Victory Cross Roads HB
PREGI
Estetica e stabilità
DIFETTI
Prezzo
PREZZO € 18.990
Prova touring
La yankee
alternativa
di Maurizio Tanca | Corposa, pesante ma molto piacevole da usare,
la touring basica del Gruppo Polaris convince per la sua guida
e per il magnifico carattere del suo corposo V2.
Naturalmente costa cara: 18.990 euro, franco importatore
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l celebre colosso statunitense Polaris Industry, fondato nel
1954 nel Minnesota e ormai da tempo una vera potenza mondiale nel campo dei veicoli tutto terreno (Atv, quad e via dicendo, per uso sia civile che militare, anche a trazione elettrica)
e delle motoslitte, a metà degli anni 90 iniziò a pensare anche alle
motociclette, con l’evidente obiettivo di andare a confrontarsi con
i signori di Milwaukee. Tant’è che nel 1997 nacque il marchio Victory - “The New American Motorcycle” - e nell’aprile dello stesso
anno lo stabilimento di Osceola (Winsconsin…) sfornò la neonata
V92C, che debuttò al famoso megaristorante Planet Hollywood di
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siglando con Mattighofen un accordo biennale, poi decaduto. Più
recente la sinergia instaurata a fine 2011 con la Brammo, l’ormai
famosa azienda dell’Oregon leader nel campo delle motociclette
elettriche. In Italia, le Victory vengono distribuite dalla Egimotors,
importatore Polaris con sede a Desio, alle porte di Milano, che ci
ha dunque fornito la Cross Roads HB della nostra prova. Si tratta
ancora di un modello senza ABS, che però è presente di serie su
tutta la gamma 2012. Il prezzo della “nostra” Cross Roads sarebbe dunque 17.636 euro, contro i 18.990 della HB di quest’anno,
che è disponibile in blu o in rosso. HB sta per Hard Bags (“borse
rigide”), ma su questo modello è di serie anche il parabrezza “lock
and ride” (a sgancio e riaggancio rapido) di misura intermedia, disponibile però anche più alto o più basso di 75 mm. Chi volesse
risparmiare un bel millone può invece ripiegare sulla Cross Roads
SB, che monta borse semirigide (peraltro molto eleganti) e non ha
il parabrezza.
Minneapolis. In sella c’era il leggendario Al Unser Jr, due volte vincitore alla 500 Miglia di Indianapolis: un testimonial d’eccezione
per quella che l’anno seguente – manco a dirlo – venne decretata
“best cruiser of the year” dal mensile Cycle World. Oggi la Victory
Motorcycles - che dal 2010 ha sede a Spirit Lake, nell’Iowa - è ormai una realtà consolidata, diffusa negli States, in Europa ed Australia/Nuova Zelanda tramite le tredici filiali di quel Gruppo Polaris che recentemente ha acquisito anche il leggendario marchio
Indian, e che nel 2005, lo ricordiamo, aveva iniziato a preparare
la scalata verso la KTM, acquisendone circa il 25% delle azioni e
La Cross Roads sotto esame
Logicamente comparabile con la recente Harley-Davidson
Switchback (anch’essa dotata di parabrezza e borse a sgancio
rapido e di ruote in lega, con anteriore da 18” ma posteriore da
17” contro i 16” della Victory), l’imponente touring cruiser Made
in Iowa attira molto l’attenzione, anche da parte di molti che di
moto non sanno nulla. Così almeno abbiamo constatato andandoci in giro, e ascoltando i classici commenti – compresi parecchi complimenti - di molti passanti che se la mangiavano con gli
occhi con pignola curiosità, una volta parcheggiata, salvo poi
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pietrificare l’espressione una volta saputa la risposta alla fatidica
domanda: “ma quanto costa?” La Cross Roads sfoggia uno stile
piacevolmente moderno, e alcune soluzioni tecniche inconsuete
per moto del genere, quali la robusta forcella a steli rovesciati e la
struttura in alluminio pressofuso del telaio, che sporge anteriormente da sotto il serbatoio - idealmente completata dal lungo faro
stile nacelle – e si completa verso il basso a contornare il radiatore
dell’olio. Tutto è assemblato con precisione, e sono molto belli anche il motore ed i particolari che lo circondano. Come i caratteristici scudi cromati e “butterati” incastonati nella V tra i cilindri: il
sinistro ospita la chiave di accensione, mentre il destro riporta la
cilindrata in pollici cubi. Ma anche l’impianto di scarico secondo
noi è molto bello, con terminali lunghi e abbastanza rialzati, al pari
delle pedane, per poter guidare con maggior soddisfazione tra le
curve senza farli fuori sull’asfalto. Al centro del serbatoio a goccia
da 22 litri non figura alcun cockpit cromato, ma semplicemente
il tappo di rifornimento in lega leggera, non sporgente. Sopra la
piastra di sterzo, satinata come i lunghi raiser ricurvi dell’ampio
manubrione che si protende verso il pilota, campeggia invece il
tachimetro analogico/digitale, tutto cromato e con base bianca.
Oltre ad indicare la velocità (in km o miglia), lo strumento ospita
una serie di spie luminose che segnalano l’inserimento del cruise
control (impostabile sulla destra del manubrio), pressione dell’olio, folle, abbaglianti, indicatori direzionali (a rientro automatico),
spia della riserva e check dell’iniezione. E poi c’è il display Lcd, che
informa sul livello del carburante, a barrette, sulla marcia inserita,
sull’ora e, ovviamente, sui chilometraggi totale e parziali. Utilizzando quello che normalmente sarebbe il pulsante del lampeggio (quindi usando l’indice sinistro), è però possibile commutare
alcune funzioni, sostituendo per esempio i contachilometri con
il contagiri cifrato. Astuta la collocazione della serratura dell’antifurto sul bordo posteriore della piastra di sterzo, comoda da
raggiungere stando seduti in sella. Molto ben stilizzate ed aerodinamiche le motovaligie, che posteriormente vanno a raccordarsi
all’elegantissimo supporto delle frecce, simile a quello collocato
sotto al faro anteriore, ma con al centro il lungo fanalino a led. Le
due borse sono discretamente capienti (niente caschi, però) e anche facilmente smontabili, una volta sollevati i coperchi, grazie ai
nottolini interni a sgancio rapido tipo racing. Va sottolineato che
le motovaligie non hanno maniglie che le rendano comodamente
trasportabili, e che comunque lo stile elegante della moto soffre
davvero molto della loro assenza…
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“
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Con l’andare dei chilometri ci si
affeziona sempre più a questa
Victory, che da guidare è proprio
gustosa
“
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Il motore Freedom V-Twin
Nei due cilindroni del motore Victory Freedom V-Twin di 50° corrono due pistoni da 101, mentre la corsa è di 108 mm, il che genera
una cilindrata di 1.731 cc, equivalenti appunto a 106 pollici cubi.
Stiamo parlando di un propulsore raffreddato ad aria ed olio, con
distribuzione monoalbero in testa azionata da catena, e 4 valvole
per cilindro a regolazione idraulica. Compresso 9,4:1, il bicilindrico
yankee eroga 92 cv (67,6 kW) con una coppia di circa 13,5 kgm
(132,3 Nm). Dati in effetti non dichiarati ufficialmente, (ma che
compaiono sul libretto di circolazione), al pari dei rispettivi regimi di rotazione, che comunque sono molto bassi, come del resto
è la norma su motori del genere. Per la cronaca, il limitatore qui
stacca a 5.450 giri indicati. L’alimentazione è chiaramente affidata
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ad un sistema di iniezione elettronica, con corpi farfallati da
45 mm. La trasmissione, che
si avvale di un compensatore
di coppia abbinato alla primaria
ad ingranaggi e di una frizione
multidisco azionata meccanicamente, verte su un cambio a
sei marce – con la sesta overdrive – e sulla classicissima trasmissione finale gestita da una
grossa cinghia dentata.
La ciclistica “fuori dal coro”
Ma il principale elemento distintivo delle Victory è senz’altro la succitata struttura portante in alluminio pressofuso:
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una vera spina dorsale (e come tale sagomata, come si può vedere
dall’interessante filmato ufficiale del 2009 che parte appunto dal
cannotto di sterzo per terminare praticamente all’estremità del
parafango posteriore. Sulla Cross Roads, il cannotto di sterzo è
inclinato di 29° con avancorsa di 142 mm, mentre l’interasse è di
1.670 mm. Il piano di seduta della sella, dal canto suo, è a 68 cm
da terra, mentre sotto al motore c’è una “luce” disponibile di 148
mm. Decisamente impegnativo il peso a secco, dichiarato in 338
chili: “quasi 33 chili meno dell’Harley Road King” dichiara nel video
il progettista, James Hollroyd, “e con una capacità di carico superiore di 13 chili e mezzo”. Quanto alle sospensioni, altra scelta
piuttosto inconsueta per moto di questo segmento è la forcella
a steli rovesciati da 43 mm - non regolabile e con escursione di
130 – mentre il forcellone posteriore, pure pressofuso in alluminio, tramite un leveraggio di progressione aziona un ammortizzatore verticale ad aria, regolabile tramite una valvola facilmente
raggiungibile smontando il fianchetto destro. L’escursione della
ruota motrice è di 120 mm. Le ruote in lega, da 3,00x18” davanti
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e 5,00x16” dietro, montano pneumatici Dunlop E3 da 130/70 e
180/60. L’impianto frenante, per finire, verte su tre dischi semiflottanti da 300 mm, con pinze a 4 pistoncini davanti e a 2 dietro.
In sella a donna Vittoria
La sinuosa Cross Roads è senz’altro comoda, sia per il pilota che
per chi siede dietro. Anche quest’ultimo (o ultima che sia) gode di
un sedile generoso e pedane estraibili ben messe, ma senz’altro
gradirà un bel baulotto, o quantomeno un sissy-bar per poggiare
la schiena, anche perché è abbastanza innaturale aggrapparsi con
una mano, a mo’ di rodeo, alla buffa maniglia estraibile in cuoio
celata in una fessura al centro della sua sella... Insomma, in sella
si sta bene, e chi guida poggia i piedi su pedane molto ampie e leggermente inclinate per favorire l’uso dei comandi sistemati all’altezza del cilindro anteriore, col pedale del cambio a leva singola,
non a bilanciere. Peccato però che il pedale del freno sia molto
sensibile, e chi (come me) è abituato a usarlo spesso, e quindi a
tenerci la punta del piede sempre poggiata sopra - in particolare
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in città - si troverà spesso a frenare spesso senza volerlo: insomma, per viaggiare comodi,
il piede destro va tenuto sulla
pedana, ma questo vien facile
solo durante i viaggi in autostrada. Credo sia superfluo sottolineare che spostare a spinta
un pachiderma del genere, a
maggior ragione per chi non sia
propriamente un palestrato,
non è la cosa più agevole del
mondo, specie nelle manovre
in retromarcia. Come non può
essere rapidissima la classica
inversione ad U, soprattutto
per la lunghezza del manubrio
che costringe a tendere completamente il braccio esterno
e reclinare il busto in avanti.
Bisogna prenderci la mano,
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insomma, ma queste non son certo novità per chi conosce e utilizza abitualmente motone del genere. Detto ciò, una volta tirata la
leva della frizione (morbida e abbastanza modulabile), inserita la
prima (operazione inesorabilmente rumorosa) e rilasciata nuovamente la leva, si scopre abbastanza presto che muovendosi con la
Cross Roads - come con molte altre muccone del genere - la vita
tutto sommato è tutt’altro che spiacevole, perfino in città. Calore
del motore a parte, naturalmente, man mano che il clima inizia a
diventare meno rigido. Con l’andare dei chilometri ci si affeziona
sempre più a questa Victory (perlomeno così è stato per me), che
da guidare è proprio gustosa: a patto, però, di poter guardare al di
sopra del parabrezza, altrimenti quando piove la visuale diventa
scarsa, specie la sera. Questa moto è proprio un’ottima passista,
sempre molto stabile e divertente anche sulle belle strade ricche
di curve, come per esempio quella della Val D’Arda, (da noi usata
come set fotografico) che porta da Castell’Arquato a Vernasca,
tra il piacentino ed il parmense, che fu teatro di una celebre gara in
salita dal dopoguerra ai primi anni 70, mentre attualmente ospita
manifestazioni di regolarità per auto d’epoca. Anche su percorsi
del genere, dunque, ci si può godere la matronale Victory piegando anche più di quanto si possa pensare, e senza nemmeno
bisogno di strisciare per forza a terra per tenere un’andatura soddisfacente. Si sente che sotto c’è un telaio bello solido, perché la
moto si lascia condurre facilmente tra una curva e l’altra, l’avantreno segue la strada preciso come un vomere, e le sospensioni
funzionano a dovere, assorbendo a dovere sconnesso e pavè
senza mai sembrare flaccide piuttosto che rimbalzare o rumoreggiare fastidiosamente. La mancanza dell’Abs però si fa sentire, in
particolare dietro, dove l’azione del freno è progressiva ma in condizioni d’emergenza arriva troppo presto a bloccare la ruota, e sul
bagnato certamente non è bello; mentre davanti i due dischi ne
hanno a sufficienza per far fronte alle esigenze di una moto così, e
si lasciano gestire molto meglio. Le Dunlop E3 di primo equipaggiamento mi sono sembrate affidabili, con un profilo omogeneo e
piacevolmente agile; e sono sufficientemente a loro agio anche sul
bagnato, pur non essendo proprio amicissime delle strisce bianche e dei passaggi pedonali, che comunque sia vanno affrontati
sempre con la massima diffidenza. Anche perché il motorone che
c’è sotto al serbatoio è bello tonico, e non è che manchi di coppia
fin dai regimi più bassi, anzi: l’accelerazione è notevole e la ripresa
è sempre pronta, tant’è che già da 1.500 giri si può dare gas anche in sesta per sentirlo spingere subito forte, e immagino che se
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l’aerodinamica (vedi parabrezza) lo aiutasse un po’ di più si
potrebbero anche superare
i 180 orari effettivi (circa 190
indicati, col contagiri a 4.350,
mentre i 50 indicati sono 48,5
effettivi, e i 90 sono 87). Ma
va più che bene anche così,
per ovvii motivi legali ma anche perché il fatto di consumare poco oggi come oggi è
un pregio molto ben accetto:
e con questa Victory, con la
quale abbiamo percorso in
totale circa 1.700 chilometri,
meno della metà dei quali in
autostrada, abbiamo rilevato
consumi compresi tra i 17,5 ed
i 20 km/litro. Non male, per
una pesante millesette, che oltretutto, viaggiando a velocità
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Provare per credere
Provare per credere io ho
una victory hammer s da due
anni e moto ne ho avute di tutti
tipi visto che sono verso i 60 ma
vi assicuro che e’ una libidine sia
nel vederla che nell’usarla.
wally11 - 30/05/2012
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1 Tachimetro analogico/digitale,
tutto cromato e con base bianca.
2 Sono molto belli i caratteristici
scudi cromati e “butterati” incastonati
nella V tra i cilindri.
3 Terminali lunghi e abbastanza
rialzati, al pari delle pedane.
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SCHEDA TECNICA
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autostradali codice, cioè sui 3.000 giri, non affligge certo con
vibrazioni intollerabili, salvo poi aumentare progressivamente
andando su di giri, per trasformarsi in una sorta di benefico massaggio per le caviglie salendo verso i 5.000. Il “nostro” motore in
effetti era dotato di scarichi di serie, ma solo da vedere, tant’è che
sfoggiava un bel vocione baritonale che enfatizzava anche la corposissima spinta ai bassi, scoppiettando poi folcloristicamente
in rilascio. Il cambio, sempre rumoroso inserendo la prima, poi si
salva invece abbastanza bene, e se in mezzo al traffico può essere
abbastanza ruvido, nella guida scorrevole cambia carattere per
diventare sufficientemente scorrevole (e silenzioso) a sua volta,
ancor di più scalando le marce.
Cross Roads
Tempi: 4
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Cilindri: 2
Cilindrata: 1731 cc
Disposizione cilindri: a V di 50°
Raffreddamento: ad aria/olio
Avviamento: E
Marce: 6
Freni: D-D
Misure freni: 300-300 mm
Misure cerchi (ant./post.): 18’’ / 16’’
Normativa antinquinamento: Euro 3
Peso: 388 kg
Lunghezza: 2652 mm
Altezza: 667 mm
Capacità serbatoio: 22 l
Segmento: Custom
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Responsabile editoriale
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Capo Redattore
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Redazione
Maurizio Tanca
Cristina Bacchetti
Marco Berti
Francesco Paolillo
Aimone dal Pozzo
Grafica
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Collaboratori
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Giovanni Zamagni
Carlo Baldi
Massimo Zanzani
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Reg. trib. Mi Num. 680 del 26/11/2003
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