magazine NUMERO QUARANTUNO - GIUGNO 2013 esprino Il diario online del Lions Club Palermo dei Vespri Lions Club Palermo dei Vespri - Distretto 108 Y/b - Circoscrizione I - Zona 1 SOMMARIO Vesprino Magazine Stabat Mater Editoriale di giugno Care Amiche, Cari Amici, anche il mese di giugno è assillato dai ben noti problemi economici, culturali e politici. Ma in questi giorni si discute spesso sulle cause della crisi attuale collocandole nella metà degli anni sessanta, quando, pur avendone la possibilità, non siamo stati capaci di impostare una visione politica, culturale ed economica lungimirante. E nel frattempo La grande bellezza è in proiezione nelle sale cinematografiche. Protagonista del Gabriella Maggio film di Paolo Sorrentino è Jep Gambardella (splendidamente interpretato da Toni Servillo) autorevole giornalista mondano sessantacinquenne e scrittore di un lontano e promettente romanzo giovanile. Cinico e disincantato, ma non privo di un fascino ambiguo, Jep, pur tentato di riprendere a scrivere, magari facendo ritorno nell’isola natia, trascorre il suo tempo nei salotti mondani e nelle feste sfrenate della Capitale, ripresa in scorci bellissimi e non banali. Il film è una satira cinica e malinconica dell’Italia di oggi, senza nessuna indignazione, anzi sottolineata dall’instancabile sorriso ironico, ma anche compiaciuto di Servillo. Non c’è dramma, c’è il tirare avanti nel niente della vita. Il film è stato paragonato a La dolce vita di Federico Fellini del 1960. Allora il regista rappresentò i segni della crisi esistenziale e culturale che gli altri non avvertivano o cominciavano appena a notare. Io credo che poco hanno in comune le due opere, soltanto alcuni elementi superficiali come il protagonista giornalista - scrittore, l’irrompere del sacro (la santa - l’apparizione della Vergine Maria) come messaggio non accolto dal protagonista e Roma. Diverso il modo di affrontare temi simili, diverso l’orizzonte di riferimento e d’attesa. Oggi i segni della crisi ci stanno tutti davanti agli occhi e non è necessaria l’allusione simbolica. Il bel film di Sorrentino è un’altra cosa rispetto a quello di Fellini, così come i nostri anni non sono più gli anni sessanta e Anita Ekberg non è la pur brava Ferilli. Tutto appare in scala ridotta, puro gossip rimpicciolito che rimpicciolisce. Ma non è un rimpianto del passato, è l’esigenza di distinguere, o almeno quella di tentarci. Visita > Leggi > Commenta > Collabora > Scrivi Musica, poesia, mito Salvatore Aiello Gianfranco Romagnoli Tempi duri per l’onorevole Carlo Barbieri La funzione delle torri siciliane Tommaso Aiello Le ricette letterarie Marinella 61° Congresso Nazionale Attilio Carioti La storia conclusa di Morgantion Carmelo Fucarino Teatro Massimo Carmelo Fucarino Unicità ed imitazione Irina Tuzzolino Il posteggiatore Carlo Barbieri Preludi scientifici Pino Morcesi Perché bisogna credere nel valore della cultura Tommaso Aiello Che importa indagare se Orizia… Carmelo Fucarino VesprinoMagazine incontriamoci in rete Con l’occhio dei bambini www.lionspalermodeivespri.it Gabriella Maggio Hanno collaborato al n. 41 di Vesprino: Giselle o le Erinni d’amore Salvatore Aiello, Tommaso Aiello, Carlo Barbieri, Attilio Carioti, Aurora D’Amico, Carmelo Fucarino, Marinella, Pino Morcesi, Gianfranco Romagnoli, Irina Tuzzolino. Tartaruga di terra Comitato di redazione: Gabriella Maggio (Direttore) Mimmo Caruso • Renata De Simone Carmelo Fucarino • Francesco Paolo Scalia Carmelo Fucarino Aurora D’Amico Giselle Passaggio della campana 2 Salvatore Aiello Attilio Carioti Eventi STABAT MATER di Salvatore Aiello In omaggio a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e alle vittime della mafia, al Massimo di Palermo è stato eseguito lo Stabat Mater di Rossini. Perseguitato dal ricordo vivo del glorioso Stabat di Pergolesi, il pesarese, “mentore” Bach, dopo una intensa elaborazione presentò nel 1842 il suo lavoro religioso a Parigi. Apprezzato da Donizetti che lo diresse magnificamente a Bologna con brillanti esiti ed altissima qualità vocale, la partitura, nel dibattito della critica che talvolta vi ha ravvisato elementi più operistici che religiosi, conferma in maniera inequivocabile che “Rossini poteva rivolgersi a Dio solo con il suo linguaggio”. Se si può in qualche modo accusare che vi latita lo scavo profondo psicologico del soffrire umano, il lavoro offre all’ascoltatore momenti di infiammata adesione al messaggio e soprattutto aneliti di conversione e redenzione tali da lasciare convinti su quanto sosteneva Heine a proposito della sua “eterna soavità e serena dolcezza”. Questi ultimi i punti di forza che vedevano l’impegno di Stefano Ranzani alla conduzione dell’orchestra e del coro con un dettato chiaro, appassionato, lirico senza però rinunciare a momenti di altissimo vigore drammatico. A sua disposizione un quartetto di solisti apprezzabili per tensione emotiva, senso religioso nell’espressione e aderenza alle richieste della musica. Marianna Pizzolato si è confermata voce preziosa per duttilità, omogeneità dei registri, controllo del fiato e con lei la delicata vocalità di Laura Giordano che dell’Inflammatus ci ha offerto un cammeo di intensità espressiva sempre sorvegliata dal dominio tecnico. Non di meno in risalto l’apporto di Ugo Guagliardo che nel Pro pectatis sfoderava solennità, corposità e afflato interpretativo. Dimtry Korchak si è fatto valere soprattutto nel Cuius animam fornendo una prova di buon livello per squillo, estensione e facilità di conquistare la zona acuta. Non ultimo il Coro, validamente istruito da Piero Monti che ci ha regalato ed impresso momenti di vibrante intensità sollevandoci ed emozionandoci significativamente. Calorosissimo il consenso del pubblico che in bis ha riascoltato il primo movimento. 3 Cultura di Gianfranco Romagnoli È propria della musica la capacità di incidere profondamente, attraverso l’ascolto, sull’animo umano, creando in esso emozioni e sensazioni che catturano, ma la cui cifra non sempre risulta chiara e agevolmente decodificabile. È’ noto che l’ascoltatore è, in una certa misura (talvolta anche notevole), guidato alla comprensione del brano musicale in quella che viene definita “musica a programma”, quando cioè il titolo stesso del brano ascoltato e/o delle sue articolazioni o parti, fa riferimento a elementi esteriori (in genere, della natura) o a situazioni interiori, la cui immagine possa essere suscitata attraverso le note. Siffatte indicazioni sono talora fornite dallo stesso compositore; più spesso, con interpretazione più o meno arbitraria, sono apposte a posteriori dall’editore a mo’ di titolo. Quando è lo stesso compositore - seppure abbastanza infrequentemente - a fornire la traccia da seguire nell’ascolto, questa è tanto più determinante quanto più grande è il musicista; tanto meno, invece, lo è quando la composizione si inquadra in una moda, come nella cosiddetta musica da salotto, efficace sì nell’effetto e talora anche innovativa, ma in genere ben più superficiale e che perciò parla meno all’anima. Quando, al contrario, il brano musicale manca di “titoli” ma è contraddistinto solamente dall’indicazione della tonalità e da un nudo numero d’opera o di catalogo, un ampio spazio è lasciato all’ascoltatore per interpretarne lo spirito: una chiave di lettura può essere data dalla biografia del compositore, dal suo modo di percepirla nei suoi rapporti col mondo e di presentire il proprio destino, arrendendosi ad esso o cercando di determinarlo. Tutti possono ascoltare la musica e trarne, secondo le proprie capacità e sensibilità, indicazioni e suggestioni che presentano, comunque, un ampio margine soggettivo. Più difficile ed impegnativo è il compito dell’ascoltatore che sia anche poeta, nel quale cioè l’arte musicale suscita consonanze con la diversa Musa al cui servizio si è posto: un compito che consisterà in una trasposizione, nel rendere cioè l’idea che vede profeticamente enunciata nel brano musicale, attraverso lo strumento delle parole, facendo sì che queste risultino adeguate al “modello” quanto a livello artistico e non ne tradiscano l’intento. Anche in questo caso gioca la soggettività, che viene a coin- 4 Cultura nestra dalla quale guardare quell’infinito che lo muove e al quale aspira; così come nell’accavallarsi tempestoso delle note può sentirsi più vicino alla soluzione del grande problema esistenziale che lo attanaglia e trarne perciò una serena ispirazione. La musica, anche quando non si rapporta direttamente a soggetti o temi mitici (pensiamo tra le tante opere musicali al sublime Orfeo di Gluck o alle saghe nordiche wagneriane) è essa stessa un mito, o, per meglio dire, è veicolo di una mitopoiesi che può investire, eternandola, la figura del compositore o anche del dedicatario (chi è, ma al tempo stesso chi non conosce, l’Elisa beethoveniana?). Essa è fatta, sì, di rapporti matematici, ma il risultato non ha nulla dell’aridità matematica: piuttosto, è puro prodotto dello spirito. Tutte le arti ci avvicinano a Dio, ma specialmente la musica, nella sua sublime immaterialità partecipe dell’infinito, ci fa sentire che siamo fatti a Sua immagine e somiglianza. cidere con la poetica personale che presiede al verso: d’altronde, anche nell’esecuzione musicale ha un peso non indifferente la sensibilità soggettiva dell’interprete che, hic et nunc, “ricrea”, in modo sempre nuovo e diverso, la pagina musicale per chi l’ascolta (non così l’opera pittorica o poetica scritta, che si presenta al fruitore sempre identica a se stessa, pur se le assonanze interiori che suscita sono, parimenti a quanto avviene per la musica, diverse in ciascun soggetto). Ascoltando compositori anche assai diversi tra loro, il poeta può ritrovare le basi e trarre alimento della sua personalità poetica in ciò che esprime il musicista, che è il senso del destino dell’uomo, con le sue passioni, speranze e gioie caduche e con le sue sconfitte, elementi tutti della vita che confluiscono inevitabilmente nel solenne atto finale della morte. Dietro l’apparente serenità del fluire del discorso musicale, può scoprire la sua stessa angoscia, il suo stesso porsi interrogativi, che non trovano risposta se non in un prodotto artistico, fatto che sia di note o di parole, il solo idoneo ad aprirgli una fi- Visita > Leggi Commenta > Collabora > Scrivi VesprinoMagazine incontriamoci in rete www.lionspalermodeivespri.it 5 Racconto TEMPI DURI PER L'ONOREVOLE di Carlo Barbieri Il marito e papapà (papà parlamentare) rientrò a casa con una faccia distrutta e crollò sulla sedia a capotavola sotto lo sguardo preoccupato della famigliola. Mentre il fido Selim cominciava a versare i tortellini in brodo nei piatti Limoges, l'onorevole prese la borsa di pelle nera che aveva lasciato cadere a terra e ne tirò fuori un involtino. -Non l’ho mangiato. Buttalo, Selim. -Ma come, mi sono alzata alle sei e mezza per fartelo con le mie mani... -Maria Lucrezia mi sono vergognato a mangiarlo davanti a tutti. L’unico posto dove avrei potuto mangiarmi un panino con la mortadella di nascosto era il gabinetto ma erano tutti occupati. Tutta gente che aveva avuto la stessa idea, ne son o sicuro. -Ma perché poi ti sei fissato con il panino? Perché non sei voluto andare alla bouvette come gli altri, scusa? -Alla bouvette? E “come gli altri” chi? Cara mia la bouvette è presidiata da quei maledetti che ti fanno i filmati con i loro telefonini. Mi volevi vedere sul blog di quello là? “Niente più pasti di lusso, l’onorevole Sgranfoni costretto a pulirsi la bocca con un tovagliolo di carta?” -Ma così sei rimasto digiuno... povero papapà- fece il leggermente obeso GianEnricoMaria trangugiando una cucchiaiatona di tortellini. -E questo è niente. Maria Lucrezia cosa ti avevo detto a proposito del maglione? -Che mi avevi detto? Che quelli là volevano smetterla con l’obbligo della giacca in parlamento e che tu volevi andare con un maglione sotto la giacca per ogni eventualità. -E tu? -E io te l’ho dato e te lo sei messo sotto. Ma che vuoi dire? -Voglio dire che quando ho visto che tutti si erano posti lo stesso problema e giravano vecchi parlamentari in felpa e persino tuta blu da operaio, mi sono levato la giacca. -E..? -E mi sono ritrovato con un maglione Missoni. -Il primo che ho trovato, c’era buio e ti volevo lasciare dormire un altro po’... ma quello è cachemire, e poi Missoni si abbina con tutto, sono sicuro che eri elegante. -Se ero elegante? Certo che ero elegante! Elegantissimo! Maria Lucrezia ma non lo capisci, girare con un ma- La Buvette di Montecitorio glione di lusso in mezzo a... oddio Maria Lucrezia ma quel maglione è quello che mi sono comprato insieme alla tua borsa Louis Vuitton quando ci siamo fatti la crociera a Capo Nord? -Sì. Che bella cro... -Aaaaaargh! Ommiodio. Ommiodio! -Che hai Filippo? Mi spaventi! -Ommiodio. Ommiodio. Se a qualcuno gli viene in mente di controllare come l’ho comprato... la crociera... la carta di credito... i rimborsi elettorali... ommiodio... -Non mi dire che... ommiodio... GianEnricoMaria scivolò giù dalla sedia e scappò nella sua stanza mentre la piccola Chantal, che si era impadronita del pesante cucchiaio d’argento e lo sbatteva felice sul brodo sollevando spruzzi tortellinici, canticchiava “ommiodio ommiodio”. ... Quell’episodio segnò l’inizio di una violenta depressione dell’onorevole Sgranfoni. Una depressione che covò sotterranea fino a quella brutta domenica in cui il piccolo GianEnricoMaria chiese al suo papapà di fargli vedere uno dei cartoni animati della sua fornitissima cineteca. Poco più tardi un urlo, un fracasso terribile e i singhiozzi di GianEnricoMaria segnalarono che all’onorevole Sgranfoni era andato definitivamente di volta il cervello. L’onorevole era stato più veloce di Pinocchio e aveva distrutto, con il lancio di una scarpa calibro 43, il televisore 50 pollici e il Grillo parlante. 6 Cultura LA fUNzIONE DELLE TORRI SICILIANE COSTRUITE NEI SECOLI XVI E XVII di Tommaso Aiello zione delle locali “UNIVERSITAS”e le centinaia di torri private o “appadronate”,sparse lungo la fascia costiera e nell’entroterra: «ET ESSENDO QUESTA CITTA’ OBBLIGATA ALI GUARDIJ A LI TURRI ORDINIAMO ET COMANDIAMO SENZA POST POSIZIONE ALCUNA DI TEMPO DEBBESI METTERE ET FARE LE DETTE GUARDIE TANTO DI NOTTE COME DE GIORNO…CHE CONVIENE CON SIGNALE DE FOCO LA NOTTE ET DI GIORNO DI FUMO QUANDO SE SCUOPESSERO VELE DE REMO». (Atti,bandi e provviste 1549-50,f.198) La realizzazione delle torri si rendeva necessaria per le continue scorrerie di corsari come Khayr al-Din,detto Ariadeno Barbarossa,e Tabach Rais,detto Dragut.Ma chi erano questi corsari e questi pirati?Essi erano veri briganti del mare,senza legge e con l’unico scopo di arricchire se stessi,accumulando tesori preziosi.Nel corso dei secoli il Mediterraneo fu infestato da pirati barbareschi,cioè provenienti dalla Barberia,abitata dai Berberi.Veloci e coraggiosi,i pirati barbareschi calavano come un fulmine sulle navi e sulle coste ope- Torre Belvedere. Foto Aiello Il XVI secolo fu il periodo storico durante il quale maggiormente si sentì il terrore per gli attacchi dei pirati barbareschi,i quali imperversavano in tutto il Mediterraneo e le coste siciliane, con improvvisi sbarchi e razzie di merci e di esseri umani da commerciare come schiavi nei porti del nord Africa o da rilasciare dietro pagamento di riscatto.Questo tipo di problema fu talmente grave da influenzare pesantemente la vita quotidiana della gente dell’epoca:ricchi e poveri,giovani e vecchi,uomini e donne,tutti,proprio tutti,vivevano nel timore di uno sbarco di corsari sulla costa,e delle conseguenti razzie nell’entroterra.E’ solo nella prima metà del XVI secolo che si comincia una reale organizzazione delle strutture difensive costiere.A partire dal 1532,sotto l’impero di Carlo V,il vicerè di Napoli don Pedro Alvarez de Toledo y Zùniga,marchese di Villafranca del Bierzo,iniziò la costruzione di torri costiere.Particolarmente interessante la lettera che il vicerè De Vega,nel 1550,inviò al senato di Palermo,con la quale forniva le necessarie disposizioni ai tre bracci del Parlamento,per migliorare la gestione e i rapporti tra tutte le torri di Deputazione,quelle poste sotto la giurisdi- Torre Albaxara. Foto Aiello 7 Cultura LA fUNzIONE DELLE TORRI SICILIANE COSTRUITE NEI SECOLI XVI E XVII rando per proprio conto sia in tempo di pace,sia in tempo di guerra.L’insufficienza del sistema di difesa venne ulteriormente provata qualche anno dopo,vicerè Juan Manrique de Lara. Il 13 giugno del 1558,il turco Pyaly Mustafà,istigato dai francesi,alla guida di una flotta di oltre 100 galere,sbarcò con 2000 uomini sulla marina di Sorrento,rapendo 4000 persone e razziando tutta la costa.Nell’ottobre del 1558,dopo pochi mesi dal suo insediamento,Juan Manrique de Lara fu sostituito da un luogotenente generale,Bartolomè de la Cueva d’Albuquerque e successivamente dal vicerè Don Pedro Afàn Enriquez de Ribera Y Portocarrero,duca di Alcalà,sotto il re Filippo II di Spagna.Anche al nuovo vicerè,apparve evidente che le scorrerie saracene erano favorite dalla mancanza di torri di avvistamento e di una flotta.Ma un vero e proprio progetto di fortificazione della costa siciliana per la difesa delle attività produttive e commerciali dalle scorrerie dei corsari,mediante un complesso sistema di torri delle città costiere,fu redatto dall’architetto senese Tiburzio Spannocchi per incarico del vicerè di Sicilia,Marcantonio Colonna,dal 1577 al 1579. Il progetto dello Spannocchi fu poi oggetto di verifica e di realizzazione da parte del Commissario Generale Giovan Battista Fresco e dell’architetto fiorentino Camillo Camilliani,nel 1583-1584.Lo Spannocchi nel suo”Descripcion de las marinas de todo el Reino de Sicilia e il Camilliani nel”Libro delle torri marittime”indicano con autorevolezza e competenza il luogo dove costruire le nuove torri,come ristrutturarle con i nuovi canoni di difesa,decidono quale tipo di artiglieria e il peso dei cannoni da posizionare sopra i tetti delle torri stesse.Altri architetti militari che compirono il giro dell’isola per migliorarne la fortificazione,furono:il lombardo Ferramolino da Bergamo(1547),il leccese Del Prado Pietro(1552),il toscano Conte Antonio(1558) ed i siciliani Ventimiglia Carlo Maria(1634) che fu soprannominato l’Archimede di Palermo e Negro Francesco(1637?). Il Camilliani venne inviato in Sicilia con la carica di “sovrintendente”alle fortificazioni del Regno,per “riconoscere la circonferenza dell’isola,e descriverla in carta,specificando i porti e i luoghi,dove eran le torri,e quelli in cui doveansi fabbricare le nuove”.Sul finire del secolo XVI,però,il terrore per i saccheggi,le depredazioni,le atrocità commesse da pirati e corsari,turchi e saraceni che sbarcavano sulle coste siciliane,fu così grande da indurre,appunto la deputazione del regno di Sicilia a restaurare le antiche torri in rovina,e soprattutto,a costruirne di nuove in un fittissimo sistema che circuiva l’intero contorno dell’isola.Preoccupazione,questa,che Camilliani(Camiliano nei manoscritti,Camigliano in R.De Gregorio,Camiliani da G.Di Marzo fino a G.Samonà)palesa costantemente nei suoi appunti di viaggio.Scrivono,in proposito,Salvatore Mazzarella e Renato Zanca: «Camiliani ,in altre parole,in questo viaggio prendeva viva e personale conoscenza della frequentazione che delle coste siciliane turchi e corsari facevano,insidiando la sicurezza delle persone e dei beni che vi stavano…Infatti da tempo,e comunque per quello del secolo XVI ormai volto,sul Mediterraneo si esercitava la politica aggressiva dei turchi a danno delle potenze europee». Era indispensabile,dunque,la sorveglianza costante del mare,soprattutto nel periodo da aprile ad ottobre,quando il mare era generalmente calmo,ferveva la raccolta dei prodotti ed intensi erano i traffici commerciali. Il sistema di avvistamento per mezzo delle torri offriva queste garanzie di una sia pur sommaria difesa,ma,soprattutto,consentiva in un tempo che oggi definiremmo reale,di dare la notizia dell’avvicinarsi 8 Cultura LA fUNzIONE DELLE TORRI SICILIANE COSTRUITE NEI SECOLI XVI E XVII d’imbarcazioni nemiche,mediante segnalazioni di fumo,di fuoco(fani) o sonore con campanelle e “brogne”(grosse conchiglie),ai castelli e alle strutture fortificate dell’entroterra in maniera da consentire l’approntamento di tutti i sistemi difensivi,prima dello sbarco degli invasori. Riportiamo un documento sull’uso dei “fani”: «Quanto alle torri appadronate,e guardie,che altri pongono,e pagano oltre quelle della Deputazione,il Commessario Generale farà istanza,e d’ordine nostro provvederà,che ciascheduno mantenga ordinariamente il dovuto,e necessario numero di guardiani sufficienti,oltre quelli che straordinariamente al tempo dell’estate,e per sopravegnenti occasioni sogliono,e deon essere aggiunti,facendo esso Commessario di parte nostra ingiunzione ‘a Giurati,Baroni,e padroni de’ luoghi,a cui carico stian tali guardie,e a lor Gabelloti,Inquilin ed anco alli Gabelloti,ed Inquilin degli Ecclesiastici sopposti a questo peso di somministrar la spesa necessaria per il pagamento di essi Guardiani,e per la riparazione e provisione delle torri,e luoghi ch’essi hanno cura di far guardare,e provvedere;talchè non cessi,né s’interrompa l’INSTITUITA CORRISPONDENZA UNIVERSALE e delle negligenze,e contravvenzioni,che ritroverà,porti a noi relazione» (Ordinazioni del Conte di Olivares,28 aprile 1595,da Archivio storico palermitanoOrdinazioni e Regolamenti,pag.158). Della “brogna” ne parla anche il marchese di Villabianca nel suo opuscolo”Torri di guardia dei litorali di Sicilia” a pag.3435,descrivendo le origini di questo strumento,e specificando inoltre:”servirsi della Brogna i soldati per guardare i corsari:ed infatti oggidì(XVIII sec.) i soli custodi delle torri che sono intorno la Sicilia hanno l’uso di sonarla per avvisare con essa le persone e barche che pericolano essere sorprese da’ nemici”.Alla fine del Cinquecento,quindi la deputazione del Regno di Sicilia poteva contare su un formidabile ap- parato di 197 torri(44 della deputazione e 153 a carico di “Sua Maestà”,del Senato di Palermo e di altre “Università”. Ma vediamo la descrizione che fa il Camilliani della costa del Golfo di Castellammare:”Siegue più avanti Fascia costiera che va da Palermo a Trapani con l’indicazione delle torri di avvistamento.Elaborazione di Salvo Vitale oltre due miglia di lido,dove,si trova frà l’altre una spaventosa e notabil cala chiamata la Grottazza,donde vi si potria occultar,si come più volte è succeduto nascondervisi una galeotta alborata con tutta la antenne,e palamento,e per tal causa vi s’è fabricata la torre ql hà corrispondenza de’ soliti segnali,et atta à poter offender li nemici vascelli. Più oltre circa due miglia si trova una punta,ch’esce molto in mare accompagnata da pericolose cale quivi d’intorno,perciò s’è disegnato farsi una torre,et assicurerà il lido,e la comarca dei luoghi vicini..Lassato Murro di Porco(oggi Mussu di porcu-Muso di porco) si scorre il lido per cinque miglia,nel qual spazio si trova il fiume di S.Cataldo(Nocella),e lo scaro di barche,e quivi vicino il trappeto di Partinico,et la foggia de Jato(foce del fiume Jato),et in ultimo la punta del Serchiaro onde è il termine delle sopradette cinque miglia.A questo luogo s’è designato una torre,la qual sarà guardia,et aviso de luochi co’ vicini di tutta la piana,e sala di Partinico”.(Vedi :Aldo Casamento-Il libro delle torri maritime –di Camillo Camiliani,pag.123). 9 Cultura LA fUNzIONE DELLE TORRI SICILIANE COSTRUITE NEI SECOLI XVI E XVII Osserva bene Salvo Vitale(Le torri del Distrettopag.9)che il progetto di Camillo Camilliani,non potè essere portato a termine per svariati motivi,non ultimo quello economico,però il suo lavoro è servito all’individuazione di quelle torri,dette appunto”camilliane”,che hanno una tipologia quasi sempre uniforme. Da un punto di vista puramente tecnico la torre costiera ha un valore in quanto offre garanzie tangibili in qualunque momento si verifichi l’attacco nemico.La tipica torre costiera o dell’entroterra è destinata ad ospitare una vedetta o un piccolo presidio militare ed ha una pianta quasi sempre quadrata con mura in pietra sbozzata(almeno per le più importanti e le più imponenti. Internamente si sviluppa in alcuni casi su un unico piano destinato ad ambiente anch’esso unico,in altri, su due o tre livelli,coperti a volta e destinati ad ospitare,in ordine crescente di altezza:la mangiatoia per i cavalli ed il magazzino delle vettovaglie,l’alloggio e l’armamento,consistente in colubrine,archibugi ,petriere ed un fornello per le fumate ed i fuochi di segnalazione. L’accesso alla torre è consentito mediante una scala collocata sulla parete a sud,poiché la parete rivolta verso il mare è cieca,in quanto più esposta al pericolo. Diffusa è la presenza di caditoie che,realizzate quasi sempre negli sporti e nei ballatoi della “controscarpa”,servono a riversare sugli assalitori sassi,liquidi bollenti e materiale infiammato. Ci sono poi le torri più piccole,dove ,al primo piano,lo spessore dei muri si dimezza e non supera il metro e presentano inoltre una sola apertura in corrispondenza del lato dal quale eseguire gli avvistamenti,mentre il coronamento presenta merlature esili ed alte. Il sistema delle torri,iniziato nel 1563,fu completato soltanto nel 1601. Le torri si dividevano in due grandi categorie: LE TORRI DI DIFESA,che sorgevano vicino ai centri abitati ed erano provviste di una guarnigione armata.A seconda delle dimensioni,erano dotate di due,quattro o sei pezzi di artiglieria di medio calibro. LE TORRI DI GUARDIA O DI AVVISTAMENTO(guardiole),più piccole,con pochi uomini di guardia ed un solo cannone,erano disposte sulle alture,oppure lungo la costa,in ottima posizione per sorvegliare molte miglia di mare.Ogni torre era in vista delle due limitrofe,in modo da poter comunicare. Da un punto di vista amministrativo,lo studio tipologico di tali opere difensive,mette in rilievo tre tipi di torri che mostrano caratteristiche diverse tra loro,in funzione delle loro specifiche peculiarità di difesa.Si hanno così: LE TORRI DI DEPUTAZIONE,LE TORRI DELLE UNIVERSITAS E LE TORRI APPADRONATE,dette anche “agricole” o di “seconda sfera”. Le torri dei primi due tipi,ebbero la peculiarità di offrire una una forte resistenza ai frequenti attacchi pirateschi e barbareschi,poiché concepite,come abbiamo visto,con spesse mura,merlate e con cannoniere per rispondere al fuoco e munite di cisterne per l’acqua piovana,utilissimo elemento in caso di prolungato assedio. Il terzo tipo,le torri apppadronate,furono concepite come robusti magazzini agro-pastorali e naturalmente di difesa delle maestranze,nel caso che il nemico si fosse spinto in profondità all’interno delle coste.Più piccole e meno robuste,salvo qualche raro caso,erano dette anche torri di “particolari” ed erano costruite da privati cittadini per difendere le maestranze ed i loro beni. A noi interessa però rilevare che queste torri costruite tra il XVI e XVII secolo hanno in comune il grande fascino di antichi edifici storici,che rappre- 10 Cultura LA fUNzIONE DELLE TORRI SICILIANE COSTRUITE NEI SECOLI XVI E XVII utilizzati e identica è la tecnica usata per le altre tipologie edilizie. Del resto esula dal nostro compito fare delle ricerche approfondite miranti a individuare i nomi e i siti di torri di cui parlano gli storici del passato,ma che non esistono più.Lo hanno fatto altri “studiosi”,alcuni dei quali,si sono impegnati in minuziose copiature di documenti,nel tentativo di far rivivere solo ipotetiche congetture tratte dal Fazello:Dell’historia di Sicilia,Venezia 1573,o da A.Mongitore: La Sicilia ricercata –A.Forni,1977. sentarono uno scudo in difesa delle popolazioni rivierasche e delle magre economie siciliane. Inspiegabilmente però alcuni studiosi le definiscono”architettura minore”,per cui non ci stancheremo mai di contribuire a dare dignità a tali monume ,come del resto hanno fatto in passato Salvatore Mazzarella,Renato Zanca, Ferdinando Maurici, Calogero Carità. Queste costruzioni vanno annoverate nella tipologia dell’edilizia rurale.Infatti la struttura di queste torri risponde perfettamente al tipo di costruzioni rurali:bagli,masserie,mulini disseminati in tutto il territorio siciliano. Identici sono i materiali costruttivi Visita > Leggi Commenta > Collabora > Scrivi VesprinoMagazine incontriamoci in rete www.lionspalermodeivespri.it 11 Cucina LE RICETTE LETTERARIE DI MARINELLA PoLPettine aLLa marocchina Tangeri Monsieur Arthens, il più importante critico gastronomico del mondo, protagonista di Estasi culinarie di Muriel Barbery, nelle ultime ore di vita cerca un sapore perduto che gli faccia riscoprire quello della vita. Tra le tante ricette che gli vengono in mente si trova quella qui proposta. Ingredienti: Gr. 600 di carne di manzo macinata, 1 uovo, latte, 1 cipolla, 4 fette di pan carré, olio d’oliva, pomodori pelati, sale, peperoncino, noce moscata, cumino, , cannella, coriandolo, menta, maggiorana Preparazione: Ammollare il pan carré nel latte, strizzarlo ed unirlo alle erbette tritate, unire la carne, l’uovo, la cipolla, finemente tritata, le spezie ed il sale. Impastare e formare le polpettine, cuocerle per 15 mm. nella salsa di pelati. 12 Lions Club 61° CONGRESSO NAzIONALE di Attilio Carioti Nei giorni 24-25-26 maggio 2013 al Palazzo dei Congressi di Taormina si è svolta l’Assemblea dei Delegati al 61° Congresso Nazionale. Hanno aperto i lavori le relazioni sulle attività di servizio e in particolare : la prevenzione della vista e l’aiuto ai non vedenti, gli interventi nei Paesi più poveri, lo sviluppo della partecipazione femminile, il Progetto Martina, l’AIDD, Alert, Lions Quest, Leo, la collaborazione interassociativa. Sono state anche delineate le proposte per la scelta dei service nazionali 2013-2014. Sabato 25 si sono svolte le votazioni per l’elezione del Direttore Internazionale; è risultato eletto Roberto Fresia. Purtroppo l’evento è stato rattristato dal grave malore che improvvisamente ha colto Giovanni Rigoni Past Direttore Internazionale. I tempestivi soccorsi somministrati dai medici lions presenti ed il ricovero nell’ospedale di Taormina non sono valsi a mantenerlo in vita. Chi scrive esprime ai familiari , a nome suo e del Presidente del Lions Club Palermo dei Vespri, le condoglianze per la grave perdita dell’illustre rappresentante del Lions International. 13 Lions Club LA STORIA CONCLUSA DI MORGANTION di Carmelo Fucarino Un gruppo affiatato del Lions Palermo dei Vespri ha realizzato, su progetto e promozione di Lucina Gandolfo, un tour esplorativo nell’Aidone dei Siculi, una vera e propria full immersion, prima nel vastissimo e straordinario sito archeologico, poi a verifica dei manufatti artistici rinvenutivi nel nuovo e ricco museo cittadino, che vanta il mastodontico torso di statua, dai media arditamente definita di Venere, in effetti la ricostruzione di un raffinato himation, che ha reso celebre nel mondo l’antica Morgantion in virtù di un furto, delle peripezie e dei passaggi dei mirabili acroliti e di un avventuroso rinvenimento da archeo-spy. In fase di avvicinamento si è avuta occasione di dibattere sullo stato rovinoso dei nostri beni archeologici, delle ruberie, delle quali questa, resa celebre per l’opera spregiudicata del Malibu dei Getty, è soltanto la punta di un iceberg, e dell’eterna quaestio, se è meglio scavare e lasciare tutto a piena aria, o ricoprire tutto, conservando soltanto la ricostruzione storica e artistica attraverso la relazione degli scavi. Esempi di scavi abbandonati all’incuria e all’offese del tempo e degli uomini forse inducono ad una seria riflessione su tutta l’attività archeologica e sulla progettualità delle aree di ricerca. Tuttavia da altra parte i gravi ed irrecuperabili danni procurati dai tombaroli rendono urgenti gli interventi atti a precederli, non avendo mezzi e personale per proteggere i siti. L’ironia della questione, spesso l’opera dei tombaroli rende noto un sito sconosciuto e le sue opere straordinarie che diventano di conoscenza e fama internazionale. Rimane sempre imponderabile il problema di quanti altri manufatti rimangono nel segreto di case private e di ignoti fruitori. Anche per le opere d’arte finite nei musei internazionali attraverso scavi artigianali ed illegali il danno è pur sempre irreversibile, in quanto rimangono esempi anonimi di arte, decontestualizzati, semplici manufatti morti in eterno, perché nulla ci potranno mai dire sulla loro vita quotidiana, sulla loro concreta re- altà storica. È comprensibile quale gravissimo danno è stato arrecato alla storia dell’umanità. Perché d’altronde l’archeologia ha questa unica e specifica finalità: ricostruire la nostra odierna identità attraverso la nostra esistenza passata. La fruizione prettamente “culinaria” ed edonistica di un’opera d’arte è secondaria rispetto alla ricostruzione dell’esistenza umana. Perciò anche i dubbi e l’equivoco, discusso ed irrisolto, della “musealizzazione” dei reperti archeologici, resi oggetti di stupore e di godimento, senza quella vitalità che ha in sé ogni oggetto recuperato dalle viscere della terra. Ma è un problema immane. In margine a questa spedizione culturale e in questa funzione di rivitalizzazione di massi informi, caotici e senza voce, di rocchi di colonne e di sezioni di case e ambienti, in questo intricato meandro di aree urbane, agorai addirittura a duplice livello, in un tessuto urbano di locali di culto e di lavoro, un muto teatro che sembra riecheggiare di voci e di canti, mi commuove il ritorno ai tempi in cui quella città stretta sulle colline e sormontata da una vasta acropoli pullulava di vita. E mi pare di risentire, risuscitando questa desolazione di massi e sassi sconvolti nell’odierna Serra Orlando, l’assordante frinire delle cicale e le liti dei passeri fra i rami di fico in una as- 14 Lions Club LA STORIA CONCLUSA DI MORGANTION solata estate del 211 a. C., e il fervore di vita in mezzo a quei vicoli squadrati a regola d’arte. Un cicalare di donne in dialetto dorico da un uscio all’altro e un rincorrersi vociante di paidakia, di fanciulli seminudi, qui nell’ampia agorà, fra i banchi dei negozianti e gli immancabili cani scodinzolanti. Lassù, panoramica, la casa in collina del ricco Eupolemos. Mai nome fu più irridente o forse apotropaico del suo, la “buona guerra”, forse per antico ghenos di guerrieri. Aveva acquistato un prezioso servizio di oreficeria, artistico e raffinato, nel quale aveva mescolato chissà quanto vino nei suoi simposi di “bevute insieme”, nei colloquiali party, sdraiato con amici sui triclini. Troppo bello per un paesino nascosto tra le colline: interamente in oro e argento, la pisside con l’augurale figura della cornucopia, lo scongiuro dell’emblema di Scilla, la phiala e la coppa con i piedi a forma di maschere teatrali. Perché il teatro era presente e ben capiente e portava risate e insegnamenti, le commedie del siceliota Epicarmo e poi i ditirambi del grande Filosseno con il suo Polifemo innamorato di Galatea che Alessandro Magno si fece mandare da Arpalo ai confini del mondo, oltre all’Iliade, corretta da Aristotele. Certo era stato preveggente a nascondere bene il suo tesoro. Poi l’orda di soldatacci ispanici aveva tutto travolto e bruciato. Bambini e donne avevano seguito il carro del vincitore ed erano morti da schiavi, in un campo assolato della Spagna. Eppure davanti ad una casa sulla collina il padrone invitava gli ospiti con un propizio conio linguistico, euechei, “statti bene”. Diversamente dall’ingresso degli hotel di Teheran ove tuona minaccioso un Go home, yankee. Poi improvviso un turbinio di zoccoli di cavalli e un risuonare di trombe e le voci, le grida, strani accenti in una lingua ignota. Poco prima Murgentia, come la chiamava Livio, appena aveva appresa la notizia della partenza dall’isola dell’implacabile Marcello, aveva accolto fra le sue mura i Cartaginesi, seguendo l’esempio di Ergetio, Ibla, Macella, per evitare i numidi di Muttine che devastavano le terre degli alleati dei Romani. Il pretore Marco Cornelio, rimasto in Sicilia, riuscì però a mettere ordine fra i suoi soldati con le buone e le cattive e riconquistò le città che avevano defezionato: «fra queste attribuì Murgentia agli Ispani, ai quali per senatoconsulto erano dovuti una città e il suo ager» (LIV. XXVI, 21). Era il prezzo ottenuto dal loro capo Moericus hispanus che aveva loro consegnato l’isola di Ortigia. Perciò questi aveva marciato con i suoi uomini nel trionfo romano di Marcello, davanti a lui, con una corona d’oro. Ora gli Ispani irrompevano fra le case e tutto depredavano e incendiavano, ma non si imbatterono nel tesoretto di Eupolemos. Esso aspettava un più esperto tombarolo moderno con metal detector, il geografo Strabone, dopo aver detto che i Siculi e i Morgeti, spinti dagli Enotri, passarono in Sicilia e fondarono Morgantion, scriveva telegrafico: «è verosimile che Morgantion sia stata fondata dai Morgeti. C’era la stessa città e ora non c’è. Quando giunsero i Cartaginesi, non cessarono di far male a costoro e ai Greci, resistevano tuttavia i Siracusani» (STRAB. VI, 257 e 270). Strabone ignorò o volle omettere per riconoscenza verso l’ospite romano che non scomparvero per mano dei Cartaginesi. 15 Opera Teatro Massimo La metamorfosi di un progetto Un di Carmelo Fucarino a premessa necessaria per spiegare il contesto in cui ormai viviamo quotidianamente, nell’Italia sbracata e priva di estetica. Una serata di noia televisiva, un passaggio distratto e per abitudine su Rai1 e la traboccante Antonellina nazionale. Sembrava la solita gara della tv nazional-popolare, ma mi fece fermare sul piano televisivo la presenza di un barbuto Placido Domingo che prometteva di dirigere l’orchestra. Poi allargandosi il piano di ripresa, l’incanto di un’Arena di Verona straboccante di pubblico in ogni ordine e grado. Non si trattava dunque di una particolare serata culinaria, di festival e gare di voci bianche della Clerici (organizzatore del programma Mazzi, quello di Sanremo), non era la replica delle sue matinée della cucina, ma niente meno che l’avvio delle celebrazioni dei “cento anni di opera” della prestigiosa Arena sotto il titolo pretenzioso e fatidico: «Lo spettacolo sta per iniziare». Leggo oggi a freddo sul Corsera sotto l’analisi graffiante “La lirica kitsch e la caramella Clerici”: «Mai titolo fu più azzeccato. Perché chiamare Andrea Bocelli, José Carreras e Placido Domingo, mettere in fila i brani più celebri della lirica («una hit parade della lirica!»), costringere il pubblico alla pañolada, dedicare Casta diva a Franca Rame non significa costruire uno spettacolo, anzi ». Per parte mia non ho resistito molto ai languori di Bocelli e al consueto “’O sole mio” polifonico. Che dire, nelle sue promozioni dell’Italia nel mondo anche Caruso si cimentò con questa melodia. Devo ammetter che di tanto in tanto mi vinse la curiosità. E ne rimasi basito per il degrado culturale, incredibile in una istituzione così alta e celebre nel mondo. È probabile che fra qualche giorno vi torneranno i giochi dei gladiatori e le battaglie navali di imperiale memoria. Perché la Clerici può essere bravissima e simpatica, ma il suo look è legato ad altro. Penso che sia arduo vedere Grillo nei panni di Hamlet. Lo shock veronese non poteva essere più premonitore. Il Massimo mi aspettava con le promesse di due storici centenari. Al foyer un commesso mi porgeva un programma. Insolito, perciò curioso, ma assai semplice. Il progetto per il quale avevo anticipato un abbonamento con diritti di prelazione (non si capisce la ragione di questo “pizzo”; se pago con l’anticipo di un anno, avrei invece diritto ad uno sconto) era stato unilateralmente modificato. Scomparso il secondo piatto forte del Ring del tanto reclamizzato Wagner. In sostituzione del titanico Siegfried mi si offre altro in corso d’opera, una specie di oratorio, detto in modo surrealistico “opera per musica e film” (?) e con un titolo altrettanto criptico e burlesco “Sette storie per lasciare il mondo”. Senza offesa per la fatica di Andò e del caro Betta. Come se acquistassi un anno prima un appartamento e alla consegna mi si concedesse paternamente un bugigattolo. Altra immaginifica sorpresa: la dirigenza si 16 Opera Teatro Massimo La metamorfosi di un progetto rotondi sulla scena. Anche perché l’invito sul socialtrash Facebook a stuprare una ministra dello Stato è oggi definito da Chiara Saraceno su un quotidiano, impropriamente definito di sinistra, la «grossolana maleducazione di una persona», non un crimine razzista e, si dice oggi, antigenere. La musica di Verdi ha sempre un suo fascino e certi temi trascinano sempre, in qualsiasi salsa, anche come reclame di deodoranti e salviette igieniche. Ma adeguarli a quadri indefiniti e atematici di balletto ne corre. La struttura del balletto ha sue regole, si inserisce in un contesto narrativo, l’azione disegnata con la mitica mimesi aristotelica, il corpo che si trasforma in parola e ne disegna i misteri (così ancora, prima di Diaghilev, nel rivoluzionario Marius Petipa, del quale si promette a dicembre l’edizione dello Schiaccianoci, se Dio vorrà!). Certo le figure, i passi, fino alla sempre strabiliante pirouette o la sissonne per i preziosismi e la bravura dei due eccelsi ballerini, ma non bastano da sole a far diventare qualsiasi brano musicale un balletto. Perché poi alla fine il corpo simbolo è scomparso e sulla scena è restato a chiusura il pianto nostalgico di ebrei prigionieri, il Va pensiero, sola struggente voce di schiavi. offre di non farmi pagare prelazione (chiaro?), se pago a luglio l’intero abbonamento per la stagione 2014. Certo, con uno Stato che incamera un anno prima il 99% di acconto su ipotetici futuri guadagni, da un piccolo ente palermitano diretto da un servitore dello Stato non si poteva aspettare di meno. Questo forse basterebbe per descrivere la serata. Ma troppo si è osato, fino a raggiungere il ridicolo, annullando i sacrifici di pur bravi etoiles, il perfetto, flessuoso Giuseppe Picone e la silfide Soimila Lupu, e quelli di esperti orchestrali e coreuti. Continuo a chiedermi come si possa far scendere sulla scena un meccanismo dentato da orologio a cucù, si badi, funzionante a tratti, non sempre, per alludere allo sconvolgente tema della sinfonia della Forza del destino! E come si può trasformare in movimento di danza una mielosa e surreale lettera di Verdi, cadenzata con voce altrettanto mielosa e metallica, da aeroporto, e disegnata e gesticolata ai frastornati spettatori con il linguaggio a segni e gesti usato dagli ipoudenti. Per poi sceneggiare il doloroso corale Dies irae della Messa di Requiem con una sarabanda di danzatori a torso nudo. Qui mi fermo e nulla aggiungo ad altre cadute di stile, su corse e gi- Visita > Leggi Commenta > Collabora > Scrivi VesprinoMagazine incontriamoci in rete www.lionspalermodeivespri.it 17 Storia UNICITà ED IMITAzIONE di Irina Tuzzolino La tecnologia sempre più avanzata spesso non ci permette di distinguere un oggetto originale dalle sue riproduzioni. E questo accade non soltanto ai non competenti, ma anche agli esperti. La compresenza di un oggetto autentico e della sua riproduzione ci pone davanti ad un giudizio difficile perché da un lato ci invita con immediatezza e semplicità a credere che ciò che è autentico abbia valore e che la sua riproduzione ne sia priva; ma ci dice anche che la riproduzione mette in discussione l’idea stessa di autenticità. Quest’ultimo giudizio può apparirci radicale, espressione dello spirito dissacratorio del nostro tempo e invece è molto antico. Infatti al tempo del leggendario secondo re di Roma, Numa Pompilio, una grave pestilenza travagliava la città finchè nelle mani del re cadde dal cielo uno scudo, come raccontano gli storici delle origini della città. Chiaramente l’evento esprimeva la volontà degli dei. Questi infatti consigliarono a Numa anche di fare undici copie uguali allo scudo per confondere l’eventuale ladro. Eseguire le copie non fu facile, perché i fabbri della città presagivano qualcosa di misterioso e di inquietante che li spingeva a rifiutare. Dopo tante ricerche accettò Mamurio Veturio, che realizzò gli undici scudi con tale abilità che neppure il re riusciva a distinguere il vero scudo dai falsi. I dodici scudi non vennero custoditi in un luogo protetto, ma Roma-Piazza di Porta Capena vennero esposti e portati in processione nei giorni festivi. L’originale era dunque assimilato alla sua riproduzione e perdendo così la sua eccezionalità ed in questo caso la sua sacralità. Nel rito che venne istituito intorno ai dodici scudi, portati in processione da dodici giovani al ritmo della danza trasforma l’eccezionale episodio sacro in tradizione e norma, avvicinandolo alla comprensione umana. Visita > Leggi Commenta > Collabora > Scrivi VesprinoMagazine incontriamoci in rete www.lionspalermodeivespri.it 18 Curiosità Il posteggiatore (un fatto vero) di Carlo Barbieri M ondello, Palermo. Tarda sera di un caldo fine settimana. Esco dal cancello con i sacchetti dell’immondizia e mi chiedo se continuo a differenziare per caparbietà o per stupidità, visto che non pare che chi dovrebbe poi occuparsene differenzi un granché. La larga strada è completamente al buio. Solito cortocircuito o effetto della spending review di un comune povero per antichi sprechi? Come ogni sabato, nel bel mezzo della strada si è formata una doppia fila di auto parcheggiate. Un vigile in servizio in piazza mi aveva confidato che sabato e domenica, proprio quando ce ne sarebbe più bisogno, c’è un solo mezzo addetto alla rimozione in tutta Mondello. Evidentemente, fra le informazioni passate “confidenzialmente” dai vigili, le denunce sulla cronaca e l’efficientissimo passaparola cittadino, questa cosa ormai si sapeva e ne approfittavano tutti. -Lo vede no? Il posteggiatore. -E lei ha lasciato Milano per venire a fare il posteggiatore proprio qui, a Palermo? -Sì. La vuole una sigaretta? -No grazie, non fumo più. -Ah. Bravo, io non ci riesco. Vede, io facevo l’operaio in una fabbrica. Guadagnavo benino, poi il lavoro è finito. A Milano se non hai lavoro ti lasciano morire di fame. Qui invece vi date tutti una mano e chi deve sorvegliare chiude un occhio. C’è più cuore. -Ah. Capisco. Speriamo che le cose vadano meglio. -Speriamo. -Senta... la mia macchina è quella Golf là in fondo. Gliela può dare un’occhiata per piacere? -Può stare tranquillo. Gli allungo un euro. -Arrivederci. -Arrivederci. E grazie. Arrivato a casa apro il cancello e mi giro verso le macchine parcheggiate in mezzo alla strada. Non mi fanno più tanta impressione. Arrivo al cassonetto, butto l’immondizia e torno indietro. -Buona sera. Esce all’improvviso da dietro una macchina, il volto illuminato dalla fiammella dell’accendino. Mi fermo, tranquillizzato dal fatto che chi ti vuole rapinare non si mette a fumare. -Buona sera. -Dov’è la sua macchina?- Forte accento milanese, o per lo meno del nord. Io con gli accenti mi sbaglio sempre. -Davanti casa mia. -Ah lei abita qui? Mi scusi allora, buona notte. -Buona notte a lei. Senta... ma lei di dov’è? Non ha l’accento palermitano. -L’ho perso. Sono stato vent’anni a Milano. -Ah ecco.- Stavolta con l’accento ci avevo azzeccato. –E che ci fa qua? 19 Cultura PRELUDI SCIENTIfICI NEL GRANDE SECOLO di Pino Morcesi L’ nella comunicazione tra gli scienziati. Ma presto incorre nell’ostilità del clero che ne determina la chiusura. L’ autorità del ministro delle Finanze J. Baptiste Colbert fa sì che riprenda la pubblicazione diretto dall’ abate Jean Gallois, ma con interessi più letterari e giuridici che scientifici. Nel 1665 anche in Inghilterra si stampa un giornale scientifico, espressione della Royal Society, diretto dal suo primo segretario Henry Oldenbourg, il Philosophical Transaction living some account of the present undertakings studies, and labours in many considerable parts of the world. Di questo fu collaboratore anche Marcello Malpighi. Anche in Italia si scrivono articoli scientifici che vengono pubblicati nella stampa letteraria perché il medico o lo scienziato è considerato un letterato. Il primo periodico italiano è il Giornale dei letterati, pubblicato a Roma nel 1668 a cura di Francesco Nazzari e segue nel 1671 il Giornale veneto dei letterati, a cura di Pietro Moretti, anche questi non senza contrasti tra gli studiosi e tra questi e le autorità del tempo. Il passato non è pertanto molto diverso dal presente per quanto riguarda i contrasti tra i diversi esponenti della cultura scientifica umanistica e politica , ma soprattutto nell’appoggio di personaggi influenti. espressione Il grande secolo indica il ‘600, periodo in cui si elabora il metodo scientifico di osservazione della natura e del corpo umano e si pongono le basi per la scienza moderna. In questo secolo nasce il giornalismo come strumento di divulgazione e di dialogo, aspramente ostacolato dai numerosi studiosi che rifiutano il progresso. Per questo i periodici hanno bisogno di protettori potenti che ne condividano e ne sostengano gli intenti. Il 30 maggio 1631 Thèophraste Renaudot, con l’approvazione del Cardinale Richelieu pubblica il settimanale la Gazette de France, che non ha un taglio propriamente scientifico, ma genericamente divulgativo. Indirettamente però alimenta la querelle des ancien set des modernes nel campo scientifico perché Renaudot è un medico che sostiene le nuove scoperte scientifiche sul cuore, la circolazione sanguigna ed i farmaci chimici di contro ai medici tradizionalisti ancora legati alle teorie di Galeno. Il Journal des Sçavans fondato da Denis de Sallo, con lo pseudonimo Sieur d’Hèdouville , il cui primo numero risale al 5 gennaio 1665, è il primo giornale scientifico pubblicato in Europa. Svolge un ruolo considerevole nella divulgazione delle conoscenze scientifiche e Visita > Leggi Commenta > Collabora > Scrivi VesprinoMagazine incontriamoci in rete www.lionspalermodeivespri.it 20 Cultura PERChé BISOGNA CREDERE NEL VALORE DELLA CULTURA di Tommaso Aiello Due anni fa abbiamo iniziato un percorso dal titolo”Sicilia-Terra di culture” che ci avrebbe portato,attraverso dei saggi mensili pubblicati su vari blog come “Tuttolions, Il Vesprino, Heritage del Centro Studi Helios, Partinico,amore mio”, nonché la diffusione per E.Mail, alla conoscenza graduale della grandezza e della varietà delle culture in Sicilia,con lo scopo di amarla di più e di contribuire,potenziando il turismo culturale,ad uno sviluppo economico concreto e realizzabile. La vita dell’uomo non è solo fatta di conoscenze tecnologiche o mediche o scientifiche,ma anche di cultura senza la quale le altre conoscenze non sarebbero possibili. Il concetto di cultura si è liberato da tempo del senso aristocratico per estendere a tutto ciò che appare solo ad un certo punto della storia della società umana,come risultato di un impegno a rinnovare,e migliorare la qualità della vita,come testimonianza di un passato recuperabile nella sua realtà di sistema,a cui tutto,dalla cancellata in ferro battuto o dall’ex-voto,al sublime capolavoro,si riferisce e da cui tutto riceve il lume di una interpretazione che si approfondisce e si allarga. Per cui,noi continueremo(dopo le vacanze estive) nella nostra strada e presenteremo ogni mese un argomento che di volta in volta affronterà un aspetto culturale della nostra Sicilia:letteratura,storia,arte,archeologia,tradizioni popolari,musica,teatro, ecc.che sono il cibo dell’anima e di cui l’uomo non può fare a meno e solleciteremo chi ci leggerà a pensare che l’umanità è molto complessa e bisogna conoscerne i vari aspetti. Lo scopo finale risulta pertanto identico a quello di chi vorrebbe mettere da parte la cultura,perché solo questa può portare alla conoscenza globale dell’uomo. Come si fa a disconoscerne quello che ha saputo creare? Come si fa a disconoscere realtà come i mosaici di Villa Casale di Piazza Arme- Palazzo Reale-Cappella Palatina - Palermo rina o i templi di Agrigento e Selinunte o il teatro di Siracusa o la Via Etnea di Catania o il Duomo di Monreale o il Palazzo dei Normanni di Palermo o la finissima e umanissima poesia di Quasimodo(Nobel per la Letteratura) o la prosa della sofferenza umana di un Verga o le melodie immortali di un Bellini? Tutte testimonianze ritenute dall’Unesco patrimonio inalienabile dell’umanità e alle quali si avvicinano milioni di persone provenienti da tutto il mondo.La grande storia della Sicilia è intimamente legata ai capolavori prodotti nel corso dei secoli che sono talmente variegati da potere affermare che ci sono molte Sicilie con molte culture. Questi valori della memoria storica,questi segni forti della nostra cultura ci danno uno scopo ad agire,ad operare in un certo modo e non in un altro. Tutelare o restaurare o rivalutare una struttura,un monumento o un capolavoro immateriale per utilizzarlo per la fruizione di tutti,ha una valenza che travalica le apparenze superficiali 21 Cultura PERChé BISOGNA CREDERE NEL VALORE DELLA CULTURA per andare ben oltre. Si tratta di interventi che risanano la società e quindi l’uomo,per cui se abbiamo recepito l’autentico valore dei BB.CC., questi cominciano a rappresentare un enorme serbatoio di valenze che possono dare a tutti scopi per operare. Ma a che cosa è servito questo sforzo e soprattutto a cosa servirà,se non riusciamo a dare uno sbocco positivo,proporzionato all’incommensurabile presenza dei BB.CC nella nostra Sicilia? Bisogna allora pensare come utilizzare queste conquiste del pensiero. Una risposta adeguata,che è poi quella che tutti,a qualsiasi livello,danno da diversi anni, è quella di utilizzare questi beni nel contesto di uno sviluppo armonico del territorio e conseguentemente finalizzati al potenziamento dell’industria del turismo in Sicilia. Noi non siamo quindi per una cultura fine a se stessa,noi siamo per una cultura viva,capace di contribuire allo sviluppo economico della nostra isola. E allora continueremo nel nostro lavoro,nella speranza che il nostro piccolo contributo possa aiutare a far migliorare la nostra società. L’Annunciata-Antonello da Messina G.Serpotta-Oratorio del Rosario in Santa Cita Siracusa-Palazzo Beneventano 22 Cultura Che importa indagare se Orizia fu rapita! di Carmelo Fucarino In piena estate in un mezzogiorno di canicola, come sa esserlo in Sicilia e pure ad Atene, Fedro si avvia per una passeggiata fuori le mura, è stato per molto tempo seduto fin dal primo mattino. Acumeno, medico saggio e suo caro amico, colloquiante nel Simposio, gli ha consigliato di fare passeggiate all’aperto. Secondo lui, sono più rilassanti di quelle lungo i viali del passeggio ateniese. Incontra Socrate che, appreso del discorso che Lisia aveva tenuto sull’amore e bramoso di conoscerlo, si dichiara disposto a seguirlo ovunque, fino a Megara e ritorno. Girano verso il sud della città e si trovano lungo le rive del ruscello Ilisso. Anche Fedro, per caso si trova a piedi nudi, ed è assai facile e piacevole, data l’ora e la stagione, camminare con i piedi nell’acqua e bagnarsi. Giungono ai piedi del frondoso e alto ed ombroso platano, il più celebre agnocasto dell’universo e di tutti i tempi. È all’acme della fioritura, quando rende ben profumato tutto il luogo. Ai suoi piedi scorre una sorgente di acqua fresca, come si sente immergendovi il piede. Somiglia ad un luogo sacro dalle immagini e dalle statue delle ninfe e di Archeloo. Un dolce alito di vento, il mormorio estivo in sintonia con il coro delle cicale, il declivio di erba fresca che invita a sdraiarsi. Qui Socrate lo segue in modo strano, come uno che non è mai uscito dalla città, come un forestiero condotto da una guida: «Perdonami, carissimo, sono avido di conoscenza. I campi e gli alberi non vogliono insegnarmi niente, gli uomini della città invece sì». La cornice di questo tranquillo conversare a due in ansiosa attesa di altri sublimi colloqui è un luogo immortale dell’anima, inimitabile nonostante i tentativi. Piccola cosa, nella solitudine suicida dell’Es Foscolo il suo platano, lettera 23 ottobre: « Io seggo con essi a mezzodì sotto il platano della chiesa leggendo loro le vite di Licurgo e di Timoleone. Domenica mi s'erano affollati intorno tutti i contadini, che, quantunque non comprendessero affatto, stavano ascoltandomi a bocca aperta. Credo che il desiderio di sapere e ridire la storia de' tempi andati sia figlio del nostro amor proprio che vorrebbe illudersi e prolungare la vita unendoci agli uoHeinrich Lossow, disegno per le Metamorfosi di Ovidio mini ed alle cose che non sono più, e facendole, sto per dire, di nostra proprietà. Ama la immaginazione di spaziare fra i secoli e di possedere un altro universo» (il piantùn di Verzago si è sdraiato il luglio del 2008 a 400 anni di vita). In margine ad una passeggiata ristoratrice, in questa struttura di incanto (la ignorava forse Croce, quando discettava di poesia e non poesia), il topos eccezionale per un mito che tutti li rappresenta e commenta. In quel punto a sud di Atene alla confluenza dell’Ilisso con il Cefiso, due o tre stadi più avanti ove si attraversa il fiume per recarsi al tempio di Agra, dedicato a Demetra si dice o a Artemide Agretera, proprio in quel punto c’era l’altare di Borea, il vento del Nord. Con la massima naturalezza la domanda incredibile di Fedro: «Sei persuaso, o Socrate, che questo mitologema sia vero?». Per i tanti cultori di miti, antichi e moderni, veri o falsi (Marino Niola li definisce meglio “mitoidi”), la risposta del sapiente «a piedi nudi»: «Ma se io non ci credessi, come i sophoi, non sarei uno strambo. Poi da sophos, potrei dire che il soffio di Borea gettò Orizia giù dalle rupi lì vicino, mentre giocava con Farmacea, e così, dal momento 23 Cultura Che importa indagare se Orizia fu rapita! belva più intricata e assai piena di brame di Tifone o invece un essere vivente più mansueto e più semplice, partecipe per natura di una moira (la sorte divisa e assegnata in parti) divina e priva di vanità». Così credeva per fede il saggio “a piedi scalzi”, – così tutti lo conoscevano, anche Aristofane (Nuv. 103, 363). Solo nel divino simposio in casa di Agatone, ove si intesseva a più voci l’encomio di Eros, si era vestito elegante, «lavato e calzato di saldali, cosa che faceva poche volte», «per andare bello presso un bello (Simp. 174 a,). Così credeva l’affabulatore votato alla cicuta. Perché solo la fede ci salverà. Se tornasse l’uomo a indagare dentro se stesso, da solo, con ragione e sentimento, senza bisogno di “strizzacervelli”, in quell’abisso impenetrabile che ci fa essere scintilla di divino e fiera selvaggia che sconosce pietà e rispetto del “prossimo”. Così secondo l’iscrizione di Delfi: Γνώθι σεαυτόν. che era morta, si disse del rapimento da parte di Borea. O dall’Areopago, perché si dice anche questo mito, che fu rapita di là e non di qua». Queste interpretazioni sono ingegnose e proprie di un uomo esperto e impegnato, ma non troppo fortunato, perché dovrebbe in questo modo raddrizzare la forma (eidos) di tutti gli altri miti, come per esempio Chimera, Gorgoni e Pegasi, tutti gli esseri straordinari e le nature mostruose. Se uno non ci crede, dovrebbe avere molto tempo libero per raccordare queste cose incredibili al verosimile, «servendosi di tale sapienza da campagnolo»: «per queste cose non ho in alcun modo tempo libero (scholé, poi scuola), per la ragione che non posso ancora conoscere me stesso secondo l’iscrizione di Delfi e mi sembra risibile, non conoscendo ancora questo, indagare cose che mi sono estranee». Perciò prestando fede alle credenze che si hanno al riguardo, «vado esaminando non queste cose, ma me stesso, nel caso che non sia una Visita > Leggi Commenta > Collabora > Scrivi VesprinoMagazine incontriamoci in rete www.lionspalermodeivespri.it 24 Lions Club di Gabriella Maggio La giovane artista con linee decise e colori forti mette in primo piano due bambine che raccolgono rifiuti inquinanti lasciati da altri. È proprio vero, l’ecosistema è nelle nostre mani. Riusciremo a ricordarlo? Visita > Leggi > Commenta > Collabora > Scrivi VesprinoMagazine incontriamoci in rete www.lionspalermodeivespri.it 25 Opera GISELLE O LE ERINNI DI AMORE di Carmelo Fucarino La prima edizione di Giselle si tenne all’Opéra National de Paris, il 28 giugno 1841, protagonisti Carlotta Grisi ventiduenne e Lucien Petipa. Ha 172 anni e li dimostra tutti, nonostante le varie revisioni, che nel corso delle rappresentazioni e in funzione della estrosità dei coreografi l’hanno quasi interamente modificato, fino all’ultima delle tre edizioni di Marius Petipa nel 1899. Al Teatro Massimo di Palermo è stata presentata dal Balletto Yacobson di San Pietroburgo nella versione coreografica di Jean Coralli, Jules Perrot e Marius Petipa. La fama però e le infinite produzioni sono legate ai Balletti Russi di Sergej Diaghilev che fu simbolo di un’epoca del balletto classico. L’idea fu tutta carica di suggestioni letterarie. Nacque dall’impressione suscitata in Théophile Gautier dal romanzo De l’Allemagne di Heinrich Heine. Al suo libretto diede le musiche uno dei più celebri compositori di musiche per balletto dell’epoca Adolphe-Charles Adam. Al Massimo la statica scenografia del bosco e della capanna rievoca la suggestione del luogo di magie della saga delle Willi, spiriti dei popoli slavi, parenti degli Elfi. Si ripete anche nelle saghe slave la leggenda di fanciulle morte infelici per amore, perché tradite o abbandonate. Così la prima parte della vicenda mima l’amore tradito e la morte di Giselle. A questo punto la protagonista tragicamente morta riappare assieme alle spettrali e vendicatrici Villi che ogni notte al crepuscolo attraggono i traditori d’amore e con l’ausilio di rametti magici di vischio costringono a ballare fino allo sfinimento e alla morte, oppure li gettano nel laghetto. E, sorpresa, l’amore di Giselle, - amor omnia vincit et nos cedamus amori di virgiliana memoria (Buc. X, 69). Il suo amore sfida la vendetta del tradimento e la furia delle Willi, tanto da salvare Albrecht, sorreggendolo nel ballo di un’intera notte. All’alba i fantasmi delle Willi possono svanire assieme allo spirito placato della fanciulla. Questa la vicenda di un amore impossibile tra il principe e la bella, di gelosie e di morte. La sfrenata bramosia di danza di queste fi- gure mitiche sta alla base dell’invenzione del balletto e ne è lo spunto narrativo che si sviluppa in sette temi principali: quattro sono a sfondo popolare, i mietitori, i cacciatori, le villi e Hilarion, tre specifici: il tema della danza e due leitmotiv d'amore. Il corpo di ballo proviene da specifiche esperienze di tipo “miniature coreografiche”, forma specialistica di Leonid Yacobson, suo fondatore nel 1969 (sono dedicate allo scultore August Rodin su musica di Debussy). Sul palcoscenico di Palermo qualcosa non ha funzionato, la vicenda è sfilata con molta mimica e scarsa perfomance di ballo che potesse suscitare entusiasmo. La Giselle di Alla Bacarova non ha completamente convinto, forse un po’ meglio è andata per Artem Pyhacov. Senza slancio e originalità le tre entrate del primo atto e la scena della caccia e del pas de deux, poco convinta e senza mordente la scena madre del Finale (Grand scène dramatique, La folie de Giselle), che dovrebbe scuotere gli spettatori per la sua drammaticità (già annotata nel libretto). Il secondo atto è tutto espresso nelle “apparizioni” e nelle “variazioni”, in un gioco di bravura e di preziosismi, in una gara spasmodica di esperienze di una intera vita da parte delle etoiles. Nessuna sorpresa o eccitazione nello scorrere dei passi, senza grandi entusiasmi. Non conta nulla scrivere sul tabellone dei nomi in russo per far rivivere l’eccezionale e unica tradizione che si fregia del nome di balletto classico russo. Non era un complesso da suscitare deliri, neppure entusiasmi. Puro 26 Opera GISELLE O LE ERINNI DI AMORE artigianato in sostituzione di un altro balletto, che per ironia è riprogrammato per la prossima stagione. Peccato per il Massimo, aperto con tanti sacrifici e grandiosi progetti. Eppure si trattava di una prima e di un balletto che questo corpo di ballo ha sempre presente nel suo programma. Con lo stesso balletto la compagnia si esibirà a novembre alla Fondazione Teatro Grande di Brescia, ma avrà ospite d’eccezione nel ruolo di Giselle Viktoria Tereshkina, straordinaria solista del Mariinsky. Scene e costumi nelle più dignitosa tradizione. Visita > Leggi > Commenta > Collabora > Scrivi VesprinoMagazine incontriamoci in rete www.lionspalermodeivespri.it 27 Racconto TARTARUGA DI TERRA di Aurora D’Amico E rano cinque anni che Noa si trovava in viaggio tra mare e terra. In quell’arco di tempo aveva visitato l’Asia occidentale, la Grecia e parecchie penisole nei dintorni. Non sapeva se fosse nella sua natura viaggiare senza una meta precisa, ma c’era qualcosa nel mare che la attirava con una dolce violenza. Le piaceva immaginare che questa fosse una caratteristica ereditata dai suoi antenati; ma a dire il vero non poteva esserne certa, poiché non aveva mai conosciuto la sua famiglia, né tanto meno il suo luogo d’origine. Ciò che le restava erano un tamburello e un ciondolo a forma di tartaruga, ormai rovinato dall’acqua salmastra. Pensò che quello fosse tutto il suo passato e che, dunque, sarebbe diventato il suo futuro: probabilmente avrebbe dovuto viaggiare da una costa all’altra proprio come le tartarughe marine fino a quando non avrebbe trovato il suo luogo di appartenenza e si sarebbe stabilita, diventando una tartaruga di terra. Non aveva idea di come questo sarebbe successo, né di quanto tempo ci avrebbe impiegato; ma si disse che non aveva nulla da perdere. Così, quando il desiderio del viaggio venne irrimediabilmente a coincidere con il bisogno di appartenenza, prese i suoi pochi averi e partì all’avventura, entrando in contatto con nuove lingue e culture. Noa era di una rara bellezza: non erano tanto i suoi capelli o i suoi occhi seducenti ad attirare l’attenzione delle persone che incontrava, quanto il suo sorriso rassicurante e il suo genuino interesse per le loro storie. Più veniva a conoscenza delle numerose leggende diffuse dai marinai, spesso riguardanti creature fantastiche e paesaggi immaginari, più ne restava incantata: credeva ad ognuna di esse e le metteva accuratamente per iscritto, affinché non le potesse più dimenticare. Quando veniva ospitata a bordo di una barca o di un peschereccio, Noa riusciva a intrattenere tutti con la sua dolce voce e il suo tamburello: nessuno era in grado di trattenersi dal battere mani e piedi al ritmo di quello strumento, sconosciuto da molti. Per il ciondolo che portava al collo, ottenne il soprannome di “Tartaruga di mare” e presto si sparse la voce: una giovane ragazza era in viaggio alla ricerca della sua terra d’origine e i marinai l’avrebbero aiutata a trovarlo. Mai nessuno pretese del denaro da lei per i trasporti da una costa all’altra; ma tutto ciò che le veniva chiesto era di suonare l’insolito tamburello e di mettere in rima le varie leggende raccontate, dando così vita a canzoni popolari che tutt’ora s’intonano in mare. Viaggiare era ormai diventato uno stile di vita e proprio quando pensò di essere stata ovunque, Noa sbarcò in una nuova isola, conosciuta per la sua forma triangolare. Gli abitanti del posto parlavano tante lingue e diversi dialetti, e amavano danzare al ritmo di rimbombanti tamburi. Alla vista di tutta quella frenesia, Noa si gettò nella mischia senza esitare, suonando canzoni di cui comprendeva a stento il significato. Molti abitanti la riconobbero dal ciondolo che portava al collo ed essendo diventata una leggenda vivente, insistettero a gran voce affinché prolungasse la sua visita: di giorno si lavorava e di sera venivano organizzate grandi feste per cantare e ballare insieme alla “Tartaruga di mare”, fino a quando i piedi e la testa lo avessero consentito. Quel soprannome, tuttavia, iniziò a starle stretto: Noa era ancora attratta dal mare, ma lo era ancora di più da ciò che accadeva sulla terra ferma. Non dovette trascorrere molto tempo quando, infatti, si sentì avvolgere da un senso di appartenenza, un sentimento che non aveva mai provato prima d’ora: era stata in Egitto, ma non aveva trovato la stessa accoglienza e in Grecia, invece, non era riuscita a mettere radici. Ma qui il calore, i ritmi e l’intenso odore del mare circostante l’avevano trasformata, e non divenne difficile da ammettere neppure a se stessa: era finalmente diventata una tartaruga di terra. 28 Opera GISELLE di Salvatore Aiello T heophile Gautier così si esprimeva nei suoi Ecrits sur la dance : “A partire dalla Silfide non furono più possibili spettacoli mitologici e fu lasciato spazio a gnomi, ondine, elfi, villi e a tutto quel popolo strano e misterioso che si presta così bene alle fantasie del balletto……. agli scenografi furono ordinate foreste romantiche, valli rischiarate da chiari di luna graziosi come nelle ballate di Heine”. Infatti, da una lettura di un’antica leggenda del poeta tedesco, nacque l’ispirazione di Giselle la cui tematica principale aderisce alla saga nordica delle Villi, spiriti di giovani donne uccise dal dolore alla vigilia delle nozze. Al Massimo di Palermo, Giselle è tornato in scena con il balletto Yacobson di San Pietroburgo e il corpo di ballo della Fondazione in collaborazione con l’ATER, in una versione rispettosa dell’originale il cui successo duraturo vive e si sostanzia di tre elementi particolari: musica, danza, azione. A rendere giustizia alla musica colta di Adam, sin dalla Introduzione, a capo dell’orchestra duttile e partecipe ci ha pensato Benjamin Pionnier disposto a ricreare quell’idea che animò Camille Saint-Saens : “Adam ha fatto delle vere arie di danza”, e impegnato a cogliere dello spartito piacevolezza, piglio fantastico, recuperi rurali nei colori del primo atto per poi definire e delineare il clima e il cielo di dolore che intesse la seconda parte. Commedia e tragedia sono i due piani del balletto che vivono di quell’allure romantico che è la tensione da parte degli umani di desiderare qualcosa di diverso. Bene assortita ed amalgamata la compagnia: degni di nota risultavano, nel primo atto, per adesione e slancio, Andrej Gudyma (Hans), mentre Simona Filippone (Bertha) delineava il ritratto di una madre tenera, preoccupata per la carente salute della figlia ma soprattutto presaga dell’amaro destino che l’avrebbe attesa. Alla Bocarova e Artem Pyhacov ci hanno particolarmente convinti per l’interpretazione, per la capacità di calarsi nella vicenda che se apparentemente ovvia li ha visti coinvolti in una danza contro la morte e dove nonostante tutto ad accamparsi era la forza dell’amore. Artem Pyhacov si imponeva con attenta gestualità, scioltezza e phisique du role rendendo plausibile il contrasto dell’amante infedele che troverà sincero pentimento e rimpianto per cui vedrà il suo riscatto alla luce del giorno. I due protagonisti inoltre, nella grande scena finale, si vestivano di grazia e di leggiadria; ormai appartenevano ad un mondo altro, vi alitava l’aspirazione all’incorporeo, al volo. Giselle morta d’amore, divenuta vila riusciva ancora a consumarsi per salvare l’amato, come Violetta, passava dalla gioia del vivere al precipizio del dolore e del disinganno raccontati con le Variazioni, tecnicamente agguerrite e perfette, per adesione al personaggio i cui tratti del viso ne incarnavano e disegnavano il male di vivere. Completavano il cast nel primo atto, con spigliata e vivace partecipazione Elena Cernova e Igor’ Leusin, impegnati in un attraente pas de deux; nel secondo, una vendicatrice e irrompente Anna Naumenko nel ruolo di Myrtha. Ben inserite nel contesto le ballerine del corpo di ballo del Teatro Massimo che si libravano da Villi, sembrando creature dell’aria che non rinunciavano ad esprimere l’irrequietezza dei loro spiriti e il disagio sentimentale fatto di gesti volatili, di respiri e di abbracci stralunati, dimidiate tra cielo e terra. A determinare il successo dello spettacolo la riproposta della coreografia originale di Coralli, di Perret e Petipa; le delicate, tradizionali scene, e gli eleganti costumi di Vjaceslav Okunev. 29 Lions Club PASSAGGIO DELLA CAMPANA AL LIONS CLUB PALERMO DEI VESPRI di Attilio Carioti S abato 22 giugno 2013 nella terrazza sul mare dello Splendid Hotel La Torre di Mondello, si è svolta la cerimonia del passaggio della campana tra il Presidente uscente Vincenzo Ajovalasit e il Presidente eletto , per l’anno sociale 2013-2014 , Giuseppe Sunseri . Erano presenti il Past Governatore Michele Capra Pantò, socio onorario del Club, il Past Governatore Amedeo Tullio, il Presidente del Centro Studi Giuseppe Ingrassia, il Responsabile Distrettuale G.L.T. Salvatore Plescia, il Presidente della Prima Circoscrizione, Natale Caronia, il Presidente della Zona 1in sede ,Pietro Manzella, Officers Distrettuali e Presidenti di club. Il Presidente uscente ha ricordato le numerose attività svolte nell’anno sociale, tra cui la sottoscrizione del protocollo d’intesa col Comune di Palermo per l’adozione di un’area del Parco Cassarà, il Poster per la pace, il Progetto Martina, i Caminetti culturali, il Calendario in gemellaggio tra l’ I. C. G. Falcone, il C. D. N. Garzilli- Trinacria , S.M.S. Vitt. Eman. Orlando e la scuola John Hanson French Heaghes ( U.S.A.) , Vesprino Magazine. Ha rivolto un caloroso ringraziamento ai soci che hanno dedicato le loro energie per l’ottima riuscita delle attività ed alle loro mogli e compagne che hanno collaborato con altrettanto impegno e dedizione. Giuseppe Sunseri ha poi delineato il programma del suo anno sociale che si ispirerà al tema dei diritti negati. La cerimonia si è conclusa col tradizionale omaggio di fiori alle mogli dei Presidenti Tradizionale scambio dei pin tra Vincenzo Ajovalasit, Presidente nell’a.s. 2012-2013 e Giuseppe Sunseri Presidente per l’a.s. 2013-2014 Gabriella Notarbartolo e Rita Ruffino 30 Lions Club PASSAGGIO DELLA CAMPANA AL LIONS CLUB PALERMO DEI VESPRI Da sinistra: M. Capra Pantò, V. Ajovalasit, G. Sunseri, N. Caronia, P.Manzella Da sinistra: V. Milazzo, A. Lo Cascio, R. Randazzo, G. Maggio, G. Notarbartolo, L. Pindaro, L. Pace, R. De Simone 31 Lions Club PASSAGGIO DELLA CAMPANA AL LIONS CLUB PALERMO DEI VESPRI Giuseppe Sunseri, alle spalle Attilio Carioti, Cerimoniere uscente I Soci del Club 32