate come me». Con le mani giunte mi
sono messo alla testa della piccola processione, camminando in silenzio verso l’altare e la
gente, dietro di me, faceva lo stesso. Arrivato
davanti all’altare, mi sono girato e ho spiegato loro l’importanza e il perché del mettermi in
ginocchio, sempre con le mani giunte dicendo:
«Lodato sempre sia il Santissimo e Divinissimo Sacramento dell’altare».
L’insegnamento dei miei genitori
È stato necessario molto tempo per far capire loro il valore di questo atteggiamento ma,
alla fine, questa brutta abitudine di entrare in
chiesa come in una qualsiasi sala è scomparsa. I bambini, invece, l’hanno assimilato immediatamente. «Padre, che bello è partecipare
ora alla santa Messa, mentre prima era come
entrare in una sala giochi». E allo stesso modo mi preoccupo di testimoniare cosa significa vivere la realtà con la coscienza che tutto è
relazione (prossimità) con il Mistero. Col tempo questo metodo è “passato” in ogni luogo
della parrocchia, dove non esiste un solo metro quadro che non sia come lo esige la realtà.
Non c’è nulla fuori posto, perché tutto riporta
al Mistero. Ci sono persone che vengono a visitare la scuola a metà mattina e sono stupite
nel vedere la pulizia dei bagni, la totale assenza di graffiti, eccetera. Questo è frutto di un
cammino iniziato ventiquattro anni fa…
Alcuni mi chiedono: «Che cosa significa essere parroco?». Il tenero abbraccio di don Giussani era presente in ogni gesto. Una cosa mol-
to semplice, che chiedeva alla mia libertà la
totale disponibilità del mio cuore a lasciarmi
provocare dalla realtà. Così, un semplice gesto
come quello di chiedere in ogni momento che
non si buttino per terra cartacce e cannucce,
dopo vent’anni ha formato un piccolo popolo. Un popolo che sa distinguere la destra dalla sinistra, che ama il silenzio nei posti dovuti,
che è disponibile alla solidarietà, che vede un
bisogno e subito ti offre il suo aiuto.
Un’altra esperienza interessante è stata quella
di insegnare a cantare in chiesa. È stata un’impresa difficile ma oggi abbiamo un coro polifonico tra i più belli del Paraguay.
Un coro che propone la musica gregoriana e
quella delle Reducciones gesuitiche. Questo è
stato per me il successo più bello e più grande
di questi anni di missione.
Insomma, educare alla prossimità è educare
alla verità della relazione con tutti e con tutto.
E questo implica una persona che, mettendosi alla guida, vive con passione tutta la realtà,
vive in modo quotidiano l’eroico e l’eroico nel
quotidiano. Non si tratta, allora, dei diplomi o
dei titoli che si hanno, ma della passione con
cui si vive la realtà. Questo è quanto ho imparato dai miei genitori, che avevano frequentato la scuola solo fino alla quarta elementare e
conoscevano appena le preghiere principali.
[email protected]
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| 18 settembre 2013 |
53
LETTERE
AL DIRETTORE
Se i comunisti sono
come Pietro Barcellona
noi siamo comunisti
«L’
effetto collaterale della trasformazione del
linguaggio in scambio d’informazione non è
qualche nuovo gioco alla moda o qualche sito in più da visitare in Internet, ma è lo strumento per il controllo totale della natura e per l’avvento della biotecnologia».
Scriveva così Pietro Barcellona, scomparso lo scorso 6 settembre, nel suo libro La parola perduta. Il suo è un lascito
umano, intellettuale ed educativo straordinario. Il suo pensiero, un patrimonio inestimabile. Oggi, a lui va la mia gratitudine umana, il mio pensiero affettivo, quell’abbraccio a Roma in un giorno
da “stranieri” accolti come amici. «La
mia laicità corrisponde a sostare, il più
a lungo possibile, nello spazio dell’interrogazione, rifiutando, il più lungo possibile, la risposta che chiude l’interrogazione, la risposta che risolve. (…)
Lo spazio dell’interrogazione è lo spazio stesso della laicità. Voglio dire di
più: l’interrogazione ha origine nel sacro. E il sacro costituisce il fondamento esistenziale del gruppo umano, ciò
che non abbiamo a nostra disposizione,
che non possiamo predeterminare, né
calcolare, che non può essere posseduto e manipolato. E quando questo accade, ne va dell’ossatura antropologica
dell’uomo» (Critica della ragion laica). Fabio Cavallari
«La manipolazione della vita, originata dagli sviluppi della tecnica
e dalla violenza insita nei processi di globalizzazione in assenza di
un nuovo ordinamento internazionale, ci pone di fronte ad una inedi-
ta emergenza antropologica. Essa
ci appare la manifestazione più grave e al tempo stesso la radice più
profonda della crisi della democrazia». Questo è l’incipit del manifesto con cui il “comunista” Barcellona insieme ad altri tre (Sorbi, Vacca
e Tronti) si schierò con Ratzinger,
«fece tremare il Pd» (Sandro Magister) e il Pd ha bellamente ignorato
(compreso Matteo Renzi). Infine ci
fu quel libro: Incontro con Gesù.
Caro direttore, ci eravamo sentiti ai
tempi della guerra in Iraq. Oggi ci risiamo, ma stavolta non sono al fronte
e allora mi permetto, citandovi (www.
lapadania.net), di ispirarmi alle vostre
preziose fonti. Complimenti per la coraggiosa e giusta posizione sulla Siria.
Max Ferrari
Coraggio Lega, e cessa di dividerti.
2
di Fred Perri
ARRIVA LA KYENGE, SUPERMARIO DORME
M
ario Balotelli dormiva della grossa, quando la
ministra Kyenge è andata a far visita alla Nazionale. Abbasso il razzismo, scambi di maglie e di belle parole. Bene, bravi. Poi, inevitabile, il
solito moralismo: Balotelli, emblema dell’Italia multietnica, il nerissimo che parla bresciano con la lingua
lunga, odiato e insultato da tutti, mentre alcuni suoi
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compagni posavano per le foto e ripetevano il rito collettivo della “lavanda dal razzismo”, non c’era. Super
Mario russava beato. Pare che l’incontro fosse facoltativo. Penso sia vero: a me, da sempre, quando c’è un
evento non facoltativo, se non mi vedono, mi vengono a svegliare, mi chiamano, mi scassano i cabasisi.
Questo episodio, come dicevo, ha scatenato l’in-
Foto: Ansa
Lasciate ronfare Balotelli. Non tocca a lui
salvare questo mondo dal razzismo
[email protected]
Se Berlusca lo vogliono mandare in
galera e “ritirargli la carta d’identità”
per non avere versato qualche milione all’erario (lo 0,5 per cento sul totale versato negli anni), quale pena spetterebbe al re del football Lionel Messi
che sta transando per circa 5 milioni
di euro da corrispondere al fisco spagnolo per contributi non versati? Valerio Biondi via internet
Grande disinformazione in Italia.
2
Mi stupisce cheTempi in passato puntò tutto su Berlusconi e se ne pentì in
seguito, dichiarandosi deluso… Davide Carubelli Vimercate (Mb)
C’è un problemino di democrazia,
ora.
2
L’Italia è allo sfascio, ma la cosa peggiore è che non si vede una soluzione
democratica alla crisi. Inutile raccontare a voi le cause del deficit istituzionale, le conoscete e raccontate da anni. Gli effetti sono che i tre poteri non
fuzionano: non c’è giustizia (sia nel
merito, sia nella durata), il parlamento pensa a campare, i governi non
amministrano. In più si fanno battaglia fra loro. No comment sul presidente super partes, che ordisce la caduta del premier Berlusconi (titoli de
L’Espresso), si inventa saggi inutili e nomina senatori a vita in momenti di depressione nazionale. Il popolo
può agire con referendum, il cui esito non viene attuato, e con le elezioni, ma sappiamo che gli ultimi movimenti “progressisti” sono stati linciati
UN SERVITORE FEDELE DEL PAPA
La verità su Bertone non l’avrete
certo dai media del potere
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
L
non ha simpatia per la Chiesa cattolica e
usa lo strumento della comunicazione per una continua opera di denigrazione.
Basti pensare all’opposizione alla guerra in Iraq di Giovanni Paolo II (YouTube:
mai più la guerra!) e all’attuale presa di posizione di Papa Francesco sull’attacco alla
Siria per rendersi conto che i cattolici sono dei rompiscatole per i guerrafondai e per
chi regge l’economia mondiale. La comunicazione oggi è come gli eserciti dell’Ottocento: con lo strumento della diffamazione può conquistare territori, arrestare (isolare) le persone e anche moralmente ucciderle. Per ora Papa Francesco con la creatività propria degli uomini di preghiera si è reso inattaccabile e vedremo quanto durerà
questa apparente quiete, ma continua l’azione di chi usa il pretesto dei preti pedofili, dello Ior e di Vatileaks per presentare al mondo la curia romana come un covo di
malfattori. I cattolici devono essere diffidenti rispetto ai grandi mezzi di comunicazione pilotati dalla lobby. Occorre dare ad ogni cosa il suo peso e non farsi sedurre
dalla manipolazione mediatica. Ad esempio non è giusto che il cardinal Bertone esca
di scena salutato da una salva d’improperi. Chi lo conosce sa che ha servito fedelmente il Papa e che, grazie a lui, Benedetto ha potuto trovare le energie per confermare la
fede dei cattolici: cosa più importante delle beghe curiali. In questi anni si è fatto un
buon lavoro. Perciò prego per il cardinal Bertone e lo ringrazio.
a lobby finanziaria che regge il mondo
(Berlusconi e Giannino). Il M5S è populista e disfattista, mira al risparmio
non al progetto, per ora ci costa meno di altri, ma essere meglio del peggio non dà futuro. Insomma che fare?
Siamo tenuti in scacco da satrapi e
istituti che si cooptano. Io credo che
ci siano i preupposti per un commissariamento dell’Italia. L’Onu prevede
il proprio supporto in caso di crisi democratica. In Italia il sistema democratico non c’è più, quindi rientriamo
nei prametri di intervento. Perché non
organizziamo una bella raccolta di firme? Dovesse andare bene sarebbe
una rivoluzione unica e storica, dovesse andare male avremo messo in luce
un disagio profondo, condiviso e di respiro internazionale.
Andrea Savino via internet
Più che firme presto dovremo scendere in strada. Come fanno i cugini
transalpini e il coraggioso Agnoli.
Foto: Ansa
SPORT ÜBER ALLES
terventismo di migliaia di anime (sedicenti) candide
in severe reprimende al Balotelli che, in quanto bersaglio della discriminazione e dell’insulto razziale, in
quanto “esempio” avrebbe dovuto essere in prima fila,
cresta in resta. Il razzismo esiste, urca, lo tocchiamo
con mano, ma non si risolve con le tante, troppe parole e con gli esempi stabiliti per legge, tantomeno dei
calciatori. Sono poco più che ragazzi e anche quelli
cresciuti vivono in un mondo tutto loro, non solo per
via dei soldi. Il problema è l’educazione e, come dice
giustamente Buffon, io non posso essere di esempio a
tuo figlio. L’esempio lo devi dare tu, coglione (questo
l’ho aggiunto io, eh).
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taz&bao
Giustizia
non giustizieri
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| Foto: Getty Images
Ci vengono alla mente alcune parole di Isacco di
Ninive da poco ascoltate: «L’assenza di misericordia
e la brutalità vengono dalla grande abbondanza di
passioni. Infatti il cuore è indurito dalle passioni, e
queste non lasciano che si muova a compassione, ed
esso non sa avere pietà per nessuno, né dolersi per l’afflizione, né soffrire, pur vedendola, per la rovina del suo
prossimo, né rattristarsi per coloro che cadono nei peccati;
ma a causa delle passioni di cui si è detto, l’ira e la gelosia si
fanno potenti e si accrescono in costoro; e accade che uno sia
mosso da stupido zelo, come se volesse far vendetta al posto di
Dio, e nella sua anima non c’è spazio per la compassione. Sii un
perseguitato, ma non uno che perseguita. Sii un crocifisso, ma non
uno che crocifigge. Sii pacifico e non zelante… Non sei un servo della
pace? Almeno non essere un agitatore! Sappi che se da te uscirà un
fuoco che brucerà gli altri, alle tue mani sarà chiesto conto delle anime
di tutti coloro che quel fuoco avrà toccato. E se non sei tu a soffiare su
quel fuoco, ma sei d’accordo con colui che vi soffia sopra e ti compiaci
della sua azione, sarai suo compagno nel giudizio».
Lettera delle suore trappiste che vivono in Siria
Avvenire, sabato 7 settembre 2013
Firmate l’appello contro l’intervento armato in Siria su tempi.it
TERRA
DI NESSUNO
il ritorno al bar
Gli stessi occhi
trent’anni dopo
M
In quel bar andavo
ogni mattina con il cane, fino a tre
mesi fa, a bere il caffè. Dietro al banco il barista era uno sulla cinquantina, grosso,
stempiato, con due occhi chiari e ironici che
ti scrutavano, curiosi. Come va, mi chiedeva
mentre con un gesto veloce piazzava il filtro
nella macchina dell’espresso, dandomi le spalle. Bene, rispondevo io, laconica. Lui invece
chiacchierava: si lamentava delle tasse, discuteva delle feste di Arcore; oppure aveva in testa
il Milan, che la sera prima aveva perso. Beppe
parlava ad alta voce e volentieri di donne: delle donne che passavano davanti al bar, che esaminava con un’attenzione golosa. A volte era
volgare, ma la sua risata contagiosa colmava
le prime ore del mattino.
Con l’estate avevo cambiato il mio giro e avevo scelto una
strada ombreggiata. La scorsa
settimana sono passata di nuovo davanti a quel bar, e ho visto
sulla saracinesca abbassata un
cartello. Credevo ci fosse scritto: chiuso per ferie. Ma il cartello era listato di nero. “Lutto per
la morte di Luigi, di anni 52. La
famiglia ringrazia quanti hanno voluto partecipare al lutto.
Milano, agosto 2013”.
Sono rimasta di sasso, lì sul
marciapiede, davanti a quella saracinesca calata per sempre. Poi sono entrata dal fornaio: cosa è successo a Beppe, ho chiesto, quasi
arrabbiata. A giugno, mi hanno risposto, gli
hanno diagnosticato un cancro ai polmoni,
già avanzato. Due mesi, ed era morto. Me ne
sono tornata a casa a capo chino, incredula.
Quell’uomo loquace, estroverso, anche scurrile, era così profondamente vivo; anzi, direi, co-
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ilano, settembre.
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di Marina Corradi
sì intensamente terrestre, con la testa sempre
al calcio e alle donne, e l’ira verso l’Agenzia
delle Entrate. Quel barista furioso con il sindaco Pisapia per via dell’area C, era così “dentro”,
così attaccato alla vita. Davvero non riuscivo a
immaginarmelo, davanti alla morte. Sorrideva ancora, mi sono chiesta, e ancora parlava
del Milan? Per un mese, col cane, ho cambiato
di nuovo la mia strada. Per protesta.
Ieri, sono tornata davanti a quel bar. Era
aperto. Ho gettato un’occhiata diffidente
all’interno, pensando di vedere facce estranee.
C’erano due avventori al banco, e un ragazzo stava facendo il caffè, dando le spalle alla porta. Si è voltato: vent’anni, e gli stessi occhi
chiari di Beppe, l’identico sorriso; e le sue spalle, anche, larghe, forti. Suo figlio: e quella somiglianza mi ha folgorato, così
che mi sono fermata a osservare da fuori il ragazzo al banco.
Suo figlio: la stessa voce, ma i
capelli folti, e la vita davanti.
Quale ricchezza è, avere dei
figli, mi sono detta allora. Gli
stessi occhi tuoi che cominciano un’altra vita, trent’anni dopo. E così, all’indietro nel tempo, di figlio in padre, in figlio,
ancora. Avevano dunque i miei occhi, i miei
sconosciuti bisnonni? E mio figlio, forse, ha i
loro. La vita ci passa dentro come un fiume, e
continua. Allora, quasi disposta a perdonare a
Beppe di esser morto, sono entrata nel bar, e
ho ordinato un caffè. (Il rumore metallico del
filtro dell’espresso nella macchina, uguale).
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