Dagli
Ordini
38
Ordine di Bergamo
tel. 035 219705
www.bg.archiworld.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
[email protected]
Informazione
Ordine di Brescia
tel. 030 3751883
www.bs.archiworld.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
[email protected]
Ordine di Como
tel. 031 269800
www.co.archiworld.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
[email protected]
Ordine di Cremona
tel. 0372 535411
www.cr.archiworld.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
[email protected]
Ordine di Lecco
tel. 0341 287130
www.lc.archiworld.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
infolecco@archiworld.
Bergamo
Le Città Parallele.
La città psicastenica
Laney ebbe un brivido. In bocca
un sapore di metallo arrugginito. Cadeva dentro gli occhi dell’aidoru. Si trovò a guardare un
altissima parete di roccia che
sembrava consistere interamente di piccoli balconi rettangolari, nessuno disposto esattamente sul livello o alla stessa profondità degli altri. Il sole arancione del tramonto che si rifletteva da una finestra inclinata,
con il telaio di ferro. Colori simili a chiazze di benzina sull’acqua, che strisciavano nel cielo. Chiuse gli occhi, guardò in
basso, li aprì.
- Laney? Ti senti bene?
- Bene? – rispose lui.
- Sembravi… cieco.
W. Gibson, Aidoru, Mondadori,
Milano, 1997
Lo sfondo su cui ci muoviamo è
in piena mutazione e una nuova
topografia urbana si sostituisce
a quella fisica abituale creata dagli spazi pubblici convenzionali:
come gli MVRDV ci ripetono, inciso a caratteri cubitali nel ciclopico volume FARMAX, mentre gli
interni si sostituiscono agli esterni, mentre i mall si sostituiscono
alle piazze, la città si sta costituendo di eventi singoli e perfettamente separati.
La periferia, indefinita ed infinita nelle potenzialità del suo
divenire, si espande verso il cuore della città, portando il suo
carico di indeterminatezza e
Ordine di Lodi
tel. 0371 430643
www.lo.archiworld.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
[email protected]
Ordine di Mantova
tel. 0376 328087
www.mn.archiworld.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
[email protected]
Ordine di Milano
tel. 02 625341
www.ordinearchitetti.mi.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
[email protected]
Ordine di Pavia
tel. 0382 27287
www.pv.archiworld.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
[email protected]
Ordine di Sondrio
tel. 0342 514864
www.so.archiworld.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
[email protected]
Ordine di Varese
tel. 0332 812601
www.va.archiworld.it
Presidenza e segreteria:
[email protected]
Informazioni utenti:
[email protected]
LCD Times Square.
creando una città inversa fondata sul primato della dimora
individuale piuttosto che sulla
preminenza degli spazi collettivi; “alle piazze, ai viali, ai corsi, si sostituisce il luogo fisico e
mentale della residenza unifamiliare nelle sue molteplici declinazioni” scrive S. Boeri.
Il percorso pare inverso a quello
della fondazione di una città già
grande, della formazione di una
colonia imperiale: l’Harvard Project on the city n.1 (uno studio
sulla città romana condotto come fosse il manuale d’istruzione
del celeberrimo gioco per PC SimCity), contenuto in Mutations,
sembra tracciare all’inverso la storia del nostro paesaggio quotidiano, infatti la nostra specificity
(città specifica, particolare) sembra tornare verso la genericity (la
“genericittà”, ed il termine spiega già tutto), per essere rifecondata da eventi clamorosi.
Gli architetti contribuiscono anche inconsapevolmente a creare
spazi individuali: come nota I. de
Solà Morales, “la forma nel costruire la città continua ad essere marcata da architetture emblematiche, le quali, come le mode, sono una risposta tecnica e
figurativa a richieste ben delimitate da una particolare situazione (...). Queste architetture brillanti e seducenti dicono sulla città molto più di quanto dicono i
loro stessi autori (...). Si tratta di
un messaggio subliminale attraverso cui privilegiano una città
fatta di singoli oggetti, piena di
episodi emozionanti dispersi nel
magma grigio della produzione
corrente (...). Essi trasmettono
un’idea della città che ha a che
fare con l’individualismo proprio
della nostra cultura, della competitività per aggiudicarsi una posizione privilegiata, per accaparrarsi un’attenzione esclusiva”.
La città tanto più sembra effettivamente, oltre consapevolezza,
costituita da singolarità luminescenti: basti pensare al lavoro
presso Borneo Sporenburg – Amsterdam dei West8, nato lui stesso per essere punto notevole nel
paesaggio megalopolitano olandese, definito da punti notevoli
pubblici, da “gioielli” che si distinguono per dimensioni su di
uno sfondo fatto da edifici residenziali per scelta compressi in
un modulo fisso in altezza, larghezza e profondità.
Ma la città non è solo questo.
Ogni giorno infatti, pendolari anche a breve distanza, ci avviamo
verso i nostri posti lavori attraversando la città, vivendola.
Avvolti dal sonno e da una folla
che corre, abituati a percorrere
la stessa strada ogni giorno, un
cartellone, una scritta, uno schermo a cristalli liquidi raccolgono i
nostri pensieri, e ,in silenzio, si
fissano come memorie ricorrenti, quasi strisciando tra le preoccupazioni.
E così la sera a casa o ancora in
viaggio, ci ritornano alla memoria sbiaditi, sbiaditi sì ma colorati rispetto allo sfondo grigio, che
colmo di quotidianità comincia a
perdere dettagli.
La spazialità si rinnova e quelle
zone che più sono sottoposte alla congestione degli individui paiono ampliarsi grazie alla congestione delle immagini (sia pubblicitarie sia informative) che ne
tappezzano le superfici.
Nel nostro paesaggio urbano si
aprono porte su realtà virtuali che
si duplicano, si moltiplicano senza sosta modificando il carattere degli spazi architettonici; l’incertezza che si genera riguardo
la destinazione dagli spazi si fa
variazione quantitativa e, per mole, qualitativa.
“Il libro ucciderà l’architettura”
scrisse V. Hugo in Notre Dame de
Paris, spaventando a posteriori il
giovane F.L. Wright, ma ora che
l’informazione ha recuperato la
spazialità grazie alle tecnologie
informatiche, ed anche il pubblico grazie alla rete Internet (basti pensare al Virtual Guggenheim
Museum prodotto dagli architetti
Asymptote), sembra proprio che
la disciplina dello spazio sia l’unica in grado di essere supporto
alla contemporaneità nella sua
veloce mutazione.
Se almeno per adesso, come nota S. Sassen, il telelavoro pare
impossibile da realizzarsi compiutamente per necessità logistiche dettate dalla distribuzione dei servizi e dalla pratica del
subappalto di frammenti di lavoro, allora effettivamente la città tende a configurarsi come
una “border zone” dove gli spazi convenzionali si estendono
grazie al sovraffollarsi del re-
Lecco
Asymptote, Virtual Guggenheim Museum.
pertorio di immagini che li può,
in potenza quanto effettivamente, occupare.
Certi lavori progettuali contemporanei si spingono infatti in tale direzione affrontando il tema
della città così come quello dell’abitazione privata: un chiaro
esempio ne è la mostra itinerante del MoMA di New York The
Un-Private House in cui spiccano
la Slow House di Diller+Scofidio,
la Digital House di Hariri & Hariri, la Kramlich residence di Herzog & de Meuron tutti lavori impegnati a sviscerare le possibilità di intersezione tra spazi reali
e virtuali; ancora, ricordando che
l’intangibilità dello spazio era cosa già assunta da tempo in Estremo Oriente, è giusto citare la metaforica mostra Toyo Ito Architetto a Vicenza e soprattutto la
serie dei Pachinko Parlor disegnati da Kazuyo Sejima in cui la
scritta riesce a trasfigurare lo spazio nella sua semplicità.
“La città esiste come una serie di
duplicità: ha una cultura ufficiale ed una nascosta, è un luogo
reale ed al tempo stesso immaginario. La sua elaborata rete di
strade, case, edifici pubblici, sistemi di trasporti, parchi e negozi
corre parallelamente al complesso di atteggiamenti, abitudini,
costumi, aspettative, e speranze
che appartengono a noi in quanto soggetti urbani. Scopriamo che
la realtà urbana non è unica ma
molteplice, che all’interno di una
città ce n’è sempre un’altra” scrive E. Soja cercando di puntualizzare come l’avvento di una nuo-
va era dell’informazione non stia
conducendo alla “fine della geografia” o ad un “mondo senza
confini” ma ad una “riterritorizzalizzazione contemporanea” ossia ad una ristrutturazione del
concetto di identità territoriale.
Pare giusto allora ricordare il concetto di iperrealtà definito da J.
Baudrillard: nel momento in cui
la capacità di distinguere tra reale e immaginato/virtuale si indebolisce, sostiene Baudrillard,
si genera un altro tipo di realtà,
un’iperrealtà, e inizia a scorrere
nelle nostre vite quotidiane generando un altro stato di coscienza. Il risultato si può definire come “precessione dei simulacri” cioè una condizione,
tra l’altro sottolineata dal crescente uso metodologico del
CAD in architettura, in cui le immagini paiono venire letteralmente prima dei loro referenti o
addirittura in loro assenza; l’effetto particolarissimo e tanto
spesso aborrito come mancanza di nuovi idee/concetti, è quello di rendere significato il significante, cioè di trasformare l’aspetto in essenza.
Ciò naturalmente può causare
anche uno stato confusionale
nell’individuo abituato alla spazialità tradizionale: ben lo dimostrano gli studi di C. Olaquiaga
riguardo alla cosiddetta psicastenia spaziale cioè al disturbo
nella relazione tra il Sé (il proprio spazio fisico/materiale) ed
il territorio circostante, in questo caso immateriale. La sensazione psicastenica è quella di es-
sere persi nello spazio, ciechi o
rapiti di fonte ad alcune immagini/avvenimenti, in breve una
sindrome di Stendhal del vivere
quotidiano.
Ma per dimostrare come ciò sia
una esperienza abbastanza comune, e spesso inconsapevolmente esperita, è sufficiente fare appello al fiorire della cultura
letteraria ciberpunk prendendo
come esempio i romanzi di W.
Gibson (scrittore del famosissimo Johnny Mnemonic ed inventore del termine ciberspazio).
Intanto, mentre Atlanti Eclettici, secondo la definizione di S.
Boeri, sondano città parallele e
città trasversali, città sfuggenti
alle viste zenitali ed ai termini
dell’urbanistica classica ma non
agli individui, si apre la possibilità di entrare nella città attraverso quella che ne sembra la
via di evasione.
Se tanto facilmente e intensamente il territorio fisico riesce a
riversarsi in quello virtuale, a tal
punto da scomparire e da rimanere solo come un vago inizio,
se tanto facilmente le matrici numeriche, come farmaci derridiani, riescono a sostituire l’immagine della città, forse è plausibile pensare che la “precessione
dei simulacri” sia un buon metodo, critico ai fondamenti proprio perché eternamente mutevole, per ritornare a interrogare
lo spazio urbano senza correre il
rischio di inventarsi nuovi inganni retorici.
I “Datatown”, come li chiama W.
Maas, allora saranno i più sinceri stimoli, i migliori paragoni e le
migliori metafore per parlare della città che c’è, c’è stata ed innumerevoli volte ci sarà?
Alessandro Martinelli
Bibliografia minima:
MVRDV, FARMAX, Rotterdam
1998
AAVV, Mutations, Bordeaux 2000
AAVV, Città globali/Planning, disturbi, architettura/Infrastrutture,
Lotus 110, Electa
T. Riley, The Un-Private House,
New York, 1999
A. Sdegno, L’architettura nell’epoca del computer, Casabella
691, Electa
G. Abou-Jaoudé, Impronta e simulazione, Lotus 104, Electa
W. Gibson, Aidoru, Milano, 1997
Pierfranco Mastalli
Assessore al Territorio e Trasporti,
Provincia di Lecco
Informazioni:
Centro italo-tedesco Villa Vigoni
Deutsch-italienisches zentrum
Villa Vigoni
via Giulio Vigoni 1
22017 Loveno di Menaggio (Co)
tel. 0344 36111
fax 0344 361210
www.villavigoni.it
39
Informazione
Herzog & de Meuron, Kramlich residence.
Comunicato stampa
Si comunica che Presso il Centro
Italo-Tedesco Villa Vigoni a Loveno di Menaggio in Provincia di Como si sta svolgendo in questi giorni la seconda edizione dell’Accademia di Architettura, i cui partecipanti, martedì 26 febbraio hanno visitato la Valsassina seguendo
un itinerario tematico proposto dai
rappresentanti della Comunità
Montana e sono stati ricevuti in
Provincia dall Assessore al Territorio e Trasporti Pierfranco Mastalli
e dal Dirigente arch. Ernesto Crimella per un inquadramento conoscitivo dei luoghi oggetto di studio. Si tratta di un’esperienza didattica di alto livello formativo in
collaborazione fra la Facoltà di Architettura di Darmstadt e la Facoltà di Ingegneria di Ancona, imperniata sul tema Città e Montagna, focalizzata nell area montana della Valsassina, Val d Esino, e
Valvarrone.
L’Accademia di Architettura si avvale di contributi seminariali e di
conferenze di alcune personalità
di rilievo nell attuale panorama
scientifico nel campo della progettazione e composizione: il prof.
Luigi Snozzi di Locarno, il prof.
Emilio Battisti del Politecnico di Milano, il prof. Stefano Boeri, attivo
presso IUAV di Venezia e il Berlage Institute di Rotterdam, il prof.
Cino Zucchi del Politecnico di Milano. L’Accademia di Architettura
prosegue i suoi lavori fino al 6 marzo sotto il coordinamento dell arch.
Rita Colantonio dell Università di
Ancona e degli architetti Vera Martinez e Christiano Lepratti dell’Università di Darmstadt e con la collaborazione degli architetti Susanne Lehmann (TU Darmstadt) e
Giovanna Paci (IDAU Ancona).
Anche in questo caso le attività
realizzate a Villa Vigoni forniscono un contributo significativo all’analisi di problemi centrali del territorio circostante. Giovedì 7 marzo i risultati dei lavori verranno presentati a Villa Monastero, a Varenna, grazie all ospitalità della
Provincia di Lecco, e discussi con
alcuni rappresentanti delle istituzioni locali direttamente coinvolte: la Provincia stessa, e la Comunità Montana Valsassina, e i rappresentanti degli enti patrocinanti: la Regione Lombardia e gli Ordini degli Architetti di Sondrio e
Lecco.
Lecco, 4.3.2002
Milano
Informazione
40
CITTABILE, vivere e muoversi
tutti in autonomia e libertà
Nel dicembre scorso la sala Impluvium della Triennale di Milano ha ospitato un Seminario intitolato CITTABILE, vivere e muoversi tutti in autonomia e libertà, indetto dall’Istituto italiano
design e disabilità (IIDD) e dal
Centro europeo di ricerca e promozione dell’accessibilità (CERPA). Questi due enti hanno dato
vita nel 2001 ad una iniziativa
culturale denominata Design for
All che consiste nel progettare
ambienti, prodotti, servizi e sistemi tali da risultare sufficientemente flessibili e utilizzabili in
modo diretto (cioè senza dover
ricorrere a successive modificazioni o elementi aggiuntivi) da
parte di persone che presentano
un’ampia gamma di abilità, in relazione al maggior numero possibile di situazioni che si possono presentare nel corso dell’esistenza.
In occasione della Giornata Internazionale della Persona Disabile (3 dicembre) e del seminario alla Triennale di Milano, l’IIDD
e il CERPA hanno premiato le persone che maggiormente si sono
distinte nella diffusione di una
cultura dell’integrazione e dell’uguaglianza.
Quest’anno l’iniziativa, che avrà
cadenza biennale, ha conferito
la Targa di Riconoscimento Premio alla Carriera all’architetto Antonio Ornati e al dottor Piergiorgio Mazzola, pionieri ed anticipatori della cultura dell’accessibilità e della piena integrazione
delle persone disabili.
Antonio Borghi
Deliberazioni della 96° Seduta di Consiglio del 11.2.2001
Domande di prima iscrizione presentate nel mese di dicembre
2001 (n. 72, di cui 57 architetti
unicamente l.p. e 15 architetti
che svolgono altra professione):
12668, Ascolese, Barbara Nadia
Carmela, 19.9.1972, Milano;
12718, Beretti, Andrea, 10.2.1974,
Busto Arsizio; 12716, Bertolini,
Paola, 8.2.1972, Sesto S.Giovanni;
12658, Biffi, Alessandro,
23.11.1974, Milano; 12676, Boccato, Gianpiero, 25.12.1967, Milano; 12690, Bonan, Maria,
6.6.1954, Padova; 12679, Borioli, Elena, 11.5.1974, Castellanza; 12654, Borsani, Stefano,
13.11.1973, Busto Arsizio; 12665,
Brivio, Lara, 4.3.1967, Milano;
12666, Cacciatore, Giovanna,
24.1.1969, Bollate; 12667, Canevari, Laura, 31.8.1971, Milano; 12662, Carena, Silvia,
6.12.1971, Milano; 12652, Carpi De Resmini, Mauro, 16.2.1972,
Milano; 12693, Ciccioni, Claudio
Adriano, 17.3.1972, Milano;
12672, Cicioni, Daniela, 5.1.1971,
Milano; 12673, Cicioni, Manuela, 5.1.1971, Milano; 12717, Colnago, Sabrina, 17.12.1974, Mon-
za; 12714, Colombo, Luca,
11.8.1973, Seregno; 12657, Colombo, Paolo, 25.2.1969, Milano; 12709, Conti, Gianluigi,
31.5.1970, Vimercate; 12712,
Corti, Giorgio, 6.1.1972, Monza; 12699, Cortini, Angela,
20.4.1967, Milano; 12705, Costa, Mauro, 29.1.1970, Milano;
12694, De Masi, Laura, 16.3.1973,
Milano; 12706, De Ponti, Luca
Attilio, 14.6.1971, Desio; 12659,
Distaso, Rosario, 13.10.1973, Milano; 12688, Fattiboni, Francesca Chiara Maria, 24.6.1973, Milano; 12722, Fedegari, Daria,
11.6.1963, Pavia; 12675, Forleo,
Claudio, 6.1.1972, Rho; 12661,
Fortunati, Andrea, 27.6.1968,
Milano; 12655, Franco, Fabrizio
Nicola Angelo, 18.1.1974, Milano; 12656, Gaddoni, Cristina,
9.2.1972, Milano; 12663, Galbusera, Katia, 24.12.1971, Monza; 12715, Gennari, Paolo,
9.6.1975, Castel San Giovanni;
12703, Gonella, Cesare,
16.10.1975, Seregno; 12686,
Gozzi, Francesca, 21.5.1974, Milano; 12664, Griotti, Giulia Daria, 11.5.1971, Milano; 12723,
Guizzetti, Cristina, 12.4.1963,
Bergamo; 12707, Iddas, Giuseppe, 10.8.1972, Ozieri; 12719,
Lanzoni, Ivan, 4.11.1972, Milano; 12696, Lombardi, Angelo
Massimo, 13.11.1969, Rho;
12681, Lombardi, Tiziana,
1.4.1971, Campobasso; 12697,
Lostumbo, Franco, 26.12.1968,
Rho; 12650, Mariani, Elena,
2.7.1974, Monza; 12724, Martignon, Luca Giuseppe, 15.7.1962,
Busto Arsizio; 12701, Mazza, Rossella, 11.1.1963, Milano; 12713,
Mazzolari, Silvia, 17.3.1972, Venezia; 12651, Medaglia, Davide
Enrico, 30.10.1967, Milano;
12685, Melzi, Annalisa, 20.9.1973,
Milano; 12700, Miceli, Antonio,
26.12.1968, Vibo Valentia; 12698,
Mirandola, Vanni, 6.9.1955, Villimpenta; 12710, Monnini, Claudio Ottorino Rodolfo, 12.5.1965,
Milano; 12689, Nespoli, Fabio,
2.5.1973, Giussano; 12687, Nicolussi, Stefano, 6.12.1973, Vimercate; 12720, Pasquinelli, Sonia, 28.11.1974, Milano; 12678,
Pastori, Raffaella, 2.6.1972, Inveruno; 12653, Patrizio, Barbara, 14.4.1973, Sesto S.Giovanni;
12669, Percudani, Stefania,
27.8.1972, Milano; 12711, Pessina, Cristina, 20.2.1976, Monza; 12680, Pierro, Saverio Natale, 25.10.1972, Milano; 12725,
Piraino, Luca Letterio, 13.1.1972,
Trento; 12682, Pistola, Giovanna, 10.3.1965, Milano; 12674,
Pizzonia, Andrea, 28.6.1973, Milano; 12671, Plebani, Davide,
23.2.1972, Milano; 12726, Poli,
Cristina, 1.4.1965, Torino; 12727,
Popisteanu, Cristina Nicoleta,
2.12.1950, Bucarest; 12684, Ricci, Giuseppe, 16.5.1972, Bergamo; 12721, Romano’, Andrea,
10.6.1971, Rho; 12702, Romano’, Miriam, 27.4.1972, Bollate;
12708, Rossetti, Matteo,
21.11.1974, Milano; 12670, Rudoni, Stefania, 19.4.1972, Viareggio; 12683, Sala, Stefano Am-
brogio, 10.8.1968, Desio; 12728,
Santeramo, Brunella, 3.1.1970,
Matera; 12677, Sfredda, Alessandra, 23.11.1966, Milano;
12692, Simonetto, Carlo,
24.10.1973, Cantù; 12660, Tattoli, Elisa, 29.7.1974, Milano;
12704, Tripaldi, Tommaso,
12.3.1963, Limbiate; 12695, Truglia, Fabio, 10.5.1970, Legnano;
12691, Vangelista, Paola,
27.9.1967, Milano.
Iscrizioni per trasferimento da altro Albo: Daria Fedegari da Pavia; Cristina Guizzetti da Bergamo; Luca Giuseppe Martignon
da Varese; Luca Letterio Piraino
da Trento; Cristina Poli in Guastamacchia da Torino; Cristina Nicoleta Popisteanu da Cagliari;
Brunella Santeramo da Matera.
Cancellazioni su richiesta: Fosca
Agostinetti; Angelo Bernasconi;
Bruno Bertuccioli; Noemi Maria
Degli Occhi; Fabio Domenico De
Marco; Ettore Manzoni; Cesare
Mercandino; Anita Bambina Olgiati In Treichler; Diamante Maria Pirovano; Antonella Marica
Riffaldi; Adelio Strada. Cancellazioni per decesso: Umberto Cantoni, Edoardo Carcano, Umberto Agudio. Cancellazioni per trasferimento ad altro Albo: Gloria
Enrica Cerliani a Roma; Alice De
Andreis a Imperia; Lucia Vitari a
Firenze.
Inoltre: Inserimento nell’Albo d’Onore: Angelo Bernasconi, Bruno
Bertuccioli, Ettore Manzoni, Cesare Mercandino, Anita Bambina Olgiati in Treichler; cancellazioni dall’Albo d’Onore per decesso: Gianni Albricci, Paolo Andrea Sormani; Rilascio di n. 10
nulla osta per trasferimento ad
altro Albo: Pierstefano Bellini e
Francesca Romana Marino a Roma; Cristina Castelli e Mauro Furia Bonanomi a Lecco; Ettore Filograna a Lecce; Andrea Maria
Morandi a Varese; Salvatore Regio e Marcella Rossin a Catanzaro; Umberto Roncoroni a Como;
Rita Paola Spinelli a Udine.
Pavia
Seminario
Abitare/Corpo: 4 gradi d’intimità
Pavia, Santa Maria Gualtieri
Curatore Architetto Luca Micotti
• Luisa Bonesio, Professore di Estetica
Attraversare la soglia
lunedì 18 marzo 2002 ore 21
• Massimo Morasso, Scrittore
L’opera della vista e l’opera del cuore.
Nove modi di guardare una finestra
lunedì 15 aprile 2002 ore 21
• Vittorio Ugo, Architetto
Hestía: il luogo e il rito del desinare
lunedì 6 maggio 2002 ore 21
• Claudio Risé, Psicanalista
In fondo è il letto
lunedì 27 maggio 2002 ore 21
A un anno dal seminario Appartenere Rappresentare Costruire / Paesaggio luogo della mente, gli architetti pavesi si riuniscono nuovamente per riflettere sui temi più vivi del fare architettura. Con questo seminario ci occupiamo della casa, osservandola dall’originale angolatura scelta dalla Commissione Cultura dell’Ordine e dagl’illustri relatori ospiti. Davanti ai formidabili mutamenti in corso, che coinvolgono il pensiero, l’economia, il costume e le abitudini (anche il nome del
nostro Ordine professionale quest’anno
è cambiato in seguito all’”armonizzazione” europea) si sente il bisogno di
fermarsi a riflettere. Anche quest’anno ci interrogheremo insieme a tutti i
cittadini che vorranno farlo con noi,
perché i temi più profondi dell’abitare non appartengono ai “tecnici” ma
all’intera comunità.
Marco Bosi
Presidente dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Pavia
Prosegue con questa seconda serie di
conversazioni la riflessione suggerita
dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Pavia e da noi calorosamente sostenuta sul senso dell’abitare, frutto della coscienza di appartenere al
mondo ed anche strumento per modificarlo attraverso il nostro operato.
Dal Paesaggio luogo della mente, tema dello scorso anno, si dialoga ora
sulla casa, sullo spazio dell’intimità domestica come luogo del corpo. Dall’esterno, dalla visione che noi abbiamo del mondo che ci circonda, agli interni della nostra quotidianità, agli spazi consueti, conosciuti, rassicuranti, che
soddisfano i nostri bisogni primari, la
fame, il sonno, l’amore. Ma anche,
dall’altro lato, che separano, a volte limitano, accentuano il disagio di vite
parcellizzate sempre più solitarie. Ecco quindi che la casa, e la progettazione architettonica che la crea, deve
dialogare con il corpo, seguirne le esigenze e “costruire” benessere anche
dello spirito. Per questo motivo, come
già sperimentato con successo, gli incontri accolgono contributi multidisciplinari: filosofia o meglio geofilosofia, estetica, letteratura, psicanalisi e
architettura. Dialogare e interrogarsi
ha senso infatti solo quando lo si fa
da punti di vista e di pensiero diversi,
perché la vita è complessa, è reale e
Eligio Gatti
Assessore Cultura, Turismo e Promozione della Città - Comune di Pavia
Nelle numerose “Annunciazioni”, dipinte dal Beato Angelico, lo spazio del
portico-vestibolo, in cui avviene l’evento,
rappresenta il luogo che per eccellenza esprime le proprietà dell’abitare.
È lo spazio della soglia che si pone a
cerniera fra spazio esterno aperto, che
qui assume il carattere di giardino-eden
pieno di luci e colori, e lo spazio domestico dell’interiorità raccolto nella
penombra e impastato in una materia omogenea. La porta è un semplice vano aperto in un muro bianco che
lascia appena intravedere la presenza
di una vita interiore segnata da pochi
oggetti di arredo: una panca o un tavolo oppure un letto, pudicamente velato da una tenda. Quasi sempre appare, in fondo, una piccola finestra posta in alto che vuole essere segno dell’abitare interno piuttosto che affaccio sul paesaggio. Essa non porta la
luce, ma solo l’aria fresca che rende
confortevole il viverci. Solo il loggiatovestibolo ha il ruolo di appropriarsi del
paesaggio e di collegarlo al puro atto
artificiale della stanza che diventa altro dalla natura, poiché essa protegge l’uomo dalle avversità e lo isola da
tutto quanto è esterno alla sua intimità. Non è un caso che, in questi dipinti, l’esterno venga rappresentato
dal giardino-eden, dopo la cacciata, in
cui domina il tema del rimorso e della sofferenza. Ma ciò che è ammirevole è che tutto questo è sfondo di un
racconto in cui i due personaggi, l’An-
gelo e la Madonna, sono essi stessi
metafore delle due strutture spaziali.
Il messaggero, lieve e ubiquitario, domina lo spazio esterno del movimento e, da lontano, le sue ali lo hanno
trasportato sulla soglia della casa presso cui si ferma e annuncia la notizia.
La futura madre, lo accoglie seduta.
Essa è lì, ferma, come la sua casa, poiché appartiene ad un luogo e lo abita. Quei semplici arredi sono il segno
del focolare, del convivio, del riposo e
dell’amore.
Remo Dorigati
Abitare L’essenza del costruire è il
“far abitare”. Il tratto essenziale del
costruire è l’edificare luoghi mediante il disporre i loro spazi. Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire. Pensiamo per un momento a una casa contadina della Foresta Nera, che due secoli fa un abitare rustico ancora costruiva. Qui, ciò
che ha edificato la casa è stata la persistente capacità di far entrare nelle
cose terra e cielo, i divini e i mortali nella loro semplicità (einfältig). Essa ha
posto la casa sul versante riparato dal
vento (…). Essa non ha dimenticato
l’angolo del Signore (Herrgottswinkel)
dietro la tavola comune, ha fatto posto nelle stanze ai luoghi sacri del letto del parto e dell’“albero dei morti”,
come si chiama là la bara, prefigurando
così alle varie età della vita sotto un
unico tetto l’impronta del loro cammino attraverso il tempo. Ciò che ha
costruito questa dimora è un mestiere che, nato esso stesso dall’abitare,
usa ancora dei suoi strumenti e delle
sue impalcature come di cose.
Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire. Il richiamo alla
casa contadina della Foresta Nera non
vuol dire affatto che noi dovremmo e
potremmo tornare a costruire case come quella, ma intende illustrare, con
l’esempio di un abitare del passato, in
che senso esso fosse capace di costruire (Martin Heidegger).
Heidegger non è nostalgico. La ricerca Costruire Abitare Pensare è contemporanea, e diremmo assonante,
con le sperimentazioni dei maestri dell’architettura moderna.
Oggi, a cinquant’anni esatti dalla sua
pubblicazione, davanti alla progressiva perdita di luogo sia come cancellazione delle differenze fra i luoghi, sia
come perdita della capacità di rapporto
simbolico con i luoghi dell’abitare (Luisa Bonesio) filosofi e architetti tornano sugli stessi interrogativi.
Il panorama domestico (e urbano) contemporaneo, sempre più uniformato
da standard igienici e produttivi, e falsamente rassicurato dal gusto vernacolare, dal mito tecnologico e dall’ossessione conservativa, sollecita immaginazione. Sollecita progetti d’architettura sensuali, aperti, plurali. Nati da
un abitare capace di narrare.
Corpo Il seminario si interroga sullo
spazio domestico osservandolo come
luogo del corpo. L’architettura (scrive
Peter Zumthor) ha con la vita un rapporto soprattutto corporeo (…) recipiente sensibile per il ritmo dei passi
sul pavimento, per la concentrazione
del lavoro, per il silenzio del sonno.
L’indagine guarderà alle relazioni abituali e narrative che il nostro corpo intrattiene con l’abito di pietra (Marinella
Cantelmo) della nostra abitazione. Il
corpo che arriva fra le mura domestiche, prende cura di sé, si alimenta e
riposa, il corpo nudo di Eros e Thànatos, quello trasognato nelle stanze di
casa, il corpo costretto da un abitare
confinato, aiuteranno a rinnovare la
percezione delle cose appiattita dall’abitudine (Hans Robert Jauss).
Quattro gradi d’intimità La soglia:
luogo della dialettica identità/alterità.
Luogo del ritrovare, del distacco, dell’attesa, dell’irruzione dell’inaspettato
(Annunciazione).
La finestra: apertura filtrata dalle gelosie, sigla dell’intimità conquistata
dentro le mura domestiche (il Bacio di
Edward Munch e il bacio di Compleanno di Marc Chagall). Luogo dell’intimità violata (François Truffaut) nel
voyeuristico Finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, oggi surrogato dalla
televisione.
La tavola: centro della cena famigliare, con i bambini e la tovaglia bianca
(sposa). Luogo della vergine del focolare, del rito ebraico femminile dell’accensione delle candele il sabato,
della liturgia della mensa (pane/corpo)
cristiana.
Il letto: grado più intimo dell’abitare
domestico. Giaciglio, nizdos, nido. Ma
nido domestico, nido nuziale, rimanda alla dimora: chiude il cerchio di questa intimità.
Luogo del corpo, luogo domestico,
luogo architettonico formativo dell’immaginazione: spazio creativo che
si genera nella relazione madre bambino e si amplia nel processo di separazione-individuazione. È lo spazio della creazione, del linguaggio e della narrazione; gli oggetti narrano, ovvero
possono essere ascoltati nei loro racconti se questo spazio si è costituito,
altrimenti in luogo di un dialogo creativo vi sarà quella che Winnicott ha indicato come compiacenza, adattamento ad uno spazio occupato da oggetti silenti e persecutori nella loro algida estraneità. (Furio Ravera)
Luca Micotti
Bibliografia
Martin Heidegger, Saggi e discorsi (a
cura di Gianni Vattimo), Milano 1976
Luisa Bonesio, Terra, singolarità, paesaggi, in Orizzonti della geofilosofia,
Casalecchio 2000
Peter Zumthor, Pensare Architettura,
Baden CH 1998
Marinella Cantelmo (a cura di), Il castello il convento il palazzo, Firenze
2000
Hans Robert Jauss, Apologia dell’esperienza estetica, Torino 1985
François Truffaut cit. in Il Morandini
2001, Bologna 2000
Furio Ravera, in AL, n° 5, maggio 2000
Attraversare la soglia
De limine /trans limen - ricalcando l’alternativa fra stasi e attraversamento
che oppose Martin Heidegger e Ernst
Jünger sul problema della linea del nichilismo - potrebbe essere sintetizzata la questione che pone la soglia: linea divisoria e barriera opposta a chi
pretende di entrare in uno spazio identificato, e/o apertura per l’ingresso in
un luogo d’incontro e accoglienza,
amicizia e ospitalità. E, come ogni apertura, schiusura all’irruzione dell’altro,
dell’evento che potrebbe vanificare la
pretesa di protezione e rassicurazione
all’interno di termini de-finiti, della delimitazione di un heimlich, una domesticità consacrata e riparata, privatezza sottratta alla sovraesposizione
del pubblico. Apertura/chiusura, identità/alterità, entrata/uscita, stasi/movimento, privato/pubblico, domestico/estraneo; ma anche solitudine/amicizia, introversione/socialità, emarginazione/solidarietà. Forse occorre prima di tutto domandarsi da quale lato
ci collochiamo, pensando alla soglia:
sul suo versante interno, aprendo (o
chiudendo) la porta alla venuta dell’estraneo; o, al contrario, dalla parte
del fuori, di chi si accinge a entrare per
(ri)trovare uno spazio d’intimità e accoglimento? La soglia, linea sottile, e
innanzitutto simbolica, dell’attraversamento segna più che mai l’indecidibilità straniante tra io e altri, identità e alterità, mostrando che ciascuno
può trovarsi dall’una e dall’altra parte, attraversato dall’impossibilità di arroccarsi in una stabile chiusura o di votarsi a un’erranza senza protezione.
Soglia come figura emblematica del
passaggio, più che mai cruciale, di un’epoca che, non sapendo più abitare ed
essendosi lasciata alle spalle tutte le
soglie e tutte le chiusure alla volta dell’indefinita estensione tecnica del nichilismo, si trova ad affrontare il paradosso di un mondo senza porte e senza finestre che non siano virtuali.
Luisa Bonesio
insegna Estetica nell’Università di Pavia e Geofilosofia nel Corso di formazione per la tutela e la valorizzazione dei siti preistorici lombardi e nazionali a Milano. Studiosa del pen-
41
Informazione
ideale, conscio e inconscio, poesia e
prosa, profondità e banalità e molto
altro ancora.
Informazione
42
siero di Nietzsche, Spengler, Jünger e
di estetica del paesaggio e di geofilosofia, si sta dedicando da alcuni anni all’elaborazione di un pensiero delle differenze territoriali, con particolare attenzione alla montagna e alle
regioni alpine. Tra i suoi scritti più recenti: Geofilosofia del paesaggio, Mimesis 1997 e 20012”; Passaggi al bosco. Ernst Jünger nell’era dei Titani
(con Caterina Resta, Mimesis 2000),
Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia (Arianna, in stampa). Ha curato e postfato vari volumi,
tra cui la raccolta di AA.VV., L’anima
del paesaggio tra estetica e geografia (Mimesis 1999), e i collettanei, di
cui è anche coautrice, Geofilosofia
(Lyasis 1996); Appartenenza e località: l’uomo e il territorio (SEB 1996);
Orizzonti della geofilosofia. Terra e
luoghi nell’epoca della mondializzazione (Arianna 2000), Ernst Jünger e
il pensiero del nichilismo (Herrenhaus,
in stampa), La montagna e l’ospitalità. Le Alpi tra selvatichezza e globalizzazione (Arianna, in stampa).
L’opera della vista e l’opera del
cuore. Nove modi di guardare
una finestra
Nel corso del secondo novecento, la
finestra ha cambiato volto. L’apertura
sul microcosmo del vicinato e sullo
sconfinato del paesaggio, le scene condivise della nostra storia, sembra sostituita, oggi, dallo schermo globale
della televisione e di internet. Le finestrine dei “personal computer” e i megaschermi ad uso “home theater” si
stanno rivelando sempre di più come
le cartine di tornasole di un’intimità
familiare problematica, che spesso non
riesce ad essere che un surrogato domestico di un montante disagio sociale. Ridotta la distanza virtuale fra
noi e il mondo, è aumentata al contempo la distanza fisica tanto fra noi
e l’altro da noi, quanto, a prima vista
paradossalmente, fra noi e noi stessi.
La perdita di centralità della finestra
nell’abitazione contemporanea, può
essere letta come un segno di ciò che
appare come un irreversibile processo
di disgregazione di quel tessuto affettivo in qualche modo unitario in cui è
andata ordendosi per secoli la trama
delle nostre relazioni più essenziali.
Squalificata la finestra a mera funzione aeroilluminante, l’occhio tende a
chiudersi alle dimensioni dell’aperto,
e da organo di percezione sottile rischia di ridursi alla misura di una miopia che non vede più il divenire spettacoloso del mondo ma, piuttosto, la
sua rappresentazione voyeuristica, il
suo simulacro tecnologicamente mediato. In questo senso si può dire che
all’habitus cui fino al cosiddetto postmoderno corrispondeva un compito
singolare e inesauribile di svelamento
delle immagini - l’opera del cuore nell’ultimo ventennio è andato sovrapponendosi una sorta di filtro derealizzante che blandisce la coscienza
collettiva con un troppo di immagini
- l’opera della vista - per l’esperienza
delle quali, a rigore, non c’è nemmeno bisogno dell’integrità senziente di
un corpo, né dell’intenzione che questo corpo situa di volta in volta in un
tempo e in uno spazio. A una visione
più o meno ingenuamente simbolica
del mondo, si contrappone adesso una
visione da caleidoscopio, se non da
Wunderkammer: dove osservante e
osservato non sono che gli attori, su
differenti piani, di una medesima illusione. Al declino e quasi alla scomparsa dello sguardo contemplativo,
sanno resistere, più degli altri, gli artisti, e fra gli artisti, in particolare, i poeti, questi forzati all’interrogazione continua circa il nesso cruciale che lega il
visibile e la sua ombra alla loro dicibilità. Il secolo che ci siamo lasciati alle
spalle, ha dato ampia, appassionata
testimonianza di un pensiero asistematico, il pensiero rivelativo proprio
della grande poesia, che ha fatto della finestra uno dei temi privilegiati della sua indagine intorno al senso dell’abitare, cioè, in ultima istanza, intorno al senso dell’aver cura. Seguire alcuni passi di nove maestri della parola (e di qualche loro compagno di viaggio) intorno al luogo comune della finestra può aiutarci forse a comprendere ragioni e sragioni della svolta epocale in cui siamo coinvolti.
Massimo Morasso
laureato in Lettere, ha tradotto e curato in volume testi di W.B.Yeats,
Y.Goll, N.S.Momaday ed E.Meister.
È redattore di “clanDestino” e “La
Clessidra”, nonché dei quaderni di
scrittura “Arca”. Suoi interventi critici e creativi sono comparsi su varie
riviste, fra le quali “Hortus”, “Origini”, “Poesia”, “Testo A Fronte”, “MicroMega”, “L’area di Broca”, “Antologia Viesseux”, “Humanitas”. Autore di una trilogia poetica (La leggenda della primavera, 2000), come
poeta è presente in alcune antologie, tra cui Il pensiero dominante.
Poesia italiana 1970-2000, a c. di
F.Loi e D.Rondoni, Garzanti, 2001.
Ha ideato e promosso numerose iniziative editoriali. È direttore del muvita di Arenzano, l’unico centro di
animazione culturale in Italia interamente dedicato alle scienze e alle
tecnologie ambientali.
Hestía: il luogo e il rito del desinare
La metafora analogica tra micro- e macro-cosmo, tra corpo umano e corpo
costruito dell’edificio attraversa l’intera storia delle teorie architettoniche,
da Vitruvio a Le Corbusier, da Filarete
a Hugo Häring.
Abitare significa, anche, aver l’abitudine a un dato ambiente, al cui corpo il
nostro è “abituato”; un’abitudine per
così dire “attiva”: si abita “una” casa
o “una” città, piuttosto che “in un”
luogo; e il progettare è un saper istituire la forma di tale rapporto, dal momento che - Heidegger - “soltanto sapendo abitare si potrà costruire.”
Un momento intimo e rituale dell’abitare è certamente quello del pranzo,
quello nel quale il corpo si alimenta e
in qualche misura si rigenera; ma è anche quello della convivialità, del “Simposio”, dello stare insieme, del conversare, della stasi, di una forma di riposo.
Nella Grecia classica, la dea Hestía presiedeva a questo momento rituale, anche alla scala urbana: una koiné Hestía
-banchetto comune - era allestita nella
piazza in occasione delle feste e dei ricevimenti delle ambascerie.
Divinità femminile, dea del centro, del
focolare (a Roma diverrà Vesta) e dell’attesa, Hestía era complementare a
Hermês, il dinamico messaggero posto a protezione delle soglie, dei trivi
e quadrivi, dei viandanti, degli scambi, del commercio (a Roma diverrà Mercurius e darà l’etimo alla parola “merce”), dei ladri. In un’epoca di fast food
in cui sovente non si pranza ma si rifornisce il corpo, in cui costruiamo cucine rigorosamente separate dai luoghi della convivialità, in cui questa si
riduce spesso a uno scambio affrettato di notizie, in cui il televisore ha sostituito il camino, occorre forse ripensare il rito del desinare, il luogo che
l’accoglie e che esso contribuisce a definire, i ritmi temporali, l’”abitudine”
che ne abbiamo e il rapporto che il nostro corpo ne riceve rispetto al corpo
dell’architettura.
Vittorio Ugo
architetto e professore ordinario presso il Politecnico di Milano, ha insegnato “Progettazione”, “Teoria e storia dei metodi di rappresentazione”,
“Storia della critica”, “Geometria” e
“Rilievo”. Ricerca prevalentemente nel
campo della teoria dell’architettura e
della rappresentazione architettonica. Tra le sue opere: “Paesaggio, architettura” (1984), “Laugier e la dimensione teorica dell’architettura”
(1990), “La questione architettura”
(con R. Masiero, 1990), “I luoghi di
Dedalo” (1991), “Kritéria” (1994),
“Fondamenti della rappresentazione
architettonica” (1994), “Architectura
ad vocem” (1996), “Stile” (con E. Franzini, 1997). Ha pubblicato numerosi
saggi sulla teoria, la storia e l’estetica
dell’architettura in opere collettive e
riviste italiane e straniere. Su questi
temi, ha tenuto seminari e conferenze anche in Canada, Francia e Giappone, dove è stato più volte visiting
professor.
In fondo è il letto
Il letto è, ancora, in fondo. Infatti, nel
processo di progressiva esposizione al
pubblico che accompagna il rapporto tra gli abitanti della casa e il mondo che li guarda, e cui essi guardano
per trovare uno stile abitativo, il letto
rimane comunque il luogo “finale”,
quello, inevitabilmente misterioso, in
cui l’abitazione gioca la propria esistenza, e il proprio futuro. Esso rappresenta, ed occupa, uno spazio/tempo liminare, di contatto tra il mondo
di veglia e quello del sonno, tra quello della coscienza e quello dell’inconscio, tra quello del dovere e della stanchezza e quello del piacere e del riposo. Inoltre esso rimane il luogo centrale della procreazione, e del rapporto - soprattutto a livello fantastico - tra
gli attuali membri della famiglia e quelli futuri, che prenderanno forma proprio in quel luogo. Che ricorderanno,
nei sogni, per gran parte della vita. E
che in quel luogo rimarranno esposti,
da morti, allo sguardo dei discendenti. In quanto immagine di confine, e
di contatto, il letto è anche luogo di
confronto, e di conflitto. Non a caso
tutte le visioni religiose vedono il giaciglio come territorio strategico, in cui
si decide lo stile e la direzione di tutto
il resto della vita. Incontro e confron-
to con l’altro, con gli Dei, con i demoni,
il letto definisce un campo energetico
che raccoglie forze di origine, e direzione, contrastante. Dalla sua capacità di accoglierle, e comporne le dissonanze senza spegnerne la forza, dipende, in modo non solo metaforico,
il benessere dell’individuo, e della piccola comunità in cui si muove. Spazio
orizzontale per eccellenza, esso viene
tuttavia incorporato nelle avventure
della verticalità umana: dal letto si prega, e si sogna. È in quel luogo che si
affaccia, più che in ogni altro spazio,
la possibilità dell’estasi. Per tutte queste ragioni, ed altre ancora, il letto è
in fondo.
Claudio Risé
psicoanalista e scrittore, ha sottolineato nel suo lavoro la relazione tra
dinamica psichica e simboli del corpo, della cultura materiale, e della natura primordiale. Ha così aperto in
Italia la riflessione sui riflessi del mondo Selvatico nella psiche individuale
e collettiva col libro: Il maschio selvatico. Ritrovare l’istinto rimosso dalle
buone maniere ( Red edizioni ), giunto oggi alla IX edizione, continuandola poi nei lavori successivi, fino al
recente: Donne Selvatiche. Forza e
mistero del femminile, scritto con Maria Paregger (Frassinelli). È membro
dell’Istituto per gli studi Superiori Gerolamo Cardano, del Comitato Scientifico di Fondazione Liberal, e Chargé de Récherches alla Fondazione
Eranos di Ascona.
• Organizzatori
Ordine degli Architetti, Pianificatori,
Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Pavia, 3 piazza Dante 27100
Pavia, telefono 038227287
Comune di Pavia, Assessorato alla
Cultura,Turismo e Promozione della
Città
2 piazza Municipio 27100 Pavia, telefono 03823991
• Patrocinatori
Provincia di Pavia
Università degli Studi di Pavia
• Curatore del Seminario
Luca Micotti, Architetto, Responsabile della Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Pavia
• Discussant
Prof. Remo Dorigati, Architetto, Docente di Composizione Architettonica presso il Politecnico di Milano
• Sponsor
Edilcommercio S.r.l. S.S. 35 dei Giovi,
Certosa di Pavia, telefono 03829361
[email protected]
Mobili Guidotti S.n.c., 338 via Emilia,
Broni, telefono 038551288
• Bookshop
Durante i mesi del seminario testi dei
relatori saranno disponibili alla Libreria Il Delfino, 11/a piazza Vittoria 27100
Pavia (di fronte a Santa Maria Gualtieri), telefono 0382539384, [email protected]
• Progetto grafico
Luca Micotti, Architetto
• Supporto multimediale
Nico Papalia, Architetto
• Stampa
Tipografia Popolare, 4/a via San Giovannino, Pavia, telefono 0382572774,
[email protected]
[email protected]
locali, come il soggiorno e la
cucina in marmo di Varenna.
I nuovi proprietari la ribattezzarono Villa Mainona, formandone il nome con le loro
iniziali: Mai=Meier, No=Northia (l’unica figlia dei signori
Meier), Na= Napoleone (padre della signora Angela Severini Meier) (2). La casa del
custode (mappale 1629), erroneamente ritenuta in alcuni articoli come Villa Meier,
fu ricavata dalla rimessa per
auto e carrozze, alla quale furono aggiunte le due scale
po la demolizione della villa
Becker già Mack, e l’acquisto
di tutto il terreno (1924), fa
riferimento su espressa richiesta dei committenti Meier,
al giardino all’italiana di Villa
Colonna a Roma, proponendo una rivisitazione classica
in chiave rococò, in cui si inserisce molto bene la settecentesca Tarocchiera ottagonale (6). Avendone constatato la perizia e il valore, il Comune lo chiamò per alcuni anni a fare parte della Commissione Edilizia, nell’ambito del-
“casa di villeggiatura” dietro
il giardino Meier, di fronte al
campo da tennis; l’architetto
Lingeri fu per anni loro fiduciario, e sicuramente li consigliò nella ristrutturazione
del loro palazzo, portandolo
alle forme regolari attuali. Intanto il signor Roberto Meier
era divenuto Presidente della De Angeli Frua. Le opere di
Pietro Lingeri a Milano, legate a questi due nominativi,
sono cosa notoria.
Lucia Pini
Pietro Lingeri,
l’architetto
nato a Tremezzo
Pietro Lingeri nacque a Tremezzo nel 1894 in frazione
Bolvedro; qui visse e lavorò
nei primi tempi della sua lunga carriera come architetto e
anche dopo il suo trasferimento a Milano, vi ritornò regolarmente, e vi morì nel 1968.
Qui si verificarono alcuni avvenimenti decisivi che incisero positivamente sul corso della sua vita professionale, come l’incontro con i signori
Meier e i signori Rustici.
Il signor Roberto Meier, commerciante di cotone, originario di Zurigo, appartenente
alla ricca comunità protestante
di Milano, e abitante in Corso Venezia al numero 73, aveva acquistato nel 1918 dalla
famiglia Riva una grande tenuta a Tremezzo sul lago di
Como, contenente parecchi
fabbricati tra cui la villa patronale ottocentesca, Villa
Hortensia (mappale 436). Quest’ultima fu danneggiata da
un incendio, forse doloso, nel
1919, quando i militari che la
occupavano stavano smobilitando l’edificio e tutto il giardino adibito ad autoparco e
deposito carburante (1).
Il Lingeri fu probabilmente incaricato di ristrutturarla sia
all’esterno che all’interno,
provvedendo anche all’arredo e al rifacimento di alcuni
43
simmetriche esterne (3).
Nel 1925-26 realizzò la serra
con le limonaie e ristrutturò
nello stesso stile la serra già
esistente (4).
L’edificazione della Quinta
scenografica sul retro del parco è dovuta alla richiesta della signora Angela Severini
Meier di erigere un muro decorativo che risolvesse il problema del dislivello tra il piano del tennis e il terreno costeggiante la strada comunale, sulla proprietà ex-Peduzzi
acquistata nel 1928 (5), e sulla quale era stato creato il
campo da tennis e il chioschetto adibito a bar con gli
affreschi del De Amicis evocanti la vendemmia, sul bancone rotondo.
Per il parco a lago, creato do-
Villa Meier (allora Hortensia) prima dell’intervento di Lingeri. In primo
piano la vecchia chiesa (demolita nel 1892), sullo sfondo la Tarocchiera.
Particolare del parco a lago ispirato a Villa Colonna.
Villa Meier com’è oggi, dopo l’intervento del Lingeri che modificò il
tetto e aggiunse il corpo scala esterno.
la quale progettò e diresse altri lavori. Nel 1931-32 l’Ente
Villa Carlotta gli affidò la progettazione di una passerella
pedonale sul terrazzo della
Darsena di Villa Carlotta (ora
demolita), per cui chiese e ottenne l’autorizzazione prefettizia di usare il cemento armato (7). Risale agli stessi anni la costruzione dell’edificio
ormai famoso dell’A.M.I.L.A.
realizzato con il permesso di
edificare strutture in cemento armato sotto la sorveglianza
dell’ing. Augusto Pini, come
tecnico di fiducia della Reale
Prefettura, con il quale collaborerà poi per il Lido di Bellagio (8).
I signori Rustici, residenti a
Milano in corso Sempione,
possedevano a Tremezzo una
Note
1. Lettera della signora Angela Severini Meier, datata 2 ottobre 1919.
2. Notizia fornitami dal Marchese
Oberto Pinelli Gentile di Castel Tagliolo, figlio della signora Northia, e
unico nipote dei Meier.
3. In questa casa, con le mansioni di
custode e giardiniere, dimorò fino alla fine degli anni ‘60 la famiglia Pesenti, di cui un figlio tuttora vivente,
abita ancora in Comune di Tremezzo.
4. Lettera di Pietro Lingeri, datata 30
novembre 1926.
5. Lettera della signora Angela Severini Meier del 6 gennaio 1929.
6. Lettera del signor Meier all’architetto Lingeri, datata 16 maggio 1927.
7. Progetti Lingeri del 12 settembre 1931
e dell’11 gennaio 1932. Concessione
del Prefetto del 9 febbraio 1932.
8. Lettera del Podestà all’architetto
Lingeri del 26 aprile 1932.
Informazione
Lettere
Stampa
44
Rassegna
a cura di Manuela Oglialoro
Informazione
Ambiente
La disfida dell’elettrosmog. La giunta regionale non applicherà la distanza di sicurezza (da “la Repubblica” del 1.3.02)
Franchi tiratori nella maggioranza e in
Consiglio regionale passa una legge
che alla maggioranza non piace per
niente. Vieta antenne su scuole, asili,
ospedali, centri sportivi. Dovranno essere sistemate a 75 metri di distanza.
C’è un iter da rispettare che prevede
tempi lunghi. La legge su questo punto è molto chiara” spiegano all’ARPA, l’Agenzia regionale per l’Ambiente.
I Comuni “devono riprendere in mano i piani regolatori, identificare gli
edifici vicini alle antenne e verificare
se è rispettata la distanza prevista. Se
non è rispettata entro due anni le antenne devono essere spostate”. Intanto gli impianti proseguiranno nel
loro lavoro. Perché “esercitano un servizio pubblico in concessione governativa”, ottenuta sborsando miliardi.
Se il Comune si fa verde. Le Iso
14000 sempre più importanti per
la riqualificazione turistica del territorio (da “Il Sole 24 Ore” del 13.2.02)
Utilizzare le risorse ambientali come
materia prima per attirare i turisti. È
questa la ricetta vincente a giudicare
dall’impatto che la certificazione ambientale Iso 14001 ha avuto sullo sviluppo turistico di Jesolo, Celle Ligure,
Capri e Cesana Torinese. Quattro esempi di amministrazioni pubbliche che
hanno deciso di scommettere sulla qualità ambientale dei propri territori per
incrementare servizi e soddisfare le diverse esigenze della collettività.
Costruzioni
La certificazione resta fuori casa.
Manca un soggetto che garantisca l’acquirente su tutti i requisiti
dell’abitazione. Confedilizia: serve un ente privato (da “Il Sole 24
Ore” del 13.2.02)
Se si parla di mercato immobiliare abitativo le considerazioni che prevalgono negli acquirenti troppo spesso
prescindono dalla qualità in senso generale per concentrarsi su questioni
certo importanti, come l’ubicazione
o l’aspetto esteriore del bene, o più
semplicemente il prezzo, ma non aiutano ad affrontare l’acquisto nel mo-
do corretto. La casa non è un prodotto che si possa facilmente scomporre in un limitato numero di elementi, tutti controllabili e verificabili. La qualità è una somma di caratteristiche che difficilmente sono tutte soddisfatte al meglio. Negli anni
scorsi erano sorti alcuni istituti di certificazione immobiliare, come Iiq-Qualitalcasa, con sede a Milano, promosso dall’Associazione di piccoli
proprietari Confappi. Ma sono esperienze che non hanno conosciuto
una reale diffusione. Diverse sono le
ambizioni di Confedilizia, la maggiore
associazione della proprietà immobiliare, che ha avviato da poche settimane un’analisi della situazione per
ripartire da zero con la creazione di
un’istituzione nuova o la promozione di una già esistente.
Fa discutere il libretto delle istruzioni (da “Il Sole 24 Ore” del 13.3.02)
Sul “Libretto del fabbricato “ si scaldano i motori. E gli animi. La proposta, ormai di qualche anno fa, è di
elaborare una specie di volumetto,
simile ai libretti d’uso e manutenzione dei macchinari, dove indicare
la situazione giuridica, costruttiva e
urbanistica dell’immobile. Ma trova
su fronti opposti le due principali organizzazioni dei proprietari: l’Uppi
(piccoli proprietari) è favorevole, mentre decisamente contrarie sono Confedilizia e Alac (amministratori condominiali).
Energia
L’acqua di falda usata come combustibile (da “Il Giornale “ del 6.3.02)
Combattere l’inquinamento e rendere più respirabile l’aria della metropoli e della provincia milanese utilizzando e sostenendo lo sviluppo di
fonti di energia rinnovabile ed alternativa in grado di ridurre le emissioni
tossiche dei gas ad effetto serra. È l’obiettivo di un programma di interventi
che la Provincia di Milano ha avviato
firmando un protocollo d’intesa con
la Regione Lombardia e il Comune.
La campagna “Aria pulita” parte da
due progetti sperimentali di impianti
solari fotovoltaici, che sfruttano cioè
l’energia solare per produrre energia
elettrica, in via di realizzazione in due
scuole milanesi, l’Itis Lagrange e l’Itis
Molinari e in tre istituti di Legnano.
Utilizzerà invece l’energia geotermica prodotta dall’acqua di falda anziché gasolio e metano l’impianto di
climatizzazione a pompa di calore in
costruzione in un palazzo della Provincia in corso di Porta Vittoria che
consentirà un risparmio energetico
del 39% e ridurrà del 40% le emissioni di anidride carbonica.
Paesaggio
Alla Statale corso post laurea per
esperti del verde urbano (da “Il
Giornale” del 18.2.02)
Riqualificare Milano grazie all’Università. Ripristinare l’estetica del patrimonio verde di una piazza della città, rendere di nuovo funzionali gli
spazi, restituirle la dignità di crocevia
pubblico eliminando le cause di de-
grado ed esaltandone l’identità storica dell’insieme architettonico. E quanto potranno fare i partecipanti del
corso di perfezionamento in Progettazione del verde degli spazi urbani
all’Università degli studi di Milano.
Infrastrutture
Nel 2006 pronta una nuova tangenziale (da “Il Giornale” del 20.2.02)
Le tangenziali milanesi raddoppiano.
Grazie ad un documento firmato a
Palazzo Isimbardi che certifica la nascita della società che avrà in compito di promuovere “un’opera storica,
ha detto il Presidente della Provincia,
Ombretta Colli, un nuovo anello di
tangenziali capace di alleggerire il traffico e contrastare lo smog”. Della compagine fanno parte Milano-Serravalle, gestore delle attuali tangenziali e
autostrade (32% di quote a testa), Intesa (20%), Milano-Torino e Brebemi, il consorzio per la superautostrada Milano-Brescia, entrambe con l’8%.
La Provincia entrerà in società nelle
prossime settimane, con il 15%.
Milano
Al via i lavori in corso Como, Garibaldi e Ticinese. Proteste dei commercianti. Il Comune: residenti
soddisfatti (dal “Corriere della Sera” del 22.2.02)
Telecamere per proteggere le isole
pedonali, dove i marciapiedi verranno allargati e compariranno tavolini
e oggetti d’arredo. Nel giro di un paio
di mesi verrà attivato un sistema di
controllo elettronico all’ingresso delle tre nuove zone a traffico limitato.
In corso Garibaldi, corso Como, corso di Porta Ticinese la circolazione sarà consentita solo ai residenti, ai taxi
e alle ambulanze oltre che, dalle 8 alle 11 del mattino, ai mezzi di scarico.
I commercianti infuriati annunciano
iniziative di protesta e sostengono di
aver subito finora un calo negli affari del 30%. Nel frattempo l’amministrazione presenta i progetti di Arredo Urbano per le tre zone.
Urbanistica, direttore indagato.
“Abuso d’ufficio per il maxi parcheggio d Linate” (da “la Repubblica” del 14.2.02)
Sale di livello l’inchiesta per il Maxi
parcheggio di Linate: la procura ha
iscritto nel registro degli indagati il direttore centrale dell’area pianificazione urbana Emilio Cazzani. Tutto gira
intorno ad un’area non edificabile di
20.000 mq acquistata da una società, la Sosemi, nel 2000. Pochi mesi
dopo il passaggio di proprietà, un atto del Comune la fa diventare edificabile. Moltiplicandone il valore. La
Sosemi - che già aveva preso accordi
con la Mc Donald e la Esso - comincia i lavori che però vengono bloccati dalla procura: quella struttura è proprio nel cuore della zona rossa, troppo vicina alla pista, laddove non si potrebbe piantare neppure un palo.
Traffico e barconi i nemici dei Navigli. Malara e Rota: serve un solo ente gestore (dal “Corriere della Sera” del 13.3.02)
Navigli: sono il simbolo e l’emergenza di Milano e delle città lombarde.
Sono l’esempio di come, il sovrapporsi delle competenze, sia un ostacolo da rimuovere. Tutti hanno preso dai Navigli e nessuno ha dato” accusa Empio Malara, presidente dell’Associazione Amici del Navigli, “La
Regione se ne è infischiata e Milano
ha fatto una politica contro. Una autorità unica è necessaria; ma bisogna
far capire due cose: i Navigli non sono una nostalgia del passato ma una
risorsa del futuro. L’acqua e il turismo
sono risorse. Inoltre, è necessario che
aumenti il senso civico, e che i cittadini spingano le amministrazioni a vare un progetto complessivo”.
Lavori per le sponde dei Navigli.
Accordo fra Regione e Comune
(da “Il Giornale” del 13.3.02)
Un bando di gara prestissimo, per avviare i lavori sulle sponde dei Navigli.
E poi l’annuncio che a fine marzo riaprirà al traffico via Chiesa Rossa. Per
quanto riguarda il consolidamento
dei precari argini dei Navigli, a rischio
ogni volta che piove pesantemente,
Il Vicesindaco Riccardo De Corato ha
annunciato un accordo con la Regione Lombardia, che divide con il
Comune le competenze, che dovrebbe portare presto ad un bando
di gara per l’appalto dei lavori di rafforzamento.
Professione
Sugli Albi la spinta della Ue Cambierà l’iter per riconoscere i titoli
di architetto e le regole per le prestazioni di servizi (da “Il Sole 24
Ore” del 5.3.02)
Si impongono a suon di sentenze della Corte di Lussemburgo (o grazie agli
interventi della commissione) le regole Ue sulle professioni finalizzate
alla libertà di circolazione. È sempre
la Corte Ue a spronare l’Italia a semplificare l’iter per il riconoscimento dei
diplomi nell’area di architettura. Infine, l’apertura dei piccoli appalti (sotto la soglia comunitaria) alle società
di ingegneria dovrebbe mettere fine
ad un contenzioso con Bruxelles, prima che la parola sulla questione passi ai giudici.
Tariffe, parte la corsa all’adeguamento. E i commercialisti pensano già di reintrodurre le sanzioni
per il mancato rispetto dei minimi (da “Il Sole 24 Ore” del 21.2.02)
Il salvacondotto rilasciato dalla Corte
di Giustizia Ue sulle tariffe decise
dall‘Autorità pubblica, su proposta di
un Ordine, rilancia la corsa all’aggiornamento dei corrispettivi professionali minimi e massimi, All’indomani
della sentenza relativa, i Consigli nazionali riorganizzano i dossier sulle tariffe prima di presentarli al Ministro
della Giustizia. A chiedere la rivisitazione delle tariffe è anche Sergio Polese, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, che per quanto
riguarda gli onorari a percentuale e a
quantità sono ferme al 1987: fanno
eccezione i corrispettivi a vacazione
che sono stati modificati nel 1997,
portando gli importi da 18mila a 110mila (da 9,3 a 56,8 euro).
a cura di Antonio Borghi
Milano autocritica
I lettori che seguono questa rubrica
dal marzo dello scorso anno avranno
notato una certa vena critica che la
attraversa, rivolta soprattutto nei confronti delle vicende milanesi. Me ne
rendo conto e talvolta mi propongo
di correggere questa impostazione
sia nel tono che nell’oggetto, ma d’altra parte è innegabile che la stragrande
maggioranza dei contributi che troviamo sui giornali a proposito del capoluogo lombardo sono di natura critica, e nemmeno la rubrica di questo
mese farà eccezione, se non per il carattere particolarmente appassionato e costruttivo della critica stessa. Altra peculiarità della rassegna di questo mese è il fatto che nessuno degli
articoli citati è scritto da architetti, e
nemmeno riguarda l’architettura in
senso stretto, quanto piuttosto la città e i modi di abitarla. Mi scuso nei
confronti di chi considerasse queste
delle inutili divagazioni e colgo l’occasione per invitare i colleghi a segnalare temi ed articoli di interesse
specifico, magari riguardanti questioni
degli altri capoluoghi lombardi, e che
potrebbero essere affrontati in questa sede.
Iniziamo con un articolo di Geminello Alvi, dal “Corriere della Sera” del
28 ottobre 2001 che si intitola Diario di un forestiero in città. I distratti
di Milano. “Dietro il finestrino del treno per Milano il cielo è basso sulla
pianura, che scorre via velocissima, e
resta sempre più uguale, premuta
dalla nebbia. Dalle coste adriatiche
tra le Romagne e Ancona si va così
meditabondi, perché non c’è più il
mare a svagarci con le ignavie di casa. Delle quali, in quel concentrarsi di
pianura nebbiosa, è pur vero un poco ci si pente anche, e si diverrebbe
melanconici; non fosse per il fatto
che si viaggia verso l’Occidente e l’agire. Noi in terre papaline e di Bisanzio siamo irretiti da un agire per dispetto, sovente senza altro fine che
quello di raccontarlo. Perciò il viaggio a Milano ci riscatta: lì c’è un fine,
un esito diverso, forma ampia senza
confini, e finalmente morbida, come
questa nebbia, per i nostri atti. Come sono più morbidi qui i campi, gonfi tappeti tra i pioppi, e le periferie, fino alla stazione centrale che buona
ci ingloba in un cielo convesso di ferro e vetrate. E a discendere le sue scale già ci si sente felici, come bambini
cresciuti. Malgrado ogni se e però,
questa resta la città che scuote, avvolge, desta all’agire. Eppure ormai,
e da svariati decenni, i milanesi paiono non accorgersene. Stanno lì depressi, elettricamente operosi, ma sfiduciati. L’aria puzzava di più negli anni Sessanta. Ma allora c’era coscienza di questo agire avvolgente, ed esso levitava in calore. Bonomia ruvida,
ma felice di sé. Adesso eclissata. Non
tanto poi per i meridionali, che vi hanno importato atavici rancori tristi ma
non solo. Il fatto è che proprio tutti i
milanesi, antichi o nuovi, si sono di-
menticati di cos’è Milano. Di che cosa enorme essa è per l’Italia e in sé.
Torino separa; Roma stordisce e corrompe; solo Milano lievita, rinnova,
ingloba. Eppure tutti, le donne che
parlano più in fretta, come i tassisti,
e i giovani ricchi del Giamaica paiono essersene dimenticati a memoria.
Ma se si dimentica qualcosa è perché d’essa non v’è più coscienza. E
cos’è, dove sta la coscienza d’una città? La risposta onesta è: nelle sue élite, non solo economiche. Dunque
Milano ha perso il miglior senso di sé,
per i difetti di chi in essa ha più potere. Non sono i tassisti pugliesi ad
avere confuso Milano. Sono queste
élite che a Milano non si vogliono più
bene e hanno mollato, proprio come i tristi della sinistra e della destra
che vi sono restati a far politica. Il traffico a Roma funziona ora meglio di
prima. Ma Roma ha ogni suo pregio
proprio nell’essere perduta. Essa non
potrà mai emendarsi. Miliardi di recenti prebende la hanno soltanto imbellettata. Milano invece, seppure per
il traffico e altri guai, sia certamente
negli ultimi decenni regredita, può
ancora riaversi. Per un viaggiatore dall’Esarcato bizantino è del tutto evidente. A Milano bene o male c’è ancora quanto non c’è altrove: un lievito-calore sano. E anche solo la minima, ma concentrata percezione
d’esso basterebbe a rimediare un vivere che oggi è brutto. Ma che con
poco, e questo fa rabbia, tornerebbe in sé. Perciò un fine settimana invece di salire nelle enormi barche su
quel giulivo e biasimabile mare tirrenico, o perdere tempo con le pignolerie e le ripicche della politica, chi tiene a Milano dovrebbe badarci, e insistere sulle poche pratiche cose di
cui abbisogna. Quindi mangiare leccornie smodate e poi nelle strade cadere per terra e nella nebbia finalmente confondersi, darsi la mano, e
sentire quel morbidume ruvido, per
cui tutto quanto di retorico si dice di
Milano è vero. E commuoversi, così
tornati civicamente più pratici.”
Gli risponde Beppe Severgnini il 7 novembre sulla stessa testata col suo articolo I quarantenni e la città da usare. Autocritica su Milano. “Ho letto il
bell’articolo di Geminello Alvi, e gli interventi che sono seguiti. Anch’io vorrei capire cosa sta succedendo a Milano. Senza dare la colpa a nessuno.
Prendendomela, invece. Prendendomela a nome di un gruppo e di una
generazione, quella dei professionisti
e degli imprenditori che hanno oggi
tra 40 e 50 anni. Per esser chiari: potremmo far molto per la città. E non
lo facciamo. Milano ci dà più di quanto noi le diamo. Le offriamo, certo, le
nostre competenze professionali; accettiamo posti in qualche consiglio,
associazione, fondazione (e c’è chi
pensa a sfruttare questi incarichi, invece di lasciarsi benevolmente usare,
come sarebbe giusto). Ma non proponiamo, non inventiamo, soprattutto non ci arrabbiamo più. E dovremmo. Montanelli, che amava Milano di un amore bellicoso, mi diceva spesso: ‘Sai, una volta era diverso’.
All’ inizio pensavo si trattasse di nostalgia. Poi ho capito. Indro aveva conosciuto e ammirato una generazio-
ne che negli anni Cinquanta e Sessanta (quando aveva, appunto, 4050 anni) usò soldi e grinta per dar lustro e orgoglio a Milano. Spesso non
aveva gusto: ma aveva il buonsenso
da rivolgersi alle persone di gusto. Mi
chiedo cosa stiamo facendo noi. Mostre e concerti? Non basta. Potrei invocare un’attenuante personale: appena posso ritorno a Crema, dove sono nato. Milano mi offre soprattutto
il piacere del lavoro e il dispiacere del
traffico. Ma non invoco attenuanti
perché a Milano sono riconoscente,
e le voglio bene: mi ha dato, moltiplicato per dieci, tutto quello che avevo sognato. La frequento, ho una piccola casa e alcuni ottimi amici, esco
e vedo, discuto in privato, parlo in
pubblico. E scrivo per il ‘Corriere della Sera’, che mi offre una magnifica
plancia da cui osservare questo mare urbano mentre l’attraverso. Perciò
mi sento di dire: non stiamo facendo
a sufficienza. Noi, professionisti e imprenditori quarantenni, rispettiamo
Milano, ma non basta. La usiamo dal
lunedì al venerdì, e ce ne andiamo
durante i fine settimana; d’inverno e
d’estate, l’abbandoniamo appena
possibile. Abbiamo case accoglienti
con garage. La vergognosa condizione di una città che non riesce a impedire la sosta sistematica in doppia
fila ci irrita, ma non ci sconvolge. Soprattutto, non ci offende. Invece dovremmo offenderci, davanti a questa
e altre vicende (il menefreghismo dei
guidatori col cellulare, i marciapiedi e
le aiuole trasformati in gabinetti per
cani). La vicende amare di Linate dovrebbero appassionarci (invece pensiamo: da quale altro aeroporto potremmo partire?). Il degrado della Stazione Centrale, dove Milano sembra
Varsavia negli anni Settanta, dovrebbe spingerci a dire: questo è anche il
nostro biglietto da visita, accidenti.
Non possiamo accettare bar sciatti e
affollati, scale mobili in eterna riparazione, cartacce, servizi primitivi. Dovremmo appassionarci e arrabbiarci,
per Milano. Dovremmo proporre e
cambiare, dovremmo tallonare il sindaco, che, anagraficamente, professionalmente, è uno di noi (e dirgli: se
non ti lasciano risolvere questi problemi, che senso ha continuare?). Dovremmo amare Milano dell’amore
rabbioso con cui i newyorchesi amano New York, e son riusciti a cambiarla, in dieci anni. Anche loro sono
‘morbidi ruvidi’, caro Geminello Alvi.
Non rassegnati, però.”
Concludiamo con una esortazione di
Guido Martinotti, pubblicata sul “Corriere” del 24 ottobre 2001 col titolo:
L’immagine della città nel mondo. Il
buon gusto di Milano. “Harvey Molotch, chairman del Metropolitan studies center della New York University
e ospite della Bicocca nei giorni scorsi, racconta di una pubblicità a piena
pagina sul New York Times per ‘L’Isola’, un nuovo condominio di lusso
a Manhattan. Chi comprerà un appartamento in questo condominio,
vi si legge, ‘gusterà lo stile di vita sofisticato dei milanesi’. L’Isola non è
proprio il quartiere più chic di Milano, ma l’aneddoto offre lo spunto
per chiederci, con l’illustre sociologo
americano, quali siano gli ingredien-
ti che formano l’immagine di una città. Un tempo, per capire le caratteristiche di un luogo, si faceva soprattutto riferimento alla sua base economica, distinguendo, come fa ad
esempio Weber, tra città industriali,
città mercantili, città amministrative
e città di svago, come i grandi centri
termali. Oggi i sociologi hanno capito che le città hanno qualità estetiche e valori sociali che, pur non strettamente dipendenti dalla loro economia, vi si intrecciano in molti modi sottili, uno dei quali è l’importanza di quello che si chiama il ‘mercato interno’. All’inizio del Novecento
tutti i prodotti di cosmetica portavano la firma ‘de Paris’, perché la Ville
Lumière era stata meta di pellegrinaggio delle élite di mezzo mondo
che vi cercavano la vita dorata celebrata dovunque da opere teatrali come la Traviata. Così la ragazzina di
Levittown o la moglie del notaio di
Lancusi, comperando il profumo o il
barattolo di crema, si impadronivano di parte di quel mondo immaginario. I milanesi hanno sempre pensato alla loro città come brutta e industriale, ma è un’immagine parziale che trascura altri aspetti importanti
della società ambrosiana, che Fellini
pensava al maschile contro una Roma femmina. Se vogliamo provare
una sensazione quasi fisica dell’immagine di Milano diffusa in tutto il
mondo, andiamo a sentirci la suonata ‘Milano’ del Modern Jazz Quartet, registrata il 23 dicembre 1954. È
un pezzo freddo, dolcemente intellettuale, di una Milano in bianco e
nero, che non ha nulla a che vedere
con il suono delle sirene o dei clacson di solito associato alla Milano industriale. Eppure, per le vie sottili di
una cultura artistica che permetteva
allora a Milano di essere considerata
‘uno dei più attivi centri di jazz d’Europa’ e ad artisti come Munari di produrre oggetti e disegni capiti e apprezzati dalle élite locali, si diffondeva anche tra le classi medie un gusto
non chiassoso, riconoscibile ovunque.
Tanto che i costruttori newyorkesi se
ne servono come leva per cercare di
vendere appartamenti di lusso. Purtroppo lo stile inaugurato dalla Milano da bere ha in parte bruciato questo patrimonio, introducendo una
cultura televisiva sguaiata e chiassosa, che ha poco a che vedere con la
‘Milano’ del Modern Jazz Quartet.
Se la società milanese perde quel
buon gusto diffuso che permette all’industria della moda di utilizzarla come banco di prova e anche in parte
come fonte di ispirazione, il mercato
interno di questa importante industria rischia di inaridirsi”.
45
Informazione
Riletture
Libri,riviste
e media
a cura della Redazione
46
Rassegna
di Giulia Miele
Informazione
informazione
Ferruccio Luppi,
Paolo Nicoloso (a cura di)
Marcello D’Olivo. Architetto
Mazzotta, Milano, 2002
pp. 212, € 29,00
Isabella Reale (a cura di)
Marcello D’Olivo.
Architettura e Arte
Mazzotta, Milano, 2002
pp. 104, € 21,00
S.E.V.
Edilizia sostenibile.
44 progetti dimostrativi
ed. italiana a cura
di Gianni Scudo e Silvia Piardi
Esselibri-Simone, Napoli, 2002
pp. 134, € 15,00
Giovanna Massobrio,
Maria Ercadi, Stefania Tuzi
Paolo Portoghesi architetto
introduzione di C. Norberg-Schultz
Skira, Milano, 2002
pp. 320, € 60,00
Giorgio Piccinato
Città e urbanistica nel mondo
Edizioni di Comunità, Torino, 2002
pp. 150, € 15,00
Andrea Maglio
Hannes Meyer: un razionalista
in esilio. Architettura urbanistica
e politica 1930-54
Franco Angeli, Milano, 2002
pp. 192, € 21,50
Regione Lombardia,
Ass. Verdi Ambiente e Società
“Guide di turismo ambientale”:
• Edo Bricchetti, Stefania Chiaravalli, Alfio Rizzo
I fossili del Lavoro. Percorso
di Archeologia Industriale
• Cristiana Leopardi, Ferdinando
Moretti Foggia, Fabio Staffini
Terre ed Acque. Testimonianze,
Riserve, Monumenti Naturali
• Mario Allodi, Rita Sicchi
Giardini lombardi.
Itinerari nella storia dei giardini
• Mario Allodi, Rita Sicchi
Paesaggi e ambienti in Lombardia
distribuzione gratuita
tel/fax 02 66104888
Una rivista a misura
di lettore
Tensostrutture: principi, esempi e normative
Adriano Olivetti
“costruttore”
Arch’it, rivista digitale di architettura diretta da Marco Brizzi, è nata nel 1995 per volontà di un gruppo di giovani architetti uniti dall’intenzione di lavorare con determinazione sui sistemi digitali. L’ambiente culturalmente favorevole
all’interno del quale è nata e l’apertura tematica ampia hanno fatto sì che Arch’it si offrisse ben presto come strumento di informazione sullo stato dell’architettura,
destinato a mettere in contatto figure in cerca di nuovi percorsi d’indagine, spesso marginalizzate rispetto ai flussi tradizionali della
cultura architettonica. Tra questi i
giovani architetti italiani hanno
rappresentato e rappresentano un
ampio campo d’indagine che si
può scorgere nella sezione “Architetture”. Un altro tema di studio è quello strano arcipelago di
idee e di ipotesi legate all’avvento del digitale. Sono nate così sezioni come “Extended Play” o “In
a Bit” nelle quali si raccolgono saggi e testimonianze sulle influenze
della digitalizzazione in architettura. Numerosi ambiti legati all’informazione si aggiungono a
quelli citati. Tra i più utili, lo spazio dedicato ai concorsi di architettura, di cui Arch’it offre gratuitamente i bandi raccolti e fatti circolare all’interno di ICN, International Competitions Network. Nello spazio relativo alle “News”, la
pubblicazione quotidiana di informazioni raccolte nella stampa
nazionale e internazionale produce una sostanziosa rassegna integrata con segnalazioni di eventi
culturali.
La struttura di Arch’it riflette l’impostazione di una rivista cartacea,
nelle cui pagine si sono però progressivamente formati e sviluppati numerosi ambiti tematici. In questo senso, pur confermandosi strumento accessibile anche per un
pubblico legato all’idea tradizionale di magazine, è come se Arch’it fosse un insieme di riviste,
ciascuna delle quali allestita per
un suo specifico lettore.
Grande incremento hanno avuto
le costruzioni con membrane, grazie alle insolite realizzazioni di Otto Frei, frutto delle sue ricerche a
Berlino sulle strutture leggere.
Con il termine di tensostruttura,
assai più sintetico e fisionomizzante delle denominazioni usate
nella letteratura inglese e tedesca
(hanging roof e hängende dach,
entrambi traducibili come copertura sospesa o appesa e pertanto
limitativi della categoria considerata), si intendono in generale le
strutture nelle quali predomina la
più semplice delle sollecitazioni,
ossia quella di trazione; strutture
caratterizzate cioè dal fatto che il
compito che sono chiamate ad affrontare, ossia il riporto a terra di
forze applicate nello spazio, viene
appunto assolto con una opportuna organizzazione di membrature lavoranti, in massima parte a
sollecitazioni di trazione e taglio.
Queste sono le parole esplicative,
redatte da Giulio Pizzetti e Anna
Maria Zorgno Trisciuoglio del Politecnico di Torino, per l’edizione
italiana, che qui viene presentata
e con cui il libro inizia.
Rispetto a quella originale, essa ha
in più, oltre ai loro estesi contributi, anche una sezione dedicata
alla normativa italiana in materia.
Riguardo a vele, film e membrane,
il libro presenta concetti eterogenei, evidenziando la molteplicità
di un nuovo modo di costruire, con
materiale leggero e sottile, per
grandi luci, senza sostegni e per
generare una molteplicità infinita
di superfici, veloci da realizzare, a
curvatura spaziale, lievi alla vista,
trasparenti o translucide; illustra i
criteri di progettazione, le scelte
compositive consentite e fornisce
un’ampia selezione di edifici realizzati, corredati da particolari, disegnati in scala. Hans-Joachim
Schock, strutturista, è stato docente all’Università dell’Oregon e
membro dell’Istituto per le strutture leggere di Stoccarda.
Presentato come guida al Museo a
cielo Aperto dell’Architettura Moderna (Maam) di Ivrea, questo libro,
pubblicato nei tipi della Biblioteca di
Architettura Skira, costituisce uno
studio articolato sulla figura di Adriano Olivetti “costruttore” e, particolarmente ricco di immagini, spesso
riproduzioni dei disegni conservati
all’Archivio Storico Olivetti, consente di leggere il progetto che Olivetti
ha approfondito, chiarito, cercato di
compiere in tutta la sua attività “edilizia”. I due autori ordinano per temi della vita civile le parti di questo
progetto e, come in un manuale, le
opere stabiliscono tra loro regole e
questioni sulle quali una generazione di architetti e intellettuali si interrogarono e cimentarono dagli anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta. Ivrea è stata il laboratorio,
ed oggi è il museo di quella straordinaria esperienza, che era ricerca di
un’architettura in grado di ricostruire il paese, di dare alla gente scuole, fabbriche, uffici, case e città migliori. Studiati, attraverso il giudizio
dell’architettura e dell’urbanistica,
questi progetti “esemplari”, mostrano un continuo approfondimento
delle soluzioni per la costruzione dei
luoghi della città, e si configurano
come la verifica e la messa a punto
di un’idea civile, alla luce della quale Adriano Olivetti ci appare appunto costruttore piuttosto che collezionista. La città come luogo collettivo per eccellenza e, ad un tempo,
come elemento ordinatore nella costruzione del territorio è il tema che
in ogni lavoro Olivetti sembra cercare ed è in questo senso che ognuno
di questi progetti ci pare “esemplare”. In questi interessi si trovano le
ragioni dell’attualità di quella esperienza e questo libro, un po’ guida
ed un po’ manuale, descrive bene
questo interessante tentativo di costruire un’alternativa per il futuro del
territorio e del paesaggio italiano della seconda metà del ‘900.
Roberto Gamba
Paola Giaconia
Arch’it
www.architettura.it
Giuseppe Mazzeo
Hans-Joachim Schock
Atlante delle tensostrutture
Utet, Torino, 2001
pp. 216, € 67,14
Patrizia Bonifazio,
Paolo Scrivano
Olivetti costruisce. Architettura moderna a Ivrea
Skira, Milano, 2001
pp. 182, € 20,00
Love & fun design
Idealità nella costruzione della città
Archivi, progetti,
figure
Count Down non è esattamente
una rivista d’architettura. Si tratta
di numeri monografici sulle proposte per il prossimo millennio che Italo Calvino voleva esporre nelle sue
celeberrime Lezioni Americane. La
struttura di Count Down è doppia:
raccoglie sia le cartoline dedicate al
tema, sia gli scritti o le interviste sul
tema stesso. Sono cioè presenti le
opere d’arte da una parte e le riflessioni degli artisti dall’altra. Il fondatore e direttore di questo semestrale, Massimo Randone, è infatti
un architetto, abituato a pensare in
termini di composizione. Tutte le riviste delle avanguardie architettoniche degli anni Venti e Trenta sono state un’indagine, ognuna a modo suo, sulla relazione tra discipline compositive diverse. Alle architetture si affiancavano pitture e opere poetiche, grafiche o anche musicali. Mentre si precisava la figura
dell’architetto, la disciplina si confrontava con le altre arti. La chiarezza dei risultati era determinata
dalla conoscenza degli elementi propri dell’architettura e dalla consapevolezza d’uso dei procedimenti
compositivi altri. Le Corbusier ha
recuperato dalla cultura illuminista la parola Unità per mettere in
evidenza il ruolo fondamentale che
la progettazione assumeva in questo scambio. Il principio su cui queste monografie si fondano è quello che ciascuno dei temi proposti
da Calvino per la letteratura, e cioè
leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità, sia applicabile a qualsiasi arte compositiva.
Da qui il continuo intreccio tra discipline, in una visione di queste
molto più amplia e attuale, fino a
far diventare la proposta di Calvino, da lui stesso indagata rigorosamente all’interno della letteratura, un puro espediente, utile a
parlare del fare artistico. Count
Down forse non è esattamente
una rivista d’architettura, ma è sicuramente uno spazio di discussione sull’attualità, come Calvino
proponeva pensando al nuovo millennio. Un conto alla rovescia.
“Io vivo nel presente. Non sento la
mancanza delle lampade ad olio. I bagliori di una luce al neon mi ipnotizzano allo stesso modo della fiamma
di un focolare. Ai miei occhi la luminescenza elettronica ha la stessa intensità dei carboni ardenti, e le fibre
ottiche esprimono lo stesso potenziale espresso dal lume di candela. La
modernità allarga gli orizzonti del possibile in relazione all’immaginabile.
Potere all’immaginazione”. Fabio Novembre non ha dubbi rispetto all’origine dei suoi lavori e non ha esitazioni nel descriverli col suo linguaggio iperbolico ed inequivocabile allo
stesso tempo. Nella monografia sono documentati quattordici lavori in
una raccolta di immagini che ne restituiscono fedelmente le atmosfere,
corredate di brevi ed immaginifici testi. I progetti sono tutte architetture
pubbliche (i locali Atlantique, Shu, Blu
Disco, Bar Lodi, i negozi Blumarine,
ecc.), e culminano nelle due realizzazioni più recenti e, dal punto di vista
architettonico, più significative: l’Hotel Li Cuncheddi di Olbia e lo show
room Tardini a New York. Nella prefazione Leo Gullbring individua in Joe
Colombo, Verner Panton e Carlo Mollino le figure del passato più congeniali all’architetto leccese e ne interpreta il modo di progettare: “I lavori
di Fabio Novembre hanno innegabilmente una dimensione spirituale. Come molti italiani, atei e timorati di Dio,
Novembre pone le questioni esistenziali al di sopra del desiderio postindustriale di benessere materiale svincolato dalla responsabilità individuale. Sebbene materializzi nuove utopie, non si tratta degli universi della
perfezione che caratterizzavano il modernismo (…) Il mito prende il sopravvento sul progresso, il modernismo, relegato nel passato, finisce per
rappresentare il contrario di quello
che prometteva di essere: una nuova forma di classicismo imprigionata
in un universo neobarocco. Con un
po’ di nostalgia per un paradiso che
non ha potuto realizzarsi”.
Dal punto di vista etimologico la parola moderno, di derivazione latina,
è composta da modo, ora, e hodiernus, oggi; da ciò consegue la definizione di moderno come “ciò che
appartiene o si riferisce al tempo presente”. Un ciclo di conferenze organizzato dalla Commissione Cultura dell’Ordine degli architetti di
Lecco, ormai nell’autunno del 2000,
si è soffermato ad indagare la questione della modernità e in particolar modo l’idea di costruzione di una
città moderna. Professori, architetti
e storici si sono occupati di alcune
figure che hanno particolarmente
influito nella definizione di una nuova idea di città: Ledoux, Garnier, Sant’Elia e Chiattone. A partire dalla conoscenza, e dalla conseguente critica, della città esistente ognuno di
questi architetti ha formulato una
nuova ipotesi per la costruzione di
una città, moderna, che esprimesse cioè i valori della società loro contemporanea, e che a sua volta si ponesse come alternativa a quella esistente. Pensiamo a Ledoux per esempio e al nuovo modo di relazionare
gli edifici con la natura che diventa
il contesto del costruito e non più
solamente lo sfondo, come accadeva nella città di pietra ottocentesca. Ciò che sta alla base di questo
pensiero è una grande idealità, in
alcuni casi utopica, che permette ad
ognuno di questi architetti, come
pure ad altri non indagati in questi
incontri, di “sperare” in un mondo
diverso che non prescinda però da
quello attuale. In un momento in cui
il dibattito sulla città sembra languire, l’iniziativa dell’ordine di Lecco mi pare particolarmente interessante. Essa infatti permette di tornare a sottolineare il ruolo “civile”
dell’architetto in quanto interprete
di una società e che in quanto tale,
con il suo lavoro critico, ha il compito di prefigurare un mondo migliore che ogni cittadino possa riconoscere e in cui possa rispecchiarsi.
A partire dal 1980, il CSAC, Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, riceve in donazione l’archivio di Gio
Ponti. Il libro di Lucia Miodini, eloquente testimonianza dello studio
approfondito di un archivio, descrive, attraverso saggi e schede critiche, il lavoro fatto. Gli scritti, oltre che gli aspetti metodologici della ricerca, affrontano la situazione
della critica su Ponti e si soffermano sulla sua attività degli anni ’20
e ’30, a cui sono dedicate le schede. Viene dunque qui presentata
solo una prima parte di materiali
inediti del fondo - disegni e schizzi ottimamente pubblicati - che manifestano come l’interesse sia principalmente rivolto allo studio dei
documenti, i quali vengono scandagliati anche per stabilire le relazioni che la proteiforme attività di
Ponti ha avuto con il suo tempo.
Un saggio introduttivo di Carlo Arturo Quintavalle, responsabile scientifico del CSAC, presenta il lavoro
sottolineando l’attività dell’archivio
parmense ed iscrivendola in una
più generale posizione di valorizzazione dei materiali iconografici
rispetto ad una tradizione archivistica che privilegia la scrittura letteraria: attenzione al documento
inteso nel senso più ampio, in modo che la storia possa essere interpretazione di testimonianze e non
racconto preordinato da preventive selezioni dei materiali di studio.
In questo senso l’architettura di
Ponti costituisce evidentemente un
particolare campo di applicazione.
È sufficiente infatti scorrere il regesto dei progetti di Ponti che conclude il libro, elenco impressionante per numero ed eterogeneità, per
capire come il suo lavoro, a lungo
non particolarmente considerato
dalla critica e, invece, negli ultimi
anni recuperato al dibattito, sia una
fonte ancora non del tutto esplorata per importanti riflessioni sull’architettura italiana del 900.
Simona Pierini
Fabio Novembre
(in inglese)
Birkhäuser-Frame,
Amsterdam-Zurigo 2001
pp. 176, chf 58.00
Count Down
[email protected]
Martina Landsberger
Antonio Borghi
Maurizio Carones
Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Lecco
Cos’è la modernità.
Da Borromini a Gehry
Stefanoni, Lecco, 2001 pp. 82
Lucia Miodini
Gio Ponti. Gli anni trenta
CSAC dell’Università
di Parma
Electa, Milano, 2002
pp. 256, € 41,32
47
Informazione
informazione
Su Count Down
Informazione
informazione
48
Edifici del Lavoro
Tecniche
di sconfinamento
Rilievo della città
di Lecco
Progettare in legno
La pubblicazione si presenta come un
cofanetto contenente 5 cd con un libretto di testo e immagini ed è costituita da 240 schede di rilievo dell’edilizia industriale milanese dalla fine
del XVIII secolo alla metà del XX. Ogni
scheda composta da 4 pagine censisce di un immobile inquadramento
generale, inquadramento urbanistico, stato di fatto e notizie storiche. Le
immagini sono tratte dalla cartografia attuale redatta dal Comune di Milano per lo stato di fatto e normativo
dell’area, dalla cartografia storica per
le trasformazioni, dalle foto e dalla
schede descrittive per documentare
lo stato di fatto degli edifici. In alcuni
casi ci sono disegni dell’archivio della
commissione di ornato o immagini
dell’iconografia della ditta che occupava gli edifici. Una carta, sulla base
della carta tecnica regionale, localizza le schede sul sito e situa anche gli
edifici non catalogati nella schedatura con punti colorati non meglio identificati. Un catalogo comporta sempre la formulazione problematica di
quello che ne è escluso. In questo caso troviamo un elenco di siti di edifici non più esistenti e di siti censiti e
non schedati che aiuta a comprendere l’estensione delle aree industriali milanesi e la complessità della loro
conoscenza. Dopo aver consultato
schede e liste, dopo la lettura della
breve premessa metodologica, si concorda sul fatto che questo ampio lavoro di compilazione non può che essere “il nucleo fondamentale di una
più vasta banca dati”. Ci si chiede tuttavia quali definizioni, fra quelle oggi
possibili, per “catalogo” e “rilievo”
siano a fondamento di questo lavoro, come sia implementabile e come
si integri con altri, e infine quale idea
di città configuri questo lodevole catalogazione, indispensabile nella bibliografia di chiunque si occupi della
città.
Prendendo le distanze da ogni narcisismo estetico tipico delle riviste
di moda architettonica, così come
dal mero tecnicismo di ogni rivista
per addetti al settore delle costruzioni, la rivista Crossing è approdata sullo scenario editoriale con il merito di far luce su di un delicato nodo della pratica progettuale: il rapporto tra tecnica e architettura o,
tra tecnica e cultura del progetto e
sui nessi che le due discipline devono intrattenere per la buona riuscita di ogni intervento sul territorio.
Suddivisa per numeri tematici, la rivista, sotto la direzione di François
Burkhardt, scandaglia con insolita
precisione di mezzi le conquiste della nuova scienza architettonica, sezionando la problematicità del percorso che una nuova pratica architettonica pare muovere verso le promettenti terre del progresso ipertecnologico. Tale percorso, tuttavia,
presenta un andamento tutt’altro
che lineare, marcato, piuttosto, da
nodi e incroci problematici che, nell’ambito della discontinuità e della
frammentarietà, portano la disciplina architettonica a misurarsi con
nuove tematiche quali: massa, energia, informazione e globalizzazione. La perfetta e rara coincidenza
della forma tecnica con la forma artistica sembra, pertanto, patrimonio esclusivo di alcune grandi infrastrutture, prese spesso in esame dalla rivista, nella cui realizzazione gli
elementi costruttivi si misurano con
le conquiste della tecnica e spesso,
rivaleggiando con le leggi fisiche
della natura, riescono ancora ad imprimere una nuova regola al territorio e al rapporto tra paesaggio ed
architettura. Il resto sembra progressivamente appartenere a paradigmi non progettuali quali: caos,
spontaneità, casualità e poetica personale. Del resto presto attingeremo dal catalogo digitale delle forme architettoniche tramite la tecnica del do it yourself o, se preferiamo, presto assisteremo al verificarsi di ogni profezia fantascientifica.
Questo testo raccoglie parte dei lavori di una ricerca universitaria nazionale, avente come tema Il Rilievo scientifico come strumento di conoscenza dell’architettura e della
città. Qui è descritto il rilievo compiuto dall’unità milanese, che ha come oggetto le fortificazioni della città di Lecco: struttura forse non amata un tempo, per gli oneri e i vincoli
che sempre comportò, e non partecipata oggi. Mantenuta integra
sarebbe forse potuta diventare un
elemento di difesa da uno sviluppo
indiscriminato del centro urbano.
La ricerca storica ed iconografica è
d’ottimo livello e restituisce un quadro completo dello sviluppo della
città, ampliando lo sguardo su tutti gli avvenimenti che hanno colpito la comunità lecchese nei secoli.
Il testo diviene così un’occasione per
ripercorrere tutta la storia di Lecco.
Si sperimentano, rivivendoli alla piccola scala di questa cittadina, fenomeni culturali che colpirono l’Europa tutta come i Grand Tours (la stampa di G. C. Perego che, indicando i
luoghi manzoniani diviene anche
souvenir e guida) o il primo impeto
che porta la città ad “uscire dalle
mura” sviluppandosi secondo nuovi assi viari. Non poteva chiaramente
mancare un excursus sull’industria
del ferro, chiave di volta dell’economia lecchese, che insieme allo
studio sul PRG del 1941 conclude
l’itinerario storico. Nel saggio conclusivo, a firma di Gian Luigi Lenti,
e negli Apparati troviamo finalmente
un’interpretazione del fenomeno
urbano della città murata ed una
sua documentazione iconografica.
Il rilievo è notevole e ci permette di
dare uno sguardo ad una parte segreta della città, facendoci scoprire
tutta una rete di collegamenti sotterranei, un sistema destinato altrimenti a scomparire e ad essere dimenticato insieme alle mura, secondo una tendenza in atto da più
di un secolo.
Con una struttura a schede, il volume tratta in modo sintetico e sistematico, dei sistemi costruttivi o
componenti in legno massiccio e
ricostruito.
Si affrontano gli aspetti relativi alle strutture portanti e ai pacchetti di chiusura e di partizione interna, cioè all’involucro edilizio,
realizzabile con sistemi di carpenteria in legno.
Nella prima parte vengono trattati temi di carattere generale e di
classificazione, utili per inquadrare gli aspetti comuni delle diverse
schede; nella seconda, queste forniscono informazioni di progettazione tecnico-morfologica con indicazioni su materiali e prodotti
disponibili, impieghi relativi, patologie, norme e specifiche di prestazione, tecniche esecutive, opere edilizie (tipologie strutturali e
organizzazione dei pacchetti di
tamponamento), requisiti, prestazioni e stratificazione funzionale
dei componenti e delle unità tecnologiche, dettagli costruttivi.
Le schede classificano: opere in segati a quattro fili; opere in segati
uso Trieste e uso Savigliano; opere in legno lamellare; opere in pannelli di legno ricostruito; opere in
blocchi e tavelloni di legno ricostruito.
Le schede sono suddivise in base
alle opere eseguibili con le diverse alternative del legno massiccio
e del legno ricostruito.
In una terza parte vi sono i riferimenti bibliografici e normativi.
L’autore, Pietromaria Davoli, architetto, è ricercatore universitario di Tecnologia, presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara.
È inoltre tra gli autori del Manuale di progettazione edilizia - vol. 4
(Hoepli, 1995) e di Intonaci (Hoepli, 1996).
Giulio Barazzetta
Gaetano Lisciandra
e Dario Vanetti (a cura di)
Archeologia industriale.
Catalogazione dei beni
di archeologia industriale
nel Comune di Milano
Presidenza
del Consiglio del Comune
di Milano, 2002
Chiara Mariateresa Donisi
Matteo Baborsky
Crossing
rivista semestrale
di architettura e tecnologie
promossa da Bticino
Editrice Abitare Segesta
Roberto Gamba
A. Buratti Mazzotta
e G.L. Daccò (a cura di)
Le fortificazioni di Lecco.
Origini di una città
Electa, Milano, 2001
pp. 162, € 32,00
Pietromaria Davoli
Costruire con il legno.
Requisiti Criteri progettuali Esecuzione - Prestazioni
Hoepli, Milano, 2001
pp. 252, € 24,79
Fotografia
e paesaggi agrari
Maurizio Bottini.
Le colline moreniche del Garda
Milano, Palazzo Affari
ai Giureconsulti
16-25 novembre 2001
a cura di Ilario Boniello
e Martina Landsberger
Rassegna mostre
Rassegna seminari
Vincenzo Foppa, un protagonista
del Rinascimento italiano
Brescia, Museo santa Giulia,
via Musei 81/b
3 marzo - 2 giugno 2002
Breraincontra
N. Mac Gregor, Il nuovo ordinamento
museale della National Gallery
Milano, Palazzo di Brera,
via Brera 33
15 maggio 2002, ore 17,30
tel. 02 72263203
La primavera del Vignola
Vignola, Palazzo Contrari
Boncompagni
30 marzo - 7 luglio 2002
Alessandro Tiarini.
La grande stagione
della pittura del Seicento
a Reggio Emilia
Reggio Emilia, Palazzo Magnani,
Corso Garibaldi 29;
Chiostri di San Domenico,
via Dante Alighieri 11
24 marzo - 16 giugno 2002
New York Renaissance.
Dal Whitney Museum
of American Art
Milano, Palazzo Reale
21 marzo - 15 settembre 2002
La Fornarina di Raffaello
Milano, Fondazione Arte
e civiltà, Musei di Porta Romana,
viale Sabotino 26
13 marzo - 2 giugno 2002
Il neoclassicismo in Italia.
Da Tiepolo a Canova
Milano, Palazzo Reale
5 marzo - 28 luglio 2002
Cesare Monti (1891-1959).
L’eleganza del colore
Galleria d’arte Gio Batta
Brescia, via Grazie 22b
tel. 030 48854
20 aprile - 20 giugno 2002
Pollock a Venezia. Gli irascibili
e la scuola di New York
Venezia, Museo Correr,
piazza San Marco;
Mestre, Centro culturale
Candiani, piazzale Candiani 7
23 marzo - 30 giugno 2002
Grande pittura Genovese
dall’Ermitage.
Da Luca Cambiaso a Magnasco
Genova, Palazzo Ducale,
piazza Matteotti 9
16 marzo - 30 giugno 2002
La seduzione della materia
Milano, Spazio Oberdan,
viale V. Veneto 2
22 marzo - 12 maggio 2002
Urban Reciprocity:
Architecture & Urban Planning
in Renaissance Rome
Roma, The Studium Urbis,
via di Montoro 24
3 giugno - 8 luglio 2002
www.studiumurbis.org
Paesaggisti europei
Milano, Museo Civico di Storia
Naturale, Corso Venezia 55
João Ferreira Nunes
9 maggio 2002, ore 18,30
tel. 02 88463280
Gestione completa
del processo dei materiali
Milano, Arum Centro Convegni,
via Larga 31
22-23 maggio 2002, ore 9-18
tel. 02 58376257
Corso di tecnico del verde
Civica scuola di Arte
e Messaggio
Milano, via Giusti 42
tel. 02 33606851
Lab. di Paesaggio contemporaneo
Milano, Acma Italian center for architecture, via A. Grossich 16
16-19 maggio: B. Podrecca,
Disegno dello spazio pubblico;
30 maggio - 2 giugno:
O. Bohigas, Riqualificazione
del paesaggio urbano
Rappresentazione del Progetto.
Progetto della rappresentazione
1° Sem. internazionale delle
discipline afferenti all’area
della rappresentazione
13-14 maggio 2002
Politecnico di Milano,
Facoltà di Architettura Civile
tel. 02 23995615
Corso di aggiornamento
VI Facoltà di Ingegneria,
Politecnico di Milano,
via Bonardi 15
16 maggio: Tipologie di facciata a
doppio involucro (c. specialistico);
17 maggio: Redazione
di un capitolato (c. base)
tel. 02 23996014 Tiziana Poli
La fotografia, intesa come arte che
rappresenta la realtà mutevole dei
luoghi e che riesce a cogliere, in
determinati momenti, la cristallizzazione effimera di un equilibrio
estetico, ha sicuramente oggi un
ruolo nel sostenere quell’attenzione diffusa per i temi dell’ambiente e del paesaggio che sono
al centro del dibattito sulle peculiarità urbane e territoriali.
La particolarità dell’espressione fotografica assume grande risalto
quando la ricerca della rappresentazione più fedele di un territorio si unisce alla sua descrizione
non solo paesaggistica e naturale
ma anche storica ed antropica.
Una tale felice sintesi è stata raggiunta nella mostra fotografica “Le
colline moreniche del Garda”, di
Maurizio Bottini. Le fotografie esposte si riferiscono al comprensorio
di terre che si collocano a sud del
Lago di Garda, prevalentemente
comprese nella regione Lombardia, fra le provincie di Brescia e di
Mantova.
Il paesaggio delle colline moreniche del Garda è stato, nel tempo,
pazientemente e alacremente costruito dall’uomo che ha saputo
trasformare un ambiente naturale, di per sé arduo e difficile, in un
ambiente prosperoso e ricco di coltivazioni. Negli anni Ottanta queste terre sono state inserite nel
Consorzio di Bonifica Colli Morenici del Garda che, attraverso un
programma avanzato di irrigazione, ha permesso il mantenimento e la valorizzazione del territorio rurale e dei paesaggi agrari.
Attraverso le immagini a colori offerteci da Bottini si dispiega sotto
i nostri occhi la visione di un paesaggio che, non a torto, si definisce come uno dei più belli della
Lombardia: dolci colline e ridenti
vallate sapientemente coltivate con
piantagioni di vite, olivi, frutteti,
mais e frumento, contesto ubertoso in cui ai paesaggi agrari si al-
ternano elementi paesaggistici naturali, boschi, argini di fiumi, zone lacustri, sponde di lago. Tra gli
aspetti che più contribuiscono a
determinare le caratteristiche di
elevato pregio ambientale di questo paesaggio vi è il rapporto con
l’acqua: il Lago di Garda con le sue
suggestioni, i suoi panorami, le
sue sponde occupa un posto particolare nella distinzione di questo
territorio insieme con il fiume Mincio, che lambisce tutto il comprensorio, ed altri specchi lacustri
minori. Oltre al paesaggio e agli
ambienti naturali, le altre sezioni
della mostra sono dedicate alla
presenza dell’uomo e alla memoria storica. Alcune immagini sono
riferite ai luoghi ove le tracce degli eventi risorgimentali sono ancora vivide nel ricordo e nella storia del nostro Paese, i luoghi delle battaglie di San Martino e Solferino, altre descrivono gli ambienti
storici, i borghi, le chiese, le torri,
i castelli, i palazzi. La vita e il lavoro dell’uomo sono sottolineati
da inquadrature di fattorie, case
contadine, grandi cascine, descritte
nella loro semplice struttura dagli
elementi tradizionali, porticati, corti, colombaie, cantine.
Infine viene affrontato il tema della contemporaneità: le fotografie
ritraggono strutture per le attività industriali recenti, gli interventi di modificazione paesaggistica,
le nuove infrastrutture viabilistiche. Queste immagini si possono
interpretare quasi come un monito a spingere le Amministrazioni
ad individuare le giuste politiche
per avviare opere di salvaguardia
dei delicati equilibri ambientali presenti nella zona, sia rispettando le
esigenze dello sviluppo economico ed urbano, sia contenendone
le conseguenze sul piano ambientale
con un’adeguata pianificazione
territoriale.
Le fotografie della mostra sono
raccolte nel volume: Le colline moreniche del Garda, (Sometti, Mantova, 2001), accompagnate da uno
studio di Eugenio Turri.
L’organizzazione della mostra e la
pubblicazione del volume si inseriscono nel progetto Osserva.Te.R
(Osservatorio del Territorio Rurale) a cura dalla Regione Lombardia.
Manuela Oglialoro
49
Informazione
Mostre
e seminari
Utopia e ricostruzione
Città Architettura
Edilizia Pubblica.
Il Piano Ina Casa 1949-1963
Roma, Centro per le Arti
Contemporanee
16 gennaio - 20 marzo 2002
Informazione
50
All’alba di un dopoguerra che impegnava l’Italia in una vasta opera di ricostruzione fisica e istituzionale, il Piano Ina Casa assume un ruolo centrale per estensione e consistenza, ipotecando, di fatto, i caratteri di buona
parte della pratica architettonica a venire e, ancor più permanentemente il
profilo della cultura costruttiva e d’impresa.
“Queste case con le quali si ricostruisce e si popola l’Italia fanno paesaggio (…), l’architettura Ina Casa va guardata come nuovo paesaggio che sorge”, scrive Gio Ponti ancora nel 1954,
cogliendo già allora il tratto saliente
del Piano, cioè quel carattere di sistematicità o di organicità centralizzata
che nei fatti (e chissà quanto consapevolmente) portava alla delineazione di un nuovo linguaggio nazionale,
seppure attraverso la assimilazione al
patrimonio genetico degli architetti
moderni italiani dell’antimoderno dispositivo costruttivo tipico, il misto muratura e cemento armato, come ricorda Poretti nella Guida ai quartieri
romani Ina Casa.
La buona mostra di Roma ha soprattutto il pregio di restituire l’interezza
di un’operazione estremamente vasta
e complessa, normalmente conosciuta ai più attraverso i frammenti delle
operazioni più celebri; nei locali del
Centro per le Arti Contemporanee si
trovano invece riunite le sezioni di una
ricognizione che va oltre il tributo a
specifici interventi.
Nella sezione Il piano Ina Casa, 194963 sono illustrati i meccanismi di finanziamento e realizzazione, insieme ai risultati quantitativi del programma; l’accostamento alle sezioni
propriamente documentarie è di particolare efficacia nel rivelare la filosofia politica ed economica di quegli
anni, l’ispirazione cattolica della dimensione sociale del Piano e le scelte, che ancora paghiamo, di espulsione dell’innovazione tecnica in favore di un paternalismo programmaticamente retrogrado da cui la cul-
tura d’impresa italiana non si è mai
affrancata.
Nella Sezione I quartieri: progetti e realizzazioni si dispiega l’illustrazione di
molti interventi, noti e meno noti, il
cui accostamento permette di cogliere contemporaneamente lo sforzo di
codificazione sul piano costruttivo e di
dettaglio e l’enorme patrimonio di varietà sviluppato in termini di tipi edilizi, aggregazioni, spazi aperti; dunque
gli originali degli struggenti disegni di
Ridolfi con la dimensione etica e strapaesana di una modernità altra e ripiegata, accanto agli aneliti sconfitti
di cordiali moderni, i Daneri, i D’Olivo,
lo stesso Libera.
E ancora l’osservazione della dimensione urbana degli interventi, analizzata nella sezione La città contemporanea e gli spazi della città pubblica
vuole rendere conto dei tentativi di rifondazione degli statuti di spazio pubblico e privato sullo sfondo di una messa a punto della città e del territorio
contemporanei che solo in pochi casi
riusciva a guardare oltre la dimensione finita e autosufficiente del quartiere o dell’unità “di buon vicinato”.
La sezione Il cantiere e la costruzione
infine, mette bene a fuoco le caratteristiche e le conseguenze di quegli indirizzi economici e culturali che hanno condotto la nostra architettura al
compiacimento del linguaggio dell’arretratezza quale valore peculiare.
La mostra Promossa dalla Facoltà di Architettura Università degli Studi Roma
Tre, dal Dipartimento di Urbanistica
IUAV, dal Dipartimento di Ingegneria
Civile Università degli Studi di Roma Tor
Vergata e dalla direzione per l’architettura e l’arte contemporanee Ministero
per i Beni e le Attività culturali, accoglie
anche una gustosa sezione di documenti filmati e fotografici, ed è affiancata da un piano di pubblicazioni tra
cui segnaliamo: P. Di Biagi (a cura di),
La grande ricostruzione. Il piano INA
Casa e l’Italia degli anni Cinquanta, Donzelli, 2001; Direzione generale per l’Architettura e l’Arte contemporanee, Guida ai quartieri romani INA Casa; M.
Gruccione, M.M. Segarra Lagunes, R.
Vittoriani (a cura di), Gangemi, Roma,
2002; M. Bertozzi (a cura di), Il cinema,
l’architettura e la città, Dedalo, Roma,
2001; Dip. di Ingegneria Civile dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata, L’INA Casa: il cantiere e la costruzione, Gangemi, Roma, 2002.
Filippo Lambertucci
Costruire il paesaggio
Moving landscapes.
Il paesaggio contemporaneo.
Arte e architettura nei Paesi Bassi
Roma, Sala 1, piazza di Porta
San Giovanni (Scala Santa)
29 gennaio - 1 marzo 2002
Proprio per le caratteristiche fisiche proprie del paesaggio olandese, e cioè la fortissima omogeneità e piattezza, è parso evidente ai suoi abitanti che il paesaggio
è una cosa da costruire e da progettare e non solo un fatto geografico esistente. Il progetto del
paesaggio passò, prima, attraverso la composizione di immagini
pittoriche e, poi, attraverso il pensiero architettonico che, nella seconda metà e soprattutto verso la
fine del secolo scorso, ha trasformato e caratterizzato il territorio
olandese. In prima istanza è di fondamentale importanza il “punto
di vista”: il fare paesaggio è pensato non solo in termini estetici
ma come costruzione tecnica del
territorio; è quindi la costruzione
di un paesaggio idraulico, tema
fondamentale nei Paesi Bassi, di
un paesaggio agrario, ma anche
di un territorio attrezzato e quindi di un paesaggio di infrastrutture, e infrastrutture possono essere sia quelle di trasporto che quelle idrauliche, ma anche le strutture insediative che attrezzano un
territorio sono infrastrutture: infrastrutture insediativo-residenziali. In tal senso la nouvelle vague
olandese pensa alle nuove quantità di volume insediativo come ad
una massa nuova da modellare nel
territorio, (tema illustrato dal progetto di Monolab, Breda Sands Infrascape, del 1999) e trasforma
strade, ponti (belli i due modelli di
ponti di West 8 presenti in mostra), ferrovie in segni da comporre
e calibrare alla scala territoriale;
certamente in questo sta uno dei
suggerimenti migliori che il mondo olandese sta fornendo all’architettura contemporanea: sono
proprio queste grandi infrastrutture o la grandi masse edilizie che
possono disegnare e dare forma
al paesaggio e che hanno il peso
di incidere, anche formalmente;
sono questi gli elementi della composizione paesaggistica perché sono gli unici che hanno una scala
comparabile, che hanno la stessa
scala e quindi possono realmente
assumere un peso nella composizione. L’importante è pensarli come architetture e non solo come
manufatti tecnici; i segni delle infrastrutture si fondono quindi con
l’architettura della città, diventano spesso “fatti urbani”. Il rapporto città-territorio è qui definito proprio da questi sistemi.
Ma il fatto di far passare di “categoria” i manufatti tecnici e di
pensarli sub specie architecturae
non è il solo spostamento semantico
operato degli olandesi. Questo
passaggio era già stato provato e
sperimentato dal movimento moderno, ma il passaggio alla grandissima scala e il controllo formale in una scala inusuale per l’architettura è stato filtrato dall’esperienza artistica. Forse la sperimentazione più proficua è stato
proprio nell’esplorare questo cammino pensando al paesaggio come ad un bassorilievo, ad una scultura abitabile, pensando al montaggio di parti come ad un montaggio pittorico, fotografico o ancor più cinematografico. E forse è
proprio così che si è superata l’impasse del cambio di unità di misura: dal grande al geografico.
La mostra che è stata allestita a
Roma è, in realtà, piccola, forse
piccolissima e quindi tutti questi
aspetti sono ridotti a spunti: espone opere di architetti e di artisti,
mostra il mutare di scala, nello
scorrere del tempo, degli elementi che compongono il paesaggio
olandese, espone un progetto alla scala urbana ed un paio di progetti architettonici. Su tutto ciò si
posa lo sguardo artistico e fotografico ad indagare sui nessi e a
verificarne i risultati formali.
Pisana Posocco
La città borghese.
Milano 1880-1968
Milano, Palazzo dell’Arengario
1 febbraio - 21 aprile 2002
“La cultura non è semplicemente
la somma di parecchie attività, ma
un modo di vivere”, scrive Thomas
S. Eliot in Appunti per una definizione della cultura.
Due mostre, aperte più o meno
contemporaneamente, affrontano il problema della rappresentazione della cultura di un luogo, di
una città - Milano e Roma - in un
particolare periodo: Milano negli
anni compresi fra il 1880 e il 1968,
periodo contraddistinto dall’ascesa e dal declino di una nuova classe sociale, la borghesia imprenditoriale e Roma, negli anni compresi fra il 1948 e il 1959 periodo
caratterizzato dalla cultura del Neorealismo della ricostruzione del dopoguerra fino ad arrivare alla vigilia del cosiddetto boom economico della Dolce Vita di Fellini. In
questa sede ci occuperemo di analizzare la prima piccola mostra,
ospitata negli altrettanto piccoli
spazi espositivi dell’Arengario di
Piazza Duomo.
Il percorso della mostra si sviluppa seguendo due temi che si intersecano di continuo, i nomi, delle diverse famiglie “borghesi”, da
un lato, i luoghi, dall’altro. Infatti, ogni grande famiglia si rappresenta in un particolare luogo: la
Falck a Sesto San Giovanni, la Pirelli alla Bicocca, e così via.
Al tema dei nomi è collegata una
ricerca di documentazione relativamente all’attività produttiva svolta, da una parte, e a quella culturale, dall’altra. Ricordiamo, infatti, come alcune di queste famiglie
- Jucker, Jesi - siano proprietarie di
importanti collezioni d’arte moderna o, come nel caso dei Mondadori e dei Feltrinelli, le loro case divengono luogo di incontro e
di dibattito culturale di intellettuali
provenienti da tutto il mondo.
Il tema dei luoghi coincide invece
con quello della trasformazione
della città.
La costruzione dei nuovi insediamenti industriali, in città (Ansaldo) come pure nelle aree limitrofe (Sesto San Giovanni, La Bicocca, ecc.), comprensivi anche dei
quartieri di residenza degli operai
che nelle nuove fabbriche lavorano, rappresenta forse l’elemento
che con maggiore evidenza influisce sulla trasformazione dell’immagine di Milano, in questi anni. Eppure anche la sua struttura
residenziale si modifica. La zona
Magenta - XX Settembre diventa,
insieme alla zona Venezia, il luogo di concentrazione delle abitazioni della nuova borghesia milanese che, proprio secondo la definizione di cultura proposta da
Eliot, qui sperimenta nuovi modi
di vivere. Ecco sorgere, allora, due
nuove tipologie residenziali, la villa unifamiliare (via XX Settembre
e il quartiere Boccaccio - Monti)
da un lato e il condominio di lusso (piazza Baracca, ma anche piazza Duse e quindi la zona dei giardini di via Palestro) dall’altro. Due
tipi edilizi su cui sono chiamati a
lavorare i migliori architetti del momento e che divengono il “manifesto” del dibattito architettonico
di quegli anni: l’eclettismo di fine
800, il liberty, l’architettura novecentista di Muzio, fino al razionalismo di Bottoni, Terragni, ecc., per
fare solo alcuni nomi.
Forse l’esiguità dello spazio disponibile, non permette alla mostra di approfondire i temi. Soprattutto per quel che riguarda
l’immagine della città; infatti, risulta difficile comprenderne la grande trasformazione dai pochi documenti (disegni e progetti, fotografie) esposti. Le diverse questioni
vengono invece affrontate più profondamente nel catalogo che diviene, in quest’ottica, utile strumento di approfondimento.
Martina Landsberger
Mangiarotti,
sostenere e coprire
Angelo Mangiarotti.
Architettura design scultura
Milano, Palazzo della Triennale
25 gennaio - 17 aprile 2002
catalogo della mostra:
a cura di Beppe Finessi,
Abitare Segesta, Milano
Negli edifici progettati e costruiti da
Mangiarotti ciò che sorprende è la
corrispondenza tra la scelta costruttiva adottata e la destinazione propria dei singoli edifici. È partendo da
questo punto che l’analisi sul lavoro
di Mangiarotti rientra in un più ampio studio su come l’architettura, nei
suoi esempi migliori, si manifesta attraverso le forme della costruzione.
Alla base di ogni progetto vi è un’idea di abitare che diventa la guida alla sua realizzazione. Alla costruzione
è affidato il compito di rendere evidente, attraverso la riconoscibilità delle forme degli elementi, il ruolo dell’edificio. In questo modo le forme
tecniche sono usate non per se stesse ma per rendere possibile la realizzazione di un’idea di abitare e per farla riconoscere come tale.
Nei progetti di architettura di Mangiarotti i due grandi temi dell’architettura: residenza ed edifici collettivi,
sono indagati a partire dalla definizione più generale degli elementi che
li caratterizzano. I temi di volta in volta studiati sono analizzati partendo
dal senso generale che questi hanno,
questo passaggio precede la loro realizzazione, la casa di via Quadronno
a Milano progettata con Bruno Morassutti ha origine da una precisa volontà di definire un rapporto tra singole abitazioni e il verde circostante.
La struttura portante verticale, arretrata rispetto alla facciata, sorregge
dei piani orizzontali scanditi da una
maglia regolare di montanti che definiscono il perimetro esterno. A questa regola formale dettata dalla struttura se ne aggiunge un’altra che trova la sua ragione dalla pianta dei sin-
goli alloggi e dal modo in cui le parti
di essi prospettano verso l’esterno.
Logge, vetrate e tamponamenti in legno sono inseriti tra montante e montante così come necessario alla distribuzione interna. La struttura, mediante il succedersi regolare dei marcapiani e dei montanti, costruisce l’ossatura che dà unità all’intero edificio,
all’interno della quale le singole parti si mostrano distinte tra loro. Questo procedimento è adottato da Mangiarotti, usando altri materiali, anche
nella casa a Monza e ad Arosio a testimoniare come una ricerca in architettura sia fondata su principi generali applicati a casi concreti in cui le
forme e i materiali si modificano a seconda delle necessità mentre l’idea
fondativa rispetto al tema rimane inalterata.
Il medesimo atteggiamento lo si può
notare rispetto agli edifici pubblici e
collettivi. L’adottare il sistema trilitico,
oltre ad essere funzionale all’uso degli spazi coperti di grandi dimensioni, racconta come la copertura diventa
l’elemento che caratterizza gli edifici
stessi. Anche qui il principio costruttivo è uno mentre i modi di realizzarlo sono molteplici e legati alla destinazione dell’edificio.
I sistemi costruttivi messi a punto per
la costruzione di edifici industriali, alcuni dei quali brevettati ed esposti tramite modelli, mostrano come il punto di partenza sia sempre quello di
rendere evidente attraverso l’identità
delle parti il ruolo che queste hanno
nella costruzione. Le forme degli elementi nella rispondenza ad una necessità statica raccontano come sono costruiti gli edifici e di quali edifici
si tratta. Questi elementi si modificano nei vari progetti, da forme tecniche aspirano a diventare forme architettoniche. Il passaggio avviene solo quando si riconosce la destinazione generale dell’edificio; questo punto, che a prima vista potrebbe sembrare secondario è però oggi di estrema attualità, riconoscere vuole dire
dare senso, forma ai luoghi dell’abitare e sotto questo aspetto possono
essere letti i lavori di Mangiarotti.
Ilario Boniello
51
Informazione
1880 - 1968.
La cultura di una città
Scarica

Pagine da 38 a 51 - Consulta Regionale Lombarda degli Ordini