anno 19 | numero 37 | 18 settembre 2013 | 2,00 In vendita abbinata obbligatoria con il Giornale settimanale diretto da luigi amicone Il testimone Forse sarà proprio la storia di Domenico Quirico a tracciare il confine tra propaganda e informazione in Siria. Fermando l’inutile guerra EDITORIALI DA BERLUSCONI ALLA TAV Venerano la Carta ma sono pronti a calpestarla per annientare il “nemico” «A scolta: lo sappiamo/ sei nostro nemico. Perciò ti vogliamo/ mettere al muro. Ma in considerazione dei tuoi meriti/ e delle buone qualità/ a un muro buono, e fucilarti con/ palle buone di fucili buoni e seppellirti con/ una buona vanga in una buona terra». Purtroppo siamo rimasti a questi versi di Bertolt Brecht, il cantore di Stalin che nelle scuole italiane si fa ancora passare per poeta di alta e pura idealità. Ciò che egli decantava in versi per i nemici del “Padre dei popoli”, è ancora qui. Vale per Berlusconi. Ma circola anche nelle petizioni che gridano al rispetto della Costituzione mentre chi tali petizioni indice manifesta il plateale, arrogante, livido, disprezzo del parlamento e di ogni organo di democrazia che non sia un tribunale. Si arrampicano su per i tetti, ma la gatta in calore non freme per la Carta, frutto di una guerra di liberazione dal fascismo (che i vecchi ricordano somigliava tanto a certe scene di inusitata ottusità e parole violente che si sentono oggigiorno) e dell’incontro-compromesso tra grandi forze popolari. La gatta freme nel senso rancoroso e astioso per l’avversario politico. Ha ragione Ostellino. Lo Stato di diritto non c’è più. E non a causa di Berlusconi, ma a causa delle violazioni sistematiche e patenti della Costituzione e dello Stato di diritto a cui non fa più caso nessuno. Gli stessi che imbracciano la Costituzione come fucile, predicano la violenza in Val Susa, il diritto all’“azione diretta”, la tranquilla torsione delle sentenze ERRI DE LUCA, VECCHIO REDUCE in funzione politica. Personaggi alla Erri De DEGLI ANNI DI PIOMBO CHE Luca, vecchio reduce degli anni di piombo e povero scrittore allampanato (anche su quoti- GIUSTIFICA I SABOTAGGI diani cattolici), sono l’emblema di questa de- IN VAL DI SUSA, È l’EMBLEMA riva da Germania al tempo di Weimar. DI QUESTA DERIVA DA WEIMAR LA CASA BIANCA E LE SUE GRANCASSE Tutti quei giornali a suonare per mesi la stessa marcetta. Su Damasco A scorno del nostro amico Giuliano Ferrara, che insiste a predicare guerra, giusta o ingiusta che sia, che il gas l’abbia usato Assad o i tagliagole che «hanno tradito la rivoluzione laica» (Quirico), constatiamo con piacere (unito a qualche preoccupazione per la belligerante a prescindere Susan Rice) la repentina virata della Casa Bianca. Interpretata, sia pur tra qualche imbarazzo, dalla moderazione che hanno preso le parole del segretario di Stato John Kerry. Un “falco” che, proprio in corso di tour europeo per convincere gli alleati a bombardare Damasco, è stato costretto a prendere in seria considerazione l’iniziativa di Mosca che ha chiesto l’apertura e la messa sotto controllo internazionale dell’arsenale chimico di Assad. Ancora una volta: meno male che la Russia c’è. Certo che non siamo ancora fuori dal pericolo di un attacco unilaterale potenzialmente esplosivo, non soltanto per i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma per il mondo intero. Però sorprende, ancora una volta e molto più platealmente che nel caso della presunta “guerra giusta” di Bush, l’irregimentazione dei grandi giornali alla linea di un’azione programmata, sembrerebbe da tempo e a prescindere dai fatti. Il 7 maggio scorso fu zittita l’ispettrice Onu Carla Dal Ponte che sostenne di avere prove sull’uso del gas nervino da parte dei ribelli. Per giorni il Dipartimento di Stato Usa ha detto di avere le prove della responsabilità dell’uso del Sarin da parte del regime e queIl 7 maggio fu zittita ste prove non sono mai arrivate. Adesso Quil’ispettrice Onu Carla rico dice (ma forse è subito pressato a essere Dal Ponte che sostenne di più prudente) di avere un’altra versioavere prove sull’uso del ne della strage chimica. Potrebbe esgas da parte dei ribelli sere che ha (sempre) ragione il Papa. FOGLIETTO Mancano i “buoni”. Tentare di schierarsi nel conflitto siriano è sbagliato e dannoso. La semplificazione uccide N on sempre i conflitti che acca- dono nel mondo permettono di comprendere con chiarezza da quale parte prevalgano le ragioni e da quale i torti; ancor di meno, consentono di scegliere la curva dello stadio nella quale collocarsi. La semplificazione diventa irritante quando ci si trova di fronte a vicende come quella della Siria, nelle quali la complessità dei precedenti storici e della situazione attuale raccomanderebbero altra attenzione. È certo che il regime degli Assad è stato lasciato per decenni da Europa e Stati Uniti libero di mostrarsi fra i più feroci e sanguinari; è singolare che oggi si attenda l’esito del rapporto sulle armi chimiche per decidere se è proprio così turpe. E perché finora non hanno contato nulla le decine di migliaia di vittime innocenti, morte per proiettili, o per bombe, o per il gas (cosa cambia?), né hanno contato nulla le sopraffazioni contro il vicino Libano, da quasi quarant’anni privato con la violenza dei suoi leader più autorevoli, a cominciare da Bashir Gemayel, ucciso dai sicari di Damasco nel 1982, quindi invasa e oltraggiata nel 1990 e nel 2006 dalle truppe del regime siriano, senza che nessuno abbia obiettato? È altrettanto certo che, grazie alle incertezze di chi oggi punta all’intervento, le file dell’opposizione sono infiltrate, se non proprio costituite, da qaedisti. Vince Assad e continueranno i massacri, si consoliderà l’asse Iran e Hezbollah, e i cristiani ancora presenti nell’area saranno colpiti più duramente. Vincono gli altri, e la presenza terroristica di matrice sunnita, col patronato del Qatar, sarà radicata; i cristiani non se la passeranno meglio. Non si tratta di mostrarsi indifferenti, ma di rendersi conto che fra le parti in causa mancano i “buoni”. Esserne consapevoli è il presupposto per non allungare la catena di errori europei e occidentali. Alfredo Mantovano | | 18 settembre 2013 | 3 SOMMARIO 06 PRIMALINEA MARTE, I MARZIANI. LA VERITÀ SULLA SIRIA | GROTTI NUMERO anno 19 | numero 37 | 18 Settembre 2013 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr Settimanale Diretto Da luigi amicone 37 Il testimone Forse sarà proprio la storia di Domenico Quirico a tracciare il confine tra propaganda e informazione in Siria. Fermando l’inutile guerra Forse sarà proprio la storia di Domenico Quirico a tracciare il confine tra propaganda e informazione in Siria LA SETTIMANA 14 INTERNI LA SECONDA VITA DI FORMIGONI | AMICONE 20 CHI È CHI RENZI, UN AMORE CONSUMATO | BORSELLI Foglietto Alfredo Mantovano...........3 Solo per i vostri occhi Lodovico Festa........................ 13 Speciale Women in business...... 27 Le nuove lettere di Berlicche................................................41 Presa d’aria Paolo Togni.................................... 46 Mamma Oca Annalena Valenti............... 47 Post Apocalypto Aldo Trento................................... 52 Sport über alles Fred Perri...........................................54 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano.................. 55 Terra di nessuno Marina Corradi......................58 RUBRICHE 22 ESTERI LA GERMANIA VERSO LE URNE | PUNZI 36 CULTURA FILOSOFIA E SCIENZA | CASADEI L’Italia che lavora...............42 Stili di vita.......................................... 46 Per Piacere....................................... 49 Motorpedia........................................50 Lettere al direttore...........54 Taz&Bao................................................56 Foto: Ansa; Archivio Meeting Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 19 – N. 37 dal 12 al 18 settembre 2013 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Pietro Piccinini IN COPERTINA: Foto Ansa PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Roto2000 S.p.A., Via L. da Vinci, 18/20, Casarile (MI) DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione, 4 20154 Milano. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico di Tempi Società Cooperativa verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali). Foto: Ansa Dopo essere stati prigionieri dei ribelli siriani per 152 giorni, Domenico Quirico e Pierre Piccinin sono stati liberati. Il giornalista della Stampa è stato accolto dal ministro degli Esteri Emma Bonino all’aeroporto di Ciampino, domenica 8 settembre MARTE E I MARZIANI | DI LEONE GROTTI Foto: Ansa La dura verità I racconti di Domenico Quirico e Pierre Piccinin aiutano ad avere l’immagine reale della guerra in Siria. Assad resta un dittatore, ma i ribelli a suon di rapimenti, esecuzioni, minacce ai cristiani, vogliono «trasformare il paese in un califfato islamico». Altro che paladini della libertà | | 18 settembre 2013 | 7 8 | 18 settembre 2013 | | l’inviato della Stampa è atterrato libero domenica sera a Ciampino e ha raccontato in una conferenza stampa improvvisata e in un lungo articolo sul quotidiano diretto da Mario Calabresi, i mesi nelle mani dei ribelli tra «paura, umiliazioni, fame, mancanza di pietà, due false esecuzioni e due evasioni fallite». I dubbi erano già stati dissipati da tempo, ma se ancora ce ne fosse bisogno, i racconti di Quirico e Piccinin aiutano a fare piazza pulita di un’immagine distorta della guerra siriana che viene riflessa sui media da oltre due anni e mezzo: quella che divide il campo in buoni e cattivi, opponendo a un dittatore crudele un’opposizione che si batte per la democrazia e la libertà. Se Bashar al Assad resta un dittatore e non assomiglia per niente a uno stinco di santo, la visione edulcorata della prima ora dei ribelli è svanita a suon di rapimenti, esecuzioni, dissacrazione di chiese e minacce da parte dei terroristi legati ad al Qaeda di farla pagare ai cristiani, una volta che saranno riusciti a «trasformare la Siria in un califfato islamico». Grazie alla testimonianza di Quirico e Piccinin, si capiscono meglio parole come quelle pronunciate a tempi.it dall’arcivescovo siriaco ortodosso di stanza a Damasco, Mor Dionysius Jean Kawak: «Tanti cittadini del popolo siriano erano a favore di questa rivoluzione, ma ora non lo sono più. Dobbiamo ascoltare anche il resto del popolo siriano, non solo l’opposizione, che non rappresenta tutti. Noi abbiamo sempre sognato un paese democratico e libero ma la verità è che non sappia- Foto: Getty Images «L Siria è il paese del Male. Ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana, ma può essere che questa mi abbia tradito. La rivoluzione non è più quella laica di Aleppo, è diventata un’altra cosa: fanatismo e lavoro di briganti. È come se fossi vissuto per cinque mesi su Marte. E ho scoperto che i marziani sono molto malvagi e molto cattivi». Nel linguaggio di Domenico Quirico, a “Marte” corrispondono i 152 giorni di prigionia passati in Siria «trattati come bestie»; i “marziani” sono i ribelli, «più banditi che islamisti o rivoluzionari». Sequestrato insieme al professore belga Pierre Piccinin lo scorso 8 aprile, a MARTE E I MARZIANI PRIMALINEA Maloula è stata occupata dai ribelli. Molti cristiani sono stati minacciati, così hanno scritto al Congresso americano: «Il terrorismo che colpisce gli abitanti fa parte di un piano globale che ha lo scopo di cacciare i cristiani dalle loro terre. Ecco cosa viviamo ora che lo Stato è forte. Cosa succederà quando non sarà più così, una volta che l’esercito degli Stati Uniti ci avrà bombardato?» terroristi islamici di al Nusra hanno sparato contro chiese e monasteri, saccheggiandone alcuni. La croce che svettava sulla cupola del monastero dei santi Sergio e Bacco non c’è più, è stata rimossa, e molti cristiani sono stati minacciati con queste parole: «O vi convertite all’islam oppure vi decapitiamo». Gli abitanti del villaggio si sono rivolti così al Congresso statunitense riferendosi alla presa del villaggio: «Questi atti criminali, questi saccheggi sistematici delle città cristiane, questo terrorismo che colpisce gli abitanti fa parte di un piano globale che ha lo scopo di cacciare i cristiani dalle loro terre d’origine. Ecco cosa stiamo vivendo ora che lo Stato è ancora forte. Cosa succederà quando non sarà più così, una volta che l’esercito degli Stati Uniti ci avrà bombardato? Quello che attende i cristiani delle nostre città e villaggi, nelle mani di organizzazioni terroriste come Jasbat al Nusra, è semplicemente terrificante. Possiamo forse sperare che tutte le terribili aggressioni subite dai monasteri e dalle chiese della cristianità – come a Ghassanieh, a San Simeone, a Homs – finiran- Foto: Getty Images l’arcivescovo siriaco ortodosso di Damasco ha detto a tempi.it che «questa opposizione non può aiutarci ad avere il paese libero e democratico che sognavamo» mo se questa opposizione può aiutarci a diventare liberi e democratici». Un’ennesima conferma è arrivata in questi giorni dalla lettera scritta dagli abitanti di Maloula ai membri del Congresso americano. Il piccolo villaggio cristiano, appena tremila abitanti, è l’unico posto al mondo dove si parla ancora l’aramaico di Gesù ed è uno dei siti religiosi più antichi e importanti della cristianità. Maloula è stata conquistata lo scorso 5 settembre dai ribelli al grido di «Allahu Akbar», Dio è grande: dopo aver fatto scappare l’80 per cento degli abitanti, i no per risvegliare la coscienza del mondo perché riconosca il crimine terrorista commesso ai danni della Siria? Noi non elencheremo neanche i massacri perpetrati in tutte le città e i villaggi dove abitano quelle che voi chiamate “minoranze”, perché li conoscete già nei dettagli». Se la soluzione politica invocata con forza da papa Francesco sembra dunque l’unica ragionevole via d’uscita alla crisi siriana, resta il nodo delle armi chimiche a bloccare la strada che porta alla pace. Gli Stati Uniti sono irremovibili nell’intenzione di «punire Assad» per l’utilizzo di agenti tossici il 21 agosto a Ghouta, che avrebbe provocato la morte, a seconda delle fonti che si ascoltano, di un numero imprecisato di persone che va dalle stime più basse dell’intelligence francese, 281, fino a quelle più alte dei ribelli, 1.845. Il rapporto degli ispettori dell’Onu non arriverà prima di due settimane e i dubbi sulla responsabilità dell’attacco non sono stati dissipati né dalle prove raccolte contro Assad da America, Francia e Gran Bretagna, né da quelle che incolpano i ribelli fornite dalla Russia di Vladimir Putin. Le prove che non convincono più Negli ultimi giorni molti membri del Congresso americano si sono mostrati scettici sulle prove a stelle e strisce. Justin Amash (repubblicano) ha scritto: «Ho partecipato a un altro briefing di alto livello sulla Siria, ho visionato dell’altro materiale. Ora sono più scettico di prima, non posso credere che il presidente spinga per questa guerra». Perplesso anche il democratico Tom Harkin: «Il briefing sinceramente ha sollevato più domande che altro. Le prove presentate dall’amministrazio�ne sono circostanziali». Il repubblicano Michael Burgess rincara: «Ho visto il plico di documenti riservati. Era molto sottile». A fomentare le riserve c’è, ancora una volta, la testimonianza di Quirico e Piccinin, che durante i mesi di prigionia hanno ascoltato tre ribelli attribuirsi la responsabilità della strage di Ghouta. Il docente belga, in un’intervista, ha detto: «È un dovere morale dirlo. Non è il governo di Bashar al Assad ad avere utilizzato il gas sarin o un altro gas nella periferia di Damasco. Ne abbiamo la certezza perché abbiamo sorpreso una conversazione dei ribelli. Anche se mi costa dirlo perché dal maggio 2012 sostengo la giusta lotta della democrazia dell’Esercito libero siriano». Quirico ha poi spiegato così le parole del collega: «Eravamo all’oscuro di tutto quello che stava accadendo in Siria | | 18 settembre 2013 | 9 PRIMALINEA MARTE E I MARZIANI CAMPAGNA DI SIRIA Le prove sull’uso di armi chimiche da parte del regime non ci sono. Mentre cresce il sospetto di un’operazione militare propagandistica decisa a tavolino da Obama, Hollande e Cameron. La solita guerra | Nelle campagne di Ghouta, alla periferia della capitale siriana, l’esercito governativo fronteggia da mesi le formazioni dei ribelli anti Assad, tra cui una vasta compagine di Jasbat al Nusra, la fazione esplicitamente legata ad Al Qaeda. Da mesi la maggioranza della popolazione ha abbandonato le case DI GIAN MICALESSIN I SERVIZI DI TEMPI Informazione controcorrente A sinistra due servizi di Tempi (nr. 35 e 36). “L’atroce bluff” a firma di Gian Micalessin e “Chi vuole la guerra?” di Rodolfo Casadei. Sotto, tempi.it dà notizia del reportage – che nessuno cita – di Mint Press News, dove i ribelli siriani ammettono di aver utilizzato «per sbaglio» nei quartieri di Damasco armi chimiche arrivate dall’Arabia Saudita L’atroce bluff 6 | 4 settembre 2013 | | Foto: Getty Images | | 4 settembre 2013 | 7 COPERTINA I ribelli hanno ammesso di aver usato armi chimiche a Ghouta, ma le posizioni di Russia e America sulle responsabilità di Assad rimangono opposte. In Siria c’è chi vuole lasciare la parola solamente alle armi | A fare esplodere le armi chimiche nella regione del Ghouta (Siria) secondo ribelli locali non è stato Bashar al Assad, ma gli stessi ribelli, per errore. La notizia è contenuta in un reportage pubblicato su Mint Press News. Le dichiarazioni dei ribelli hanno dell’incredibile (e suscitano qualche sospetto) dal momento che vanno contro il loro interesse, scagionando di fatto Assad DI RODOLFO CASADEI E DAVIDE DI STEFANO Chi vuole la guerra? 6 | 11 settembre 2013 | | Foto: Getty images | durante la nostra detenzione, e quindi anche dell’attacco con i gas a Damasco. Un giorno però dalla stanza in cui venivamo tenuti prigionieri, attraverso una porta socchiusa, abbiamo ascoltato una conversazione in inglese via skype che ha avuto per protagoniste tre persone di cui non conosco i nomi. (…) In questa conversazione dicevano che l’operazione del gas nei due quartieri di Damasco era stata fatta dai ribelli come provocazione, per indurre l’Occidente a intervenire militarmente. E che secondo loro il numero dei morti era esagerato». L’inviato della Stampa precisa subito dopo che «io non so se | 11 settembre 2013 | 7 native, bensì da parte degli oppositori, dei resistenti». La fragilità delle prove raccolte, la capacità di papa Francesco di riunire in preghiera e digiuno per la pace in Siria centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, l’opposizione della maggior parte dell’opinione pubblica, la mancanza del Regno Unito – alleato storico americano in ogni attacco – bloccato da un voto parlamentare contrario all’intervento, i tentennamenti del Congresso statunitense, dove almeno la metà dei deputati alla Camera è indeciso se dare il via libera allo strike, la consapevolezza che un’azione Obama è in difficoltà. Il premio Nobel per la pace È alla ricerca di una soluzione per salvare capra (l’onore e l’orgoglio Usa) e cavoli (la Siria e il Medio oriente) tutto questo sia vero perché non ho alcun elemento che possa confermare questa tesi e non ho idea né dell’affidabilità, né dell’identità delle persone», ma la loro testimonianza invita perlomeno alla prudenza. Anche perché in un reportage da Ghouta pubblicato su Mint Press News i ribelli ammettono di aver «fatto esplodere per sbaglio le armi chimiche provenienti dall’Arabia Saudita» e già lo scorso maggio Carla Del Ponte, membro della Commissione di inchiesta della Nazioni Unite sui crimini di guerra, aveva rivelato: «Abbiamo potuto raccogliere alcune testimonianze sull’utilizzo di armi chimiche [in Siria], e in particolare di gas nervino, ma non da parte delle autorità gover10 | 18 settembre 2013 | | militare non riuscirà ad abbattere Assad ma che sicuramente aiuterà al Qaeda, nemico giurato dell’America, a guadagnare terreno e proseliti; tutto questo ha messo in difficoltà il premio Nobel per la pace Barack Obama, che sembra alla ricerca di una soluzione per salvare capra (l’onore e l’orgoglio degli Stati Uniti) e cavoli (la Siria e il Medio Oriente). Forse si possono leggere in questo senso le dichiarazioni del segretario di Stato americano: «Assad potrebbe evitare un attacco consegnando le sue armi chimiche alla comunità internazionale entro la settimana prossima», ha detto lunedì John Kerry rispondendo a una domanda in conferenza stampa a Londra. Russia e Siria hanno preso la palla al balzo accettando la proposta, che poi è stata definita solo una «battuta ironica», ma intanto il segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, ha chiesto a Damasco di consegnare tutti i suoi gas a un organismo internazionale che li distruggerà, aggiungendo che chiederà al Consiglio di sicurezza di intervenire sul caso. Al di là della complessità dell’operazione, con i ribelli che già annunciano che «Assad non manterrà le promesse», Obama ha per la prima volta un terreno su cui lavorare per rinunciare ai bombardamenti senza perdere la faccia. La forza di papa Francesco Lo spiraglio di dialogo che si è aperto conferma quanto le parole del Papa, pronunciate alla veglia di preghiera del 7 settembre in piazza San Pietro, fossero più realiste e meno ideologiche di tanti discorsi sulla libertà, valore assolutizzato in una guerra che ha già causato più di 100 mila vittime e milioni di profughi: «Quante guerre hanno segnato la nostra storia. Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. In ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte! (…) E a questo punto mi domando: è possibile percorrere la strada della pace? Invocando l’aiuto di Dio sotto lo sguardo di Maria Salus Populi Romani regina della pace voglio rispondere: sì, è possibile per tutti. Questa sera vorrei che da ogni parte della Terra noi gridassimo: sì, è possibile per tutti». n SOLO PER I VOSTRI OCCHI di Lodovico Festa C’ è ancora uno spiraglio: l’iniziativa di renzi tra speranze e diffidenze Giorgio Napolitano, pur spesso senza un’adeguata determinazione ma in ogni caso politicamente sapiente, lo tiene aperto per il proprio protetto – un altro non proprio coraggiosissimo – Enrico Letta. Questo spiraglio per praticare due obiettivi oggi indispensabili e inseparabili (pacificazione dell’Italia e riforma dello Stato con annessa giustizia) è forse l’ultima chance per una nazione in via di disgregazione. Il nostro status è sceso (dopo qualche discredito dovuto al duo Silvio Berlusconi-Giulio Tremonti) dalla marginalità a cui l’aveva portato Mario Monti fino a quasi al ridicolo: così Emma Bonino sulla Siria, così Letta al G20, così i rabbuffi di Bruxelles e Berlino temperati solo dal mago Mario Draghi la cui forza però poggia non delle strade provinciali, la Costituzione piuttosto che cambiarla nel rapporto con Roma bensì con la Fed. In andrebbe applicata) o di non posizioni del tipo “vorrei pace nel una fase in cui il “contesto” è decisivo innanmondo e cacca che profumasse di violette” (piuttosto che fare legzitutto per l’economia, il nostro “ruolo” si gi sul lavoro creiamo più lavoro, ci spiega per esempio) che indiavvicina allo zero nonostante che tanti altri cano un nuovo posizionamento politico: piuttosto che nel cenprotagonisti (dagli Obama ai Cameron e agli tro della società per creare un sistema di alternative costruttive, Hollande) facciano di tutto per declassarsi. il sindaco di Firenze cerca la sponsorizzazione della Repubblica, D’altra parte se la sovranità invece che al podi Grillo e Vendola, cerca una vittoria “prodiana”: mettiamo insiepolo viene affidata alle tome tutto il possibile e chissenefrega se non funzionerà. cerca la vittoria ghe, gli esiti sono questi. Lo spiraglio c’è ma stretto: mettendo insieme I danni di qualche “largo ai giovani” nel centrodestra chi coglie tutto il possibile. Perché abbandona uno spazio che poteva aiutarlo a ricostruire gli istinti del proprio popoTutto ciò poggia pure l’Italia e non solo a vincere un congresso o un’elezione? Elemenlo non è poi capace di elabosull’idea (sbagliata) to decisivo di questo triste esito è quello prima richiamato: in rarli culturalmente, chi inuna situazione di scarsa sovranità nazionale, abbondano i soggetche il problema oggi ti che preferiscono coordinarsi con sistemi di influenza stranievece ha posizioni politiche sia quello ra (è interessante che il consulente economico renzista suggerimature ha difficoltà a intergenerazionale e sca di vendere l’Eni) che fondarsi su un’adeguata base nazionale. loquire con il proprio popolo. Il centrosinistra è una Tutto ciò, però, poggia pure su quella base culturale che mi non l’allargamento raccolta di anime morte: si sociale dello Stato aveva reso immediatamente diffidente verso “la nuova promesè affidato prima al municisa”: l’idea che il problema centrale oggi sia quello generazionale palismo emiliano, nobilissima tradizione ma inadeguata a espri- e non l’allargamento sociale dello Stato. Nel secolo passato almemere una visione nazionale (gli errori del socialismo padano fu- no un paio di rivolte generazionali ci hanno provocato guasti di rono determinanti per la vittoria del fascismo). Ora, poi, ha scelto fondo: il fascismo con il “largo ai giovani” la “giovinezza” molto un ectoplasma come Guglielmo Epifani che ha già devitalizzato fiorentinamente “primavera di bellezza”; e in larga misura il “sesla Cgil e ha come unica attitudine quella di tenere incollati pezzi santottismo” rivolta generazionale per eccellenza matrice di moldi nomenklatura (prima sindacali ora d’apparato) senza una mi- ti dei guai che Renzi – senza capire di quel che parla – denuncia nima idea di dove indirizzarli. (dalla partecipazione burocratizzata alla crisi del merito, dai grafSaremo dunque salvati da Matteo Renzi? Devo dire che verso fiti all’ipersindacalizzazione). Renzi proviene dalla grande tradila nuova promessa piddina avevo avuto insieme radicale diffiden- zione del cristianesimo fiorentino dei La Pira, dei don Milani, dei za ma anche qualche speranza: la “parolina” su Berlusconi che Balducci, tradizione insieme vitale e troppo radicale. Piuttosto andava battuto per via politica e non giudiziaria certo non esauri- che rimuoverla con il patchwork messo insieme dai consulenti, va le complesse questioni in campo ma era il cuore delle possibi- avrebbe dovuto rielaborarla, confrontarla con quella comunista – li soluzioni. Dopo qualche mese l’atteggiamento di Renzi si è tra- l’altra cultura decisiva del Pd – , superarla in un dialogo intergedotto in un pilatesco “la giustizia faccia il suo corso”. Inoltre nel nerazionale (altro che “giovinezza”) e da qui, da quel fondamenrecente libretto Oltre la rottamazione il candidato segretario ina- tale punto di vista costituente (innanzitutto dossettiano), aiutare nella una serie di prese di posizioni (più della Fiat è meglio occu- una riforma dello Stato che richiede storia e cultura più che i conparsi degli artigiani, meglio dell’Alta velocità è la manutenzione sigli per gli acquisti suggeriti dai Gori di turno. Il ragazzaccio fiorentino ha una deriva prodiana. Ma non sa da dove viene | | 18 settembre 2013 | 13 INTERNI | nodi al pettine DI LUIGI AMICONE Scordatevi che molli il compagno B Non ha nessuna intenzione di togliere il disturbo e promette un ritorno in Forza Italia «per porre al centro dell’agenda politica la sussidiarietà». La seconda buona vita di Roberto Formigoni N ei giorni del Meeting di Rimini, Roberto Formigoni non ha avuto dubbi a schierarsi per le elezioni anticipate, le stesse che chiede Grillo. «Il mio pensiero è sempre stato quello di ogni uomo ragionevole in Italia: se questo governo va avanti con coraggio e determinazione facendo scelte impegnative, tanto meglio. Se però questo governo diventa l’alibi per eliminare Silvio Berlusconi e umiliare la nostra parte politica, è evidente che, un minuto dopo, questo esecutivo non esiste più. E si deve restituire la parola al popolo. Possibilmente con una legge elettorale che abolisca il sistema dei “nominati” dai partiti e consenta alla gente di scegliere, con le preferenze o con un sistema alla spagnola, i propri rappresentanti. In questo senso, e solo in questo, ha ragione Grillo». Quanto alla situazione generale del paese, «leggo in giro una strana ansia che 14 | 18 settembre 2013 | | tende a riesumare antiche forme di centralità dello Stato, quando la crisi economica ci ha reso di drammatica evidenza che è proprio lo Stato centralista, lo Stato idrovoro che non smette mai di raschiare il fondo del barile delle tasse, lo Stato delle leggi, leggine, lacciuoli e corporazioni che tengono la società stretta in una camicia di forza, non è la soluzione, ma la parte principale dei problemi italiani». Come se ne esce? «Per quanto riguarda la Lombardia, la possibilità di proseguire nella strada di libertà e sussidiarietà rispetto allo statalismo deprimente imperante altrove in Italia è ancora tutta intatta. Nonostante avessimo (e abbiamo tutt’ora) grandi poteri contro, ce l’abbiamo fatta, i lombardi hanno ribadito il loro consenso al centrodestra. E Roberto Maroni è lì, governatore. Mi auguro che non cada nei tranelli di un certo establishment». Per esempio? «Per esempio deve Foto: Ansa Roberto Formigoni è presidente della commissione Agricoltura in Senato. Di una cosa è convinto: «Faremo Forza Italia e siamo pronti a batterci per un partito vero, pluralista, aperto al confronto interno, punto di incontro tra forze di matrice laica, cattolica e liberale» fare molta attenzione al tipo di riforma sanitaria che i cosiddetti “grandi esperti” gli suggeriranno. Non vorrei che un certo sistema puntasse a riportare la Lombardia indietro, allo statalismo più bieco». Capo lista in Lombardia e presidente di Commissione (agricoltura) in Senato, Formigoni non si sente affatto un disperso della politica. E, anzi, è convinto di avere ancora un ruolo in politica. Per esempio, tra gli azionisti della Forza Italia rilanciata da Berlusconi. «Faremo Forza Italia e siamo pronti a batterci per un partito vero, pluralista, aperto al confronto interno, punto di incontro tra forze di matrice cattolica, laica e liberale. Siamo vivi e non abbiamo nessuna intenzione di sparire dalla scena pubblica per lasciare campo alle forze disgregatrici e distruttive che vogliono fare dell’Italia un paese politicamente debole, preda delle convulsioni ideologiche interne, una Grecia dove gli | | 18 settembre 2013 | 15 INTERNI NODI AL PETTINE Potere o testimonianza? Formigoni non ne vuole sapere: «È una alternativa falsa. Il potere o è per un servizio all’umano o è disumano. Ma non è mai cattivo in sé» 16 | 18 settembre 2013 | | no via l’intera giunta, i cittadini lombardi scelgono Roberto Maroni e la continuità del centrodestra. Che sia un criminale corrotto e associato in delinquere è difficile a credersi. E comunque, che valga la pena o no celebrare un processo, questo lo stabilirà una corte a partire dal 30 settembre prossimo. L’insegnamento di don Giussani Un fatto è assodato, al di là di ogni ragionevole dubbio, e l’ex Celeste lo rivendica con orgoglio. «L’era Formigoni, che adesso scrivono sembra sia stata “archiviata” o “superata”, è l’era del buon governo riconosciuto dalla nostra gente perché è l’era della libertà e della sussidiarietà applicata. In tantissimi hanno parlato di sussidiarietà. Io ritengo di poter dire senza falsa umiltà che una politica di libertà e di sussidiarietà, con tutte le conseguenze di buona vita e benessere conseguiti dai nostri cittadini, è stata realizzata solo in Lombardia. Non per merito solo di Formigoni, ovviamente. Ma perché la coalizione e i programmi che ci siamo dati, gli amici che si sono coinvolti e hanno creduto nella sussidiarietà, lo hanno dimostrato nel fare concreto. Ditemi, per favore, cosa è stato fatto sul piano nazionale di ciò che abbiamo fatto in Lombardia in materia di libertà e sussidiarietà nel campo della scuola, della sanità, del lavoro, dei servizi sociali. Nulla. Non a caso, quando l’esperienza lombarda era matura per essere trasferita sul piano nazionale e conseguire il bene di tutti in uno Stato alla deriva perché marcito sotto i poteri corporativi e conservativi, è scattata la macchina infernale mediatico-giudiziaria. Non a caso, il sistema tende a ricompattarsi sul dirigismo romano e le spinte ideologiche tendono a interpretare la Costituzione in chiave rigida e, si dice, addirittura irreformabile. Si poteva e si può riformare lo Stato e, come ha insegnato la Lombardia, realizzare un federalismo virtuoso e liberatore del- le istanze individuali, sociali, produttive? Io credo di sì, e per questo mi batto e mi batterò fino a che avrò fiato». Dunque, potere o testimonianza? Roberto Formigoni non ne vuole sapere. «È una alternativa falsa. Il potere o è per un servizio all’umano o è disumano. Ma non è mai cattivo in sé. Don Giussani ci ha insegnato con Tertulliano che non c’è nulla di umano che non sia anche cristiano. San Paolo invitava a pregare per i potenti. E la comunità cristiana non ha mai approvato i cosiddetti puri. Puri, o presunti tali, erano i catari. Una élite di illuminati che pretendeva di separare lo spirito dalla materia. Insegnavano ad astenersi da ogni soddisfazione della carne, benché gli esseri umani siano in tutta evidenza unità di carne e spirito. Perciò i catari finirono condannati dalla Chiesa come settari ed espulsi dalla comunione cattolica. Mutilare l’umano non è cristiano. Noi non abbiamo mai avuto paura del potere. Non l’abbiamo mai considerato un tabù da esorcizzare. Ci è stato insegnato che il cristianesimo investe tutto e trasfigura tutto». Foto: Fotogramma, Ansa stranieri scendono per fare shopping di aziende e imporre modelli di vita e di etica che non ci appartengono». A proposito di appartenenza. Politico solo in età matura, Formigoni ha speso la giovinezza per contribuire a dare forma e azione alle idee e societas respirate alla scuola di don Giussani. Il padre e fondatore di CL di cui in questi giorni Rizzoli celebra una monumentale biografia a firma di Alberto Savorana, attuale portavoce della Fraternità di Comunione e Liberazione guidata dallo spagnolo don Julián Carrón. Ha studiato alla Sorbona (filosofia) e i suoi amici erano (e forse lo sono ancora), gente come Sante Bagnoli, Giancarlo Cesana, Angelo Scola, Luigi Negri, Massimo Camisasca, Giorgio Vittadini. Si è fatto le ossa stando da cattolico in piazza negli anni di piombo e fu lui, sul finire degli anni Settanta, a convincere Silvio Berlusconi a mettere il primo cip – quattro lire ma importanti – al progetto di Bartolomeo Sorge di strumento di informazione «per la ricomposizione del mondo cattolico» che fu il primo Sabato. Settimanale inizialmente diretto dal mitico Vittorio Citterich e animato da giornalisti di rango come Roberto Fontolan (già vice al Tg1 all’epoca della direzione Gad Lerner e attuale direttore CL internazionali), Renato Farina e Fiorenzo Tagliabue. Poi, con il Movimento Popolare, negli anni Ottanta, inizia la folgorante carriera politica. Prima in casa Dc. Dove comincia alla grande con mezzo milione di preferenze che lo catapultano al Parlamento europeo e finisce ammaccato nello spezzone di Dc (Cdu) sopravvissuto alla fucilazione giudiziaria. Poi, in Forza Italia, ed è storia recente, dove conquista il vertice della Lombardia e per diciotto anni consecutivi ne è governatore con consensi ineguagliati dalla politica. Ancora lo scorso anno, quando deve cedere lo scettro perché massacrato da una campagna stampa e avvisi di garanzia che si porta- Peter Gomez è stato la star della giudiziaria dell’Espresso. Poi ha fondato con Travaglio e Padellaro il Fatto Quotidiano, di cui è direttore della versione online Tangentopoli, Tempi e Il Fatto Quotidiano Tra noi (non) c’è di mezzo il mare «La soluzione giudiziaria non basta, ci vuole la politica. E sui magistrati tipo Ingroia ammetto che ci possano essere dubbi». Parola di Gomez Foto: Fotogramma, Ansa «P ersonalmente penso che questo governo sia stabilissimo e durerà fino alla fine della legislatura, perché venti senatori del Pdl e dieci transfughi del 5 Stelle per farlo stare in piedi si trovano. Ma bisogna avere una cosa che Berlusconi ha e altri non hanno: le palle. La maggioranza degli altri non ce le ha. Berlusconi, possiamo pensare tutto quello che vogliamo di lui, è un uomo con gli attributi che quando vuole ottenere una cosa cerca di ottenerla e lavora per i suoi obiettivi». Non è Brunetta e neanche Marisa l’olgettina a parlare. È Peter Gomez, direttore del Fatto Quotidiano online. Come è noto, la testata più antiberlusconiana che c’è. Ha festeggiato in questi giorni il milione di fan su fb e macina record non solo mozzorecchisti. Gomez viene dal giornalismo pistaro- lo. Negli anni Ottanta cronista al Giornale, poi al seguito di Montanelli alla Voce. Disoccupato dopo la chiusura del quotidiano, lo chiamano all’Espresso e ne diventa la star della giudiziaria. Infine l’avventura con Travaglio e Padellaro, al vertice della versione telematica del Fatto, secondo una formula editoriale meno incarognita e più furbescamente attenta all’area a cavallo tra Pd, Sel e grillismo. Ci incrociamo a Caorle, per una serata inventata dall’assessore alla Cultura Luca Antelmo. Serata che finirà a notte fonda, a parlare di cose che interessano veramente la vita – le amicizie, gli affetti, il destino – nel conforto di fritti di pesce e Tocai di Lison. Prima dei discorsi a tavola c’erano state due ore di fitta conversazione davanti a un pubblico che si attendeva botte da orbi. E invece aveva dovuto registrare con stupore crescente che in questo paese di regressione belluina si può ancora ragionare da punti di vista neanche così diametralmente opposti. Rivoluzioni e coincidenze Chi scrive si permette di sostenere che Tangentopoli tranciò di netto il sistema politica-affari. Ma anche che, a partire dalle prime retate del ’92-’93, la cosiddetta Seconda Repubblica è caratterizzata da un venire meno del patto costituzionale non scritto. Ricordo Ettore Bernabei, fanfaniano e direttore della Rai targata Dc dei primi anni Sessanta, che a questo giornale rivelò che il tema giustizia venne affrontato dai dirigenti del partito cattolico già nel 1946 in vista della scrittura della Costituzione insieme ai comunisti. La configurazione del potere giudiziario, la sua autonomia e la sua indipendenza, vengono da un’esigenza condivisa da democristiani e comunisti. Per banalizzare: noi ci faremo la guerra per il consenso, dissero allora Dc e Pci, ma la magistratura deve rimanere fuori da ogni contesa politica. Perciò, non abbiamo mai condiviso il punto di vista di Gherardo Colombo, ex mito di un miti| | 18 settembre 2013 | 17 INTERNI NODI AL PETTINE Gomez: «Io capisco che Luigi dubiti di Ingroia. Io non voglio impedire ai magistrati di entrare in politica, però un po’ di senso delle cose ci vuole. Non ti puoi candidare dove sei stato pm» La fine della democrazia Nel frattempo l’ideologia manipulitista è diventata annientamento di ogni dialettica democratica, disprezzo del parlamento, Repubblica giudiziaria. In questo senso la riforma della giustizia è un’assoluta priorità. Gomez naturalmente dissente. Ma, ecco la novità, in parte consente a questa analisi. «Secondo me dovremmo metterci d’accordo su che cosa è stata Tangentopoli per capire cosa succede adesso. Quello che scopriamo dopo l’arresto di Mario Chiesa, nel momento in cui lui e gli altri imprenditori confessano (molti lo facevano al citofono, quando arrivavano i Carabinieri), è che, almeno a Milano, a partire dal 1986, al grande banchetto della politica partecipano tutti, anche le opposizioni. Pensate a quelli che a Milano votavano Pci perché pensavano di fare opposizione o votavano Dc contro i comunisti. Ma quelli la sera si spartivano le tangenti ed erano 18 | 18 settembre 2013 | | tutti d’accordo. È la fine della democrazia. Questo è secondo me emblematico di quello che è accaduto in questi anni. Perché, vedete, ha ragione Luigi, la prima funzione di controllo in un paese, in una democrazia normale, non spetta alla magistratura e nemmeno al giornalismo. I primi che devono controllare il buon funzionamento delle istituzioni sono coloro che stanno nelle istituzioni, è la minoranza che controlla l’operato della maggioranza. Ma se la minoranza e la maggioranza di notte si dividono le tangenti, di quale democrazia stiamo parlando?». E continua: «Ora, però, dire che i partiti politici erano cattivi è sbagliato e secondo me sminuisce la situazione perché quella era una situazione – e lo è tuttora – con due attori: da una parte c’erano gli uomini politici e gli amministratori pubblici, dall’altra parte c’erano gli imprenditori che non erano mica vessati come ci raccontano. Pagavano ed erano contenti di pagare perché quando tu versi il 5 per cento di tangente su un appalto della metropolitana nessuno della pubblica amministrazione verrà a controllare effettivamente quei costi. Tu quel chilometro di metropolitana lo fai pagare quanto vuoi. E fai tanti soldi. La magistratura, ha ragione Luigi, entra come un treno in questa storia. A un certo punto si presentò un manager di Stato e disse che tutte le imprese che partecipavano agli appalti pubblici dell’Anas in Italia facevano cartello. Migliaia di imprese. È evidente che i ladri andavano puniti ma è altrettanto evidente che il fenomeno era troppo diffuso per essere combattuto solo per via giudiziaria. Rispetto a una situazione così complessa – ma qui dissento rispetto alla guerra civile, guerra civile era quella che c’è stata in Sudafrica, da noi c’erano quelli che rubavano e quelli che venivano derubati – la soluzione a un certo punto non poteva che essere politica. Ci fu un tentativo in questo senso, proposto a suo tempo da alcuni magistrati del pool e alcu- ni tra i migliori avvocati di Milano. La cosa non è stata presa in considerazione, si è tentato di seguire un’altra strada». I proprietari dei media Quale strada? «Non dobbiamo dimenticare che questa storia ha due protagonisti: corrotti e corruttori, cioè imprenditori e politici, funzionari pubblici. Gli imprenditori in Italia hanno una caratteristica: in un paese in cui non esistono editori puri, sono anche proprietari dei media. Si seleziona un direttore e si sceglie un giornalista perché ti servono. Io nel mio piccolo quando rimasi disoccupato perché nel 1995 mi chiuse la Voce, mi chiamò Caltagirone che era amico del direttore del Tempo. Finisco a parlare con Giovanni Mottola che mi vuole prendere per questo posto e mi porta a incontrare Caltagirone per un’ora e lui comincia a parlare. E io dopo un po’ capisco che lui aveva bisogno, essendo sotto inchiesta a Milano, di qualcuno che avesse buoni rapporti in procura». Gomez ne ha anche per i suoi amici magistrati che, tra l’altro, collaborano col Fatto Quotidiano. «Io vengo incontro a Luigi anche su De Magistris, e, in parte, su Antonio Ingroia. Non perché penso che abbia fatto le inchieste per quello che dice Luigi, ma perché penso che ognuno di noi ha delle responsabilità, non è giusto sfruttare delle rendite di posizione, non è giusto che un giornalista che abbia funzione di controllo (può farlo) utilizzi il suo programma televisivo che gli dà tantissima popolarità per proporsi agli elettori. Dopodiché la gente dubiterà di te. Io capisco che Luigi dubiti di Ingroia, so che non c’è da dubitare del lavoro di Ingroia perché lo conosco, ma se voi dubitate avete ragione. E una persona che non si pone il problema, secondo me sta sbagliando. Io non voglio impedire ai magistrati di entrare in politica, però un po’ di senso delle cose ci vuole. Non ti puoi candidare dove sei stato pm». [la] Foto: Ap/LaPresse co pool oggi inpoltronato in parlamento e nei Cda come supposti garanti di legalità (Colombo è in quello Rai, lottizzato in quota Pd), che al Corriere della Sera descrisse la storia italiana come un vasto tappeto di intrighi e corruttele consociative. Ricordo Alain Minc, gnomo della grande finanza francese, che nel ’93, quando Giulio Andreotti ricevette l’anticipo di avviso di garanzia via New York Times (e nel ’94 se ne ricordò, denunciando “manine americane” dietro il processo per mafia che gli intentò la procura di Palermo) era ancora socio di Carlo De Benedetti. «Le rivoluzioni non nascono mai per complotto, ma per una serie di imprevedibili coincidenze». Detto ciò, concludeva Minc, «l’Italia deve riformare lo Stato e decidere se la frontiera con l’Africa passerà per Napoli o quella europea per Roma». Aveva ragione Minc. Tant’è che dal ’92 a oggi, ancora la riforma dello Stato attendiamo. La vicenda ventennale di Silvio Berlusconi è un’anomalia figlia di questa anomalia più radicale. chi è chi il tempismo della politica Matteo Renzi Ritratto sentimentale del sindaco che prese i cuori e ora cerca di recuperare senza sapere in che campionato gioca 20 | 18 settembre 2013 | | Foto: Infophoto F ino a poche settimane fa le mail del circolo Pd frequentato in | DI laura borselli due domeniche d’inverno arrivavano nella casella di posta come le magliette di un ex che spuntano dall’armadio: stilettate, detonatori di ricordi, in qualche caso reliquie di relazioni definitivamente sbiadite. Poi Matteo Renzi è rientrato a dare a questo tempo ignavo e larghintesista un senso di campagna elettorale vaga e indefinita. Insomma non è chiaro se e quando si voterà, ma è chiaro che lui c’è. Se non adesso (parola d’ordine della sua campagna per le primarie), prima o poi. Certo, c’è il non trascurabile dettaglio che per la risoluzione dei dubbi temporali si sta appesi a Berlusconi e prima ancora ai moniti di un presidente della Repub- In amore bisogna crederci in due, in blica che più volte ha ribadito la necessità politica in di più. cOSì ORA CHE TUTTI di stabilità. Eppure per l’elettore neofita delle primarie del 2012, uno che magari LO DANNO VINCENTE QUEL’AMORE NON non aveva mai partecipato a nessuna pri- CONSUMATO SEMBRA ESSERSI CONSUMATO maria e alle elezioni vere non ricorda cosa ha votato (indizio che potrebbe persino dopo Jovanotti fornendo una sintesi per- to e mai lo farà), schivare le profferte di essere un transfuga del centrodestra) que- fetta dell’apparato teorico che ha sostenu- Fioroni (che vagheggia intese sui contenusti sono giorni strani. Giorni di déjà vu e to il gioco dell’estate, quel “se c’era Renzi” ti), annotarsi le sortite dell’autorottamasussulti. Di quelli che solo gli innamorati che ha scandito i mesi dalle politiche ad to D’Alema che prevede sfracelli se Matteo oggi, tanto che se c’era Renzi, chissà, forse si intestardirà a voler guidare il Pd invedelusi possono comprendere. Cattolico democratico, scout, citato- Stephanie Forrester non moriva. ce di limitarsi a fare il premier, infastidito re non banale di don Lorenzo Milani, culda Pippo Civati che lamenta l’attenzione turalmente più pronto a schierarsi con La più bella sconfitta del mondo esclusiva dei media sul sindaco e assicuMarchionne che con la Cgil, frequentato- La sera della sconfitta contro Bersani Mat- ra: «Anche io faccio i bagni di folla». Così re di posti ambigui come Amici, Arcore, teo si accalorava dicendo che «la nostra adesso che tutti lo danno vittorioso nei ristoranti con Briatore. Sindaco di Firen- non era una battaglia di testimonian- sondaggi il sospetto è che la sconfitta gloze. Giovane. Con la fissa che i progressi- za», sincero e spietato come ogni amante riosa alle primarie fosse la vera vittoria di sti, quelli tra cui ripete di sentirsi a casa, degno di questo nome che non sottrae lo Matteo, l’unica possibile, quando ha trionsiano ingessati da un apparato inamovibi- sguardo e dice che è finita, «è stato meglio fato in Toscana e ottenuto ottimi risultati le e intrinsecamente conservatore. I tan- lasciarsi che non incontrarsi», ma domani in terre placide e moderate come le Marti che giudicavano la sua retorica rotta- è un altro giorno. Matteo quella sera non che, che mesi dopo sarebbero divenute matrice un filino eccessiva si sono ricre- ha citato né Via col Vento né De André, terra di conquista del Movimento cinque duti durante le primarie, quando la sua ma i Modena City Ramblers e Samuele stelle alle politiche. Chi ci aveva creduto lo idea di partito “smart” è stata travolta dal- Bersani: «È sempre bellissima la cicatri- guarda con lo smarrimento che si riserva la ditta di Pier Luigi Bersani tra strette di ce che mi ricorderà di essere stato felice». a uno che aveva un posto nel cuore e ora mano e regole trabocchetto. A garantirgli Oggi gli ex folgorati lo guardano, redu- tenta di recuperare posizioni senza sapeil successo tra gli uomini di buona volon- ce da una battaglia scomposta sul Quiri- re in che campionato gioca. Ultimamentà è stata l’accusa più infamante, quella nale, divincolarsi tra i residui della rotta- te l’hashtag preferito dei tweet di Matteo di voler attirare i delusi del centrodestra, mazione, sopportare gli endorsement di è #iocicredo. In amore bisogna crederci in di voler parlare a tutti. «Matteo nel Pd fa chi ieri lo schifava (Franceschini), soste- due, in politica in molti di più. Perché tutpaura. Non vogliono avere in casa gen- nere la durezza di Rosy Bindi (signorina ti gli amori vanno consumati al momento te che non è della tribù», dirà di lui mesi caparbia nel dire che non lo ha mai ama- giusto. Altrimenti si consumano. Foto: Infophoto | | 18 settembre 2013 | 21 ESTERI verso le urne Come vota un arcitedesco Le elezioni in Germania viste dal professor Gerd Habermann, cattolico e ultrà del liberalismo, che teme le idee egualitarie presenti in tutti i partiti e l’assistenzialismo di matrice europea. «La moneta unica più che unirci ci divide» | DI vito punzi Il recente confronto televisivo tra la cancelliera uscente Angela Merkel e Peer Steinbrück, candidato della Spd ESTERI VERSO LE URNE G ermania al voto, dunque. Un voto per Berlino, per il cancellierato. Con Angela Merkel aspirante e probabile confermata, anche se con chi, insieme all’Unione Cdu-Csu, è ancora da vedere. Non troppo amata all’estero, nei paesi del sud Europa in particolare, perché identificata con l’immagine di una Germania considerata l’unica vera profittatrice della politica monetaria europea sviluppatasi dal momento dell’introduzione dell’euro, tra i propri concittadini la Merkel ha visto crescere il consenso proprio per questa immagine di leader strenuamente impegnata a difendere gli interessi del proprio popolo. E questo nonostante il suo fare spesso ondivago (condizionato più dal non detto che dal detto), anche su temi di politica internazionale, e i fallimenti di alcune scelte, anche di politica economica: si pensi a quella che due anni fa, dopo Fukushima, veniva tanto decantata come la “Energiewende”, la svolta energetica che avrebbe dovuto portare a un rapido smantellamento delle centrali nucleari a vantaggio delle fonti energetiche alternative. Nei fatti si è tradotto tutto in un disastro, in particolare nel settore del solare (si vedano i recenti fallimenti Solarhybrid, Solar Millennium, Solon e Q-Cells), ma con il settore eolico che non sta meglio, anzi. Dopo il confronto televisivo di qualche giorno fa tra la cancelliera uscente e Peer Steinbrück, il candidato della Spd, tra le truppe socialdemocratiche è serpeggiata perfino l’ipotesi che «l’esito del voto sia incerto» (così Günter Grass, al quale in questi casi piace sempre portare la bandierina della “divisione intellettuali”), salvo poi dover fare i conti con i sondaggi, impietosi: tutto fermo, altro che rimonta, Unione al 41 per cento e Spd al 26. Con i Grünen in evidente difficoltà, e per vari motivi: rivelazioni sul passato filo-pedofilo di vecchi esponenti del partito, campagna elettorale costruita praticamente solo su divieti (compreso quello di cavalcare pony in manifestazioni pubbliche) e con uso di manifesti che qualcuno non ha esitato a definire in “stile nazionalsocialista”. Data per fuori gioco la sinistra estrema, la Linke (con la quale la Spd non intende accordarsi), restano due incognite: i liberali della Fdp, la cui conferma oltre la soglia del 5 per cento significherebbe il probabile riproporsi dell’uscente coalizione nerogialla, e la AfD, Alleanza per la Germania, l’unica novità di queste elezioni, con la sua campagna tutta incentrata sull’abolizione dell’euro e il ritorno al Marco. 24 | 18 settembre 2013 | | Tra i commentari più interessanti intervenuti in questa campagna elettorale spicca Gerd Habermann, “filosofo dell’economia”, come si usa definire in tedesco, pubblicista e professore onorario dell’università di Potsdam, nonché cofondatore e membro della Fondazione che s’ispira all’economista liberale austriaco Friedrich A. von Hayek. Fin dal dottorato presso l’università di Costanza, Habermann ha indirizzato i propri studi verso la storia dello Stato sociale tedesco, fino al volume del 1994, intitolato Lo Stato assistenziale. Storia di un percorso sbagliato. È stato in particolare un suo articolo apparso su Welt dal titolo “La Repubblica livellata” a far discutere, perché accusatorio nei confronti di tutte le forze in campo, impegnate, ciascuno con un proprio linguaggio, a servire lo Zeitgeist, che in quest’ora della storia chiede di inneggiare all’egualitarismo, al motto “nessuno deve rimanere escluso”, dunque alla rimozione delle disuguaglianze sociali e all’assistenzialismo di Stato. Per que«la sto abbiamo deciso di rivolgergli alcune domande. Professore, come valuta, da liberale, la situazione della democrazia in Germania e nell’intera Europa? Vedo la democrazia liberale minacciata principalmente dal centralismo, dallo Stato assistenziale e dell’egalitarismo estremo (la “società del tutto compreso”, la politica del pari trattamento). Il vero liberalismo è in questo momento ovunque sulla difensiva o addirittura in ritirata. Tuttavia in Germania noto anche un contro-movimento, soprattutto tra i più giovani. Ritiene che esista il reale pericolo del costituirsi in Europa di nuovo Stato centrale di stampo neosocialista? Se sì, quali sono i soggetti che lavorano per esso e quale ruolo gioca l’euro? Uno Stato neosocialista, centralizzato e assistenziale, rappresenta l’ideale presente nel programma dei nostri partiti di “sinistra”. Esso è anche nei desideri di diversi rappresentanti della Commissione europea e da più punti di vista risulta già in gestazione attraverso la politica europea di standardizzazione e di “armonizzazione”. Tuttavia non credo che questo discutibile ideale potrà affermarsi completamente e a lungo contro il volere dei popoli e delle democrazie locali. Esso è voluto propriamente solo da una parte rilevante dell’élite politica tedesca, per così dire come surrogato dell’impero: democrazia liberale è minacciata dal centralismo, dalla politica del pari trattamento. il vero liberalismo è ovunque sulla difensiva» “Europa, euro über alles.” Ma per realizzare pienamente questo manca il substrato necessario: un popolo unitario. Il fallito progetto dell’euro rappresenta un fattore trainante in questa direzione, ma la sua difesa a oltranza, prima che alla realizzazione di uno Stato centrale (che non vogliono i francesi, come non lo vogliono gli italiani e gli inglesi) porterà anzitutto a una divisione, direi addirittura al caos all’interno dell’Unione Europea. Le nazioni del sud Europa vogliono semmai un’unione di trasferimento a loro favore. La Germania deve pagare. Lei s’è dedicato a lungo allo studio dello Stato assistenziale, ovviamente partendo dal suo punto di vista liberale. Qual è la sua valutazione al riguardo? Quello dello Stato assistenziale è un progetto secondo il quale tutti vogliono vivere a spese di tutti gli altri. Ma si tratta di un progetto che alla lunga non può funzionare. Direi piuttosto che esso è in procinto di autodistruggersi attraverso la distruzione del capitale, lo sviluppo demografico (lo Stato non può essere il Gerd Habermann è cofondatore e membro della Fondazione ispirata all’economista liberale austriaco Friedrich A. von Hayek. A lato, sostenitori di Angela Merkel in campagna elettorale sostituto della famiglia e tuttavia cerca di esserlo tramite la sua cosiddetta previdenza sociale e la sua politica familiare solidarizzante), e inoltre attraverso la de-moralizzazione dei cittadini, ai quali insieme alla libertà viene sottratta anche la loro responsabilità: fino ad ora ciò si è manifestato come un lento processo di erosione più che come un drammatico tracollo. E in ogni caso, nei paesi del sud Europa, grazie alla crisi legata ai debiti statali, risulta essere ormai in una fase avanzata. Foto: AP/LaPresse. Nelle pagine precedenti Getty Images Lei è cattolico: che relazione c’è tra il cattolicesimo e la dottrina liberale? Il cristianesimo è storicamente essenziale per lo sviluppo dell’individualismo liberale fondato sull’autonomia della coscienza: ognuno è responsabile direttamente al cospetto di Dio delle proprie azioni. Inoltre, i vincoli con la dottrina liberale concernono lo scetticismo del cristianesimo rispetto allo Stato e al sapere, come ha evidenziato Friedrich A. von Hayek, come pure la difesa, promossa dalla Chiesa, di istituzioni di base come la proprietà privata e la famiglia. Infine, di fondamentale c’è stata e c’è la trasmissione dell’antica saggezza greco-romana avvenuta attraverso la Chiesa cattolica. È anzitutto a partire da queste fondamenta che si è sviluppata l’economia moderna. Da ricordare è anche quella realtà chiave che è stata la scuola di Salamanca, con i suoi padri domenicani e gesuiti, una vera avanguardia. Come giudica il rapporto attuale tra la Chiesa cattolica e la dottrina liberale? Purtroppo il modo in cui la Chiesa cattolica in Germania è legata allo Stato paralizza il suo ethos e la rende un suo organo di supporto piuttosto che una forza d’opposizione allo Stato assistenziale. Nel momento in cui in ultima istanza cerca, per così dire, di statalizzare l’amore verso il prossimo la Chiesa uccide una parte centrale del suo compito evangelico, della sua ragione d’essere. Tra un mese in Germania ci saranno le elezioni per il cancellierato e per il rinnovo del Bundestag, secondo lei il governo uscente Cdu-Csu-Fdp potrà uscirne confermato? Al momento sembra che il governo “nero-giallo” possa uscire dalle urne confermato, anche se per lungo tempo sembrava potesse accadere tutt’altro, tanto che si è parlato a lungo di una “maggioranza strutturale” dei partiti di sinistra. A proposito di Chiesa cattolica, di recente il capo della Conferenza Episcopale Tedesca, il vescovo Zollitsch, è intervenuto nella campagna elettorale augurandosi che il nuovo partito Alleanza per la Germania (AfD), critico rispetto a euro e Unione Europea, non entri nel Bundestag, perché «il nostro futuro è in Europa e non nel ritorno agli Stati nazionali». Perché questa paura rispetto a AfD tra i vescovi tedeschi? Anzitutto Zollitsch è solo uno dei vescovi tedeschi e in secondo luogo, non possedendo approfondite conoscenze in materie economiche ritengo che difficilmente possa ritenersi nella condizione di capire il perché l’euro sia stato malamente costruito e i motivi per cui la moneta unica più che unire in realtà divida l’Europa. Credo anche che non comprenda il fatto che non si tratta di tornare allo Stato nazionale, piuttosto della correzione di un errore di prospettiva, di una centralizzazione avvenuta nel luogo sbagliato. Al di là di tutto, secondo me la Chiesa cattolica non dovrebbe intervenire su questioni strettamente politiche. Così è dal Concilio Vaticano II, ma con quest’uscita contro l’AfD Zollitsch è sembrato voler tornare indietro nel tempo. Avrà letto i programmi elettorali dei partiti, che cosa ne pensa? In ogni programma elettorale prevalgono idee egualitarie. Si continuano a tirare somme sbagliate, anti-liberali, viene ignorata l’enorme necessità di riforme strutturali che esiste anche in Germania. L’elettorato viene narcotizzato con ogni tipo di droga monetaria addizionale e promesse. Ma presto arriverà il momento della verità e con esso l’ora di un fermo liberalismo. Questo processo verrà accelerato dalla crisi dell’euro e dall’indebitamento degli Stati. Sarà l’ora del “politico alla Schumpeter”, del riformatore bravo e competente, come accaduto a suo tempo in America, in Gran Bretagna, in Nuova Zelanda, o in Germania nel 1948, con il grande Ludwig Erhard, che trionfò contro ogni previsione politica. Il liberalismo ha dalla sua la logica del successo economico e l’esperienza storica. Né il socialismo tradizionale, né la “società del tutto compreso” degli egualitari possono risolvere i nostri problemi, come non lo può neppure l’ossessione ideologica dei Verdi, con la loro religione “climatica”. Riesce a immaginarsi quale potrebbe essere lo scenario politico post-elettorale? Qual è il suo auspicio? Il mio desiderio più intimo è che si rafforzino i veri liberali, intendo anche quelli presenti nell’Unione Cdu-Csu. D’altronde sono possibili tutte le costellazioni, dipenderà dall’esito delle urne. n | | 18 settembre 2013 | 25 SPECIALE WOMEN IN BUSINESS ORIZZONTE SOSTENIBILE COSA PUò IMPARARE LA VECCHIA EUROPA DALL’AFRICA IN CRESCITA? idee per andare oltre i confini SPECIALE IL MONDO SECONDO le donne Debutta in Italia il ciclo di conferenze voluto da Deutsche Bank in partnership con Eni per affrontare l’attualità politica ed economica a partire dal punto di vista femminile. Riflettori accesi sullo sviluppo sostenibile e sui rapporti tra Europa e Africa U temi di attualità politica economica che attinge al genio e alla peculiarità della visione femminile del mondo uscendo dal recinto in cui spesso si autoconfinano le iniziative che vogliono contribuire alla parità tra i sessi. Il tratto peculiare del ciclo di conferenze Women in business è il punto di partenza ideale per descriverne il debutto in terra italiana che avverrà il 17 settembre a Milano grazie al contributo di Deutsche Bank ed Eni. Women in Business è un ciclo di conferenze internazionali la cui prima edizione si è tenuta a New York nel 1995. Sin da allora l’idea guida dell’iniziativa di Deutsche Bank è stata quella di offrire un momento di discussione su temi di politica economica dal punto di vista delle donne ma non confinato a esse. Non si tratta, insomma, di un dibattito guidato dall’idea delle quote rosa, ma di un momento di lavoro in cui le prestigiose figure femminili presenti sono chiamate a dare la loro testimonianza, “non parlano di donne tra donne” ma si confronta- 28 n’occasione per discutere | 18 settembre 2013 | | no su temi economici di grande attualità, portando la specificità e la ricchezza della diversità. Dopo la prima edizione del 1995 Women in Business si è diffuso anche a Francoforte, Londra, Singapore e Sydney, diventando un appuntamento molto atteso che attrae complessivamente ogni anno oltre 5 mila ospiti. Le persone invitate a portare la propria testimonianza appartengono al mondo delle istituzioni, delle aziende, della ricerca e della sfera sociale. Le modalità con cui i temi sono affrontati sono diverse e comprendono il discorso di una keynote speaeker, il confronto con giornalisti, panel di discussione. Un impianto essenzialmente riportato anche nell’edizione che si prepara a sbarcare a Milano e in cui emergerà un taglio innnovativo fortemente sentito da Eni per l’evento. Il cane a sei zampe ha infatti voluto portare in dote alla discussione il proprio bagaglio di esperienza in terra africana per introdurre il tema del continente nero come terra di crescita, tanto più interessante nel momento in Un momento della conferenza Women in business del giugno scorso a Londra cui le prospettive in Europa sono quelle del declino e del ripiegamento, soprattutto dal punto di vista economico, ma non solo. Il continente che cresce L’Africa è infatti l’area del mondo che complessivamente è cresciuta di più dopo la Cina ed è, da sempre, un forziere di materie prime. Che cosa ha dunque da dire questo continente a un’Europa stanca e in cui la parola crescita sembra un residuo ingiallito di tempi lontani e irripetibili? E soprattutto: è possibile parlare di Africa valutandone non women in business il programma della conferenza Il Nobel per la pace tra gli ospiti L’evento di Women in Business and Society dal titolo “Superare i confini” si svolgerà per la prima volta in Italia il 17 settembre a Milano, presso il Teatro Strehler. Qui i partecipanti (circa un migliaio) e gli interessati che vogliano reperire i contenuti sul sito potranno assistere agli interventi di numerosi ospiti internazionali (donne e non solo) mirati ad affrontare il tema dello sviluppo sostenibile quale nuovo motore di crescita. L’evento prevede due momenti di riflessione, ciascuno dei quali sarà introdotto da un breve video sulle specificità delle due economie, africana ed europea, a confronto. Nella sezione “Lessons from Africa” Leymah Gbowee, premio Nobel per la Pace nel 2011 e direttore dell’associazione Donne per la Pace e la Sicurezza in Africa, porterà la testimonianza del suo impegno speso a favore della partecipazione delle donne nei processi di democratizzazione. Seguirà l’intervento di Esperanca Bias, ministro delle Risorse minerarie del Mozambico che parlerà della crescita del suo paese, ponendo l’accento sullo sviluppo del sistema energetico e sulle partneship pubblicoprivate. Seguirà il discorso dell’Amministratore Delegato di Eni Paolo Scaroni. I punti emersi in questo primo momento di riflessione serviranno da stimolo per il secondo dibattito, incentrato sullo sviluppo e la crescita sostenibile in Europa. Il panel dei relatori, moderati dal direttore di RaiNews24 Monica Maggioni, è costituito da: Ilaria Capua, direttore del dipartimento di Scienze Biomediche presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie; suor Giuliana Galli, membro del Consiglio Generale della Compagnia di San Paolo; Lucrezia Reichlin direttore del dipartimento di Economia della London Business School; Paola Severino, professore di Diritto Penale, già Ministro della Giustizia; Veronica Squinzi, responsabile Internazionalizzazione e Sviluppo del Gruppo Mapei e Flavio Valeri, amministratore Delegato di Deutsche Bank Italia. (Informazioni e approfondimenti si trovano sui siti wbsitaly.com ed eni.com e su twitter: #wbsitaly). soltanto le dolorose contraddizioni, ma anche valorizzandone la vitalità? In altre parole: cosa si può imparare dall’Africa? Ed è in questo ambito che Eni sente di poter dare un contributo originale, forte di una presenza nel continente diffusa in 21 stati e solida di oltre cinquant’anni di storia che hanno portato la compagnia fondata da Enrico Mattei a essere la prima tra le International Oil Companies in termini di produzione di idrocarburi in Africa, leader in Nord Africa e in continua crescita in Africa sub-sahariana. Nel panel dei relatori che interverranno il 17 settembre a Milano spicca senz’al- tro il nome di Leymah Gbowee, pacifista liberiana insignita del Nobel per la pace nel 2011 «per la lotta non violenta in favore della sicurezza delle donne e del loro diritto a partecipare al processo di pace». La sua è una figura chiave per spiegare e allo stesso tempo sviluppare l’idea stessa di Women in business and Society. Chi è Leymah Gbowee A Milano racconterà il suo impegno speso per coinvolgere le donne nei processi di democratizzazione del suo paese. Nel 2001 ha infatti fondato il Women in Peacebuilding Network Program e nel 2002 il movimento Women of Liberia Mass Action for Peace, noto come il movimento delle “donne in bianco” per la scelta di vestirsi simbolicamente in bianco, ma noto soprattutto per aver contributo attivamente alla fine della guerra civile liberiana. A lei va inoltre il merito di aver saputo unire donne musulmane e cristiane nella lotta non violenta che ha condotto la Liberia alla pacificazione. È stata commissario designato della Commissione per la Verità e la Riconciliazione della Liberia (2004-05) e dal 2007 è direttore esecutivo del Women Peace and Security Network Africa. | | 18 settembre 2013 | 29 SPECIALE TERRA DI possibilità Ha il reddito pro capite più basso al mondo ma i tassi di crescita più alti. È l’Africa sub-sahariana, che dopo essere stata attraversata da guerre e carestie beneficia del boom economico asiatico. Prospettive di un cambiamento da gestire con cura È che presenta il reddito pro capite più basso di tutti, qualunque criterio di calcolo si adotti, ma da una dozzina di anni sta progredendo coi tassi di crescita più alti del mondo. Stiamo parlando dell’Africa sub-sahariana, il vasto territorio a sud del più grande deserto del mondo che ospita 48 Stati e quasi un miliardo di abitanti (920 milioni circa a metà del 2013). Mentre i paesi del Nordafrica (Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto) da quasi tre anni stanno attraversando profonde, drammatiche e contraddittorie trasformazioni politiche, e queste frenano grandemente la crescita economica, l’Africa nera si gode una certa stabilità e la traduce in aumenti di Pil. Guerre e guerriglie non mancano nemmeno lì: in ben 17 paesi sono attivi più di 100 gruppi armati. Tuttavia quindici anni fa la situazione era molto peggiore: i conflitti allora erano tantissimi e più estesi, le vittime più numerose. Dunque, anche grazie a un ridimensionamento dei suoi endemici conflitti, l’Africa nera è in pieno boom economico. Da 30 ancora la regione del mondo | 18 settembre 2013 | | tredici anni a questa parte (2000-2012) il Pil dei paesi dell’Africa sub-sahariana cresce a un tasso medio annuo superiore al 5 per cento. L’anno scorso la crescita è stata del 5,1 per cento, mentre per quest’anno il Fmi prevede un +5,4, e per l’anno prossimo un +5,7. Negli ultimi tredici anni c’è stata una flessione della crƒescita solo nel 2009, in corrispondenza degli effetti della crisi finanziaria internazionale, allorché il Pil è cresciuto solo dell’1,7 per cento. La crescita costante del Pil africano ha già attirato capitali e investimenti. Nel 2011 secondo le Nazioni Unite gli investimenti diretti in Africa sono stati pari a 42,7 miliardi di dollari. Per farsi un’idea della portata della cosa, si tenga presente che la celebratissima Cina nello steso periodo ha ricevuto circa 110 miliardi di dollari di investimenti diretti dall’estero, cioè due volte e mezzo di più. Tenete anche conto che la Cina ha 1.350 milioni di abitanti, cioè un terzo in più degli abitanti dell’Africa nera. Secondo i dati Ernst&Young, la grande società di revisione finanziaria, gli investimenti esteri diretti a destinazione dell’Africa in percentua- women in business Foto: Getty Images Da tredici anni a questa parte il Pil dei paesi dell’Africa sub-sahariana cresce a un tasso medio annuo superiore al 5 per cento. L’anno scorso la crescita è stata del 5,1 per cento, mentre per quest’anno il Fmi prevede un +5,4, e per l’anno prossimo un +5,7 le sul totale mondiale sono passati dal 3,2 per cento del 2007 al 5,6 del 2012. A cosa è dovuto il boom economico dell’Africa? Essenzialmente è dovuto al boom internazionale del prezzo delle materie prime, accompagnato da alcuni sviluppi politici locali che hanno permesso ai paesi del continente di sfruttare economicamente questo boom. L’Africa è ricca di minerali e di fonti energetiche quali petrolio e gas, molte delle quali sono entrate in produzione negli ultimissimi anni, e di materie prime agricole, come il cotone. Presenta il 15 per cento di tutti i combustibili minerali e fossili, il 20 per cento dell’oro è il 50 per cento dei diamanti del mondo. Le riserve minerarie africane sono le prime o le seconde del globo per minerali come la bauxite, il cobalto, i fosfati minerali, i metalli del gruppo del platino, la vermiculite e lo zirconio. Il boom del prezzo delle materie prime è dovuto, come sanno tutti, al boom economico dei giganti dell’Asia, cioè Cina e India. L’industrializzazione, l’urbanizzazione e la motorizzazione di Cina e India stanno trascinando all’insù i prezzi delle materie prime, nonostante la stagnazione dell’Europa. Il boom economico dell’Africa nera è figlio del boom economico dell’Asia. Si sta ripetendo lo schema degli anni Sessanta e Settanta, quando i paesi africani, divenuti indipendenti quasi tutti in quel periodo, conobbero uno sviluppo trainato dall’alto prezzo delle materie prime, sfruttando l’onda lunga della rico| | 18 settembre 2013 | 31 SPECIALE struzione e della re-industrializzazione dell’Europa. Negli anni Ottanta e Novanta si ebbe poi un crollo dell’economia africana all’indomani degli shock petroliferi, quando in Occidente ci si orientò verso un’economia meno dipendente dalle materie prime, comprese quelle energetiche. In Africa gli anni Ottanta e Novanta hanno visto guerre, carestie, la pandemia dell’Aids e molti altri disastri che hanno aggravato povertà e sofferenze umane. Dopo il 2003, la situazione politica è migliorata e la maggior parte dei conflitti sono finiti o si sono attenuati. Ci sono state riforme macroeconomiche e microeconomiche che hanno reso possibile uno sviluppo basato essenzialmente sull’export delle materie prime, oggi come 50 anni fa. Il fenomeno del land grabbing Dunque ancora non si può parlare di sviluppo endogeno, di “tigri africane” o di decollo del continente. Non c’è progresso vero in Africa, non c’è un modello di sviluppo sano, non c’è una vera industrializzazione e modernizzazione dell’economia: c’è un boom economico dovuto agli alti prezzi delle materie prime, i cui corsi sono stati risollevati dall’industrializzazione dell’Asia. Illuminante rispetto alle attuali dinamiche è l’esempio del Ghana, un paese dell’Africa occidentale che ha 25 milioni di abitanti: l’anno scorso ha visto il suo Pil crescere del 14 per cento, semplicemente perché sono entrati in funzione i suoi pozzi petroliferi, con una produzione di poco inferiore ai 100 mila barili al giorno. Ne produce di più l’Italia, con una media attorno ai 146 mila all’anno. Altro fenomeno che rende l’idea di un continente che non sfrutta le opportunità di crescita e sviluppo a sua disposizione è quello del cosiddetto “land grabbing”, l’acquisto o affitto di terre fertili da parte di stranieri intenzionati a esportare nei loro paesi tutta la produzione agroindustriale. La prospettiva della scarsità di terre coltivabili e di prezzi sempre più alti nel futuro sta spingendo i paesi con grandi bisogni alimentari o con poche terre coltivabili ad acquistare quelle ancore incolte in giro per il mondo. Si calcola che, a fronte di superfici coltivate per 1,5 miliardi di ettari, ne esistano 445 milioni di ettari inutilizzati, concentrati principalmente in Africa e America latina. Paesi come Cina, Giappone, Corea del Sud, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti firmano contratti di acquisto o di affitto a lungo termine di queste terre. Nel solo 2009 risultavano finalizzati o quasi contratti per 56,6 milioni di ettari di terre fertili inutilizzate, 39,7 dei quali in Africa. Queste cessioni riguardano quasi sem32 | 18 settembre 2013 | | la testimonianza di suor giuliana galli Dal Cottolengo al Cda di una banca Fra tutte le personalità invitate all’evento Women in Business, è certamente quella che suscita maggiore curiosità: suor Giuliana Galli, 78enne religiosa dell’Istituto San Giuseppe Benedetto Cottolengo, è il compendio vivente di molti mondi. Per quasi 25 anni è stata coordinatrice e responsabile dei volontari della Piccola Casa della Divina Provvidenza Cottolengo di Torino, si è occupata come educatrice di minori, di famiglie in situazioni di disagio e di tossicodipendenti in carcere. Ha fondato associazioni no profit per l’infanzia e per l’assistenza psicologica ai migranti. Nel 2008 è stata nominata nel Consiglio Generale della Fondazione San Paolo di Torino, di cui è stata anche per un biennio vicepresidente. Dalle corsie del Cottolengo e dalle celle dei detenuti tossicodipendenti alle poltrone del Cda di una delle più importanti banche italiane la strada è lunga, ma suor Giuliana pare percorrerla avanti e indietro senza troppi turbamenti. Ha risposto volentieri ad un paio di domande. Il ciclo di conferenze Women in Business porta il sottotitolo “Superare i confini”. Lei parteciperà al dibattito “crescita sostenibile”. Che ne pensa? È un’esortazione interessante e problematica insieme. Ci sono confini da superare, ma ce ne sono altri che vanno ristabiliti e salvaguardati. Quel che importa, è la finalità con cui si superano o si rispettano i confini. L’Europa non pare capace di una tale crescita, siamo fuori dai parametri: popolazione troppo anziana, spesa sociale ingovernabile e, per quel che riguarda soprattutto l’Italia, corruzione diffusa e governi poco stabili. Decisamente devono cambiare molte cose. Come deve essere il rapporto del cristiano col denaro? Nel Vangelo il denaro è considerato positivamente. Il samaritano lo usa per assistere il viandante, la donna che dà tutto il suo denaro riceve una lode. Dei tre protagonisti della parabola dei talenti, il più elogiato è quello che fa rendere di più il suo capitale. Ma il ricco epulone, che vive per il denaro, viene stigmatizzato. Il Vangelo è equilibrato sull’uomo, non fa scelte di classe, ama l’uomo a partire dal povero, perché se parti da lì poi ami tutti. Il denaro è uno strumento da mettere al servizio dei beni comuni: il sociale, la ricerca, l’istruzione, la sanità, la cultura. È ciò che fanno le Fondazioni bancarie quando adempiono il mandato per il quale son nate. pre paesi dove forti quote di popolazione soffrono di insicurezza alimentare e molti redditi dipendono dall’agricoltura. Non solo tali terre vengono sottratte alla possibilità di espansione dell’agricoltura per il consumo locale, ma la maggior parte di esse non viene utilizzata per l’alimentazione: risulta che il 59 per cento dei contratti preveda l’uso della terra per la produzione di biocarburanti e il 19 per cento per mangimi animali, legno e fiori. Le opportunità per gli imprenditori e gli investitori stranieri non si presentano solo nel business dell’agroindustria. Due ambiti emergono in particolare: la spesa pubblica per infrastrutture e servizi; la spesa del consumo privato della nascente classe media urbana. L’Africa nera è drammaticamente sottoinfrastrutturata: mancano le strade, le ferrovie, le centrali elettriche, le raffinerie, gli acquedotti, le fogne, le reti. In una congiuntura che vede una certa disponibilità di finanza pubblica, costruttori di ogni genere avranno grandi opportunità quasi ovunque. In secondo luogo, l’Africa nera presenta ormai una classe media urbana di colletti bianchi, dipendenti del settore pubblico e delle multinazionali, con un potere d’acquisto crescente. La spesa per consumo nell’Africa nera è arrivata a 900 miliardi di dollari, e secondo le proiezioni arriverà a 1.400 miliardi nel 2020. Nei primi dieci anni del XXI secolo, tanto per fare un esempio, 316 milioni di africani hanno acquistato un cellulare. Secondo le proiezioni del McKinsey Global Institute, nel 2020 128 milioni di famiglie africane avranno a disposizione reddito per spese voluttuarie. Si tenga presente che una famiglia africana ha normalmente 6 membri, cioè i genitori e 4 figli. Naturalmente l’Africa presenta anche molti ostacoli per imprenditori e investitori stranieri: burocrazia inefficiente o corrotta, alti tassi di criminalità, insicurezza diffusa, mancanza di infrastrutture per attività produttive e la presenza di competitori privi di scrupoli. Eppure le imprese straniere non si sono mai ritirate del tutto dall’Africa, nemmeno nei momenti peggiori. Rodolfo Casadei Foto: Getty Images L’ENERGIA L’ ACCENDE LO SVILUPPO L’impegno di Eni nel continente all’insegna del coinvolgimento degli attori locali nella gestione delle risorse. Una scommessa documentata da anni di storia seguendo l’intuizione di Enrico Mattei e dai dati virtuosi del bilancio sociale di impresa Africa è uno dei principali player mondiali in campo energetico perciò non stupisce che una realtà come Eni vi operi da oltre cinquant’anni. In questo mezzo secolo di storia che la lega al continente, la compagnia ha sempre cercato di operare all’altezza dell’intuizione del fondatore Enrico Mattei secondo cui l’accesso all’energia è la chiave per lo sviluppo dei territori. Un credo che ovviamente assume un ruolo cruciale in terre, come quella africana per l’appunto, che alla ricchezza di materie prime e risorse affiancano una storia travagliata, dove l’instabilità politica e la povertà sono l’eredità tristemente più duratura di un passato di colonizzazione violenta e scriteriata. Questo passato carica aziende come Eni di una responsabilità diretta nei confronti della società, una responsabilità che il presidente di Eni Paolo Scaroni definisce spesso prendendo a prestito le parole di un guru della governance come Adrian Cadbury: «Tra le aziende e la società esiste un contratto implici| | 18 settembre 2013 | 33 SPECIALE to secondo il quale la società permette alle aziende di operare, di vendere i propri prodotti, di guadagnare purché i benefici che la società ottiene dalle aziende siano superiori al danno che le aziende provocano alla società». Scaroni cita infatti proprio Mattei e la sua idea che il modo migliore di entrare in nuovi paesi, in Africa soprattutto, fosse quella di farlo trovando un approccio diverso, un approccio «nel quale ci sediamo al tavolo delle trattative accanto ai governi anziché dall’altra parte del tavolo, cercando di trovare soluzioni per i paesi in cui operiamo in molti settori che non hanno nulla a che fare con il petrolio, come le infrastrutture, l’agricoltura, vamente Eni ha registrato un trend positivo degli investimenti nel continente africano dove nel 2012 sono stati spesi circa 28 milioni di euro, di cui 23 nella regione dell’Africa sub-sahariana. Si tratta in generale di interventi definiti e realizzati insieme agli attori locali, perché l’obiettivo ultimo è quello di favorire percorsi di sviluppo autonomo e sostenibile dei territori. Questo approccio costituisce la “bontà” non solo degli intenti ma anche del modello di business, tanto che Eni è una delle aziende che è cresciuta più velocemente al mondo e oggi è tra i primi produttori di petrolio e gas in Africa. Ecco, quella che cinquant’anni fa era l’intuizione del “sognatore” Eni è stata designata alla guida di Energy for All in Sub-Saharan Africa, un’iniziativa promossa dall’Onu e volta a individuare le soluzioni sul tema dell’accesso all’energia nell’Africa sub sahariana e a proporle a governi e decisori internazionali l’industria e l’elettricità». Non per nulla uno dei dati più significativi riportati nel bilancio di sostenibilità dell’azienda del 2012 è quello relativo alle cosiddette attività in contesti complessi, definizione con cui vengono identificati i progetti volti a favorire lo sviluppo delle comunità e realizzati in sinergia con gli stakeholder locali, creando valore in maniera inclusiva e in ottica di lungo periodo, in stretta correlazione con i piani di investimento dell’azienda. La spesa (cfr. grafico in questa pagina) per questi progetti ammontava infatti nel 2012 a 63 milioni di euro, di cui circa il 94 per cento realizzati nell’ambito delle attività di esplorazione e produzione. Complessi34 | 18 settembre 2013 | | Enrico Mattei oggi si chiama sostenibilità ed è diventata un elemento centrale per la valutazione delle performance di un’impresa. Il riconoscimento dell’Onu Nel novembre scorso Eni ha ottenuto un riconoscimento importante e impegnativo nel corso del primo incontro del Leadership Council del Sustainable Development Solutions Network (SDSN) diretto dal professor Jeffrey D. Sachs. L’azienda è stata infatti designata alla guida di Energy for All in Sub-Saharan Africa, un’iniziativa volta a individuare le soluzioni sul tema dell’accesso all’energia nell’Africa sub sahariana e a proporle a governi e decisori internazionali. Un ruolo particolarmente prestigioso se si considera che il Sustainable Development Solutions Network è stato fortemente voluto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, come network tra mondo accademico e della ricerca, settore privato e società civile, realizzato per contribuire a trovare soluzioni pratiche relativamente allo sviluppo sostenibile. Il Sdsn si pone obiettivi importanti quali fornire consulenza e sostegno ai processi internazionali nell’ambito delle politiche di sviluppo per il dopo 2015 (anno limite per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio lanciati nel 2000 dalle Nazioni Unite); organizzare gruppi tematici di esperti a livello mondiale; identificare e promuovere soluzioni volte ad accelerare drasticamente i processi di sviluppo, anche attraverso soluzioni innovative in ambito tecnologico, istituzionale, politico-gestionale e di business e costruire una rete globale di “Knowledge Center”. Al Sustainable Development Solutions Network partecipano anche professori e scienziati del network accademico dell’Earth Institute con il supporto degli otto centri della Columbia University di tutto il mondo. Tra i temi che il Network affronterà quali sfide del prossimo futuro – e che daranno contenuto ai gruppi tematici che verranno costituiti – sono inclusi: la crescita globale sostenibile, la lotta alla povertà e il contributo alla pace nelle aree più a rischio, l’equità di genere, l’inclusione sociale, i diritti umani, lo sviluppo rurale sostenibile, la corretta gestione delle risorse energetiche e la sostenibilità del fare impresa. CULTURA | UNO SVILUPPO INCONTROLLATO DI RODOLFO CASADEI Il fallimento della scienza moderna «Quell’impresa che ambiva a darci la verità sulla natura, ci ha invece allontanati da essa». Parla il grande matematico e filosofo Olivier Rey. «Essere razionali non significa considerare la ragione competente su tutto. Ma riconoscere i suoi limiti» T veramente la pena di leggere, tutti i libri di saggistica stranieri imperdibili, quelli destinati a diventare un punto di riferimento per chi voglia discutere o approfondire certe questioni, in Italia li si traduce dieci o più anni dopo che sono usciti. Il caso più clamoroso resta quello di Karl Popper, il cui libro politico più importante, La società aperta e i suoi nemici, fu tradotto quasi trent’anni dopo la sua apparizione in inglese. Itinerari dello smarrimento – E se la scienza fosse una grande impresa metafisica? di Olivier Rey, tradotto quest’anno dalle edizioni Ares dieci anni dopo la pubblicazione dell’originale francese (Itinéraire de l’égarement. Du rôle de la science dans l’absurdité contemporaine), è una conferma di quanto sopra detto. Raramente si potrebbe leggere una critica tanto serra- 36 utti i saggi che vale | 18 settembre 2013 | | ta della scienza moderna, una confutazione così puntuale dei suoi miti, della sua deriva ideologica, un’evidenziazione così lucida delle sue contraddizioni e dei suoi limiti. Ma i lettori italiani che non padroneggiano la lingua di Victor Hugo hanno dovuto attendere quest’anno per leggere brani come il seguente: «Le strutture matematiche che la scienza galileiana comincia a mettere in luce si presentano come la verità del mondo. Esse tuttavia non ne rivelano che lo schema. Nel corso del progresso scientifico, i profumi sono divenuti molecole che si fissano sui recettori sensoriali delle pareti nasali; i colori, un’eccitazione selettiva dei neuroni visivi secondo l’energia dei fotoni incidenti; i suoni, onde elastiche che fanno vibrare le membrane dell’orecchio interno. Profumi che non odorano, colori senza colore, suoni muti, che forse si rispon- IL LIBRO Foto: Archivio Meeting ITINERARI DELLO SMARRIMENTO Olivier Rey 15,90 euro 320 pagine dono attraverso la comune eccitazione di qualche sinapsi all’interno del cervello. La familiarità con il mondo non è massima, è nulla. La ragione è semplice: abitare una casa non è farne una rilevazione precisa, né conoscerne i princìpi di costruzione. È viverci». Rey è un matematico e un filosofo. È entrato al Cnrs (l’equivalente francese del Cern) nella sezione matematica nel 1989, e nel 2009 è passato a quella filosofica. Scrive di filosofia della scienza da insider della scienza, sa tutto degli algoritmi, delle derivate e del restante “alfabeto matematico del mondo”, molto delle pretese della neurobiologia e della genetica. Padroneggia i dogmi della tecnoscienza perché in essi è cresciuto. Ha insegnato matematica per quindici anni prima di andare a insegnare filosofia all’università Paris 1. Da qui un approccio senza timo| | 18 settembre 2013 | 37 CULTURA UNO SVILUPPO INCONTROLLATO ri reverenziali alle criticità della scienza molo, non è dovuto al fatto che la scien- sceva un valore spirituale, ma il modo in moderna. Che dalle sue pagine esce come za non sarebbe ancora abbastanza svilup- cui è stata praticata le ha ritirato questa quella grande impresa che aveva promes- pata, ma all’essenza stessa della scienza portata spirituale. so agli umani di svelare la verità e inve- moderna». È grazie alla matematica che comce ha prodotto astrazioni, di assicurare prendiamo tanti eventi dell’universo. Professor Rey, nel suo libro lei descrila libertà e invece ha regalato il determiPerché lei critica la matematizzazione ve l’itinerario dello smarrimento della nismo assoluto, di promuovere l’autonodella natura? scienza moderna. Ma la maggioranza mia e invece si è diretta verso la soppresdegli europei crede di vederne piuttoAnche in questo caso, non è la matesione del soggetto mediante la sua oggetsto il trionfo: essa è potente e dona la matizzazione della natura come tale tivazione, di rendere l’umanità forte e sua potenza agli esseri umani. La gente che fa problema, ma il fatto che questo potente con la tecnologia ma che insieha fede nella scienza come un tempo approccio tende a divenire esclusivo e a me alla potenza ha posto le premesse per aveva fede in Dio. Perfino la vita eterna svalutare in quanto non scientifico ogni l’autodistruzione del pianeta mediante le oggi è attesa dagli exploit tecnoscientialtro approccio alla natura. La matemaarmi nucleari e chimiche e più in generafici. Cosa significa, allora, che la scienza tizzazione ci permette di acquisire una le l’inquinamento e il degrado ambientasi è smarrita? quantità di conoscenze che non sareble. La conclusione è spietata: oggi dispoLa mia critica non riguarda la scien- bero accessibili in altro modo, ma impeniamo di tante più informaziodisce di accedere ad altre, di un ni che in passato, ma non posordine, che sono ugualmenLo studio della natura era un altro sediamo più conoscenza, siamo te molto importanti. La scienza più ricchi, longevi e potenti ma modo di rendere grazie a DIO e moderna, che ambiva a darci la non sappiamo più nulla circa il verità sulla natura, ci ha invece di imparare qualcosa su di Lui. allontanati da essa. Per spiegarsenso della vita. E tutto ciò non avviene per inadeguatezza delfaccio un paragone: conoscepoco alla volta la scienza È mi lo sforzo scientifico o perché re qualcuno non significa conoDIVENTATA autonoma, E SI È la strada del progresso è molscere semplicemente il suo peso, to lunga: il problema è l’essensua altezza, la sua età e tutte le sviluppaTA indipendentemente la za stessa della scienza moderaltre misure, compresi i test carna. Come ha detto lo stesso Rey da preoccupazionI spiritualI diaci e della respirazione che si presentando il suo libro al Meeeffettuano in laboratorio. Conoting di Rimini: «Quando appare la scien- za come tale, ma il posto che è venu- scere una persona è un’altra cosa. Come za moderna, un certo numero di persone ta a occupare nel mondo e nel pensiero vede, ci sono forme di conoscenza diverse si entusiasmano: finalmente, con lo stu- moderni. Il problema non è la scienza, da quella della scienza moderna. dio matematico della natura, si scoprirà ma il fatto che tende a captare a suo proGiustamente lei dice che la scienza il vero metodo per studiare la natura, e fitto un certo numero di attese spirituamoderna ha disarticolato il soggetto dunque per orientarci nella vita! Tuttavia li che per definizione essa è incapace di umano e ha distrutto la sua libertà molo studio della natura può contribuire a soddisfare. In Europa l’interesse scientifirale e spirituale. L’uomo è diventato la orientarci nella vita solamente se si rico- co per la natura è nato dal fatto che essa risultante di forze anonime. La scienza nosce alla natura un valore morale, sola- era vista come una creazione divina. Lo moderna ha scambiato la libertà umana mente se questa natura è un cosmo. Ora, studio della natura era un modo di rencol potere. Sembra che alla maggioranper principio la scienza moderna spoglia dere grazie al Creatore e di imparare qualza della gente stia bene così. la natura di ogni valore morale. Essa non cosa su di Lui. Ma poco alla volta la scienSì, c’è questa tendenza a dire che si interessa alla natura in quanto tale, ma za ha assunto la tendenza a rendersi auto- grazie alla scienza e alla tecnica l’uomo alle sue strutture matematiche. Le sue noma e a svilupparsi indipendentemen- diventa sempre più potente. Ma bisogna strutture possono certo aiutarci a mani- te da ogni preoccupazione spirituale. Par- distinguere fra “l’uomo” e “gli uomini”. polare la natura, ma, per principio, non lo di smarrimento precisamente perché La crescente potenza dell’uomo va di pari possono assolutamente dirci niente su all’inizio tante energie sono state votate passo con la crescente impotenza degli ciò che dobbiamo fare. E questo, ripetia- alla scienza proprio perché gli si ricono- uomini. L’espressione “il progresso non 38 | 18 settembre 2013 | | si ferma” è diventata angosciante: si ha l’idea di qualcosa di inarrestabile e fuori controllo. Così il rapporto con la scienza è diventato ambiguo: siamo affascinati da tutto ciò che la scienza e la tecnica permettono di realizzare ma allo stesso tempo ci rendiamo conto che ogni singola persona è trascinata da un processo che nessuno riesce a guidare. Lei distingue molto nettamente fra la scienza antica, che cercava la verità, e la scienza moderna, che apporta solo conoscenze esatte. Auspica un ritorno a una scienza più vicina a quella antica, cioè fondata sulla fede in un ordine cosmico? O più semplicemente vuole rimuovere la scienza dalla posizione in cui si è indebitamente collocata? Ma qual è allora quella giusta? realtà sono dei dualisti accaniti che hanno a tal punto rotto il legame fra lo spirito e la materia che non si rendono conto che ciò che permette loro di dire che tutto è materia è esattamente lo spirito, il loro, completamente esterno alla materia. Nel mondo d’oggi da una parte si sostiene, in base alla visione scientifica, che tutto è determinato, e allo stesso tempo secondo una visione del mondo volontarista si dice che tutto è sottomesso alla volontà. Di fatto, lo scientismo è lo gnosticismo dei nostri tempi. Ma gli antichi gnostici pensavano che lo spirito doveva sfuggire al mondo materiale, che era malvagio, mentre gli gnostici diversi per definire quattro tipi diversi di amore, e nella Deus Caritas est Benedetto XVI spiega che eros, la passione amorosa, non va rigettato, ma deve poter aprire ad altre forme di amore. Eros è una via verso agape. Verso la fine del libro lei scrive che «l’uomo decade nella misura in cui viene meno alla sua vocazione, che è accoglienza del mistero essenziale di ogni cosa, e di se stesso. Il vero progresso è avanzare nel mistero, miglioramento dell’anima». Cosa significa? Mi riferivo a quello che dice Pascal. Lui scrive che l’ultimo passo della ragione è di riconoscere che ci sono un’infinità di cose che le sfuggono. E dunque razionali non significa conCredo che si debba rimettere essere siderare la ragione competente su la scienza al suo giusto posto, tutto. Ma riconoscere che la ragione ha i suoi limiti. Ed è per questo che è certamente quello di una che non c’è opposizione fra ragione e Mistero, fra ragione e fede, perché realtà in grado di portarci essere veramente razionali e ragioconoscenze, Ma non di dirci CIò nevoli significa comprendere che la ragione è sovrana nel suo ordiche BISOGNA fare o renderci ne ma che non lo è in altri ordini. Credo che si debba anzitutto rimettere la scienza al suo giusto posto, che è certamente quello di una realtà in grado di portarci conoscenze di cui solo essa è capace e di aiutarci a manipolare la realtà. Ma non di dirci quello che la natura PIù familiare dobbiamo fare o di renderci la natura più familiare. In secondo luogo moderni pensano che grazie alla scienvorrei che a lato di questa scienza esistes- za e alla tecnica è possibile sottomettesero altre pratiche scientifiche, più vicine re interamente il mondo materiale alla a quelle del mondo antico, che non siano volontà. Come vede, il determinismo e il orientate alla manipolazione della natu- volontarismo sono due facce della stessa ra ma alla sua conoscenza diretta attra- medaglia. Quanto al terreno comune fra l’amore passionale alla Tristano e Isotverso un’esperienza diretta. ta e la scienza moderna, esso consiste in Nel libro lei cerca di spiegare perché una certa forma di nichilismo: l’abolialcuni biologi abbiano così a cuore di zione della persona. Nell’amore passiodimostrare che l’uomo è solo una macnale la persona scompare nella fusione china neuronale volta a garantire la amorosa, nella scienza l’abolizione delsopravvivenza dei suoi geni e a quale la persona avviene col suo assorbimenaspirazione comune rispondono da una to in un funzionamento meccanico. A parte l’amore-passione e dall’altra la partire dall’epoca moderna l’amore passcienza moderna. Sì, molti biologi moderni e contem- sionale è considerato come la forma più poranei si dichiarano monisti, cioè per alta dell’amore. Ma sappiamo che non è loro non esiste altro che la materia. In così. Già i greci avevano quattro termini L’ultimo paragrafo dell’ultimo capitolo s’intitola “Aspettando Godot”, e chiede all’uomo di «fare un passo di lato». Cosa significa? Viviamo in un mondo che ci dà tantissime libertà, ma abbiamo tendenza a dimenticare che sono libertà molto ridotte: spesso siamo costretti a scegliere solo fra cose dello stesso ordine. Per esempio, quando andiamo al supermercato abbiamo tantissime merci fra le quali scegliere. Ma il fatto di andare al supermercato è diventato un obbligo, non abbiamo altra scelta, se vogliamo acquistare generi alimentari. Dunque l’apparente libertà può andare di pari passo con una forma di assenza di libertà. Il “passo di lato” di cui scrivo consiste nel riproporre la questione della libertà negli ambiti dove non viene più posta. n | | 18 settembre 2013 | 39 LE NUOVE LETTERE DI BERLICCHE lettera di una professoressa Eccezionalmente il diavolo risponde Perché il rispetto non è indifferenza M io caro Malacoda, la mia ultima mis- siva deve essere stata particolarmente diabolica, rasentando l’incomprensione. Il direttore mi gira una lettera giunta in redazione, alla quale, contravvenendo a una regola ferrea (il diavolo si spezza ma non si spiega), ho deciso di rispondere. Tuo affezionatissimo zio Berlicche S dall’ultima lettera di Berlicche sul professore di Saluzzo. Non la capisco. Insegno da moltissimi anni, con passione e spero una certa capacità di far apprezzare la bellezza. Ma ho visto troppi “bravi professori” che affascinavano i ragazzi ma non li rispettavaRispettare un uomo è diverso dal rispettare no, anzi sapevano usare il fascino ai loro fini, ideologici o altro. la legge o lo stop. Di quale rispetto parlava Per questo il sindaco di Saluzzo il sindaco per il famoso professore di saluzzo? ha ragione: prima di tutto il rispetto dei ragazzi, compresa la loro fragilità temo») e ormai sinonimo di indifferenza. A e la loro facile adesione all’attrattiva, spesso meno che, ma questo per noi diavoli sarebimpossibilitati a distinguere se l’attrattiva è be deleterio, una generazione di professori si impegni nel tentativo di recupero del pedell’autore o del professore. Giulia Regoliosi so delle parole e del loro uso. Perché, lei mi capisce certamente, rispettare un uomo è diverso dal “rispettare l’ambiente”, “rispetiabolica Giulia, sapesse che fatica è fare il diavolo tutte le settimane e cerca- ta la legge”, “rispettare lo stop”. Mi spiego con un esempio, reale. Una fare di dire cose condivisibili anche dagli angeli come lei. In fondo sono un povero miglia italiana adotta un bambino birmano diavolo anch’io e cerco di superare la mia di 7 anni, lo manda a scuola e lo esonera dalbruttezza con il trucco del fascino, che lei la frequenza delle ore di religione. Motiva la ha messo impietosamente a nudo: non sem- sua decisione alla maestra con il “rispetto” pre chi affascina è affascinante. Ma se que- della sua provenienza. La maestra non obietsta è una giusta avvertenza che mette in ta, ma chiede loro: «Per voi la religione è imguardia contro i truffatori, non è però un portante? E non volete dare a vostro figlio ciò argomento decisivo contro il fascino: può che più vi sta a cuore, come gli date il mesuccedere che chi affascina sia veramente glio in cibo, vestiti e cure mediche?». I due si affascinante. Insinuare il dubbio su questa guardano e stracciano la richiesta di esonepossibilità, questo sì che è veramente diabo- ro. Il concetto di “rispetto” di loro figlio era lico. E, mi permetta se mi esprimo con ter- mutato: da astratto distacco preventivo a demini così poco sulfurei, ciò che supera un siderio di dono frutto di un’attrattiva che lofascino artefatto, costruito, che mira a se- ro stessi provavano. Non credo che il sindacondi fini, è solo un fascino reale, evidente, co di Saluzzo usasse il termine “rispetto” con gratuito. Non è il richiamo al “rispetto”, pa- questa stessa densità. Ma io sono il diavolo, e rola abusata e svilita nel suo significato ori- per dannare uno sono disposto anche a “riginario (per come la usava ad esempio Clau- spettarlo”. Con i miei rispetti. del: «Pietro di Craon, che io amo rispetto e Berlicche ono rimasta molto perplessa D | | 17 settembre 2013 | 41 L’ITALIA CHE LAVORA Il leone in SCATOLA Anche i Monero nel Dopoguerra devono inventarsi un lavoro, finché incontrano la famosa azienda con una storia gloriosa alle spalle e un presente incerto. La rilevano per una dolce passione e oggi la terza generazione sposa tradizione e tecnologia U n profumo di cannella s’insinua nelle narici, il rumore delle macchine riempie le orecchie. Gli operai sorridono mentre aspettano che da un momento all’altro il marchingegno che conoscono così bene restituisca loro il risultato di una giornata di lavoro al sapore di zucchero. La cannella improvvisamente diventa menta, poi fragola, liquirizia, violetta, zenzero in un arcobaleno di colori che interrompe il bianco delle pareti e delle divise candide dei dipendenti. E le creazioni prendono forma: sono pastiglie, caramelle, gommose: tutte rigorosamente “Marca Leone”. A Collegno, alle porte di Torino, c’è la fabbrica Pastiglie Leone, vero tempio della golosità piemontese. Il presidente Guido Monero, classe 1941, è un imprenditore della vecchia scuola, come non se ne vedono più. Un uomo che tra le pastiglie e le caramelle c’è nato. La sua passione, che assume i contorni di una dedizione quasi mistica, gli è stata tramandata dalla madre, la “Leonessa” Giselda Balla Monero, «una donna di ferro» dalla storia straordinaria che Monero racconta a Tempi: «A 14 anni, dopo aver perso entrambi i genitori, trova lavoro come impiegata in una fabbrica di Torino che si chiamava Dora Biscuit, dove si facevano biscotti, caramelle, cioccolato. Lì si appassiona a questo mondo e il suo spirito imprenditoriale emerge quasi immediatamente. Durante le ore di pausa pranzo, esce per vendere i prodotti della Dora Biscuit ai negozi della barriera di Milano, un quartiere popolare alla periferia di Torino. Avvia così un piccolo commercio all’ingrosso. Quando suo fratello, di qualche anno più giovane, fa ritorno dalla Prima Guerra Mondiale, il lavoro non c’è e bisogna inventarselo. Siccome mio zio era un bell’uomo – un gagà come 42 | 18 settembre 2013 | | A sinistra, Guido Monero, presidente dell’azienda Pastiglie Leone, insieme alla moglie Gigliola (ad) e alla figlia Daniela, laureata in filosofia. A destra, alcune fasi della produzione si diceva una volta –, Giselda gli propone di fare il rappresentante e cominciare a vendere i prodotti della Dora Biscuit e di altre aziende». Tra queste altre aziende c’è anche la Pastiglie Leone, una realtà storica del territorio piemontese. Nata per iniziativa di Luigi Leone nel 1857 ad Alba, nel 1880 sposta la sede a Torino e dopo qualche tempo viene rilevata da altri proprietari. Che però nel 1934 la mettono in vendita. Sono proprio Giselda, suo marito e suo fratello a rilevarla. È il 1934 e la famiglia Monero prende possesso dello stabilimento in via Bellini, a Torino. I laboratori sono piccoli, angusti e Giselda non ha nessuna intenzione di rimanervi a lungo: «Ripeteva in piemontese: “Non voglio mica morire in mezzo ai topi”. Così i miei trovano un locale in corso Regina Margherita e si trasferiscono. C’era un solo piano, e tutti i macchinari erano montati uno sopra l’altro. Lì abbiamo cominciato a produrre gelatine e caramelle. Siamo rimasti lì fino al 2005». All’ingresso del nuovo stabilimento a Savonera, piccola frazione del comune di Collegno «dove da piccoli ci rifugiavamo per scappare dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale», campeggia un quadro che raffigura lo storico stabilimento di corso Regina Margherita: «Quella finestra lì era la mia camera. Mi è spiaciuto andare via, quando mi capita di passarci davanti avverto ancora un senso di disturbo, ma era arrivato il momento di andare». Scatolette da collezione Nella modernità della nuova sede di Pastiglie Leone c’è un angolo riservato ad alcune memorabilia che raccontano la storia dell’azienda. Vecchi distillatori della menta, uno strano aggeggio per colare realizzato subito dopo la guerra con materiali poverissimi «da un tale Eugenio che girava in bicicletta col suo saldatore in piombo» e diverse scatole di latta firmate Pastiglie Leone, veri e propri oggetti d’antiquariato per cui i collezionisti farebbero a gara. Accanto a loro, una confezione di Dora Biscuit e una scatola con la scritta De Coster: «Il fondatore di questo marchio ha por| | 18 settembre 2013 | 43 L’ITALIA CHE LAVORA Sopra, la fabbrica in corso Regina Margherita a Torino. Sotto, locandine storiche dell’azienda 44 | 18 settembre 2013 | tato l’arte confettiera belga a Torino. Ho acquistato questo e altri marchi più piccoli perché non volevo che la nostra tradizione finisse in mani sconosciute». Insieme ai ricordi della madre «fino a 88 anni dietro la scrivania», della sua vita da bambino in mezzo alle caramelle, del padre «instancabile lavoratore» e di quello zio con la faccia d’attore, a Collegno hanno trovato casa anche due viti di moscato che erano piantate nella vecchia sede: «Hanno portato bene lì, spero facciano il loro dovere anche qui». Ogni parola del signor Guido rimanda al passato, a un tempo fatto di sforzi e sacrifici. «La mia è un po’ la fabbrica della nostalgia, me ne rendo conto. Ma se non ci fosse la nostalgia non ci sarebbe l’attaccamento ai propri prodotti e al modo di lavorare». Basta oltrepassare le porte che dividono gli uffici dal reparto produttivo per rendersene conto. Il core business sono le pastiglie che danno il nome all’azienda, «realizzate totalmente a freddo e con ingredienti naturali». Poi ci sono le gommose, le caramelle, le goccioline di rosolio «le mitiche lacrime d’amore di cui siamo rimasti gli unici depositari». Tutti i prodotti vengono confezionati nello stabilimento dove gli operai in camice bianco, alcuni molto giovani («ogni volta che arriva un nuovo dipendente gli ripeto: “Ruba il mestiere!”»), altri volti storici dell’azienda, vigilano sul lavoro delle macchine «quasi tutte costruite da un artigiano» che rombano e restituiscono un prodotto d’eccellenza, rispettando la tradizione. Ognuna di queste macchine è bianca, rossa e verde: «Le ho fatte dipingere con il Tricolore in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia. Volevo che anche Pastiglie Leone prendesse parte ai festeggiamenti. Perché la nostra è un’azienda torinese ma soprattutto italiana». Qualche anno fa il signor Monero è riuscito a realizzare il suo sogno più grande: «Ho riaperto la fabbrica di cioccolato, che era stata chiusa tanti anni fa». La sua passione per il cioccolato lo ha spinto alla | ricerca della formula perfetta, che trova in quelli che definisce “i sacri testi” e che lo porta a produrre il cioccolato come si faceva nel Settecento: solo fave di cacao, zucchero grezzo e bacche di vaniglia, «e ogni mattina alle 7 ci consegnano il latte fresco per fare il cioccolato al latte». Mentre le pietre di porfido massaggiano il cioccolato, nella stanza accanto s’impacchettano i prodotti. Un buon dieci per cento della produzione andrà all’estero, ma tutti gli ordini passano dalla scrivania del presidente, dove campeggia in bella mostra una fattura del 1932, quando ancora Pastiglie Leone non era di proprietà della sua famiglia: «Quando ero giovane ho fatto anch’io il venditore e molti dei clienti di allora li ritrovo oggi. Così spesso li chiamo e li ringrazio per l’ordine. In questo modo si crea un rapporto personale». Con la moglie e la figlia Accanto al presidente c’è la moglie Gigliola, amministratore delegato della società. Da qualche anno, anche la figlia Daniela è entrata a far parte dell’azienda di famiglia, portando la freschezza dei suoi anni e l’allegria delle sue idee: «Sin da piccola, come per mio padre, Pastiglie Leone è stata la mia casa. Sono entrata in azienda dopo la laurea in filosofia e sono contenta di esserci. Lavorare in famiglia non è facile, perché hai la doppia pressione psicologica di fare bene per te stessa e per non deludere i tuoi genitori. E poi ti porti sempre il lavoro a casa. Ma poter far parte di un’azienda come questa ti fa sentire parte di un pezzettino di storia». Con Daniela l’azienda si è aperta a nuovi prodotti, ha sviluppato il packaging (le scatoline di latta che rendono Pastiglie Leone un prodotto inconfondibile) e si è fatta largo sui social network: «L’immagine di un’azienda storica è un valore che va preservato ma non impolverato. Siamo un prodotto di eccellenza e ci rivolgiamo a consumatori attenti, ma vogliamo anche dare l’idea di un metodo di lavoro fresco e giocoso, come le nostre caramelle che dal 1857 arrivano nelle case degli italiani». La soddisfazione più grande? «I sorrisi dei nostri clienti quando prendono in mano le nostre scatoline e cominciano a raccontarti dei loro ricordi legati alle nostre caramelle. Non c’è nessuna ricompensa più bella di questa». Paola D’Antuono STILI DI VITA CINEMA LA STRADA DA PERCORRERE Serve risparmiare e vendere PRESA D’ARIA di Paolo Togni Così si ritorna a ridere di gusto S Finge di essere un buon padre di famiglia per importare droga dal Messico. che un governo incapace a capo di una burocrazia squalificata o corrotta non riesce a risolvere. È universalmente noto che per trovare quattrini uno Stato ha solo tre strade disponibili: aumentare le tasse, o vendere delle proprietà, o diminuire le spese. Poiché appare improponibile la prima strada, si tratta di scegliere tra vendere e risparmiare, o fare un misto dei due, e procedere rapidamente. E questo il governo non lo sta facendo. La strada è chiara, ed è stata enunziata con chiarezza già dal governo (governo?) Monti, e ridichiarata dal governo (governo?) attuale: oltre venti mesi di tempo, nei quali l’unico fatto concreto è stata la nomina dell’amico (di Monti) Bondi a commissario anche per la spending review, come già lo era per la selezione dei candidati a nomine importanti. Nei due incarichi, Bondi, per mancanza di volontà o di iniziativa, o per incapacità, non ha fatto nulla, e nulla hanno fatto in proposito le strutture ordinarie dell’amministrazione. Ci troviamo quindi ora di fronte alla necessità di risolvere con urgenza i problemi del bilancio dello Stato, e non c’è la capacità, o la volontà, di attuare una soluzione seria e politicamente accettabile che raggiunga l’obiettivo, ma anche raccolga consensi e, soprattutto, consenal ministero NON governano ta di porre le premesse per una economisti ma ragionieri, che nuova fase di crescita e sviluppo. Questo appare molto difficisanno mettere i numeri in fila le, dato che, mantenendo una senza capirne il significato. tradizione ormai vecchia, al miPer LORO tagliare Le spese nistero dell’Economia governaper l’assistenza sanitaria no non gli economisti, che non ci sono, ma i ragionieri, che o PER ALTRO è la stessa cosa sanno mettere i numeri in fila senza capirne il significato, e sopratutto non sanno leggere le necessità sociali e quelle della politica. Per un ragioniere, tagliare una certa cifra dalle spese per l’assistenza sanitaria o dalle spese eccessive destinate ai consumi interni delle amministrazioni (140 miliardi, per lo più inutili) è la stessa cosa: non è lo stesso però per i pazienti che affronteranno liste d’attesa epocali e una peggiore qualità dell’assistenza. E neanche per chi quei soldi li gestisce. E dato che l’opportunità dei tagli viene misurata soprattutto in relazione al potere di reazione e al grado di amicizia del titolare dei fondi tagliati… in questa situazione, chi si muoverà mai? Sta di fatto che il governo non fa il lavoro che gli incomberebbe. Parafrasando Winston Churchill dirò che essenza della politica, anche se di breve respiro, è prendere decisioni: esattamente quello che questo governo non sa fare o (e?) non riesce a fare. [email protected] iamo ancora ai problemi del bilancio e della cassa, HUMUS IN FABULA FILIERA CORTA VOI, l’iniziativa di Iper abbatte i prezzi Pasta di semola di grano duro siciliano al 100 per cento, Riso Carnaroli e Arborio, Latte Uht, Olio Extra Vergine a un prezzo giusto, per chi compra e per chi produce. Questo è il progetto VOI – Valori Origine Italiana, di Iper, La grande i, che nasce in collaborazione con Coldiretti e Fai (Firmato Agricoltori Ita- 46 Come ti spaccio la famiglia, di Rawson Marshall Thurber | 18 settembre 2013 | liani). Prezzo giusto significa che del prezzo di vendita – altamente competitivo – è riconosciuto al produttore un valore più alto rispetto al mercato. Un prezzo garantito dalla filiera cortissima che Iper, Coldiretti e Fai sono riusciti a realizzare, razionalizzan| Commedia degli equivoci dalla comicità greve ma efficace, su modello di Una notte da leoni, Parto col folle e simili. Gli elementi sono quelli classici della commedia statunitense degli ultimi anni: un viaggio costellato di imprevisti e incontri improbabili, tanti equivoci, un protagonista efficace sul piano comico (in questo caso il bravo Ja- HOME VIDEO Le avventure di Zarafa – Giraffa giramondo, di Rémi Bezançon, Jean-Cristophe Lie Favola per bambini Un bimbo e una giraffa in viaggio per il mondo. Favola tutta incentrata sull’accoglienza e il perdono. Animazione francese ad altezza di bimbo, anche piccolissimo. Il disegno, il tono fiabesco e gli scenari risentono della lezione di Michel Ocelot (Kirikù, Azur e Asmar) e l’operazione è apprezzabile per come riesce a toccare, senza scadere nel politically correct, temi come razzismo, amore per la natura, diversità. do tutti i passaggi intermedi e i relativi costi di trasformazione e di distribuzione. Un esempio: un litro di latte italiano VOI parzialmente scremato è venduto a 0,95 euro; 0,99 euro quello intero. Ai produttori vengono riconosciuti 45 centesimi al litro rispetto alla media di 38/40 centesimi. VOI coinvolge agricoltori e allevatori soci di Coldiretti, garantiti da Fai, il marchio che certifica (attraverso enti terzi) la rintracciabilità dell’origine agricola e italiana del prodotto e il rispetto di valori etici, sociali e ambientali nei confronti dei lavoratori e dei consumatori. ECODOM Raee: cinque regole Ecodom presenta le cinque regole per disfarsi di un elettrodomestico. 1) Non buttate mai i Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche, elettroniche) nella spazzatura, non abbandonateli e non dimenticateli a casa. 2) Portateli alle isole ecologiche. 3) Se acquistate un elettrodomestico, consegnate il vecchio al negoziante che deve ritirarlo gratuitamente. 4) Richiedete il ritiro a domicilio. 5) Ricordate che i Raee sono preziose risorse se correttamente riciclati. IL SOLITO RITO DI INIZIO ANNO son Sudeikis) e caratteristi funzionali. Le gag riuscite non mancano anche se sono un po’ imbarazzanti solo a raccontarle: c’è quella con protagonista Luis Guzman nei panni di un poliziotto messicano e, in generale, tutta la parte con la finta famiglia Miller alle prese con i vicini di camper maniaci non è malvagia. Certo: non c’è nulla di sofisticato, le volgarità e i colpi bassi non mancano ma il film intrattiene, il cast gira bene e, cosa sempre più rara negli ultimi tempi, si ride di gusto. visti da Simone Fortunato SPORTELLO INPS In collaborazione con DOMANDA & RISPOSTA Tutto quello che bisogna sapere Contributi e cure termali Come vanno calcolati i contributi da versare per la badante che lavora 40 ore a settimana? Annamaria C. Il pagamento dei contributi da lavoro domestico avviene sulla base di un calcolo convenzionale. L’importo dei contributi da versare è invia il tuo quesito a [email protected] Nuovo settembre vecchi propositi Il regista Rawson Marshall Thurber rapportato alla retribuzione corrisposta alla lavoratrice e, ovviamente, al numero delle ore di lavoro. Lei deve predeterminare l’importo della paga oraria effettiva (retribuzione oraria concordata + quota oraria di tredicesima + eventuale quota oraria di vitto e alloggio) e poi individuare il contributo che corrisponde alla fascia di retribuzione e all’orario effettuato dal lavoratore. Sul sito istituzionale www.inps.it sono pubblicate le tabelle con le varie fasce cui fare riferimento. Nello scorso mese di agosto ho compiuto 66 anni ed ho versa- MAMMA OCA di Annalena Valenti C on settembre si ripresenta il rito dei buoni e solenni propositi. Che, se ci pensiamo bene, sono quelli dell’anno prima e che puntualmente si ripresenteranno il prossimo. Così è, la calda estate, il ricaricarsi della libera ed energica creatività, ci fanno ri-cominciare sempre a stendere la famosa lista dei proponimenti come se fosse la prima volta. Tra web, giornali e qualche domanda ad amiche e vicine di casa, “adesso mi metto a dieta” e “da quest’anno vado in palestra tre volte alla settimana” sono i primi due propositi della lista, con alcune varianti del tipo, curerò di più l’alimentazione e sperimenterò ricette nuove (cari figli e marito non mi ridurrò a cucinare alle 19.50 per mangiare alle 20…), ma anche, mi darò a un’attività fisica costante e se possibile a contatto con la natura (giuro che dopo anni di fallimenti di questo lodevole proposito quest’anno mi impegnerò di più come dice quello psichiatra sul web, tramuterò il mio proponimento in abitudine ripetendola, ripetendola e consolidandola fino al numero magico di 21 volte.) 21 paelle e zuppe galluresi, 21 nuotate, 21 camminate di nordic, 21 libri nuovi, 21 nuove talee di benjamin e gelsomini. Senti Gio, tu che propositi hai per quest’anno? «Ma cosa dici… io vado a giocare in giardino». Va bene mio dodicenne e ancor realista figlio, oggi telefono alle amiche per una bella cena in compagnia. Zuppa gallurese o dieta? mammaoca.wordpress.com Sono una lavoratrice dipendente di 53 anni, da anni soffro di una malattia polmonare. Un mio parente mi ha detto che l’Inps copre la spesa delle cure termali per le persone nelle mie condizioni. È vero? Che cosa devo fare? Costanza P. to 36 anni di contributi. Quando posso fare richiesta per la pensione? Esiste un testo da consultare per rendermene conto da solo? Emanuele D. I requisiti previsti nel 2013 per la pensione di vecchiaia sono 66 anni e 3 mesi e almeno venti anni di contribuzione. Signor Emanuele, lei potrà quindi senz’altro andare in pensione dal primo dicembre di quest’anno. Può consultare il sito www.inps.it nell’area dedicata alla Riforma delle pensioni. Lì troverà una tabella riassuntiva dei requisiti, suddivisa anno per anno. Faccia richiesta (online) alla sua sede Inps. In seguito sarà sottoposta a una visita da parte dei medici dell’Inps. Le ricordo che, per poter beneficiare delle cure termali, sono necessari cinque anni di assicurazione presso l’Inps e tre anni di contribuzione nel quinquennio precedente la domanda. | | 18 settembre 2013 | 47 Tempi Leggi il settimanale sul tuo tablet AT&T Aggiorna Beppe Grillo e Casaleggio? Meluzzi: «Il M5S è una setta messianica e millenarista» di Francesco Amicone Tempi.it Il quotidiano online di Tempi Tempi Mobile di Luigi Amicone Le notizie di Tempi.it sul tuo smartphone Bergomi e Spagna ’82: «La forza era il gruppo. Come nella Nazionale di quest’anno» di Luigi Amicone di Luigi Amicone Nazionale di quest’anno» era il gruppo. Come nella Bergomi e Spagna ’82: «La forza di Luigi Amicone per la famiglia» le magnifiche giornate milanesi Papa: «Come ho vissuto di Carlo Candiani Seguici su «Una follia anche economica» Bologna, referundum anti-paritarie. di Antonio Simone del nuovo compagno di cella Simone: Il segreto (rivoluzionario) TUTTI GLI ARTICOLI di Oscar Giannino di religione spread, ormai è una guerra Giannino: Altro che debiti e PER PIACERE Locanda Borgo Colmello, GORIZIA Semplicità e soddisfazione per una cena di confine IN BOCCA ALL’ESPERTO AMICI MIEI LIBRI Le lettere sulla sinistra e i barbari senza barbarie di Fausto Bertinotti È un libro che ricorda le vecchie dispute intellettuali di un tempo, quello firmato da Fausto Bertinotti, direttore della rivista Alternative per il socialismo e presidente della Fondazione Cercare Ancora e da Riccardo Terzi, segretario nazionale dello Spi Cgil. La discorde amicizia. Lettere sulla sinistra (Ediesse, collana Citoyens, 192 pagine, 13 euro; con un dialogo conclusivo coordinato da Michele Prospero) è un rapporto epistolare ai tempi di twitter, un dibattito sui destini della polis e dell’idea di cambiare il mondo (antica opzione della sinistra) nell’epoca del bizantinismo del pensiero debole (o defunto). È una pretesa alta, ma in fin dei conti null’altro che il disvelarsi di una passione (per la politica) che non conosce età o contingenze governiste. Sin dall’incipit il volume presenta elementi di interesse metodologico-lessicale. I due “discutant” usano la formula amica: “Caro Riccardo”. Nel farlo, l’ex presidente della Camera ricorda quanto la pratica dell’uso del nome primo fosse in abiura presso l’ex partito comunista ed il mondo sindacale, qualora la discussione prevedesse dissonanze di visione. Prevaleva in quel tempo la pretesa di espellere il privato, la dimensione amicale, pena l’offuscamento dell’elemento razionale dal dibattito. «Sappiamo ora – scrive Bertinotti – cosa contenesse di male quella codificazione, la ritualizzazione delle relazioni umane: conteneva un tasso eccessivo di ipocrisia, una presunzione impossibile dal realizzarsi, e dannosa alla vita sia individuale sia collettiva». di Tommaso Farina C ucina di confine, nel vero senso della parola. Vai a Gorizia, e poco oltre c’è la Slovenia. Terra di ricordi, di battaglie, di caduti, purtroppo di sconfitte (Caporetto resta una macchia incancellabile) ma anche di rivincite. Attorno alla bella cittadina in cui si respira ancora l’aria dell’Impero, ecco il Collio Goriziano: terra di vini bianchi tra i più grandi d’Italia, ma anche di rossi inaspettati e suadenti. Una terra da visitare. Dopo una passeggiata tra le vigne, non c’è niente di meglio che andare a Farra d’Isonzo, e rifocillarsi alla Locanda Borgo Colmello. In una zona defilata, in mezzo ai vigneti e in prossimità del museo della civiltà contadina, c’è questa cascina, che contempla un’osteria dalla calda sala invernale, e dal fresco cortile estivo. Identica per tutte le stagioni la professionalità del servizio, così come la scelta dei vini, che prevede opzioni al calice, naturalmente imperniate sul territorio. Di cucina, si svaria dal Friuli alla fresca inventiva con abilità. Memorabile il “toc en braide”, antipasto carnico costituito da polenta con panna e ricotta affumicata. Se no, sformatino di zucchine con fonduta di formaggio Latteria, o filetto di maiale alla misticanza con pesche. Di primo, semplici e ghiotti i blecs (li abbiamo già incontrati, sono maltagliati) di grano saraceno col ragù di carne, oppure l’insalata di orzo, o la vellutata di zucchine col raro, aromatico e friulanissimo “formadi frant”. Un capolavoro, tra i piatti forti, l’aromatico ma leggero vitello tonnato con patate al prezzemolo. Però c’è anche l’insalata di carni bianche gratinate al curry, e il roast beef alla senape. Dolci semplici, come la gelatina di melone o il croccantino nocciole e rum. In sintesi: semplicità prima di tutto. Ed estrema soddisfazione. Prezzo: sui 35 euro a testa. Sarà interessante anche provarlo d’inverno, quando fanno irruzione tanti robusti piatti locali. Ma anche nella tarda estate, Borgo Colmello si è rivelato indirizzo preziosissimo, e delizioso. cadere che siamo arrivati fin qui, a un tal punto di smarrimento da determinarne la sua sostanziale inesistenza?». Alla domanda, Terzi risponde ipotizzando un lungo lavoro che conduca a una sostanziale riforma della sinistra guidata dal principio della democratizzazione, con nuovi strumenti di controllo e partecipazione, basata sui princìpi costituzionali. Per Bertinotti, invece, i partiti, in nome della governabilità, si sono ridotti a pure articolazioni di un quadro istituzionale decotto, la politica italiana si sostanzia così come un involucro irriformabile. E dunque? «Scomporre per ricomporre», sintetizza Fausto Bertinotti. «Bisogna sapere tirare una riga, altrimenti il morto continuerà a mangiarsi il vivo». E se Marx (più volte citato nel dialogo) individuava nella “classe operaia” il soggetto che liberando sé poteva liberare tutti, Bertinotti molto più modestamente, intravvede il punto di ripartenza, l’anelito di salvezza, nel “residuo”, ossia in ciò che rimane fuori, non sussunto dalle logiche del potere. Ripartire da quelle energie vitali che oggi si trovano sostanzialmente fuori dai circuiti e dai recinti della democrazia rappresentativa. I «barbari senza barbarie». Fabio Cavallari Per informazioni Locanda Borgo Colmello www.borgocolmello.it strada Della Grotta, 10 – Farra d’Isonzo (Gorizia) Tel. 0481 889013 Chiusura: domenica sera. In estate, lunedì e sabato Amicizia e affetti, invece, non possono essere espulsi, anche se, sottolinea Terzi «non mi piace affatto la finzione, apparentemente democratica e progressiva, di un’amicizia allargata, universale, inclusiva di ogni sorta di rapporto, che fa venir meno le distanze, perché così si perde il significato profondo delle relazioni tra persone, la quale richiede una costruzione lunga e faticosa, e l’amicizia può essere solo il coronamento non scontato di un tale processo». E quindi “caro Fausto”, in nome di una antica e discorde amicizia. I due autori, infatti, all’interno di un serrato confronto sul futuro della sinistra, sviluppano due distinti (anche se in alcuni punti convergenti) assunti politici. Per entrambi, si tratta come rileva Bertinotti, citando Walter Benjamin, di far fronte alla “gestione del pessimismo”. Per entrambi il punto di partenza è fuori discussione: la sconfitta della sinistra (culturale e sociale) consumata a partire dagli anni Ottanta, evolutasi partecipando complicemente al degrado del sistema politico, e giunta all’epilogo con la rinuncia a qualsiasi opzione di trasformazione della società. «Come è potuto ac| | 18 settembre 2013 | 49 MOTORPEDIA WWW.RED-LIVE.IT A CURA DI DUE RUOTE IN MENO Triumph Tiger Sport Triumph Tiger Sport: nelle concessionarie a 11.990 euro, interpreta lo stile anglosassone nelle due ruote puntando tutto sulla concretezza. Dimenticate, quindi, mappe motore, sospensioni a controllo elettronico e altre dotazioni ormai diffuse, perché la Tiger Sport va dritta all’essenza del motociclismo, forte del motore tre cilindri ricco di carattere, unico nel suono allo scarico e apprezzato dai puristi. Con i suoi 125 cavalli ha tutta la potenza che serve per viaggiare e per divertirsi tra le curve, che si cerchino le prestazioni oppure si desideri gustare [em] un bel panorama. 50 | 18 settembre 2013 | | Triumph Tiger Sport interpreta lo stile anglosassone nelle due ruote puntando sulla concretezza. Ricco di carattere e apprezzato dai puristi (11.990 euro) countryman: gusto di guida e sicurezza, l’accoppiata che parte da 25 mila euro Una Mini più spaziosa a trazione integrale N ata per smentire chi pensava che la Mini fosse un’auto da single, al massimo destinata a coppie senza figli, la Countryman ha saputo rinnovare lo stile della Casa inglese senza smarrire il filo conduttore di linee affascinanti, classiche, eppure contemporanee. Lo spazio a bordo della Countryman è decisamente superiore rispetto a quello della Mini tradizionale – che si chiama Hatchback – e anche l’accessibilità risulta molto migliore, grazie ovviamente alla presenza delle portiere posteriori e alle dimensioni generali assai più generose. Comunque compatta come impone la filosofia Mini, la Countryman mette a disposizione degli occupanti soluzioni furbe, pratiche, pensate per chi vuole affiancare al celebre “go-kart feeling” della gamma la funzionalità che serve nella vita quotidiana. Interessante, ad esempio, il binario centrale (optional): sacrifica il posto centrale posteriore – già di suo non molto comodo, a dire il vero – ma offre in cambio la possibilità di ancorare portaoggetti che scorrono lungo il binario stesso per tutta la lunghezza dell’auto. Da giugno la Countryman può contare su un’importante caratteristica in più, la trazione integrale ALL4, che aggiunge un tocco di tecnologia, sicurezza e praticità. Grazie al i Diesel Cooper D differenziale centrale a funzioe Cooper SD (da 112 namento elettromagnetico la cavalli a 143); ripartizione della potenza sui i benzina Cooper due assi e sulle quattro ruote e Cooper S (da 122 varia di continuo in funzione cavalli a 184), per delle necessità. La costante infinire con la John terfaccia con il sistema di reCooper Works da 218 golazione della stabilità Dsc (Dynamic stability control) permette, poi, di sfruttare la trazione integrale anche per rendere più efficace e divertente la guida. Quale Countryman scegliere? La trazione integrale ALL4 è proposta su quattro modelli, in ordine crescente di potenza e prestazioni: i Diesel Cooper D (112 cavalli) e Cooper SD (143 cavalli); i benzina Cooper (122 cavalli) e Cooper S (184 cavalli), per finire con la straordinaria John Cooper Works da 218 cavalli. E i prezzi? Si parte da 25.000 euro per la Cooper ALL4 per salire fino a 36.150 euro per la John Cooper Works ALL4. Il miglior rapporto tra prestazioni e prezzo, però, se lo contendono la Cooper S ALL4 da 29.450 euro e la Cooper SD da 30.450. Edoardo Margiotta | | 18 settembre 2013 | 51 POST APOCALYPTO un comandamento ormai dimenticato Quando Giussani mi ha abbracciato ho imparato ad amare il prossimo D io ha creato “l’uomo maschio e femmina” vale a dire come relazione. È un principio onto- logico della natura umana. Un principio che nemmeno il peccato originale riuscì a spezzare. Dio creò l’uomo, maschio e femmina li creò, afferma la Genesi. Per questo la prossimità è strutturale alla natura umana. Gesù stesso lo afferma chiaramente nel Vangelo, nel dialogo con il maestro della legge, curioso di conoscere quello che doveva fare per ereditare la vita eterna. «Maestro, cosa devo fare per essere felice?», chiese l’esperto della legge a Gesù. E Gesù gli rispose: «Cosa c’è scritto nella legge?», «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo essere, con tutto il tuo cuore e il prossimo come te stesso», rispose il maestro della legge. E Gesù: «Hai detto bene, fai questo e vivrai». Ma l’avvocato, che voleva cercare un tranello per condannare Gesù, prende nuovamente la parola e gli domanda: «Chi è il mio prossimo?», e Gesù gli racconta la parabola del buon Samaritano che tutti conosciamo e che mi commuove; ma che solamente pochi vivono. «Ama il tuo prossimo», cioè ama in primo luogo chi vive gomito a gomito con te. Una impresa impossibile senza la grazia della presenza di Cristo. Impossibile persino nella relazione più attraente che esiste, come quella tra maschio e femmina. Per questo l’apostolo Pietro, che era un realista e non un romantico idealista, quando Gesù gli parlò dell’indissolubilità del matrimonio reagì immediatamente affermando: «Signore, se questa è la condizione dell’uomo con la donna, non conviene sposarsi». E Gesù, senza usare mezzi termini gli rispose: «Hai ragione, tuttavia ciò che è impossibile all’uomo (la prossimità) è possibile a Dio». Non esiste miracolo più grande della prossimità vissuta intensamente. Non esiste segno più potente della presenza di Dio tra noi che quello di una vera prossimità: «Siate una sola cosa perché il mondo creda», afferma sempre Gesù. Ma la prossimità non è solo ed esclusivamente quella di una persona con un’altra, ma il contatto con la realtà, dalla cosa apparentemente più banale, come quella di raccogliere un pezzettino di carta dal pavimento, fino al rispetto della cosa più preziosa e bella che esiste nella realtà. Normalmente noi siamo definiti dal “ruolo”, sia a livello di persone che nella relazione con la realtà in se stessa. Sarebbe sufficiente entrare nel mondo del lavoro per vedere come tutto è definito dal ruolo, dalle competenze. “Questa cosa tocca a me”, “Il mio obbligo arriva fino a ama in primo luogo chi qui…”, “È finito il mio orario di lavoro” eccevive gomito a gomito tera. La prossimità è sostituita dal ruolo. Per questo se una persona ha bisogno è quasi imcon te. Una impresa possibile che trovi qualcuno che la aiuti. Perimpossibile senza la fino nelle nostre opere di carità molte volte è difficile trovare una persona che dica: “Padre, grazia della presenza se ha bisogno di qualcosa sabato o domenidi Cristo. Impossibile ca, per favore mi chiami”. È la mentalità mondana che ha contaminato il cristianesimo. Per anche nella relazione questo anche l’esperienza del volontariato ditra maschio e femmina. venta difficile. Sono stato educato a guardare, guardare a ma ciò che per noi è 360 gradi. Per questo, quando vado in giro impossibile, è possibile per le opere del San Rafael qui ad Asunción, di al nostro signore solito porto con me un block notes e una pen- 52 | 18 settembre 2013 | | El abrazo - Festa dell’Annunciazione 25 marzo 1989 è uno degli affreschi presenti nella nuova clinica Divina Provvidenza di Asunción na nella tasca della camicia, in modo tale che, se vedo qualcosa di interessante, posso fissarlo sulla carta per non dimenticarlo. Non solo, quando alla sera vado a ispezionare in particolare l’hospice, porto con me il cellulare per chiamare Fredy, il tecnico, se ci fosse bisogno di un suo intervento. Lui può ben dire quante volte l’ho chiamato dicendogli: «Per favore, puoi venire ad aggiustare questo che non funziona? Domattina puoi pulire completamente il seminterrato? Puoi aggiustare questa luce che si è guastata o mettere gli spigoli di alluminio ad ogni colonna o dove c’è bisogno?». Guardare e imparare Domenica 7 luglio, mentre camminavo e dicevo il Rosario nel patio, ho visto in un angolo un mucchio di spazzatura. Ho pensato che appena finita la recita del Rosario avrei preso una carriola per portarla tutta nella discarica. Molta gente aveva visto (normalmente guardiamo senza vedere, vale a dire senza riconoscere la realtà che ci provoca) questo pattume, ma a nessuno era venuto in mente di pulire. Non appena mi hanno visto spingere la carriola con i rifiuti, sono corsi tutti a fare quel lavoro al posto mio, e lo hanno fatto molto bene. È il metodo che uso sempre per educare le persone. Prendere la scopa e cominciare a ramazzare, e subito le persone che di Aldo Trento mi stanno vicino, mi prendono la scopa e puliscono. Quando ho incominciato ad abbellire il patio della chiesa con piante e fiori, la gente non capiva perché ero io a fare cose che erano di competenza del giardiniere e chiedevano spiegazioni. Ma io, invece di parlare, continuavo a lavorare. Dopo una settimana c’erano già diverse persone ad aiutarmi e sostituirmi. Quando mi hanno nominato parroco mi sentivo inesperto e inadeguato per questo compito. Ricordo che mi sono inginocchiato davanti al Santissimo dicendogli: «Signore, io non so cosa significhi essere parroco e guidare una parrocchia. Per favore, aiutami!». E Lui mi ha fatto capire che l’unica cosa che dovevo fare era proporre quello che il Mistero mi chiamava a vivere in ogni momento e viverlo come relazione con Lui. In questo modo mi sono educato a vivere ogni cosa, ogni gesto, con questa coscienza. Per esempio, fino a quel momento la gente entrava in chiesa come si entra in un qualsiasi salone, senza nemmeno percepire la presenza del Santissimo Sacramento. Quando mi sono reso conto di questo “mercato”, fermavo la gente sulla porta e dicevo: «Guardate come io entro e fate come me». Con le mani giunte mi sono messo alla testa della piccola processione, camminando in silenzio verso l’altare e la gente, dietro di me, faceva lo stesso. Arrivato davanti all’altare, mi sono girato e ho spiegato loro l’importanza e il perché del mettermi in ginocchio, sempre con le mani giunte dicendo: «Lodato sempre sia il Santissimo e Divinissimo Sacramento dell’altare». L’insegnamento dei miei genitori È stato necessario molto tempo per far capire loro il valore di questo atteggiamento ma, alla fine, questa brutta abitudine di entrare in chiesa come in una qualsiasi sala è scomparsa. I bambini, invece, l’hanno assimilato immediatamente. «Padre, che bello è partecipare ora alla santa Messa, mentre prima era come entrare in una sala giochi». E allo stesso modo mi preoccupo di testimoniare cosa significa vivere la realtà con la coscienza che tutto è relazione (prossimità) con il Mistero. Col tempo questo metodo è “passato” in ogni luogo della parrocchia, dove non esiste un solo metro quadro che non sia come lo esige la realtà. Non c’è nulla fuori posto, perché tutto riporta al Mistero. Ci sono persone che vengono a visitare la scuola a metà mattina e sono stupite nel vedere la pulizia dei bagni, la totale assenza di graffiti, eccetera. Questo è frutto di un cammino iniziato ventiquattro anni fa… Alcuni mi chiedono: «Che cosa significa essere parroco?». Il tenero abbraccio di don Giussani era presente in ogni gesto. Una cosa mol- to semplice, che chiedeva alla mia libertà la totale disponibilità del mio cuore a lasciarmi provocare dalla realtà. Così, un semplice gesto come quello di chiedere in ogni momento che non si buttino per terra cartacce e cannucce, dopo vent’anni ha formato un piccolo popolo. Un popolo che sa distinguere la destra dalla sinistra, che ama il silenzio nei posti dovuti, che è disponibile alla solidarietà, che vede un bisogno e subito ti offre il suo aiuto. Un’altra esperienza interessante è stata quella di insegnare a cantare in chiesa. È stata un’impresa difficile ma oggi abbiamo un coro polifonico tra i più belli del Paraguay. Un coro che propone la musica gregoriana e quella delle Reducciones gesuitiche. Questo è stato per me il successo più bello e più grande di questi anni di missione. Insomma, educare alla prossimità è educare alla verità della relazione con tutti e con tutto. E questo implica una persona che, mettendosi alla guida, vive con passione tutta la realtà, vive in modo quotidiano l’eroico e l’eroico nel quotidiano. Non si tratta, allora, dei diplomi o dei titoli che si hanno, ma della passione con cui si vive la realtà. Questo è quanto ho imparato dai miei genitori, che avevano frequentato la scuola solo fino alla quarta elementare e conoscevano appena le preghiere principali. [email protected] | | 18 settembre 2013 | 53 LETTERE AL DIRETTORE Se i comunisti sono come Pietro Barcellona noi siamo comunisti «L’ effetto collaterale della trasformazione del linguaggio in scambio d’informazione non è qualche nuovo gioco alla moda o qualche sito in più da visitare in Internet, ma è lo strumento per il controllo totale della natura e per l’avvento della biotecnologia». Scriveva così Pietro Barcellona, scomparso lo scorso 6 settembre, nel suo libro La parola perduta. Il suo è un lascito umano, intellettuale ed educativo straordinario. Il suo pensiero, un patrimonio inestimabile. Oggi, a lui va la mia gratitudine umana, il mio pensiero affettivo, quell’abbraccio a Roma in un giorno da “stranieri” accolti come amici. «La mia laicità corrisponde a sostare, il più a lungo possibile, nello spazio dell’interrogazione, rifiutando, il più lungo possibile, la risposta che chiude l’interrogazione, la risposta che risolve. (…) Lo spazio dell’interrogazione è lo spazio stesso della laicità. Voglio dire di più: l’interrogazione ha origine nel sacro. E il sacro costituisce il fondamento esistenziale del gruppo umano, ciò che non abbiamo a nostra disposizione, che non possiamo predeterminare, né calcolare, che non può essere posseduto e manipolato. E quando questo accade, ne va dell’ossatura antropologica dell’uomo» (Critica della ragion laica). Fabio Cavallari «La manipolazione della vita, originata dagli sviluppi della tecnica e dalla violenza insita nei processi di globalizzazione in assenza di un nuovo ordinamento internazionale, ci pone di fronte ad una inedi- ta emergenza antropologica. Essa ci appare la manifestazione più grave e al tempo stesso la radice più profonda della crisi della democrazia». Questo è l’incipit del manifesto con cui il “comunista” Barcellona insieme ad altri tre (Sorbi, Vacca e Tronti) si schierò con Ratzinger, «fece tremare il Pd» (Sandro Magister) e il Pd ha bellamente ignorato (compreso Matteo Renzi). Infine ci fu quel libro: Incontro con Gesù. Caro direttore, ci eravamo sentiti ai tempi della guerra in Iraq. Oggi ci risiamo, ma stavolta non sono al fronte e allora mi permetto, citandovi (www. lapadania.net), di ispirarmi alle vostre preziose fonti. Complimenti per la coraggiosa e giusta posizione sulla Siria. Max Ferrari Coraggio Lega, e cessa di dividerti. 2 di Fred Perri ARRIVA LA KYENGE, SUPERMARIO DORME M ario Balotelli dormiva della grossa, quando la ministra Kyenge è andata a far visita alla Nazionale. Abbasso il razzismo, scambi di maglie e di belle parole. Bene, bravi. Poi, inevitabile, il solito moralismo: Balotelli, emblema dell’Italia multietnica, il nerissimo che parla bresciano con la lingua lunga, odiato e insultato da tutti, mentre alcuni suoi 54 | 18 settembre 2013 | | compagni posavano per le foto e ripetevano il rito collettivo della “lavanda dal razzismo”, non c’era. Super Mario russava beato. Pare che l’incontro fosse facoltativo. Penso sia vero: a me, da sempre, quando c’è un evento non facoltativo, se non mi vedono, mi vengono a svegliare, mi chiamano, mi scassano i cabasisi. Questo episodio, come dicevo, ha scatenato l’in- Foto: Ansa Lasciate ronfare Balotelli. Non tocca a lui salvare questo mondo dal razzismo [email protected] Se Berlusca lo vogliono mandare in galera e “ritirargli la carta d’identità” per non avere versato qualche milione all’erario (lo 0,5 per cento sul totale versato negli anni), quale pena spetterebbe al re del football Lionel Messi che sta transando per circa 5 milioni di euro da corrispondere al fisco spagnolo per contributi non versati? Valerio Biondi via internet Grande disinformazione in Italia. 2 Mi stupisce cheTempi in passato puntò tutto su Berlusconi e se ne pentì in seguito, dichiarandosi deluso… Davide Carubelli Vimercate (Mb) C’è un problemino di democrazia, ora. 2 L’Italia è allo sfascio, ma la cosa peggiore è che non si vede una soluzione democratica alla crisi. Inutile raccontare a voi le cause del deficit istituzionale, le conoscete e raccontate da anni. Gli effetti sono che i tre poteri non fuzionano: non c’è giustizia (sia nel merito, sia nella durata), il parlamento pensa a campare, i governi non amministrano. In più si fanno battaglia fra loro. No comment sul presidente super partes, che ordisce la caduta del premier Berlusconi (titoli de L’Espresso), si inventa saggi inutili e nomina senatori a vita in momenti di depressione nazionale. Il popolo può agire con referendum, il cui esito non viene attuato, e con le elezioni, ma sappiamo che gli ultimi movimenti “progressisti” sono stati linciati UN SERVITORE FEDELE DEL PAPA La verità su Bertone non l’avrete certo dai media del potere CARTOLINA DAL PARADISO di Pippo Corigliano L non ha simpatia per la Chiesa cattolica e usa lo strumento della comunicazione per una continua opera di denigrazione. Basti pensare all’opposizione alla guerra in Iraq di Giovanni Paolo II (YouTube: mai più la guerra!) e all’attuale presa di posizione di Papa Francesco sull’attacco alla Siria per rendersi conto che i cattolici sono dei rompiscatole per i guerrafondai e per chi regge l’economia mondiale. La comunicazione oggi è come gli eserciti dell’Ottocento: con lo strumento della diffamazione può conquistare territori, arrestare (isolare) le persone e anche moralmente ucciderle. Per ora Papa Francesco con la creatività propria degli uomini di preghiera si è reso inattaccabile e vedremo quanto durerà questa apparente quiete, ma continua l’azione di chi usa il pretesto dei preti pedofili, dello Ior e di Vatileaks per presentare al mondo la curia romana come un covo di malfattori. I cattolici devono essere diffidenti rispetto ai grandi mezzi di comunicazione pilotati dalla lobby. Occorre dare ad ogni cosa il suo peso e non farsi sedurre dalla manipolazione mediatica. Ad esempio non è giusto che il cardinal Bertone esca di scena salutato da una salva d’improperi. Chi lo conosce sa che ha servito fedelmente il Papa e che, grazie a lui, Benedetto ha potuto trovare le energie per confermare la fede dei cattolici: cosa più importante delle beghe curiali. In questi anni si è fatto un buon lavoro. Perciò prego per il cardinal Bertone e lo ringrazio. a lobby finanziaria che regge il mondo (Berlusconi e Giannino). Il M5S è populista e disfattista, mira al risparmio non al progetto, per ora ci costa meno di altri, ma essere meglio del peggio non dà futuro. Insomma che fare? Siamo tenuti in scacco da satrapi e istituti che si cooptano. Io credo che ci siano i preupposti per un commissariamento dell’Italia. L’Onu prevede il proprio supporto in caso di crisi democratica. In Italia il sistema democratico non c’è più, quindi rientriamo nei prametri di intervento. Perché non organizziamo una bella raccolta di firme? Dovesse andare bene sarebbe una rivoluzione unica e storica, dovesse andare male avremo messo in luce un disagio profondo, condiviso e di respiro internazionale. Andrea Savino via internet Più che firme presto dovremo scendere in strada. Come fanno i cugini transalpini e il coraggioso Agnoli. Foto: Ansa SPORT ÜBER ALLES terventismo di migliaia di anime (sedicenti) candide in severe reprimende al Balotelli che, in quanto bersaglio della discriminazione e dell’insulto razziale, in quanto “esempio” avrebbe dovuto essere in prima fila, cresta in resta. Il razzismo esiste, urca, lo tocchiamo con mano, ma non si risolve con le tante, troppe parole e con gli esempi stabiliti per legge, tantomeno dei calciatori. Sono poco più che ragazzi e anche quelli cresciuti vivono in un mondo tutto loro, non solo per via dei soldi. Il problema è l’educazione e, come dice giustamente Buffon, io non posso essere di esempio a tuo figlio. L’esempio lo devi dare tu, coglione (questo l’ho aggiunto io, eh). | | 18 settembre 2013 | 55 taz&bao Giustizia non giustizieri 56 | 18 settembre 2013 | | Foto: Getty Images Ci vengono alla mente alcune parole di Isacco di Ninive da poco ascoltate: «L’assenza di misericordia e la brutalità vengono dalla grande abbondanza di passioni. Infatti il cuore è indurito dalle passioni, e queste non lasciano che si muova a compassione, ed esso non sa avere pietà per nessuno, né dolersi per l’afflizione, né soffrire, pur vedendola, per la rovina del suo prossimo, né rattristarsi per coloro che cadono nei peccati; ma a causa delle passioni di cui si è detto, l’ira e la gelosia si fanno potenti e si accrescono in costoro; e accade che uno sia mosso da stupido zelo, come se volesse far vendetta al posto di Dio, e nella sua anima non c’è spazio per la compassione. Sii un perseguitato, ma non uno che perseguita. Sii un crocifisso, ma non uno che crocifigge. Sii pacifico e non zelante… Non sei un servo della pace? Almeno non essere un agitatore! Sappi che se da te uscirà un fuoco che brucerà gli altri, alle tue mani sarà chiesto conto delle anime di tutti coloro che quel fuoco avrà toccato. E se non sei tu a soffiare su quel fuoco, ma sei d’accordo con colui che vi soffia sopra e ti compiaci della sua azione, sarai suo compagno nel giudizio». Lettera delle suore trappiste che vivono in Siria Avvenire, sabato 7 settembre 2013 Firmate l’appello contro l’intervento armato in Siria su tempi.it TERRA DI NESSUNO il ritorno al bar Gli stessi occhi trent’anni dopo M In quel bar andavo ogni mattina con il cane, fino a tre mesi fa, a bere il caffè. Dietro al banco il barista era uno sulla cinquantina, grosso, stempiato, con due occhi chiari e ironici che ti scrutavano, curiosi. Come va, mi chiedeva mentre con un gesto veloce piazzava il filtro nella macchina dell’espresso, dandomi le spalle. Bene, rispondevo io, laconica. Lui invece chiacchierava: si lamentava delle tasse, discuteva delle feste di Arcore; oppure aveva in testa il Milan, che la sera prima aveva perso. Beppe parlava ad alta voce e volentieri di donne: delle donne che passavano davanti al bar, che esaminava con un’attenzione golosa. A volte era volgare, ma la sua risata contagiosa colmava le prime ore del mattino. Con l’estate avevo cambiato il mio giro e avevo scelto una strada ombreggiata. La scorsa settimana sono passata di nuovo davanti a quel bar, e ho visto sulla saracinesca abbassata un cartello. Credevo ci fosse scritto: chiuso per ferie. Ma il cartello era listato di nero. “Lutto per la morte di Luigi, di anni 52. La famiglia ringrazia quanti hanno voluto partecipare al lutto. Milano, agosto 2013”. Sono rimasta di sasso, lì sul marciapiede, davanti a quella saracinesca calata per sempre. Poi sono entrata dal fornaio: cosa è successo a Beppe, ho chiesto, quasi arrabbiata. A giugno, mi hanno risposto, gli hanno diagnosticato un cancro ai polmoni, già avanzato. Due mesi, ed era morto. Me ne sono tornata a casa a capo chino, incredula. Quell’uomo loquace, estroverso, anche scurrile, era così profondamente vivo; anzi, direi, co- 58 | 18 settembre 2013 | ilano, settembre. | di Marina Corradi sì intensamente terrestre, con la testa sempre al calcio e alle donne, e l’ira verso l’Agenzia delle Entrate. Quel barista furioso con il sindaco Pisapia per via dell’area C, era così “dentro”, così attaccato alla vita. Davvero non riuscivo a immaginarmelo, davanti alla morte. Sorrideva ancora, mi sono chiesta, e ancora parlava del Milan? Per un mese, col cane, ho cambiato di nuovo la mia strada. Per protesta. Ieri, sono tornata davanti a quel bar. Era aperto. Ho gettato un’occhiata diffidente all’interno, pensando di vedere facce estranee. C’erano due avventori al banco, e un ragazzo stava facendo il caffè, dando le spalle alla porta. Si è voltato: vent’anni, e gli stessi occhi chiari di Beppe, l’identico sorriso; e le sue spalle, anche, larghe, forti. Suo figlio: e quella somiglianza mi ha folgorato, così che mi sono fermata a osservare da fuori il ragazzo al banco. Suo figlio: la stessa voce, ma i capelli folti, e la vita davanti. Quale ricchezza è, avere dei figli, mi sono detta allora. Gli stessi occhi tuoi che cominciano un’altra vita, trent’anni dopo. E così, all’indietro nel tempo, di figlio in padre, in figlio, ancora. Avevano dunque i miei occhi, i miei sconosciuti bisnonni? E mio figlio, forse, ha i loro. La vita ci passa dentro come un fiume, e continua. Allora, quasi disposta a perdonare a Beppe di esser morto, sono entrata nel bar, e ho ordinato un caffè. (Il rumore metallico del filtro dell’espresso nella macchina, uguale).