Ho fame: leggetemi!
MAXKEEFE
CINQUE
GENNAIO
2011
Mostra su
Pazienza e
Pertini
Racconto:
dieci
Messaggio
da max
Il sorriso di
Angelica
di Andrea
Camilleri
La strana coppia
Paz & Pert insieme a Roma
Andrea Pazienza e Sandro Pertini fino al 27 febbraio al Palazzo Incontri, Via dei Prefetti.
virus
creato,
impaginato e
diffuso da
Roberto
Mengoni
solo per gli
amici
(e gli amici
degli amici)
1
Cos’ha in comune un vecchio
socialista morto a 93 anni nel suo
letto, al termine di una vita avventurosa, con un giovane artista
che dopo aver incendiato con la
sua creatività il mondo del fumetto finì per rimanere bruciato a
soli 32 anni? Sembra strano eppure tra Andrea Pazienza e Sandro Pertini vi è stato un forte rapporto anche se sempre a distanza.
E la mostra a Palazzo Incontri
cerca di illuminarlo, con i disegni
originali dell'artista e la biografia
di entrambi.
Il presidente si interessò personalmente all’artista, invitandolo
addirittura al Quirinale, quando
sulla storica rivista Il Male apparve un disegno di Andrea Pazienza con Pertini che commentava tristemente il rapimento di
Fabrizio De André e Dori Ghezzi
(vedi a pag. 2). Non era mai accaduta prima una cosa del genere: i politici avevano paura dei
giovani e del Male, che era stata
più volte censurata e denunciata.
Un politico e un ribelle. Pertini
era uno strano tipo di politico,
uno dei pochi sinceramente amati
dagli italiani (non mi viene in
mente un altro nome, a dire il
vero), un socialista vero, che fece
la lotta antifascista fin dall’inizio e
non rinnegò mai le sue origine,
come accadde a quelli usciti dalle
fogne della storia per prendere
posto nella corte dei miracoli
craxiani. Anche Pazienza era uno
strano tipo di artista, dissacrante
e profondo, le cui dote artistiche
si sposavano perfettamente con
una spontanea capacità di cogliere l’umanità nei suoi personaggi.
Per esempio. Vieni a sapere che
Paz aveva scritto una serie a fumetti intitolata “Pertini partigiano”, protagonisti un inflessibile
comandante della resistenza, che
non solo deve combattere i nazisti, ma anche mettere una pezza
sui disastri combinati dal suo
maldestro aiutante, Paz (a pag. 3).
La mostra che da qualche settimana si trova al centro di Roma
prima fa ridere e poi commuove.
Ricordano un’Italia in cui vi era
la speranza di un futuro migliore,
malgrado i disastri degli anni ‘70.
Da internet ho preso abusivamente alcune delle tavole esposte.
La mia preferita è quella che figura qui, la più rappresentativa di
un certo odierno stato d’animo,
in giorni in cui si discetta con
tutta serietà di argomenti assurdi
come la padania e superficialmente di argomenti seri, come il
referendum alla FIAT. Il vecchio
Pert guarda la penisola da una
montagna in compagnia di un
leprotto, forse proprio lo stesso
Andrea. E’ estate. Magari proprio
quella del 1982. Gli italiani sono
in vacanza, il cielo è sgombro di
nuvole. Ma è un’illusione. Il Bel
Paese è una repubblica fondata
sulle vacanze. I problemi spariscono a luglio e tornano sempre
uguali a settembre. Il vecchio
presidente li conosce bene, i suoi
concittadini, e con tre parole
esprime una constatazione. O
forse un’amara speranza.
La stessa che ci sentiamo di
esprimere anche noi. Noi che
siamo in pianura e guardiamo la
montagna. Una montagna di
macerie.
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MAXKEEFECINQUEGennaio2011
2
Dieci
Tanti auguri: è la fine
del mondo
Messaggio da Max
Nuovo vecchio colore per il primo
numero del 2011. Rosso pieno.
Non un rosso scrostato, un rosso PD,
stinto sul rosa. Il rosso non va di moda.
C’è il viola, c’è il nero, c’è l’azzurro.
Cosette intermedie, buone per le tonache e le cravatte degli onorevoli. Torniamo ai colori fondamentali.
Come calciatori sfiancati dalla troppa
tattica e dalle conferenze stampa,
dobbiamo reimparare a palleggiare,
passare e tirare. Lo dice uno che del
calcio conosceva solo i calci negli
stinchi.
Appunto.
Ecco l’augurio per il 2011: il vostro Max
si guarda indietro e scopre che non è
vero che a quarant’anni si è stupidi a
credere a libertà, uguaglianza e
fraternità. Che c’entra col rosso?
Non c’entra niente. Ovvio.
Racconto originale di Roberto Mengoni
A dieci ore dalla fine del mondo, uomini e donne erano felici.
Il buco nero, comparso all’improvviso
dalle parti di Marte, stava per inghiottire la Terra e non ci sarebbe stato scampo per nessuno. Per un pianeta che non
era mai stato tranquillo dall’età della
pietra, era lecito attendersi lo scatenarsi
dei più orribili desideri dell’umanità, le
ultime vendette, le ultime crudeltà, il
saccheggio dei supermercati ed il furto
di razzi per scappare. Invece...
Il primo segnale che sarebbe finita
con i fuochi d’artificio invece che con i
roghi venne quando un gruppo di talebani alzò bandiera bianca davanti a un
fortino americano e urlò che volevano
visitare un sexy shop prima della fine.
Ma il presidio era vuoto: i soldati se ne
erano andati. Per fortuna i guerriglieri
della jihad trovarono lì quello che avevano sempre voluto.
Gli ultimi desideri prima della fine del
mondo furono curiosamente molto turistici: dall’Africa partirono schiere di
immigrati con l’obiettivo di vedere l’Italia. Giunsero a bordo di sgangherate
imbarcazioni ma invece di essere schedati, incarcerati e rimandati indietro,
vennero invitati alle tavolate di festeggiamenti che si stavano organizzando
lungo l’intera penisola, con montagne
di tagliatelle, pianure di lasagne e laghi
di vino. Vennero arabi, romeni, cinesi
ed indiani. Ballarono e risero. Era un
pezzo che non si vedeva gli italiani ridere tanto.
Poi venne l’annuncio di Don Badilecorto che ordinava ai picciotti di gettare
le armi nella spazzatura. L’annuncio del
capo dei capi s’incrociò stranamente,
certo solo casualmente, con un’altra
sorprendente notizia, ovvero che le
banche avrebbero condiviso i loro capitali con i poveri. Si disse che era la paura del giudizio divino, ma i cinici (quei
pochi che restavano) fecero notare che il
valore delle azioni crebbe del 100%
prima che anche gli investitori internazionali andassero a bere il loro ultimo
Martini nell’ultimo happy hour.
Pizzerie, ristoranti e sushi-bar fecero a
gara per offrire la più bella ultima cena.
Gratis. Mangiarono tutti, anoressici e
diabetici compresi. Si stapparono tutte
le bottiglie di vino. Bevvero anche gli
astemi. Bevvero anche i sauditi, mentre
le donne buttarono il chador e guidaro-
no auto sportive per i viali di Riad, lanciando baci agli uomini.
La cosa più terribile avvenne in
Giappone: gli impiegati non sapevano
che fare e aspettavano alle scrivanie.
Allora i capi dissero ‘andiamo a bere!’ e
si partì in allegra brigata. I bar di Tokyo
non fecero mai più affari del genere.
A dieci ore dalla fine del mondo metà
del pianeta era ubriaca. L’altra metà
spense la televisione, i computer, i cartelloni pubblicitari e uscì all’aperto. I
bambini riempirono dopo anni le strade
libere di auto. Non ci furono scippi, non
ci furono omicidi. Era l’ultimo giorno di
scuola prima delle vacanze: le persone
passeggiavano tranquille e si scambiavano auguri. Chi sapeva suonare, suonava per le strade. Chi non sapeva farlo,
suonava lo stesso e nessuno si lamentava. Gli innamorati facevano l’amore
dove capitava, mentre la folla batteva le
mani intorno a loro. I poeti solitari
scrissero gli ultimi versi, poi capirono
che non li avrebbe letti nessuno e scesero anch’essi in strada per partecipare
alla festa. I ricchi organizzarono banchetti nelle loro residenze. Non c’era
nessuna sicurezza all’ingresso e si entrava senza invito: i barboni sapevano ballare con le baronesse.
I residui benpensanti attesero un annuncio delle autorità per riportare l’ordine. Che ci fosse un po’ di decenza
nelle ultime ore! Ma le autorità erano a
passeggio coi detenuti e c’era poca differenza tra di loro. Una piccola folla di
bigotti si radunò allora in piazza San
Pietro sperando nel santo padre. Il papa
apparve in jeans e bandana e disse che i
cattolici erano liberi di fare sesso con
chi volevano, anzi che i preti erano liberi di sposarsi. Infine annunciò che si
sarebbe immediatamente sposato con
una suora (cubana) di vent’anni. Pochi
credettero che la suora avesse vent’anni
e che fosse una suora, ma che importava? Un festoso levare di campane si alzò
dalle parrocchie. Anche i mullah ridevano. E perfino i rabbini ortodossi con i
riccioloni e i cappelloni neri.
Ci si abbracciò e ci si baciò. Ci si baciò moltissimo. C’era un incredibile
desidero di baciarsi, di carezzarsi per
l’ultima volta. C’erano ragazze che per
strade carezzavano vecchi che non ne
ricevevano da cinquant’anni. Allo stadio olimpico si tenne un grande matrimonio collettivo, si sposarono anche gay
e lesbiche. Qualcuno disse di aver visto
Gesù scendere dalla croce.
I cineamatori registrarono tutto e
mandarono messaggi in cielo, ‘guardate
come finisce l’umanità.’
Qualcuno aggiunse, ‘ci stiamo divertendo da pazzi.’ E un altro disse, ‘perché non l’abbiamo fatto prima?’
A dieci ore dalla fine del mondo il
misterioso buco nero cambiò rotta.
Com’era apparso, scomparve all’improvviso. La fine del mondo era rimandata. La televisione annunciò “siamo
salvi. La festa è finita.”
Ma nessuno ci fece caso. La festa andò avanti per molti giorni ancora.
Finché uomini e donne non si svegliarono.
Stranamente era lunedì mattina.
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MAXKEEFECINQUEGennaio2011
Musicoginecopedia
Donne nella canzone italiana
Le donne sono tutto. Anche in musica.
Giulia la brava e Lilly la strafatta. Elisa che non è neanche bella
ed Anna bellosguardo. Maria che si merita una dolce canzone
(insieme a Rosa). Albachiara che va a scuola mangiando una
mela, Francesca a passeggio vestita di rosso e quella casalinga
fedifraga della signora Lia. Chi non conosce Margherita che è il
sale (della vita s’immagina)? Chi sarà mai la glaciale bella
senz’anima che però a letto ti darà di più, mentre invece Gloria
stira cantando? Scusate, non è Gloria, ma fa nulla.
Linda che balla, Anna che verrà, Valentina cocca e polpa d’albicocca. Negli anni sessanta Lisa aveva perso le trecce ma non
gli occhi blu. Pochi anni più tardi un’altra ragazza con trecce,
occhi azzurri e gote rosse turberà un innocente cantante di
Poggio Bustone.
Tra creature diafane, casalinghe frustrate, ninfette alla
Nabokov e dolcissime donne pronte ad abbandonarsi, ci sono
anche Marinella che volò sopra una stella, Bocca di rosa che
portò la primavera a Sant’Ilario, Franziska stanca di attendere il
suo uomo in latitanza e Jamina lingua infuocata, fino ad arrivare
a Prinçesa, che italiana non è e neppure donna, considerato
che nacque ragazzo brasiliano.
Ecco l’enciclopedia delle donne nella canzone italiana.
Si comincia con Sara di Antonello Venditti.
Erano gli anni settanta, all’epoca della crisi economica, dell’impegno rosso e nero a suon di P38 e bombe sui treni, ma anche della liberazione dei costumi. Le donne, appunto, si liberavano degli antichi pudori. Con qualche effetto indesiderato...
Antonello Venditti
Sara
Dall’album “Nata sotto il segno dei pesci”
Sara, svegliati è primavera.
Sara, sono le sette e tu devi andare a scuola,
Sara, prendi tutti i libri e accendi il motorino
e poi attenta, ricordati che aspetti un bambino.
Sara, se avessi i soldi ti porterei ogni giorno al
mare,
Sara, se avessi tempo ti porterei ogni giorno a
far l’amore,
ma Sara, mi devo laureare, e forse un giorno
ti sposerò,
magari in chiesa, dove tua madre
sta aspettando per poter piangere un po’
Sara, tu va’ dritta non ti devi vergognare,
le tue amiche dai retta a me lasciale
tutte parlare,
Sara, è stato solo amore, se nel banco
non c’entri più,
tu sei bella, anche se i vestiti non ti stanno più.
Sara, mentre dormivi l’ho sentito respirare,
Sara, mentre dormivi ti batteva forte il cuore,
Sara, tu non sei più sola
il tuo amore gli basterà
il tuo bambino, se ci credi nascerà
Sara, Sara, Sara ....
3
Eh, Antonello Venditti ci sapeva fare.
Una canzone stupenda, quando uscì nel
1978. A quei tempi il cantante del buriname nazionale stava esplodendo, portava la barba, era piuttosto impegnato,
indossava gli stessi orribili occhiali di
oggi che fanno tanto Califano e componeva canzoni, tutto sommato, manco
sgradevoli: nello stesso LP si trova anche Chen il cinese, storia di uno spacciatore; Nata sotto il segno dei pesci: gli amici del
movimento cominciano a pensare al
posto fisso; e Bomba o non bomba, che
non racconta una marcia su Roma con
falce e martello, ma è anzi una sorta di
inno alla libertà del cantautore.
Ma non divaghiamo. Il pezzo di Antonello narra una tipica storia di amore
adolescenziale, protagonista una ragazza delle superiori (minorenne?) rimasta incinta di uno studente universitario un po’ più grande di lei. E non
molto interessato a riparare. A noi però
interessa la versione di Sara, ritrovata
fortunosamente su una bancarella digitale.
“Ah disgraziato. C’ho diciassette anni
e m’hai rovinato. Come parlavi bbene.
Si vede che studiavi. Prima me porti a
vede’ l’arancia che rosseggia sui sette
colli, me parli della santità der cuppolone, me fai senti’ gli usignoli. E invece
erano passeracci, mortacci tua. Me
dicevi ‘tutto quello che voglio è solamente amore e unità per noi’. Come me
la cantavi bene. ‘Annamo a fa’ l’amore
che poi te fai la doccetta e nun c’è problema’. E io, scema.
Mo’ me dici de svejamme perché è
primavera. Ma che primavera d’Eggitto.
C’ho sonno: ‘sta panza che me cresce
nun me fa dormi’. E tu, che stai a fa’?
Nun c’hai ‘na lira? Va’ a lavora’. Non
c’hai tempo perché ti devi laureare?
Bravo, invece di damme ‘na mano che
devo anna’ a compra’ il corredo per il
pupo che, amico bello, è pure tuo, mica
me lo cresco da sola.
Ma com’è ‘sta canzone ch’hai scritto?
Non l’ho capita bene. Io non sono più
sola perché c’ho il bambino e je basta
l’amore mio? Ma che vor di’? Che lo
vuoi fa’ cresce’ orfano? Ma guarda che
te cavo gli occhi. E poi, che dici? Mi
sposi quando te laurei, così mamma
potrà piagne in chiesa. C’hai proprio
azzeccato: infatti lei va tutti i giorni in
chiesa a piagne per me che so’ ‘na disgraziata.
Tranquilloooo, ce sto attenta col motorino. Lo so’ guida’ mejo de te, che
l’altro giorno te sei sfasciato le corna
con l’ATAC. Oggi c’avemo er compito
de datterografia. Vojo vede se me chiami pe’ sape’ com’è annata.
Meno male che ce stanno le mie amiche, che so’ le uniche che me danno 'na
mano. Me dicono che me devi sposa’
subbito, mica fra dieci anni. Il papà non
ce l’ho ma c’ho un cugino fascio che
non vede l’ora de crocchiarte le ossa, a
te che sei pure rosso. Hai capito?”
Sara e Antonello: una coppia moderna nell’Italia della liberazione sessuale.
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MAXKEEFECINQUEGennaio 2011
Il sorriso di Angelica
Orlando Montalbano
L’ultima avventura del Commissario siciliano
Ci sono pochi punti fermi nella vita italica. E non
si discutono. Non parliamo del papa in televisione
(prezzemolo pure indigesto) né della mamma (che
punto fermo lo è ma non è di lei di cui si parla
qui), bensì del fatto che ogni sei mesi, o giù di lì,
esce un nuovo romanzo del commissario Salvo
Montalbano.
Il libretto blu della Sellerio appare all’improvviso in libreria in simpatici mucchietti ammiccanti.
Sappiamo già cosa c’è dentro: si comincia col risveglio mattutino di Montalbano, con o senza l’insopportabile Livia a lato (sono l’unico a desiderare
che Livia sparisca per sempre?), l’incomprensibile
telefonata mattutina di Catarella che annuncia il
nuovo crimine, le discussioni con Mimì Augello e
Fazio. Tra una mangiata da Enzo e una passiata al
molo per digerire, Montalbano cerca di risolvere il
mistero con logica e pazienza, sforzandosi soprattutto di tenere lontani il questore e i giornalisti
infidi, e di combattere in questo modo anche la
ossessione crescente per la morte.
Per un poliziesco ambientato in Sicilia, poca
violenza, poco sesso (sempre sussurrato se non
sublimato) mentre la mafia resta quasi sempre
nell’ombra. Semmai, e questo rivela qualcosa anche di Camilleri, il vero pericolo per il commissario è la politica, rappresentata in passato da agenti
deviati dei servizi e da politici corrotti e costante-
mente dal questore Bonetti-Alderighi, simbolo del
burocrate dal doppio cognome con mille connessioni nei palazzi che contano.
Il sorriso di Angelica non aggiunge né toglie nulla
al personaggio, ma è come sempre di piacevole e
rapida lettura.Un ladro geniale sta derubando una
dopo l’altra le case di alcuni noti professionisti di
Vigata. Non si tratta di un criminale comune, e i
suoi veri motivi verranno poco a poco alla luce.
Nel corso dell’indagine Montalbano incappa in
una splendida trintina, Angelica, una delle derubate, che materializza i suoi più sfrenati sogni adolescenziali, quelli legati all’Orlando Furioso di Ariosto, che però costituirà una cocente delusione.
Un giallo all’inglese, se vogliamo, ambientato tra
ricchi signori, tra lussuosi appartamenti sistemati
però in orrendi complessi residenziali, perché questa è la Sicilia degli abusi edilizi, non la campagna
del Surrey.
E’ una storia che scorre bene rispetto al precedente La caccia al tesoro, dove già a metà strada si
capiva chi era l’assassino e si conclude, naturalmente, con la risoluzione dell’indagine che però
non placa la crescente amarezza del poliziotto,
consapevole che gli anni che gli rimangono sono
pochissimi. Non a caso Camilleri ha già scritto e
consegnato il romanzo conclusivo della serie, dal
titolo provvisorio Riccardino.
Porto Empedocle
La statua del commissario Salvo Montalbano
inaugurata nel maggio
2009 alla presenza dello
scrittore, opera di certo
Giuseppe Agnello.
L’immagine è volutamente molto diversa da
quella televisiva
impersonata da Luca
Zingaretti ma più
rispondente alla fantasia
di Camilleri.
Nel romanzo La danza del
gabbiano, lo stesso
Montalbano dice infatti
di avere “capelli da
vendere” e di non essere
“completamente calvo”
come quell’attore che lo
impersona, quello “Zingarelli”.
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Gennaio 2011. Numero 5.