Repubblica Italiana N. 94/2010
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto
Il Giudice Unico delle Pensioni
Nella persona del 1° Referendario dott. Giovanni Co mite.
Visto il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei Conti, approvato con r.d.12 luglio 1934,
n.1214, e successive modifiche;
visti gli artt.1 e 6, del d.l. 15 /11/93 n. 453, convertito nella l.19/1994;
visto l’art. 5, della legge 21 luglio 2000 n.205;
visti gli artt. 131, 420, 430 e 431 c.p.c. nonché 421, 429 e 132 c.p.c., così come novellati,
rispettivamente, dall’art. 53, del d.l. 25 giugno 2008, n.112, convertito, con modificazioni,
dalla legge n.133, del 06 agosto 2008, e dall’art. 45, comma 17, della legge n.69/2009, e
l’art. 26 del Reg. di Proc. per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti, di cui al r.d. 13 agosto
1933, n.1038;
visto l’atto introduttivo del giudizio;
esaminati gli altri atti e i documenti tutti di causa;
chiamato il giudizio alla pubblica udienza del 19 febbraio 2010, con
l’assistenza del segretario sig.ra Nicoletta Niero,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso in materia di pensioni, iscritto al n. 26411 del registro di segreteria,
promosso da V. F., nato, il OMISSIS, a OMISSIS, ivi residente, in OMISSIS,
rappresentato e assistito, giusta procura alle liti a margine dello stesso, dall’avv. Saverio
Ugolini, presso lo studio del quale, a Verona, via Provolo n. 26, è elettivamente domiciliato,
contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Direzione Territoriale di Vicenza, per
il riconoscimento del diritto a percepire la <…tredicesima mensilità non percepita sulla
pensione privilegiata a vita iscr. n.04051834 in costanza di attività di lavoro dipendente>.
Considerato in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe indicato, ritualmente notificato e depositato il 25 giugno 2009, F.
V., titolare di pensione privilegiata tabellare, recante il n. 04051834 d’iscrizione, lamentava
la mancata corresponsione del rateo per tredicesima mensilità, in misura integrale, sul
predetto trattamento, percepito in costanza di prestazione per opera retribuita alle
dipendenze.
E, invero, lo stesso, che in ragione del riconoscimento d’infermità contratta nel corso del
servizio di leva era destinatario, dal settembre 1979, del succitato vitalizio militare, svolgeva
attività retribuita alle dipendenze del Comune di Schio dal settembre 1988.
Attesa la contestualità dei due trattamenti e le norme sul cumulo agli stessi applicabili,
esperiva, innanzi questa Corte, un primo ricorso teso a ottenere la corresponsione
dell’indennità integrativa speciale in misura intera sulla pensione tabellare fruita, definito
con sentenza n. 1272/2008, dell’11 – 13 novembre 2008, di accoglimento della pretesa.
Ora, giacché nel predetto ricorso non è stata chiesta espressamente anche la
corresponsione della tredicesima mensilità, con istanza prodotta il 15 maggio 2009, il
pensionato, era a chiedere, alla Direzione Territoriale delle Finanze di Vicenza, la <…
corresponsione della tredicesima mensilità, in quanto non corrisposta>, domanda
riscontrata negativamente, con nota n. 47138/2008, del 27 maggio 2009, ove, tra l’altro, è
precisato <…di aver corrisposto all’interessato la 13^ mensilità nella misura spettante (vale
a dire la sola integrazione al minimo INPS), in applicazione di quanto stabilito dall’art.97 del
DPR 29 dicembre 1973, n. 1092>.
Seguiva, quindi, la domanda odierna, con la quale il ricorrente, premesso che la
tredicesima mensilità, come risultante dal prospetto prodotto in atti, non era corrisposta
dalla DPSV di Vicenza, rilevava la mancanza di riserve e di dubbi sul cumulo integrale delle
tredicesime mensilità nell’ipotesi di pensione e prestazione di servizio alle dipendenze della
P.A., alla luce di quanto statuito sia dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n.
232/1992, che ha dichiarato illegittimo il primo comma dell’art. 97 del D.P.R. n.1092/1973,
sia dalle Sezioni Riunite di questo Istituto con la sentenza n. 25/1998/QM.
Finiva per la declaratoria del diritto a percepire la <…tredicesima mensilità sul trattamento
pensionistico privilegiato durante tutto il periodo della prestazione lavorativa dipendente…>,
oltre accessori nella misura di legge e rifusione delle spese di lite.
Con memoria, in atti al 15 luglio 2009 congiuntamente al fascicolo amministrativo, si
costituiva in giudizio la Direzione Territoriale dell’Economia e delle Finanze di Vicenza, che
terminava, in via principale, per il rigetto del ricorso, per essere corretto e valido il proprio
<…provvedimento…riguardo all’attribuzione della 13^ mensilità>; in subordine, eccepiva
l’istituto della prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2, della legge n.428/1985.
In sintesi, l’articolazione territoriale delle Finanze, che confermava la mancanza nel
precedente ricorso di domande tese al conferimento della 13^ mensilità in misura integrale,
rilevava di avere fatto, scrupolosamente, applicazione delle norme tuttora in vigore e di
aver erogato il predetto accessorio nella misura spettante <…vale a dire la sola
integrazione al minimo INPS…>, in esecuzione di quanto previsto dall’art.97, T.U.
1092/1973.
All’udienza pubblica odierna, presente, per il ricorrente, l’avv. Marco Menini su delega
dell’avv. Saverio Ugolini, che insisteva per l’accoglimento della domanda, per la Direzione
Territoriale di Vicenza, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il sig. Antonino Caputo,
nel riportarsi agli scritti defensionali in atti, avversava le predette conclusioni, la causa,
ritenuta matura, è trattenuta e decisa come da dispositivo letto pubblicamente, ex art. 5,
della legge n. 205/2000, consegnato al termine e riportato in calce alla sentenza, data per
letta mediante deposito nella segreteria della Sezione.
Ritenuto in
DIRITTO
La domanda, formulata dall’attore, è tesa al riconoscimento del diritto a percepire la
tredicesima mensilità sul trattamento tabellare, n. 04051834, percepito nella concorrenza di
prestazione per opera retribuita alle dipendenze e per tutto il periodo della prestazione
lavorativa in questione.
Ora, dal certificato sostitutivo del libretto, riportante il prospetto analitico del trattamento,
rilasciato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e prodotto in atti dal pensionato,
emergeva che la tredicesima non era per niente corrisposta, sebbene l’Amministrazione
resistente, in memoria, precisasse di averla erogata, senza provarlo, nella misura del c.d.
minimo INPS.
La tredicesima mensilità altro non è che una mensilità aggiuntiva, conferita quale elemento
accessorio dall’Ente pagatore e che alla luce di quanto riconosciuto con la sentenza
n.1272/08, di questa Corte, non poteva che essere determinata tenendo conto della
modalità di computo dei ratei ordinari, ossia rapportata, per il periodo di contestuale attività
lavorativa retribuita, alla indennità integrativa speciale intera.
Ciò precisato, nel merito, la domanda è da ritenere fondata, posto che l’originario divieto di
cumulo deve ritenersi venuto meno in esito alla dichiarazione d’incostituzionalità dell’art.
97, comma 1°, del T.U. n.1092/1973, avvenuta con la sentenza n. 232/1992, <…per non
avere il Legislatore determinato la misura della retribuzione oltre la quale non compete la
tredicesima mensilità>.
E, invero, il Giudice delle Leggi già con la sentenza n. 566 del 1989, aveva affermato, nel
dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 99, comma 5, del D.P.R. n. 1092/1973 (che
sospendeva l’indennità integrativa speciale nei confronti del titolare di pensione o di
assegno che presti opera retribuita presso lo Stato, Amministrazioni pubbliche o Enti
pubblici), che nel caso di concorso della pensione con altra prestazione retribuita <…è
ragionevole che il legislatore tenga conto della maggiorazione di compenso derivante al
pensionato a seguito della nuova attività e, dunque, non è di per sé illegittima l’eventuale
riduzione del trattamento pensionistico complessivo>.
Tuttavia, a giudizio della Consulta, tale riduzione poteva essere giustificata e risultare,
quindi, compatibile con l’art. 36 della Carta Fondamentale, solo se era correlata a una
retribuzione della nuova attività, tale da giustificare la misura.
Conseguentemente, ha dichiarato illegittime le norme che <…implicano una sostanziale
decurtazione del complessivo trattamento pensionistico, senza stabilire il limite minimo
dell’emolumento dell’attività esplicata, in relazione alla quale tale decurtazione diventa
operante>.
Considerazioni analoghe sono state poste a fondamento della sentenza n. 204 del 1992,
con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 17, comma primo,
della legge 21 dicembre 1978, n.843, e 15, del d.l. 30 dicembre 1979, n.663(ipotesi di
trattamento di quiescenza percepito in costanza di rapporto di lavoro alle dipendenza di
terzi privati e non di pubbliche amministrazioni), nella parte in cui non determinano l’importo
della retribuzione, oltre la quale diventano operanti l’esclusione e il congelamento dell’I.I.S..
La questione riguardante il cumulo delle tredicesime mensilità, derivanti dalla percezione
contestuale di pensione e retribuzione da lavoro dipendente, non si sottraeva alle stesse
<<rationes decidendi>>.
E, infatti, il Giudice delle Leggi, anche con riguardo al cumulo del predetto accessorio, ha
rilevato che <…la decurtazione del trattamento pensionistico complessivo non può essere
disposta, senza stabilire il limite minimo dell’emolumento dell’attività esplicata, oltre il quale
la decurtazione diventa operante…>.
E la determinazione del limite e delle connesse statuizioni, ivi compresa quella concernente
la decorrenza, spettava al legislatore e doveva attuarsi in modo da salvaguardare il
precetto dell’art. 36, primo comma, della Costituzione, attraverso la riformulazione della
norma, peraltro mai intervenuta.
In sintesi, la Consulta ha ritenuto erroneo presupposto quello di ritenere sussistente,
nell’attuale ordinamento, un generale divieto di cumulo tra le tredicesime mensilità spettanti
su retribuzione e pensione, divieto che cessava di avere efficacia, in ragione della mancata
indicazione del minimo di reddito al disotto del quale operava il cumulo, per effetto delle
pronunce n. 566/1989 e 232/1992.
E l’incisività degli interventi caducatori del Giudice delle Leggi, trovava conferme applicative
nella successiva giurisprudenza della Corte dei Conti, che in numerose sentenze delle
Sezioni Regionali e Centrali d’appello, affermava il principio della cumulabilità
disattendendo, così, la soluzione interpretativa propugnata dalle SS.RR. con la sentenza n.
1/2000/QM, la quale basandosi sul presupposto che tale limite minimo non può non essere
presente nell’ordinamento positivo, <…che è per definizione completo e non conosce vuoto
alcuno…>, e che spetta, comunque, all’interprete il compito di individuare il criterio per
stabilire il limite di reddito oltre il quale opera il divieto di cumulo, individuavano tale soglia
nella c.d. posizione reddituale della <nulla tenenza> ai fini della pensione di reversibilità per
gli orfani maggiorenni inabili.
Ora, la carenza assoluta di disposizioni di legge dalle quali possa trarsi, con inequivoca
certezza, il limite dell’emolumento al di sotto del quale la percezione di una retribuzione non
sia idonea a determinare la decurtazione del trattamento pensionistico, impone al giudice di
merito di attuare, in assenza di un intervento del Legislatore, la riespansione del diritto dei
privati e pubblici dipendenti, prima compresso dal divieto di cui agli artt. 97, 99, del D.P.R.
1092/1973, e 17, della legge 843/1978, ad ottenere il trattamento di attività e di quiescenza,
sia esso ordinario diretto o di reversibilità, normale o privilegiato o tabellare, con il computo
della tredicesima mensilità e dell’I.I.S in misura intera (cfr. ex plurimis Corte dei Conti, Sez.
II n.189/2000, Sezione Giurisd. d’Appello per la Regione Sicilia, sentt. n.188 – 189/2000,
Sezione III, sent. n.5/2001, n. 9/2001, n. 26/2001, Sezione Giurisd. d’Appello per la
Regione Sicilia, sentt. nn. 84 -121/2002, Sezione III d’Appello, sentt. n.403/2003 e
n.10/2006; id. Sez. giurisd. Veneto sent. n. 666/2003, n.1171/2004, n.308/2005, n.
1261/2005 e n. 243/08).
Conclusivamente, allo stato, devono ritenersi espunte dall’ordinamento giuridico le norme
contenenti il divieto di cumulo delle tredicesime e delle indennità integrative speciali
percepite sulla pensione e sulla retribuzione (artt. 97, 1 comma, 99, comma 5°, T.U.
n.1092/1973, e art. 17, della legge n.843/1978): il contenuto di tali norme non può rivivere
sotto forma di interpretazione giudiziale, essendo rimessa al Legislatore la determinazione
del limite al di sopra del quale tale divieto deve ritenersi operante, così come enunciato dal
Giudice delle Leggi (cfr. sent. n.232/1992 e ord. n. 438/1998).
Nel caso di specie, pertanto, non sussistono ragioni ostative al riconoscimento del diritto
alla percezione della tredicesima mensilità, anche sul trattamento pensionistico tabellare
(cfr. Corte dei Conti, Sezione Lombardia sent. n.1438/1996, SS.RR. sent. n. 25/QM/1998,
id. Sezione II sent. n.86/2000, Sezione III, sent. n.106/1999, Sezione Lombardia, sent.
n.806/2005 e Sezione Basilicata sent. n. 244/2005).
La fondatezza e il conseguente accoglimento della domanda incontrano, però, un limite
nella sollevata eccezione di prescrizione da parte dell’Ente previdenziale, che questo
Giudice, con riferimento all’art. 2 del R.D.L. n. 295/1939, ritiene fondata.
In punto di diritto va chiarito che una questione di prescrizione e dei limiti in cui l’effetto
opera, ferma rimanendo l’imprescrittibilità del diritto pensionistico (ex artt. 5, d.p.r.
1092/1973, e 2934, 2°comma c.c.), in ragione della sua indisponibilità, si poneva soltanto
con riguardo ai singoli ratei di pensione, alle differenze dovute sugli stessi e agli
emolumenti accessori (ossia tredicesima mensilità, indennità integrativa speciale, interessi
legali e rivalutazione monetaria ecc.) ad esso afferenti, considerato che dal rapporto
previdenziale scaturiva non un’unica obbligazione complessa ma una serie di obbligazioni
a cadenza periodica, ciascuna delle quali realizzava l’intera prestazione dovuta in quel
determinato momento (Cass. SS.UU. 5895/1996).
Al riguardo, occorre rilevare che la disciplina della prescrizione dei diritti, materia di stretto
diritto positivo, in campo pensionistico presenta tratti peculiari che la differenziano
nettamente da quella civilistica, nonostante taluni profili sembrino coincidere.
La materia è regolata dall’art. 2 del R.D.L. n. 295/1939, sostituito dal terzo comma dell’art.
2, della legge 7 agosto 1985, n. 428, che ha provveduto ad adeguare la norma originaria
allo spirito della Costituzione, prevedendo che le rate di stipendio o assegni equivalenti e di
pensione si prescrivevano non più in due, bensì in cinque anni.
La disciplina del predetto art. 2, così modificata, statuisce che: <…le rate di pensione e gli
assegni indicati nel D.L. L.gt. 01.08.1917 n.1278, dovuti dallo Stato si prescrivono con il
decorso di cinque anni. Il termine quinquennale si applica anche alle rate e differenze
arretrate degli emolumenti indicati nel comma precedente spettanti ai destinatari o loro
aventi causa e decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere>.
Onde, il Legislatore, ha applicato, anche ai beneficiari di trattamenti di quiescenza pagati
dallo Stato e a seguito d’intervento del Giudice delle Leggi, avvenuto con la sentenza n.
50/1981, la disciplina della prescrizione quinquennale, estendendola, altresì, alle <...rate e
differenze arretrate di rate di stipendio o assegni equivalenti e di pensione...> (comma 2°),
mentre il termine decennale di prescrizione veniva riservato soltanto <...alle indennità una
volta tanto che tengono luogo di pensione…> ed alle <...indennità di licenziamento...>
(comma 3°).
Il dato chiaro, della rassegnata normativa, evidenziava che le pensioni pubbliche, a carico
dello Stato, trovavano la propria regolamentazione, quanto ai termini prescrizionali,
esclusivamente nel citato art. 2, del R.D.L. n. 295/1939, e successive modifiche, quale
disciplina speciale e, comunque, prevalente rispetto a quella generale civilistica valevole
per il pagamento di prestazioni periodiche genericamente indicate, alla quale è possibile
fare riferimento solo ove manchi una espressa previsione, che nella specie non si verifica
(cfr. Corte dei Conti Sezione II d’appello sent. n.232/2000/A, del 22 giugno 2000, e sent.
n.153/2002/A, del 7 maggio 2002).
E ciò valeva (l’assoggettamento alla prescrizione quinquennale previsto dal citato art.2) non
solo per i ratei di pensione liquidi ed esigibili ma anche per quelli non ancora liquidi ed
esigibili e, quindi, non ancora ammessi a pagamento.
Ora, le suesposte considerazioni, per consolidato orientamento di questa Corte, seppure
attinenti ai ratei di pensione, vanno estese, come già rilevato, agli emolumenti, quale la
tredicesima mensilità, che sono accessori della pensione e servono a completarne il
relativo trattamento: essa ne condivide la sostanza e il termine quinquennale di
prescrizione.
Quest’ultima decorre dal giorno della scadenza della rata o dell’assegno se il diritto sorgeva
direttamente da disposizioni di legge o, comunque, dalla normativa regolamentare
disciplinante la materia, anche se sull’Amministrazione incombeva l’onere di procedere
d’ufficio alla liquidazione o al pagamento.
Qualora, invece, il diritto originava da una valutazione discrezionale dell’Amministrazione,
la prescrizione decorreva dal giorno in cui il relativo provvedimento era portato, sulla base
delle disposizioni in vigore, a conoscenza dell’interessato (così 4° comma, dell’ art.2, del
RDL n.295/1939).
Ebbene, nel caso oggetto di causa, una volta portato, a suo tempo, a conoscenza
dell’interessato il relativo provvedimento di liquidazione della pensione tabellare, recante il
n. 04051834 d’iscrizione, così come dispone il comma 5, dell’art. 143, del T.U. n.1092/1973
(che richiamava l’art. 2 del predetto regio decreto), la prescrizione quinquennale dei ratei
pensionistici per tredicesima, che il ricorrente poteva rilevare in termini di omessa o
incompleta erogazione anche dalla visione dei c.d. cedolini di pensione, inviati ai pensionati
e che accompagnano il pagamento dei ratei periodici, decorreva dalla data di scadenza di
ciascuna rata (e cioè dalla data di inadempimento o di inesatto adempimento della
prestazione) anche nel caso in cui la mancata prestazione trovava fondamento in una
disposizione di legge successivamente dichiarata incostituzionale.
Concetti, questi, ribaditi dal Giudice delle Leggi, che con sentenza n.234, del 23 – 27
giugno 2008, ha dichiarato la conformità a Costituzione (artt. 3 e 38) dell’art.2, comma 1,
del regio decreto legge 19 gennaio 1939, n.295, convertito nella legge 02 giugno 1939,
n.739, atteso che <…in materia di fissazione dei termini di prescrizione dei singoli diritti, il
Legislatore gode di ampia discrezionalità, con l’unico limite dell’eventuale irragionevolezza,
qualora esso venga determinato in modo da non rendere effettiva la possibilità di esercizio
del diritto cui si riferisce, e di conseguenza inoperante la tutela voluta accordare al cittadino
leso…limite che non risulta violato dalla norma di cui al denunciato art.2, in quanto essa
prevede un termine prescrizionale di cinque anni , che non può reputarsi incongruo rispetto
ai suddetti fini>.
Un tanto premesso, rilevato, quindi, che il primo atto idoneo a interrompere la prescrizione,
pervenuto all’Amministrazione resistente, è costituito dalla richiesta dell’interessato,
prodotta il 15 maggio 2009, deve riconoscersi il solo credito, per ratei arretrati dovuti a titolo
di 13^ mensilità, che si colloca dall’inizio del quinquennio antecedente a tale data e per
tutta la durata del rapporto di lavoro alle dipendenze.
Pertanto, in accoglimento della domanda, deve riconoscersi il diritto del ricorrente al
conferimento, qualora non già provveduto, sulla pensione privilegiata tabellare, n.04051834
d’iscrizione, percepita in costanza di opera retribuita presso Pubblica Amministrazione
(Comune di Schio), della tredicesima mensilità, in misura integrale, a far tempo dal 15
maggio 2004 e per tutto il periodo di opera retribuita alle dipendenze.
Sulle somme arretrate dovute, conformemente all’indirizzo delle SS.RR. espresso nella
sentenza n. 10/2002/QM, vanno riconosciuti interessi legali e rivalutazione monetaria, ex
art. 429 c.p.c. e 150 disp. di att. c.p.c., da liquidarsi, dalla scadenza dei singoli ratei al
pagamento della sorte capitale, cumulativamente, nel senso di una possibile integrazione
degli interessi di legge ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi
(c.d. principio del cumulo parziale).
Circa il regolamento delle spese legali e di giustizia, in ragione della complessità
interpretativa della vicenda, che tuttora conosce dubbi applicativi, sussistono giusti motivi
per disporne la compensazione ai sensi dell’art. 92, 2° comma, c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale regionale per il Veneto, Giudice Unico delle
Pensioni, respinta ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, definitivamente
pronunciando, accoglie, parzialmente, il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, dichiara il diritto
del ricorrente all’attribuzione sulla pensione privilegiata tabellare, recante n. 04051834
d’iscrizione, qualora non già provveduto, della 13° mensilità, in misura integrale, per il
periodo di contestuale titolarità del trattamento di quiescenza e di prestazione per opera
retribuita alle dipendenze.
Sulle somme arretrate dovute, con decorrenza 15 maggio 2004, attesi gli effetti della
prescrizione quinquennale, spettano interessi legali e rivalutazione monetaria, ex art. 429
c.p.c. e 150 disp. di att. c.p.c., da liquidarsi, dalla decorrenza dei singoli ratei e sino
all’effettivo pagamento della sorte capitale, cumulativamente, nel senso di una possibile
integrazione degli interessi di legge ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura
degli stessi.
Dichiara integralmente compensate, tra le parti, le spese di giudizio.
Dà atto, inoltre, dell’avvenuta lettura delle ragioni di fatto e di diritto, secondo il novellato
art. 429 c.p.c., in forma equipollente, attraverso il deposito della sentenza nello stesso
giorno dell’udienza.
Manda alla segreteria della Sezione per i successivi adempimenti.
Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio, all’esito della pubblica udienza del 19
febbraio 2010.
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
(F.to dott. Giovanni Comite)
Il Giudice Unico delle Pensioni, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52, del D.Lgs.
30 giugno 2003, n.196
DISPONE
che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto art. 52,
nei riguardi del ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa.
Il GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
(F.to dott. Giovanni Comite)
Depositata in Segreteria il 19.02.2010
Il Dirigente
F.to Daniela Gubbiotti
In esecuzione del provvedimento del G.U.P., ai sensi dell’art.52, del decreto legislativo 30
giugno 2003, n.196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi
del ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa.
Venezia, 19.02.2010
Il Dirigente
F.to Daniela Gubbiotti
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