Dagli Ordini 38 Ordine di Bergamo tel. 035 219705 www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: [email protected] Informazione Ordine di Brescia tel. 030 3751883 www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: [email protected] Ordine di Como tel. 031 269800 www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: [email protected] Ordine di Cremona tel. 0372 535411 www.cr.archiworld.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: [email protected] Ordine di Lecco tel. 0341 287130 www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Bergamo Le Città Parallele. La città psicastenica Laney ebbe un brivido. In bocca un sapore di metallo arrugginito. Cadeva dentro gli occhi dell’aidoru. Si trovò a guardare un altissima parete di roccia che sembrava consistere interamente di piccoli balconi rettangolari, nessuno disposto esattamente sul livello o alla stessa profondità degli altri. Il sole arancione del tramonto che si rifletteva da una finestra inclinata, con il telaio di ferro. Colori simili a chiazze di benzina sull’acqua, che strisciavano nel cielo. Chiuse gli occhi, guardò in basso, li aprì. - Laney? Ti senti bene? - Bene? – rispose lui. - Sembravi… cieco. W. Gibson, Aidoru, Mondadori, Milano, 1997 Lo sfondo su cui ci muoviamo è in piena mutazione e una nuova topografia urbana si sostituisce a quella fisica abituale creata dagli spazi pubblici convenzionali: come gli MVRDV ci ripetono, inciso a caratteri cubitali nel ciclopico volume FARMAX, mentre gli interni si sostituiscono agli esterni, mentre i mall si sostituiscono alle piazze, la città si sta costituendo di eventi singoli e perfettamente separati. La periferia, indefinita ed infinita nelle potenzialità del suo divenire, si espande verso il cuore della città, portando il suo carico di indeterminatezza e Ordine di Lodi tel. 0371 430643 www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: [email protected] Ordine di Mantova tel. 0376 328087 www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: [email protected] Ordine di Milano tel. 02 625341 www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: [email protected] Ordine di Pavia tel. 0382 27287 www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: [email protected] Ordine di Sondrio tel. 0342 514864 www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: [email protected] Ordine di Varese tel. 0332 812601 www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: [email protected] Informazioni utenti: [email protected] LCD Times Square. creando una città inversa fondata sul primato della dimora individuale piuttosto che sulla preminenza degli spazi collettivi; “alle piazze, ai viali, ai corsi, si sostituisce il luogo fisico e mentale della residenza unifamiliare nelle sue molteplici declinazioni” scrive S. Boeri. Il percorso pare inverso a quello della fondazione di una città già grande, della formazione di una colonia imperiale: l’Harvard Project on the city n.1 (uno studio sulla città romana condotto come fosse il manuale d’istruzione del celeberrimo gioco per PC SimCity), contenuto in Mutations, sembra tracciare all’inverso la storia del nostro paesaggio quotidiano, infatti la nostra specificity (città specifica, particolare) sembra tornare verso la genericity (la “genericittà”, ed il termine spiega già tutto), per essere rifecondata da eventi clamorosi. Gli architetti contribuiscono anche inconsapevolmente a creare spazi individuali: come nota I. de Solà Morales, “la forma nel costruire la città continua ad essere marcata da architetture emblematiche, le quali, come le mode, sono una risposta tecnica e figurativa a richieste ben delimitate da una particolare situazione (...). Queste architetture brillanti e seducenti dicono sulla città molto più di quanto dicono i loro stessi autori (...). Si tratta di un messaggio subliminale attraverso cui privilegiano una città fatta di singoli oggetti, piena di episodi emozionanti dispersi nel magma grigio della produzione corrente (...). Essi trasmettono un’idea della città che ha a che fare con l’individualismo proprio della nostra cultura, della competitività per aggiudicarsi una posizione privilegiata, per accaparrarsi un’attenzione esclusiva”. La città tanto più sembra effettivamente, oltre consapevolezza, costituita da singolarità luminescenti: basti pensare al lavoro presso Borneo Sporenburg – Amsterdam dei West8, nato lui stesso per essere punto notevole nel paesaggio megalopolitano olandese, definito da punti notevoli pubblici, da “gioielli” che si distinguono per dimensioni su di uno sfondo fatto da edifici residenziali per scelta compressi in un modulo fisso in altezza, larghezza e profondità. Ma la città non è solo questo. Ogni giorno infatti, pendolari anche a breve distanza, ci avviamo verso i nostri posti lavori attraversando la città, vivendola. Avvolti dal sonno e da una folla che corre, abituati a percorrere la stessa strada ogni giorno, un cartellone, una scritta, uno schermo a cristalli liquidi raccolgono i nostri pensieri, e ,in silenzio, si fissano come memorie ricorrenti, quasi strisciando tra le preoccupazioni. E così la sera a casa o ancora in viaggio, ci ritornano alla memoria sbiaditi, sbiaditi sì ma colorati rispetto allo sfondo grigio, che colmo di quotidianità comincia a perdere dettagli. La spazialità si rinnova e quelle zone che più sono sottoposte alla congestione degli individui paiono ampliarsi grazie alla congestione delle immagini (sia pubblicitarie sia informative) che ne tappezzano le superfici. Nel nostro paesaggio urbano si aprono porte su realtà virtuali che si duplicano, si moltiplicano senza sosta modificando il carattere degli spazi architettonici; l’incertezza che si genera riguardo la destinazione dagli spazi si fa variazione quantitativa e, per mole, qualitativa. “Il libro ucciderà l’architettura” scrisse V. Hugo in Notre Dame de Paris, spaventando a posteriori il giovane F.L. Wright, ma ora che l’informazione ha recuperato la spazialità grazie alle tecnologie informatiche, ed anche il pubblico grazie alla rete Internet (basti pensare al Virtual Guggenheim Museum prodotto dagli architetti Asymptote), sembra proprio che la disciplina dello spazio sia l’unica in grado di essere supporto alla contemporaneità nella sua veloce mutazione. Se almeno per adesso, come nota S. Sassen, il telelavoro pare impossibile da realizzarsi compiutamente per necessità logistiche dettate dalla distribuzione dei servizi e dalla pratica del subappalto di frammenti di lavoro, allora effettivamente la città tende a configurarsi come una “border zone” dove gli spazi convenzionali si estendono grazie al sovraffollarsi del re- Lecco Asymptote, Virtual Guggenheim Museum. pertorio di immagini che li può, in potenza quanto effettivamente, occupare. Certi lavori progettuali contemporanei si spingono infatti in tale direzione affrontando il tema della città così come quello dell’abitazione privata: un chiaro esempio ne è la mostra itinerante del MoMA di New York The Un-Private House in cui spiccano la Slow House di Diller+Scofidio, la Digital House di Hariri & Hariri, la Kramlich residence di Herzog & de Meuron tutti lavori impegnati a sviscerare le possibilità di intersezione tra spazi reali e virtuali; ancora, ricordando che l’intangibilità dello spazio era cosa già assunta da tempo in Estremo Oriente, è giusto citare la metaforica mostra Toyo Ito Architetto a Vicenza e soprattutto la serie dei Pachinko Parlor disegnati da Kazuyo Sejima in cui la scritta riesce a trasfigurare lo spazio nella sua semplicità. “La città esiste come una serie di duplicità: ha una cultura ufficiale ed una nascosta, è un luogo reale ed al tempo stesso immaginario. La sua elaborata rete di strade, case, edifici pubblici, sistemi di trasporti, parchi e negozi corre parallelamente al complesso di atteggiamenti, abitudini, costumi, aspettative, e speranze che appartengono a noi in quanto soggetti urbani. Scopriamo che la realtà urbana non è unica ma molteplice, che all’interno di una città ce n’è sempre un’altra” scrive E. Soja cercando di puntualizzare come l’avvento di una nuo- va era dell’informazione non stia conducendo alla “fine della geografia” o ad un “mondo senza confini” ma ad una “riterritorizzalizzazione contemporanea” ossia ad una ristrutturazione del concetto di identità territoriale. Pare giusto allora ricordare il concetto di iperrealtà definito da J. Baudrillard: nel momento in cui la capacità di distinguere tra reale e immaginato/virtuale si indebolisce, sostiene Baudrillard, si genera un altro tipo di realtà, un’iperrealtà, e inizia a scorrere nelle nostre vite quotidiane generando un altro stato di coscienza. Il risultato si può definire come “precessione dei simulacri” cioè una condizione, tra l’altro sottolineata dal crescente uso metodologico del CAD in architettura, in cui le immagini paiono venire letteralmente prima dei loro referenti o addirittura in loro assenza; l’effetto particolarissimo e tanto spesso aborrito come mancanza di nuovi idee/concetti, è quello di rendere significato il significante, cioè di trasformare l’aspetto in essenza. Ciò naturalmente può causare anche uno stato confusionale nell’individuo abituato alla spazialità tradizionale: ben lo dimostrano gli studi di C. Olaquiaga riguardo alla cosiddetta psicastenia spaziale cioè al disturbo nella relazione tra il Sé (il proprio spazio fisico/materiale) ed il territorio circostante, in questo caso immateriale. La sensazione psicastenica è quella di es- sere persi nello spazio, ciechi o rapiti di fonte ad alcune immagini/avvenimenti, in breve una sindrome di Stendhal del vivere quotidiano. Ma per dimostrare come ciò sia una esperienza abbastanza comune, e spesso inconsapevolmente esperita, è sufficiente fare appello al fiorire della cultura letteraria ciberpunk prendendo come esempio i romanzi di W. Gibson (scrittore del famosissimo Johnny Mnemonic ed inventore del termine ciberspazio). Intanto, mentre Atlanti Eclettici, secondo la definizione di S. Boeri, sondano città parallele e città trasversali, città sfuggenti alle viste zenitali ed ai termini dell’urbanistica classica ma non agli individui, si apre la possibilità di entrare nella città attraverso quella che ne sembra la via di evasione. Se tanto facilmente e intensamente il territorio fisico riesce a riversarsi in quello virtuale, a tal punto da scomparire e da rimanere solo come un vago inizio, se tanto facilmente le matrici numeriche, come farmaci derridiani, riescono a sostituire l’immagine della città, forse è plausibile pensare che la “precessione dei simulacri” sia un buon metodo, critico ai fondamenti proprio perché eternamente mutevole, per ritornare a interrogare lo spazio urbano senza correre il rischio di inventarsi nuovi inganni retorici. I “Datatown”, come li chiama W. Maas, allora saranno i più sinceri stimoli, i migliori paragoni e le migliori metafore per parlare della città che c’è, c’è stata ed innumerevoli volte ci sarà? Alessandro Martinelli Bibliografia minima: MVRDV, FARMAX, Rotterdam 1998 AAVV, Mutations, Bordeaux 2000 AAVV, Città globali/Planning, disturbi, architettura/Infrastrutture, Lotus 110, Electa T. Riley, The Un-Private House, New York, 1999 A. Sdegno, L’architettura nell’epoca del computer, Casabella 691, Electa G. Abou-Jaoudé, Impronta e simulazione, Lotus 104, Electa W. Gibson, Aidoru, Milano, 1997 Pierfranco Mastalli Assessore al Territorio e Trasporti, Provincia di Lecco Informazioni: Centro italo-tedesco Villa Vigoni Deutsch-italienisches zentrum Villa Vigoni via Giulio Vigoni 1 22017 Loveno di Menaggio (Co) tel. 0344 36111 fax 0344 361210 www.villavigoni.it 39 Informazione Herzog & de Meuron, Kramlich residence. Comunicato stampa Si comunica che Presso il Centro Italo-Tedesco Villa Vigoni a Loveno di Menaggio in Provincia di Como si sta svolgendo in questi giorni la seconda edizione dell’Accademia di Architettura, i cui partecipanti, martedì 26 febbraio hanno visitato la Valsassina seguendo un itinerario tematico proposto dai rappresentanti della Comunità Montana e sono stati ricevuti in Provincia dall Assessore al Territorio e Trasporti Pierfranco Mastalli e dal Dirigente arch. Ernesto Crimella per un inquadramento conoscitivo dei luoghi oggetto di studio. Si tratta di un’esperienza didattica di alto livello formativo in collaborazione fra la Facoltà di Architettura di Darmstadt e la Facoltà di Ingegneria di Ancona, imperniata sul tema Città e Montagna, focalizzata nell area montana della Valsassina, Val d Esino, e Valvarrone. L’Accademia di Architettura si avvale di contributi seminariali e di conferenze di alcune personalità di rilievo nell attuale panorama scientifico nel campo della progettazione e composizione: il prof. Luigi Snozzi di Locarno, il prof. Emilio Battisti del Politecnico di Milano, il prof. Stefano Boeri, attivo presso IUAV di Venezia e il Berlage Institute di Rotterdam, il prof. Cino Zucchi del Politecnico di Milano. L’Accademia di Architettura prosegue i suoi lavori fino al 6 marzo sotto il coordinamento dell arch. Rita Colantonio dell Università di Ancona e degli architetti Vera Martinez e Christiano Lepratti dell’Università di Darmstadt e con la collaborazione degli architetti Susanne Lehmann (TU Darmstadt) e Giovanna Paci (IDAU Ancona). Anche in questo caso le attività realizzate a Villa Vigoni forniscono un contributo significativo all’analisi di problemi centrali del territorio circostante. Giovedì 7 marzo i risultati dei lavori verranno presentati a Villa Monastero, a Varenna, grazie all ospitalità della Provincia di Lecco, e discussi con alcuni rappresentanti delle istituzioni locali direttamente coinvolte: la Provincia stessa, e la Comunità Montana Valsassina, e i rappresentanti degli enti patrocinanti: la Regione Lombardia e gli Ordini degli Architetti di Sondrio e Lecco. Lecco, 4.3.2002 Milano Informazione 40 CITTABILE, vivere e muoversi tutti in autonomia e libertà Nel dicembre scorso la sala Impluvium della Triennale di Milano ha ospitato un Seminario intitolato CITTABILE, vivere e muoversi tutti in autonomia e libertà, indetto dall’Istituto italiano design e disabilità (IIDD) e dal Centro europeo di ricerca e promozione dell’accessibilità (CERPA). Questi due enti hanno dato vita nel 2001 ad una iniziativa culturale denominata Design for All che consiste nel progettare ambienti, prodotti, servizi e sistemi tali da risultare sufficientemente flessibili e utilizzabili in modo diretto (cioè senza dover ricorrere a successive modificazioni o elementi aggiuntivi) da parte di persone che presentano un’ampia gamma di abilità, in relazione al maggior numero possibile di situazioni che si possono presentare nel corso dell’esistenza. In occasione della Giornata Internazionale della Persona Disabile (3 dicembre) e del seminario alla Triennale di Milano, l’IIDD e il CERPA hanno premiato le persone che maggiormente si sono distinte nella diffusione di una cultura dell’integrazione e dell’uguaglianza. Quest’anno l’iniziativa, che avrà cadenza biennale, ha conferito la Targa di Riconoscimento Premio alla Carriera all’architetto Antonio Ornati e al dottor Piergiorgio Mazzola, pionieri ed anticipatori della cultura dell’accessibilità e della piena integrazione delle persone disabili. Antonio Borghi Deliberazioni della 96° Seduta di Consiglio del 11.2.2001 Domande di prima iscrizione presentate nel mese di dicembre 2001 (n. 72, di cui 57 architetti unicamente l.p. e 15 architetti che svolgono altra professione): 12668, Ascolese, Barbara Nadia Carmela, 19.9.1972, Milano; 12718, Beretti, Andrea, 10.2.1974, Busto Arsizio; 12716, Bertolini, Paola, 8.2.1972, Sesto S.Giovanni; 12658, Biffi, Alessandro, 23.11.1974, Milano; 12676, Boccato, Gianpiero, 25.12.1967, Milano; 12690, Bonan, Maria, 6.6.1954, Padova; 12679, Borioli, Elena, 11.5.1974, Castellanza; 12654, Borsani, Stefano, 13.11.1973, Busto Arsizio; 12665, Brivio, Lara, 4.3.1967, Milano; 12666, Cacciatore, Giovanna, 24.1.1969, Bollate; 12667, Canevari, Laura, 31.8.1971, Milano; 12662, Carena, Silvia, 6.12.1971, Milano; 12652, Carpi De Resmini, Mauro, 16.2.1972, Milano; 12693, Ciccioni, Claudio Adriano, 17.3.1972, Milano; 12672, Cicioni, Daniela, 5.1.1971, Milano; 12673, Cicioni, Manuela, 5.1.1971, Milano; 12717, Colnago, Sabrina, 17.12.1974, Mon- za; 12714, Colombo, Luca, 11.8.1973, Seregno; 12657, Colombo, Paolo, 25.2.1969, Milano; 12709, Conti, Gianluigi, 31.5.1970, Vimercate; 12712, Corti, Giorgio, 6.1.1972, Monza; 12699, Cortini, Angela, 20.4.1967, Milano; 12705, Costa, Mauro, 29.1.1970, Milano; 12694, De Masi, Laura, 16.3.1973, Milano; 12706, De Ponti, Luca Attilio, 14.6.1971, Desio; 12659, Distaso, Rosario, 13.10.1973, Milano; 12688, Fattiboni, Francesca Chiara Maria, 24.6.1973, Milano; 12722, Fedegari, Daria, 11.6.1963, Pavia; 12675, Forleo, Claudio, 6.1.1972, Rho; 12661, Fortunati, Andrea, 27.6.1968, Milano; 12655, Franco, Fabrizio Nicola Angelo, 18.1.1974, Milano; 12656, Gaddoni, Cristina, 9.2.1972, Milano; 12663, Galbusera, Katia, 24.12.1971, Monza; 12715, Gennari, Paolo, 9.6.1975, Castel San Giovanni; 12703, Gonella, Cesare, 16.10.1975, Seregno; 12686, Gozzi, Francesca, 21.5.1974, Milano; 12664, Griotti, Giulia Daria, 11.5.1971, Milano; 12723, Guizzetti, Cristina, 12.4.1963, Bergamo; 12707, Iddas, Giuseppe, 10.8.1972, Ozieri; 12719, Lanzoni, Ivan, 4.11.1972, Milano; 12696, Lombardi, Angelo Massimo, 13.11.1969, Rho; 12681, Lombardi, Tiziana, 1.4.1971, Campobasso; 12697, Lostumbo, Franco, 26.12.1968, Rho; 12650, Mariani, Elena, 2.7.1974, Monza; 12724, Martignon, Luca Giuseppe, 15.7.1962, Busto Arsizio; 12701, Mazza, Rossella, 11.1.1963, Milano; 12713, Mazzolari, Silvia, 17.3.1972, Venezia; 12651, Medaglia, Davide Enrico, 30.10.1967, Milano; 12685, Melzi, Annalisa, 20.9.1973, Milano; 12700, Miceli, Antonio, 26.12.1968, Vibo Valentia; 12698, Mirandola, Vanni, 6.9.1955, Villimpenta; 12710, Monnini, Claudio Ottorino Rodolfo, 12.5.1965, Milano; 12689, Nespoli, Fabio, 2.5.1973, Giussano; 12687, Nicolussi, Stefano, 6.12.1973, Vimercate; 12720, Pasquinelli, Sonia, 28.11.1974, Milano; 12678, Pastori, Raffaella, 2.6.1972, Inveruno; 12653, Patrizio, Barbara, 14.4.1973, Sesto S.Giovanni; 12669, Percudani, Stefania, 27.8.1972, Milano; 12711, Pessina, Cristina, 20.2.1976, Monza; 12680, Pierro, Saverio Natale, 25.10.1972, Milano; 12725, Piraino, Luca Letterio, 13.1.1972, Trento; 12682, Pistola, Giovanna, 10.3.1965, Milano; 12674, Pizzonia, Andrea, 28.6.1973, Milano; 12671, Plebani, Davide, 23.2.1972, Milano; 12726, Poli, Cristina, 1.4.1965, Torino; 12727, Popisteanu, Cristina Nicoleta, 2.12.1950, Bucarest; 12684, Ricci, Giuseppe, 16.5.1972, Bergamo; 12721, Romano’, Andrea, 10.6.1971, Rho; 12702, Romano’, Miriam, 27.4.1972, Bollate; 12708, Rossetti, Matteo, 21.11.1974, Milano; 12670, Rudoni, Stefania, 19.4.1972, Viareggio; 12683, Sala, Stefano Am- brogio, 10.8.1968, Desio; 12728, Santeramo, Brunella, 3.1.1970, Matera; 12677, Sfredda, Alessandra, 23.11.1966, Milano; 12692, Simonetto, Carlo, 24.10.1973, Cantù; 12660, Tattoli, Elisa, 29.7.1974, Milano; 12704, Tripaldi, Tommaso, 12.3.1963, Limbiate; 12695, Truglia, Fabio, 10.5.1970, Legnano; 12691, Vangelista, Paola, 27.9.1967, Milano. Iscrizioni per trasferimento da altro Albo: Daria Fedegari da Pavia; Cristina Guizzetti da Bergamo; Luca Giuseppe Martignon da Varese; Luca Letterio Piraino da Trento; Cristina Poli in Guastamacchia da Torino; Cristina Nicoleta Popisteanu da Cagliari; Brunella Santeramo da Matera. Cancellazioni su richiesta: Fosca Agostinetti; Angelo Bernasconi; Bruno Bertuccioli; Noemi Maria Degli Occhi; Fabio Domenico De Marco; Ettore Manzoni; Cesare Mercandino; Anita Bambina Olgiati In Treichler; Diamante Maria Pirovano; Antonella Marica Riffaldi; Adelio Strada. Cancellazioni per decesso: Umberto Cantoni, Edoardo Carcano, Umberto Agudio. Cancellazioni per trasferimento ad altro Albo: Gloria Enrica Cerliani a Roma; Alice De Andreis a Imperia; Lucia Vitari a Firenze. Inoltre: Inserimento nell’Albo d’Onore: Angelo Bernasconi, Bruno Bertuccioli, Ettore Manzoni, Cesare Mercandino, Anita Bambina Olgiati in Treichler; cancellazioni dall’Albo d’Onore per decesso: Gianni Albricci, Paolo Andrea Sormani; Rilascio di n. 10 nulla osta per trasferimento ad altro Albo: Pierstefano Bellini e Francesca Romana Marino a Roma; Cristina Castelli e Mauro Furia Bonanomi a Lecco; Ettore Filograna a Lecce; Andrea Maria Morandi a Varese; Salvatore Regio e Marcella Rossin a Catanzaro; Umberto Roncoroni a Como; Rita Paola Spinelli a Udine. Pavia Seminario Abitare/Corpo: 4 gradi d’intimità Pavia, Santa Maria Gualtieri Curatore Architetto Luca Micotti • Luisa Bonesio, Professore di Estetica Attraversare la soglia lunedì 18 marzo 2002 ore 21 • Massimo Morasso, Scrittore L’opera della vista e l’opera del cuore. Nove modi di guardare una finestra lunedì 15 aprile 2002 ore 21 • Vittorio Ugo, Architetto Hestía: il luogo e il rito del desinare lunedì 6 maggio 2002 ore 21 • Claudio Risé, Psicanalista In fondo è il letto lunedì 27 maggio 2002 ore 21 A un anno dal seminario Appartenere Rappresentare Costruire / Paesaggio luogo della mente, gli architetti pavesi si riuniscono nuovamente per riflettere sui temi più vivi del fare architettura. Con questo seminario ci occupiamo della casa, osservandola dall’originale angolatura scelta dalla Commissione Cultura dell’Ordine e dagl’illustri relatori ospiti. Davanti ai formidabili mutamenti in corso, che coinvolgono il pensiero, l’economia, il costume e le abitudini (anche il nome del nostro Ordine professionale quest’anno è cambiato in seguito all’”armonizzazione” europea) si sente il bisogno di fermarsi a riflettere. Anche quest’anno ci interrogheremo insieme a tutti i cittadini che vorranno farlo con noi, perché i temi più profondi dell’abitare non appartengono ai “tecnici” ma all’intera comunità. Marco Bosi Presidente dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Pavia Prosegue con questa seconda serie di conversazioni la riflessione suggerita dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Pavia e da noi calorosamente sostenuta sul senso dell’abitare, frutto della coscienza di appartenere al mondo ed anche strumento per modificarlo attraverso il nostro operato. Dal Paesaggio luogo della mente, tema dello scorso anno, si dialoga ora sulla casa, sullo spazio dell’intimità domestica come luogo del corpo. Dall’esterno, dalla visione che noi abbiamo del mondo che ci circonda, agli interni della nostra quotidianità, agli spazi consueti, conosciuti, rassicuranti, che soddisfano i nostri bisogni primari, la fame, il sonno, l’amore. Ma anche, dall’altro lato, che separano, a volte limitano, accentuano il disagio di vite parcellizzate sempre più solitarie. Ecco quindi che la casa, e la progettazione architettonica che la crea, deve dialogare con il corpo, seguirne le esigenze e “costruire” benessere anche dello spirito. Per questo motivo, come già sperimentato con successo, gli incontri accolgono contributi multidisciplinari: filosofia o meglio geofilosofia, estetica, letteratura, psicanalisi e architettura. Dialogare e interrogarsi ha senso infatti solo quando lo si fa da punti di vista e di pensiero diversi, perché la vita è complessa, è reale e Eligio Gatti Assessore Cultura, Turismo e Promozione della Città - Comune di Pavia Nelle numerose “Annunciazioni”, dipinte dal Beato Angelico, lo spazio del portico-vestibolo, in cui avviene l’evento, rappresenta il luogo che per eccellenza esprime le proprietà dell’abitare. È lo spazio della soglia che si pone a cerniera fra spazio esterno aperto, che qui assume il carattere di giardino-eden pieno di luci e colori, e lo spazio domestico dell’interiorità raccolto nella penombra e impastato in una materia omogenea. La porta è un semplice vano aperto in un muro bianco che lascia appena intravedere la presenza di una vita interiore segnata da pochi oggetti di arredo: una panca o un tavolo oppure un letto, pudicamente velato da una tenda. Quasi sempre appare, in fondo, una piccola finestra posta in alto che vuole essere segno dell’abitare interno piuttosto che affaccio sul paesaggio. Essa non porta la luce, ma solo l’aria fresca che rende confortevole il viverci. Solo il loggiatovestibolo ha il ruolo di appropriarsi del paesaggio e di collegarlo al puro atto artificiale della stanza che diventa altro dalla natura, poiché essa protegge l’uomo dalle avversità e lo isola da tutto quanto è esterno alla sua intimità. Non è un caso che, in questi dipinti, l’esterno venga rappresentato dal giardino-eden, dopo la cacciata, in cui domina il tema del rimorso e della sofferenza. Ma ciò che è ammirevole è che tutto questo è sfondo di un racconto in cui i due personaggi, l’An- gelo e la Madonna, sono essi stessi metafore delle due strutture spaziali. Il messaggero, lieve e ubiquitario, domina lo spazio esterno del movimento e, da lontano, le sue ali lo hanno trasportato sulla soglia della casa presso cui si ferma e annuncia la notizia. La futura madre, lo accoglie seduta. Essa è lì, ferma, come la sua casa, poiché appartiene ad un luogo e lo abita. Quei semplici arredi sono il segno del focolare, del convivio, del riposo e dell’amore. Remo Dorigati Abitare L’essenza del costruire è il “far abitare”. Il tratto essenziale del costruire è l’edificare luoghi mediante il disporre i loro spazi. Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire. Pensiamo per un momento a una casa contadina della Foresta Nera, che due secoli fa un abitare rustico ancora costruiva. Qui, ciò che ha edificato la casa è stata la persistente capacità di far entrare nelle cose terra e cielo, i divini e i mortali nella loro semplicità (einfältig). Essa ha posto la casa sul versante riparato dal vento (…). Essa non ha dimenticato l’angolo del Signore (Herrgottswinkel) dietro la tavola comune, ha fatto posto nelle stanze ai luoghi sacri del letto del parto e dell’“albero dei morti”, come si chiama là la bara, prefigurando così alle varie età della vita sotto un unico tetto l’impronta del loro cammino attraverso il tempo. Ciò che ha costruito questa dimora è un mestiere che, nato esso stesso dall’abitare, usa ancora dei suoi strumenti e delle sue impalcature come di cose. Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire. Il richiamo alla casa contadina della Foresta Nera non vuol dire affatto che noi dovremmo e potremmo tornare a costruire case come quella, ma intende illustrare, con l’esempio di un abitare del passato, in che senso esso fosse capace di costruire (Martin Heidegger). Heidegger non è nostalgico. La ricerca Costruire Abitare Pensare è contemporanea, e diremmo assonante, con le sperimentazioni dei maestri dell’architettura moderna. Oggi, a cinquant’anni esatti dalla sua pubblicazione, davanti alla progressiva perdita di luogo sia come cancellazione delle differenze fra i luoghi, sia come perdita della capacità di rapporto simbolico con i luoghi dell’abitare (Luisa Bonesio) filosofi e architetti tornano sugli stessi interrogativi. Il panorama domestico (e urbano) contemporaneo, sempre più uniformato da standard igienici e produttivi, e falsamente rassicurato dal gusto vernacolare, dal mito tecnologico e dall’ossessione conservativa, sollecita immaginazione. Sollecita progetti d’architettura sensuali, aperti, plurali. Nati da un abitare capace di narrare. Corpo Il seminario si interroga sullo spazio domestico osservandolo come luogo del corpo. L’architettura (scrive Peter Zumthor) ha con la vita un rapporto soprattutto corporeo (…) recipiente sensibile per il ritmo dei passi sul pavimento, per la concentrazione del lavoro, per il silenzio del sonno. L’indagine guarderà alle relazioni abituali e narrative che il nostro corpo intrattiene con l’abito di pietra (Marinella Cantelmo) della nostra abitazione. Il corpo che arriva fra le mura domestiche, prende cura di sé, si alimenta e riposa, il corpo nudo di Eros e Thànatos, quello trasognato nelle stanze di casa, il corpo costretto da un abitare confinato, aiuteranno a rinnovare la percezione delle cose appiattita dall’abitudine (Hans Robert Jauss). Quattro gradi d’intimità La soglia: luogo della dialettica identità/alterità. Luogo del ritrovare, del distacco, dell’attesa, dell’irruzione dell’inaspettato (Annunciazione). La finestra: apertura filtrata dalle gelosie, sigla dell’intimità conquistata dentro le mura domestiche (il Bacio di Edward Munch e il bacio di Compleanno di Marc Chagall). Luogo dell’intimità violata (François Truffaut) nel voyeuristico Finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, oggi surrogato dalla televisione. La tavola: centro della cena famigliare, con i bambini e la tovaglia bianca (sposa). Luogo della vergine del focolare, del rito ebraico femminile dell’accensione delle candele il sabato, della liturgia della mensa (pane/corpo) cristiana. Il letto: grado più intimo dell’abitare domestico. Giaciglio, nizdos, nido. Ma nido domestico, nido nuziale, rimanda alla dimora: chiude il cerchio di questa intimità. Luogo del corpo, luogo domestico, luogo architettonico formativo dell’immaginazione: spazio creativo che si genera nella relazione madre bambino e si amplia nel processo di separazione-individuazione. È lo spazio della creazione, del linguaggio e della narrazione; gli oggetti narrano, ovvero possono essere ascoltati nei loro racconti se questo spazio si è costituito, altrimenti in luogo di un dialogo creativo vi sarà quella che Winnicott ha indicato come compiacenza, adattamento ad uno spazio occupato da oggetti silenti e persecutori nella loro algida estraneità. (Furio Ravera) Luca Micotti Bibliografia Martin Heidegger, Saggi e discorsi (a cura di Gianni Vattimo), Milano 1976 Luisa Bonesio, Terra, singolarità, paesaggi, in Orizzonti della geofilosofia, Casalecchio 2000 Peter Zumthor, Pensare Architettura, Baden CH 1998 Marinella Cantelmo (a cura di), Il castello il convento il palazzo, Firenze 2000 Hans Robert Jauss, Apologia dell’esperienza estetica, Torino 1985 François Truffaut cit. in Il Morandini 2001, Bologna 2000 Furio Ravera, in AL, n° 5, maggio 2000 Attraversare la soglia De limine /trans limen - ricalcando l’alternativa fra stasi e attraversamento che oppose Martin Heidegger e Ernst Jünger sul problema della linea del nichilismo - potrebbe essere sintetizzata la questione che pone la soglia: linea divisoria e barriera opposta a chi pretende di entrare in uno spazio identificato, e/o apertura per l’ingresso in un luogo d’incontro e accoglienza, amicizia e ospitalità. E, come ogni apertura, schiusura all’irruzione dell’altro, dell’evento che potrebbe vanificare la pretesa di protezione e rassicurazione all’interno di termini de-finiti, della delimitazione di un heimlich, una domesticità consacrata e riparata, privatezza sottratta alla sovraesposizione del pubblico. Apertura/chiusura, identità/alterità, entrata/uscita, stasi/movimento, privato/pubblico, domestico/estraneo; ma anche solitudine/amicizia, introversione/socialità, emarginazione/solidarietà. Forse occorre prima di tutto domandarsi da quale lato ci collochiamo, pensando alla soglia: sul suo versante interno, aprendo (o chiudendo) la porta alla venuta dell’estraneo; o, al contrario, dalla parte del fuori, di chi si accinge a entrare per (ri)trovare uno spazio d’intimità e accoglimento? La soglia, linea sottile, e innanzitutto simbolica, dell’attraversamento segna più che mai l’indecidibilità straniante tra io e altri, identità e alterità, mostrando che ciascuno può trovarsi dall’una e dall’altra parte, attraversato dall’impossibilità di arroccarsi in una stabile chiusura o di votarsi a un’erranza senza protezione. Soglia come figura emblematica del passaggio, più che mai cruciale, di un’epoca che, non sapendo più abitare ed essendosi lasciata alle spalle tutte le soglie e tutte le chiusure alla volta dell’indefinita estensione tecnica del nichilismo, si trova ad affrontare il paradosso di un mondo senza porte e senza finestre che non siano virtuali. Luisa Bonesio insegna Estetica nell’Università di Pavia e Geofilosofia nel Corso di formazione per la tutela e la valorizzazione dei siti preistorici lombardi e nazionali a Milano. Studiosa del pen- 41 Informazione ideale, conscio e inconscio, poesia e prosa, profondità e banalità e molto altro ancora. Informazione 42 siero di Nietzsche, Spengler, Jünger e di estetica del paesaggio e di geofilosofia, si sta dedicando da alcuni anni all’elaborazione di un pensiero delle differenze territoriali, con particolare attenzione alla montagna e alle regioni alpine. Tra i suoi scritti più recenti: Geofilosofia del paesaggio, Mimesis 1997 e 20012”; Passaggi al bosco. Ernst Jünger nell’era dei Titani (con Caterina Resta, Mimesis 2000), Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia (Arianna, in stampa). Ha curato e postfato vari volumi, tra cui la raccolta di AA.VV., L’anima del paesaggio tra estetica e geografia (Mimesis 1999), e i collettanei, di cui è anche coautrice, Geofilosofia (Lyasis 1996); Appartenenza e località: l’uomo e il territorio (SEB 1996); Orizzonti della geofilosofia. Terra e luoghi nell’epoca della mondializzazione (Arianna 2000), Ernst Jünger e il pensiero del nichilismo (Herrenhaus, in stampa), La montagna e l’ospitalità. Le Alpi tra selvatichezza e globalizzazione (Arianna, in stampa). L’opera della vista e l’opera del cuore. Nove modi di guardare una finestra Nel corso del secondo novecento, la finestra ha cambiato volto. L’apertura sul microcosmo del vicinato e sullo sconfinato del paesaggio, le scene condivise della nostra storia, sembra sostituita, oggi, dallo schermo globale della televisione e di internet. Le finestrine dei “personal computer” e i megaschermi ad uso “home theater” si stanno rivelando sempre di più come le cartine di tornasole di un’intimità familiare problematica, che spesso non riesce ad essere che un surrogato domestico di un montante disagio sociale. Ridotta la distanza virtuale fra noi e il mondo, è aumentata al contempo la distanza fisica tanto fra noi e l’altro da noi, quanto, a prima vista paradossalmente, fra noi e noi stessi. La perdita di centralità della finestra nell’abitazione contemporanea, può essere letta come un segno di ciò che appare come un irreversibile processo di disgregazione di quel tessuto affettivo in qualche modo unitario in cui è andata ordendosi per secoli la trama delle nostre relazioni più essenziali. Squalificata la finestra a mera funzione aeroilluminante, l’occhio tende a chiudersi alle dimensioni dell’aperto, e da organo di percezione sottile rischia di ridursi alla misura di una miopia che non vede più il divenire spettacoloso del mondo ma, piuttosto, la sua rappresentazione voyeuristica, il suo simulacro tecnologicamente mediato. In questo senso si può dire che all’habitus cui fino al cosiddetto postmoderno corrispondeva un compito singolare e inesauribile di svelamento delle immagini - l’opera del cuore nell’ultimo ventennio è andato sovrapponendosi una sorta di filtro derealizzante che blandisce la coscienza collettiva con un troppo di immagini - l’opera della vista - per l’esperienza delle quali, a rigore, non c’è nemmeno bisogno dell’integrità senziente di un corpo, né dell’intenzione che questo corpo situa di volta in volta in un tempo e in uno spazio. A una visione più o meno ingenuamente simbolica del mondo, si contrappone adesso una visione da caleidoscopio, se non da Wunderkammer: dove osservante e osservato non sono che gli attori, su differenti piani, di una medesima illusione. Al declino e quasi alla scomparsa dello sguardo contemplativo, sanno resistere, più degli altri, gli artisti, e fra gli artisti, in particolare, i poeti, questi forzati all’interrogazione continua circa il nesso cruciale che lega il visibile e la sua ombra alla loro dicibilità. Il secolo che ci siamo lasciati alle spalle, ha dato ampia, appassionata testimonianza di un pensiero asistematico, il pensiero rivelativo proprio della grande poesia, che ha fatto della finestra uno dei temi privilegiati della sua indagine intorno al senso dell’abitare, cioè, in ultima istanza, intorno al senso dell’aver cura. Seguire alcuni passi di nove maestri della parola (e di qualche loro compagno di viaggio) intorno al luogo comune della finestra può aiutarci forse a comprendere ragioni e sragioni della svolta epocale in cui siamo coinvolti. Massimo Morasso laureato in Lettere, ha tradotto e curato in volume testi di W.B.Yeats, Y.Goll, N.S.Momaday ed E.Meister. È redattore di “clanDestino” e “La Clessidra”, nonché dei quaderni di scrittura “Arca”. Suoi interventi critici e creativi sono comparsi su varie riviste, fra le quali “Hortus”, “Origini”, “Poesia”, “Testo A Fronte”, “MicroMega”, “L’area di Broca”, “Antologia Viesseux”, “Humanitas”. Autore di una trilogia poetica (La leggenda della primavera, 2000), come poeta è presente in alcune antologie, tra cui Il pensiero dominante. Poesia italiana 1970-2000, a c. di F.Loi e D.Rondoni, Garzanti, 2001. Ha ideato e promosso numerose iniziative editoriali. È direttore del muvita di Arenzano, l’unico centro di animazione culturale in Italia interamente dedicato alle scienze e alle tecnologie ambientali. Hestía: il luogo e il rito del desinare La metafora analogica tra micro- e macro-cosmo, tra corpo umano e corpo costruito dell’edificio attraversa l’intera storia delle teorie architettoniche, da Vitruvio a Le Corbusier, da Filarete a Hugo Häring. Abitare significa, anche, aver l’abitudine a un dato ambiente, al cui corpo il nostro è “abituato”; un’abitudine per così dire “attiva”: si abita “una” casa o “una” città, piuttosto che “in un” luogo; e il progettare è un saper istituire la forma di tale rapporto, dal momento che - Heidegger - “soltanto sapendo abitare si potrà costruire.” Un momento intimo e rituale dell’abitare è certamente quello del pranzo, quello nel quale il corpo si alimenta e in qualche misura si rigenera; ma è anche quello della convivialità, del “Simposio”, dello stare insieme, del conversare, della stasi, di una forma di riposo. Nella Grecia classica, la dea Hestía presiedeva a questo momento rituale, anche alla scala urbana: una koiné Hestía -banchetto comune - era allestita nella piazza in occasione delle feste e dei ricevimenti delle ambascerie. Divinità femminile, dea del centro, del focolare (a Roma diverrà Vesta) e dell’attesa, Hestía era complementare a Hermês, il dinamico messaggero posto a protezione delle soglie, dei trivi e quadrivi, dei viandanti, degli scambi, del commercio (a Roma diverrà Mercurius e darà l’etimo alla parola “merce”), dei ladri. In un’epoca di fast food in cui sovente non si pranza ma si rifornisce il corpo, in cui costruiamo cucine rigorosamente separate dai luoghi della convivialità, in cui questa si riduce spesso a uno scambio affrettato di notizie, in cui il televisore ha sostituito il camino, occorre forse ripensare il rito del desinare, il luogo che l’accoglie e che esso contribuisce a definire, i ritmi temporali, l’”abitudine” che ne abbiamo e il rapporto che il nostro corpo ne riceve rispetto al corpo dell’architettura. Vittorio Ugo architetto e professore ordinario presso il Politecnico di Milano, ha insegnato “Progettazione”, “Teoria e storia dei metodi di rappresentazione”, “Storia della critica”, “Geometria” e “Rilievo”. Ricerca prevalentemente nel campo della teoria dell’architettura e della rappresentazione architettonica. Tra le sue opere: “Paesaggio, architettura” (1984), “Laugier e la dimensione teorica dell’architettura” (1990), “La questione architettura” (con R. Masiero, 1990), “I luoghi di Dedalo” (1991), “Kritéria” (1994), “Fondamenti della rappresentazione architettonica” (1994), “Architectura ad vocem” (1996), “Stile” (con E. Franzini, 1997). Ha pubblicato numerosi saggi sulla teoria, la storia e l’estetica dell’architettura in opere collettive e riviste italiane e straniere. Su questi temi, ha tenuto seminari e conferenze anche in Canada, Francia e Giappone, dove è stato più volte visiting professor. In fondo è il letto Il letto è, ancora, in fondo. Infatti, nel processo di progressiva esposizione al pubblico che accompagna il rapporto tra gli abitanti della casa e il mondo che li guarda, e cui essi guardano per trovare uno stile abitativo, il letto rimane comunque il luogo “finale”, quello, inevitabilmente misterioso, in cui l’abitazione gioca la propria esistenza, e il proprio futuro. Esso rappresenta, ed occupa, uno spazio/tempo liminare, di contatto tra il mondo di veglia e quello del sonno, tra quello della coscienza e quello dell’inconscio, tra quello del dovere e della stanchezza e quello del piacere e del riposo. Inoltre esso rimane il luogo centrale della procreazione, e del rapporto - soprattutto a livello fantastico - tra gli attuali membri della famiglia e quelli futuri, che prenderanno forma proprio in quel luogo. Che ricorderanno, nei sogni, per gran parte della vita. E che in quel luogo rimarranno esposti, da morti, allo sguardo dei discendenti. In quanto immagine di confine, e di contatto, il letto è anche luogo di confronto, e di conflitto. Non a caso tutte le visioni religiose vedono il giaciglio come territorio strategico, in cui si decide lo stile e la direzione di tutto il resto della vita. Incontro e confron- to con l’altro, con gli Dei, con i demoni, il letto definisce un campo energetico che raccoglie forze di origine, e direzione, contrastante. Dalla sua capacità di accoglierle, e comporne le dissonanze senza spegnerne la forza, dipende, in modo non solo metaforico, il benessere dell’individuo, e della piccola comunità in cui si muove. Spazio orizzontale per eccellenza, esso viene tuttavia incorporato nelle avventure della verticalità umana: dal letto si prega, e si sogna. È in quel luogo che si affaccia, più che in ogni altro spazio, la possibilità dell’estasi. Per tutte queste ragioni, ed altre ancora, il letto è in fondo. Claudio Risé psicoanalista e scrittore, ha sottolineato nel suo lavoro la relazione tra dinamica psichica e simboli del corpo, della cultura materiale, e della natura primordiale. Ha così aperto in Italia la riflessione sui riflessi del mondo Selvatico nella psiche individuale e collettiva col libro: Il maschio selvatico. Ritrovare l’istinto rimosso dalle buone maniere ( Red edizioni ), giunto oggi alla IX edizione, continuandola poi nei lavori successivi, fino al recente: Donne Selvatiche. Forza e mistero del femminile, scritto con Maria Paregger (Frassinelli). È membro dell’Istituto per gli studi Superiori Gerolamo Cardano, del Comitato Scientifico di Fondazione Liberal, e Chargé de Récherches alla Fondazione Eranos di Ascona. • Organizzatori Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Pavia, 3 piazza Dante 27100 Pavia, telefono 038227287 Comune di Pavia, Assessorato alla Cultura,Turismo e Promozione della Città 2 piazza Municipio 27100 Pavia, telefono 03823991 • Patrocinatori Provincia di Pavia Università degli Studi di Pavia • Curatore del Seminario Luca Micotti, Architetto, Responsabile della Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Pavia • Discussant Prof. Remo Dorigati, Architetto, Docente di Composizione Architettonica presso il Politecnico di Milano • Sponsor Edilcommercio S.r.l. S.S. 35 dei Giovi, Certosa di Pavia, telefono 03829361 [email protected] Mobili Guidotti S.n.c., 338 via Emilia, Broni, telefono 038551288 • Bookshop Durante i mesi del seminario testi dei relatori saranno disponibili alla Libreria Il Delfino, 11/a piazza Vittoria 27100 Pavia (di fronte a Santa Maria Gualtieri), telefono 0382539384, [email protected] • Progetto grafico Luca Micotti, Architetto • Supporto multimediale Nico Papalia, Architetto • Stampa Tipografia Popolare, 4/a via San Giovannino, Pavia, telefono 0382572774, [email protected] [email protected] locali, come il soggiorno e la cucina in marmo di Varenna. I nuovi proprietari la ribattezzarono Villa Mainona, formandone il nome con le loro iniziali: Mai=Meier, No=Northia (l’unica figlia dei signori Meier), Na= Napoleone (padre della signora Angela Severini Meier) (2). La casa del custode (mappale 1629), erroneamente ritenuta in alcuni articoli come Villa Meier, fu ricavata dalla rimessa per auto e carrozze, alla quale furono aggiunte le due scale po la demolizione della villa Becker già Mack, e l’acquisto di tutto il terreno (1924), fa riferimento su espressa richiesta dei committenti Meier, al giardino all’italiana di Villa Colonna a Roma, proponendo una rivisitazione classica in chiave rococò, in cui si inserisce molto bene la settecentesca Tarocchiera ottagonale (6). Avendone constatato la perizia e il valore, il Comune lo chiamò per alcuni anni a fare parte della Commissione Edilizia, nell’ambito del- “casa di villeggiatura” dietro il giardino Meier, di fronte al campo da tennis; l’architetto Lingeri fu per anni loro fiduciario, e sicuramente li consigliò nella ristrutturazione del loro palazzo, portandolo alle forme regolari attuali. Intanto il signor Roberto Meier era divenuto Presidente della De Angeli Frua. Le opere di Pietro Lingeri a Milano, legate a questi due nominativi, sono cosa notoria. Lucia Pini Pietro Lingeri, l’architetto nato a Tremezzo Pietro Lingeri nacque a Tremezzo nel 1894 in frazione Bolvedro; qui visse e lavorò nei primi tempi della sua lunga carriera come architetto e anche dopo il suo trasferimento a Milano, vi ritornò regolarmente, e vi morì nel 1968. Qui si verificarono alcuni avvenimenti decisivi che incisero positivamente sul corso della sua vita professionale, come l’incontro con i signori Meier e i signori Rustici. Il signor Roberto Meier, commerciante di cotone, originario di Zurigo, appartenente alla ricca comunità protestante di Milano, e abitante in Corso Venezia al numero 73, aveva acquistato nel 1918 dalla famiglia Riva una grande tenuta a Tremezzo sul lago di Como, contenente parecchi fabbricati tra cui la villa patronale ottocentesca, Villa Hortensia (mappale 436). Quest’ultima fu danneggiata da un incendio, forse doloso, nel 1919, quando i militari che la occupavano stavano smobilitando l’edificio e tutto il giardino adibito ad autoparco e deposito carburante (1). Il Lingeri fu probabilmente incaricato di ristrutturarla sia all’esterno che all’interno, provvedendo anche all’arredo e al rifacimento di alcuni 43 simmetriche esterne (3). Nel 1925-26 realizzò la serra con le limonaie e ristrutturò nello stesso stile la serra già esistente (4). L’edificazione della Quinta scenografica sul retro del parco è dovuta alla richiesta della signora Angela Severini Meier di erigere un muro decorativo che risolvesse il problema del dislivello tra il piano del tennis e il terreno costeggiante la strada comunale, sulla proprietà ex-Peduzzi acquistata nel 1928 (5), e sulla quale era stato creato il campo da tennis e il chioschetto adibito a bar con gli affreschi del De Amicis evocanti la vendemmia, sul bancone rotondo. Per il parco a lago, creato do- Villa Meier (allora Hortensia) prima dell’intervento di Lingeri. In primo piano la vecchia chiesa (demolita nel 1892), sullo sfondo la Tarocchiera. Particolare del parco a lago ispirato a Villa Colonna. Villa Meier com’è oggi, dopo l’intervento del Lingeri che modificò il tetto e aggiunse il corpo scala esterno. la quale progettò e diresse altri lavori. Nel 1931-32 l’Ente Villa Carlotta gli affidò la progettazione di una passerella pedonale sul terrazzo della Darsena di Villa Carlotta (ora demolita), per cui chiese e ottenne l’autorizzazione prefettizia di usare il cemento armato (7). Risale agli stessi anni la costruzione dell’edificio ormai famoso dell’A.M.I.L.A. realizzato con il permesso di edificare strutture in cemento armato sotto la sorveglianza dell’ing. Augusto Pini, come tecnico di fiducia della Reale Prefettura, con il quale collaborerà poi per il Lido di Bellagio (8). I signori Rustici, residenti a Milano in corso Sempione, possedevano a Tremezzo una Note 1. Lettera della signora Angela Severini Meier, datata 2 ottobre 1919. 2. Notizia fornitami dal Marchese Oberto Pinelli Gentile di Castel Tagliolo, figlio della signora Northia, e unico nipote dei Meier. 3. In questa casa, con le mansioni di custode e giardiniere, dimorò fino alla fine degli anni ‘60 la famiglia Pesenti, di cui un figlio tuttora vivente, abita ancora in Comune di Tremezzo. 4. Lettera di Pietro Lingeri, datata 30 novembre 1926. 5. Lettera della signora Angela Severini Meier del 6 gennaio 1929. 6. Lettera del signor Meier all’architetto Lingeri, datata 16 maggio 1927. 7. Progetti Lingeri del 12 settembre 1931 e dell’11 gennaio 1932. Concessione del Prefetto del 9 febbraio 1932. 8. Lettera del Podestà all’architetto Lingeri del 26 aprile 1932. Informazione Lettere Stampa 44 Rassegna a cura di Manuela Oglialoro Informazione Ambiente La disfida dell’elettrosmog. La giunta regionale non applicherà la distanza di sicurezza (da “la Repubblica” del 1.3.02) Franchi tiratori nella maggioranza e in Consiglio regionale passa una legge che alla maggioranza non piace per niente. Vieta antenne su scuole, asili, ospedali, centri sportivi. Dovranno essere sistemate a 75 metri di distanza. C’è un iter da rispettare che prevede tempi lunghi. La legge su questo punto è molto chiara” spiegano all’ARPA, l’Agenzia regionale per l’Ambiente. I Comuni “devono riprendere in mano i piani regolatori, identificare gli edifici vicini alle antenne e verificare se è rispettata la distanza prevista. Se non è rispettata entro due anni le antenne devono essere spostate”. Intanto gli impianti proseguiranno nel loro lavoro. Perché “esercitano un servizio pubblico in concessione governativa”, ottenuta sborsando miliardi. Se il Comune si fa verde. Le Iso 14000 sempre più importanti per la riqualificazione turistica del territorio (da “Il Sole 24 Ore” del 13.2.02) Utilizzare le risorse ambientali come materia prima per attirare i turisti. È questa la ricetta vincente a giudicare dall’impatto che la certificazione ambientale Iso 14001 ha avuto sullo sviluppo turistico di Jesolo, Celle Ligure, Capri e Cesana Torinese. Quattro esempi di amministrazioni pubbliche che hanno deciso di scommettere sulla qualità ambientale dei propri territori per incrementare servizi e soddisfare le diverse esigenze della collettività. Costruzioni La certificazione resta fuori casa. Manca un soggetto che garantisca l’acquirente su tutti i requisiti dell’abitazione. Confedilizia: serve un ente privato (da “Il Sole 24 Ore” del 13.2.02) Se si parla di mercato immobiliare abitativo le considerazioni che prevalgono negli acquirenti troppo spesso prescindono dalla qualità in senso generale per concentrarsi su questioni certo importanti, come l’ubicazione o l’aspetto esteriore del bene, o più semplicemente il prezzo, ma non aiutano ad affrontare l’acquisto nel mo- do corretto. La casa non è un prodotto che si possa facilmente scomporre in un limitato numero di elementi, tutti controllabili e verificabili. La qualità è una somma di caratteristiche che difficilmente sono tutte soddisfatte al meglio. Negli anni scorsi erano sorti alcuni istituti di certificazione immobiliare, come Iiq-Qualitalcasa, con sede a Milano, promosso dall’Associazione di piccoli proprietari Confappi. Ma sono esperienze che non hanno conosciuto una reale diffusione. Diverse sono le ambizioni di Confedilizia, la maggiore associazione della proprietà immobiliare, che ha avviato da poche settimane un’analisi della situazione per ripartire da zero con la creazione di un’istituzione nuova o la promozione di una già esistente. Fa discutere il libretto delle istruzioni (da “Il Sole 24 Ore” del 13.3.02) Sul “Libretto del fabbricato “ si scaldano i motori. E gli animi. La proposta, ormai di qualche anno fa, è di elaborare una specie di volumetto, simile ai libretti d’uso e manutenzione dei macchinari, dove indicare la situazione giuridica, costruttiva e urbanistica dell’immobile. Ma trova su fronti opposti le due principali organizzazioni dei proprietari: l’Uppi (piccoli proprietari) è favorevole, mentre decisamente contrarie sono Confedilizia e Alac (amministratori condominiali). Energia L’acqua di falda usata come combustibile (da “Il Giornale “ del 6.3.02) Combattere l’inquinamento e rendere più respirabile l’aria della metropoli e della provincia milanese utilizzando e sostenendo lo sviluppo di fonti di energia rinnovabile ed alternativa in grado di ridurre le emissioni tossiche dei gas ad effetto serra. È l’obiettivo di un programma di interventi che la Provincia di Milano ha avviato firmando un protocollo d’intesa con la Regione Lombardia e il Comune. La campagna “Aria pulita” parte da due progetti sperimentali di impianti solari fotovoltaici, che sfruttano cioè l’energia solare per produrre energia elettrica, in via di realizzazione in due scuole milanesi, l’Itis Lagrange e l’Itis Molinari e in tre istituti di Legnano. Utilizzerà invece l’energia geotermica prodotta dall’acqua di falda anziché gasolio e metano l’impianto di climatizzazione a pompa di calore in costruzione in un palazzo della Provincia in corso di Porta Vittoria che consentirà un risparmio energetico del 39% e ridurrà del 40% le emissioni di anidride carbonica. Paesaggio Alla Statale corso post laurea per esperti del verde urbano (da “Il Giornale” del 18.2.02) Riqualificare Milano grazie all’Università. Ripristinare l’estetica del patrimonio verde di una piazza della città, rendere di nuovo funzionali gli spazi, restituirle la dignità di crocevia pubblico eliminando le cause di de- grado ed esaltandone l’identità storica dell’insieme architettonico. E quanto potranno fare i partecipanti del corso di perfezionamento in Progettazione del verde degli spazi urbani all’Università degli studi di Milano. Infrastrutture Nel 2006 pronta una nuova tangenziale (da “Il Giornale” del 20.2.02) Le tangenziali milanesi raddoppiano. Grazie ad un documento firmato a Palazzo Isimbardi che certifica la nascita della società che avrà in compito di promuovere “un’opera storica, ha detto il Presidente della Provincia, Ombretta Colli, un nuovo anello di tangenziali capace di alleggerire il traffico e contrastare lo smog”. Della compagine fanno parte Milano-Serravalle, gestore delle attuali tangenziali e autostrade (32% di quote a testa), Intesa (20%), Milano-Torino e Brebemi, il consorzio per la superautostrada Milano-Brescia, entrambe con l’8%. La Provincia entrerà in società nelle prossime settimane, con il 15%. Milano Al via i lavori in corso Como, Garibaldi e Ticinese. Proteste dei commercianti. Il Comune: residenti soddisfatti (dal “Corriere della Sera” del 22.2.02) Telecamere per proteggere le isole pedonali, dove i marciapiedi verranno allargati e compariranno tavolini e oggetti d’arredo. Nel giro di un paio di mesi verrà attivato un sistema di controllo elettronico all’ingresso delle tre nuove zone a traffico limitato. In corso Garibaldi, corso Como, corso di Porta Ticinese la circolazione sarà consentita solo ai residenti, ai taxi e alle ambulanze oltre che, dalle 8 alle 11 del mattino, ai mezzi di scarico. I commercianti infuriati annunciano iniziative di protesta e sostengono di aver subito finora un calo negli affari del 30%. Nel frattempo l’amministrazione presenta i progetti di Arredo Urbano per le tre zone. Urbanistica, direttore indagato. “Abuso d’ufficio per il maxi parcheggio d Linate” (da “la Repubblica” del 14.2.02) Sale di livello l’inchiesta per il Maxi parcheggio di Linate: la procura ha iscritto nel registro degli indagati il direttore centrale dell’area pianificazione urbana Emilio Cazzani. Tutto gira intorno ad un’area non edificabile di 20.000 mq acquistata da una società, la Sosemi, nel 2000. Pochi mesi dopo il passaggio di proprietà, un atto del Comune la fa diventare edificabile. Moltiplicandone il valore. La Sosemi - che già aveva preso accordi con la Mc Donald e la Esso - comincia i lavori che però vengono bloccati dalla procura: quella struttura è proprio nel cuore della zona rossa, troppo vicina alla pista, laddove non si potrebbe piantare neppure un palo. Traffico e barconi i nemici dei Navigli. Malara e Rota: serve un solo ente gestore (dal “Corriere della Sera” del 13.3.02) Navigli: sono il simbolo e l’emergenza di Milano e delle città lombarde. Sono l’esempio di come, il sovrapporsi delle competenze, sia un ostacolo da rimuovere. Tutti hanno preso dai Navigli e nessuno ha dato” accusa Empio Malara, presidente dell’Associazione Amici del Navigli, “La Regione se ne è infischiata e Milano ha fatto una politica contro. Una autorità unica è necessaria; ma bisogna far capire due cose: i Navigli non sono una nostalgia del passato ma una risorsa del futuro. L’acqua e il turismo sono risorse. Inoltre, è necessario che aumenti il senso civico, e che i cittadini spingano le amministrazioni a vare un progetto complessivo”. Lavori per le sponde dei Navigli. Accordo fra Regione e Comune (da “Il Giornale” del 13.3.02) Un bando di gara prestissimo, per avviare i lavori sulle sponde dei Navigli. E poi l’annuncio che a fine marzo riaprirà al traffico via Chiesa Rossa. Per quanto riguarda il consolidamento dei precari argini dei Navigli, a rischio ogni volta che piove pesantemente, Il Vicesindaco Riccardo De Corato ha annunciato un accordo con la Regione Lombardia, che divide con il Comune le competenze, che dovrebbe portare presto ad un bando di gara per l’appalto dei lavori di rafforzamento. Professione Sugli Albi la spinta della Ue Cambierà l’iter per riconoscere i titoli di architetto e le regole per le prestazioni di servizi (da “Il Sole 24 Ore” del 5.3.02) Si impongono a suon di sentenze della Corte di Lussemburgo (o grazie agli interventi della commissione) le regole Ue sulle professioni finalizzate alla libertà di circolazione. È sempre la Corte Ue a spronare l’Italia a semplificare l’iter per il riconoscimento dei diplomi nell’area di architettura. Infine, l’apertura dei piccoli appalti (sotto la soglia comunitaria) alle società di ingegneria dovrebbe mettere fine ad un contenzioso con Bruxelles, prima che la parola sulla questione passi ai giudici. Tariffe, parte la corsa all’adeguamento. E i commercialisti pensano già di reintrodurre le sanzioni per il mancato rispetto dei minimi (da “Il Sole 24 Ore” del 21.2.02) Il salvacondotto rilasciato dalla Corte di Giustizia Ue sulle tariffe decise dall‘Autorità pubblica, su proposta di un Ordine, rilancia la corsa all’aggiornamento dei corrispettivi professionali minimi e massimi, All’indomani della sentenza relativa, i Consigli nazionali riorganizzano i dossier sulle tariffe prima di presentarli al Ministro della Giustizia. A chiedere la rivisitazione delle tariffe è anche Sergio Polese, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, che per quanto riguarda gli onorari a percentuale e a quantità sono ferme al 1987: fanno eccezione i corrispettivi a vacazione che sono stati modificati nel 1997, portando gli importi da 18mila a 110mila (da 9,3 a 56,8 euro). a cura di Antonio Borghi Milano autocritica I lettori che seguono questa rubrica dal marzo dello scorso anno avranno notato una certa vena critica che la attraversa, rivolta soprattutto nei confronti delle vicende milanesi. Me ne rendo conto e talvolta mi propongo di correggere questa impostazione sia nel tono che nell’oggetto, ma d’altra parte è innegabile che la stragrande maggioranza dei contributi che troviamo sui giornali a proposito del capoluogo lombardo sono di natura critica, e nemmeno la rubrica di questo mese farà eccezione, se non per il carattere particolarmente appassionato e costruttivo della critica stessa. Altra peculiarità della rassegna di questo mese è il fatto che nessuno degli articoli citati è scritto da architetti, e nemmeno riguarda l’architettura in senso stretto, quanto piuttosto la città e i modi di abitarla. Mi scuso nei confronti di chi considerasse queste delle inutili divagazioni e colgo l’occasione per invitare i colleghi a segnalare temi ed articoli di interesse specifico, magari riguardanti questioni degli altri capoluoghi lombardi, e che potrebbero essere affrontati in questa sede. Iniziamo con un articolo di Geminello Alvi, dal “Corriere della Sera” del 28 ottobre 2001 che si intitola Diario di un forestiero in città. I distratti di Milano. “Dietro il finestrino del treno per Milano il cielo è basso sulla pianura, che scorre via velocissima, e resta sempre più uguale, premuta dalla nebbia. Dalle coste adriatiche tra le Romagne e Ancona si va così meditabondi, perché non c’è più il mare a svagarci con le ignavie di casa. Delle quali, in quel concentrarsi di pianura nebbiosa, è pur vero un poco ci si pente anche, e si diverrebbe melanconici; non fosse per il fatto che si viaggia verso l’Occidente e l’agire. Noi in terre papaline e di Bisanzio siamo irretiti da un agire per dispetto, sovente senza altro fine che quello di raccontarlo. Perciò il viaggio a Milano ci riscatta: lì c’è un fine, un esito diverso, forma ampia senza confini, e finalmente morbida, come questa nebbia, per i nostri atti. Come sono più morbidi qui i campi, gonfi tappeti tra i pioppi, e le periferie, fino alla stazione centrale che buona ci ingloba in un cielo convesso di ferro e vetrate. E a discendere le sue scale già ci si sente felici, come bambini cresciuti. Malgrado ogni se e però, questa resta la città che scuote, avvolge, desta all’agire. Eppure ormai, e da svariati decenni, i milanesi paiono non accorgersene. Stanno lì depressi, elettricamente operosi, ma sfiduciati. L’aria puzzava di più negli anni Sessanta. Ma allora c’era coscienza di questo agire avvolgente, ed esso levitava in calore. Bonomia ruvida, ma felice di sé. Adesso eclissata. Non tanto poi per i meridionali, che vi hanno importato atavici rancori tristi ma non solo. Il fatto è che proprio tutti i milanesi, antichi o nuovi, si sono di- menticati di cos’è Milano. Di che cosa enorme essa è per l’Italia e in sé. Torino separa; Roma stordisce e corrompe; solo Milano lievita, rinnova, ingloba. Eppure tutti, le donne che parlano più in fretta, come i tassisti, e i giovani ricchi del Giamaica paiono essersene dimenticati a memoria. Ma se si dimentica qualcosa è perché d’essa non v’è più coscienza. E cos’è, dove sta la coscienza d’una città? La risposta onesta è: nelle sue élite, non solo economiche. Dunque Milano ha perso il miglior senso di sé, per i difetti di chi in essa ha più potere. Non sono i tassisti pugliesi ad avere confuso Milano. Sono queste élite che a Milano non si vogliono più bene e hanno mollato, proprio come i tristi della sinistra e della destra che vi sono restati a far politica. Il traffico a Roma funziona ora meglio di prima. Ma Roma ha ogni suo pregio proprio nell’essere perduta. Essa non potrà mai emendarsi. Miliardi di recenti prebende la hanno soltanto imbellettata. Milano invece, seppure per il traffico e altri guai, sia certamente negli ultimi decenni regredita, può ancora riaversi. Per un viaggiatore dall’Esarcato bizantino è del tutto evidente. A Milano bene o male c’è ancora quanto non c’è altrove: un lievito-calore sano. E anche solo la minima, ma concentrata percezione d’esso basterebbe a rimediare un vivere che oggi è brutto. Ma che con poco, e questo fa rabbia, tornerebbe in sé. Perciò un fine settimana invece di salire nelle enormi barche su quel giulivo e biasimabile mare tirrenico, o perdere tempo con le pignolerie e le ripicche della politica, chi tiene a Milano dovrebbe badarci, e insistere sulle poche pratiche cose di cui abbisogna. Quindi mangiare leccornie smodate e poi nelle strade cadere per terra e nella nebbia finalmente confondersi, darsi la mano, e sentire quel morbidume ruvido, per cui tutto quanto di retorico si dice di Milano è vero. E commuoversi, così tornati civicamente più pratici.” Gli risponde Beppe Severgnini il 7 novembre sulla stessa testata col suo articolo I quarantenni e la città da usare. Autocritica su Milano. “Ho letto il bell’articolo di Geminello Alvi, e gli interventi che sono seguiti. Anch’io vorrei capire cosa sta succedendo a Milano. Senza dare la colpa a nessuno. Prendendomela, invece. Prendendomela a nome di un gruppo e di una generazione, quella dei professionisti e degli imprenditori che hanno oggi tra 40 e 50 anni. Per esser chiari: potremmo far molto per la città. E non lo facciamo. Milano ci dà più di quanto noi le diamo. Le offriamo, certo, le nostre competenze professionali; accettiamo posti in qualche consiglio, associazione, fondazione (e c’è chi pensa a sfruttare questi incarichi, invece di lasciarsi benevolmente usare, come sarebbe giusto). Ma non proponiamo, non inventiamo, soprattutto non ci arrabbiamo più. E dovremmo. Montanelli, che amava Milano di un amore bellicoso, mi diceva spesso: ‘Sai, una volta era diverso’. All’ inizio pensavo si trattasse di nostalgia. Poi ho capito. Indro aveva conosciuto e ammirato una generazio- ne che negli anni Cinquanta e Sessanta (quando aveva, appunto, 4050 anni) usò soldi e grinta per dar lustro e orgoglio a Milano. Spesso non aveva gusto: ma aveva il buonsenso da rivolgersi alle persone di gusto. Mi chiedo cosa stiamo facendo noi. Mostre e concerti? Non basta. Potrei invocare un’attenuante personale: appena posso ritorno a Crema, dove sono nato. Milano mi offre soprattutto il piacere del lavoro e il dispiacere del traffico. Ma non invoco attenuanti perché a Milano sono riconoscente, e le voglio bene: mi ha dato, moltiplicato per dieci, tutto quello che avevo sognato. La frequento, ho una piccola casa e alcuni ottimi amici, esco e vedo, discuto in privato, parlo in pubblico. E scrivo per il ‘Corriere della Sera’, che mi offre una magnifica plancia da cui osservare questo mare urbano mentre l’attraverso. Perciò mi sento di dire: non stiamo facendo a sufficienza. Noi, professionisti e imprenditori quarantenni, rispettiamo Milano, ma non basta. La usiamo dal lunedì al venerdì, e ce ne andiamo durante i fine settimana; d’inverno e d’estate, l’abbandoniamo appena possibile. Abbiamo case accoglienti con garage. La vergognosa condizione di una città che non riesce a impedire la sosta sistematica in doppia fila ci irrita, ma non ci sconvolge. Soprattutto, non ci offende. Invece dovremmo offenderci, davanti a questa e altre vicende (il menefreghismo dei guidatori col cellulare, i marciapiedi e le aiuole trasformati in gabinetti per cani). La vicende amare di Linate dovrebbero appassionarci (invece pensiamo: da quale altro aeroporto potremmo partire?). Il degrado della Stazione Centrale, dove Milano sembra Varsavia negli anni Settanta, dovrebbe spingerci a dire: questo è anche il nostro biglietto da visita, accidenti. Non possiamo accettare bar sciatti e affollati, scale mobili in eterna riparazione, cartacce, servizi primitivi. Dovremmo appassionarci e arrabbiarci, per Milano. Dovremmo proporre e cambiare, dovremmo tallonare il sindaco, che, anagraficamente, professionalmente, è uno di noi (e dirgli: se non ti lasciano risolvere questi problemi, che senso ha continuare?). Dovremmo amare Milano dell’amore rabbioso con cui i newyorchesi amano New York, e son riusciti a cambiarla, in dieci anni. Anche loro sono ‘morbidi ruvidi’, caro Geminello Alvi. Non rassegnati, però.” Concludiamo con una esortazione di Guido Martinotti, pubblicata sul “Corriere” del 24 ottobre 2001 col titolo: L’immagine della città nel mondo. Il buon gusto di Milano. “Harvey Molotch, chairman del Metropolitan studies center della New York University e ospite della Bicocca nei giorni scorsi, racconta di una pubblicità a piena pagina sul New York Times per ‘L’Isola’, un nuovo condominio di lusso a Manhattan. Chi comprerà un appartamento in questo condominio, vi si legge, ‘gusterà lo stile di vita sofisticato dei milanesi’. L’Isola non è proprio il quartiere più chic di Milano, ma l’aneddoto offre lo spunto per chiederci, con l’illustre sociologo americano, quali siano gli ingredien- ti che formano l’immagine di una città. Un tempo, per capire le caratteristiche di un luogo, si faceva soprattutto riferimento alla sua base economica, distinguendo, come fa ad esempio Weber, tra città industriali, città mercantili, città amministrative e città di svago, come i grandi centri termali. Oggi i sociologi hanno capito che le città hanno qualità estetiche e valori sociali che, pur non strettamente dipendenti dalla loro economia, vi si intrecciano in molti modi sottili, uno dei quali è l’importanza di quello che si chiama il ‘mercato interno’. All’inizio del Novecento tutti i prodotti di cosmetica portavano la firma ‘de Paris’, perché la Ville Lumière era stata meta di pellegrinaggio delle élite di mezzo mondo che vi cercavano la vita dorata celebrata dovunque da opere teatrali come la Traviata. Così la ragazzina di Levittown o la moglie del notaio di Lancusi, comperando il profumo o il barattolo di crema, si impadronivano di parte di quel mondo immaginario. I milanesi hanno sempre pensato alla loro città come brutta e industriale, ma è un’immagine parziale che trascura altri aspetti importanti della società ambrosiana, che Fellini pensava al maschile contro una Roma femmina. Se vogliamo provare una sensazione quasi fisica dell’immagine di Milano diffusa in tutto il mondo, andiamo a sentirci la suonata ‘Milano’ del Modern Jazz Quartet, registrata il 23 dicembre 1954. È un pezzo freddo, dolcemente intellettuale, di una Milano in bianco e nero, che non ha nulla a che vedere con il suono delle sirene o dei clacson di solito associato alla Milano industriale. Eppure, per le vie sottili di una cultura artistica che permetteva allora a Milano di essere considerata ‘uno dei più attivi centri di jazz d’Europa’ e ad artisti come Munari di produrre oggetti e disegni capiti e apprezzati dalle élite locali, si diffondeva anche tra le classi medie un gusto non chiassoso, riconoscibile ovunque. Tanto che i costruttori newyorkesi se ne servono come leva per cercare di vendere appartamenti di lusso. Purtroppo lo stile inaugurato dalla Milano da bere ha in parte bruciato questo patrimonio, introducendo una cultura televisiva sguaiata e chiassosa, che ha poco a che vedere con la ‘Milano’ del Modern Jazz Quartet. Se la società milanese perde quel buon gusto diffuso che permette all’industria della moda di utilizzarla come banco di prova e anche in parte come fonte di ispirazione, il mercato interno di questa importante industria rischia di inaridirsi”. 45 Informazione Riletture Libri,riviste e media a cura della Redazione 46 Rassegna di Giulia Miele Informazione informazione Ferruccio Luppi, Paolo Nicoloso (a cura di) Marcello D’Olivo. Architetto Mazzotta, Milano, 2002 pp. 212, € 29,00 Isabella Reale (a cura di) Marcello D’Olivo. Architettura e Arte Mazzotta, Milano, 2002 pp. 104, € 21,00 S.E.V. Edilizia sostenibile. 44 progetti dimostrativi ed. italiana a cura di Gianni Scudo e Silvia Piardi Esselibri-Simone, Napoli, 2002 pp. 134, € 15,00 Giovanna Massobrio, Maria Ercadi, Stefania Tuzi Paolo Portoghesi architetto introduzione di C. Norberg-Schultz Skira, Milano, 2002 pp. 320, € 60,00 Giorgio Piccinato Città e urbanistica nel mondo Edizioni di Comunità, Torino, 2002 pp. 150, € 15,00 Andrea Maglio Hannes Meyer: un razionalista in esilio. Architettura urbanistica e politica 1930-54 Franco Angeli, Milano, 2002 pp. 192, € 21,50 Regione Lombardia, Ass. Verdi Ambiente e Società “Guide di turismo ambientale”: • Edo Bricchetti, Stefania Chiaravalli, Alfio Rizzo I fossili del Lavoro. Percorso di Archeologia Industriale • Cristiana Leopardi, Ferdinando Moretti Foggia, Fabio Staffini Terre ed Acque. Testimonianze, Riserve, Monumenti Naturali • Mario Allodi, Rita Sicchi Giardini lombardi. Itinerari nella storia dei giardini • Mario Allodi, Rita Sicchi Paesaggi e ambienti in Lombardia distribuzione gratuita tel/fax 02 66104888 Una rivista a misura di lettore Tensostrutture: principi, esempi e normative Adriano Olivetti “costruttore” Arch’it, rivista digitale di architettura diretta da Marco Brizzi, è nata nel 1995 per volontà di un gruppo di giovani architetti uniti dall’intenzione di lavorare con determinazione sui sistemi digitali. L’ambiente culturalmente favorevole all’interno del quale è nata e l’apertura tematica ampia hanno fatto sì che Arch’it si offrisse ben presto come strumento di informazione sullo stato dell’architettura, destinato a mettere in contatto figure in cerca di nuovi percorsi d’indagine, spesso marginalizzate rispetto ai flussi tradizionali della cultura architettonica. Tra questi i giovani architetti italiani hanno rappresentato e rappresentano un ampio campo d’indagine che si può scorgere nella sezione “Architetture”. Un altro tema di studio è quello strano arcipelago di idee e di ipotesi legate all’avvento del digitale. Sono nate così sezioni come “Extended Play” o “In a Bit” nelle quali si raccolgono saggi e testimonianze sulle influenze della digitalizzazione in architettura. Numerosi ambiti legati all’informazione si aggiungono a quelli citati. Tra i più utili, lo spazio dedicato ai concorsi di architettura, di cui Arch’it offre gratuitamente i bandi raccolti e fatti circolare all’interno di ICN, International Competitions Network. Nello spazio relativo alle “News”, la pubblicazione quotidiana di informazioni raccolte nella stampa nazionale e internazionale produce una sostanziosa rassegna integrata con segnalazioni di eventi culturali. La struttura di Arch’it riflette l’impostazione di una rivista cartacea, nelle cui pagine si sono però progressivamente formati e sviluppati numerosi ambiti tematici. In questo senso, pur confermandosi strumento accessibile anche per un pubblico legato all’idea tradizionale di magazine, è come se Arch’it fosse un insieme di riviste, ciascuna delle quali allestita per un suo specifico lettore. Grande incremento hanno avuto le costruzioni con membrane, grazie alle insolite realizzazioni di Otto Frei, frutto delle sue ricerche a Berlino sulle strutture leggere. Con il termine di tensostruttura, assai più sintetico e fisionomizzante delle denominazioni usate nella letteratura inglese e tedesca (hanging roof e hängende dach, entrambi traducibili come copertura sospesa o appesa e pertanto limitativi della categoria considerata), si intendono in generale le strutture nelle quali predomina la più semplice delle sollecitazioni, ossia quella di trazione; strutture caratterizzate cioè dal fatto che il compito che sono chiamate ad affrontare, ossia il riporto a terra di forze applicate nello spazio, viene appunto assolto con una opportuna organizzazione di membrature lavoranti, in massima parte a sollecitazioni di trazione e taglio. Queste sono le parole esplicative, redatte da Giulio Pizzetti e Anna Maria Zorgno Trisciuoglio del Politecnico di Torino, per l’edizione italiana, che qui viene presentata e con cui il libro inizia. Rispetto a quella originale, essa ha in più, oltre ai loro estesi contributi, anche una sezione dedicata alla normativa italiana in materia. Riguardo a vele, film e membrane, il libro presenta concetti eterogenei, evidenziando la molteplicità di un nuovo modo di costruire, con materiale leggero e sottile, per grandi luci, senza sostegni e per generare una molteplicità infinita di superfici, veloci da realizzare, a curvatura spaziale, lievi alla vista, trasparenti o translucide; illustra i criteri di progettazione, le scelte compositive consentite e fornisce un’ampia selezione di edifici realizzati, corredati da particolari, disegnati in scala. Hans-Joachim Schock, strutturista, è stato docente all’Università dell’Oregon e membro dell’Istituto per le strutture leggere di Stoccarda. Presentato come guida al Museo a cielo Aperto dell’Architettura Moderna (Maam) di Ivrea, questo libro, pubblicato nei tipi della Biblioteca di Architettura Skira, costituisce uno studio articolato sulla figura di Adriano Olivetti “costruttore” e, particolarmente ricco di immagini, spesso riproduzioni dei disegni conservati all’Archivio Storico Olivetti, consente di leggere il progetto che Olivetti ha approfondito, chiarito, cercato di compiere in tutta la sua attività “edilizia”. I due autori ordinano per temi della vita civile le parti di questo progetto e, come in un manuale, le opere stabiliscono tra loro regole e questioni sulle quali una generazione di architetti e intellettuali si interrogarono e cimentarono dagli anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta. Ivrea è stata il laboratorio, ed oggi è il museo di quella straordinaria esperienza, che era ricerca di un’architettura in grado di ricostruire il paese, di dare alla gente scuole, fabbriche, uffici, case e città migliori. Studiati, attraverso il giudizio dell’architettura e dell’urbanistica, questi progetti “esemplari”, mostrano un continuo approfondimento delle soluzioni per la costruzione dei luoghi della città, e si configurano come la verifica e la messa a punto di un’idea civile, alla luce della quale Adriano Olivetti ci appare appunto costruttore piuttosto che collezionista. La città come luogo collettivo per eccellenza e, ad un tempo, come elemento ordinatore nella costruzione del territorio è il tema che in ogni lavoro Olivetti sembra cercare ed è in questo senso che ognuno di questi progetti ci pare “esemplare”. In questi interessi si trovano le ragioni dell’attualità di quella esperienza e questo libro, un po’ guida ed un po’ manuale, descrive bene questo interessante tentativo di costruire un’alternativa per il futuro del territorio e del paesaggio italiano della seconda metà del ‘900. Roberto Gamba Paola Giaconia Arch’it www.architettura.it Giuseppe Mazzeo Hans-Joachim Schock Atlante delle tensostrutture Utet, Torino, 2001 pp. 216, € 67,14 Patrizia Bonifazio, Paolo Scrivano Olivetti costruisce. Architettura moderna a Ivrea Skira, Milano, 2001 pp. 182, € 20,00 Love & fun design Idealità nella costruzione della città Archivi, progetti, figure Count Down non è esattamente una rivista d’architettura. Si tratta di numeri monografici sulle proposte per il prossimo millennio che Italo Calvino voleva esporre nelle sue celeberrime Lezioni Americane. La struttura di Count Down è doppia: raccoglie sia le cartoline dedicate al tema, sia gli scritti o le interviste sul tema stesso. Sono cioè presenti le opere d’arte da una parte e le riflessioni degli artisti dall’altra. Il fondatore e direttore di questo semestrale, Massimo Randone, è infatti un architetto, abituato a pensare in termini di composizione. Tutte le riviste delle avanguardie architettoniche degli anni Venti e Trenta sono state un’indagine, ognuna a modo suo, sulla relazione tra discipline compositive diverse. Alle architetture si affiancavano pitture e opere poetiche, grafiche o anche musicali. Mentre si precisava la figura dell’architetto, la disciplina si confrontava con le altre arti. La chiarezza dei risultati era determinata dalla conoscenza degli elementi propri dell’architettura e dalla consapevolezza d’uso dei procedimenti compositivi altri. Le Corbusier ha recuperato dalla cultura illuminista la parola Unità per mettere in evidenza il ruolo fondamentale che la progettazione assumeva in questo scambio. Il principio su cui queste monografie si fondano è quello che ciascuno dei temi proposti da Calvino per la letteratura, e cioè leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità, sia applicabile a qualsiasi arte compositiva. Da qui il continuo intreccio tra discipline, in una visione di queste molto più amplia e attuale, fino a far diventare la proposta di Calvino, da lui stesso indagata rigorosamente all’interno della letteratura, un puro espediente, utile a parlare del fare artistico. Count Down forse non è esattamente una rivista d’architettura, ma è sicuramente uno spazio di discussione sull’attualità, come Calvino proponeva pensando al nuovo millennio. Un conto alla rovescia. “Io vivo nel presente. Non sento la mancanza delle lampade ad olio. I bagliori di una luce al neon mi ipnotizzano allo stesso modo della fiamma di un focolare. Ai miei occhi la luminescenza elettronica ha la stessa intensità dei carboni ardenti, e le fibre ottiche esprimono lo stesso potenziale espresso dal lume di candela. La modernità allarga gli orizzonti del possibile in relazione all’immaginabile. Potere all’immaginazione”. Fabio Novembre non ha dubbi rispetto all’origine dei suoi lavori e non ha esitazioni nel descriverli col suo linguaggio iperbolico ed inequivocabile allo stesso tempo. Nella monografia sono documentati quattordici lavori in una raccolta di immagini che ne restituiscono fedelmente le atmosfere, corredate di brevi ed immaginifici testi. I progetti sono tutte architetture pubbliche (i locali Atlantique, Shu, Blu Disco, Bar Lodi, i negozi Blumarine, ecc.), e culminano nelle due realizzazioni più recenti e, dal punto di vista architettonico, più significative: l’Hotel Li Cuncheddi di Olbia e lo show room Tardini a New York. Nella prefazione Leo Gullbring individua in Joe Colombo, Verner Panton e Carlo Mollino le figure del passato più congeniali all’architetto leccese e ne interpreta il modo di progettare: “I lavori di Fabio Novembre hanno innegabilmente una dimensione spirituale. Come molti italiani, atei e timorati di Dio, Novembre pone le questioni esistenziali al di sopra del desiderio postindustriale di benessere materiale svincolato dalla responsabilità individuale. Sebbene materializzi nuove utopie, non si tratta degli universi della perfezione che caratterizzavano il modernismo (…) Il mito prende il sopravvento sul progresso, il modernismo, relegato nel passato, finisce per rappresentare il contrario di quello che prometteva di essere: una nuova forma di classicismo imprigionata in un universo neobarocco. Con un po’ di nostalgia per un paradiso che non ha potuto realizzarsi”. Dal punto di vista etimologico la parola moderno, di derivazione latina, è composta da modo, ora, e hodiernus, oggi; da ciò consegue la definizione di moderno come “ciò che appartiene o si riferisce al tempo presente”. Un ciclo di conferenze organizzato dalla Commissione Cultura dell’Ordine degli architetti di Lecco, ormai nell’autunno del 2000, si è soffermato ad indagare la questione della modernità e in particolar modo l’idea di costruzione di una città moderna. Professori, architetti e storici si sono occupati di alcune figure che hanno particolarmente influito nella definizione di una nuova idea di città: Ledoux, Garnier, Sant’Elia e Chiattone. A partire dalla conoscenza, e dalla conseguente critica, della città esistente ognuno di questi architetti ha formulato una nuova ipotesi per la costruzione di una città, moderna, che esprimesse cioè i valori della società loro contemporanea, e che a sua volta si ponesse come alternativa a quella esistente. Pensiamo a Ledoux per esempio e al nuovo modo di relazionare gli edifici con la natura che diventa il contesto del costruito e non più solamente lo sfondo, come accadeva nella città di pietra ottocentesca. Ciò che sta alla base di questo pensiero è una grande idealità, in alcuni casi utopica, che permette ad ognuno di questi architetti, come pure ad altri non indagati in questi incontri, di “sperare” in un mondo diverso che non prescinda però da quello attuale. In un momento in cui il dibattito sulla città sembra languire, l’iniziativa dell’ordine di Lecco mi pare particolarmente interessante. Essa infatti permette di tornare a sottolineare il ruolo “civile” dell’architetto in quanto interprete di una società e che in quanto tale, con il suo lavoro critico, ha il compito di prefigurare un mondo migliore che ogni cittadino possa riconoscere e in cui possa rispecchiarsi. A partire dal 1980, il CSAC, Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, riceve in donazione l’archivio di Gio Ponti. Il libro di Lucia Miodini, eloquente testimonianza dello studio approfondito di un archivio, descrive, attraverso saggi e schede critiche, il lavoro fatto. Gli scritti, oltre che gli aspetti metodologici della ricerca, affrontano la situazione della critica su Ponti e si soffermano sulla sua attività degli anni ’20 e ’30, a cui sono dedicate le schede. Viene dunque qui presentata solo una prima parte di materiali inediti del fondo - disegni e schizzi ottimamente pubblicati - che manifestano come l’interesse sia principalmente rivolto allo studio dei documenti, i quali vengono scandagliati anche per stabilire le relazioni che la proteiforme attività di Ponti ha avuto con il suo tempo. Un saggio introduttivo di Carlo Arturo Quintavalle, responsabile scientifico del CSAC, presenta il lavoro sottolineando l’attività dell’archivio parmense ed iscrivendola in una più generale posizione di valorizzazione dei materiali iconografici rispetto ad una tradizione archivistica che privilegia la scrittura letteraria: attenzione al documento inteso nel senso più ampio, in modo che la storia possa essere interpretazione di testimonianze e non racconto preordinato da preventive selezioni dei materiali di studio. In questo senso l’architettura di Ponti costituisce evidentemente un particolare campo di applicazione. È sufficiente infatti scorrere il regesto dei progetti di Ponti che conclude il libro, elenco impressionante per numero ed eterogeneità, per capire come il suo lavoro, a lungo non particolarmente considerato dalla critica e, invece, negli ultimi anni recuperato al dibattito, sia una fonte ancora non del tutto esplorata per importanti riflessioni sull’architettura italiana del 900. Simona Pierini Fabio Novembre (in inglese) Birkhäuser-Frame, Amsterdam-Zurigo 2001 pp. 176, chf 58.00 Count Down [email protected] Martina Landsberger Antonio Borghi Maurizio Carones Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Lecco Cos’è la modernità. Da Borromini a Gehry Stefanoni, Lecco, 2001 pp. 82 Lucia Miodini Gio Ponti. Gli anni trenta CSAC dell’Università di Parma Electa, Milano, 2002 pp. 256, € 41,32 47 Informazione informazione Su Count Down Informazione informazione 48 Edifici del Lavoro Tecniche di sconfinamento Rilievo della città di Lecco Progettare in legno La pubblicazione si presenta come un cofanetto contenente 5 cd con un libretto di testo e immagini ed è costituita da 240 schede di rilievo dell’edilizia industriale milanese dalla fine del XVIII secolo alla metà del XX. Ogni scheda composta da 4 pagine censisce di un immobile inquadramento generale, inquadramento urbanistico, stato di fatto e notizie storiche. Le immagini sono tratte dalla cartografia attuale redatta dal Comune di Milano per lo stato di fatto e normativo dell’area, dalla cartografia storica per le trasformazioni, dalle foto e dalla schede descrittive per documentare lo stato di fatto degli edifici. In alcuni casi ci sono disegni dell’archivio della commissione di ornato o immagini dell’iconografia della ditta che occupava gli edifici. Una carta, sulla base della carta tecnica regionale, localizza le schede sul sito e situa anche gli edifici non catalogati nella schedatura con punti colorati non meglio identificati. Un catalogo comporta sempre la formulazione problematica di quello che ne è escluso. In questo caso troviamo un elenco di siti di edifici non più esistenti e di siti censiti e non schedati che aiuta a comprendere l’estensione delle aree industriali milanesi e la complessità della loro conoscenza. Dopo aver consultato schede e liste, dopo la lettura della breve premessa metodologica, si concorda sul fatto che questo ampio lavoro di compilazione non può che essere “il nucleo fondamentale di una più vasta banca dati”. Ci si chiede tuttavia quali definizioni, fra quelle oggi possibili, per “catalogo” e “rilievo” siano a fondamento di questo lavoro, come sia implementabile e come si integri con altri, e infine quale idea di città configuri questo lodevole catalogazione, indispensabile nella bibliografia di chiunque si occupi della città. Prendendo le distanze da ogni narcisismo estetico tipico delle riviste di moda architettonica, così come dal mero tecnicismo di ogni rivista per addetti al settore delle costruzioni, la rivista Crossing è approdata sullo scenario editoriale con il merito di far luce su di un delicato nodo della pratica progettuale: il rapporto tra tecnica e architettura o, tra tecnica e cultura del progetto e sui nessi che le due discipline devono intrattenere per la buona riuscita di ogni intervento sul territorio. Suddivisa per numeri tematici, la rivista, sotto la direzione di François Burkhardt, scandaglia con insolita precisione di mezzi le conquiste della nuova scienza architettonica, sezionando la problematicità del percorso che una nuova pratica architettonica pare muovere verso le promettenti terre del progresso ipertecnologico. Tale percorso, tuttavia, presenta un andamento tutt’altro che lineare, marcato, piuttosto, da nodi e incroci problematici che, nell’ambito della discontinuità e della frammentarietà, portano la disciplina architettonica a misurarsi con nuove tematiche quali: massa, energia, informazione e globalizzazione. La perfetta e rara coincidenza della forma tecnica con la forma artistica sembra, pertanto, patrimonio esclusivo di alcune grandi infrastrutture, prese spesso in esame dalla rivista, nella cui realizzazione gli elementi costruttivi si misurano con le conquiste della tecnica e spesso, rivaleggiando con le leggi fisiche della natura, riescono ancora ad imprimere una nuova regola al territorio e al rapporto tra paesaggio ed architettura. Il resto sembra progressivamente appartenere a paradigmi non progettuali quali: caos, spontaneità, casualità e poetica personale. Del resto presto attingeremo dal catalogo digitale delle forme architettoniche tramite la tecnica del do it yourself o, se preferiamo, presto assisteremo al verificarsi di ogni profezia fantascientifica. Questo testo raccoglie parte dei lavori di una ricerca universitaria nazionale, avente come tema Il Rilievo scientifico come strumento di conoscenza dell’architettura e della città. Qui è descritto il rilievo compiuto dall’unità milanese, che ha come oggetto le fortificazioni della città di Lecco: struttura forse non amata un tempo, per gli oneri e i vincoli che sempre comportò, e non partecipata oggi. Mantenuta integra sarebbe forse potuta diventare un elemento di difesa da uno sviluppo indiscriminato del centro urbano. La ricerca storica ed iconografica è d’ottimo livello e restituisce un quadro completo dello sviluppo della città, ampliando lo sguardo su tutti gli avvenimenti che hanno colpito la comunità lecchese nei secoli. Il testo diviene così un’occasione per ripercorrere tutta la storia di Lecco. Si sperimentano, rivivendoli alla piccola scala di questa cittadina, fenomeni culturali che colpirono l’Europa tutta come i Grand Tours (la stampa di G. C. Perego che, indicando i luoghi manzoniani diviene anche souvenir e guida) o il primo impeto che porta la città ad “uscire dalle mura” sviluppandosi secondo nuovi assi viari. Non poteva chiaramente mancare un excursus sull’industria del ferro, chiave di volta dell’economia lecchese, che insieme allo studio sul PRG del 1941 conclude l’itinerario storico. Nel saggio conclusivo, a firma di Gian Luigi Lenti, e negli Apparati troviamo finalmente un’interpretazione del fenomeno urbano della città murata ed una sua documentazione iconografica. Il rilievo è notevole e ci permette di dare uno sguardo ad una parte segreta della città, facendoci scoprire tutta una rete di collegamenti sotterranei, un sistema destinato altrimenti a scomparire e ad essere dimenticato insieme alle mura, secondo una tendenza in atto da più di un secolo. Con una struttura a schede, il volume tratta in modo sintetico e sistematico, dei sistemi costruttivi o componenti in legno massiccio e ricostruito. Si affrontano gli aspetti relativi alle strutture portanti e ai pacchetti di chiusura e di partizione interna, cioè all’involucro edilizio, realizzabile con sistemi di carpenteria in legno. Nella prima parte vengono trattati temi di carattere generale e di classificazione, utili per inquadrare gli aspetti comuni delle diverse schede; nella seconda, queste forniscono informazioni di progettazione tecnico-morfologica con indicazioni su materiali e prodotti disponibili, impieghi relativi, patologie, norme e specifiche di prestazione, tecniche esecutive, opere edilizie (tipologie strutturali e organizzazione dei pacchetti di tamponamento), requisiti, prestazioni e stratificazione funzionale dei componenti e delle unità tecnologiche, dettagli costruttivi. Le schede classificano: opere in segati a quattro fili; opere in segati uso Trieste e uso Savigliano; opere in legno lamellare; opere in pannelli di legno ricostruito; opere in blocchi e tavelloni di legno ricostruito. Le schede sono suddivise in base alle opere eseguibili con le diverse alternative del legno massiccio e del legno ricostruito. In una terza parte vi sono i riferimenti bibliografici e normativi. L’autore, Pietromaria Davoli, architetto, è ricercatore universitario di Tecnologia, presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara. È inoltre tra gli autori del Manuale di progettazione edilizia - vol. 4 (Hoepli, 1995) e di Intonaci (Hoepli, 1996). Giulio Barazzetta Gaetano Lisciandra e Dario Vanetti (a cura di) Archeologia industriale. Catalogazione dei beni di archeologia industriale nel Comune di Milano Presidenza del Consiglio del Comune di Milano, 2002 Chiara Mariateresa Donisi Matteo Baborsky Crossing rivista semestrale di architettura e tecnologie promossa da Bticino Editrice Abitare Segesta Roberto Gamba A. Buratti Mazzotta e G.L. Daccò (a cura di) Le fortificazioni di Lecco. Origini di una città Electa, Milano, 2001 pp. 162, € 32,00 Pietromaria Davoli Costruire con il legno. Requisiti Criteri progettuali Esecuzione - Prestazioni Hoepli, Milano, 2001 pp. 252, € 24,79 Fotografia e paesaggi agrari Maurizio Bottini. Le colline moreniche del Garda Milano, Palazzo Affari ai Giureconsulti 16-25 novembre 2001 a cura di Ilario Boniello e Martina Landsberger Rassegna mostre Rassegna seminari Vincenzo Foppa, un protagonista del Rinascimento italiano Brescia, Museo santa Giulia, via Musei 81/b 3 marzo - 2 giugno 2002 Breraincontra N. Mac Gregor, Il nuovo ordinamento museale della National Gallery Milano, Palazzo di Brera, via Brera 33 15 maggio 2002, ore 17,30 tel. 02 72263203 La primavera del Vignola Vignola, Palazzo Contrari Boncompagni 30 marzo - 7 luglio 2002 Alessandro Tiarini. La grande stagione della pittura del Seicento a Reggio Emilia Reggio Emilia, Palazzo Magnani, Corso Garibaldi 29; Chiostri di San Domenico, via Dante Alighieri 11 24 marzo - 16 giugno 2002 New York Renaissance. Dal Whitney Museum of American Art Milano, Palazzo Reale 21 marzo - 15 settembre 2002 La Fornarina di Raffaello Milano, Fondazione Arte e civiltà, Musei di Porta Romana, viale Sabotino 26 13 marzo - 2 giugno 2002 Il neoclassicismo in Italia. Da Tiepolo a Canova Milano, Palazzo Reale 5 marzo - 28 luglio 2002 Cesare Monti (1891-1959). L’eleganza del colore Galleria d’arte Gio Batta Brescia, via Grazie 22b tel. 030 48854 20 aprile - 20 giugno 2002 Pollock a Venezia. Gli irascibili e la scuola di New York Venezia, Museo Correr, piazza San Marco; Mestre, Centro culturale Candiani, piazzale Candiani 7 23 marzo - 30 giugno 2002 Grande pittura Genovese dall’Ermitage. Da Luca Cambiaso a Magnasco Genova, Palazzo Ducale, piazza Matteotti 9 16 marzo - 30 giugno 2002 La seduzione della materia Milano, Spazio Oberdan, viale V. Veneto 2 22 marzo - 12 maggio 2002 Urban Reciprocity: Architecture & Urban Planning in Renaissance Rome Roma, The Studium Urbis, via di Montoro 24 3 giugno - 8 luglio 2002 www.studiumurbis.org Paesaggisti europei Milano, Museo Civico di Storia Naturale, Corso Venezia 55 João Ferreira Nunes 9 maggio 2002, ore 18,30 tel. 02 88463280 Gestione completa del processo dei materiali Milano, Arum Centro Convegni, via Larga 31 22-23 maggio 2002, ore 9-18 tel. 02 58376257 Corso di tecnico del verde Civica scuola di Arte e Messaggio Milano, via Giusti 42 tel. 02 33606851 Lab. di Paesaggio contemporaneo Milano, Acma Italian center for architecture, via A. Grossich 16 16-19 maggio: B. Podrecca, Disegno dello spazio pubblico; 30 maggio - 2 giugno: O. Bohigas, Riqualificazione del paesaggio urbano Rappresentazione del Progetto. Progetto della rappresentazione 1° Sem. internazionale delle discipline afferenti all’area della rappresentazione 13-14 maggio 2002 Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura Civile tel. 02 23995615 Corso di aggiornamento VI Facoltà di Ingegneria, Politecnico di Milano, via Bonardi 15 16 maggio: Tipologie di facciata a doppio involucro (c. specialistico); 17 maggio: Redazione di un capitolato (c. base) tel. 02 23996014 Tiziana Poli La fotografia, intesa come arte che rappresenta la realtà mutevole dei luoghi e che riesce a cogliere, in determinati momenti, la cristallizzazione effimera di un equilibrio estetico, ha sicuramente oggi un ruolo nel sostenere quell’attenzione diffusa per i temi dell’ambiente e del paesaggio che sono al centro del dibattito sulle peculiarità urbane e territoriali. La particolarità dell’espressione fotografica assume grande risalto quando la ricerca della rappresentazione più fedele di un territorio si unisce alla sua descrizione non solo paesaggistica e naturale ma anche storica ed antropica. Una tale felice sintesi è stata raggiunta nella mostra fotografica “Le colline moreniche del Garda”, di Maurizio Bottini. Le fotografie esposte si riferiscono al comprensorio di terre che si collocano a sud del Lago di Garda, prevalentemente comprese nella regione Lombardia, fra le provincie di Brescia e di Mantova. Il paesaggio delle colline moreniche del Garda è stato, nel tempo, pazientemente e alacremente costruito dall’uomo che ha saputo trasformare un ambiente naturale, di per sé arduo e difficile, in un ambiente prosperoso e ricco di coltivazioni. Negli anni Ottanta queste terre sono state inserite nel Consorzio di Bonifica Colli Morenici del Garda che, attraverso un programma avanzato di irrigazione, ha permesso il mantenimento e la valorizzazione del territorio rurale e dei paesaggi agrari. Attraverso le immagini a colori offerteci da Bottini si dispiega sotto i nostri occhi la visione di un paesaggio che, non a torto, si definisce come uno dei più belli della Lombardia: dolci colline e ridenti vallate sapientemente coltivate con piantagioni di vite, olivi, frutteti, mais e frumento, contesto ubertoso in cui ai paesaggi agrari si al- ternano elementi paesaggistici naturali, boschi, argini di fiumi, zone lacustri, sponde di lago. Tra gli aspetti che più contribuiscono a determinare le caratteristiche di elevato pregio ambientale di questo paesaggio vi è il rapporto con l’acqua: il Lago di Garda con le sue suggestioni, i suoi panorami, le sue sponde occupa un posto particolare nella distinzione di questo territorio insieme con il fiume Mincio, che lambisce tutto il comprensorio, ed altri specchi lacustri minori. Oltre al paesaggio e agli ambienti naturali, le altre sezioni della mostra sono dedicate alla presenza dell’uomo e alla memoria storica. Alcune immagini sono riferite ai luoghi ove le tracce degli eventi risorgimentali sono ancora vivide nel ricordo e nella storia del nostro Paese, i luoghi delle battaglie di San Martino e Solferino, altre descrivono gli ambienti storici, i borghi, le chiese, le torri, i castelli, i palazzi. La vita e il lavoro dell’uomo sono sottolineati da inquadrature di fattorie, case contadine, grandi cascine, descritte nella loro semplice struttura dagli elementi tradizionali, porticati, corti, colombaie, cantine. Infine viene affrontato il tema della contemporaneità: le fotografie ritraggono strutture per le attività industriali recenti, gli interventi di modificazione paesaggistica, le nuove infrastrutture viabilistiche. Queste immagini si possono interpretare quasi come un monito a spingere le Amministrazioni ad individuare le giuste politiche per avviare opere di salvaguardia dei delicati equilibri ambientali presenti nella zona, sia rispettando le esigenze dello sviluppo economico ed urbano, sia contenendone le conseguenze sul piano ambientale con un’adeguata pianificazione territoriale. Le fotografie della mostra sono raccolte nel volume: Le colline moreniche del Garda, (Sometti, Mantova, 2001), accompagnate da uno studio di Eugenio Turri. L’organizzazione della mostra e la pubblicazione del volume si inseriscono nel progetto Osserva.Te.R (Osservatorio del Territorio Rurale) a cura dalla Regione Lombardia. Manuela Oglialoro 49 Informazione Mostre e seminari Utopia e ricostruzione Città Architettura Edilizia Pubblica. Il Piano Ina Casa 1949-1963 Roma, Centro per le Arti Contemporanee 16 gennaio - 20 marzo 2002 Informazione 50 All’alba di un dopoguerra che impegnava l’Italia in una vasta opera di ricostruzione fisica e istituzionale, il Piano Ina Casa assume un ruolo centrale per estensione e consistenza, ipotecando, di fatto, i caratteri di buona parte della pratica architettonica a venire e, ancor più permanentemente il profilo della cultura costruttiva e d’impresa. “Queste case con le quali si ricostruisce e si popola l’Italia fanno paesaggio (…), l’architettura Ina Casa va guardata come nuovo paesaggio che sorge”, scrive Gio Ponti ancora nel 1954, cogliendo già allora il tratto saliente del Piano, cioè quel carattere di sistematicità o di organicità centralizzata che nei fatti (e chissà quanto consapevolmente) portava alla delineazione di un nuovo linguaggio nazionale, seppure attraverso la assimilazione al patrimonio genetico degli architetti moderni italiani dell’antimoderno dispositivo costruttivo tipico, il misto muratura e cemento armato, come ricorda Poretti nella Guida ai quartieri romani Ina Casa. La buona mostra di Roma ha soprattutto il pregio di restituire l’interezza di un’operazione estremamente vasta e complessa, normalmente conosciuta ai più attraverso i frammenti delle operazioni più celebri; nei locali del Centro per le Arti Contemporanee si trovano invece riunite le sezioni di una ricognizione che va oltre il tributo a specifici interventi. Nella sezione Il piano Ina Casa, 194963 sono illustrati i meccanismi di finanziamento e realizzazione, insieme ai risultati quantitativi del programma; l’accostamento alle sezioni propriamente documentarie è di particolare efficacia nel rivelare la filosofia politica ed economica di quegli anni, l’ispirazione cattolica della dimensione sociale del Piano e le scelte, che ancora paghiamo, di espulsione dell’innovazione tecnica in favore di un paternalismo programmaticamente retrogrado da cui la cul- tura d’impresa italiana non si è mai affrancata. Nella Sezione I quartieri: progetti e realizzazioni si dispiega l’illustrazione di molti interventi, noti e meno noti, il cui accostamento permette di cogliere contemporaneamente lo sforzo di codificazione sul piano costruttivo e di dettaglio e l’enorme patrimonio di varietà sviluppato in termini di tipi edilizi, aggregazioni, spazi aperti; dunque gli originali degli struggenti disegni di Ridolfi con la dimensione etica e strapaesana di una modernità altra e ripiegata, accanto agli aneliti sconfitti di cordiali moderni, i Daneri, i D’Olivo, lo stesso Libera. E ancora l’osservazione della dimensione urbana degli interventi, analizzata nella sezione La città contemporanea e gli spazi della città pubblica vuole rendere conto dei tentativi di rifondazione degli statuti di spazio pubblico e privato sullo sfondo di una messa a punto della città e del territorio contemporanei che solo in pochi casi riusciva a guardare oltre la dimensione finita e autosufficiente del quartiere o dell’unità “di buon vicinato”. La sezione Il cantiere e la costruzione infine, mette bene a fuoco le caratteristiche e le conseguenze di quegli indirizzi economici e culturali che hanno condotto la nostra architettura al compiacimento del linguaggio dell’arretratezza quale valore peculiare. La mostra Promossa dalla Facoltà di Architettura Università degli Studi Roma Tre, dal Dipartimento di Urbanistica IUAV, dal Dipartimento di Ingegneria Civile Università degli Studi di Roma Tor Vergata e dalla direzione per l’architettura e l’arte contemporanee Ministero per i Beni e le Attività culturali, accoglie anche una gustosa sezione di documenti filmati e fotografici, ed è affiancata da un piano di pubblicazioni tra cui segnaliamo: P. Di Biagi (a cura di), La grande ricostruzione. Il piano INA Casa e l’Italia degli anni Cinquanta, Donzelli, 2001; Direzione generale per l’Architettura e l’Arte contemporanee, Guida ai quartieri romani INA Casa; M. Gruccione, M.M. Segarra Lagunes, R. Vittoriani (a cura di), Gangemi, Roma, 2002; M. Bertozzi (a cura di), Il cinema, l’architettura e la città, Dedalo, Roma, 2001; Dip. di Ingegneria Civile dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata, L’INA Casa: il cantiere e la costruzione, Gangemi, Roma, 2002. Filippo Lambertucci Costruire il paesaggio Moving landscapes. Il paesaggio contemporaneo. Arte e architettura nei Paesi Bassi Roma, Sala 1, piazza di Porta San Giovanni (Scala Santa) 29 gennaio - 1 marzo 2002 Proprio per le caratteristiche fisiche proprie del paesaggio olandese, e cioè la fortissima omogeneità e piattezza, è parso evidente ai suoi abitanti che il paesaggio è una cosa da costruire e da progettare e non solo un fatto geografico esistente. Il progetto del paesaggio passò, prima, attraverso la composizione di immagini pittoriche e, poi, attraverso il pensiero architettonico che, nella seconda metà e soprattutto verso la fine del secolo scorso, ha trasformato e caratterizzato il territorio olandese. In prima istanza è di fondamentale importanza il “punto di vista”: il fare paesaggio è pensato non solo in termini estetici ma come costruzione tecnica del territorio; è quindi la costruzione di un paesaggio idraulico, tema fondamentale nei Paesi Bassi, di un paesaggio agrario, ma anche di un territorio attrezzato e quindi di un paesaggio di infrastrutture, e infrastrutture possono essere sia quelle di trasporto che quelle idrauliche, ma anche le strutture insediative che attrezzano un territorio sono infrastrutture: infrastrutture insediativo-residenziali. In tal senso la nouvelle vague olandese pensa alle nuove quantità di volume insediativo come ad una massa nuova da modellare nel territorio, (tema illustrato dal progetto di Monolab, Breda Sands Infrascape, del 1999) e trasforma strade, ponti (belli i due modelli di ponti di West 8 presenti in mostra), ferrovie in segni da comporre e calibrare alla scala territoriale; certamente in questo sta uno dei suggerimenti migliori che il mondo olandese sta fornendo all’architettura contemporanea: sono proprio queste grandi infrastrutture o la grandi masse edilizie che possono disegnare e dare forma al paesaggio e che hanno il peso di incidere, anche formalmente; sono questi gli elementi della composizione paesaggistica perché sono gli unici che hanno una scala comparabile, che hanno la stessa scala e quindi possono realmente assumere un peso nella composizione. L’importante è pensarli come architetture e non solo come manufatti tecnici; i segni delle infrastrutture si fondono quindi con l’architettura della città, diventano spesso “fatti urbani”. Il rapporto città-territorio è qui definito proprio da questi sistemi. Ma il fatto di far passare di “categoria” i manufatti tecnici e di pensarli sub specie architecturae non è il solo spostamento semantico operato degli olandesi. Questo passaggio era già stato provato e sperimentato dal movimento moderno, ma il passaggio alla grandissima scala e il controllo formale in una scala inusuale per l’architettura è stato filtrato dall’esperienza artistica. Forse la sperimentazione più proficua è stato proprio nell’esplorare questo cammino pensando al paesaggio come ad un bassorilievo, ad una scultura abitabile, pensando al montaggio di parti come ad un montaggio pittorico, fotografico o ancor più cinematografico. E forse è proprio così che si è superata l’impasse del cambio di unità di misura: dal grande al geografico. La mostra che è stata allestita a Roma è, in realtà, piccola, forse piccolissima e quindi tutti questi aspetti sono ridotti a spunti: espone opere di architetti e di artisti, mostra il mutare di scala, nello scorrere del tempo, degli elementi che compongono il paesaggio olandese, espone un progetto alla scala urbana ed un paio di progetti architettonici. Su tutto ciò si posa lo sguardo artistico e fotografico ad indagare sui nessi e a verificarne i risultati formali. Pisana Posocco La città borghese. Milano 1880-1968 Milano, Palazzo dell’Arengario 1 febbraio - 21 aprile 2002 “La cultura non è semplicemente la somma di parecchie attività, ma un modo di vivere”, scrive Thomas S. Eliot in Appunti per una definizione della cultura. Due mostre, aperte più o meno contemporaneamente, affrontano il problema della rappresentazione della cultura di un luogo, di una città - Milano e Roma - in un particolare periodo: Milano negli anni compresi fra il 1880 e il 1968, periodo contraddistinto dall’ascesa e dal declino di una nuova classe sociale, la borghesia imprenditoriale e Roma, negli anni compresi fra il 1948 e il 1959 periodo caratterizzato dalla cultura del Neorealismo della ricostruzione del dopoguerra fino ad arrivare alla vigilia del cosiddetto boom economico della Dolce Vita di Fellini. In questa sede ci occuperemo di analizzare la prima piccola mostra, ospitata negli altrettanto piccoli spazi espositivi dell’Arengario di Piazza Duomo. Il percorso della mostra si sviluppa seguendo due temi che si intersecano di continuo, i nomi, delle diverse famiglie “borghesi”, da un lato, i luoghi, dall’altro. Infatti, ogni grande famiglia si rappresenta in un particolare luogo: la Falck a Sesto San Giovanni, la Pirelli alla Bicocca, e così via. Al tema dei nomi è collegata una ricerca di documentazione relativamente all’attività produttiva svolta, da una parte, e a quella culturale, dall’altra. Ricordiamo, infatti, come alcune di queste famiglie - Jucker, Jesi - siano proprietarie di importanti collezioni d’arte moderna o, come nel caso dei Mondadori e dei Feltrinelli, le loro case divengono luogo di incontro e di dibattito culturale di intellettuali provenienti da tutto il mondo. Il tema dei luoghi coincide invece con quello della trasformazione della città. La costruzione dei nuovi insediamenti industriali, in città (Ansaldo) come pure nelle aree limitrofe (Sesto San Giovanni, La Bicocca, ecc.), comprensivi anche dei quartieri di residenza degli operai che nelle nuove fabbriche lavorano, rappresenta forse l’elemento che con maggiore evidenza influisce sulla trasformazione dell’immagine di Milano, in questi anni. Eppure anche la sua struttura residenziale si modifica. La zona Magenta - XX Settembre diventa, insieme alla zona Venezia, il luogo di concentrazione delle abitazioni della nuova borghesia milanese che, proprio secondo la definizione di cultura proposta da Eliot, qui sperimenta nuovi modi di vivere. Ecco sorgere, allora, due nuove tipologie residenziali, la villa unifamiliare (via XX Settembre e il quartiere Boccaccio - Monti) da un lato e il condominio di lusso (piazza Baracca, ma anche piazza Duse e quindi la zona dei giardini di via Palestro) dall’altro. Due tipi edilizi su cui sono chiamati a lavorare i migliori architetti del momento e che divengono il “manifesto” del dibattito architettonico di quegli anni: l’eclettismo di fine 800, il liberty, l’architettura novecentista di Muzio, fino al razionalismo di Bottoni, Terragni, ecc., per fare solo alcuni nomi. Forse l’esiguità dello spazio disponibile, non permette alla mostra di approfondire i temi. Soprattutto per quel che riguarda l’immagine della città; infatti, risulta difficile comprenderne la grande trasformazione dai pochi documenti (disegni e progetti, fotografie) esposti. Le diverse questioni vengono invece affrontate più profondamente nel catalogo che diviene, in quest’ottica, utile strumento di approfondimento. Martina Landsberger Mangiarotti, sostenere e coprire Angelo Mangiarotti. Architettura design scultura Milano, Palazzo della Triennale 25 gennaio - 17 aprile 2002 catalogo della mostra: a cura di Beppe Finessi, Abitare Segesta, Milano Negli edifici progettati e costruiti da Mangiarotti ciò che sorprende è la corrispondenza tra la scelta costruttiva adottata e la destinazione propria dei singoli edifici. È partendo da questo punto che l’analisi sul lavoro di Mangiarotti rientra in un più ampio studio su come l’architettura, nei suoi esempi migliori, si manifesta attraverso le forme della costruzione. Alla base di ogni progetto vi è un’idea di abitare che diventa la guida alla sua realizzazione. Alla costruzione è affidato il compito di rendere evidente, attraverso la riconoscibilità delle forme degli elementi, il ruolo dell’edificio. In questo modo le forme tecniche sono usate non per se stesse ma per rendere possibile la realizzazione di un’idea di abitare e per farla riconoscere come tale. Nei progetti di architettura di Mangiarotti i due grandi temi dell’architettura: residenza ed edifici collettivi, sono indagati a partire dalla definizione più generale degli elementi che li caratterizzano. I temi di volta in volta studiati sono analizzati partendo dal senso generale che questi hanno, questo passaggio precede la loro realizzazione, la casa di via Quadronno a Milano progettata con Bruno Morassutti ha origine da una precisa volontà di definire un rapporto tra singole abitazioni e il verde circostante. La struttura portante verticale, arretrata rispetto alla facciata, sorregge dei piani orizzontali scanditi da una maglia regolare di montanti che definiscono il perimetro esterno. A questa regola formale dettata dalla struttura se ne aggiunge un’altra che trova la sua ragione dalla pianta dei sin- goli alloggi e dal modo in cui le parti di essi prospettano verso l’esterno. Logge, vetrate e tamponamenti in legno sono inseriti tra montante e montante così come necessario alla distribuzione interna. La struttura, mediante il succedersi regolare dei marcapiani e dei montanti, costruisce l’ossatura che dà unità all’intero edificio, all’interno della quale le singole parti si mostrano distinte tra loro. Questo procedimento è adottato da Mangiarotti, usando altri materiali, anche nella casa a Monza e ad Arosio a testimoniare come una ricerca in architettura sia fondata su principi generali applicati a casi concreti in cui le forme e i materiali si modificano a seconda delle necessità mentre l’idea fondativa rispetto al tema rimane inalterata. Il medesimo atteggiamento lo si può notare rispetto agli edifici pubblici e collettivi. L’adottare il sistema trilitico, oltre ad essere funzionale all’uso degli spazi coperti di grandi dimensioni, racconta come la copertura diventa l’elemento che caratterizza gli edifici stessi. Anche qui il principio costruttivo è uno mentre i modi di realizzarlo sono molteplici e legati alla destinazione dell’edificio. I sistemi costruttivi messi a punto per la costruzione di edifici industriali, alcuni dei quali brevettati ed esposti tramite modelli, mostrano come il punto di partenza sia sempre quello di rendere evidente attraverso l’identità delle parti il ruolo che queste hanno nella costruzione. Le forme degli elementi nella rispondenza ad una necessità statica raccontano come sono costruiti gli edifici e di quali edifici si tratta. Questi elementi si modificano nei vari progetti, da forme tecniche aspirano a diventare forme architettoniche. Il passaggio avviene solo quando si riconosce la destinazione generale dell’edificio; questo punto, che a prima vista potrebbe sembrare secondario è però oggi di estrema attualità, riconoscere vuole dire dare senso, forma ai luoghi dell’abitare e sotto questo aspetto possono essere letti i lavori di Mangiarotti. Ilario Boniello 51 Informazione 1880 - 1968. La cultura di una città