VOLABO Centro Servizi per il Volontariato della provincia di Bologna LA VOCE DEL VOLONTARIATO Chi rappresenta il volontariato nei sistemi di governance attuali? Bologna, 12 aprile 2011 Trascrizione dell’audio e editing della conferenza Franca Olivetti Manoukian, Studio APS Analisi Psico Sociologica (Milano) “Partecipazione, rappresentanza e rappresentazione dei bisogni sociali” Mi sono accostata al mondo del Volontariato attraverso il mondo dei servizi sociali, socio-sanitari, socio-assistenziali, socio-educativi di cui mi occupo, facendo consulenza e formazione, da più di trent’anni. E mi sono imbattuta nel mondo del Volontariato almeno per due ragioni, perché il mondo del Volontariato ha grande contiguità coi servizi, ha grande contiguità, perché, inevitabilmente, secondo me, chi lavora in campo sociale lo fa con motivazioni che si radicano in interessi e iniziative di intervento sul disagio che sono molto vicine alle motivazioni e agli interessi che hanno le persone che si occupano di Volontariato. E dall’altra parte ci si imbatte nel Volontariato, nei servizi sociali, soprattutto negli ultimi anni, c’è una contiguità operativa continua – se penso a tutte le comunità per minori, per adolescenti, per tossicodipendenti, i vari servizi, etc. - sono animati in gran parte anche da persone che vengono dal Volontariato. Detto questo anche un po’ per dirvi chi sono e quello che faccio. Sono stata incuriosita dal titolo di questo convegno “La voce del Volontariato”. A cosa corrisponde la “voce del Volontariato”? E mi è venuto in mente il riferimento a un libro di Albert Hirshman che penso molti abbiano accostato perché ha avuto grande successo. Hirshman ha inventato questa cosa abbastanza interessante: descrive che quando si vivono delle condizioni sociali difficili la gente tende ad avere due reazioni opposte. I soggetti, i singoli gruppi, tendono a porsi in una situazione o come uscita – quella che in inglese si chiama exit – che vuol dire andarsene altrove, quando le cose diventano troppo complicate, ci spostiamo in un altro luogo, andiamo in un altro mondo, entriamo in un’altra cultura, etc. L’altra reazione è quella della voice – voce. Cosa vuol dire? All’opposto dell’uscire, vuol dire invece farsi avanti, reclamare, richiamare per ottenere un ripristino delle condizioni di vita che si sono deteriorate. Allora mi sono domandata rispetto a questo exit (uscire) o voice (prendere in mano le cose), un primo ruolo del Volontariato probabilmente può costituire tutte e due le cose perché può essere un prendere distanza da un mondo lavorativo spiacevole, da un mondo familiare in cui non ci si riconosce, da un mondo, in generale, che è vissuto come alienante e disumano. Impegnandomi nel Volontariato io trovo la nicchia in cui mi riconosco e quindi “esco” dalla melma e entro in un’altra cosa. Oppure, dall’altra parte, invece, come penso che accada più frequentemente, l’impegno nel Volontariato è una via per intraprendere dei progetti di intervento e quindi per “dare voce”. Ho incontrato anche delle Associazioni che si chiamano “Dare 1 voce”, sono Associazioni di Volontariato. Quindi vuole dire “dare voce” a chi non ha voce, a chi non è ascoltato, a chi non è visto. Ma forse anche all’interno di queste Associazioni che vogliono dare voce può introdursi la forza tra l’exit e quindi il rinchiudersi fra noi, oppure voice, cercare di dare voce a quello a cui è importante dare voce. E ulteriore riflessione: la voce in che cosa consiste? Non è forse un emettere suoni? Allora, emettere suoni mi fa venire in mente l’indignazione di cui oggi si parla tanto, esprimere in modo forte la disapprovazione, segnalare, richiamare con forza qualcosa che è inaccettabile, ma è ancora qualcosa di indistinto, rispetto, ad esempio, alla “parola”. Forse “dare voce” e “prendere parola” non sono la stessa cosa. Forse dare voce è un primo passo, far sentire la voce, ma “prendere parola” significa qualcosa di più, significa tradurre la disapprovazione in un movimento positivo, mettere in moto pensieri. Parola viene da ΒΑΛΛΕΙΝ che in greco vuol dire gettare, parola è anche proporre, proporsi, individuare delle idee e comunicarle, per agire e interagire con altri. Significa inserirsi in un Parlamento, in un contesto sociale in cui tanti altri parlano. E allora, appunto, gli interrogativi, così, iniziali che trovo sono un po’ questi. Che forse il Volontariato si trova entro queste pluralità, ad essere interessato a “dar voce”, e quindi a far sentire che esiste, o al “prendere parola”, quindi muoversi in modo più attivo, più mirato, con proposte più vicine. Allora, è a partire da questo che vorrei portare qualche altra riflessione su quello che vuol dire, per quello che posso capire io, partecipazione, rappresentanza, rappresentazione. Faccio un piccolo inciso, perché secondo me, quando oggi ci troviamo a parlare di queste questioni, mi sembra sempre importante richiamare il contesto entro cui ci confrontiamo e scambiamo. Lo diceva prima, forse nell’introduzione, Pier Luigi Stefani e lo riprendo anch’io: viviamo in un’epoca di enormi trasformazioni e sommovimenti catastrofici. Questo viene scritto nei libri, negli articoli, nelle proposte e in un sacco di riviste ma mi sembra ben poco assunto e considerato nella nostra vita quotidiana. I disagi che si incontrano nella vita quotidiana vengono poco letti alla luce di queste trasformazioni più generali che, secondo me, invece, incidono pesantemente nei contenuti e nei modi con cui il disagio si manifesta. Perché? Perché i cambiamenti essenzialmente sono costituiti da uno scossone molto forte che è stato dato ad un ordine sociale che durava da secoli, che era costrittivo, non quadrava, determinava, orientava e proteggeva la vita dei singoli. E quindi chi, diciamo, viveva, nasceva in una città, in un paese, in una famiglia, in un ambito sociale ci restava più o meno per tutta la vita e la sua vita seguiva un iter ben scandito da scelte naturali: nascere uomini o donne, nascere contadini o operai o imprenditori determinava i modi di 2 sposarsi, di fare figli, di abitare, di lavorare, di vestirsi, etc. e questo assetto sociale è durato per secoli. Sicuramente, diciamo, con delle trasformazioni ma ha avuto molte continuità e ad un certo punto è stato scosso e la prima reazione è stata quella di una liberazione. Di essere liberi: in un certo senso sono stati risolti anche un sacco di problemi che riguardavano la fatica, che riguardavano le difficoltà di farsi avanti, di realizzare se stessi. Se ha risolto certo ha anche dissolto molti legami sociali. E probabilmente la tecnologia ha avuto un ruolo determinante in questi cambiamenti, ed è uscita dal controllo. Ci si è trovati a fronte di fenomeni che non si riescono più non solo a governare ma neanche a capire e quindi viviamo in condizioni di grande frammentazione. Questo per me è un dato che viene continuamente sottovalutato, c’è chi lo chiama individualismo, la “società individualizzata” di Bauman, c’è chi lo chiama “Morte del prossimo” come il libretto di… C’è chi dice che questa libertà che abbiamo raggiunto è del tutto immaginaria, il libro di Mauro Magatti, “La fatica di essere se stessi” di Alain Ehrenberg, “La società del rischio”. Potrei andare avanti e fare un elenco di titoli e titoli in cui studiosi e ricercatori sottolineano tutti questi aspetti. Soprattutto mi interessa perché è quello che incontriamo nella quotidianità questa grande, grande insistenza sulla ricerca di sicurezza anche nei confronti degli stranieri, dei diversi. Quello che muove la gente è questa attesa, grande, di essere sicuri. Che è un segnale di che cosa? Del fatto che esistono grandi paure, angosce diffuse, incertezze nel futuro, senso di perdita possibile, etc. Allora la riflessione su cui voglio richiamare la vostra attenzione è che il disagio sociale che sembra dilatarsi a dismisura non sappiamo se si dilati veramente. Nel sociale tutto quello che si crede vero è vero nelle sue conseguenze, quindi sembra che il disagio sociale si dilati a dismisura, noi vediamo qui i dati della nostra esperienza – Teresa Marzocchi l’ha richiamato anche stamattina. Ecco il disagio sociale è inevitabilmente collegato a questi fenomeni, la frammentazione porta con se isolamento, perdita di contatti, squilibri, diseguaglianze, soprattutto rottura di legami sociali che costituiscono un unico reale antidoto alle nostre insicurezze e che ci consentono di far fronte alle piccole e grandi temporaneamente sventure ospiti di che volteggiano questa terra. i Che nostri destini di piccoli cose centra tutto uomini questo col Volontariato? Secondo me, il Volontariato in una società è espressione dell’esistenza di forze vive che possono mobilitarsi, mobilitare interessi e motivazioni in senso altruistico, motivazioni a riconoscere che i problemi degli altri sono anche i nostri problemi, che esistono sofferenze, difficoltà, affanni, che è possibile condividere, che è possibile essere solidali, andare al di là della propria sfera privata. In una società in 3 cui si sfalda il tessuto connettivo, in cui si esaspera l’affermazione delle posizioni degli interessi singolari, in cui si legittimano violazioni dei diritti soggettivi più basilari, si legittima il possesso di privilegi per alcuni e si legittima il maltrattamento di altri – dico cose che leggete tutti i giorni sui giornali – la presenza di singoli o gruppi che affermano il rispetto dell’altro anche se è handicappato, malato, debole, la presenza di alcuni che sono disposti a dare e non sono soltanto protesi ad accaparrarsi e a difendere quello che hanno, è evidente che è una risorsa viva, importante, una risorsa di cui tener conto e da valorizzare. Ma. Ma queste motivazioni di cui sto parlando, queste motivazioni altruistiche e positive non son sempre così chiare, immediate, cristalline. Perché Edgarda degli Esposti e Teresa Marzocchi hanno, con tanta passione, chiamato a raccolta le forze del Volontariato? Perché hanno detto dobbiamo coinvolgere i giovani, voi stessi dovete aiutarci in questo movimento per accomunare le forze, perché? Perché le motivazioni, anche se sono dichiarate, possono non essere reali, anche in buona fede. I singoli, come i gruppi, come le Associazioni, sono attraversati da tante scissioni, cioè si dice una cosa e se ne fa un’altra. Questa è una scissione che è all’ordine del giorno nei comportamenti di tutti noi. E, d’altra parte, ci sono anche tante inconsapevolezze, non ci si rende neanche conto che si fa esattamente il contrario di quello che si vorrebbe realizzare. Per fare il bene di qualcuno si rischia di fare quello che vogliamo noi molto più che quello di cui l’altro ha effettivamente necessità, o che, semplicemente, l’altro chiede o a cui l’altro tiene. Allora ci sono delle ombre che riguardano le motivazioni e, vedete, è perché secondo me, nelle Organizzazioni, nelle Associazioni di Volontariato le soggettività contano. Non conta solo l’Organizzazione, l’Associazione. Le dimensioni soggettive concorrono a costruire un tipo di Associazione o un’altra e quindi dobbiamo metter anche una lente di ingrandimento sulle motivazioni soggettive. E le motivazioni con cui si è interessati ad occuparsi degli altri, ad occuparsi di tossicodipendenti, di handicappati, di bambini non curati dai loro genitori, di malati in ospedale possono essere motivazioni che vanno nel senso di cercare una conferma ad una immagine di sé come persone buone, generose, disponibili, capaci di stare vicino agli altri e forse anche persone che possono aiutare perché hanno qualcosa di più degli altri, perché sono “superiori”. Allora queste sono delle ombre nelle motivazioni, no? Un altro tipo di ombre sono nei passaggi tra motivazioni e azioni. Perché quando si tratta di realizzare un’attività, coi malati terminali oppure istituire una casa famiglia per i bambini, si è disposti a impegnarsi solo se si può attuare la propria idea, le proprie scelte, le modalità operative in cui si crede. Dico questo perché queste condizioni si incontrano nella 4 realtà ma anche perché sono condizioni che sono in agguato, cioè ritornano in alcuni momenti, in alcune circostanze. Lo sanno bene quelli che hanno dei ruoli di gestione nelle Associazioni di Volontariato che si trovano a coordinare dei gruppi, ad accogliere anche persone che vogliono interessarsi e incontrano queste difficoltà. In queste condizioni allora il Volontariato come si colloca? Perché è molto facile che si allinei alla cultura dominante, a quella cultura cioè che - come diceva prima Teresa Marzocchi tende ad alimentare e a negare tanti malesseri e sofferenze. Perché il Volontariato va in questa direzione? Perché, a sua volta, sottolinea, enfatizza disparità tra chi può e chi non può e tende a dividere e frammentare ulteriormente. Ho trovato, in un posto, un fenomeno forse un po’ esagerato ma emblematico: tanti, sette o otto persone, ragazzini handicappati, e per ogni ragazzo handicappato l’Associazione di famiglie che sta intorno a questa famiglia che ha la persona handicappata. Per cui poi bisogna richiedere il pullmino per il trasporto, addirittura un gruppo ha chiesto che fosse costruita una piscina apposta per... E quindi attraverso queste modalità per cui tante idee su come, non so, utilizzare un’area dismessa, fare una nuova iniziativa in un Quartiere oppure ci sono gli schiamazzi notturni, facciamo un’Associazione contro gli schiamazzi notturni. Tutti questi movimenti associativi rischiano, appunto, di moltiplicare il numero di Associazioni, come è la tendenza che vi è stata ricordata, che sono Associazioni che hanno un numero di aderenti sempre più piccolo. Allora a questo punto la domanda che possiamo porci è “Ma allora questo Volontariato come partecipa alla costruzione di legami sociali? Come partecipa ad un rinnovarsi della vita collettiva, nel senso di ricostruire delle condizioni di maggiore interazione, quindi di maggiore sicurezza reciproca?” Attraverso questo moltiplicarsi di Associazioni come se si presentificassero delle parti, dei gruppi sociali che hanno interessi poco visti, mal visti, poco considerati, poco riconosciuti e che quindi si fanno avanti, fanno la propria parte, distinguendosi e distaccandosi, e quindi chiedendo risorse che poi, inevitabilmente, vengono messe in concorrenza o in competizione con quelle che chiedono altri che hanno altri interessi in parallelo. Quindi se noi dobbiamo dire come si partecipa alla governance con questa modalità: si prende parte occupandosi della propria parte, punto. In Lombardia era stata fatta una ricerca sulla partecipazione delle Associazioni di Volontariato ai tavoli dei Piani di Zona. Le Associazioni di Volontariato, tranne quelle grosse e potenti, tendono a non partecipare. Alcuni dicevano: perché non sono state invitate. Ma non si sono neanche interessate di farsi invitare. E quindi si vede una certa presa di distanza, ovvero si ipotizza implicitamente che sia meglio tenersi fuori da questi tavoli visti un po’ come giochi di potere. Quindi 5 ci si gioca una sorta di responsabilità sociale nel fare la propria parte e, per il resto, se la vedono quelli che si sono candidati a governare e che non sono tanto disposti a coinvolgere e a condividere. Ecco, io credo che per questa strada partecipativa il Volontariato rischi di rimanere sulla soglia dei processi di partecipazione. E questo credo sia una perdita di risorse e di opportunità per tutti. Perché? Perché a fronte di problemi molto complicati che sono quelli della nostra quotidianità, non sono i problemi del mondo - giustamente prima il Professor Moro parlava di problemi dell’Ambiente ma noi abbiamo dei problemi che riguardano i Quartieri dove abitiamo, i condomini, le famiglie, i ragazzini che vanno a scuola, gli anziani da assistere - ecco, rispetto a questi problemi che sono molto complicati abbiamo l’esigenza di convocare tanti interlocutori. Non solo, non tanto per raccogliere pareri sul che farsi quanto per cercare convergenze rispetto a delle decisioni che vanno prese e che vengono prese anche se non le vogliamo. L’altra ragione, per cui è importante non togliere le risorse al Volontariato, è che attraverso l’accostare situazioni problematiche - o comunque situazioni in cui praticamente si giocano delle scelte, delle priorità, delle allocazioni di risorse, delle strategie per riprendere degli assetti territoriali, etc. - attraverso l’accostare queste situazioni si acquisiscono conoscenze, si diffondono comprensioni di aspetti complessi dei problemi. Le persone in genere hanno delle idee molto semplificate. “Eh, ma cosa c’è?” Ci sono questioni che sono molto complicate. Allora, attraverso la partecipazione che il Volontariato può sollecitare e agire, si aiutano le persone a diventare più capaci di capire il mondo circostante in cui vivono. L’ultimo appunto. Ho parlato un po’ del Volontariato e di come il Volontariato può partecipare, può fare la propria parte o cercare di prendere parte al riassetto delle condizioni di vita quotidiane. L’altro elemento su cui poi vado a concludere è che, secondo me, c’è questo collegamento che si può fare tra partecipazione e rappresentanza o rappresentanza e rappresentazione. Io ho inserito quest’altra parola - il Professor Moro ha spiegato molto bene e, secondo me, in maniera molto puntuale, articolata, precisa, convincente il fatto che non è tanto interessante proporsi all’interno delle Associazioni di Volontariato di introdurre dei meccanismi di rappresentanza simili a quelli che possono esserci in altri organismi, formazioni sociali come i partiti, etc. E infatti, io sono convinta di questo perché finché gli esponenti del Volontariato diventano rappresentanti o persone che agiscono in nome o per conto, oppure se attraverso questi esponenti che sono nelle Commissioni paritetiche, nei tavoli dei Piani di Zona, nelle varie Commissioni, nei vari tavoli progettuali, pubblici o privati, se attraverso questi esponenti il Volontariato si sente rappresentato siamo in una 6 situazione molto statica. E secondo me questo modo si traduce in interazioni con gli altri interlocutori che sono molto piatte, anzi direi quasi di più, perché in quelle situazioni i problemi sono sempre, quasi sempre, già “impacchettati” si tratta, quasi sempre e soltanto, di allocare le risorse secondo dei criteri che sono anche quelli predefiniti, sono un po’ tutti copioni già scritti. E allora lì si trova ascolto e legittimazione solo in termini “muscolari”, attraverso i numeri che si rappresentano, per cui le Associazioni grandi, potenti hanno un posto e sono ascoltate in certi tavoli, le piccole Associazioni - che magari sono portatrici di elementi molto interessanti - non vengono neanche convocate. Fra l’altro, pensate, un indizio del come contano ancora i numeri, del come conta ancora questa parte “muscolare” è che - nei dati che mi avete trasmesso su quella ricerca fatta con i questionari alle Associazioni di Volontariato in Regione Emilia-Romagna - salta fuori che solo il 25% delle persone iscritte realmente è attiva nel Volontariato, quindi vuol dire che il 75% degli iscritti sono tessere: è una bella massa! Ma è una massa che ti domandi in nome di che cosa? Ecco, allora, attraverso queste modalità credo che si facciano, appunto, prevalere o si facciano valere degli interessi più in termini di potere e che in questo modo si contribuisca poco ad affrontare la complessità, attraverso quel contributo vitale e innovativo che le motivazioni che animano il Volontariato potrebbero sostenere. Allora un altro modo di essere rappresentati, io uso ancora questa parola - forse giustamente il Professor Moro diceva “Meglio usare un’altra parola” - io uso questa parola che anziché essere rappresentanti si può essere in qualche modo rappresentatori, cioè non tanto rappresentanti di interessi, ma rappresentatori di problemi, di problemi che sono rilevanti. Cioè si tratta di rendere presenti i problemi con cui gli organismi, il Volontariato, i soggetti del Volontariato entrano in contatto. E ci entrano in contatto in maniera molto interessante perché è ravvicinata e anche perché, come si diceva anche stamattina, forse, non vedono solo i problemi ma anche le risorse esistenti e potenziali per incontrare questi problemi, per affrontarli e per gestirli. Molto spesso le rappresentazioni dei problemi, anche ai tavoli istituzionali, sono sfuocate, sono distorte, sono compresse oppure sono esagerate. E tutto questo, rende i problemi sempre meno afferrabili e governabili. Mi sembra che l’apporto che può dare il Volontariato, inserendosi in qualche modo negli organismi di governance, possa essere quello di considerare i problemi in modo più aperto, più diretto e di individuare contestualmente le risorse. Teresa Marzocchi, in un certo senso, ha espresso un interesse e delle attese di dialogare in questo senso anche con i soggetti del Volontariato. Speriamo. Però, secondo me, dipende dagli interlocutori istituzionali ma 7 anche da come chi lavora nel Volontariato si muove e “prende parola” in questa direzione. Allora concludo, dicendo che in generale, secondo me, siamo in una fase di passaggio anche in questo campo come in tanti altri. Io non sono tanto d’accordo con chi disegna scenari assolutamente apocalittici. Credo che siamo in una fase di passaggio per la quale non siamo preparati, che non abbiamo anticipato e che rischiamo di percorrere male perché utilizziamo modalità che sono di un altro mondo, che sono superate. Però credo che sia possibile affrontare questo passaggio - che sicuramente è difficile, preoccupante, è incerto, è probabilmente rischioso - se stiamo nel passaggio che già è difficile e se, anche in occasioni come queste, possiamo chiederci se vogliamo allinearci o se possiamo contribuire con la conoscenza e con l’azione a costruire il mondo in cui viviamo. Grazie. Pier Luigi Stefani Quando mi son permesso di dire ascolteremo due lezioni, le abbiamo ascoltate e in questo abbiamo ottenuto il secondo obiettivo di questa giornata. Questo aiuto proprio al Volontariato a discernere, ad assumere una responsabilità, una capacità di agire - ma non solo di agire – anche di conoscere, di pensare, di riflettere e quindi di inserirsi in questa situazione di cambiamento e di disagio, per essere non solo protagonista ma essere interprete e quindi veramente “dare voce” e agire nel sostenere, in quell’azione in cui ci hanno invitato i nostri relatori. Devo ricordare – vero dottor Bursi - che è un po’ il continuo della nostra Scuola di Volontariato che, infondo, sia col COGE – Comitato di Gestione per i Fondi del Volontariato che con Centri Servizio del Volontariato dell’Emilia-Romagna avevamo iniziato. Non è che abbiamo interrotto, perché poi sui vari territori queste azioni - sia pure sotto altre forme, nomi diversi - la “Voce del Volontariato” però continua proprio in questa volontà di capire, di riflettere e, speriamo, di essere migliori tutti. Grazie infinite. Abbiamo tre minuti, capisco che la giornata è intensa ma molti relatori devono partire. Sarebbe interessante poter parlare con tutti, potersi fermare. Purtroppo non è così. Adesso c’è la tavola rotonda che il giornalista di Redattore Sociale condurrà assieme al dottor Bursi del Comitato di Gestione per il Volontariato, a Marco Granelli del Centro di Servizi Nazionale e - non per ultima (dicono sempre, prima le signore e invece no…) perché non è poco, per come ci rappresenta - Emma Cavallaro della ConVol. Quindi grazie per ora. 8 […] Le relazioni di stamattina, “dar voce a chi non ha voce” sarà importante sentire la voce appunto sia di Marco Granelli, Emma Cavallaro e… dov’è l’altro relatore? Dov’è Bursi? Il Co.Ge. si è eclissato. Non vorrei si fosse eclissato con le risorse… Mi costeranno queste battute! 9